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Autore Discussione: CARMELO LOPAPA  (Letto 74486 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Agosto 18, 2011, 05:22:24 pm »

IL RETROSCENA

Berlusconi pensa a uno scudo bis "Così si può cancellare il contributo"

L'ipotesi allo studio del Cavaliere: un nuovo condono sui capitali illegamente all'estero, tassati tra il 7 e il 10 percento.

Una misura che può garantire fino a 10 miliardi di introito. Ma Tremonti non è stato consultato.

Pressing sul Senatur per intervenire sulle pensioni

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Sogna il colpaccio, il Cavaliere. Adesso un maxi condono nuovo di zecca sui capitali (ancora illegali) all'estero, per incassare tra i 7 e i 10 miliardi ed evitare così di "mettere le mani in tasca agli italiani col contributo di solidarietà: vedrete che riuscirò a spuntarla". È il pallino che un Silvio Berlusconi chino sui dossier economici, ad Arcore, ripete ai capigruppo Pdl e ai più stretti collaboratori sentiti in una giornata per il resto trascorsa tra una seduta di ginnastica e un pranzo dietetico.

Ore tribolate di altalena in Borsa, di spread tra titoli di Stato e Bund tedeschi risalito a 272 punti, di rapporti ormai ridotti al lumicino col ministro dell'Economia. Il presidente del Consiglio sogna di passare agli annali come il salvatore della Patria, anche a costo di ricorrere alla finanza creativa fino a poco tempo prerogativa proprio di Giulio Tremonti.

Perché ha quel sapore lì la trovata ultima dello scudo-bis sui capitali all'estero, tramontata già l'ipotesi di ritassare i 97 milioni rientrati nel 2009. Allora, nelle casse dello Stato finirono appena 5 miliardi. "Ma un nuovo intervento su quegli stessi capitali "scudati" sarebbe stato illegittimo" spiega il vicecapogruppo Pdl Massimo Corsaro. Ecco allora il nuovo coniglio dal cilindro del premier, frutto dei suoi personalissimi contatti con esperti di economia e che prende spunto dalle stime di Bankitalia.

Misura che nasce sulla scia della tassazione delle transazioni finanziarie proposta dal due Merkel-Sarkozy e che farebbe leva - spiega chi ci sta lavorando - sull'esistenza di circa 150 miliardi di capitali (illegali) all'estero, tra depositi e titoli. La tassazione per garantire un nuovo scudo e il rientro in Italia, questa volta non sarebbe limitata al 5 per cento ma sarebbe elevata al 7-10 per cento (all'estero è al 20-30). Quanto basterebbe per garantire - nelle più rosee previsioni berlusconiane - un rientro di quasi dieci miliardi di euro. Altri cinque, si calcola, dall'aumento di un punto percentuale dell'Iva.

Il fatto è che tutto questo viene discusso e calcolato dal premier senza il minimo coinvolgimento di Giulio Tremonti. Il ministro si è ritirato nel "suo" Cadore, dove oggi festeggerà il compleanno e dove incontrerà gli amici Bossi e Calderoli. In pochi, tra colleghi di governo, sono pronti a scommettere su una telefonata di auguri da parte del Cavaliere.

Il ministro dell'Economia, racconta chi ha parlato con lui in queste ore, resta più che scettico rispetto alle proposte di modifica della manovra allo studio di Palazzo Chigi. Sullo scudo bis, ad esempio, la stima sull'introito sarebbe approssimativa e nell'immediato "poco spendibile" in sede Ue. Figurarsi introdurlo per cancellare il contributo di solidarietà per i redditi oltre i 90 mila euro, come conta di fare il premier.

Gelo e silenzio, ad ogni modo. Il ministro dell'Economia si è ripromesso di evitare qualsiasi esternazione. Si concentrerà piuttosto sull'obiettivo di convincere oggi Bossi dell'opportunità di intervenire sulle pensioni, nonostante le barricate del Senatur. Berlusconi scommette piuttosto sulla rottura dell'asse Bossi-Tremonti, temendo un riallineamento dei due che rischierebbe di metterlo in difficoltà alla ripresa dei lavori parlamentari.

Ad ogni modo, il presidente del Consiglio ormai va per la sua strada. Ha delegato ad Angelino Alfano il compito di mettere a punto il pacchetto di modifiche al decreto. Il segretario adesso è all'estero, ma al rientro già lunedì 22 dovrebbe incontrare i "frondisti" del Pdl in rotta su più punti. Su questa partita e sulla quadra finale il neo segretario mette di già sulla bilancia la tenuta della sua leadership.

In cantiere, Tfr da spalmare nelle buste paghe, liberalizzazione degli ordini professionali, privatizzazioni, cancellazione delle Province sotto i 300 mila (ma col mantenimento delle Prefetture), revisione dei tagli ai Comuni per venire incontro agli amministratori Pdl in rivolta. Ma soprattutto, introduzione del quoziente familiare per ridurre l'impatto del contributo di solidarietà, se la misura dovesse restare. Ritocchi tali da "stravolgere" la manovra, agli occhi di Tremonti, che non perde occasione per ricordare come l'Ue abbia approvato il testo e i conti usciti dal Consiglio dei ministri.

(18 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/18/news/scudo_fiscale_bis-20560262/?ref=HREA-1
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« Risposta #61 inserito:: Agosto 30, 2011, 10:06:50 am »

IL RETROSCENA

Manovra, il Cavaliere canta vittoria ma il Tesoro avverte: "Mancano 4 miliardi"

Il vertice ad Arcore approva gli emendamenti al provvedimento da 45,5 miliardi di euro approvato alla vigilia di Ferragosto.
Ma le nuove norme rischiano di non bastare per mantenere i saldi previsti. Rischio di una nuova correzione a dicembre.

Il premier contro Tremonti: "Oggi sembrava un agnellino, non pareva lui"

di CARMELO LOPAPA


ARCORE - "È fatta, siamo riusciti a non mettere le mani in tasca agli italiani, ma è stata dura". Quando il corteo di auto blu lascia Villa San Martino dopo sette ore di qualcosa che ha somigliato più alla trattativa sindacale che a un vertice, Berlusconi resta da solo in casa con Alfano e Ghedini ed è allora che tira il sospiro di sollievo. Ha voglia di stappare lo champagne che aveva messo in fresco per festeggiare la svolta che, dice, gli "spianerà il cammino fino al 2013".

È riuscito a cambiare i connotati alla manovra approvata 17 giorni prima, certo. Quel che il Cavaliere non può sapere è che negli stessi istanti, lontano da lì, i tecnici del ministero delle Finanze stanno già facendo due conti sulla manovra appena rivoltata come un calzino scoprendo che ora mancano all'appello almeno 4,2 miliardi di euro sui 45 che si dovranno reperire col decreto. E a sera tanto bastava per lasciar serpeggiare dentro lo stesso Pdl lo spettro di un nuovo intervento sui conti a fine anno. Molto dipenderà dalla reazione dei mercati da oggi e da quella di Bruxelles nei prossimi giorni.

Ma è un altro genere di saldo che in queste ore interessa al presidente del Consiglio: quello politico. Si considera il vincitore indiscusso al tavolo di Arcore, soprattutto per aver cancellato del tutto il contributo di solidarietà che sapeva di "tassa alla Visco". Colpo di spugna, perfino sopra i redditi da 200 mila euro. "Avete visto Giulio?
Sembrava un agnellino, non pareva lui", commenta compiaciuto a fine giornata, sebbene proprio con il suo ministro dell'Economia si sono registrati i momenti di maggiore tensione. Soprattutto quando si è aperto il capitolo Iva. Berlusconi, e con lui Alfano e i capigruppo Pdl, decisi ad alzarla di un punto per garantire un gettito da 5 miliardi di euro. Tremonti che non recede e rilancia col suo consueto stile professorale ("Ora vi spiego...").

Alla fine la spunterà il ministro, nella misura in cui dopo molteplici insistenze riuscirà a convincere tutti che l'aumento dell'Iva andrà fatto, ma in un secondo tempo. E che ora si può provvedere diversamente. Raccontano che abbia messo a punto lui, forte della pluriennale esperienza da tributarista, la stretta fiscale per colpire barche, auto di lusso e velivoli intestati a società di comodo. Sebbene anche qui resti l'incognita sull'effettivo gettito.

Lo stesso ministro non riuscirà a spuntarla invece sulle pensioni, dossier sul quale Alfano, Calderoli e Maroni hanno fatto scudo, dopo l'accordo chiuso tre giorni fa. Fatto salvo l'unico affondo sul riscatto degli anni universitari e da militare. Detto questo, chi ha partecipato al vertice ha parlato non senza malizia di un Tremonti "nuova versione, dialogante e costruttivo: avrà preso atto dell'isolamento". Il professore in realtà a fine incontro andrà via soddisfatto, convinto di aver vinto la sua battaglia sull'Iva. "Don Giussani ha fatto il miracolo" avrebbe commentato il ministro fresco di Meeting Cl.

Altro pepe al vertice lo metterà Roberto Maroni, in due distinti momenti. A metà giornata, quando ricorda che "da qui dobbiamo uscire con il dimezzamento dei tagli ai comuni, perché abbiamo preso un impegno". Ma ancor più quando nel tardo pomeriggio lascia il tavolo per raggiungere e rassicurare i sindaci riuniti in assemblea dopo la marcia su Milano. Torna ad Arcore e avverte Berlusconi, Bossi, Tremonti e gli altri: "Guardate che se riduciamo solo di 2 milioni i tagli ce li ritroviamo tutti contro, a cominciare dai nostri".

Ma i buoni propositi del big sponsor degli enti locali si sono infranti contro il muro dei numeri. Perché c'è poco da stare allegri, ha ricordato a tutti ancora Tremonti, richiamando i commensali alla dura realtà della crisi italiana. Legge infatti le agenzie che avevano appena battuto la notizia delle previsioni di crescita del Fondo monetario internazionale, che risultano ancora più negative del previsto, per l'Italia: crescita non più all'1 ma inchiodata allo 0,8 per quest'anno. Dunque, "meglio rispettare con rigore le stime della manovra approvata due settimane fa".

D'altronde, il Carroccio si può accontentare dello stop sulle pensioni, anche se i pidiellini racconteranno di un Bossi andato via di umore nero. Ma più perché dolorante e annoiato, sembra, che non per il rospo che ha dovuto ingoiare col ddl costituzionale sulla cancellazione delle province. In futuro, chissà quando. Sebbene il presidente della commissione Affari costituzionale del Senato, Carlo Vizzini, fa sapere che insieme con quello sul dimezzamento dei parlamentari saranno incardinati già la prossima settimana.

Adesso, vertice Pdl a metà settimana per decidere l'apertura a un paio di emendamenti del terzo polo. Poi la blindatura della manovra con la fiducia quando approderà in aula già al Senato.

(30 agosto 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/30/news/manovra_mancano_5_miliardi-21024448/?ref=HREA-1
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« Risposta #62 inserito:: Settembre 02, 2011, 06:00:14 pm »

IL RETROSCENA

Tremonti al telefono con il Cavaliere "Stop attacchi, il decreto è anche tuo"

L'ultimo colloquio tra i duellanti alla vigilia del summit di Arcore per decidere gli emendamenti alla manovra.

Resta il gelo, ma il ministro non farà le barricate. Per il ministro dell'economia unico punto non modificabile sono i saldi

di CARMELO LOPAPA

ROMA - L'ultima, algida telefonata intercorsa tra la dimora di Arcore e il rifugio di Lorenzago non ha sciolto il gelo di questa vigilia. Così, il premier Berlusconi e il suo ministro Tremonti si presentano all'appuntamento decisivo di questa mattina con lo stato maggiore della Lega senza uno straccio di accordo preventivo tra loro due che sarebbero pur sempre i firmatari della manovra da 45 miliardi.

Al Cavaliere il responsabile dell'Economia si è ritrovato a chiedere conto degli attacchi frontali e ormai senza sosta dalla sponda pidiellina. Un fuoco di fila al quale lui ha opposto solo il silenzio, come ha fatto notare al premier, e dal quale come al solito il premier ha preso le distanze. Tremonti ripete quel che sostiene da giorni e cioè che tutti tirano al piccione della manovra "come se il decreto fosse solo mio", come se non fosse stato approvato da tutto il Consiglio dei ministri all'unanimità.

Il professore le sue carte intende giocarsele in prima persona e de visu questa mattina al tavolo di Arcore. Se qualcosa trapela, alla vigilia, è che non si immolerà a questo punto per la difesa a oltranza dell'Iva, sebbene l'innalzamento di un punto preferirebbe rinviarlo alla riforma fiscale. Né per una riapertura del capitolo pensioni, né insisterà sui tagli ai Comuni.

L'unica linea del Piave che difenderà a spada tratta sarà il mantenimento dei saldi invariati. E dei tempi celeri. Ma farà presente tanto al Senatur quanto al Cavaliere, ancora una volta, che la manovra varata il 12 agosto è stata "apprezzata" da Bruxelles e cambiarle i connotati aprirebbe a nuovi scenari, imprevedibili.

Detto questo, le perplessità sul florilegio di ipotesi e di modifiche maturate nel partito, ma anche dal Carroccio. Ecco, sullo spettacolo al quale si sta assistendo da una settimana a questa parte, una volta tanto non la pensa diversamente dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che ha parlato di "gara a chi inventa la tassa più esotica".

Isolato, forse. Ma non sconfitto, giurano i suoi. Comunque per nulla disposto a gettare la spugna. Un isolamento anche fisico che ha voluto frapporre con Roma e le mediazioni di questi giorni. Dopo l'intervento al Meeting di Cl Tremonti è tornato a Lorenzago di Cadore dove si è rifugiato dopo Ferragosto. Le dimissioni, raccontano, non sono un'ipotesi che abbia mai preso in considerazione. E quando lo sottolinea lo fa ancora con una punta di velenosa presunzione, convinto com'è che il presidente del Consiglio non potrebbe permettersi di dimissionare il ministro dell'Economia che è "l'unico interlocutore credibile per l'Europa".

Berlusconi non sarebbe in grado di reggere l'impatto, nel pieno di una crisi finanziaria che è anche di sistema. Come dire, i due, segnati dalle rispettive debolezze, si reggono a vicenda. Schivato lo scoglio della manovra, Tremonti dovrà affrontare nel giro di poche settimane quello legato al voto alla Camera sull'arresto del suo ex braccio destro Marco Milanese, sul quale in molti nel partito si preparano a consumare la loro vendetta. E, a seguire, la partita non meno delicata della nomina del nuovo governatore che dovrà prendere il posto di Draghi in BankItalia, nella quale si ritrova ancora una volta sul fronte opposto rispetto all'asse Berlusconi-Letta.

Ma è il vento che spira nel partito di Alfano a soffiare sempre più in direzione opposta al professore. E anche la solita sponda leghista questa volta sembra vacillare. Calderoli e Maroni hanno condotto le trattative sulla manovra col segretario Pdl senza coinvolgere Tremonti, tirato fuori dai giochi. Anche se il ministro della Semplificazione sostiene di essersi mosso "tenendo conto della sensibilità di Giulio e delle sue esigenze rispetto all'Europa". Ma è soprattutto nel suo partito che l'inquilino di via XX Settembre vive ormai da separato in casa.

L'ultimo affondo in ordine di tempo - e non è certo una novità - l'editoriale del Giornale della famiglia Berlusconi con cui ieri ci si chiedeva appena perché, "se il ministro è così bravo, ci ritroviamo in questa situazione", per etichettare poi Tremonti come "il commercialista" che "ha poco a che fare con la maggioranza". E comunque "ha poco da stare tranquillo se si pensa che tra poche settimane tornerà alla ribalta la vicenda del suo ex braccio destro Marco Milanese".

Per non dire del sottosegretario Daniela Santanché che sempre ieri ipotizzava (su Repubblica) lo spacchettamento delle deleghe del suo dicastero per dimezzare i poteri del "super uomo" Tremonti. Tira questa aria. Il vertice di oggi, oltre che decisivo sulla manovra, segnerà la resa dei conti.

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/29/news/incontro_arcore-20987504/
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« Risposta #63 inserito:: Settembre 03, 2011, 11:33:53 am »

Il retroscena

L'ira di Berlusconi contro Bruxelles

"Il problema è Giulio, non garantisce più"

Il Cavaliere: ho chiarito con Merkel e Barroso. Allarme del Colle.

Il timore che la Bce non intervenga più nell'acquisto dei titoli di stato italiani.

Palazzo Chigi torna a studiare l'ipotesi di alzare l'Iva per coprire tutti i saldi

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "La verità è che Giulio ormai non è più una garanzia in Europa, non possiamo contare su di lui come lasciapassare per i palazzi di Bruxelles". Un Silvio Berlusconi sempre più assediato nel fortino di Arcore non nasconde, a chi gli ha parlato, tutta la sua preoccupazione. Preoccupazione per i dubbi piovuti dalle autorità Ue sulla manovra salvaconti che il governo italiano sta faticosamente, confusamente portando avanti.

Sorpreso, raccontano, ancor prima che irritato, il Cavaliere lo è soprattutto perché meno di 24 ore prima aveva tentato di rassicurare di persona i leader europei. A margine del conferenza di Parigi sulla Libia. "Io su questa manovra ci ho messo la faccia, ne ho parlato ancora con la Merkel, con Herman Van Rompuy, con Barroso, loro si fidano di me e ho promesso che faremo bene e in fretta" ripete il presidente del Consiglio. A Palazzo Chigi, da un lato, sono portati a minimizzare l'uscita del portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Ma quell'allarme sull'eccessivo ricorso alle misure antievasione per recuperare risorse è ponderato, nasce da consultazioni e briefing informali tra le autorità a Bruxelles. D'altronde, andava in quella direzione anche l'avvertimento a "non annacquare le misure adottate ad agosto", lanciato dal presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet nell'intervista di ieri al Sole24ore in cui si legge una chiara minaccia sulla possibilità che Francoforti non compri
più i nostri bot.

In ogni caso, Berlusconi si ritiene responsabile fino a un certo punto della situazione di incertezza generata anche oltre confine.
Se c'è un "artefice" dei tentennamenti che hanno generato confusione, quello è il suo ministro dell'Economia. È stato l'inquilino di via XX Settembre a fare della sterzata sulla lotta all'evasione il marchio di questa manovra. Tanto più dopo le correzioni apportate proprio da Tremonti due giorni fa con i "suoi" emendamenti depositati in commissione al Senato. "Non ha la bacchetta magica e lo hanno capito anche in Europa" è una delle considerazioni più amare che alti dirigenti Pdl hanno sentito pronunciare dal premier in queste ore. E tanto basta a questo punto per convincere ancor più il presidente del Consiglio del fatto che non sia rinviabile oltre un intervento sull'Iva.

Aumentare di uno-due punti l'imposta con un blitz della presidenza del Consiglio, come lo stesso Berlusconi ha ipotizzato da Parigi.
Ma non nei prossimi mesi, come preferirebbe il responsabile dell'Economia. "Non c'è altra strada per recuperare risorse certe e in tempi rapidi per rassicurare l'Europa e i mercati", va ripetendo il capo del governo ai ministri più fidati. Tutto questo mentre non solo a Bruxelles maturano i primi dubbi sulle misure antievasione che pure - assicurano dal Tesoro - garantirebbero un gettito quantificato dalla Ragioneria. Ma già il vicecapogruppo al Senato Gaetano Quagliariello invita per esempio a riflettere meglio sulla pubblicazione dei redditi dei contribuenti on line. Misura che sembra non abbia fatto esultare di gioia lo stesso Berlusconi.

Ma queste sono davvero ore di grande concitazione. Lo scontro che poi in serata si fa frontale tra Roma e Bruxelles chiude un venerdì già di suo abbastanza nero. Segnato dal nuovo tonfo di Piazza Affari, che perde quasi il 4 per cento, e dal differenziale tra i buoni del Tesoro i Bund tedeschi che torna a superare quota 330 punti, come nelle giornate d'agosto più infauste per la borsa italiana. Mentre la maggioranza è già andata sotto in un'occasione sull'esame della manovra in commissione Bilancio.

Una situazione complessiva che il Quirinale tiene sotto controllo ora dopo ora, con una buona dose di preoccupazione. I moniti lanciati dalle autorità comunitarie non sono stati presi affatto sotto gamba al Colle. Non fosse altro perché il rigoroso rispetto dei saldi della manovra, l'obiettivo dell'azzeramento del deficit, le riforme per favorire la crescita sono i paletti che già il presidente Napolitano ha richiamato a più riprese nelle scorse settimane. Invitando le forze politiche a un dialogo e a un confronto sui conti da risanare che invece non è mai decollato. E rischia di non decollare mai, se è vero - come ipotizzavano ieri sera a Palazzo Madama - che un governo che vuol fare quanto più in fretta possibile si prepara a porre la fiducia al decreto non solo alla Camera, ma anche la settimana prossima in aula al Senato.

Fare in fretta d'altronde è il diktat imposto da Arcore da un presidente del Consiglio che ha già sulle spine per le sue faccende private. Turbato e innervosito dall'inchiesta napoletana che ha portato in carcere Tarantini e schiaffato sui giornali le imbarazzanti intercettazioni sul caso escort. Un motivo in più per premere sull'acceleratore del giro di vite, già previsto dal ddl approvato in Senato e in procinto di essere discusso alla Camera. Non a caso berlusconiani di stretta osservanza come Cicchitto e Osvaldo Napoli preannunciano fin d'ora che il testo andrà "anticipato e messo in calendario subito dopo l'approvazione della manovra".

(03 settembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/03/news/ira_berlusconi_bruxelles-21169396/?ref=HREA-1
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« Risposta #64 inserito:: Settembre 04, 2011, 05:09:13 pm »

IL RETROSCENA

E il Cavaliere avverte gli alleati "Il Colle sa che se cado si va al voto"

La paura per la riapertura domani dei mercati. Il pressing su Tremonti. 

Il Pdl avverte che se ci fosse un altro crollo in borsa, il ministro del Tesoro dovrebbe lasciare.

Il titolare dell'Economia fa sapere che il suo destino è legato a quello del premier

di CARMELO LOPAPA


L'incubo mercati e lo spettro della crisi. E un avvertimento del Colle che lascia intatto lo stato di allerta. "Napolitano è stato corretto, ha messo in guardia tutti i complottisti che sono al lavoro contro di me fuori dal Parlamento". È questo l'apprezzamento che, in prima battuta, Berlusconi ha condiviso coi suoi da Arcore. Ma il risvolto neanche tanto implicito di quell'intervento dell'inquilino del Colle rivolto agli economisti di Cernobbio è piaciuto molto meno, al presidente del Consiglio. Il Quirinale ha fatto riferimento a quel che accadrebbe in caso di crisi, ai poteri che la Costituzione riconosce al capo dello Stato, dunque al "piano B", che contempla la possibilità che le Camere non vengano sciolte. "A Napolitano deve essere chiaro che se cade il mio governo si va al voto - è stato lo sfogo in seconda battuta del premier - Non ci sono alternative, soprattutto non ci sarà mai un governo tecnico: noi non lo sosterremo mai".

È un lungo fine settimana col fiato sospeso, quello che si sta vivendo in queste ore lungo l'asse Villa San Martino-Palazzo Chigi, in attesa della riapertura delle borse di domattina. I segnali recapitati da Bruxelles negli ultimi giorni, gli avvertimenti sulla manovra italiana ballerina, non sono stati rassicuranti. Tanto meno lo è stata la chiusura di Piazza Affari venerdì scorso. La preoccupazione fa capolino tra dirigenti e ministri pidiellini, mentre il decreto salva-conti completa l'iter in commissione al Senato e si appresta a passare all'esame dell'aula, da martedì. Il timore che confidano in tanti tra loro è che un eventuale crollo dei mercati domani possa far precipitare titoli e situazione finanziaria. In quel caso, sostengono i berlusconiani, "Tremonti dovrebbe farsi da parte". Il tam-tam è insistente in queste ore: il sacrificio sull'altare della crisi del ministro inviso ai più, dentro il partito.

Ma è una previsione che, sebbene per lui "comoda" sotto certi profili, il Cavaliere preferisce non fare. Il premier sa bene infatti che se tutto precipitasse fino a quel punto, anche per lui sarebbe difficile tenere in piedi il governo. Il timone della barca alla deriva rischierebbe a quel punto di sfuggirgli di mano. I due ormai ex inseparabili, il presidente e il professore, si reggono sempre più a vicenda. Tanto più che il capo dello Stato ieri è stato abbastanza nel descrivere il recinto entro il quale intende muoversi in caso di crisi, che è poi quello che gli riconosce la Carta costituzionale. Il governo c'è finché la maggioranza parlamentare regge. Se questo presupposto dovesse venire meno, allora lo scioglimento delle Camere non sarebbe affatto l'unico approdo. Non certo il primo. Esiste d'altronde un precedente che il Quirinale terrebbe in considerazione, quello della nomina di un governo tecnico alla Ciampi (1993) che ha segnato un'altra fase assai turbolenta della Repubblica. Nessuna intenzione di interferire nelle vicende politiche, da parte del presidente Napolitano. Consapevole tuttavia dei suoi poteri in caso di crisi e ancor più convinto che il ricorso alle urne non sarebbe la via preferibile mentre il paese è sotto attacco speculativo.

Berlusconi prova perciò a uscire indenne dalla tempesta. Resa ancora più insidiosa dal nuovo ciclone giudiziario che, sulla scia dell'arresto di Tarantini, sta riportando alla ribalta scandali privati e vulnerabilità pubblica del premier. Sebbene un ministro lo descriva "incazzato, più che preoccupato" dopo l'interrogatorio della fedelissima segretaria Marinella Brambilla e alla vigilia di una sua possibile convocazione da parte dei pm napoletani. Come se non bastasse, la doccia gelata fatta scendere in serata da Calderoli sulla prospettiva di una ricandidatura del leader Pdl alla premiership nel 2013 non fa che accrescere le incognite sul futuro della coalizione e, soprattutto, su quello personale del premier. La parola d'ordine dettata da Arcore dunque è portare a casa al più presto la manovra. Raccontano che il presidente del Consiglio abbia seguito anche ieri a distanza i lavori in corso in commissione al Senato, intervenendo in prima persona sui suoi sottosegretari per far cancellare la norma che prevede la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi on line. Perché passi pure l'intensificazione della lotta all'evasione, come ha voluto Tremonti, ma raccontano che Berlusconi quella disposizione "da stato Torquemada" non vuole leggerla più nemmeno nella bozza del provvedimento.

(04 settembre 2011) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/04/news/berlusconi_voto-21201113/?ref=HREA-1
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« Risposta #65 inserito:: Settembre 07, 2011, 05:33:42 pm »

di CARMELO LOPAPA




Nuova manovra in cantiere a Palazzo Grazioli. Mentre per le vie di Roma, come in un tutte le piazze d’Italia, sfila un fiume di manifestanti convocati dalla Cgil contro la manovra, il premier Berlusconi fa precipitosamente rientro nella capitale. La Borsa piomba in un profondo rosso. Il differenziale dei titoli italiani con quelli tedeschi continua a restare altissimo. E governo e maggioranza sono costretti a correre ancora una volta ai ripari. Soprattutto dopo il monito del capo dello Stato, che ieri sera ha invocato nuove, più efficaci misure per far fronte a un’emergenza finanziaria senza precedenti.
Al Senato in queste ore inizia l’esame in aula della manovra. Ma quella che deve essere discussa a Palazzo Madama rischia di non essere affatto la versione definitiva. Nella residenza del premier è già allo studio il nuovo impianto del decreto. Probabilmente un maxi emendamento nuovo di zecca che – stando alle indiscrezioni che filtrano in queste ore – potrebbe contenere da subito quell’aumento di un punto dell'Iva a lungo discusso e già proposto dal presidente del Consiglio.  In discussione, anche la possibilità che al nuovo maxi emendamento venga apposta la fiducia, per accelerare ulteriormente i tempi e approvare il tutto entro domani sera. Ovvero prima che a Francoforte si riunisca giovedì il consiglio direttivo della Bce.
Occorre inviare segnali rassicuranti alle Borse, ma anche ai partner europei e ai vertici della Banca centrale. Dunque, aumento dell'Iva e, in prospettiva, ritocco del sistema previdenziale. Quel che il governo esclude è che si possa rimettere mano invece al discusso articolo 8 del decreto, quello che liberalizza i licenziamenti nelle imprese con il permesso dei sindacati. Ancora una volta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, a margine della manifestazione di piazza a Roma, è tornato a chiedere lo stralcio della disposizione, la più contestata dalla Cgil e da tutto il centrosinistra. Invano. Il ministro del Welfare Sacconi chiude con un perentorio “non se ne parla”. Il sindacato dunque scende in piazza e avvia una mobilitazione che non si fermerà alla protesta di oggi. Contro la manovra, ma anche “contro il governo: perché vogliamo un paese migliore” attacca la segretaria Susanna Camusso.

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #66 inserito:: Settembre 24, 2011, 11:50:45 am »

IL RETROSCENA

Tremonti vuole resistere "se vogliono, mi sfiducino"

Il ministro dell'Economia in bilico. Berlusconi "sonda" Grilli e attacca la Marcegaglia.

Il direttore generale del Tesoro ha declinato l'offerta avanzata da Gianni Letta

di CARMELO LOPAPA


"Provino a cacciarmi, se ne hanno la forza". La trincea di Giulio è una barricata eretta al "fronte" di Washington, tra ministri economici del G20 e vertici del Fmi alle prese con la crisi globale. Resiste, Giulio Tremonti, all'assedio con il quale in quelle stesse ore lo cingono da Roma i pretoriani del Cavaliere. Chiaro che quella sfilza di peones e dirigenti che chiedono la sua testa accusandolo dell'assenza al voto su Milanese, prende le mosse da un input del presidente del Consiglio. L'inquilino di via XX Settembre ha la conferma di essere stato "sfiduciato" quando al risveglio, alle sette del mattino negli Usa (sono le 13 in Italia), i suoi gli confermano che da Palazzo Chigi non è arrivata alcuna smentita delle accuse attribuite al premier da tutti giornali: "Giulio immorale", "prima si dimette meglio è".

Tremonti chiama sottosegretari e collaboratori al ministero dell'Economia e rassicura. Se in questo caos il presidente del Consiglio non si fa da parte, è la tesi, non vede la ragione per la quale dovrebbe farlo lui. "Io sono qui a lavorare per l'interesse del Paese e Silvio che fa? Mi vuole sfiduciare? Se ne ha la forza mi cacci, provino a farlo, se ne sono capaci" è lo sfogo del ministro con i pochi che hanno avuto modo di parlargli. Sicuro di sé anche perché consapevole di quanto Berlusconi stesso e il suo governo rischino di essere travolti dall'eventuale siluramento del responsabile dell'Economia, tra borse che rimbalzano, titoli al ribasso e spread schizzato oltre i 400 punti. Per non dire del Quirinale che, in una fase così delicata e critica, sarebbe per nulla propenso a sostituire in corsa Giulio Tremonti per affrontare un salto nel vuoto o addirittura un interim. Il professore di Sondrio dunque continua a tessere la sua tela.
E a coltivare i suoi rapporti internazionali. Un breve incontro con il direttore generale dell'Fmi Christine Lagarde, poi il suo collega israeliano. Come nulla fosse.

Nelle stesse ore, a Roma, il presidente del Consiglio tesse altro genere di tele, con l'obiettivo dichiarato di disarcionarlo, o meglio, di costringerlo alle dimissioni. Ma intanto deve fronteggiare l'accerchiamento - non solo quello delle inchieste - che si fa sempre più asfissiante. La leader degli imprenditori Marcegaglia torna ad attaccare il governo, a invocare il cambiamento, pronta ormai a guidare la "rivolta" di Confindustria ("Salviamo noi l'Italia"). Berlusconi, raccontano, è furente dopo l'ultimo exploit: "La presidentessa è a fine mandato. Pensa al suo futuro in politica e di poter diventare il leader che il centrosinistra sta cercando" è il commento velenoso che gli attribuiscono. Certo, l'accerchiamento il governo lo avverte eccome, "c'è una elite lontana dal popolo che lavora contro il governo" va ripetendo Maurizio Sacconi anche alla kermesse Pdl organizzata da Alemanno alla quale partecipa con Alfano nel pomeriggio.

Ma in cima alle preoccupazioni del Cavaliere c'è soprattutto Tremonti e la risoluzione del rapporto. Non ne avrà parlato giusto con Sabina Began - 90 minuti nella residenza del premier - ma è il nodo al centro dei colloqui che seguono a Palazzo Grazioli con Angelino Alfano e poi con Renato Brunetta. Berlusconi lascia trapelare, non a caso, che i decreti per il rilancio dell'economia sono già in gestazione a Palazzo Chigi, che il ministero nei fatti è "esautorato". Ma si prepara alla guerra intestina, convinto com'è che "tanto Giulio non lascerà, perché sa bene che con le dimissioni uscirebbe di scena per sempre".

E così, ha tutto il sapore della provocazione, che non dell'effettivo tentativo di convincere l'interlocutore, il sondaggio riservato fatto nelle ultime ore con Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro. L'invito affinché accetti il dicastero di via XX Settembre viene rivolto dallo stesso Berlusconi e da Gianni Letta, nell'eventualità remota che il ministro getti la spugna. Grilli, uomo forte di Tremonti - scavalcato dal direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni nella corsa alla successione a Draghi alla guida di Palazzo Koch - avrebbe cortesemente declinato la proposta, com'era prevedibile. Ma il fatto che sia stata avanzata è risuonato come l'ennesimo avvertimento all'indirizzo del ministro. Come pure lo è la girandola di nomi che dal quartier generale di via dell'Umiltà hanno iniziato a far girare ventilando una successione: da Maurizio Sacconi ad Antonio Martino. Pedine improbabili.

Tremonti resta dov'è, quasi a ripetere quel "hic manebimus optime" già proclamato il 13 luglio scorso. Sempre più isolato, questo sì, ora che anche la sponda leghista appare meno solida per lui. Raccontano i dirigenti di via Bellerio che l'assenza al voto su Milanese abbia sorpreso e amareggiato anche il Senatur, che pure ha dovuto ingoiare il rospo al cospetto della sua base. "Giulio è stato scandaloso" è lo sfogo al quale si è abbandonato Umberto Bossi, amico di sempre del ministro. Tremonti resiste. Ma al rientro a Roma tutto sarà più difficile.


(24 settembre 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #67 inserito:: Ottobre 07, 2011, 04:54:27 pm »

RETROSCENA

La fronda dei 45 parlamentari fra incontri segreti e raccolta di firme

Deputati e senatori del Pdl chiedono "un atto di discontinuità".

Scajola sulla voglia di elezioni di Bossi: "Semina una paura che può portare altri verso di noi"

di CARMELO LOPAPA

 
ROMA - I contatti che erano quotidiani, sono diventati febbrili, incessanti, continui. Trenta deputati, quindici senatori della maggioranza. E un progetto comune. Nelle ultime ore è maturata la scelta di uscire allo scoperto, alla luce del sole, con un documento, firme nero su bianco, da portare al Cavaliere invocando "discontinuità". "Non vogliamo fare i ribaltonisti", bocciata l'idea di approfittare del prossimo voto segreto a Montecitorio, magari sulle intercettazioni, per mandare per aria il governo. Invece no, niente "operazione Valkiria".

Delle due opzioni si è discusso a lungo due sere fa in un ristorante romano, quando attorno a Claudio Scajola si sono ritrovati deputati (Da Berruti e ad Abrignani, da Cassinelli a Cicu, Scandroglio, Antonione, Gava) e senatori (Orsi, Lauro, Scarpa Bonazza). Hanno prevalso i moderati sui falchi. Questo stesso giorno, mercoledì pomeriggio, sul da farsi ad horas si erano interrogati nello studio del presidente della Camera, con Gianfranco Fini, anche il senatore Pdl Beppe Pisanu, e gli altri leader del terzo polo Casini e Rutelli. Il gabinetto di guerra è ormai permanente. Non si è discusso d'altro anche ieri. E l'uscita di Bossi sul voto anticipato al 2012, come commentava in serata Scajola con i suoi, diventa un'insperata mano d'aiuto per coinvolgere nel progetto le decine di deputati che non hanno alcuna intenzione di andare a casa un anno prima. Le firme, nei loro auspici, potrebbero diventare 50 e più. Dunque, un documento, per invitare il premier
ad accettare la svolta, intestarsela perfino, indicando una figura di spessore in grado di guidare un nuovo esecutivo d'emergenza con due finalità: approvare misure anticrisi e una riforma elettorale, nello scorcio di legislatura. E il tam tam tra Montecitorio e Palazzo Madama rimbalza con insistenza anche i nomi dei due candidati per l'operazione. Figure di peso e soprattutto di massima fiducia per il Cavaliere. Il più autorevole, il presidente del Senato Renato Schifani, e il braccio destro di sempre Gianni Letta.

Una "svolta", comunque, perché questo esecutivo non è in grado di affrontare la crisi, dice ormai apertamente Pisanu. Lo chiama "un governo dei migliori", Scajola. La settimana scorsa sedevano assieme a Casini e Roberto Formigoni nel salotto del banchiere ed economista cattolico Pellegrino Capaldo. Anche lui tra gli invitati all'appuntamento che quella fetta dell'establishment cattolico si è già dato per il 17 ottobre a Todi, alla presenza del presidente della Cei Angelo Bagnasco. In agenda non c'è la costituzione di un partito dei cattolici, che d'altronde nemmeno la Conferenza episcopale ha auspicato. Quel che è certo è invece che dai rami secchi del Pdl sta per nascere qualcosa di nuovo. Sotto la regia dei due pezzi da novanta Pisanu e Scajola - ex diccì e grandi catalizzatori di voti - starebbero lavorando a una nuova formazione "Liberal democratica" da lanciare a breve. Comunque alternativa a quel Pdl di Alfano, esordito come "partito degli onesti" e ormai quasi fagocitato dal "forza gnocca" berlusconiano. Nelle intenzioni di chi è all'opera, dovrebbe essere una forza in grado di aggregare laici e cattolici e alla quale oltre ai due big e ai parlamentari a loro vicini guarderebbero con interesse in tanti, da Pera a Dini. Un soggetto nuovo di zecca destinato fin dagli esordi a dialogare con Casini e Fini e dunque con il terzo polo già esistente.

Ma le elezioni sono lontane, nei disegni di chi si appresta intanto a invocare per iscritto una svolta in tre punti: no a "dannose elezioni anticipate", un governo di larghe intese (fosse pure esteso al solo terzo polo) per gestire l'emergenza della crisi, legge elettorale con preferenze. Non solo Scajola e Pisanu, in fermento nella maggioranza. Ieri il cristiano popolare Baccini (con lui Galati e Soglia) ha suggerito al premier di non ricorrere alla fiducia sulle intercettazioni. Un invito a non rischiare. Perfino l'ex generale Roberto Speciale si dichiara "a disagio". Versace ha già lasciato, i "responsabili" Sardelli, Milo e Iannaccone chiedono "aperture". Per non dire di Micciché coi suoi sudisti. Berlusconi i tamburi di guerra li avverte eccome. Continua a ripetere che i suoi, scajoliani compresi, non lo "tradiranno". Intanto, ieri mattina si è materializzato di buon'ora alla Camera nonostante ci fossero normali votazioni sul ddl intercettazioni. Una presenza per "rassicurare", spiegano dall'entourage. "Per mettere in guardia chi cospira" a sentire chi lavora già al dopo-Cavaliere.

(07 ottobre 2011) © Riproduzione riservata

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« Risposta #68 inserito:: Ottobre 10, 2011, 03:53:04 pm »

Il retroscena

Il Cavaliere rilancia la campagna acquisti "Non avranno i numeri per sfiduciarmi"

Il premier rientrato dalla Russia accusa i "poteri forti".

Sul piatto, per far rientrare la spaccatura, ruoli di peso nel partito e nel governo.

Ma i frondisti sono pronti ad andare fino in fondo. Anche Alemanno al vertice dei dissidenti

di CARMELO LOPAPA


SI È CONVINTO che "una regia esterna stia provando a mettere insieme i pezzi, ad approfittare dei malumori interni per farmi fuori". E si dice altrettanto certo che "falliranno anche stavolta". È appena rientrato ad Arcore dal piacevole weekend in dacia tra San Pietroburgo e Mosca. "Ritemprato, tonico e motivato" come racconta un uomo di governo che lo ha sentito.

E il Cavaliere offre già nel pomeriggio ad alcuni dei suoi al telefono la sua lettura di quanto sta maturando negli ultimi giorni a Roma. "Io mi occupo di cose serie, sono già al lavoro sul decreto sviluppo" lascia trapelare ostentando sicurezza. I malpancisti "non hanno dove andare", insomma, lo sfiducino se ne sono capaci. Confida nel fatto che il fortino delle Camere reggerà come avvenuto il 14 dicembre, come sempre.

Il fatto è che i "frondisti" (che detestano essere definiti tali) sono pronti ad andare fino in fondo, come mai in passato: "Non hanno capito che facciamo sul serio" raccontano in anonimato. La promessa di un faccia a faccia Alfano-Scajola per metà settimana, forse mercoledì, non avrebbe sortito gli effetti sperati. Anche perché l'ambasciata informale è già avvenuta, l'offerta si concretizzerebbe in "ruoli di peso" nel partito, negli organismi dirigenti locali che si stanno formando, addirittura un posto da ministro per lo stesso Scajola.

Magari, azzarda un berlusconiano della cerchia ristretta, dopo uno spacchettamento
del ministero dell'Economia e la concessione a Tremonti del governatore di Bankitalia Vittorio Grilli. Paolo Romani si sposterebbe e lascerebbe così vacante il ponto da restituire all'ex ministro ligure due anni dopo.

Ma né Scajola né i suoi mangiano la foglia, per lo spacchettamento occorrerebbe modificare la legge Bassanini, ragionano, un decreto non basterebbe, non ci sono i tempi, ammesso che bastasse. Il gruppo dei dissenzienti tra Camera e Senato resta compatto e acquista peso. Deputati e senatori si vedranno martedì sera, e all'incontro, con i due big Pisanu e Scajola, dovrebbe partecipare anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno che con i suoi ha confermato ieri la propria disponibilità ad andare a "vedere le carte". È la conferma di quanto la partita si faccia complicata per Berlusconi. Quanto sia diventato concreto il rischio di una crisi al buio.

Il premier ha perciò deciso di rimettere in pista l'artiglieria pesante. In una riedizione della campagna acquisti in stile 14 dicembre. Il segretario Pdl è l'ambasciatore ufficiale con Scajola, ma le trattative, quelle "vere", il Cavaliere le ha delegate a Denis Verdini. Il coordinatore, destinato a indossare i panni del Mr. Wolf di Pulp Fiction ("Risolvo problemi") è stato lanciato in una sorta di "caccia all'uomo".

Nel mirino, uno per uno, gli scajoliani. Alcuni sarebbero stati già avvicinati. Altri lo saranno a Montecitorio. L'obiettivo è fare terra bruciata attorno all'ex ministro: l'unico big dissidente che nel radar di via dell'Umiltà è considerato davvero "pericoloso" perché dotato di "truppe". Si va dalla proposta della ricandidatura, all'invito a desistere da documenti di rottura o sfiducia, se non si vorrà vedere compromessa appunto la rielezione. Loro non desistono, per ora: "Nuovo governo e nuovo programma".

Anche se a Palazzo Chigi smorzano. "Si tratta solo di un dibattito interno, che non darà luogo ad alcuna frattura - sostiene il portavoce del presidente, Paolo Bonaiuti - L'unità del Pdl è sempre prevalsa e sarà così anche questa volta". Qualcun altro, come il sottosegretario Daniela Santanché, ricorda che "siamo alla vigilia dei congressi, posizionamenti e dibattiti sono fisiologici: Scajola e Formigoni non lasceranno. Di più: è imminente un ulteriore allargamento della maggioranza".

Tatticismi e guerra di posizione. Molto interna al partito, in cui ieri non è passato inosservato l'ennesimo giuramento di fedeltà di Angelino Alfano ("Berlusconi non si accantona"), dopo che il segretario era finito in un cono d'ombra per aver alluso in un intervento a Milano alla debolezza del premier. L'ex Guardasigilli resta dunque al suo fianco nel bunker, chiudendo le porte a Casini, a Formigoni e a chi nel Pdl chiede una svolta.

In questo clima, non proprio dei migliori per la maggioranza, si apre la settimana cruciale del ddl intercettazioni alla Camera. Ma il governo è atteso al varco soprattutto sul decreto sviluppo, rimasto finora una scatola vuota a dispetto della "scossa" invocata da Scajola.

Anche oggi da Arcore il premier sentirà alcuni esperti di economia per lavorare alle misure, che difficilmente vedranno la luce entro metà ottobre come promesso, e sembra invece abbia deciso per adesso di congelare l'opzione condono.  Non solo per i veti di Tremonti, ma anche per quelli di Bossi. Meglio rinviarlo a un prossimo provvedimento. Anche se in via XX Settembre già tremano al calcolo delle ricadute che lo stop and go sul ventilato colpo di spugna potrà avere già sull'acconto Irpef dei lavoratori autonomi a novembre.
 

(10 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #69 inserito:: Ottobre 13, 2011, 12:02:37 pm »

CRISI NELLA MAGGIORANZA

Scajola: "Fiducia, poi ci smarchiamo"
E pensa a un nuovo soggetto politico

Frenata dei frondisti del Pdl di fronte al voto sul discorso programmatico del premier.

Incontro di due ore tra Berlusconi e l'ex ministro: "Silvio, da amico, ti conviene dimetterti".

Poi propone un rimpasto per un governo-bis. Quasi pronto il 'documento sulla discontinuità'

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Il voto di fiducia sarà pure "al presidente Berlusconi e non a questo governo", come ha spiegato ieri sera a cena Claudio Scajola a una quindicina di parlamentari a lui più vicini, riuniti ancora una volta in un ristorante romano. Certo è che per chi, tra i suoi, si preparava fin d'ora a "staccare la spina" all'esecutivo in agonia, la decisione assunta dall'ex ministro ha avuto tutto il sapore della frenata.

Del resto, matura dopo il secondo pranzo in due giorni col Cavaliere a Palazzo Grazioli. Altre due ore di confronto serrato, a quattr'occhi, sulla soluzione migliore per uscire dalla crisi. "Per come si sono messe le cose, dovresti fare un passo indietro, è la via d'uscita che più ti conviene" è stato il suggerimento schietto, "da amico", di Scajola. "Nessuno ti può obbligare, sia chiaro, sarà una valutazione tua". Ma l'ennesimo crollo in aula dimostrerebbe a suo dire che "il rilancio non basta, bisogna allargare la maggioranza, aprire a Casini".

Il premier tuttavia non ha alcuna intenzione di accettare la condizione posta dal leader Udc, ovvero le dimissioni. Per lui sarebbe una sconfitta, l'ammissione di un fallimento. Altra cosa la disponibilità - che Berlusconi oggi ribadirà nel suo intervento - a dialogare coi moderati. Se non un nuovo premier, almeno si dia vita a un nuovo governo, è stato il secondo rilancio di Scajola: un Berlusconi-bis, ricambio ai ministeri strategici, a cominciare
dall'Economia. Ipotesi che il presidente del Consiglio ha promesso di prendere in considerazione.

Come pure l'ex ministro avrebbe invocato un ricambio ai vertici del gruppo, anche alla luce della "scarsa tenuta" sul rendiconto dello Stato, e una riorganizzazione del partito e dei congressi con le tessere: "Non possono continuare a esistere i tre vecchi coordinatori col nuovo segretario". Su tutto il capo del governo ha annuito, ha apprezzato i suggerimenti, ha preso tempo.

Alla fine, Berlusconi dirà a capigruppo e ministri pidiellini di aver "recuperato Claudio e i suoi" e di potersi ora occupare di rilanciare il governo col voto di fiducia di domani, considerato scontato.

Scajola sarà più cauto, raccontando in serata quanto avvenuto ai parlamentari. Li aveva convocati e ascoltati già in mattinata per due ore, prima di tornare dal premier. Una strategia concordata con Beppe Pisanu e Roberto Formigoni, con i quali i contatti telefonici restano costanti. Domani voto di fiducia, passaggio che i "malpancisti" ritengono "inevitabile". Scajola non ha ancora deciso - ma è probabile - se prenderà la parola in aula domani per sottolineare quel che non va.

A seguire, qualcuno sostiene già da domani, la pubblicazione del documento per la "discontinuità", sul quale la raccolta di adesioni è già in corso. Le firme tuttavia non sono sufficienti a dar vita a un gruppo parlamentare. L'obiettivo allora diventerà il "logoramento" quotidiano, finché non sarà Berlusconi a decidere di gettare la spugna.

"Di certo da domani tutto non potrà proseguire come prima - spiega uno degli scajoliani più impegnati - Dovremo smarcarci, creare una componente strutturata che tratti sui singoli temi, che abbia una propria autonomia".

E il modello pensato è quello del Forza del Sud di Micciché. Primo terreno di battaglia, il decreto sviluppo. Al Senato, accanto a Pisanu stanno lavorando altri pidiellini quali Baldini, Amato, Saro, Orsi, Lauro, Scarpa Bonazza. Alcuni dei cosiddetti frondisti hanno ricevuto ieri la telefonata "rassicurante" di Angelino Alfano. Il segretario in pubblico getta acqua sul fuoco: "Nessuna fronda, un normale dibattito, con Scajola un franco dialogo nel partito".

E le dichiarazioni ufficiali dei deputati vicini all'ex ministro non sono distanti. "Da Scajola e dai suoi amici mai una sfiducia a questo governo" dice Michele Scandroglio. Ignazio Abrignani precisa: "La fiducia a Berlusconi non è in discussione". Anche al governo? "Fiducia in Berlusconi". La voteranno pure i tre "responsabili" in fibrillazione (Sardelli, Milo e Marmo), non così Santo Versace, già ex Pdl, perché "serve un esecutivo di unità nazionale", e nemmeno Calogero Mannino. Mancherà anche il voto di Pietro Franzoso, degente in ospedale. Assenze ininfluenti, calcola tuttavia il pallottoliere di Verdini.
 

(13 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #70 inserito:: Novembre 23, 2011, 10:19:22 pm »

Il caso

Sottosegretari, il premier congela tutto prima i partiti devono trovare un accordo

Veti e controveti negli schieramenti, Catricalà rinvia gli incontri per le nomine.

Commissioni, alt di Bindi a Bossi.

Possibile entro domani un contatto tra i segretari di Pd, Pdl e Terzo polo 

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Fermate i motori. Trattative in stand-by e incontri di oggi congelati, per la formazione della squadra di viceministri e sottosegretari. Troppi veti incrociati e dibattiti ritenuti "sterili" da Palazzo Chigi, in particolare su alcune delle deleghe più "calde", dalla Giustizia alle Telecomunicazioni. Tanto più in un momento così delicato: il presidente del Consiglio è alle prese col varo dei primi interventi economici ed è concentrato sulle missioni di domani e giovedì tra Bruxelles e Strasburgo.

Così, Mario Monti ha intimato uno stop al sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, incaricato di tenere i rapporti con le segreterie di Pd, Pdl e Terzo polo per la scelta dei 35 componenti mancanti del governo.

Non solo perché il nodo si rivela più ingarbugliato del previsto e lo stesso premier intende occuparsene mercoledì (nella pausa romana tra i due vertici Ue) o più probabilmente venerdì. Ma soprattutto perché il Professore vuole che "i partiti raggiungano tra loro un'intesa preliminare" sulle deleghe e sulle rose di nomi.

Nei pochi contatti telefonici intercorsi nel fine settimana tra le segreterie, non è stato escluso che già tra stasera (al rientro dalla due giorni trascorsa all'estero da Angelino Alfano) e domani i big dei partiti che sostengono l'esecutivo possano avere un primo incontro informale, per confrontarsi e chiarirsi.

D'altronde, sembra essere
questa la prassi prediletta d'ora innanzi dal premier, già collaudata sulla scelta dei ministri, coi vertici Alfano-Bersani-Casini durante le consultazioni.

La giostra di nomi per i posti nei dicasteri continua a girare vorticosa, a quelli circolati nel fine settimana si aggiunge adesso quello di Teresa Petrangolini, fondatrice del Tribunale per i diritti del malato, in corsa per una delega al Welfare, con la doppia sponda centrista e pd.

I problemi sono altrove. Coi berlusconiani che insistono sulla sponsorizzazione di Michele Saponara alla Giustizia (e i democratici su quella di Massimo Brutti) e con la contesa aperta sulla delega strategica alle telecomunicazioni. Monti ha fatto sapere che la scelta finale sulle rose dei nomi proposte dai partiti sarà sua e dei ministri.

Nel Pdl non sono pochi quelli che, come Guido Crosetto, vorrebbero puntare i piedi. Il Parlamento ritrovi "il proprio ruolo", dice l'ex sottosegretario alla Difesa, e se i ministri scelgono i sottosegretari "come fossero loro assistenti, allora serve un corso veloce sulle regole della democrazia". L'Idv col capogruppo Felice Belisario mette in guardia, al contrario, dalle "manovre sottobanco per lottizzare le nomine e trasformarle nel solito indegno mercato: siano tutti indipendenti". Una linea sulla quale si attesta anche qualcuno (ma non la maggioranza) nel Pd, come Mario Barbi: "Tutti tecnici, o cambia la natura del governo".

Lo scontro nel frattempo si sposta anche sulle commissioni parlamentari. La Lega, unica opposizione, rivendica quelle di garanzia: Copasir (D'Alema) e Vigilanza Rai (Zavoli). Il fatto è che gli uomini di Bossi vorrebbero tenersi anche quelle che già deteneva in maggioranza. Quattro: Bilancio, Esteri, Attività produttive e Ambiente alla Camera, e Politiche Ue al Senato. D'Alema ha già messo a disposizione la sua presidenza. Ma il Pd con Rosy Bindi detta le condizioni. "La Lega decida se essere di lotta o di governo: se vuole il Comitato di controllo sui servizi, rinunci alla presidenza delle altre".
 

(21 novembre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/21/news/sottosegretari_partiti-25332289/?ref=HRER1-1
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« Risposta #71 inserito:: Novembre 23, 2011, 10:20:19 pm »

di CARMELO LOPAPA

Monti prepara la missione Ue la Cgil contro l'Ici

"Oggi è domenica" taglia corto coi giornalisti il presidente del Consiglio intercettato appena uscito da messa in centro, a Roma, per glissare sui dossier che lo stanno impegnando nel primo week end da premier. Perché al lavoro comunque è rimasto, il Professore, in mattinata per almeno due ore a Palazzo Chigi, spostandosi poi nel pomeriggio al ministero dell'Economia di via XX Settembre, dopo un blitz alla mostra in corso alle Scuderie del Quirinale.

Sul suo tavolo, le priorità di indirizzo che saranno affidate a ciascun ministro nel primo Consiglio in programma domattina. Ma soprattutto le misure economiche che saranno oggetto delle prime uscite internazionali previste in settimana. Martedì a Bruxelles, dove Monti incontrerà il presidente Ue Barroso e quello del Consiglio europeo Van Rompuy, e giovedì a Strasburgo per l'atteso trilaterale con Merkel e Sarkozy. La reintroduzione dell'imposta sugli immobili  -  stando a quanto trapela in queste ore  -  rientrerà quasi certamente nel primo pacchetto di interventi. Come pure un ritocco all'Iva e una riduzione di Irpef e Irap per alleggerire la pressione fiscale su persone fisiche e aziende. Sul ritorno all'Ici il segretario della Cgil Susanna Camusso si oppone: "Non può essere il punto di partenza, si può fare un riordino della tassazione sulla casa solo in conseguenza dell'avere cambiato la distribuzione della tassazione quindi partendo da un'imposta sulle grandi ricchezze".

Resta sullo sfondo, per adesso, lo snodo tutto politico dei sottosegretari e vice ministri che il governo deve designare da qui a qualche giorno. Il premier ha già rinviato tutto a fine settimane, forse venerdì. Ma domani, dopo il cdm, il sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà incontrerà i segretari dei partiti che sostengono la maggioranza per trovare un'intesa. Quel che è certo è che non saranno parlamentari in carica ma tecnici di area, che tra vice e sottosegretari non dovranno superare quota 35 e che tra Pd e Pdl esiste un accordo tacito per una distribuzione equa: 13-15 e 13-15 ciascuno, altri 7 al Terzo polo. La scelta finale sui nomi spetterà a Monti e alla sua squadra. Il pidiellino Guido Crosetto protesta: il Parlamento deve ritrovare il "proprio ruolo" e se i ministri pensano di scegliere i sottosegretari "come fossero loro assistenti, allora serve un corso veloce sulle regole della democrazia".

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #72 inserito:: Novembre 28, 2011, 07:20:58 pm »

La trattativa

Intesa sui sottosegretari, tutti tecnici martedì la nomina, quota super al Pdl

Trovata la quadra nell'incontro notturno a palazzo Giustiniani: cinque fedelissimi di Monti, 12 al Popolo della libertà e 13 tra Pd e terzo polo. Non ci sarà spazio per ex parlamentari.

Berlusconi insiste per le deleghe alla Giustizia e alle Telecomunicazioni

di CARMELO LOPAPA

Intesa sui sottosegretari, tutti tecnici martedì la nomina, quota super al Pdl Carlo Malinconico, presidente Fieg, uno dei probabili sottosegretari, con delega all'editoria (ansa)



ROMA - Martedì il Consiglio dei ministri e la nomina dei sottosegretari. Mario Monti non vuole indugiare oltre in una trattativa che rischia di impantanare il governo. L'accordo è stato chiuso, in linea di massima, nel vertice di giovedì notte 1 a Palazzo Giustiniani. Dodici pedine in quota Pdl, 5 vicine al premier, 13 tra Pd e Terzo polo. Fuori tutti i politici, alla fine anche gli ex parlamentari: solo tecnici (di area). Sul tavolo resta il nodo Vittorio Grilli.

L'incontro dei tre leader Alfano, Bersani e Casini con il presidente del Consiglio è stato smentito dalle tre segreterie. Non da Palazzo Chigi, d'altronde fonti ben qualificate dei tre partiti, nelle stesse ore, hanno confermato una notizia colorata di giallo. Col probabile ingresso dei big a Palazzo Giustiniani (dove ha ufficio Monti) attraverso il tunnel che lo collega al Senato.

Al buio della sera, per evitare "foto di gruppo" giudicate imbarazzanti da democratici e pidiellini. Il presidente del Consiglio in quella sede ha insistito sulla presenza dei politici. Ma sul punto, il no soprattutto di Alfano è stato categorico. Tramonta così anche l'ipotesi di un ingresso di ex parlamentari (D'Andrea per il Pd, D'Onofrio per i centristi) per i Rapporti col Parlamento. La distribuzione passata assegna al Pdl la quota maggiore (12) perché "partito di maggioranza relativa e per compensare il sacrificio del passo indietro del suo premier" è stato il ragionamento di Alfano, sostenuto nella trattativa da Gianni Letta.

Bersani e Migliavacca per il Pd e Casini e Rutelli per il Terzo polo alla fine accettano metodo (tutti tecnici) e ripartizione. La scelta di politici, soprattutto in casa berlusconiana rischiava di acuire fibrillazioni che - raccontano dirigenti Pdl - già si avvertono tra i "falchi" per il semplice fatto che Alfano e Letta abbiano portato avanti una trattativa. Che chiuderà i battenti lunedì.

Passa intanto la "riserva" del premier. Monti ha chiesto di potersi avvalere di cinque uomini di fiducia. Il Professore vorrebbe viceministro all'Economia Vittorio Grilli, il direttore generale del Tesoro che è stato in corsa, per settimane, per Bankitalia (sponsor Tremonti). L'alto burocrate però ha un'indennità annua da oltre 500 mila euro, che vedrebbe decurtata fino ai 150 mila circa del sottogoverno. È uno degli ultimi nodi da sciogliere.

Il funzionario del Senato Federico Toniolo è un'altra pedina in quota Monti, come il presidente Fieg Carlo Malinconico (delega Editoria), il consigliere della Corte dei conti Paolo Peluffo, il direttore generale della Funzione pubblica Francesco Verbaro, il direttore generale dell'Anci, Antonio Rughetti per gli Interni.

Il Pdl continua a rivendicare le deleghe alla Giustizia e alle Tlc (Roberto Viola). Questo il mandato che Berlusconi ha consegnato al segretario, a Verdini, a La Russa incontrati a Grazioli prima di rientrare a Milano.

Una giornata che ha segnato un ulteriore strappo con Bossi. Il Senatur stronca l'esecutivo a modo suo ("Sono degli improvvisati, è un governo che fa schifo") e commenta a freddo le dimissioni dell'ex premier: "Gli hanno ricattato le imprese, crollate in borsa del 12 per cento in un giorno, e ha dovuto lasciare". Il Cavaliere non ci sta a passare per un ricattato. "Le mie dimissioni motivate dal senso di responsabilità e nell'interesse esclusivo del Paese".
 

(26 novembre 2011) © Riproduzione riservata

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« Risposta #73 inserito:: Dicembre 10, 2011, 10:27:35 am »

La polemica

Indennità, cinquemila euro in meno

Tra i parlamentari scatta la rivolta

Scontro sul decreto del governo che da gennaio taglia gli stipendi di deputati, senatori e di tutte le cariche elettive. Ma loro non ci stanno: "Decidiamo noi, lede l'autonomia del parlamento". Già tagliato il vitalizio

di CARMELO LOPAPA


LA RIVOLTA parte dalla Camera e rimbalza in poche ore al Senato. La norma della manovra Monti che prevede un decreto per tagliare già da gennaio le indennità ai parlamentari  -  e con loro a tutte le altre cariche elettive  -  non passa. "Viola l'autonomia del Parlamento", andrà riscritta. E rivista. Su deputati e senatori si abbatte una nuova scure.

La notizia è che, dopo la cancellazione del vitalizio, tra poche settimane anche l'indennità verrà dimezzata o quasi. E ora è braccio di ferro sull'ammontare del taglio. Stipendio da agganciare agli europarlamentari, è la proposta messa per iscritto dai questori del Senato. No, così le spese raddoppiano anziché ridursi, rilanciano da Montecitorio: meglio la media delle indennità nei paesi Ue.

La prima bocciatura alla stretta arriva dalla commissione Affari costituzionali della Camera, che in queste ore ha espresso parere negativo sul settimo comma dell'articolo 23 della manovra. È la norma che prevede che dal primo gennaio gli stipendi di amministratori, consiglieri, sindaci e parlamentari subiranno un taglio che li equipari ai colleghi europei. A far insorgere le Camere, la previsione del ricorso a un decreto del governo nel caso, ormai probabile, in cui la commissione guidata dal presidente Istat Enrico Giovannini non depositi il previsto studio di comparazione entro fine anno. Nel Parlamento vige l'"autodichia", protestano.

La prima commissione di Montecitorio ha già
bocciato il comma. "Tocca a noi decidere come procedere". Lo stesso accade a Palazzo Madama. "Quell'intervento, giusto nel merito, lede l'autonomia del Parlamento - spiega il senatore questore Benedetto Adragna - Se non lo faranno prima i colleghi della Camera, il nostro collegio dei questori depositerà un emendamento correttivo. Puntiamo all'equiparazione ai parlamentari europei, con tutto ciò che ne consegue".

Il conto è presto fatto. Oggi l'indennità di un deputato italiano ammonta a 11.704 euro al netto della diaria. La media delle retribuzioni nell'eurozona è invece di 5.339 euro e quello sarebbe l'implicito suggerimento del governo Monti. Invece l'eurodepuato, al quale i senatori si vorrebbero agganciare, guadagna circa 5.900 euro netti mensili. Ma a Bruxelles vigono benefit di peso: i collaboratori sono a carico del Parlamento e i rimborsi spese (come i voli) avvengono a piè di lista, dopo presentazione di ricevute, ma sono "pieni".

Così, a Montecitorio i tecnici hanno fatto due conti e hanno scoperto che l'adeguamento all'Europarlamento farebbe quasi raddoppiare i costi della "casta" anziché ridurli. Ecco perché col placet della struttura, alla Camera i relatori alla manovra depositeranno nelle prossime ore un emendamento più in linea col progetto Monti. Spiega il questore di Montecitorio Gabriele Albonetti: "Dobbiamo parametrarci a un regime molto più rigido e individuare quale sia la soglia effettiva delle indennità nette, perché il lordo non fa testo, la fiscalità è diversa da paese e paese".

Quel che è certo è che matura la vera stangata, quella sull'indennità (già decurtata di mille euro a inizio anno). Lamberto Dini si fa portavoce della protesta: "Le nostre retribuzioni sono già sotto la media Ue". Alessandra Mussolini, intervista da "Anna" sostiene che già togliere il vitalizo è istigazione al suicidio", figurarsi il resto. Al rientro degli onorevoli lunedì dal lungo ponte festivo, sarà battaglia.


(10 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/12/10/news/indennit_5mila_euro_in_meno_tra_i_parlamentari_scatta_la_rivolta_di_carmelo_lopapa-26369083/?ref=HRER1-1
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« Risposta #74 inserito:: Gennaio 07, 2012, 10:27:37 pm »

L'INCHIESTA

Ordini, imprese, faccendieri Parlamento ostaggio delle lobby

Otto proposte di legge per rendere le cose trasparenti. Ma prevale un Far West nel quale operano personaggi come l'ex piduista Bisignani.

"Liberalizzare per Monti sarà un'impresa" dice Lanzillotta (Terzo Polo): "La spunta solo se inserisce tutto in pacchetto unico come per la manovra"

di CARMELO LOPAPA e ROBERTO MANIA

ROMA - Una casta nella casta, l'una nascosta dentro l'altra. Come in una matrioska. Si fa presto a dire lobby. Sono partiti, pezzi interi di Parlamento, a farsi consorteria, a curare interessi, a schermare affari. Lobbisti sono gli stessi onorevoli. Anche se a invadere i corridoi di Montecitorio sono sempre più stormi di faccendieri.

Li chiamano "sottobraccisti". Pronti a prendere sotto braccio il parlamentare e spiegare, ammansirlo. Hanno trasformato l'anticamera delle commissioni più delicate - dalle Attività produttive al Bilancio - in un suk.
È accaduto poche settimane fa, quando il governo ha dovuto stralciare dal decreto "Salva Italia" le norme sulle liberalizzazioni. Si ripeterà tra pochi giorni.

L'Antitrust ha dettato la sua ricetta per liberalizzare energia, Poste, servizi pubblici. Monti e Catricalà torneranno alla carica. E gli emissari dei gruppi di interesse sono entrati già in fibrillazione. Avranno una buona sponda all'interno delle Camere.

Ancora una volta, il Parlamento delle corporazioni alzerà le sue barricate. In un gioco ad incastri nell'opacità, senza trasparenza, senza regole, senza controlli. Un Far West in cui poco è cambiato da quando un faccendiere pluricondannato come Luigi Bisignani, piduista e poi protagonista dell'inchiesta sulla P4, è diventato fulcro di operazioni che hanno coinvolto governo, Parlamento, linee strategiche di aziende multinazionali come Finmeccanica o Eni.

È l'ampia zona grigia dell'italico processo decisionale abitata da lobbisti che si travestono da parlamentari, da parlamentari peones succubi dei lobbisti, da migliaia di mediatori senza specifici vincoli di legge, dagli uomini potenti delle relazioni istituzionali dei grandi gruppi industriali, delle banche e delle assicurazioni che si mischiano con quelli dei gruppi di pressione vecchio stile: Confindustria, Confcommercio, sindacati, cooperative rosse e bianche.

E poi, sì, ci sono anche i condizionamenti d'Oltretevere, perché c'è stato - eccome - il pressing della Chiesa nella manovra che ha impedito che la pillola anticoncezionale (fascia C non rimborsabile dal servizio sanitario nazionale) finisse sugli scaffali della grande distribuzione. E a poco è valsa la garanzia del farmacista dietro il banco.

LE CORPORAZIONI IN AULA
Ma perché abbiamo un Parlamento prigioniero delle corporazioni? C'è una lettera (protocollo 20080004354/A. G.) del 16 aprile del 2008 firmata dall'allora presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti, Giacomo Leopardi (alla guida dell'ordine per ben 23 anni) che spiega - involontariamente, sia chiaro - chi sono i lobbisti con indennità da parlamentare.

La lettera è scritta subito dopo le ultime elezioni ed è inviata a tutti i presidenti degli ordini dei farmacisti. "Si fa seguito e riferimento alla circolare federale n.7123 del 10 marzo u. s. per informare che, con riferimento alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile u. s., sono risultati eletti al nuovo Parlamento i seguenti farmacisti. Dott. Rocco Crimi (Pdl), Camera, Dott. sa Chiara Moroni (Pdl, passata poi a Futuro e Libertà, ndr), dott. Valerio Carrara (Pdl), Senato, Dott. Fabrizio Di Stefano (Pdl), Senato. Si evidenzia inoltre che è stato eletto al Senato anche il Dott. Luigi D'Ambrosio Lettieri (Pdl), presidente dell'Ordine dei farmacisti della provincia di Bari e componente del Comitato centrale della federazione".

Ma non è finita: "La scrivente esprime ai farmacisti eletti vivissime congratulazioni e formula loro i migliori auguri di un buon lavoro da svolgere nel rispetto dei valori ordinistici e dei principi fondanti la nostra professione". Uno smaccato conflitto di interessi nella degenerazione del parlamentare-designato chiamato a rispondere al suo capo partito e a nessun elettore.

Così, dopo il partito della Coldiretti, che nella prima Repubblica eleggeva non meno di una trentina di deputati nelle liste della Dc, quello dei farmacisti che ha deciso di giocare la sua partita politica nel centrodestra della seconda Repubblica. Così, non c'è da stupirsi se D'Ambrosio Lettieri è anche il primo firmatario della lettera dei 73 parlamentari anti liberalizzazioni, suddivisi tra Pdl, Io Sud e Terzo Polo. E che firme tra quei parlamentari: da Maurizio Gasparri a Raffaele Fitto, da Maurizio Lupi a Francesco Nitto Palma, da Gaetano Quagliariello a Maria Roccella, da Paolo Romani a Massimo Corsaro. Tutti in prima linea.

In qualche caso, com'è avvenuto per le quote latte, è un intero partito a farsi lobby, sotto le insegne di Alberto da Giussano. Che poi è l'accusa che da destra muovono al Pd quando entrano in gioco le coop. Tra gli scranni siedono 133 avvocati, 53 medici, 23 commercialisti, 13 architetti, 90 giornalisti. I paladini delle toghe si chiamano Maurizio Paniz, Nino Lo Presti, Gaetano Pecorella, tra gli altri. Già in guerra contro il progetto del governo di cancellare l'iscrizione agli ordini, gli esami di Stato e le tariffe minime.

Non ci sono tassisti, nelle Camere. Ma è come se ci fossero. Tutti nella destra: Barbara Saltamartini, Vincenzo Piso, Francesco Biava, scuderia di Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che deve la sua scalata al Campidoglio anche alle 7.500 auto bianche schierate con lui nel 2008. Per la verità uno dei capi della categoria, quel Lorenzo Bittarelli, presidente dell'Uritaxi e della potente cooperativa romana del 3570 ha provato senza riuscirci a entrare in parlamento nelle liste del Pdl.

Ma ai tassisti basta minacciare di bloccare le città per ottenere il risultato. A Roma stanno con la destra, a Milano con la Lega. Per i loro padrini politici, irrinunciabili opinion maker ambulanti, capaci di incidere sul consenso in piena campagna elettorale. In fondo, pensano la stessa cosa dei farmacisti.

LE "CORPORATE" A PALAZZO
Poi ci sarebbero i lobbisti "doc", quelli delle corporate multinazionali che promuovono - quando vogliono - le campagne attraverso i social network. Lo fanno anche in Italia e la politica è costretta a rincorrere. Clamorosa fu per esempio la protesta via web sui costi delle ricariche telefoniche. Dietro pare ci fosse uno degli operatori del settore.

Massima discrezione e super attivismo anche per la lobby delle autostrade. Si chiama Aiscat, rappresenta 23 concessionari che gestiscono 5.600 chilometri di rete. A inizio anno le tariffe autostradali sono già aumentate. Municipalizzate, benzinai, commercianti, banche. Chi come Linda Lanzillotta da anni si batte per aprire uno squarcio alle liberalizzazioni, scuote la testa scettica: "Monti può farcela solo se presenta un pacchetto complessivo, altrimenti addio. Gli salteranno addosso".

I PRIVATI DIETRO I PARTITI
Se ci fosse trasparenza sui flussi di finanziamento della politica sarebbero chiari i collegamenti tra lobby e parlamentari. Avviene negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi a democrazia matura. Da noi no, da noi si finge. Così che la relazione ai presidenti delle Camere del Collegio di controllo sulle spese elettorali della Corte dei Conti rileva che tutte le forze politiche abbiano ricevuto contributi da privati, ma non si sa sempre da chi e soprattutto per quali importi.

Opacità. Non fosse altro perché il finanziamento può restare anonimo fino alla non indifferente soglia dei 50 mila euro. I vantaggi per l'imprenditore che trasferisce denaro ai "cari leader" sono invece consistenti, dato che scatta un diritto alla detrazione del 19 per cento di quanto versato.

Un quadro interessante emerge scorrendo le dichiarazioni depositate alla Camera dei contributi a partiti nazionali e locali e singoli parlamentari nel 2010. La torta che le varie sigle si sono spartita ammonta a 49 milioni di euro in un solo anno. A parte delle centinaia di microversamenti, si scopre ad esempio che Giuseppe Mussari, presidente del Monte dei Paschi e dell'Abi, l'associazione bancaria italiana, risulta essere il mecenate del Pd di Siena: 85 mila euro nel 2009, 100 mila nel 2010.

Il Pdl ha ricevuto 50 mila euro dalla spa Metro C di Roma, 50 da Progetto 90 srl di Roma e 50 dalla Milano 90, entrambe di quel Sergio Scarpellini che è proprietario di una serie di immobili locati dalla Camera (e ora in via di smobilitazione). E poi 80 mila dalla Master immobiliare di Roma, 80 mila dalla Leva srl di Roma, 200 mila dal Consorzio Villa Troili di Roma, 50 mila dalla Mezzaroma Ingegneria srl, 75 mila dalla Italiana Costruzioni spa di Roma e via finanziando fino a quota 4 milioni 700 mila euro.

Mara Carfagna spicca per trasparenza, perché la deputata pidiellina a differenza di altri, pur non essendo tenuta, rende pubblici anche i mini finanziamenti ricevuti nell'anno della sua candidatura in Campania da sette finanziatori, tra cui AirItaly, per un totale di 47 mila euro (sotto soglia).

L'Udc invece nel 2010 incassa 600 mila euro. Dietro, c'è tutto il supporto della famiglia Caltagirone (suocero di Casini): 100 mila euro ciascuna la Caltagirone Francesco, Caltagirone Francesco Gaetano, Caltagirone Gaetano, Caltagirone Alessandro, la Porto Torre spa, la WXIII/E srl di Roma.

Finanziamento non equivale a condizionamento. Questo è chiaro. Ma la trasparenza dei dati spesso aiuta a capire. E in qualche modo risalta l'assenza dei grandi gruppi industriali dalle dichiarazioni pubbliche.

LE LOBBY SUL GOVERNO
In principio era solo Fiat. E gli amministratori parlavano direttamente coi ministri. "Oggi se dovessi stilare una classifica, direi che in Parlamento si muovono parecchio con i loro uomini Eni e Enel, seguiti dalle aziende telefoniche e dagli altri gruppi energetici", racconta il democratico in commissione Attività produttive Andrea Lulli.

Il problema è che ad accedere a Montecitorio e Palazzo Madama non sono solo i responsabili delle relazioni esterne dei grandi gruppi. "Ci sono tre categorie di avventori", racconta Fabio Franceschetti, un passato radicale, oggi a capo della "Nomos" una delle più quotate e delle poche ufficiali società di lobbying. "La prima categoria è quella degli uomini azienda di società e multinazionali, poi ci siamo noi, professionisti e tecnici che agiamo per conto delle aziende, infine i battitori liberi o faccendieri".

Sono tanti, tantissimi, spesso avvocati di professione, lavorano per contatto o conoscenza personale, forti di una voluminosa rubrica. Rientrano un po' nella categoria i Bisignani, i Lavitola, i Tarantini. "Il paradosso è che in Parlamento non ti fanno entrare col tesserino da ospite se non ti dichiari rappresentante di un'azienda: dichiararsi società di lobbying non conta niente", dice ancora Franceschetti.

Il dipietrista Antonio Borghesi descrive la scena: "Fuori dalle commissioni stazionano questi emissari. Spesso sono giovani donne. Soprattutto quelle delle aziende telefoniche e delle società autostradali. Molto suadenti, spesso insistenti. Quando ci sono le sedute notturne e quando si sta per decidere, diventa tutto un grande suk".

Il grande suk degli interessi. Senza i riflettori accessi, nella penombra. Senza nessuna legge. Perché i lobbisti made in Italy preferiscono l'opacità. Ci sono otto proposte di legge presentate in Parlamento. Per nessuna è cominciata la discussione. Resteranno lettera morta, come le altre quaranta proposte degli ultimi decenni. Altro che Bruxelles, Londra o Washington. Qui di società ufficiali che interagiscono con la politica se ne contano davvero poche. La "Reti" di Claudio Velardi, la Cattaneo Zanetto & C., la FB & Associati e la Nomos.

Fabio Bistoncini, boss della Fb, sui suoi "Venti anni da sporco lobbista" ha pubblicato quest'anno un libro (Guerini e associati editore). "Il senso della mia storia da lobbista lo troverò - racconta - quando il lavoro che faccio uscirà dal cono d'ombra che lo avvolge". Troppi "sottobraccisti" in circolazione, che "non offrono competenza, ma vendono relazioni".


(07 gennaio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/economia/2012/01/07/news/lobby_bloccano_parlamento-27701584/
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