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« Risposta #105 inserito:: Marzo 14, 2012, 11:30:52 am » |
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Politica 14/03/2012 - Il premier prima del vertice stoppa il Pdl La riforma della giustizia è uno dei terreni di scontro più aspri tra i partiti "Nessun mandato predeterminato". E Casini: con certe bambinate Alfano si gioca il credito al centro AMEDEO LA MATTINA Roma Ieri pomeriggio Casini passeggiava sconsolato in Transatlantico mentre in aula il governo andava giù tre volte. Il leader dell’Udc non legava questi scivoloni con le fibrillazioni tra i partiti della «strana» maggioranza. «Sarebbe una forzatura, tuttavia il clima rischia di deteriorarsi. Io capisco Alfano: pone dei veti, non si presenta al vertice di maggioranza, alza la voce per tenere unito il Pdl, ma è un gioco folle. Con queste “bambinate” si sta bruciando il suo credito al centro». Casini ragionava così con alcuni deputati del suo partito e non è un caso se abbia voluto pubblicamente spiegare che l’accordo tra Udc e Pdl sul candidato sindaco di Palermo non ha valore strategico («con Fini e Rutelli abbiamo deciso di circoscrivere a zero la valenza politica»). Il clima non è dei migliori, ma il presidente del Consiglio non è preoccupato. Monti considera quelle tra Bersani e Alfano schermaglie preelettorali che non arriveranno al punto di mettere in crisi il governo. E va avanti mettendo sul tavolo del vertice di maggioranza che si terrà domani tutti i temi che ritiene necessari, senza escludere giustizia e Rai. Non accetta veti. Il segretario del Pdl vuole parlare solo di lavoro, di accesso al credito per le imprese e accusa Bersani di pensare alle «poltrone Rai». «Se rimarrà tempo ci occuperemo anche del servizio televisivo pubblico e di giustizia», ha ironizzato l’ex Guardasigilli. «Già - gli ha risposto acido il leader dei Democratici -, Alfano ora è il capo della classe operaia... Non ho ho nessuna voglia di litigare, ma con i veti reciproci il governo sarebbe paralizzato. Attenzione a non accendere fuochi. Io non ho mai sollevato questioni, invece ho visto il Pdl esasperare i toni e far saltare un vertice». Il vertice adesso si farà e Monti ha imposto un ordine del giorno che piace al Pd. La doccia fredda per Alfano è arrivata addirittura durante la conferenza stampa con la Merkel. Con l’aplomb del professore che tanto piace alla Cancelliera tedesca, il premier ha ricordato che un governo non può avere un «mandato predeterminato». Certo, i tecnici sono stati chiamati a Palazzo Chigi per superare la crisi economica e rilanciare la crescita, ma come assolvere a questa missione è una competenza dell’esecutivo: riforma della giustizia civile e lotta alla corruzione ne sono parte integrante. Ciò significa che il Pdl non può porre veti preventivi, nemmeno sul tema della tv pubblica visto che viale Mazzini versa in un pessimo stato economico e finanziario. Bersani spera che il premier metta mano alla governance, che venga cambiata la legge Gasparri. Nel Pd gira voce che Palazzo Chigi, d’accordo con il Quirinale, aveva già cominciato a scrivere un decreto per ridurre il numero dei componenti del Cda e dare più poteri al direttore generale (ovviamente l’attuale dg Lorenza Lei non sarebbe rimasta al suo posto). Il decreto sembra sia stato messo in un cassetto e il ministro Corrado Passera domenica in un’intervista al Sole-24 Ore ha parlato solo di un rinnovo del cda Rai con i criteri stabiliti dalla legge Gasparri. I democratici non ci stanno. «Come fa Monti a rimangiarsi quello che ha promesso in una trasmissione televisiva?», si chiede Paolo Gentiloni. «Se si piegasse ai diktat di Berlusconi, l’autorevolezza che ha conquistato fino ad oggi - aggiunge l’ex ministro delle Comunicazioni - ne verrebbe molto deteriorata». Il presidente del Consiglio però non vuole infiammare gli animi, così nel vertice di domani mette tutti i temi caldi, nessuno escluso. Sulla legge contro la corruzione punta a far passare la proposta di mediazione del ministro Severino; sulla Rai cerca di far passare la nomina dei nuovi consiglieri d’amministrazione e del direttore generale. «Lorenza Lei però non si tocca», dice perentorio Paolo Romani. Il Pd teme che lo scoglio venga superato mettendo sul piatto di Mediaset le frequenze televisive. Così Bersani tiene alta l’asticella, continuando a ripetere che non parteciperà alle nuove nomine di viale Mazzini. Monti sta facendo di tutto per sbloccare la rigidità del capo dei Democratici. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/446332/
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« Risposta #106 inserito:: Marzo 23, 2012, 11:15:46 pm » |
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Politica 23/03/2012 - LAVORO FIBRILLAZIONE TRA I PARTITI Il Pdl avvisa il Pd: "Niente veti" Angelino Alfano, segretario del Pdl: «Sull’art. 18 si deve andare avanti anche se la Cgil mette il veto. Se Bersani vuole una riforma su misura deve vincere le elezioni». Bersani insiste e vuole modifiche in Parlamento Alfano lo stoppa: vogliono snaturare la riforma AMEDEO LA MATTINA Roma Mario Monti ha fatto sapere che andrà avanti sulla riforma del mercato del lavoro, anche nella parte più contestata dell’articolo 18: no al reintegro in caso di licenziamento per motivi economici; in compenso ci saranno norme stringenti contro gli abusi. Ma l’intenzione di inserire quest’ultima modifica in un disegno di legge significa lasciare il Parlamento libero di apportare modifiche. Ed è proprio su queste modifiche che punta Bersani, convinto che nelle aule parlamentari ci sono i numeri per far prevalere il modello tedesco (è sempre il giudice che decide tra reintegro e indennizzo), anche con i voti del Pdl e di una parte di esso. Il segretario del Pd pensa che ci sia un’opinione pubblica trasversale contraria a rendere più facile l’allontanamento del lavoratore dalle aziende. Ecco, quella tedesca è la strada che il leader dei Democratici ha individuato per evitare la rottura con la Cgil e tenere unito il partito. Infatti in questo senso si sono espresse tutte le componenti, da Letta a Fassina, da Fioroni e alla Bindi, da D’Alema a Veltroni, il cui silenzio di questi giorni aveva fatto pensare a una sua forte distanza dal segretario. Ieri invece ha detto che «non servono diktat né al Pd né al Parlamento: alla via del decreto bisogna preferire uno strumento che permetta al Parlamento di non mettere un timbro ma di modificare la riforma sull’art. 18». Un altro assist al Pd è venuto paradossalmente da Bossi («questa non è una riforma, ma una controriforma») e dalla promessa di trasformare le aule in un Vietnam da parte di Di Pietro. Ma per Bersani ancora più utile è stata l’esternazione di monsignor Bregantini della Cei: «Lasciare fuori la Cgil sarebbe un grave errore. La questione è chiusa, ha detto il presidente Monti. Si poteva dire: la questione è posta, ora dialoghiamo». Il premier tuttavia non cambia idea, tiene il punto, non perde la faccia, può continuare a presentare all’estero la «Nuova Italia» dove è conveniente investire. La Cgil comunque non si fida, il Pd non ci sta. «Credo - ha spiegato Bersani che il Parlamento abbia la possibilità di apportare miglioramenti e correzioni. Anche le altre forze politiche possono percepire il turbamento che c’è nell’opinione pubblica. Non possiamo ridurre tutto o quasi il meccanismo dei licenziamenti all'indennizzo». A questo punto, solo Alfano e Casini sostengono la riforma del mercato del lavoro targata MontiFornero, pure nella parte relativa all’articolo 18. Tranne poi verificare quali saranno i loro comportamenti in Parlamento. Il Pdl ha accusato il Pd di essere condizionati dalla Cgil che a sua volta è ostaggio della Fiom. Secondo il capogruppo Cicchitto «è in atto un forte tentativo di snaturare la riforma»: «Ci auguriamo che il governo tenga ferme le scelte fatte». E Alfano ha messo le mani avanti, affermando che in Parlamento il suo partito non si presterà a «un compromesso al ribasso, a una riformetta. Se Bersani vuole fare la riforma che hanno in mente Camusso e la Fiom, allora vinca le elezioni, la faccia e poi la spieghi alla gente». Alfano ha provato a soffiare sul fuoco delle divisioni interne al Pd e a mettere Bersani contro Napolitano, che a suo giudizio esprime «una vera cultura riformista». Casini ha capito il pericolo che corre il governo e dice alle «provocazione» del Pdl: «Bisogna rispettare il Pd e il suo travaglio interno. Ho visto dichiarazioni di chi mette in contrapposizione Napolitano e Bersani. È un giochino di cattivo gusto». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/447477/
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« Risposta #107 inserito:: Aprile 15, 2012, 10:47:38 pm » |
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Politica 15/04/2012 - VERSO IL VOTO LE STRATEGIE Casini chiude l’Udc e lancia il “Partito della nazione” Gli esperti: Così cambierà l'Italia nel 2013 “Tsunami sulla politica, serve un nuovo soggetto”. Freddi Pdl e Pd Insofferenza in Futuro e Libertà: Fini si dimetta e scenda in campo AMEDEO LA MATTINA Roma Casini scalda i motori della sua nuova creatura politica, quel Partito della Nazione che nei progetti di Pier dovrà essere il nuovo baricentro della politica italiana. E magari su questa onda alta salire al Quirinale con i voti del Pd e del Pdl. Un conto senza l’oste, osservano nei due maggiori partiti che vogliono «prima vedere cammello poi pagare»: cioè, l’Udc con chi stringerà un’alleanza alle politiche del 2013? Il punto è che Casini non vuole allearsi con nessuno. E, grazie ad una nuova legge elettorale di taglio proporzionale (se mai verrà alla luce), punta a rimettere in piedi la Grande Coalizione nel prossimo Parlamento. «La politica italiana è in pieno tsunami, non bisogna nemmeno aspettare le prossime amministrative», ha detto ieri al congresso veneto del suo partito. «Credo che agli italiani serva un soggetto politico nuovo che parli il linguaggio della serietà, delle scelte impopolari, del rigore, metta assieme tecnici e uomini politici, sindacalisti intelligenti e imprenditori illuminati». Insomma, per Casini l’Udc non basta più, occorre fare un salto di qualità, andare oltre lo stesso Terzo Polo, creare un partito plurale che metta assieme «diverse personalità compreso anche chi sta ora nel governo attuale». Quindi «sindacalisti intelligenti» come il leader della Cisl Raffaele Bonanni; «imprenditori illuminati» come Luca Cordero di Montezemolo, Emma Marcegaglia e i protagonisti di Rete Imprese Italia; ministri come Riccardi, Ornaghi, Severino e Passera. Il ministro dello Sviluppo economico non è più un pericoloso concorrente attorno al quale potrebbe nascere un altro polo moderato: così viene vissuto da Casini. In questo progetto politico non è ancora contemplato il Pdl e quella casa dei moderati modello Ppe per il quale Alfano sta lavorando disperatamente. Ma che fine farà il Terzo Polo? Che ruolo avrà Gianfranco Fini? Ecco l’altro problema che Casini dovrà affrontare presto. Nel Fli l’insofferenza per il protagonismo di Pier è altissima. Non viene digerito il fatto che la maggioranza abbia tre sole lettere a contraddistinguerla: ABC, cioè Alfano, Bersani e Casini. Con l’ex leader di An in un angolino, inghiottito in un cono d’ombra. «ABC non basta più è tempo che scenda in campo la F», avverte Carmelo Briguglio. «Fini - chiede il vicepresidente dei deputati Fli - deve scendere in campo, si deve dimettere da presidente della Camera e guidare da protagonista il nuovo soggetto politico, libero da lacci e lacciuoli. Ormai il 90% del Fli la pensa così». Cosa abbia intenzione di fare Fini ancora non è chiaro. Nei mesi scorsi ha smentito di volersi dimettere dalla terza carica dello Stato. Quando era in sella a Palazzo Chigi Berlusconi, questa ipotesi era stata scartata perché, così veniva spiegato, era necessario «un presidio di garanzia istituzionale alla Camera». Dopo si è aperta l’era dei tecnici e dal più alto scranno di Montecitorio bisogna guidare la nuova fase parlamentare. Ora la politica si è avviata verso la boa delle amministrative e dovrà presto prepararsi alle elezioni politiche del 2013 che si presentano come un buco nero. Il gioco da qui a qualche settimana si farà durissimo e Fini non potrà rimanere ancora a lungo imbalsamato nel suo ruolo istituzionale. Dovrà affiancare Casini nella costruzione del Partito della Nazione. Lui non ha ancora scelto i tempi per fare il passo. C’è ancora un anno prima del voto politico e tanti sono gli impegni parlamentari da affrontare: lasciare scoperta la presidenza della Camera potrebbe essere considerata una mossa poco seria, anche dal Quirinale. Nel Fli però il pressing a dimettersi è diventato fortissimo, assordante. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450171/
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« Risposta #108 inserito:: Aprile 28, 2012, 11:37:19 am » |
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POLITICA 28/04/2012 - Berlusconi cerca la sponda del Colle Ieri il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha incontrato a pranzo l’ex premier Silvio Berlusconi L’ex premier si sfoga con il Presidente della Repubblica: “Basta pubblicare le mie telefonate” AMEDEO LA MATTINA ROMA È difficile capire le vere intenzione che animano Berlusconi quando si reca al Quirinale e lamenta con una certa foga «l’amarezza per la continua e nuova aggressione giudiziaria» nei suoi confronti. Una «macchina del fango» sempre in moto nelle varie procure d’Italia, alimentata dalla «persecuzione mediatica di Repubblica» che nel suo sito web mette in rete le telefonate con le protagoniste del “burlesque” ad Arcore. Telefonate che «non hanno nulla di penalmente rilevante ma con l’unico obiettivo di screditarmi più che altro dal punto di vista personale visto che ho fatto molti passi indietro dalla vita politica». Per il Cavaliere si tratta di «una violazione della privacy che non ha riscontro in nessun altro Paese civile» e che renderebbe ancora più necessario e urgente una disciplina sulle intercettazioni. «Le legge di cui si sta discutendo non è quella che avremmo fatto noi - ha detto - ma almeno questa, che è un compromesso, va approvata al più presto». Insomma deve finire il gioco al massacro che lo vede sempre al centro dell’attenzione di qualunque vicenda giudiziaria, che si tratti di Ruby, di Lavitola o di Finmeccanica. Un semplice sfogo o la ricerca di una “sponda” nel capo dello Stato in cambio della pace politica? Il presidente della Repubblica è abituato ad ascoltare simili lamentele da parte di Berlusconi: ha ascoltato senza dire nulla. Semmai il capo dello Stato era più interessato a verificare il grado di compattezza attorno al governo Monti. E dalla colazione al Colle, alla quale ha partecipato anche Gianni Letta, si è alzato tranquillizzato. Nel Pdl poi le interpretazioni sono le più varie, a cominciare da quella secondo cui Berlusconi avrebbe messo sul piatto un “aiutino” per frenare la «macchina del fango» in cambio di un appoggio convinto all’esecutivo. Anche perchè il partito è in grave sofferenza per i provvedimenti di rigore, innanzitutto per l’aumento della pressione fiscale, mentre l’elettorato di riferimento si sta sciogliendo sotto l’urto dell’antipolitica. Berlusconi tuttavia ha escluso che il Popolo della libertà possa fare sgambetti al Professore della Bocconi. Lo stesso ultimatum lanciato da diversi esponenti del Pdl sulla riforma del mercato del lavoro non prelude a niente di catastrofico, nonostante «si sia concesso troppo alla Cgil, facendo un favore elettorale a Bersani». «Questo ci ha penalizzato. Per questo vogliamo una correzione». Quello che sicuramente non va è il continuo incremento delle tasse. Per il Cavaliere, ad esempio, si deve assolutamente evitare di aumentare l’Iva e in futuro è necessario addolcire, se non eliminare, l’Imu per la prima casa. Napolitano è sempre concentrato sulla situazione economica che rimane sempre tesa. E che richiede una continua opera di vigilanza. Rigore e risanamento finanziario deve andare di pari passo alla politica di crescita e su quest’ultimo versante il capo dello Stato intravede degli spiragli, ancora tutti da verificare, anche da parte della Merkel. Insomma non è il momento di abbassare la guardia e di mettere in giro voci di elezioni anticipate a ottobre. Berlusconi ha spiegato di averle mai auspicate, ma di aver parlato delle possibili tentazioni che potrebbe avere il Pd sicuro di vincere. Il Pdl invece vuole concludere la legislatura, facendo le riforme. Per il Cavaliere però non si devono fare solo le riforme costituzionali ed elettorale: bisogna mettere mano alla giustizia e alle intercettazioni. Non ci sarà un atteggiamento barricadero, intransigente: c’è una disponibilità al compromesso, pure sulla responsabilita civile dei magistrati. Non sarà tuttavia accettato dal Pdl di dare con una mano e non ricevere dall’altra. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/452087/
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« Risposta #109 inserito:: Aprile 30, 2012, 11:22:29 am » |
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Politica 30/04/2012 - Fisco, monta la protesta Pdl e Pd, tutti iscritti al festival anti-tasse Casini li stoppa: smemorati, Monti deve rimediare agli errori di altri AMEDEO LA MATTINA Roma Il clima di campagna elettorale fa volare i palloni delle proposte sul fisco, di riduzione ovviamente, sapendo che per il momento ciò non è possibile. Poi il fatto che oggi il governo porta alla luce la spending review del ministro Giarda aggiunge l’illusione che, tagliando le spese, si possa costituire un tesoretto utile ad abbassare le tasse. Tutti sono consapevoli che non sarà possibile, che al massimo si potrà evitare di aumentare l’Iva e centrare il pareggio di bilancio. Da questo festival anti-tasse si distingue Casini, stupefatto da tutti questi «smemorati che sembrano Alice nel Paese delle meraviglie. In 4-5 mesi ci siamo dimenticati perché Monti ha preso in mano l’Italia, sembra che la pressione fiscale sia colpa sua. Monti invece deve rimediare perché qualcuno prima di lui ha abolito l’Ici e ora c’è l’Imu, perché qualcuno in Europa ha sottoscritto impegni pesantissimi e ora dobbiamo onorarli». Sono gli impegni sottoscritti da Berlusconi per il pareggio di bilancio nel 2013. Ecco invece la babele di proposte. La più sexy è quella del segretario del Pdl Alfano: non far pagare le tasse, fino alla somma vantata nei confronti della P.A., agli imprenditori che non ricevono i rimborsi. Fanno la ola gli uomini e le donne del Popolo della libertà che bacchettano Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, che si permesso di ironizzare sull’idea di Alfano, bollandola come irresponsabile e propagandistica. Intanto, perché in tre anni e mezzo di governo, Berlusconi non ha attuato la proposta avanzata dall’ex ministro della Giustizia. Poi perché in questo modo si determinerebbe un buco di bilancio di 30-40 miliardi di euro in un solo colpo. Osvaldo Napoli invece difende la proposta di Alfano: è «semplice, razionale ed efficace quanto inutilmente polemica, contorta e irrazionale la replica di Fassina: per quale ragione dovrebbe aprirsi un buco nei conti pubblici se lo Stato attiva una compensazione fra crediti e tasse verso le imprese?». La tassa più sofferta rimane l’Imu che gli italiani si apprestano a pagare tra mal di pancia e rabbia, ingrossando le fila dell’antipolitica e dell’astensione. Maroni ne approfitta per lanciare la disobbedienza civile, ben sapendo quanto di queste entrate sulla casa i sindaci, che non possono derogare al patto di stabilità, hanno bisogno. Facile per Bersani schiacciare la palla, ricordano al neocapo della Lega che in Italia c’è già troppa gente che fa lo sciopero fiscale, evadendo le tasse. Semmai, dice Bersani, bisogna rendere l’Imu più leggera. E per fare ciò aveva proposto un’imposta personale sui grandi patrimoni immobiliari. «Maroni era lì quando abbiamo fatto questa proposta. Erano tutti lì quelli che ora si lamentano. Poi su una cosa Pisapia ha ragione: bisogna fare un meccanismo per cui l’Imu rimane ai Comuni e loro non facciano solo gli esattori per conto dello Stato». Erano tutti lì, sia prima che dopo il governo Berlusconi. Ma ora Bossi dice che «Roma ha rotto le balle» e il tandem Gasparri-Romani chiede di sottoscrivere un accordo con la Svizzera per la tassazione dei patrimoni nascosti. «Il Governo Monti - sostengono il capogruppo del Pdl e l’ex ministro - è chiamato a recuperare queste ingenti somme evase al fisco per allentare la morsa fiscale su cittadini e imprese». Anche Di Pietro è della stessa idea e quantifica il capitale esportati illegalmente all’estero in 40 miliardi di euro. «L’Italia dei Valori chiede da mesi che si faccia così, ma i signori del governo da quell’orecchio proprio non ci sentono e un sistema dell’informazione ancora più allineato e coperto che ai tempi del fascismo gli tiene bordone». da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/452260/
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« Risposta #110 inserito:: Maggio 10, 2012, 11:47:16 pm » |
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Politica 10/05/2012 - ELEZIONI LE CONSEGUENZE L'ira di Fini contro Casini: è inaffidabile Vertice a Montecitorio, il leader Udc irremovibile «Ognuno porti avanti il suo progetto, poi si vedrà» AMEDEO LA MATTINA Roma Casini scioglie il Terzo Polo, scarica Fini e Rutelli, si allontana decisamente da Bersani e vira, più che a destra, verso quello che sarà il contenitore dei moderati che sta aprendo il cantiere. Obiettivo sbarrare la strada alla sinistra e a un Pd «affetto dalla sindrome dell’autosufficienza», osserva il leader dell’Udc. Dopo i ballottaggi ed entro la fine di luglio ci saranno grandi novità che interesseranno l’area cattolica, personaggi come Luca Cordero di Montezemolo, il nuovo soggetto politico che sta preparando Berlusconi e Alfano, oltre il Pdl. Tante iniziative autonome e per il momento separate l’una dall’altra, ma che potrebbero incontrarsi per coagulare il “centrodestra liquido”. Il voto amministrativo, secondo Casini, ha reso in maniera plastica questa liquidità, e «i moderati rischiano di rimanere sotto le macerie» dell’antipolitica, mentre il Pd non comprende che sta crescendo «un mostro» fatto di grillini e sinistra radicale stile Vendola. Commettendo l’errore di accarezzare una legge elettorale a doppio turno alla francese, che sarebbe la tomba dell’Udc. E anche se dovesse rimane l’attuale Porcellum, il rischio per il partito dell’ex presidente della Camera sarebbe altissimo: potrebbe verificarsi che l’ago della bilancia non sarebbe più l’Udc, ma un altro soggetto che scenderà in campo per le politiche 2013. Allora, massimo movimentismo, gettare a mare il Terzo Polo, salutare Fini e Rutelli: ognuno tessa la propria tela e si salvi chi può. Le amministrative, secondo l’Udc, hanno dimostrato l’inesistenza del Fli e dell’Api. E poi Casini non sopporta più di stare insieme a esponenti del Fli, come Briguglio e Granata, che lo provocano, lo insultano, che in Sicilia sostengono Raffaele Lombardo. Basta, ognuno per la sua strada, in mare aperto. Dal Fli, proprio Briguglio in un tweet scrive che «su Costa (il candidato Pdl-Udc che a Palermo non è andato al ballottaggio ndr) non ci sbagliavamo, su Casini speriamo di sbagliarci». E a proposito di voti, sempre Briguglio che in Sicilia è il coordinatore regionale del Fli, ricorda che sommando i voti presi nei comuni dell’isola il suo partito ha ha avuto una media superiore al 7%: «Un ottimo risultato, che lascia presagire un’affermazione ancora maggiore alle politiche e alle regionali». «Noi - aggiunge Italo Bocchino - andiamo avanti alla costruzione del Fli. Alle amministrative abbiamo ottenuto il 4,2%. Cosa voglia fare l’Udc non ci è chiaro». Nell’Udc fanno spallucce. Per Casini l’alleanza con Fli e Api non è sufficiente a rappresentare «un’esigenza di cambiamento, di rinnovamento». «Siamo in una nuova stagione e il gioco è diverso: se qualcuno pensa che le cose vadano bene così, vada avanti». Ieri Fini si è trovato il de profundis del Terzo Polo sui giornali e si è molto arrabbiato, temendo che il leader dell’Udc avesse comunicato la marcia di avvicinamento verso il Pdl e la federazione dei moderati proposta da Alfano. «Gridava come un pazzo, diceva che Casini è inaffidabile», raccontano nel Fli. Ma nell’incontro tra i due a Montecitorio, Casini ha chiarito di avere ripetuto cose dette tante volte: che il Terzo Polo non riesce a intercettare l’emorragia di consensi del Pdl, che ci vuole qualcosa di nuovo, un soggetto non strutturato che si apra alla società civile. «Vuoi che io mi allei con il Pdl ora che sono ai minimi termini? Ognuno porti avanti il suo progetto, poi si vedrà», ha detto a Fini. Il quale però ha capito l’antifona: Pier pensa che non può più fare il gioco dei due forni e vuole trattare solo per sè il ruolo che avrà nel futuro rassemblement dei moderati. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453577/
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« Risposta #111 inserito:: Luglio 05, 2012, 12:04:42 pm » |
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Politica 05/07/2012 - retroscena Guerra per bande nel Pdl Il partito militare non c'è più AMEDEO LA MATTINA Roma Una volta c’era la caserma Pdl dove sulle questioni Rai (e giustizia) non si fiatava, nessuno poteva scostarsi di un millimetro dai voleri della Real Casa, ovvero da Silvio Berlusconi e dai suoi interessi in conflitto. Poi è successo che le maglie si sono allentante, il Cavaliere ha perso Palazzo Chigi, i dissidi nel partito si sono centuplicati, in ogni Regione è scoppiata la guerra per bande, la metà dei parlamentari non verrà più eletta e quindi si comincia a giocare per sé, anche per interessi personali. Ecco, la “straordinaria” vicenda che sta andando in scena in commissione Vigilanza Rai rientra in questo processo di sfilacciamento in cui perfino dei fedelissimi del Capo disattendono gli ordini di scuderia. È successo infatti che il senatore Paolo Amato non era d’accordo con i quattro nomi da votare per il Cda di viale Mazzini perché era stato tagliato fuori Giampaolo Rossi, presidente di Rainet e fidanzato dell’onorevole Deborah Bergamini. Rossi faceva parte della lista degli otto nomi che era stata redatta a via dell’Umiltà, il quartier generale del Pdl, nelle settimane scorse. Ma i “fortunati” predestinati dovevano essere solo quattro e in una riunione dei componenti pidiellini qualcuno ha chiesto al segretario Angelino Alfano «e ora come facciamo?». Chi rimane dentro e chi fuori? Con quale criterio si sarebbe presa una decisione? «Magari facciamo le primarie», ha scherzato Marcello De Angelis. Battuta non raccolta. Su queste cose c’è poco da scherzare perché perdere il controllo in Rai è cosa seria, molto seria. A tagliare e scremare ci hanno pensato Berlusconi e i capigruppo l’altra sera a Palazzo Grazioli. Alla fine nella rosa dei nomi da votare in Vigilanza Giampaolo Rossi non c’era. Allora la Bergamini, così raccontano i beni informati del Pdl, si è arrabbiata e ha cercato di far saltare il piano, non credendo che ci sarebbe stata una compensazione di qualche tipo. Ha parlato con Amato, suo concittadino fiorentino con il quale in Toscana condivide la guerra contro il coordinatore nazionale Denis Verdini. Così il senatore si è presentato in Vigilanza: prima ha votato Flavia Piccoli Nardelli, la candidata sostenuta dall’inedita alleanza tra Fli e Idv. Risultato: prima fumata nera; poi si è rivotato ed è spuntata una strana scheda bianca: altra fumata nera, mandando in bestia gli uomini del Pdl e soprattutto Berlusconi. Adirato l’altra sera a Palazzo Chigi ha chiesto ai dirigenti del partito cosa serve convocare l’ufficio di presidenza e decidere la linea se poi i parlamentari fanno quello che vogliono? È partita la caccia al colpevole, Amato viene individuato, si dice che è il mandante di Pisanu in rotta con il Pdl e in avvicinamento al Terzo Polo, a Fini in particolare. Ma da una più accurata indagine salta fuori che la mano del «traditore» è stata armata innanzitutto dalla Bergamini. Così Amato è stato messo alla porta sostituito, guarda caso proprio ieri, da Pasquale Viespoli del gruppo Coesione Nazionale, in sostanza una costola del Pdl. Con la conseguenza che adesso potranno essere eletti nel Cda della Rai Verro. Pilati, Rositani e Todini, un nome, quest’ultimo, frutto di un’intesa tra Pdl e Lega. Mentre gli altri tre sono il risultato dell’equa divisione tra ex Forza Italia ed ex An. Ora su tutto questo è esploso un conflitto istituzionale tra il presidente della Camera Fini e il suo omologo al Senato Schifani, che ha messo nero su bianco la sostituzione di Amato con Viespoli. Del resto la seconda carica dello Stato, una volta che Fini se n’è lavato le mani, ha risposto a una lettera che gli aveva mandato il capogruppo del Pdl Gasparri per annunciare che il suo partito avrebbe rinunciato a un componente in Vigilanza per fare posto a Viespoli. E fin qui tutto sembrava filare liscio, ma chi avrebbe potuto prevedere che Amato si sarebbe ribellato? da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461247/
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« Risposta #112 inserito:: Luglio 25, 2012, 04:59:00 pm » |
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Politica 24/07/2012 - retroscena Berlusconi temporeggia e sogna la rivincita L’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è dimesso il 12 novembre scorso Il Cavaliere dice no al voto in autunno e lavora alla legge elettorale. Ma scioglierà la riserva sulla sua ricandidatura solo a settembre Amedeo La Mattina Roma Con lo spread a 520 punti e che nelle prossime settimane potrebbe arrivare a 600, la missione di Monti potrebbe essere considerata fallita: Berlusconi ha in testa questo concetto e avrebbe tanta voglia di dirlo pubblicamente, ma per il momento tace, segue l’evoluzione della situazione italiana ed europea. Così come avrebbe voglia di salire al Quirinale e dire a Napolitano «dove eravamo rimasti?», cioè a quel 12 novembre 2011 quando dovette dimettersi perchè tutto precipitava e lo spread era arrivato a 574 punti. Lasciando Palazzo Chigi al Professore della Bocconi, che avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi del Paese perchè portatore della necessaria credibilità europea, pure per «piegare» frau Merkel. E ora, ragiona il Cavaliere, dopo i sacrifici degli italiani e l’aumento delle tasse, «a che punto è la notte?». Certo, di chiedere le dimissioni di Monti per il momento non ci pensa, anzi è d’accordo con il suo successore che a Soci ieri ha spiegato che il motivo di tanto nervosismo sui mercati non sono «i problemi specifici dell’Italia, ma le notizie, le dichiarazioni e indiscrezioni sull’applicazione delle decisioni prese dal vertice Ue di fine giugno». Dito puntato sulla Germania che frena e sulle affermazioni del ministro dell’Economia Roesler che ha rafforzato le voci su un’imminente uscita della Grecia dall’euro. Ecco, negli atteggiamenti della Merkel e dei suoi alleati (Roesler è un esponente del Partito liberale) il Cavaliere vede la conferma delle sue critiche rivolte a Berlino e contenute in una recente intervista alla Bild intitolata «Non vogliamo un’Europa più tedesca». Ecco, se oggi non sono «i problemi specifici dell’Italia», secondo l’ex premier, non lo erano nemmeno quando governava lui. Oggi come allora sarebbe l’attacco speculativo sull’euro a romperci le ossa, con la Merkel che continua a sbagliare. E taccia Bersani, eviti di sostenere «stupidaggini» del tipo che ci troviamo in queste condizioni perché raccogliamo quello che le destre hanno seminato in 10 anni di governo in quasi tutti i Paesi europei. E che «Berlusconi di nuovo in campo non è una buona notizia vista dal mondo». Dopo Berlusconi, dice il diretto interessato, non sembra che sia cambiato granché. L’ex presidente del Consiglio non tifa per elezioni ad ottobre. Nel Pdl sono in molti ad escludere questa ipotesi. Lo esclude il capogruppo Gasparri, perché prima bisogna cambiare la legge elettorale e a suo giudizio non sarà possibile in tempi stretti, nemmeno in prima lettura al Senato entro il 10 agosto quando il Parlamento chiuderà i battenti per la pausa estiva. Tuttavia, ragiona il Cavaliere, se la situazione dovesse precipitare, con lo spread attorno a quota 600, nulla a quel punto può essere escluso. E’ sicuro però che lui si prepara a portare il conto sul tavolo di chi l’ha voluto fuori da Palazzo Chigi perchè bisognava salvare l’Italia e invece non è servito il suo sacrificio e i sacrifici che gli italiani stanno sopportando. Così come è abbastanza sicuro che si ricandiderà per la sesta volta. Vorrebbe annunciare il ritorno in pista tra settembre e ottobre, quando sarà chiaro con quale legge elettorale si andrà a votare e quali saranno le condizioni finanziarie del Paese. Ma se gli eventi precipitassero, l’annuncio ufficiale verrebbe anticipato. L’orizzonte per il momento rimane il 2013. Ma c’è un macigno sul suo cammino e sono le elezioni regionali in Sicilia. Berlusconi vorrebbe che anche questo appuntamento elettorale venisse fissato per il prossimo anno, evitando il voto ad ottobre. Nell’isola, che è stata una miniera di voti prima per Forza Italia e poi per il Pdl, il Cavaliere ha certezza di un pessimo risultato. Le ultime elezioni amministrative, quelle comunali di Palermo in particolare, sono state un amarissimo assaggio. Ecco, una debacle in Sicilia sarebbe un terribile viatico per le elezioni politiche, un modo per mettere piombo sulle ali di un Berlusconi che pensa di rinascere sull’onda del malcontento popolare, di un’Europa a predominio tedesco. Peggio ancora se in quella Regione Pd e Udc dovessero sperimentare la nuova alleanza e magari con successo. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/463409/
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« Risposta #113 inserito:: Agosto 01, 2012, 07:42:20 pm » |
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Politica 01/08/2012 - riforme, il braccio di ferro Legge elettorale: i tre punti chiave della proposta Pdl Si tratta sulla legge elettorale, che però resta ancora in stand by Premio del dieci per cento, sbarramento al cinque Democratici ancora divisi, certo il rinvio a settembre AMEDEO LA MATTINA Roma Il Pdl ha fatto la prima mossa, depositando alla presidenza del Senato un ddl per la riforma della legge elettorale. Il vicecapogruppo Quagliariello si è premurato di spiegare che non si tratta di «un diktat ma una proposta per arrivare a un testo base condiviso». Il testo comunque prevede quanto annunciato ormai da tempo: 2/3 dei parlamentari eletti con le preferenze e un terzo con liste bloccate nei collegi; il premio di maggioranza del 10% andrà al primo partito; sbarramento per entrare in Parlamento del 5%. Oggi la palla passa al comitato ristretto dove il relatore del Pd Enzo Bianco, pur ribadendo che il doppio turno sarebbe il sistema migliore per garantire la governabilità, dovrebbe aprire al «premio di governabilità» al partito chiedendo che deputati e senatori vengano eletti in collegi uninominali. Dovrebbe, appunto, perchè nel Pd la discussione è accesa. Se confermata l’indiscrezione su quanto dirà Bianco, sarebbe un passo in avanti: significa che le posizioni cominciano ad avvicinarsi. Parlare di un accordo è ancora presto. E le forze politiche non pensano sia urgente chiudere entro agosto. Anche se il capo dello Stato Napolitano e il premier Monti insistono per un segnale di responsabilità e stabilità, guardando ai mercati, che a loro avviso passa pure per l’approvazione delle nuove regole elettorali. Tuttavia tutti protagonisti della trattativa escludono che si faccia in tempo non solo ad approvare una legge in piena estate, ma di poter definire un testo base. Lo stesso presidente del Senato Schifani ha detto che gli sembra difficile un primo passaggio parlamentare prima della pausa estiva: sono stati fatti «passi in avanti», ma senza fretta perché occorre evitare «anomalie nei principi applicativi della riforma». «Non è uno yogurt che scade dice Maurizio Gasparri -, stiamo parlando della principale legge che regola la vita politica. Ci sono ancora diverse questioni da discutere. Loro vogliono i collegi sul modello del Provincellum e a noi non vanno per niente bene». «E no - ribatte il vicecapogruppo del Pd al Senato Zanda - non possono pretendere che noi accettiamo le preferenze e per quanto riguarda il premio di governabilità non può essere inferiore al 15%. Quando si arriverà in Aula per votare tutti i tasselli devono essere a posto, non si può dire: poi decide l’Aula sui punti controversi». Ma Bersani, si chiede una parte del Pd, perché dovrebbe accettare il premio di maggioranza al partito e non alla coalizione che vince? Lascerebbe a Casini la possibilità di correre da solo, anzi con una lista più ampia dell’Udc e che comprenda imprenditori, cattolici e ministri dell’attuale governo. Con il rischio che Bersani sia costretto a passare la mano di nuovo a Monti e alle larghe intese se nel prossimo Parlamento non si formerà una maggioranza certa e solida. Con la conseguenza che Berlusconi possa avere ampi margini di manovra. L’attuale sistema lo garantirebbe di più. Così la discussione interna al Pd sta diventando molto nervosa. I filo-montiani del Pd, da Veltroni a Gentiloni, Letta e Boccia, sono a favore del premio di maggioranza al partito, mentre l’ala sinistra è nettamente contraria. Tra pochi giorni la discussione verrà chiusa. Se ne parlerà a settembre, anche se Letta propone di tenere aperto il Senato anche ad agosto «perché se perdiamo l’abbrivio e ci si ferma per 3-4 settimane dopo non si riprende più». Tra l’altro c’è un deputato del Pd, Roberto Giachetti, che da settimane sta facendo lo sciopero della fame contro la melina dei partiti. La sua salute è peggiorata, così un gruppo di colleghi ha deciso di fare la staffetta del digiuno. «È ora che anche altri parlamentari si facciano carico di proseguire la sua iniziativa per portare al più presto la riforma della legge elettorale nelle aule. Con altri deputati e senatori ad agosto organizzeremo un digiuno a staffetta che raccolga il testimone del collega del Pd», ha preso l’iniziativa il capogruppo di Fli Benedetto Della Vedova. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/464284/
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« Risposta #114 inserito:: Agosto 26, 2012, 05:24:55 pm » |
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Politica 26/08/2012 - I PARTITI LE STRATEGIE Berlusconi stoppa la nuova legge elettorale Il Cavaliere si impunta sulle preferenze. I democratici vogliono i collegi AMEDEO LA MATTINA Roma Non c’è e non ci sarà nemmeno nei prossimi giorni il via libera di Silvio Berlusconi. L’ex premier a Villa Certosa in Sardegna sta valutando con Angelino Alfano il dossier sulla legge elettorale che ha portato Denis Verdini. Vuole tenere ancora le carte coperte e non riesce a superare la contrarietà di una buona parte del suo partito che vuole le preferenze. E non si tratta solo degli ex An, come si è affrettato a precisare ieri Ignazio La Russa. «Ormai le dichiarazioni di Casini, di tutto il Terzo Polo, di Formigoni, Fitto e Lupi e dello stesso Enrico Letta del Pd (ma l’elenco potrebbe continuare ) fanno capire che il vero modo per far scegliere ai cittadini i propri parlamentari è il sistema delle preferenze». L’ex ministro della Difesa accusa il Pd di volere i collegi per «motivi poco nobili o semplicemente per perpetuare un “centralismo democratico” tanto caro storicamente alla sinistra». La Russa, allarmato per le indiscrezioni di stampa secondo cui l’accordo di fatto era già stata chiuso, ieri ha sentito Verdini che lo ha rassicurato: l’intesa non c’è e il Cavaliere tiene le bocce ferme. Lo stesso capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto ha confermato pubblicamente che la soluzione è vicina, ma ancora non c’è». Anche dall’altra parte del campo frenano, in chiave però opposta alle preferenze. Lo ha fa Dario Franceschini quando ha ricorda che per il Pd sono indispensabili i collegi uninominali e il premio alla coalizione. «Se invece finisse con le preferenze e il premio alla lista non saremmo di fronte ad una mediazione ma più semplicemente alla proposta del Pdl imposta agli altri». I Democratici attribuiscono l’impasse al Pdl, al fatto che Berlusconi non pensa di sciogliere la riserva nemmeno la prossima settimana. Infatti Bersani, aprendo ieri a Reggio Emilia la Festa dell’Unità, ha detto che l’accordo non dipende solo dal suo partito: «Noi abbiamo chiarito i nostri due paletti. La sera in cui si conosceranno i risultati elettorali, il mondo deve sapere che in Italia c’è qualcuno che può governare, sennò arriva lo tsunami». E a scanso di equivoci, il segretario del Pd ha chiarito che non c’è alcun automatismo tra la nuova legge elettorale e il voto anticipato. Poi però ha aggiunto che «di fronte ai mesi che abbiamo davanti, essere attrezzati è doveroso». In effetti non sono pochi i calcoli che vengono fatti all’ombra della legge elettorale: allungare i tempi il più possibile significa scongiurare definitivamente il voto anticipato a novembre che molti vogliono evitare. A cominciare da Berlusconi che ha bisogno di tempo per preparare la sua ennesima discesa in campo che sta preparando anche in queste ore a in Sardegna con Alfano. In punto comunque rimane la soluzione sulle nuove regole di voto, preferenze o collegi, che vedono l’Udc di Casini a favore della prima soluzione. Ieri è arrivata la minaccia dei centristi che con una nota di Antonio De Poli, ispirata da Casini, ricordano che il Parlamento non è un semplice passacarte. «Si voti liberamente sulle preferenze e ciascuno si assuma le sue responsabilità». Così pure La Russa, per il quale si può votare insieme al Pd le parti già concordate. «Il resto può essere lasciato alle maggioranze che si formano alla Camera e Senato. Non vedo dove sia lo scandalo. Del resto la maggioranza che sostiene il governo è una somma di voti non una coalizione politica». Un accordo sulla legge elettorale alla fine si farà ma i tempi si allungheranno. E l’appuntamento di mercoledì al comitato ristretto del Senato, il primo dopo la pausa estiva, sarà interlocutorio, ancora una volta. Con il risultato che verrà aggiornato a settembre. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466453/
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« Risposta #115 inserito:: Agosto 29, 2012, 04:54:12 pm » |
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Politica 29/08/2012 - intervista Vendola: soddisfatto del Pd incompatibile con il Monti bis Nichi Vendola è presidente della Regione Puglia dal 2005 e leader del partito Sinistra ecologica e libertà Il leader di Sel: con Grillo legittima difesa, il comico ha argomenti di destra Amedeo La Mattina Roma Bersani, tra Casini e Vendola, sceglie Vendola, cioè lei: una mossa tattica o è veramente finita la prospettiva di unire progressisti e moderati? «Non credo che sia una mossa tattica. Sono molto contento di come Bersani abbia tradotto un concetto politico, cioè la ricostruzione del campo dei progressisti sulla base di rapporti di lealtà e stima reciproche. Per me è la conferma umana e politica di una persona intellettualmente onesta e leale. Prima c’era una rappresentazione dell’equidistanza, come se io e Casini fossimo il peso e il contrappeso che teneva in equilibrio l’asse del Pd. Ora Bersani rovescia questo schema e dice che Sel e Pd stanno ridefinendo un programma e una speranza collettiva». Sì, ma poi dovrete avere i numeri per governare e magari quelli dell’Udc vi serviranno. «Non abbiamo bisogno di furbizie elettorali. Dobbiamo essere seri con gli elettori: dobbiamo presentarci con un programma chiaro e quello di Bersani è incompatibile con quello di Casini, per il quale dopo Monti c’è Monti. Il Grande Centro e la Cosa Bianca sono falliti, e Casini risponde agganciando Monti come una sublime compensazione. Bersani dice cose differenti, come il ripristino della politica, il primato del lavoro, la rinegoziazione con Bruxelles, perché non siamo di fronte alle tavole della legge, non c’è Mosè a Bruxelles». Ma scusi, se è tanto d’accordo con Bersani perché si candida contro di lui alle primarie? L’avversario comune è Renzi. «Le primarie devono essere vissute come l’occasione per rifondare la sinistra del futuro. Renzi esprime una posizione di innovazione anagrafica, ma di sostanziale conservatorismo politico e sociale. E’ personaggio fascinoso, un bravo sindaco, ma credo sia molto suggestionato dalle luci abbaglianti della politica-spettacolo. Il fatto che Bersani si sia spostato a sinistra non lo vedo come un’insidia, ma come un fattore positivo. L’idea che per vincere devi denigrare è un’idea barbarica. Noi stiamo costruendo la casa comune, non la mia carriera: una casa ecosostenibile e non una piccola galera». Farete un listone Sel-Pd? È vero che ha litigato con Bertinotti su questo? «Diverbio totalmente inventato. Il listone è fantapolitica». Non crede che l’elettorato del suo partito, Sel, potrebbe vedere male una rottura con Di Pietro e l’area che guarda a Grillo? «Non vedo questo rischio. Intanto abbiamo un dovere di aprire una battaglia a viso aperto contro i populismi e qualunque forma di rappresentazione manichea della realtà. Bisogna recuperare alla politica un ruolo educativo. Se la politica perde le grandi narrazioni finisce per nutrirsi di piccoli virulenti rancori e odii. Nella ridefinizione del campo progressista non c’è una porta chiusa ad altre forze che si pongono in maniera alternativa alla stagione della destra e del montismo. L’Idv può ritrovare il proprio posto nel centrosinistra, e tutte le forze di sinistra devono porsi il problema di un’agenda di governo. Lo dico a Rifondazione comunista, che mi chiede di rimettere in piedi il fronte degli antagonisti: noi ci candidiamo al governo del Paese, non ad essere il miglior perdente. Il tema vero che si pone anche in Italia, ed è questo il senso del dialogo forte tra me e Bersani, è aprire la strada per ricostruire una nuova grande sinistra che combatta per cambiare l’Europa che si sta avvitando su meschini nazionalismi. Noi, che siamo innamorati dell’utopia di Altiero Spinelli ed europeisti fino al midollo, diciamo che l’Europa ha bisogno della sinistra». Lei ormai parla come un socialista europeo. «Parlo come uno che pensa che la difesa del Welfare e dei diritti di libertà si possano e si debbano fare su scala continentale. La realtà fa irruzione sulla scena pubblica. E’ apparsa col volto austero della Corte europea, che ha bocciato la crudeltà della legge su fecondazione assistita. La realtà fa irruzione con la drammaticissima protesta dei minatori del Sulcis, con la necessità di rimettere al centro la questione del lavoro che c’è e che non c’è, della gigantesca questione sociale che colpisce i consumatori e il ceto medio basso. Occorre riconoscere i diritti delle coppie gay, recuperare allo Stato il ruolo di garante dei diritti di tutti. È necessario rivedere la riforma previdenziale, prodotto della sciatteria e della sicura ideologia dei salotti liberisti, preparare un piano straordinario di messa in sicurezza del territorio...». Si fermi. È chiaro che lei condivide l’accusa di fascista lanciata da Bersani a Grillo. «Bersani ha esercitato il diritto alla legittima difesa, ma dobbiamo sottrarci alla tentazione della ritorsione polemica. Meglio parlare di contenuti. Grillo ha bisogno di essere tenuto in vita da un meccanismo di guerra civile simulata. Alcuni suoi argomenti sono classicamente di destra. Il populismo è una semina che dà frutti avvelenati». DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466732/
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« Risposta #116 inserito:: Settembre 09, 2012, 10:10:43 am » |
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Politica 28/08/2012 - LEGGE ELETTORALE Senza accordo avanti in Parlamento Procedendo col metodo indicato da Napolitano, visto che non si trova un accordo, non si può sapere in anticipo che tipo di legge elettorale sarà licenziata dal Parlamento Sempre più distanti le posizioni dei partiti. Si rischia di andare in aula con “maggioranze variabili” AMEDEO LA MATTINA Roma C’è anche l’approssimarsi delle urne a complicare, e di molto, il confronto-scontro sulla legge elettorale. Non si andrà a votare in autunno ma l’appuntamento con gli elettori si avvicina a passi veloci e i due maggiori partiti, Pd e Pdl, sono sempre più allergici ad approvare insieme provvedimenti che verrebbero subito bollati come «inciucio» dalle opposizioni interne ed esterne al Parlamento. Ieri per esempio Antonio Di Pietro ha attaccato dicendo che quello che stanno combinando Abc, cioè Alfano, Casini e Bersani, è «peggio del Porcellum, è un superporcellum perché i cittadini daranno il voto ai partiti che si accorderanno come vorranno solo dopo. Così le carte vengono truccate». Anche lo stop al ddl anti-corruzione da parte dei berlusconiani sembra rientrare nella stessa logica: sulla sistema elettorale la musica non cambia. Tra l’altro, bisogna tener conto che più in là si approvano le nuove regole e minore è il rischio di un precipitare verso le urne anticipate. Sono in pochi ormai a credere a una eventualità del genere, ma non si sa mai visto che la strana maggioranza sembra imballata e il governo è in difficoltà. Risultato: l’accordo non c’è, non c’è mai stato per la verità, nonostante siano state strombazzate intese ormai chiuse. L’effetto sarà di procedere in Parlamento a colpi di maggioranze variabili. «Non vedo dove sia lo scandalo spiega il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri - visto che in una lettera inviata ai presidenti di Camera e Senato, prima dell’estate, il capo dello Stato chiese di mettere ai voti le varie proposte pur di superare l’attuale legge. Si lasci decidere alle aule senza costrizioni. Il Pd accetti questo metodo libero e democratico». Ecco quindi quello che il Popolo delle libertà, per mettere in difficoltà Bersani, chiama il «Metodo Napolitano» e verrà presentato domani da Gaetano Quagliariello al comitato ristretto di Palazzo Madama che il presidente del Senato Renato ha voluto per aiutare l’accordo. Ci sarà, dunque, un nulla di fatto, non ci sarà un testo base della strana maggioranza sempre più strana. E Quagliariello chiederà, appunto, che si cominci ad esaminare comunque uno dei testi già depositati in Commissione. Magari il suo dove vengono indicati i punti in comune, lasciando al libero voto dell’aula il resto, cioè quello che ancora divide. Nella convinzione del Pdl che passeranno le preferenze visto che a favore sono anche i centristi di Casini e i finiani. «C’è un’intesa di massima su alcuni punti: ecco, ripartiamo da lì...», dice Quagliariello. Come dire, poi si vedrà se quali maggioranze prevarranno. Il Pd verrebbe messo in minoranza sulle preferenze: è questo il punto su cui si è fermata la trattativa. Bersani vuole invece che la ripartizione dei seggi venga fatta nei collegi e che il premio di maggioranza, se deve andare alla coalizione o al primo partito, sia del 15%. Berlusconi, visto che nei sondaggi i Democratici sono i favoriti, non vuole dare un bonus così alto: vuole concedere solo il 10%. Ma al di là delle fredde e noiose tecnicalità, che comunque sono determinanti per il successo o meno di un partito, rimane il dato che le sbandierate intese non ci sono. E il clima politico attorno al governo Monti si surriscalda pericolosamente. Al presidente della Commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini non resta che dire: «Se dopo tutte le paginate, gli schemi e gli annunci letti in questi giorni sui giornali mercoledì non si registrerà almeno un minimo progresso, credo che sia meglio tornare in commissione per registrare il nulla di fatto». Allora avanti con il «Metodo Napolitano», ma il presidente della Repubblica magari non sarà molto contento dell’immagine che dà la classe politica ai cittadini e all’estero. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/466623/
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« Risposta #117 inserito:: Settembre 21, 2012, 05:44:38 pm » |
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Politica 20/09/2012 - il punto politico Pdl, si rischia la tempesta perfetta Virginia Raffaele: ecco l'imitazione della Polverini Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine Amedeo Lamattina Roma Ora Berlusconi dovrà essere capace di uscire dal bunker dove si è rifugiato, tirare fuori il Pdl da quella che il direttore di Libero Belpietro ha definito la "palude della libertà" . Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine. E non è soltanto una questione di "rubagalline" come qualche giorno fa aveva detto il segretario Alfano, ma di un sistema di selezione delle candidature e di un meccanismo di voto regionale (le preferenze) che ha dato il peggio di sè. E' la mancanza di una leadership che latita in attesa di vedere quale sarà la legge elettorale e delle contorsioni masochistiche delle primarie Pd. Ecco, le preferenze, quelle che il Pdl chiede per la riforma elettorale e che a gran voce chiedono La Russa, Gasparri e Meloni per consentire a chi ha più filo da tessere di farsi eleggere senza essere scelti e nominati dai vertici del partito, magari in una lotta fratricida tra ex An ed ex Forza Italia. Su questo ieri sera nel bunker di Palazzo Grazioli gli ex An hanno chiesto garanzie al Cavaliere: non faccia scherzi, non baratti i collegi per un premio di maggioranza piccolo al primo partito che sulla carta dei sondaggi rimane il Pd. L'ex premier ha dato rassicurazioni ma verba volant... E ora, con quello che succede nel Lazio, sarà più difficile mantenere la promesse, sarà più difficile la convivenza tra una parte degli ex An e i forzisti della prima ora. La tensione è alle stelle nel Pdl, la possibilità di una scissione definita "virtuosa" dalla Santanché ( "aumenteremmo tutti i voti con liste diverse ma federate") se si dovesse andare al voto con il proporzionale. Le parole dell'ex ministro Frattini fanno capire molto: "la fusione fredda non è riuscita, ci sono visioni diverse". Ieri sera La Russa e Gasparri, uscendo dal bunker, hanno voluto dare l'impressione che le cose si siano messe sui binari giusti perchè Berlusconi avrebbe aperto una riflessione sul tema: vogliamo vincere o solo pareggiare? Si staglia all'orizzonte la voglia del Cavaliere di cercare almeno un pareggio o un quasi pareggio complice un nuovo sistema proporzionale, per dar vita poi alla Grande coalizione e Monti ancora a Palazzo Chigi. Cosa che una buona parte del Pdl non vuole. Ma il problema oggi è cosa sopravviverà del partito se la macchia di fango del Lazio, per il momento limitata a Fiorito, diventerà un lago melmoso con dentro altri consiglieri targati Pdl e magari pure Lista Polverini, nonché la stessa presidente. Berlusconi è ben consapevole del rischio enorme che sta correndo, dell'effetto domino che le dimissioni della Polverini potrà avere. "Qui - ha detto ai suoi ospiti nel bunker - voi ponete dei problemi che capisco ma vi rendete conto che ci stiamo fracassando la testa contro un muro? Dobbiamo rimanere uniti". Alle regionali siciliane quel che resta del centrodestra sembra arrancare: se Musumeci dovesse perdere e la Polverini buttare la spugna, sarebbe una tempesta perfetta, che risucchierebbe anche il Comune di Roma dove Alemanno si è ricandidato senza il sostegno di mezzo partito. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469381/
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« Risposta #118 inserito:: Settembre 26, 2012, 03:41:33 pm » |
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Politica 20/09/2012 - il punto politico Pdl, si rischia la tempesta perfetta Virginia Raffaele: ecco l'imitazione della Polverini Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine Amedeo Lamattina Roma Ora Berlusconi dovrà essere capace di uscire dal bunker dove si è rifugiato, tirare fuori il Pdl da quella che il direttore di Libero Belpietro ha definito la "palude della libertà" . Il caso Lazio rischia di risucchiare il partito in una voragine. E non è soltanto una questione di "rubagalline" come qualche giorno fa aveva detto il segretario Alfano, ma di un sistema di selezione delle candidature e di un meccanismo di voto regionale (le preferenze) che ha dato il peggio di sè. E' la mancanza di una leadership che latita in attesa di vedere quale sarà la legge elettorale e delle contorsioni masochistiche delle primarie Pd. Ecco, le preferenze, quelle che il Pdl chiede per la riforma elettorale e che a gran voce chiedono La Russa, Gasparri e Meloni per consentire a chi ha più filo da tessere di farsi eleggere senza essere scelti e nominati dai vertici del partito, magari in una lotta fratricida tra ex An ed ex Forza Italia. Su questo ieri sera nel bunker di Palazzo Grazioli gli ex An hanno chiesto garanzie al Cavaliere: non faccia scherzi, non baratti i collegi per un premio di maggioranza piccolo al primo partito che sulla carta dei sondaggi rimane il Pd. L'ex premier ha dato rassicurazioni ma verba volant... E ora, con quello che succede nel Lazio, sarà più difficile mantenere la promesse, sarà più difficile la convivenza tra una parte degli ex An e i forzisti della prima ora. La tensione è alle stelle nel Pdl, la possibilità di una scissione definita "virtuosa" dalla Santanché ( "aumenteremmo tutti i voti con liste diverse ma federate") se si dovesse andare al voto con il proporzionale. Le parole dell'ex ministro Frattini fanno capire molto: "la fusione fredda non è riuscita, ci sono visioni diverse". Ieri sera La Russa e Gasparri, uscendo dal bunker, hanno voluto dare l'impressione che le cose si siano messe sui binari giusti perchè Berlusconi avrebbe aperto una riflessione sul tema: vogliamo vincere o solo pareggiare? Si staglia all'orizzonte la voglia del Cavaliere di cercare almeno un pareggio o un quasi pareggio complice un nuovo sistema proporzionale, per dar vita poi alla Grande coalizione e Monti ancora a Palazzo Chigi. Cosa che una buona parte del Pdl non vuole. Ma il problema oggi è cosa sopravviverà del partito se la macchia di fango del Lazio, per il momento limitata a Fiorito, diventerà un lago melmoso con dentro altri consiglieri targati Pdl e magari pure Lista Polverini, nonché la stessa presidente. Berlusconi è ben consapevole del rischio enorme che sta correndo, dell'effetto domino che le dimissioni della Polverini potrà avere. "Qui - ha detto ai suoi ospiti nel bunker - voi ponete dei problemi che capisco ma vi rendete conto che ci stiamo fracassando la testa contro un muro? Dobbiamo rimanere uniti". Alle regionali siciliane quel che resta del centrodestra sembra arrancare: se Musumeci dovesse perdere e la Polverini buttare la spugna, sarebbe una tempesta perfetta, che risucchierebbe anche il Comune di Roma dove Alemanno si è ricandidato senza il sostegno di mezzo partito. da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/469381/
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« Risposta #119 inserito:: Ottobre 30, 2012, 05:40:24 pm » |
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politica 30/10/2012 La tentazione di tenersi il “Porcellum” Il premier Monti ha di recente ricordato che il suo «maledetto governo» ha «un gradimento molto più elevato rispetto a quello dei vari partiti» Il replicarsi di uno scenario siciliano sul fronte nazionale agita i partiti, che potrebbero scegliere di non cambiare l’attuale legge elettorale Amedeo La Mattina inviato a Palermo La chiamano onda anomala, uragano, ciclone, mazzata, boom, quella del movimento 5 Stelle che è partito dalla Sicilia. Intanto vedremo presto cosa sapranno fare all’Assemblea regionale siciliana gli «attivisti 5 Stelle», come loro amano chiamarsi perché considerano la definizione «grillini» offensiva, riduttiva e verticistica. Si capirà già nelle prossime settimane in che modo irromperanno a Palazzo dei Normanni e quanto filo da torcere daranno al nuovo governatore siciliano Rosario Crocetta, che si troverà ad affrontare problemi enormi senza una maggioranza. Elefanti in una cristalleria piena di debiti, che metteranno alla prova un’alleanza Pd-Udc che ha ottenuto i voti di una piccola parte di elettorato siciliano, solo il 47%. Basti pensare che Crocetta ha vinto con gli stessi voti che nel 2008 aveva ricevuto la candidata del Pd Anna Finocchiaro, sconfitta da Raffaele Lombardo. La situazione siciliana, con le dovute differenze, potrebbe replicarsi a livello nazionale con i «barbari» alle porte di Roma e poi all’interno del Parlamento con il solo Pd attorno al 30%, e il resto dei partiti affetto da nanismo. Tranne il Movimento 5 Stelle. Uno scenario simile alla Grecia. Per questo c’è chi vuole tenersi (senza dirlo ovviamente) il Porcellum, che garantisce al partito o alla coalizione che vince un ampio premio di maggioranza. Un arroccamento, una tentazione di chiudersi di fronte all’astensionismo che cresce più insidioso del grillismo. Una tendenza a chiudere porte e finestre come sta accadendo a New York con l’arrivo dell’uragano Sandy, blindandosi in ammucchiate a sinistra. Anche la soluzione delle larghe intese, delle alleanze tra progressisti e moderati, potrebbe non bastare se i partiti non sapranno cogliere la rabbia e la disaffezione per la politica che sale dall’opinione pubblica. Ora le forze politiche, dopo la campana che è suonata in Sicilia, dovranno riflettere sulle parole del premier Monti, sul perché questo «maledetto governo», che ha dovuto dare «cose molto spiacevoli», ha «un gradimento molto più elevato rispetto a quello dei vari partiti». Il dilemma è: Crocetta e chi governerà a Roma sapranno sopravvivere all’Uragano Italia? da - http://lastampa.it/2012/10/30/italia/politica/la-tentazione-di-tenersi-il-porcellum-MbA7RcAmQFOuWozkKHIxOM/pagina.html
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