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« Risposta #75 inserito:: Settembre 10, 2009, 05:40:03 pm » |
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Lo strappo piace ai giovani: Gianfranco guarda al futuro
di Susanna Turco
Sorpresa. Alla festa nazionale della “Giovane Italia” del Pdl, già festa dei giovani di An, quelle percentuali del 70-30 ufficializzate dal notaio al momento della fusione tra Forza Italia e An, qui sono esattamente rovesciate. Su dieci giovani del neonato Popolo della Libertà, almeno sette, per non dire nove, provengono da An. E di quel loro ex partito, pur essendo per lo più felicemente transitati nel nuovo, i giovani venticinque-trentenni conservano la traccia, l’impronta. Le idiosincrasie, al limite. Non è un caso che i più comprendano, e spesso condividano, le posizioni portate avanti da Gianfranco Fini. Molti fanno dei distinguo tra un tema e l’altro. Ma nessuno di loro, per dire, ritiene che sia giusta la sventagliata di accuse piovutagli addosso.
Così, se si vogliono provare a fare due conti in pratica, per capire quanto consenso abbia tra i giovani il lungo autotraghettamento dell’ex leader di An, basta per esempio stare ad ascoltare Federico Taverna da Voghera, 30 e laurea in Scienze politiche: «Quel che dice Fini serve a stimolare il dibattito, perché lui guarda al futuro. È un dato di fatto che, per esempio, gli immigrati sono il futuro dell’Italia, quindi è giusto che abbiano diritto a votare alle amministrative. Sui temi etici ho qualche dubbio in più, però apprezzo le sue posizioni non ideologizzate». E le critiche? «Vanno bene se non sono usate strumentalmente, come ora si tende a fare». Infine, un dubbio: «Sembra strano che uno di destra come me dica cose così, come quelle che ho detto sugli immigrati?». Sembra, un po’. Effetti del Fini-mondo.
Un gradino meno plaudente Ulderico De Laurentis da Napoli, 28 anni, impegnato nel marketing e nella comunicazione, ex Fronte della Gioventù, oltre che ex aennino: «Sono convinto che quello di Fini sia un percorso, non un tatticismo: e in un partito plurale è legittimo. Dopodiché non tutte le sue posizioni mi convincono. Sull’immigrazione, per esempio: va bene che ci sia, non dico di no, bene il multiculturalismo. Però l’idea di Nazione deve restare, e chi ci viene deve integrarsi. Per questo sono favorevole al voto amministrativo: è un paradosso che si facciano votare – mettiamo - gli italiani all’estero e non chi lavora e paga le tasse qui da noi». Più critica Laura Polisena da Frosinone, 20anni, studi in fisioterapia: «Preferisco le sue posizioni sul biotestamento a quelle sugli immigrati. In generale trovo che le sue critiche siano legittime, ma si sta discostando troppo dai temi della destra», dice. Gianluca Gasparro, imprenditore di 32 anni, concorda: «Fini sta portando avanti idee troppo moderate, perché punta al Quirinale», dice, «preferisco il Pdl, anche se con le accuse hanno esagerato ». Fini? Mi piace», dice Antonio, 20 anni. E gli basta così.
10 September 2009 da unita.it
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« Risposta #76 inserito:: Settembre 11, 2009, 11:12:30 am » |
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«Meno male che Gianfranco c’è... In molti siamo sulla linea di Fini»
di Natalia Lombardo
«Meno male che Gianfranco c’è! Si dovrebbero fare delle magliette così. Ho una perversione politica: mi piace Fini». Alessandra Mussolini ha superato quel «periodo storico conflittuale» che la portò ad uscire da An. Ma da quando è entrata nel Pdl si sente «molto vicina alle posizioni di Fini, e siamo in tanti a pensarla come lui».
Cosa ne pensa degli attacchi che sta subendo Gianfranco Fini? «Si sta sfogando a Gubbio. Deve dire ciò che pensa, può essere criticato, ma non attaccato in questo modo sbracato. Non solo è il presidente della Camera, ma come si permette Bossi di dire che è matto? O Feltri?».
Berlusconi dice che il Pdl non è una caserma, ci crede? «Berlusconi cerca di placare, fa l’ottimista, sottovaluta. È il suo ruolo. Fini incide in modo politico forte, è un alter ego che dice le cose in modo netto, ecco le conseguenze».
Però nel Pdl è considerato una minoranza. «Chi l’ha detto? Può accadere che su certi temi non si venga capiti subito: quando abbiamo fatto la battaglia sui “medici spia” e i presidi, spiegate le conseguenze di un piccolo emendamento della Lega, da minoranza siamo diventati maggioranza».
Potrebbe succedere sul biotestamento o sulla cittadinanza? «Certo, io voglio che sia il buon senso a far sì che i minori extracomunitari che arrivano senza genitori abbiano uno status giuridico immediato, sennò spariscono. Voglio vedere nel Pdl chi dice di no. Fini, il 20 novembre 2008 alla Giornata dell’infanzia, parlò di cittadinanza, poi arrivò Berlusconi e distolse l’attenzione. Le posizioni di Fini rafforzano chi vuole un dialogo nel Pdl».
È realistica la nascita attorno a Fini di un nuovo partito, una destra davvero liberale più europea? «Lo vedo complicatissimo con queste leggi. No, invece credo che nel Pdl, anche con questo scontro, ci siano le condizioni perché venga fuori qualcosa di buono. Almeno se lo dicono in faccia».
Berlusconi e Fini? «Loro sì, non altri. A Bossi il Pdl sta concedendo moltissimo; sta fuori ma è un raccomandato di ferro per la difesa della sua identità, è il Di Pietro della situazione. Basta con le cravatte verdi, facciano i ministri di tutti con la giacca, Una divisa governativa, via..».
I «colonnelli» di An difendono Fini debolmente. È isolato? «No. nella sua “fase tre” Fini si è emancipato, è libero di dire e fare quello che vuole, non ci sono colonnelli che tengano, non è ingabbiato né dal suo ruolo, né dal partito che aveva».
Però gestiva An in modo anche autoritario, governava le correnti. Ora i «colonnelli» lo prendono sottogamba perché berlusconiani? Il partito lo reggeva. Ora non ci sono più solo le posizioni di An. Ma se Gasparri, capogruppo Pdl, può permettersi una linea non conforme con quella di Fini, Fini tanto più può parlare il doppio».
Quale sviluppo vede in questo quadro di scontro interno? «Credo che ci sarà sulla cittadinanza. E mi auguro anche una ripresa sul presidenzialismo, Su questo e sui temi civili Fini indicò la sua linea già al congresso del Pdl a marzo alla Fiera di Roma, e in Parlamento è possibile appoggiarla».
Quanti parlamentari possono seguirla. Non c’è una sorta di paura? «Paura? No. È un gruppo enorme, spesso schiacciato dalle posizioni della Lega. Ma non siamo pochi. l’importante è che Fini mantenga la rotta sulle tematiche sociali».
Potrebbe ricostruirsi un asse Fini-Casini, dentro o fuori dal Pdl? «Fini ora non ha bisogno di Casini, nel Pdl può costruire un futuro da solo. Fuori? Ci mettiamo un altro raccomandato di ferro? La gavetta l’avete fatta, se volete entrate».
Si candiderà a sindaco di Napoli? «Se si candidasse Bassolino non potrei dire di no».
11 settembre 2009 da unita.it
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« Risposta #77 inserito:: Settembre 11, 2009, 11:14:37 am » |
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11/9/2009 (6:43) - L'INTERVISTA
Bondi: "Fini sbaglia dalla A alla Z" Il ministro: non condivido le critiche
MATTIA FELTRI INVIATO A GUBBIO
Ministro Bondi, la critica di Fini è stata ampia, pesante e articolata. «Credo che Fini abbia capito che sono un uomo onesto e con onestà e franchezza voglio rispondergli. E credo che rispetterà quello che gli dico dopo averlo ascoltato: il suo è un intervento privo di risposte solide, vere. Sembra sempre alla ricerca di motivi di distinzione, come se facesse una sorta di controcanto».
Dicevamo che la critica è stata articolata... «E infatti alcune critiche sono fondate, per esempio quelle sul partito, anche se erano imprecise. Per esempio l’ufficio di direzione si è riunito più volte, ma non è questo il punto. Il punto è che Fini unisce nella sua offensiva l’azione del partito, l’azione del governo e l’azione del premier. Il che non è condivisibile».
Cominciamo dal partito. «Ecco, sul partito Fini non ha tutti i torti: si poteva fare di più. Ma se non è stato fatto abbastanza, la colpa è mia e degli altri coordinatori, non di Berlusconi. E, oltretutto, una critica onesta e seria avrebbe dovuto tenere conto che il partito è nato sei mesi fa, che abbiamo nominato i coordinatori regionali e provinciali, che stiamo nominando i coordinatori di ottomila comuni. Che abbiamo affrontato le Amministrative e le Europee».
Fini dice che c’è poco dibattito. «Non c’è poco dibattito: c’è unanimità».
Ma lui chiede ancora più dibattito, voti interni, sintesi. «Trovo, sempre nel segno della franchezza, e oggi l’ho detto, che Fini sia un arricchimento. Ma mi domando da che cosa nascano le sue critiche. Quelle al governo non le condivido, dalla A alla Z. Dice che abbiamo deluso le aspettative degli elettori e dice una cosa infondata: il governo sta facendo cose eccezionali, come affronta la crisi, le riforme della Gelmini e di Brunetta, ma potrei andare avanti all’infinito. Non posso, però, non citare L’Aquila».
Non vorremo mica dire che Fini è fuori dal mondo? «Sembra quasi che Fini sia appena tornato da un viaggio, che sia stato all’estero sei mesi».
Più che altro, sembra che Fini chieda a Berlusconi di coinvolgere nelle decisioni il partito e il Parlamento, che è anche una richiesta condivisibile. Ma a Berlusconi viene l’orticaria. «Spetterà a noi del partito dare delle risposte a Fini. Perché, ripeto, non tutti i suoi rilievi sono campati in aria. Il partito deve fare di più: avanzare proposte, coinvolgere tutti. Ma mi pare che Fini sia alla ricerca di ragioni di distinzione che si rivelano difficoltose. Anche questo continuo rispondere tramite comunicati, contestando le virgole... Non capisco».
Si sarà dato una spiegazione... «Fini è un politico a tutto tondo. La sua vita è la politica e, forse, il ruolo in cui è costretto è per lui motivo di insoddisfazione. Vorrebbe essere più nel cuore delle decisioni e non può. E poi è vittima della sindrome che ha colpito il novantotto per cento dei politici italiani, me compreso, anche se, diciamo, soltanto al cinquanta per cento».
E cioè? «Non ha capito che Berlusconi è l’uomo del fare, non della chiacchiera. Noi, in fondo, oggi siamo qui a fare chiacchiera. In senso buono, eh... Ma Berlusconi non ama parlare. Ama fare. E Fini dovrebbe capirlo».
Beh, forse anche Fini vorrebbe partecipare al fare. «L’importante è non mettere in contrapposizione due aspetti di uno stesso problema. Come, per esempio, sugli immigrati. Fini deve partecipare attraverso il partito, e noi faremo di più, per trovare i punti di equilibrio. Ma non possiamo negare, per tornare agli immigrati, che per troppi anni è stata assente una politica rigorosa dell’immigrazione clandestina, soprattutto a causa del lassismo della sinistra».
Ma Fini dice che sul rigore è tutto chiaro, e in parte discutibile. Sull’accoglimento non ha capito che cosa si sta facendo. «La condizione fondamentale, e lo dico da cattolico, per realizzare una politica dell’integrazione è quella di garantire un controllo rigoroso dell’immigrazione clandestina e di tutti i fenomeni di criminalità legati a una disordinata politica dell’immigrazione. E’ questo il lavoro di mediazione a cui anche Fini è chiamato».
Ma sull’immigrazione Fini non è da solo: dalla sua ha la Chiesa. «La Chiesa non ha solo il diritto, ma il dovere di affermare i principi fondamentali del proprio magistero. E noi, e vale almeno per chi crede, abbiamo il dovere di ascoltarla sempre, non soltanto quando ci fa comodo».
E quindi? «La politica ha il compito di tradurre in leggi i propri convincimenti, anche religiosi. Ma, poi, la politica deve trovare soluzioni concrete, che sono figlie anche della mediazione. Questa è la laicità dello Stato».
Ultima domanda: Fini ha quasi sbeffeggiato la Lega. Lei ha detto che Galan sarà il prossimo candidato in Veneto. Un’offensiva? «Nessuna offensiva. Per conto mio, dico solo alla Lega che non può avanzare pretese che umilierebbero le ragioni del nostro partito».
da lastampa.it
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« Risposta #78 inserito:: Settembre 12, 2009, 11:25:29 am » |
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Fini-Berlusconi, oltre lo scontro sul Pdl: il duello è sul destino della legislatura di Claudio Sardo
ROMA (11 settembre) - «Ora è chiaro che il Pdl ha due leader: Berlusconi e Fini» commenta soddisfatto Fabio Granata, fedelissimo del presidente della Camera. Per l’intero pomeriggio a Gubbio la scuola di formazione è diventata una tribuna congressuale, persino più animata dell’assise alla Fiera di Roma. A Fini hanno replicato, anche con toni risentiti, Verdini e La Russa. Frattini ha detto che «lo stillicidio vergognoso è quello contro il premier». E Cicchitto ha aggiunto che «stanno tornando i tempi del ’94, con il partito dei giudici di nuovo all’assalto»: come dire che non è l’ora di marcare il dissenso, semmai di stringersi a Berlusconi. Sono stati probabilmente gli interventi più vicini agli umori del Cavaliere. Ma Fini voleva esattamente rompere la blindatura. «Anche al congresso fondativo - ricorda Alessandro Campi - Fini disse che il Pdl deve essere un partito vero, aperto, democratico e non una copia di Forza Italia. In fondo si è soltanto ripetuto».
Nel marcare il proprio dissenso ha denunciato l’appiattimento e il conformismo di questi mesi. Con un uomo solo al comando, ha spiegato, anche i dirigenti perdono legittimazione. E la pattuglia dei finiani è già pronta a chiedere l’«incompatibilità» tra la carica di ministro e l’ufficio di coordinamento del partito. Ma Fini è andato anche oltre, segnando differenze sul terreno culturale e su temi epocali come la cittadinanza, la laicità, l’immigrazione, la bioetica. Aveva lanciato la sfida a Berlusconi, rifiutandosi di chiudere con una pacca sulle spalle il capitolo aperto dall’attacco del Giornale di Feltri, e ha voluto rispondere alle aspettative da lui stesso create giocando la propria leadership su questi due piani: nell’immediato la democrazia del partito, nel futuro un centrodestra diverso, più vicino all’Europa, più lontano dal populismo e dalla Lega.
Eppure è sul medio periodo che si concentra la diffidenze e il sospetto di Berlusconi verso Fini. È il timore che «stia tornando il ’94» a scatenare oggi la contraerea berlusconiana. Il ministro Sacconi lo ripete da giorni: «C’è un elite borghese che sta cercando di far saltare il banco». E quando Berlusconi si sente aggredito, risponde anticipando l’attacco. Anche a Gubbio, ieri, qualcuno tra i dirigenti del Pdl sussurrava: «Se non si fermano, siamo pronti a votare a marzo anche per le politiche». Una minaccia, a dire il vero, a cui più di qualcuno non crede. Lo stesso Calderoli ieri ha messo in chiaro che la Lega sarebbe contraria.
Comunque Berlusconi vuole avere mano libera, vuole essere il dominus della legislatura: «È stato eletto dal popolo - spiega Gaetano Quagliariello - ed è lui il garante della volontà popolare». È pronto ad usare tutta la sua forza, anche quella istituzionale, se qualcuno proverà a sbarrargli la strada. Dietro l’angolo c’è l’incognita del giudizio della Corte sul lodo Alfano. Ci sono le Procure, agli occhi di Berlusconi sempre in agguato. E c’è pure lo spettro (come nel ’94) di un altro governo della legislatura. Il premier sa che Napolitano farà di tutto per evitare lo scioglimento anticipato delle Camere. Ma ora anche l’autonomia di Fini può diventare una minaccia nello scenario di un conflitto istituzionale. Il Fini che ieri ha ribadito come il «grande equilibrio» di Napolitano sia «una delle poche garanzie» in questa fase di crisi. E che ha apertamente rimproverato Berlusconi per quella frase sui magistrati impegnati nella lotta alla mafia.
da ilmessaggero.it
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« Risposta #79 inserito:: Settembre 12, 2009, 11:27:12 am » |
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Bossi: «C'è la mafia dietro le escort Gli immigrati? Fini si suicidi come vuole» ROMA (11 settembre) - «Tutto è stato messo in piedi dalla mafia, lo ho detto anche a Berlusconi». Così Umberto Bossi ha commentato la vicenda delle escort. «È la mafia che controlla le prostitute, in questa vicenda c'entra la mafia che ha voluto fare una ritorsione contro il governo che ha messo leggi pesantissime contro di lei, con l'esproprio di tutti i beni».
«Fini? Ognuno è libero di suicidarsi come vuole», ha poi attaccato il segretario della Lega. «Ognuno è libero di fare quello che vuole - ha detto Bossi, rispondendo alla domanda di una militante una leghista in piazza - ma dare il voto agli immigrati è una scelta sbagliata, non è quello che vuole la gente. Noi della Lega preferiamo stare con la gente».
Le tensioni nel Pdl «sono cose che si risolvono, non sono preoccupato», ha poi sottolineato Bossi, oggi alle pendici del Monviso per la "Festa dei popoli padani". «Non sono partiti forti come la Lega, che ha molti voti - ha detto Bossi - quindi alla fine la ragionevolezza si impone. Penso che Fini e Berlusconi si parleranno, quando vado a Roma andrò a trovare Fini e quando sarò là sentirò quello che dice».
«Elezioni anticipate? Dobbiamo fare le riforme, non le elezioni anticipate», ha poi osservato Bossi ai cronisti che gli chiedevano un suo giudizio sull'ipotesi circolata di andare alle urne. «Elezioni anticipate? E per che cosa? - ha aggiunto Bossi - per far vincere la Lega ancora di più?». Niente elezioni anticipate?, hanno insistito alcuni cronisti: «No - ha risposto Bossi - a meno che non siano così scemi perché la Lega vincerebbe ancora di più»
da ilmessaggero.it
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« Risposta #80 inserito:: Settembre 13, 2009, 12:13:44 pm » |
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DIETRO LE QUINTE
Stretta di mano a cena ma il premier è gelido: spieghi l’uscita sulla mafia
Negli ambienti ex Fi è piaciuta la frase sul "bipolarismo"
ROMA — L’incontro, con stretta di mano, c’è stato, anche cordiale come è logico che avvenga in una occasione ufficiale quale era la cena tra i presidenti delle Camere dei Paesi del G8, a Villa Madama. Ma tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini resta il gelo. E l’ipotesi che era montata in giornata su un faccia a faccia tra i due che si potesse tenere già ieri notte è sfumata con il passare delle ore. Ieri in realtà qualche segnale di tregua c’è comunque stato. Berlusconi — che peraltro ha segnato un punto ricevendo la telefonata del premier spagnolo Zapatero che gli ha assicurato come i rapporti tra Italia e Spagna e quelli personali tra loro restino di «amicizia» — ha deciso di annullare le sue previste uscite pubbliche, la prima a Bari e la seconda al convegno di Gubbio.
Alla Fiera del Levante, l’assenza è stata motivata dalla concomitanza con i funerali di Mike Bongiorno (anche se gli organizzatori avevano proposto di spostare l’orario al primo pomeriggio pur di avere il premier), mentre per Gubbio non è stata fornita scusa ufficiale. Quella ufficiosa comunque è semplice: il Cavaliere, spiegano i suoi, non vuole partecipare al botta e risposta con Fini, non vuole prestare il fianco alle «strumentalizzazioni», non ha intenzione di alimentare il «teatrino» della politica che fa solo del male alla maggioranza. Meglio parlarsi faccia a faccia e chiarirsi di persona, perché i temi sollevati dal presidente della Camera (verso il quale l’irritazione è ancora ai massimi livelli) sono delicati e complessi. «E comunque — avrebbe detto il premier ai suoi — aspetto ancora che Fini mi spieghi il motivo di quella sua uscita sulla necessità di riaprire le inchieste sulle stragi di mafia...».
In ogni caso, la scelta del silenzio è considerata come volontà di evitare la rissa, tanto più che ieri Fini — anche a detta di tutti i luogotenenti azzurri — ha provveduto a sua volta ad abbassare i toni e a spazzare il campo, per dirla con il ministro Ronchi, «dalle polemiche e le invenzioni», ribadendo davanti alla platea dell’Udc, che lo ha accolto con un’ovazione, che «dal bipolarismo non si torna indietro».
Anche se ne serve uno «europeo» e certamente non condizionato da una Lega che ha attaccato ancora una volta a testa bassa. Una conferma che Fini la partita intende giocarsela in casa, in un Pdl nel quale «non è possibile che se si fanno critiche o si dice la propria — è il suo pensiero— si viene considerati traditori o cospiratori».
Tutte cose di cui dovranno a lungo parlare Berlusconi e Fini, la prossima settimana. Se non ci saranno ulteriori temporali, si intende.
Paola Di Caro 13 settembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA da corriere.it
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« Risposta #81 inserito:: Settembre 14, 2009, 05:39:44 pm » |
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Fini-Berlusconi, oltre lo scontro sul Pdl: il duello è sul destino della legislatura di Claudio Sardo
ROMA (11 settembre) - «Ora è chiaro che il Pdl ha due leader: Berlusconi e Fini» commenta soddisfatto Fabio Granata, fedelissimo del presidente della Camera. Per l’intero pomeriggio a Gubbio la scuola di formazione è diventata una tribuna congressuale, persino più animata dell’assise alla Fiera di Roma. A Fini hanno replicato, anche con toni risentiti, Verdini e La Russa. Frattini ha detto che «lo stillicidio vergognoso è quello contro il premier». E Cicchitto ha aggiunto che «stanno tornando i tempi del ’94, con il partito dei giudici di nuovo all’assalto»: come dire che non è l’ora di marcare il dissenso, semmai di stringersi a Berlusconi. Sono stati probabilmente gli interventi più vicini agli umori del Cavaliere. Ma Fini voleva esattamente rompere la blindatura. «Anche al congresso fondativo - ricorda Alessandro Campi - Fini disse che il Pdl deve essere un partito vero, aperto, democratico e non una copia di Forza Italia. In fondo si è soltanto ripetuto».
Nel marcare il proprio dissenso ha denunciato l’appiattimento e il conformismo di questi mesi. Con un uomo solo al comando, ha spiegato, anche i dirigenti perdono legittimazione. E la pattuglia dei finiani è già pronta a chiedere l’«incompatibilità» tra la carica di ministro e l’ufficio di coordinamento del partito. Ma Fini è andato anche oltre, segnando differenze sul terreno culturale e su temi epocali come la cittadinanza, la laicità, l’immigrazione, la bioetica. Aveva lanciato la sfida a Berlusconi, rifiutandosi di chiudere con una pacca sulle spalle il capitolo aperto dall’attacco del Giornale di Feltri, e ha voluto rispondere alle aspettative da lui stesso create giocando la propria leadership su questi due piani: nell’immediato la democrazia del partito, nel futuro un centrodestra diverso, più vicino all’Europa, più lontano dal populismo e dalla Lega.
Eppure è sul medio periodo che si concentra la diffidenze e il sospetto di Berlusconi verso Fini. È il timore che «stia tornando il ’94» a scatenare oggi la contraerea berlusconiana. Il ministro Sacconi lo ripete da giorni: «C’è un elite borghese che sta cercando di far saltare il banco». E quando Berlusconi si sente aggredito, risponde anticipando l’attacco. Anche a Gubbio, ieri, qualcuno tra i dirigenti del Pdl sussurrava: «Se non si fermano, siamo pronti a votare a marzo anche per le politiche». Una minaccia, a dire il vero, a cui più di qualcuno non crede. Lo stesso Calderoli ieri ha messo in chiaro che la Lega sarebbe contraria.
Comunque Berlusconi vuole avere mano libera, vuole essere il dominus della legislatura: «È stato eletto dal popolo - spiega Gaetano Quagliariello - ed è lui il garante della volontà popolare». È pronto ad usare tutta la sua forza, anche quella istituzionale, se qualcuno proverà a sbarrargli la strada. Dietro l’angolo c’è l’incognita del giudizio della Corte sul lodo Alfano. Ci sono le Procure, agli occhi di Berlusconi sempre in agguato. E c’è pure lo spettro (come nel ’94) di un altro governo della legislatura. Il premier sa che Napolitano farà di tutto per evitare lo scioglimento anticipato delle Camere. Ma ora anche l’autonomia di Fini può diventare una minaccia nello scenario di un conflitto istituzionale. Il Fini che ieri ha ribadito come il «grande equilibrio» di Napolitano sia «una delle poche garanzie» in questa fase di crisi. E che ha apertamente rimproverato Berlusconi per quella frase sui magistrati impegnati nella lotta alla mafia. da ilmessaggero.it
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« Risposta #82 inserito:: Marzo 11, 2010, 12:24:37 pm » |
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Berlusconi bypassa Fini e torna sul “predellino” di Marco Conti
ROMA (10 marzo) - Il nuovo videomessaggio ai Promotori della libertà diffuso ieri sera da Silvio Berlusconi non è solo il modo più efficace per arrivare direttamente nei telegiornali con la sua faccia, ma anche il segnale che il Cavaliere è salito nuovamente sul predellino e che ha già archiviato il Pdl. Almeno nella sua attuale conformazione. C’è nella scelta la dimostrazione di quanto sia grande l’insoddisfazione del presidente del Consiglio per il suo partito che non solo ha un coordinatore nazionale ”citato” più volte nell’inchiesta sugli appalti per il G8, ma che a Roma ha combinato un vero e proprio pasticcio gettando più di un’ombra sull’efficienza del centrodestra.
Per Berlusconi non è questo il momento di dividersi e quindi rinvia a dopo il 29 quel commissariamento del partito di Roma e Lazio che viene chiesto a gran voce specie dall’ala nordista del partito. Ieri pomeriggio, convocando i tre coordinatori del partito, il sindaco di Roma e Renata Polverini ha voluto dare un segnale di unità, ma a palazzo Grazioli i muri ancora riecheggiano degli strali contro tutto il quadro dirigente del partito fatto di «incompetenti», di «burocrati» e di «aspiranti candidati». La valanga di voti persi per il ”pasticcio” compiuto a Roma e la necessità di scuotere l’elettore moderato pronto a recarsi al mare - sole permettendo - piuttosto che in un seggio, spingono il premier sulle barricate costringendolo ad alzare i toni dopo giorni di forzoso silenzio.
Parlando ancora al movimento della Brambilla, Berlusconi prova a prendere le distanze da un partito che con le inchieste giudiziarie e la ”rissa” nelle liste avvenuta sia a Roma che a Milano avrebbe inquinato non poco quella gioiosa macchina da guerra fatta da popolo e militanti che è stata, per Berlusconi, Forza Italia e che doveva essere il Pdl. In discussione torna quindi anche il rapporto con quella nomenclatura che gli ex An hanno traghettato a piene mani nel Pdl favorendo la nascita di correnti e fondazioni.
Evidente anche la crisi con il cofondatore del Pdl. Gianfranco Fini, che pur aveva avallato la scelta del decreto, non è stato mai direttamente coinvolto nei summit che si sono susseguiti a palazzo Grazioli e a palazzo Chigi. Anche il presidente della Camera ha più di un motivo per criticare l’attuale gestione del Pdl, ma non è detto che dopo il 29 marzo i due fondatori si ritrovino d’accordo sulla terapia. Specie se per Berlusconi dovesse risolversi con la nomina di un coordinatore unico di strettissima fedeltà berlusconiana e con l’azzeramento di tutti, o quasi, i coordinatori regionali, provinciali e comunali.
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« Risposta #83 inserito:: Dicembre 29, 2013, 11:35:43 am » |
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politica 29/12/2013 Napoli, compravendita deputati Berlusconi teme un’altra inchiesta Nel mirino i voti di Futuro e libertà. Non sarebbe a rischio prescrizioneUno che c’era ricorda perfettamente che circolavano «offerte di ogni tipo», pur di non far votare la mozione di sfiducia. Ai pm napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock, che gli avevano chiesto della compravendita del senatore Sergio De Gregorio, l’allora presidente della Camera, Gianfranco Fini, rispose di non saperne nulla ma alla domanda seguente Fini mette a verbale: «Con riferimento alla successiva vicenda, riferita alla mozione di sfiducia presentata nell’autunno del 2010, posso dire che è certamente vero che alcuni deputati di Futuro e libertà sottoscrittori della mozione di sfiducia non la votarono. Ma non conosco ragioni diverse da quelle pubblicamente addotte dagli interessati». Si annuncia una pessima befana per Silvio Berlusconi. Fu l’ex senatore Sergio De Gregorio, in uno dei suoi interrogatori, a svelare ai pm napoletani questo nuovo scenario. Lui che aveva confermato a Woodcock e a Piscitelli di essere stato comprato da Silvio Berlusconi per tre milioni di euro, ha messo a verbale una «confidenza» fattagli da Denis Verdini, uno dei tre triunviri del Pdl: «Verdini mi raccontò di aver convinto Luca Barbareschi a passare il guado in cambio di una fiction con Mediaset». Una dichiarazione che non è stata lasciata cadere nel vuoto. E che, evidentemente, in questi mesi è stata al centro di un’attività di verifica per trovare conferme che alcuni deputati di Futuro e libertà furono al centro di una campagna acquisti. Di sicuro, alcuni di loro tornati nel Pdl sono stati poi determinanti per non far dimettere il governo Berlusconi, avendo la Camera respinto la mozione di sfiducia presentata dai finiani e votata il 14 dicembre del 2010. Fa mettere a verbale Gianfranco Fini: «Il ripensamento di alcuni sottoscrittori di quella mozione fu poi determinante per il respingimento della stessa». Fabio Granata, oggi tra i promotori di “Green Italia”, deputato di stretta osservanza finiana, ricorda perfettamente la vigilia di quella votazione che avrebbe dovuto far cadere il governo Berlusconi. «Fino alla sera prima non ci sentivamo sicuri. Avevamo sentore che qualcuno stesse per lasciarci. In quei giorni avemmo tutti la percezione diretta di offerte di ogni tipo. Aldo di Biagio, che rimase con noi, disse pubblicamente che gli fu fatta una offerta di mezzo milione di euro per una Fondazione...». Consultando l’archivio storico dell’Ansa, effettivamente il non voto di Silvano Moffa e il voto contrario di Catia Polidori e Maria Grazia Siliquini, tutti e tre provenienti da Futuro e libertà, furono determinanti per la tenuta della maggioranza: la mozione fu bocciata con 314 contrari e 311 a favore. Di certo, ricordano oggi gli ex finiani, Catia Polidori divenne sottosegretaria, Silvano Moffa, presidente della commissione Lavoro della Camera. Maria Grazia Siliquini fu nominata nel cda delle Poste italiane. «Poi ci fu un’altra tornata di passaggi da Futuro e libertà al Pdl - ricorda Fabio Granata - Luca Barbareschi, Andrea Ronchi, Adolfo Urso, Pippo Scalia e Luca Bellotti». Da - http://lastampa.it/2013/12/29/italia/politica/napoli-compravendita-deputati-berlusconi-teme-unaltra-inchiesta-cuZncaCrbTOzlBw0f6ZKZO/pagina.html
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« Risposta #84 inserito:: Gennaio 26, 2014, 11:22:17 pm » |
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Sei in: Il Fatto Quotidiano > Politica & Palazzo > Berlusconi, 20 anni fa la discesa in campo. Con la regia di Craxi e Dell’Utri Lacrime sotto la doccia, debiti, inchieste: così nacque il videomessaggio del 26 gennaio 1994 ("L'Italia è il paese che amo"). A spingere per la formazione di Forza Italia fu l'ex leader Psi che aveva fiutato la fine del Pentapartito. Al Cavaliere "esausto" e impaurito dalle inchieste Bettino diceva: "Serve un simbolo e un contenitore. Con le televisioni hai la potenza di fuoco per convincere tutti". Con l'avanzare di Mani Pulite, l'improvvisa accelerazione da parte del consigliere siciliano sul progetto politico di Gianni Barbacetto | 26 gennaio 2014 Il sorriso davanti alla telecamera addolcita da una calza da donna (“L’Italia è il Paese che amo”) nasce da un pianto sotto la doccia. Domenica 4 aprile 1993, pomeriggio. Ad Arcore c’è una riunione cruciale. Presenti Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Bettino Craxi, ormai raggiunto da dieci avvisi di garanzia e non più segretario del Psi. La racconta Ezio Cartotto, il democristiano milanese assunto già un anno prima come consulente da Dell’Utri, con l’incarico segreto di studiare nuove forme d’intervento in politica. “Bisogna trovare un’etichetta, un nome nuovo, un simbolo, un qualcosa che possa unire gli elettori moderati che un tempo votavano per il pentapartito”, dice Craxi quel pomeriggio di primavera. “Con l’arma che tu hai in mano delle televisioni, attraverso le quali puoi fare una propaganda martellante, ti basterà organizzare un’etichetta, un contenitore. Hai uomini sul territorio in tutta Italia, puoi riuscire a recuperare quella parte di elettorato che è sconvolto, confuso, ma anche deciso a non farsi governare dai comunisti, e salvare il salvabile”. Secondo il racconto di Cartotto, Craxi ha già capito che il Psi e l’intero pentapartito sono finiti, inservibili. Il leader ferito da Mani pulite spinge l’amico a creare una nuova sigla, un nuovo “contenitore” da imporre con la potente “arma” delle tv. Berlusconi invece, almeno secondo il racconto di Cartotto, è ancora disorientato: “Sono esausto. Mi avete fatto venire il mal di testa. Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e che mi distruggeranno, che faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte. E diranno che sono un mafioso. Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia…”. Nei mesi successivi, avviene l’accelerazione che porterà a Forza Italia. Dell’Utri liquida i più blandi piani di Cartotto e impone il suo “Progetto Botticelli”: un partito fatto in casa. Convince l’amico Silvio che non c’è alternativa. E l’amico Silvio smette di piangere sotto la doccia e accetta di “bere l’amaro calice”. Così, il 26 gennaio 1994, pronuncia le parole fatidiche: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”. Con una videocassetta autoprodotta e poi distribuita alle tv annuncia la sua “discesa in campo”. Il biennio 1992-93 è, oltre che il più drammatico per la storia politica recente della Repubblica, anche il più duro nella storia imprenditoriale di Berlusconi. Finita la fase espansiva degli anni Ottanta, il mercato della pubblicità televisiva entra per la prima volta in affanno. Più in generale, per la prima volta si manifesta all’esterno la gravissima situazione debitoria in cui versano le aziende del gruppo Fininvest. Cominciano a circolare indiscrezioni giornalistiche. Un commentatore autorevole come Giuseppe Turani scrive che la Fininvest è addirittura in situazione prefallimentare. Dopo tante voci, nel 1993 la pubblicazione del tradizionale rapporto di Mediobanca sulle principali società italiane offre per la prima volta sull’argomento qualche cifra considerata attendibile. I debiti del gruppo Berlusconi, secondo Mediobanca, raggiungono nel 1992 quota 7.140 miliardi: 2.947 a medio e lungo termine, altri 1.528 di debiti finanziari a breve e 2.665 di debiti commerciali. Cifre pesanti, e certamente peggiorate nel corso del 1993, anche per gli alti tassi d’interesse e la fine dell’aumento degli introiti pubblicitari (gli investimenti nel settore fanno registrare, nel primo semestre 1993, la prima “crescita zero” dopo lunghi anni di boom ininterrotto e di incrementi annui a due cifre). Ma anche fermandosi ai 4.475 miliardi di indebitamento finanziario calcolato da Mediobanca e mettendoli in rapporto con i 1.053 miliardi di capitale netto, si arriva facilmente alla conclusione che la Fininvest, nel 1993, ha 4,5 lire di debiti per ogni lira di capitale. La situazione d’allarme è immediatamente avvertita dalle banche più esposte con il gruppo Fininvest – Comit, Cariplo, Bnl, Banca di Roma, Credit – che intervengono su Berlusconi chiedendo il risanamento del gruppo. La prima risposta (di fatto imposta dalle banche) è la nomina di un manager con la fama di “duro”, Franco Tatò, ad amministratore delegato della Fininvest, con pieni poteri per andare a “mettere ordine” (testuali parole di Tatò) nella gestione e nelle finanze del Biscione. Di fatto, è un commissariamento. Dal punto di vista del contesto politico è anche peggio. Nel 1992-93, l’inchiesta milanese di Mani pulite avvia quel processo che finisce con il mettere fuori gioco tutti i protettori e sostenitori di Berlusconi: innanzitutto Bettino Craxi, ma anche una parte della Dc e i “miglioristi” del Pci. Salta tutto il sistema di relazioni dentro cui Berlusconi ha potuto costruire e mantenere la sua posizione dominante sul mercato della tv e della pubblicità. Il rischio immediato è che venga messa in discussione la sua possibilità di detenere tre reti televisive. C’è poi un terzo ordine di problemi. Il pool di Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo sta scoperchiando i rapporti di corruzione che legano politica e affari e Berlusconi sa che prima o poi arriveranno anche a lui. Anzi: le indagini di Mani pulite hanno già cominciato a lambire le sue aziende e i suoi uomini. Già nel 1992 il pool di Mani pulite indaga sugli appalti della Coge di Parma, un’impresa partecipata dalla famiglia Berlusconi. Nello stesso periodo, Paolo Berlusconi ammette di aver pagato una mazzetta di 150 milioni di lire a un dirigente della Dc per la gestione delle discariche lombarde. Il nome Fininvest viene fatto per la prima volta nelle indagini di Mani pulite dal senatore Dc Augusto Rezzonico, a proposito di una possibile tangente pagata nella capitale. Poi si aprono a Milano e a Roma inchieste sui palazzi venduti dalla famiglia Berlusconi al fondo pensioni Cariplo e ad altri enti pubblici. A Torino s’indaga sull’apertura di un centro commerciale alla periferia della città. Altri procedimenti giudiziari vengono aperti sul budget per la campagna pubblicitaria tv anti-Aids del ministero della Sanità; sul piano delle frequenze televisive assegnate alle reti di Berlusconi; sui finanziamenti irregolari concessi dalla Fininvest ai festival e ai congressi di partito; sulle false fatture e i fondi neri di Publitalia, la concessionaria di pubblicità guidata da Dell’Utri… Insomma: Berlusconi sente il fiato delle procure sul collo. I suoi uomini e le sue aziende sono già oggetto di inchieste giudiziarie da parte di tre procure: Milano, Roma e Torino. Sa che prima o poi toccherà anche a lui. Ecco allora lo scatto. È in questo clima terribile – fine dell’espansione pubblicitaria, debiti galoppanti, caduta dei protettori politici, inchieste giudiziarie incombenti – che Berlusconi matura le decisioni più clamorose della sua vita. Come un giocatore di poker sull’orlo del tracollo, rilancia, rischia tutto, osa pensare l’impensabile. Invece di farsi prendere dal panico o di tentare qualche piccola reazione, punta tutta la posta, progetta le mosse che possono farlo tornare a vincere: “L’Italia è il Paese che amo…”. Da Il Fatto Quotidiano del lunedì del 20 gennaio 2014 Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/26/berlusconi-20-anni-fa-la-discesa-in-campo-con-la-regia-di-craxi-e-dellutri/857831/
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« Risposta #85 inserito:: Dicembre 17, 2014, 05:56:18 pm » |
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Quirinale e riforme, l'ipotesi Prodi irrita Forza Italia. Salvini: "Non esiste". Renzi ai 5 Stelle: "Entrate in partita" Dal partito di Berlusconi: "Non siamo favorevoli alla candidatura del Professore". E il premier al M5S: "Ci sono sfide importanti da affrontare: abbiamo bisogno di voi" 16 dicembre 2014 ROMA - La versione ufficiale parla di analisi sulle questioni in Libia e Ucraina, del punto sulla situazione internazionali. Ma l'incontro tra Matteo Renzi e Romano Prodi ha un solo effetto sul quadro politico: viene letto solo come un passo essenziale del processo che porterà alla scelta del nuovo presidente della Repubblica. Dell'ennesimo capitolo del "Romanzo Quirinale" parla Maurizio Gasparri di Forza Italia. "Sarei felice di votare Prodi al Quirinale", il commento di Enrico Rossi, governatore della Toscana. Dichiarazioni che segnalano come l'ex presidente del Consiglio dei Ministri sia, a oggi, uno dei volti su cui l'attenzione dei partiti è molto alta. Sullo sfondo, il tema del "metodo": un nome scelto all'interno del Pd da proporre poi alle altre forze politiche. E oggi Renzi ai Cinque Stelle: "Abbiamo davanti tante sfide. E abbiamo bisogno di voi". Tra Nazareno e Quirinale. L'incontro tuttavia rischia di creare una crepa ulteriore tra i contraenti del Patto del Nazareno. Il perchè è noto: per gran parte del partito di Silvio Berlusconi non vede Romano Prodi come un candidato in grado di far raggiungere alle forze politiche un grado sufficiente di unità. "Come tutti i nomi di ritorno, ci sarebbe qualche problema a riproporre Prodi, e Forza Italia certamente non è favorevole a questa candidatura. Da parte sua, Renzi fa bene ad incontrare quante più persone possibili, non solo per proporre candidature ma anche per escluderne alcune". Così, a Radio Città Futura, il deputato di Forza Italia e presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Francesco Paolo Sisto. Alla ricerca di un metodo. E proprio il "metodo Renzi" è sotto la lente di ingrandimento di analisti ed esponenti dei partiti. Sintetizzando: una rosa di nomi da scegliere all'interno del campo democratico e da proporre poi al resto delle forze politiche. Ed è proprio la natura della proposta a essere importante: perchè il premier prima e il ministro Boschi poi hanno sempre distinto tra successione a Napolitano e Patto del Nazareno. Ovvero: per la scelta dell'inquilino del Colle la strada maestra non passa esclusivamente attraverso un'alleanza con Forza Italia. Visione che sembra confermata anche dall'apertura che Renzi ha fatto nei confronti del M5S sul tema della riforme. "Abbiamo bisogno di voi", dice il premier. Il niet di Salvini. L'ipotesi di Romano Prodi al Quirinale "è come quella delle Olimpiadi a Roma: un delirio. Assolutamente no". Così Matteo Salvini ha risposto a chi gli chiedeva un commento all'ipotesi che Romano Prodi possa succedere a Giorgio Napolitano alla presidenza della Repubblica. Il motivo? "I responsabili di questa situazione in Italia e soprattutto in Europa non possono diventare presidenti della Repubblica. E' assolutamente la condizione che noi poniamo: il nuovo presidente non deve essere stato complice del furto che l'Europa ha fatto ai danni dell'Italia: quindi Prodi, Amato e Padoan sono tutti uguali, per quanto mi riguarda". © Riproduzione riservata 16 dicembre 2014 Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/16/news/prodi_reazioni-103011148/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_16-12-2014
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