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Autore Discussione: RUSCINA. Ho inventato questo termine sull'amicizia rilanciata tra RussiaCina.  (Letto 2322 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Marzo 12, 2022, 04:34:19 pm »

Noi occidentali abbiamo messo Putin in difficoltà e ci siamo messi in grave pericolo, per assistere l’Ucraina assalita e devastata e per fargli capire che ha tutti contro, per ciò che ha commesso.
Ma l’abbiamo fatto senza sparare un colpo, contro il Popolo Russo.


È una buona seggiola su cui sedersi al tavolo della trattativa.

Putin, personalmente può essere indifferente alla fine del mondo, lui ha una sola vita e ne ha recise migliaia nella sua già troppo lunga carriera, di dittatore, ma dove vuole arrivare?
Sfasciare il mondo per due parti di Ucraina che sono già di fatto russi?
Suicidarsi con tutti i Russi e far ammazzare tutta la sua famiglia per questo?

Al rischio di essere trattati come l’Ucraina, noi certo reagiremmo, ma non soltanto alle atomiche (che i suoi generali non gli faranno usare mai) ma anche a quella più normale guerra, quella schifosa di sempre.
Ma lo faremmo soltanto se minacciati con le atomiche, oppure perché Putin attacca anche uno solo dei Paesi DIFESI dalla Nato.
Ma gli giova? Adesso non gli/ci resta che trattare, ma soprattutto capire cosa e quanto vuole Putin.
Quello che "pretende" l'aggredito Capo Ucraino, lo ha già espresso più volte.
Per fortuna non ascoltato, sino ad ora.

Nessuna Nazione attaccata può pretendere la sua “liberazione” si realizzi distruggendo un Continente e lui agendo senza buon senso, ci espone quasi certamente ad una guerra europea, come minimo ma anche peggio.
Ci sono tanti modi di ricevere armi di nascosto e immaginiamo anche da chi, PERCHE’ lui le vuole Ufficialmente dalla Nato?
Perché chiede da subito l’ingresso nell’Europa dell’Unione?
Dopo tutti quei poveri morti e con tutte le sofferenze da anni patite dal suo popolo, chiediamoci quel Perché!

Tra i due in guerra a chi giova di più, al partigiano della sua terra o allo sfascista dell’Europa.

ggiannig ciaooo
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 13, 2022, 04:20:25 pm »

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•  Carmela Campo
Non condivido per una volta, il suo ragionamento, signor Cuperlo.
Inviare armi all’Ucraina significa semplicemente volere trasformare il paese in un nuovo Afghanistan e una nuova Siria e Libia nel cuore dell’Europa, a parte che viola palesemente l’articolo 11 della nostra costituzione, nonostante le arrampicate sugli specchi di tutto il governo per giustificare questa decisione inaudita, che niente ha a che fare con l’aiuto umanitario legittimo e gli sforzi diplomatici per arrivare a un cessate il fuoco.
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 Autore
Gianni Cuperlo
Carmela Campo grazie del commento. Scelgo di rispondere e dialogare con lei (ma sono una risposta e un dialogo che si rivolgono anche ad altri commenti). Può immaginare quanto rispetto io abbia per una posizione quale quella che lei esprime, aggiungo che non ho titolo alcuno per definire la mia di posizione giusta al di là di ogni ragionevole dubbio. Le confesso però con l'angoscia del caso che prima di esprimermi ho riflettuto e provato a capire. Parto dalla questione giuridica (ma non formale) circa la legittimità della posizione assunta. L'articolo 11 della Carta va letto effettivamente nella sua interezza: contiene il ripudio della guerra (con una fortissima sanzione morale) e prevede limitazioni di sovranità a vantaggio di organismi sovranazionali impegnati ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni. L'Ucraina è uno Stato sovrano invaso da un esercito straniero e la resistenza in atto rientra nel diritto all'autotutela previsto dall'articolo 51 della Carta dell'Onu. Il concetto è ribadito anche nella legge 185 del 1990 (legge italiana) che non estende il diritto di fornire armi a un paese in conflitto quando quel paese si trovi a usare la forza in via eccezionale e nel caso previsto dallo stesso articolo 51 della Carta dell'Onu. L'Europa (nelle sue istituzioni e singole cancellerie) ha reagito all'invasione russa condannandola e dichiarando pieno sostegno alla resistenza del governo e del popolo ucraino. Ma qui, al netto degli aspetti giuridici e formali (che ripeto, pure contano) entra in campo la riflessione di ordine politico e morale. Una posizione dice con chiarezza che le armi conducono solo ad altre armi, violenze, distruzioni e morte. In linea di principio io condivido, ma in linea di fatto (in queste prossime ore, giorni, settimane...) cosa si deve dire a un popolo che cerca di preservare la propria indipendenza? Certo, operiamo per non chiudere ogni spiraglio alla trattativa, e aggiungo lasciando a Putin una via di uscita dalla sciagurata condizione in cui si è posto. Ma dinanzi a una offensiva che prosegue (di stanotte l'incendio prossimo a una delle più grandi centrali nucleari in Europa), di fronte all'ipotesi di una strage di civili se il conflitto dovesse trasferirsi nelle città, noi dobbiamo o no sostenere la resistenza di quel popolo? Nella sua Piccola Posta di oggi Adriano Sofri (che la guerra in Jugoslavia l'ha seguita da dentro) spiega perché in questa guerra asimmetrica si sta col popolo che si batte per non soccombere. Se il ventaglio di misure a largo spettro assunte in questa settimana come strumento di pressione su Putin riuscirà a fermare l'escalation in atto è evidente che l'Europa tutta dovrà ripensare le categorie della sua sicurezza (ma pure di quella della Russia). E la via, insisto, è una nuova Helsinki, non un'altra guerra fredda.

Oggi però si tratta di non lasciare quel paese colpito e invaso senza l'aiuto che sta chiedendo. Le ripeto, le scrivo con l'ansia e i dubbi che ciascuno deve portarsi addosso, ma stanotte ho riletto pagine di Marc Bloch e passi di una storia dell'Europa novecentesca che paiono raccontarci qualcosa anche dell'oggi. Le ho lette (rilette) pensando esattamente alla scelta giusta da compiere dinanzi alla violenza che si va consumando e ho riletto anche quella citazione di quel grande storico e intellettuale: l'incomprensione del presente cresce fatalmente dall'ignoranza del passato. La ringrazio ancora e mi perdoni la lunghezza.

Da Fb Meta del 4 marzo 2022
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 13, 2022, 04:23:14 pm »

C'è una sola verità da far valere, la Guerra di Putin in Ucraina DEVE FINIRE!
Indispensabile una RESA onorevole e immediate trattative per ELEVARE l'Ucraina Neutrale A FARE DA PONTE tra l’Europa e la Russia!
Esattamente come la Svizzera!
Il resto sono colpevoli chiacchiere e fumo nei cervelli degli ingenui.
Ciaooo

Io su Fb 13 marzo 2022
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 14, 2022, 03:24:58 pm »

Gianni Gavioli ha condiviso un link.
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Esperto del gruppo
 
In Fb ci sono molti Post che propongono, non volendo, molta materia da studiare!!

Meritevoli di alcune considerazioni come premessa:
Il marketing è una tecnica non una scienza e come tale può diventare un'arma per la conquista di obiettivi da raggiungere.
La Cina in questi ultimi decenni ha dimostrato di saperla usare meglio di tutti.
L'Occidente-fesso (intendo diviso) quelli che l'hanno usato in modo sbagliato con obiettivi per nulla proiettati al futuribile.
Il risultato che abbiamo di fronte é la visibilità su poteri ascendenti e poteri discendenti.
Quelli occidentali sono tutti discendenti, Putin l'ha detto in chiaro tempo fa, ma ha sbagliato il suo marketing, dopo il Muro si è chiuso in un grosso angolo (ma sempre angolo) in cui si è fatto mettere non dall'occidente ma dalla Cina.
La guerra di Putin è già il passato e come in tutte le guerre, il Popolo ha pagato la tremenda "bolletta" di sangue e distruzione.

Io senza troppo scherzare mi sono inventato il Termine RUSCINA, che mi è ispirato dall’amicizia RussiaCina, che sembra consolidata dall’appetito cinese.

Il futuro sarà una più evidente lotta tra pochi Poteri realmente forti, e gli effetti saranno visibili anche agli occhi delle popolazioni che dovranno viverla da protagonisti, se sapranno uscire dall'indolenza del millenario gregge condotto da pastori medioevali, in eterno conflitto con il branco dei lanzichenecchi di turno.

ggiannig ciaooo

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« Risposta #4 inserito:: Marzo 16, 2022, 05:35:16 pm »

Il Bello dopo e superata l'invasione all'Ucraina?

Accetterà per convenienza l'essere e diventare neutrale come la Svizzera.

Il Positivo?

Le guerre tra gli Stati finiranno.

Quando tre o massimo quattro Imperi si saranno spartiti il mondo.

ciaooo
PS: giovani sceglietevi in quale andare a studiare, … solo la cultura abbatterà gli Imperi.

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« Risposta #5 inserito:: Marzo 16, 2022, 05:39:55 pm »

Giovanni Giovannetti
Michela Novel

Da Raoul Kirchmayr "A "Otto e mezzo" di stasera c'è stato un momento - durato una decina di minuti circa - in cui si è capito che un atterrito Massimo Giannini (La Stampa) ha capito. Ha capito che qualcosa non torna più, nel racconto - meglio: nella narrazione - della guerra in Ucraina. Da questa parte dello schermo lo abbiamo capito dallo sguardo sbarrato e dalle labbra serrate in una sorta di smorfia angosciata. Perfino Lilli Gruber è parsa vacillare, non sapendo più da dove e come riprendere il filo del discorso. Poi, con molto mestiere e bravura ha rimediato. L'unico che è parso non sorpreso è stato Caracciolo, il direttore di Limes, che evidentemente non si era fatto soverchie illusioni. E purtuttavia, aveva il volto parecchio tirato, e un po' scavato.

Insomma, il gelo era sceso nello studio, dopo che - intervistata da Gruber - Iryna Vereshchuk, divisa verde e sguardo di ghiaccio, ha detto a nome del governo ucraino, da lei rappresentato nella veste di vicepremier, le seguenti cose: a) Il governo ucraino sa qual è la verità e ha il coraggio di dirla; b) la verità è una sola; c) il presidente è il popolo, il popolo si riconosce nel presidente; d) no-fly zone subito sulle centrali nucleari; e) intervento militare degli USA in Ucraina; f) garanzie internazionali occidentali, da parte di USA e GB, per l'Ucraina per il dopoguerra; g) Crimea e Donbass restituite all'Ucraina, dopo periodo di monitoraggio internazionale; h) né il riconoscimento delle repubbliche del Donbass né della Crimea né la neutralità dell'Ucraina possono costituire base di trattativa con la Russia.

Giannini, nonostante lo sconcerto - e, immagino, il brivido lungo la schiena - è stato lucido nel far notare a Vereshchuk che, con queste premesse non ci potrà mai essere nessuna trattativa con la Russia. La risposta è stata che l'Occidente deve prendersi ora quelle responsabilità che non si è preso in passato. Caracciolo ha fatto notare alla vicepremier che questa base negoziale forse poteva andare bene nel 2014, certo non ora, con la situazione attuale sia politica sia militare. E che una trattativa realistica non poteva che avere come punto di partenza lo status ante 23 febbraio, poiché gli USA non interverranno mai in Ucraina in un confronto militare diretto, poiché questo significherebbe lo scoppio di un conflitto mondiale. La replica è stata che la Russia va fermata ora in Ucraina perché il conflitto ci sarà ugualmente.
In precedenza, su domanda di Gruber circa le vittime odierne a Donetsk e sul rimpallo delle responsabilità del bombardamento, la risposta è stata che i russi sparano sui (loro) civili per attribuire la responsabilità agli ucraini. Gli ucraini, ha aggiunto poco dopo, sono credenti e sono per l'amore.

Vereshchuk, che ha anche un passato come militare, è considerata esponente conservatrice e moderata nella compagine di governo.
Ecco, lo sguardo angosciato di Giannini ha restituito l'istante dell'illuminazione, quando ha capito di non aver capito granché su chi fossero i difensori della libertà, su quali fossero i loro obiettivi e su quale fosse il "frame" psicologico - prima ancora che politico - su cui si organizzano le loro decisioni: la mistica del sacrificio. Di questa mistica è imbevuto, per esempio, il culto degli eroi di Maidan. E' uno dei tanti anacronismi del post-guerra fredda: un pezzo di medioevo partorito dai nazionalismi del dopo-URSS, ideologie di risulta nel vuoto politico della (breve) fine della storia.
La storia ha ripreso da tempo il suo cammino con questi grumi arcaici sopravvissuti chissà come e riportati alla superficie dalle correnti putride dei fascismi postmoderni.
Almeno spero che a Giannini da oggi sia chiara una cosa: è sufficiente ricordare qual è la linea - a quanto pare ufficiale - del governo Zelensky. E la linea è: nessuna linea, diritti allo scontro, verso il sacrificio finale. Se l'Ucraina vincerà, vincerà la verità, se l'Ucraina verserà il suo tributo di sangue lo farà sacrificandosi per la verità. L'Apocalissi non fa paura quando è la verità che deve trionfare.
Auguri, Giannini. Avete giocato agli apprendisti stregoni con l'abisso, ora ce l'avete davanti."

Da Fb del 14 marzo 2022. Allo sfacelo per colpa della NON verità
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« Risposta #6 inserito:: Marzo 17, 2022, 03:41:59 pm »

Il MONITORE - ITALIA, EUROPA, MONDO. Il Bene e il Male.
Gianni Gavioli

La presenza di Azov in Ucraina offusca l'immagine di "vittima" all'Ucraina.

Ma non la tragica stupidità strategica di Putin, nell’usare il PRETESTO Ucraina per attaccare l'Europa.

Europa che, in ogni caso, non sarebbe mai stata dominio dell’Impero Russo.
La Cina e gli USA non l'avrebbero mai permesso.

ggiannig
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« Risposta #7 inserito:: Marzo 25, 2022, 07:21:08 pm »

11:58

Il Cremlino: la stragrande maggioranza dei russi a favore dell'intervento

"La stragrande maggioranza dei cittadini russi, oltre il 75%, e questo è dimostrato da statistiche e sondaggi, sostiene l'operazione speciale in Ucraina, sostiene il presidente della Federazione russa".
Lo ha assicurato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, sottolineando che si tratta di "un fatto inconfutabile".

Peskov ha auspicato che la "minoranza" dei russi che non è d'accordo "capisca cosa sta succedendo".
"E' molto importante che coloro che non sono d'accordo inizino a orientarsi nei flussi di bugie che provengono dall'Occidente su ciò che sta accadendo e capiscano che non tutto quello che viene pubblicato come notizia è la verità".

Da - https://www.agi.it/estero/news/2022-03-21/diretta-guerra-ucraina-russia-zelensky-16083649/#tr_16088849
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« Risposta #8 inserito:: Aprile 03, 2022, 06:13:02 pm »

La Cina secondo l'Ue

Alla fine, l’atteso summit tra Unione europea e Cina c’è stato.
Breve, e molto poco operativo, a giudicare dalla durata delle riunioni – prima col premier cinese Li Keqiang poi con il presidente cinese Xi Jinping, con cui Ursula von der Leyen e Charles Michel, rispettivamente presidente della commissione europea e presidente del Consiglio europeo, hanno parlato circa un’ora. Nessun comunicato congiunto, e una conferenza stampa con domande dai giornalisti alla presenza solo della parte europea.
 
Il punto è che Pechino voleva arrivare al Summit, dopo mesi di relazioni molto complicate con l’Ue, per parlare di business. L’Ue invece voleva parlare di Ucraina, di quello che von der Leyen ha definito “una guerra, e non un conflitto”, riguardo alla quale “non ci può essere neutralità”. Come ha scritto Stuart Lau su Politico, Bruxelles e Pechino restano su posizioni “opposte” sulla guerra, e il dialogo è stato “difficile”, ha detto una fonte diplomatica europea a Lau. 
 
Esattamente come hanno fatto già i funzionari americani, i vertici dell’Ue hanno avvertito la leadership cinese che ogni tentativo di minimizzare l’impatto delle sanzioni internazionali contro la Russia avrà delle conseguenze. Non si tratta quindi di far passare la Cina “dalla nostra parte”, come qualcuno dice, ma semplicemente di avvertire (implorare?) la Cina: non sostenere una guerra che potrebbe crearti molti casini. Non a caso von der Leyen durante la conferenza stampa di ieri ha sottolineato che tra Ue e Cina passano merci e servizi per il valore di due miliardi di euro, ogni giorno. Il volume degli scambi della Cina con la Russia non supera i trecento milioni di euro. Qui c'è l'articolo di David Carretta da Bruxelles.
 
Dopo un primo momento di sospetto spaesamento relativo alla guerra russa – come abbiamo scritto più volte, forse Pechino si aspettava qualcosa di molto più contenuto, un’offensiva sui territori del Donbas e basta – adesso si comincia a intravedere in che modo la Cina ha intenzione di capitalizzare la crisi internazionale: mostrandosi la potenza responsabile che non si intromette e spinge al dialogo e alla pace. Praticamente Xi sembra il Papa.
 
Una cosa interessante successa ieri è che Pechino ha pubblicato quello che in gergo si chiama readout, cioè il sunto della conversazione, ancor prima che la videochiamata tra Xi Jinping e l’Ue fosse terminata. Era già successo con il vertice tra il presidente americano Joe Biden e Xi, ha ricordato qui Francesca Ghiretti del Merics. Secondo diversi analisti, in questo modo la Cina vuole arrivare prima sulle breaking news internazionali, insomma fare i titoli dei giornali (un po’ come quando Giuseppe Conte parlava subito prima dei tg delle 20).
 
E cosa ha detto Xi Jinping? Che tutta la colpa è della Nato e dell’America, che l’Europa deve essere più indipendente nella sua politica estera: “La crisi ucraina deve essere gestita adeguatamente”, ha detto secondo quanto riportato dal Quotidiano del popolo, “e non può vincolare il mondo intero alla questione, per non parlare di far pagare un prezzo pesante ai cittadini di tutti i paesi a causa di questo” – tradotto: è un conflitto regionale che devono risolvere loro due, e non bisogna per forza prendere una posizione, ma occhio perché non soffre solo la popolazione ucraina, dice Xi, con le vostre sanzioni illegali soffrono anche i russi.
CINA
Una serie di attacchi hacker che avrebbero subìto istituzioni ucraine come il ministero della Difesa nei giorni tra la fine delle Olimpiadi di Pechino e l’inizio dell’invasione russa sono riconducibili al governo di Pechino. E’ uno scoop del Times, che riferiscono fonti dell’agenzia di spionaggio ucraina e confermato anche da alcune fonti d’intelligence americana. Gli hacker cinesi avrebbero tentato di rubare dati ed esplorato modi per fermare o interrompere alcune linee di difesa vitali e infrastrutture civili. Potrebbe essere un’impronta digitale, un segno di complicità di Pechino.

Del resto, come ricorda Ghiretti nell’intervista a Formiche citata prima, per la Cina il fattore economico potrebbe essere molto importante, ma lo è anche quello politico – e la superamicizia con la Russia sancita il 4 febbraio scorso tra Xi e Putin.
 
L’economia è fondamentale perché attualmente le cose stanno andando parecchio male, nonostante l’annunciato target di crescita al 5 per cento. Non c’è solo la guerra e le sue variabili (sanzioni, inflazione) ma c’è pure il Covid, ancora il Covid. E tutto a pochissimi mesi dal Congresso del Partito comunista cinese che dovrebbe lanciare Xi Jinping per un terzo, inedito mandato.
 
Pechino non ha mai cambiato la sua politica Zero Covid, Shanghai è ancora in lockdown e sebbene le autorità non abbiano dichiarato nuovi morti a causa del coronavirus, diversi media tra cui la Bbc parlano di situazioni drammatiche negli ospedali.  Un po’ ovunque nel mondo, nelle ultime settimane, c’è stato un aumento di casi di Covid eppure, se pensate all’Italia, grazie alla campagna vaccinale ricoveri e forme gravi sono drasticamente diminuiti. La situazione in Cina – di cui sappiamo molto poco, ovviamente, sempre per quel fatto del tutto trascurabile che non c’è trasparenza nei paesi autoritari – è molto grave. Mentre i paesi occidentali hanno adattato la politica da attuare a seconda dei dati e dell’analisi della fattibilità, costi economici, umani, andamento della campagna vaccinale, a Pechino invece la politica “Zero Covid” è stata politicizzata. “Non è più solo un dibattito su quale approccio funziona meglio”, ha detto a SupChina Yanzhong Huang, “Si tratta più di una competizione tra due ideologie, due insiemi di sistemi politici e persino, a giudicare da un recente articolo pubblicato su un quotidiano di Shenzhen, una competizione tra due civiltà”.
 
Ma torniamo ai rapporti tra Cina e Ucraina. Vi ricordate la storia dei cittadini cinesi che non erano stati evacuati dall’Ucraina per tempo, cioè prima del 24 febbraio? Prima l’ambasciata cinese a Kyiv diceva: tranquilli, fate un po’ di scorte e rimanente in casa, se uscite fatelo con una bandiera cinese esposta. Subito dopo, per settimane, i funzionari cinesi hanno cercato un modo per portarli via, e c’era stata addirittura una telefonata tra il ministro degli Esteri Wang Yi e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba. Per il Partito comunista cinese una delle priorità da sempre è quella di proteggere i cittadini cinesi all’estero e questo sembrava proprio un fallimento tremendo. Più o meno tutti i seimila sono adesso tornati in Cina dopo un lunghissimo viaggio, e ora devono sottoporsi alla quarantena. Il South China Morning Post è andato a raccontare le loro storie: non sembrano molto felici.
 
Ma torniamo alla politica, che è sempre la priorità a Pechino. Dicevamo: uno dei modi con cui Pechino vuole capitalizzare la crisi ucraina è cercare di mostrarsi al mondo come modello alternativo di risoluzione delle crisi. Lo ha esplicitato in modo molto evidente qualche giorno fa, quando ha organizzato nel distretto di Tunxi un dialogo tra i paesi confinanti con l’Afghanistan, ed è il primo di questo genere a cui partecipano anche i vertici dei talebani (vi ricordate? Wang Yi è stato a Kabul una settimana fa). Primo giorno summit con Cina, Russia, Pakistan, Iran, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Ospiti? Qatar e Indonesia – in quanto paesi a maggioranza musulmana che si sono impegnati a aiutare economicamente Kabul. Secondo giorno: una “troika allargata” pure con Tom West, inviato speciale sull’Afghanistan della Casa Bianca, ma sono uscite pochissime notizie su questa parte del summit.
 
Questo modello di dialogo con la Cina al centro piace parecchio ai paesi autoritari e a quelli in via di sviluppo, perché il messaggio è chiaro: Pechino vi sostiene politicamente e non vi chiede niente in cambio su democrazia e diritti umani. Non vi giudica. Vuole solo la vostra anima – più o meno.
 
Prima di ottenere il riconoscimento formale, ha detto Wang Yi, il governo ad interim dei talebani deve dimostrare qualcosa in più “nella sua lotta al terrorismo”. 

Durante il vertice sull'Afghanistan c'è stato pure un bilaterale molto chiacchierato tra Wang Yi e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, il primo sin dall'inizio dell'invasione russa in Ucraina. E' stata la pietra tombale su chiunque si aspettasse, prima o poi, una presa di distanza o una mezza condanna da parte di Pechino. Ne ho scritto qui.

Una notizia che abbiamo anticipato la scorsa settimana qui, quella di un prof a contratto del Politecnico di Milano che dice a un suo alunno che non può dirsi taiwanese, ci ha dato modo di tornare su un argomento che ci sta molto a cuore. E cioè la presenza della Cina, e dei finanziamenti cinesi, nelle università italiane. Non parliamo soltanto degli Istituti Confucio, di cui abbiamo scritto moltissimo. Secondo i dati ufficiali del ministero dell’Università e della Ricerca e della Farnesina, il Politecnico di Milano, dal 2010 a oggi, ha firmato 65 accordi con università della Repubblica popolare cinese.  Per fare un paragone, il Polimi ne ha soltanto 16 con università degli Stati Uniti. Un lungo articolo, qui.
 
DA LEGGERE
Si parla ormai da tempo, a volte perfino a sproposito, del nuovo scontro tra America e Cina - che supera addirittura quello attuale con la Russia. Sarebbe molto interessante, quindi, se qualche editore italiano traducesse questo libro, scritto da Rush Doshi che è, oltre che il fondatore della Brookings China Strategy Initiative, l'autore della politica sulla Cina di Joe Biden. Sono riuscita a finirlo solo ora, e oltre a dare dei dettagli che già conoscevamo, porta avanti quest'idea di fondo di una potenza da contenere - è probabilmente proprio questo quello a cui si riferiscono i funzionari cinesi quando parlano di "mentalità di Guerra fredda". Tra gli americani si parla spesso di questa teoria e il suo "adattamento", diciamo così, alle circostanze di oggi. Che potrebbe non voler dire un totale annullamento della potenza americana di formare delle catene di sicurezza per arrivare alla coesistenza. E' un dibattito tutto interno all'America, e se volete qui c'è una puntuale critica di Ethan Paul.
GIAPPONE
Il ministro degli Esteri giapponese Hayashi Yoshimasa è volato in Polonia come inviato speciale del primo ministro Kishida per la questione Ucraina. Da lì coordinerà le evacuazioni in Giappone.

Nel 2003 il governo di Tokyo, per cercare una soluzione diplomatica e pacifica con la Russia, aveva smesso di definire i cosiddetti Territori del nord “illegalmente occupati” dalla Russia. Ecco, l’espressione sarà molto probabilmente reintrodotta.
 
A proposito di rapporti tra Giappone e Corea del sud. Ha riaperto la mostra chiamata “Non Freedom of Expression” a Tokyo, dopo le polemiche che aveva suscitato qualche anno fa a Nagoya. Perché tra le opere c’è una statua che simboleggia le “comfort women” sudcoreane.

Nel frattempo, il Covid. Il Giappone sta cercando di alzare la quota di cittadini stranieri che possono entrare nel paese a 10 mila al giorno, ma nel frattempo i casi sono di nuovo in aumento. Le Abenomask, le mascherine riutilizzabili che Shinzo Abe voleva mandare nelle case dei cittadini giapponesi, sono quasi tutte in magazzino.

DA VEDERE
 
Divertente e incredibilmente interessante per temi e realizzazione. C'è su Netflix "Zero to Hero" del regista Jimmy Wan. Ci sono voluti dieci anni per farlo, ha detto Wan. La storia è ispirata alla vera vita di So Wa-wai, atleta paraolimpico e leggendario di Hong Kong. E' interessante notare che la diagnosi terribile che fanno al giovane protagonista avviene nella Cina continentale degli anni Ottanta (magnificamente descritta) e poi la famiglia si ritrova qualche anno dopo nella colonia inglese, dove il padre era andato a lavorare. E' una storia universale sulla tenacia e l'accettazione, magnificamente descritta - anche per chi ha nostalgia di Hong Kong.
PENISOLA COREANA

Il governatore della provincia di Mykolaïv, in Ucraina si chiama Vitaliy Aleksandrovich Kim. E il suo cognome non mente: come ha scritto Micol Flammini, ha origini coreane. E siccome volevo saperne di più di queste origini coreane di uno dei volti della resistenza a Putin, ho fatto un po' di ricerche. C'è un solo articolo sulla stampa sudcoreana che parla di lui. Vitaliy dice di parlare un po' di coreano, che gli è stato insegnato dai genitori, che a loro volta lo avevano imparato dai loro genitori. La famiglia è infatti originaria di Primorsky Krai, cioè il confine con la Corea del nord, a pochi chilometri dalla città nordcoreana di Rason. Negli anni Trenta, durante le migrazioni forzate dell'Unione sovietica, la famiglia fu ricollocata in Ucraina. Oggi lui difende il suo paese contro l'invasione russa, negli anni Cinquanta furono i sudcoreani a difendersi dall'invasione nordcoreana formalmente nota come "guerra per la riunificazione". 

Da giorni circolano voci sulla possibilità che la Corea del nord si stia preparando a testare una bomba nucleare. Sarebbe il primo test atomico da quattro anni e mezzo. Le immagini satellitari mostrano che sono ripresi i lavori del tunnel numero 3 dell'impianto nucleare di Punggye-ri, scrive 38th North.

Ma c'è un altro mistero, forse ancora più strano, che riguarda la Corea del nord in questi giorni. Il 24 marzo scorso la Corea del nord ha eseguito un test missilistico intercontinentale, il primo di questo tipo sin dal 2017. Ne abbiamo scritto qui. Il giorno dopo l'agenzia di stampa governativa, la Kcna, ha scritto che il leader Kim Jong Un aveva dato il via al test di uno Hwasong-17, il missile più potente mai posseduto da Pyongyang - e lo ha fatto con un video particolarmente hollywoodiano che ha fatto il giro del mondo.

Qualche giorno dopo, però, il ministero della Difesa sudcoreano ha detto che quello che il Nord aveva testato il 24 marzo non era uno Hwasong-17, ma lo Hwasong-15, che già conosciamo perché Pyongyang l'ha già testato nel 2017. Perché mentire sulla tecnologia? Probabilmente per strategia di deterrenza ed enfatizzare la capacità missilistica.

Nel frattempo, il capo del Joint Chiefs of Staff sudcoreano, il generale Won In-choul, e il suo omologo americano, il generale Mark Milley, hanno firmato ieri alle Hawaii la Direttiva sulla pianificazione strategica, cioè un aggiornamento dei piani congiunti d'emergenza in caso di guerra.

Tornando alla politica sudcoreana. L'attuale presidente in carica, Moon Jae-in, e il presidente eletto Yoon Suk-yeol hanno avuto il loro primo incontro operativo per la transizione. Non deve essere stato facile, dato che i due continuano a litigare un po' su tutto (è personale). Una delle prime cose per cui è finito sulle cronache internazionali da presidente eletto riguarda il trasferimento degli uffici presidenziali dalla Casa Blu ad altra sede - probabilmente perché la Casa Blu è considerata "maledetta". In realtà, Yoon non è il primo a dire di voler essere il "presidente del popolo" e di voler abbandonare la Casa Blu, che è un compound particolarmente sicuro su una specie di collinetta. Anche Moon l'aveva promesso durante la sua campagna elettorale, poi non se n'era fatto niente perché i costi stimati del trasloco si aggirano attorno ai 40 milioni di dollari.

In settimana Yoon ha parlato al telefono con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, e anche questa è una notizia importante perché mostra come il presidente eletto sudcoreano voglia essere molto più presente sulla politica internazionale in supporto all'America.

C'è però un problema in questa roadmap di cambio radicale della postura internazionale di Seul. Anche se il presidente eletto vuole ricucire i legami con il Giappone, le relazioni tra i due paesi non torneranno alla normalità dall'oggi al domani "a causa di irritazioni storiche di lunga data, secondo gli osservatori".

Il governo sudcoreano sta valutando la possibilità di revocare tutte le norme sul distanziamento sociale ad eccezione dell'uso della mascherina, ma solo se venisse confermato il calo dei casi giornalieri di Covid nelle prossime due settimane.
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"Al buio anche per 13 ore al giorno, con imprese e servizi che vanno bloccandosi per la mancanza di combustibile e fondi insufficienti ad acquistare quello necessario. Lo Sri Lanka sta sperimentando la peggiore crisi economica dall’indipendenza". Così racconta Stefano Vecchia su Avvenire la situazione che sta vivendo lo Sri Lanka, da giorni piegato da una crisi energetica e un'inflazione record al 17,5 per cento, con una classe politica guidata dalla famiglia Rajapaksa che è sempre più simile a un regime e accusata da chi sta protestando.

Negli ultimi anni lo Sri Lanka, sotto la guida dei Rajapaksa, ha abbracciato il modello di aiuto infrastrutturale della Cina per rilanciare la sua economia, ma è andato tutto male.  Anche per questo adesso l'India accusa Pechino di aver fatto cadere Colombo nella sua "trappola del debito" e vorrebbe intervenire.

Allo stesso tempo l'India non si trova in una buona posizione con gli alleati tradizionali, l'America e l'alleanza "del mondo libero", perché non ha ancora condannato l'azione militare russa e probabilmente non lo farà mai. Daleep Singh, viceconsigliere per la Sicurezza nazionale americana per l'economia internazionale, durante una visita a Delhi ha detto che "gli amici non stabiliscono linee rosse", aggiungendo però che i suoi partner in Europa e in Asia erano stati esortati a ridurre la loro dipendenza da "un fornitore di energia inaffidabile" e che Washington non vuole che l'India acceleri le sue importazioni energetiche dalla Russia.

Febbraio 1986. Centinaia di migliaia di filippini scendono in strada per la prima volta, per quattro lunghi giorni, contro il regime autoritario del presidente Ferdinand Marcos. E' una novità assoluta per l'Asia, e dopo elezioni democratiche ma con risultato dubbio, costringe Marcos a scappare alle Hawaii con la famiglia. Al suo posto arriva Cory Aquino, vedova di Benigno Aquino Jr., assassinato nel 1983 dai militari di Marcos in quanto dissidente.

Più di trent'anni dopo, nell'ottobre 2021, il figlio del defunto dittatore, Ferdinand "Bongbong" Marcos Jr., 64 anni, ha annunciato la sua intenzione di diventare il prossimo presidente delle Filippine. Ha lavorato con la figlia del presidente uscente, Sara Duterte, che si candida a vicepresidente. Insieme sono una squadra formidabile, molto più avanti degli altri candidati nei sondaggi d'opinione. Parte da qui un lungo ritratto pubblicato dal Time firmato da Chad de Guzman.

Manca poco più di un mese alle elezioni nelle Filippine e questo ritorno al passato - autoritario, pieno di ferite aperte, per giunta dopo sei anni di governo dal pugno di ferro di Rodrigo Duterte - è qualcosa di molto poco comprensibile qui da noi. Per capirci qualcosa di più bisogna seguire Rappler, il giornale del premio Nobel Maria Ressa.

E a proposito di messaggi e segnali da mandare alla Cina, qualche giorno fa sono iniziate le Balikatan, le più grandi esercitazioni militari congiunte tra Filippine e America degli ultimi anni. E' un segnale per niente scontato, perché dal 2016, quando Duterte è arrivato a governare il paese, sembrava che Manila stesse prendendo una posizione molto più mediana tra Washington e Pechino, addirittura Duterte aveva detto che era "solo carta" la sentenza del tribunale arbitrale che dava ragione alle Filippine sulle rivendicazioni cinesi nel Mar cinese meridionale. Ma recentemente l'assertività di Pechino ha fatto alzare sempre di più la guardia anche alle Filippine.

Gli Stati Uniti e l'Australia rafforzeranno la cooperazione per la sicurezza nello spazio e nel dominio informatico per contrastare la Cina. L'hanno annunciato durante un incontro a Pine gap, base segretissima in Australia.

Da - https://mailchi.mp/ilfoglio/la-cina-secondo-lue?e=fbfc868b87
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« Risposta #9 inserito:: Aprile 08, 2022, 12:58:55 pm »

“Putin deve perdere”. Le sanzioni lente “sono un approccio stupido”, dice Glucksmann

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