LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => GIORNALISMO INVESTICATIVO d'INCHIESTA. OPINIONISTI. => Discussione aperta da: Admin - Gennaio 05, 2008, 04:36:09 pm



Titolo: CARMELO LOPAPA
Inserito da: Admin - Gennaio 05, 2008, 04:36:09 pm
POLITICA

Le tesi della conferenza di febbraio. E Berlusconi: vediamoci il 10 gennaio

Campagna sul diritto alla vita. Esame d'italiano per immigrati

Chiesa, ordine e più ecologia così Fini cambia pelle ad An

di CARMELO LOPAPA

 
ROMA - Al ritorno dai Caraibi Berlusconi tenterà di riallacciare i fili del dialogo con gli ex alleati bruscamente tranciati con il lancio del suo "Popolo della libertà". È stato nel corso della telefonata di auguri per Natale, prima di partire per le vacanze, che il Cavaliere ha proposto a Fini e Casini un incontro congiunto alla ripresa. Il leader di An si prepara a incontrarlo, assieme al collega Udc, probabilmente il 10 gennaio, ma intanto va per la sua strada e mette le basi per dar vita ad "Alleanza per l'Italia".

Le porte restano aperte a una pacificazione. "Vogliamo avviare un confronto per costruire un nuovo centrodestra, l'unità della coalizione è un valore che va costruito coinvolgendo tutti che hanno valori alternativi alle sinistre" si legge a chiusura delle 19 pagine del documento che traccia le linee del nuovo progetto e alle quali hanno lavorato Ronchi, La Russa, Gasparri, Matteoli e Alemanno. Campagna per la famiglia in linea col Vaticano, stretta su immigrati e sicurezza in stile Sarkozy e svolta ambientalista caratterizzano il battesimo del "Partito degli italiani" in salsa An, che sarà varato in occasione della conferenza programmatica di Milano dall'8 al 10 febbraio. Nuovo partito ma ritorno ai "valori storici della destra".

Intanto, viene lanciata una "campagna in difesa del diritto alla vita e alla persona" che passa anche attraverso il no all'eutanasia, ai dico-pacs-cus del centrosinistra e alle norme anti-omofobiche. Papa Ratzinger non è mai citato nel primo capitolo, ma è il Pontefice la figura di riferimento alla quale "Alleanza per l'Italia" attingerà sul piano dei valori. E tanto basta per parlare di un consolidamento dei rapporti del partito di Fini col Vaticano sui temi etici, dopo le frizioni generate dall'adesione del leader alla campagna laica (poi sconfitta) in occasione del referendum del 2005 sulla fecondazione assistita.

Ma c'è anche un'adesione implicita alla politica di Sarkozy, soprattutto sul fronte della sicurezza e dell'integrazione. La linea della "nuova An" sulla legalità parte dalla proposta di un referendum per abrogare parzialmente la legge Gozzini (che prevede in alcuni casi la riduzione di un quarto della pena per i condannati), per approdare a un giro di vite sull'espulsione dei clandestini "in termini ancora più restrittivi", con inasprimento della Bossi-Fini. La chicca sta nella proposta di inserimento dell'esame della lingua italiana e del giuramento sulla Costituzione per il conseguimento della cittadinanza italiana da parte degli extracomunitari.

Quindi, la vera svolta, quella ecologista, un po' in Al Gore style, con tanto di richiamo al Protocollo di Kyoto. "L'ecologia può e deve diventare un motore dell'economia in una visione politica capace di coniugare ambiente e crescita economica" si legge a pagina 14 del testo approvato da Fini. Certo, tutto questo porta poi a un invito a ripensare l'uscita dal nucleare che "ci ha penalizzati", ma resta come principio di fondo l'affermazione secondo cui la "politica ambientale non può fare a meno di investire nella natura".

Infine le riforme. Alleanza per l'Italia ripropone l'"assemblea costituente" per lavorarvi e si impegna a una "petizione popolare per l'elezione diretta del premier-sindaco degli italiani". Sogna insomma "sistemi di democrazia diretta" come il presidenzialismo "all'americana". Non senza un'autocritica sulla riforma del federalismo varato dal governo Berlusconi che, ricorda la Carta di An, "obiettivamente non incontrò il favore di larghe aree del Paese in cui era avvertita la necessità di una maggiore presenza dello Stato, anziché un bisogno di federalismo".

Il 10 al tavolo di Berlusconi dovrebbe andare anche Casini, che ancora ieri però confermava tutto il suo scetticismo sulle ultime mosse. "Nessuno ha mai detto che deve farsi da parte - ha spiegato in un incontro pubblico a Cortina - Anzi, se ora si facesse da parte sarebbe sleale verso i tantissimi che hanno fiducia in lui. Ma al contempo, noi siamo altrettanto liberi di non stare in un partito padronale. In un partito azienda, la cui nascita la apprendo dai tg, io non ci vado".

(4 gennaio 2008)

da repubblica.it


Titolo: Dissento da attacchi al Papa e al Quirinale Ma il lodo Alfano è incostituziole
Inserito da: Admin - Luglio 10, 2008, 05:13:19 pm
POLITICA

L'intervista al leader Idv: "Se mi chiedono di scegliere, io scelgo la piazza"

Dissento dagli attacchi al papa e al Quirinale. Ma il lodo Alfano è incostituzionale

Tonino giura fedeltà a chi protesta

"Walter perderà la sua gente"

di CARMELO LOPAPA

 

ROMA - "Se mi chiedono di scegliere, io scelgo la piazza. Dissento dagli attacchi al Papa e al Quirinale, sia chiaro. Rispetteremo il capo dello Stato anche se firmerà il lodo Alfano. Ma resteremo convinti che è un errore, che è incostituzionale. Si può ancora dire, in una democrazia, o no?"

Antonio Di Pietro, lei secondo molti è il primo degli apprendisti stregoni. Martedì in piazza Navona hanno dominato toni scurrili e attacchi personali, e Beppe Grillo lo ha invitato lei, non può dire che non si aspettasse quello che è accaduto
"È in atto una mistificazione, una vera strumentalizzazione da parte del sistema politico e dell'informazione, che attribuisce alle parole di Grillo un valore diverso rispetto a quello reale".
Gli attacchi al capo dello Stato li hanno sentiti tutti.
"Si guarda la pagliuzza della satira per nascondere la trave del comportamento illiberale e costituzionalmente illegittimo di Berlusconi. A piazza Navona è accaduto qualcosa di diverso rispetto a quel che si è raccontato. Quella piazza è stata un'espressione autentica di democrazia diretta, fatta di indignazione sincera verso la deriva antidemocratica del paese. Certo, sul palco non c'erano voci allineate e pre-censurate. Noi non imporremo mai veline a nessuno".

Censurare no. Ma non era il caso di fermare la Guzzanti quando ha insultato la Carfagna e poi il Papa?
"In una democrazia ognuno può dire quel che vuole. Dopo di che, chi parla si assume le proprie responsabilità. Tanti hanno applaudito, altri come me hanno dissentito. Non mi piace che siano stati chiamati in causa la Chiesa e il Papa. Io sto con la Chiesa dei poveri, non con quella blasonata. Ma il Papa non c'azzeccava nulla".

Veltroni sostiene che è grazie a personaggi come la Guzzanti se la destra è al potere, anche in Campidoglio
"Se lo pensa davvero lo scriva sui manifesti e li faccia affiggere. Così i cittadini si renderanno conto della mancanza di coraggio nell'accettare e riconoscere le responsabilità della sconfitta".

Non crede che nei confronti della Carfagna si sia consumato una sorta di rogo di piazza, che siano stati travalicati i limiti, contro una persona peraltro impossibilitata a difendersi da accuse basate solo su pettegolezzi.
"Il ministro Carfagna in questa situazione è una delle vittime del suo capo di governo, della sua scarsa trasparenza. Ad ogni modo, ritengo che quelle cose in quel modo lì non andavano dette".

D'accordo. Ma non ritiene di aver contribuito all'innalzamento dei toni?Proprio lei ha parlato di "magnaccia", i suoi hanno parlato di Monica Lewinsky...
"Ecco, vi interessa solo del gossip. Della sostanza dei fatti non vi frega niente. Sempre lì a parlare della Carfagna".

Veramente a parlarne, anche in piazza Navona, siete stati voi. Ad ogni modo, Veltroni la invita a scegliere: o Grillo e i suoi "vaffa" o "tornare in un recinto razionale e riformista". Lei cosa sceglie?
"Non intendo dissociarmi da piazza Navona, se è questo che mi si chiede. Non ho condiviso alcuni passaggi, come ho detto, ma da qui a criminalizzare gli oratori ce ne corre. Insomma, sto con la piazza".

Come pensa di riannodare la trama del dialogo col Pd? Pensa sia ancora possibile?
"Quella non era una piazza contro il Pd, ma che si ribellava a Veltroni e al suo attendismo. Era anche una piazza democratica. Il leader del Pd, prendendosela con me, se la prende anche con i suoi che erano lì e non erano pochi".

Grillo per la verità ha attaccato proprio Veltroni
"Ma chi guida un partito del 33 per cento non deve fare l'altezzoso. Faccia come me, che ascolto le critiche e cerco sempre di migliorarmi".

Non pensa che la manifestazione sia stata un boomerang e che l'opposizione ne sia uscita indebolita?
"Macché. Da martedì molti cittadini sanno cosa ha fatto Berlusconi. Il silenzio diventa connivenza. Ora è il Pd che deve decidere al proprio interno se mantenere il dialogo con chi violenta le istituzioni per fare gli affari suoi e sfuggire ai processi. Vorrebbero che facessimo opposizione zitti zitti, piano piano. Non ci stiamo".

Il compito del capo dello Stato è gravoso, in queste ore. Non pensa che gli attacchi lo mettano ulteriormente in difficoltà?
"Massimo rispetto per l'istituzione e la persona. Però non sarebbe una vera democrazia quella in cui al cittadino non fosse consentito dissentire dal Quirinale. Noi lo rispetteremo, anche se sosterrà che il lodo Alfano è costituzionale. Ma resteremo convinti del contrario".

(10 luglio 2008)

da repubblica.it


Titolo: CARMELO LOPAPA Gelo su Fini, la nuova corrente spacca il Pdl
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2010, 10:55:26 pm
Rispunta l'ipotesi del decreto. Nel centrodestra il fantasma della scissione

Berlusconi è stanco delle liti interne: "Serve una svolta, rischio implosione"

Il premier chiede una soluzione politica "Temo la reazione della nostra gente"

di CARMELO LOPAPA


ROMA  -  Assediato dalle pessime notizie che piovono da Milano e da Roma, e di fronte al rischio di una scissione del Pdl, il premier Berlusconi si sfoga nella notte con i senatori. È "preoccupato" il premier, soprattutto, racconta chi ha partecipato alla cena a Palazzo Grazioli, "per le reazioni di piazza che potrebbero esserci da parte del nostro popolo". Il presidente del Consiglio non parla apertamente di "democrazia a rischio", ma guarda con più attenzione ai rischi che "elezioni falsate" portano in dote: la "ribellione" alle ingiustizie e la "protesta" contro i diritti negati. Il Pdl ora, Forza Italia prima (è il ragionamento di Berlusconi), "mai hanno cercato nella piazza un consenso o un'attenzione che le urne non hanno riservato loro.

"Ma adesso - spiega ai suoi senatori - davanti ad un evidente disegno contro di noi o la soluzione viene dalla politica, prima ancora che dal Tar, o non so come andrà a finire". Il Cavaliere guarda anche al dopo elezioni per quella che chiamano "la svolta". Una svolta che già agita dentro il Pdl lo spettro della scissione, comunque di un terremoto imminente.

Blindato in casa da tre giorni, assediato dalle pessime notizie che piovono da Milano e da Roma, il premier Berlusconi smaltisce l'ira registrando spot e preparando per oggi il ritorno in piazza. Scalda i motori di una campagna elettorale che ancora non decolla, ma coi suoi il presidente del Consiglio lavora soprattutto al dopo elezioni. La chiamano "la svolta", i fedelissimi che entrano ed escono in queste ore da Palazzo Grazioli. Una svolta che già agita dentro il Pdl lo spettro della scissione, comunque di un terremoto imminente.

I fatti degli ultimi giorni, i ripetuti affondi di Gianfanco Fini, hanno fornito la stura. "Se non corro ai ripari, se non reagisco, il governo rischia di implodere da qui a un anno  -  si sfoga a più riprese Berlusconi con chi va a trovarlo  -  Non può più esistere un partito in cui ognuno procede per conto proprio, il governo deve essere messo nelle condizioni di lavorare. E io devo sapere subito chi è con me e chi contro di me". Il subito, va da sé, è l'indomani delle elezioni del 28-29 marzo e il destinatario del monito è il presidente della Camera al quale il partito "così com'è non piace". Il Cavaliere confessa di essere stanco: "Chi rimane ormai deve accettare la leadership del partito. Gli altri se ne vadano". Tutto questo mentre le cattive nuove su Formigoni e Polverini accrescono la preoccupazione. Berlusconi si dice fiducioso nei responsi del Tar. Ma al contempo non abbandona l'idea di un decreto, nonostante i rischi di una bocciatura del Quirinale e la contrarietà del ministro Maroni.

Ipotesi che il segretario Pd Pier Luigi Bersani, tuttavia, torna a stroncare. "Escludo categoricamente, e categoricamente con la "k"  -  sottolinea  -  che si possano cambiare le regole in corso d'opera. Di liste bocciate ve ne sono in tutta Italia. Aspettino che si consumino tutti i passaggi. Se poi dovesse andare male, l'ho detto anche ai miei, non stappo champagne, capisco che si crea un turbamento. Ma non si possono cambiare le regole".

La partita del voto in queste ore si intreccia però con quella tutta interna al Pdl. Anche il "cofondatore" Fini non si fa illusioni, i suoi parlano di "fine impero", la fondazione "Farefuturo" di un partito che "non è un matrimonio". In mattinata, al piano nobile di Montecitorio arrivano il sindaco Alemanno con la candidata Polverini. Poi Italo Bocchino e gli altri più vicini ex An. Studiano la nuova strategia, nell'ipotesi di corsa senza lista nel Lazio. Nasce lì l'idea di chiedere a Berlusconi di scendere anche lui in piazza Farnese, oggi pomeriggio, per la mobilitazione in sostegno dell'aspirante governatrice e il successivo incontro coi circoli laziali Pdl in un albergo. Proposta che la stessa Polverini, con Alemanno, hanno avanzato di persona un'ora dopo a Gianni Letta, a Palazzo Chigi, ricevendone il via libera. Berlusconi e Fini si ritroveranno uno al fianco dell'altro nell'incontro di stasera con i circoli laziali del Pdl. Almeno oggi, almeno per la candidata a rischio. "Cerchiamo di salvare il salvabile in vista del voto, per ora" avrebbe detto ai suoi Fini. Perché sul dopo, lo scenario è denso di nubi. L'ultimo affondo del Giornale di Feltri non lo turba nemmeno. Piuttosto, la terza carica dello Stato mette in guardia chi lo circonda: "Dobbiamo essere pronti a un nuovo predellino all'indomani del voto, Silvio si sta preparando. D'altronde, non si può più restare a galleggiare". Detto questo, proprio in una chiave interna al Pdl, per i finiani la partita asimmetrica nel Lazio  -  con la "loro" Polverini senza lista  -  diventa una sfida ardua ma che varrebbe doppio, in caso di successo.

© Riproduzione riservata (04 marzo 2010)
da repubblica.it


Titolo: CARMELO LOPAPA Gelo su Fini, la nuova corrente spacca il Pdl
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2010, 04:12:04 pm
"Generazione Italia sosterrà la sua leadership"

Ronchi: non si vuol fare un altro partito

Gelo su Fini, la nuova corrente spacca il Pdl

Berlusconi irritato. Cicchitto: voto, poi chiariamo

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Il lancio della "Fini generation" lacera il Pdl in piena campagna elettorale. La fuga di notizie sul battesimo della "rete" del presidente della Camera e dei suoi 1200 delegati, che avverrà all'indomani delle regionali, accende gli animi di tutto il gruppo dirigente berlusconiano e irrita non poco lo stesso premier Berlusconi. Tanto più che gli ex An negano qualsiasi progetto di strappo o scissione, ma parlano apertamente di corsa alla leadership del Pdl.

La polemica divampa nel giorno in cui Gianfranco Fini ricorda alla Camera De Gasperi. Nel settembre scorso, il premier Berlusconi aveva definito lo statista una "padre della patria", aggiungendo però che "in politica interna non è paragonabile a quanto svolto dal mio governo". Ieri, la terza carica dello Stato, parlando al fianco di Giuliano Amato, ha ricordato piuttosto come il leader Dc non abbia "mai perso di vista l'orizzonte dei valori" ricostruendo e consolidando la democrazia.

Il presidente della Camera vola alto, evita la polemica, i suoi uomini preparano la nuova macchina da guerra. Italo Bocchino che di "Generazione Italia" sarà la guida, chiarisce al Corriere. it che l'associazione "nasce per riportare la democrazia nel Pdl, la sua missione sarà quella di aggregare nel partito tutte le forze disponibili a sostenere la leadership di Fini". Nessun partito, dunque, nessuna corrente. "Berlusconi adesso è premier e lo  resterà fino a fine legislatura - prevede un altro finiano doc come Fabio Granata - ma la leadership di domani la costruiremo dopo tutti insieme". Che la nuova creatura sia destinata a fare da contraltare ai "Promotori della libertà" lanciati da Berlusconi e dalla Brambilla è un convincimento assai diffuso, in Transatlantico. "Competition is competition - ironizza Carmelo Briguglio, anche lui tra gli sponsor di "Generazione Italia" - se è leale e alla luce del sole crea vitalità". Ma su quante pedine potrà contare la batteria finiana, che l'8 e 9 maggio si è già convocata a Perugia? Perché oltre ai mezzi (la fondazione Farefuturo, il quotidiano il Secolo, il sito web dell'associazione) occorrono anche gli uomini, i parlamentari. "Partiamo da una cinquantina di deputati e 25 senatori" calcolano i finiani pronti alla conta.

Pochi o tanti che siano, di questa prova di forza (o di "vitalità") i berluscones ne avrebbero fatto volentieri a meno. Per comprendere come abbia reagito il presidente del Consiglio alla novità, è sufficiente attenersi ai commenti dei più allineati. A cominciare dal capogruppo Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, che invita ad "evitate le correnti" e annuncia dopo le regionali, "in primo luogo nell'ufficio di presidenza, una riflessione seria sull'attacco a Berlusconi e sul partito in quanto tale". La richiesta di un dibattito dopo il voto viene avanzata anche da Margherita Boniver (no al "correntismo subdolo"). Anche l'ex An Maurizio Gasparri, capogruppo al Senato, è polemico: "Chi si dedicasse a iniziative di tipo personale in campagna elettorale commette un grave errore".

Il ministro finiano Andrea Ronchi prova a smorzare le tensioni e a rassicurare: "La casa è una sola. Escludo, smentisco che Fini voglia fare un altro partito. Non abbiamo bisogno di predellini ma di ragionamenti". Fatto sta che l'annuncio di una verifica post-voto sa già di resa dei conti. "Intempestivo aprire questa discussione" dice Gaetano Quagliariello.
"Non è altro che la conclusione di un percorso avviato da tempo dai finiani con differenziazioni continue, i nostri elettori sono stanchi", protesta Osvaldo Napoli. Giorgio Stracquadanio, direttore del quotidiano "Il Predellino", schietto: "Dal '93 ad oggi, in tutte le occasioni in cui Fini ha sfidato la leadership di Berlusconi, ne è uscito con le ossa rotte".
Il rischio però, tira le somme il ministro Gianfranco Rotondi, è che "il Pdl faccia la stessa fine della Dc, uccisa dalle correnti. Tanto la leadership non tramonta. Silvio si ricandida a Palazzo Chigi".

© Riproduzione riservata (16 marzo 2010)
da repubblica.it


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi teme il logoramento "Sembriamo un'armata Brancaleone"
Inserito da: Admin - Aprile 29, 2010, 10:27:54 am
IL RETROSCENA

Berlusconi teme il logoramento "Sembriamo un'armata Brancaleone"

Il Cavaliere ha rimproverato anche i suoi fedelissimi per il passo falso alla Camera sul ddl lavoro: E ha chiesto al gruppo del Pdl alla Camera di far dimettere subito Bocchino.

Allarme sondaggi a Palazzo Grazioli: il gradimento al governo è sceso di tre punti 


di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Chiudiamo subito l'affare Bocchino, tiriamoci fuori dalle secche di questo logoramento finiano". A ora di pranzo il presidente del Consiglio Berlusconi fa in tempo a rientrare a Palazzo Grazioli dopo la due giorni con Putin a Milano, che ordina su due piedi la resa dei conti immediata col vicecapogruppo vicino all'ex amico Gianfranco.

Il Cavaliere vede già nero - racconta chi è entrato nella sua residenza - per l'escalation televisiva del presidente della Camera, ieri tornato a vestire i panni dello sfidante agguerrito dal salotto bianco di Vespa. E non ha preso per nulla bene anche l'ennesimo scivolone della sua maggioranza in Parlamento, ritenuto tanto più dannoso perché verificatosi nel bel mezzo dello scontro interno al Pdl. "Abbiamo dato di nuovo l'immagine di un'armata brancaleone" sarebbe sbottato il premier, preoccupato dal calo di consensi registrato negli ultimi sondaggi. E questa volta i finiani c'entrano in minima parte, dato che tra i 95 assenti Pdl c'erano sì Bocchino, Perina, Granata, Raisi vicini al presidente della Camera. Ma anche molti big berlusconiani: il coordinatore Verdini, Ghedini, Berruti, tra gli altri. E la storia si è ripetuta al Senato sulla riforma forense, governo battuto su un emendamento all'articolo 1.

Nella lunga guerra di posizione con Gianfranco Fini ormai un ruolo di primo piano lo svolge il Giornale di famiglia. L'ultimo affondo di ieri del direttore Feltri tira in ballo la suocera del presidente della Camera e "costringe" perfino Berlusconi a esprimere solidarietà all'avversario interno. L'intenzione di vendere la testata era stata annunciata dal leader in direzione. Ieri sera a varcare il portone di Palazzo Grazioli è stato Paolo Berlusconi, l'editore del quotidiano chiamato in causa ("Fratello di...") da Fini a Porta a Porta. E oggetto del colloquio col premier è stato proprio il futuro del pacchetto di maggioranza in mano alla famiglia. Altro colloquio poi con Sabina Began, già battezzata dal gossip "ape regina" ai tempi del "Tarantinigate", entrata a Palazzo con chihuahua al guinzaglio.

Dal canto suo il presidente della Camera lo si è visto più nervoso ieri sera di quanto non lo sia stato domenica a "In Mezzora" o martedì a "Ballarò". La solidarietà di Berlusconi, raccontano i finiani, l'ha incassata come uno sberleffo. Ma quel che nelle ultime ore lo ha reso ancora più nervoso è il ventilato avvio di un'"epurazione". Che potrebbe partire oggi col vicecapogruppo Bocchino per arrivare, chissà, nelle prossime settimane, ai presidenti di commissione. Fini non ne fa mistero, parla espressamente della Bongiorno indigesta al premier, a Porta a Porta. "Non dia corso a epurazioni, non gli converrebbe" è l'avvertimento che manda all'indirizzo del premier. Perché poi, questo il non detto, sarà pure poca cosa dentro il Pdl la minoranza finiana, ma sarebbe determinante per gli equilibri in aula e nelle commissioni. Nella lunga chiacchierata mattutina col governatore "ribelle" siciliano Raffaele Lombardo, invece, l'ex leader di An garantisce sostegno per l'esperienza della giunta anomala nell'isola (in cui c'è il Pdl di Micciché ma non quello "ufficiale") e riceve dall'autonomista la disponibilità (non richiesta) a un prestito dei suoi 4 deputati e 4 senatori qualora la rottura con Berlusconi facesse precipitare la situazione fino alla costituzione di gruppi autonomi. Fantapolitica, per il momento.

Ad ogni modo, tutto quel che si muove sotto traccia (e in tv) non fa che irritare l'inquilino di Palazzo Chigi. Che, per ora, manda in avanscoperta i suoi. "Se Fini dovesse continuare così, dovrà pensare se restare presidente" ripete il coordinatore Sanro Bondi. "Certe sue ruvidezze hanno poco di politico" rincara Osvaldo Napoli. Il primo banco di prova in seno al Pdl arriverà oggi. Con l'assemblea del gruppo convocata da Cicchitto in Sala della Regina per "discutere" le dimissioni di Bocchino. Meglio, le sue due lettere, la prima di forfait, la seconda con cui le ritira in assenza di analoghe dimissioni dal capogruppo. I "berluscones" ieri sera lasciavano intendere che si va verso la "sfiducia" del vice, magari per far posto all'ex An (ma non finiano) Fabio Rampelli. Veleni su veleni.
 

(29 aprile 2010) © Riproduzione riservata
da repubblica.it


Titolo: CARMELO LOPAPA Fini in trincea: "Non lascio Dovranno trattare su tutto"
Inserito da: Admin - Luglio 30, 2010, 09:22:02 am
LA ROTTURA NEL PDL

Fini in trincea: "Non lascio Dovranno trattare su tutto"

Il presidente della Camera organizza i suoi gruppi: "Andremo da Napolitano a dire che in Parlamento è nata una nuova formazione. Restiamo nella maggioranza, ma Berlusconi non è il nostro padrone".

Nessuna intenzione di lasciare lo scranno più alto di Montecitorio


di CARMELO LOPAPA


ROMA - Prosit. Fuori da lì, la tempesta. Dentro, nella buvette di palazzo Montecitorio, negli stessi istanti in cui il premier Berlusconi sta per "sfiduciare" il presidente della Camera, Gianfranco Fini ordina un flute di prosecco. E lo sorseggia sereno. Sono da poco passate le 19. A quel punto, d'altronde, tutto è ormai compiuto. Resta solo l'amarezza nel dover abbandonare la nave che ha contribuito a costruire.

Il documento che da lì a un paio d'ore sancirà la "incompatibilità" e la rottura politica definitiva tra i due cofondatori del Pdl sarà solo un tot più duro del previsto. Fini lo legge nello studio della presidenza, circondato dai "deferiti" Bocchino, Granata, Briguglio, tra gli altri. "La presidenza della Camera non è nelle disponibilità del presidente del Consiglio, non può decidere nulla" è la prima constatazione che fa d'istinto. Poi, "con un testo così, sarà evidente a tutti che sono loro ad averci cacciato, ad averci costretto a fare gruppi autonomi. Andremo dal capo dello Stato per comunicare la nascita della nuova formazione in Parlamento e per far presente che comunque faremo parte della maggioranza" taglia corto Fini.

L'ultimo strappo si consumerà oggi, quando la squadra degli ormai ex Pdl - in serata diranno di aver raccolto 33 firme alla Camera e una dozzina al Senato - annuncerà la nascita dei gruppi autonomi. Ma il dado era tratto almeno da ieri mattina. Fini e Berlusconi, a pochi metri l'uno dall'altro nell'aula di Montecitorio, in occasione del voto finale sulla manovra, non incrociano neanche lo sguardo. Figurarsi il saluto. Ormai è chiaro che il presidente del Consiglio va dritto verso la rottura nell'ufficio di presidenza del partito convocato ad hoc per la sera. Il cofondatore legge prestissimo i giornali che racconto del no di Berlusconi all'ultimo ramoscello di pace offerto dalle colonne del Foglio. Italo Bocchino bussa alla presidenza già prima di pranzo e porta le venti firme dei deputati iscritti alla fondazione "Generazione Italia" pronti a seguirlo nello strappo. Gli altri, l'ex leader di An li chiamerà uno per uno, al telefono, alcuni li riceverà di persona, soprattutto i senatori che via via arrivano a Montecitorio per votare i membri laici del Csm.

A Granata, che sarebbe per il ritiro immediato della "delegazione" nel governo, spiega che no, che sarebbe controproducente, un regalo agli avversari. Nello studio sfilano in tanti, il ministro Ronchi, il sottosegretario Andrea Augello, Giulia Bongiorno. A tutti Fini racconta che il nuovo gruppo - che anche nel nome probabilmente richiamerà al concetto a lui caro del "patto repubblicano" (ma i nostalgici vorrebbero rispolverare An) - sarà "fedele al programma di governo: lealtà e correttezza, abbiamo un dovere etico nei confronti degli elettori". Anche se i pasdaran del fronte finiano non la pensano tutti allo stesso modo. "Il ddl intercettazioni è già affondato, ed è una nostra vittoria, il resto lo discuteremo quando arriverà in aula - dice in Transatlantico un deputato d'area - a cominciare dalla riforma della giustizia". Nonostante le rassicurazioni, è la prospettiva del Vietnam al quale tanti finiani si preparano a trascinare il governo alla Camera, alla ripresa, sulle orme di quel che accadde all'ultimo governo Prodi al Senato.

Berlusconi convoca nuovamente coordinatori e capigruppo a Palazzo Grazioli, è il primo pomeriggio, c'è da mettere a punto il documento da mettere ai voti in serata nel parlamentino Pdl. Nello studio di Fini al primo piano di Montecitorio è un via vai continuo. "Adesso - quasi rassicura il presidente rivolgendosi ai deferiti - dovranno spiegare loro perché mettono fuori i nostri, solo per aver parlato di legalità, per tenere al loro posto Verdini e Cosentino". Le firme in quella sorta di giuramento di fedeltà, sono più di trenta e sono ormai al sicuro sulla sua scrivania. C'è anche quella dell'unico ministro finiano, Andrea Ronchi, del vice ministro Urso, dei sottosegretari. Il ministro per le Politiche comunitarie firma, poi in serata va in ufficio di presidenza e vota contro il documento di rottura. Come lui, diranno no Urso e Viespoli.

Per il momento nulla cambia al governo. Ministro e sottosegretari resteranno al loro posto. "Perché nulla cambierà nella nostra posizione rispetto al governo e Berlusconi ha avuto parole di stima nei nostri confronti" dirà Ronchi all'uscita. Ma tutto precipita. In quelle stesse ore, a strappo consumato, i finiani notificano al capogruppo Cicchitto l'addio al Pdl. Gianfranco Fini, a tarda ora, convoca per oggi la conferenza stampa in cui dirà la sua e darà il suo, di addio. È l'ultimo atto della giornata più lunga. Poi tira un sospiro e lascia il Palazzo. Oggi si apre un'altra storia.

(30 luglio 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/07/30/news/fini_in_trincea_non_lascio_dovranno_trattare_su_tutto-5942004/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA E Letta frena il blitz dei colonnelli "Silvio attento...
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2010, 04:45:24 pm
PDL

E Letta frena il blitz dei colonnelli "Silvio attento, il Colle non ci sta"

I ""falchi" del Pdl sono quasi riusciti a convincere il premier ad approfittare dell'astensione annunciata dai finiano per sparigliare.

L'intervento del sottosegretario: "Inutile forzare adesso, significherebbe costringere Napolitano a cercare un'altra maggioranza e un altro presidente del Consiglio"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Il partito della rottura immediata con Fini, dell'apertura di una crisi in pieno agosto, perfino della salita al Colle subito dopo il voto sulla mozione di sfiducia a Caliendo ha lavorato ai fianchi il premier Berlusconi per tutto il giorno. I falchi del Pdl - gli ex An La Russa e Gasparri in testa - sono quasi riusciti a convincere il capo del governo ad approfittare dell'astensione annunciata dai finiani, in concorso col nuovo cartello dei centristi e dei rutelliani, per sparigliare. Proclamare che tutto si chiude qui. Che la maggioranza non esiste e che non resta che il voto anticipato in autunno.

A far ragionare il Cavaliere è stato, ancora una volta, Gianni Letta. "È inutile forzare adesso, significherebbe costringere Napolitano a cercare un'altra maggioranza e un altro premier" è stato il suggerimento del sottosegretario. Troppo impervio e denso di incognite il cammino di una crisi di governo da imporre come un raid estivo. "Crisi? Faccia pure come crede - hanno sentito replicare da Gianfranco Fini i suoi - il capo dello Stato gli conferirebbe un nuovo incarico e noi in Parlamento gli rivoteremmo la fiducia". Come dire, il premier è in un vicolo cieco e lì gli avversari vecchi e nuovi vogliono lasciarlo macerare.

Ecco, il punto è che il presidente del Consiglio non ha alcuna intenzione di logorarsi in Parlamento, come va ripetendo da giorni. Piuttosto provato, incupito, racconta chi lo ha incontrato anche ieri prima della cena al Castello di Tor Crescenza con le deputate, per lui quella con Fini è solo una partita rinviata, al massimo di poche settimane. E la nomina a capogruppo del Fli di Italo Bocchino l'ha incassata come un ulteriore segnale di guerra. "Alla ripresa voglio che il processo breve sia al primo punto dell'agenda, voteranno contro o si asterranno anche lì? La crisi sarà inevitabile" è stato lo sfogo di un Berlusconi che ormai ha il voto anticipato come chiodo fisso.

A Gianfranco Fini, ieri sera, è toccato disinnescare la mina che proprio il leader del Pdl aveva piazzato in vista del voto di oggi sulla mozione di sfiducia al sottosegretario Caliendo coinvolto nell'inchiesta sulla P3. Dal quartier generale di Palazzo Grazioli è partito il tam tam che lasciava presagire l'epurazione dei finiani nel governo se anche il ministro Ronchi, il vice Urso e i due sottosegretari Buonfiglio e Menia si fossero astenuti, come i loro colleghi deputati. La mossa concordata dal presidente della Camera Fini con i suoi, nella cena serale di FareFuturo, ha risolto salomonicamente la questione. I deputati si asterranno tutti - come concordato con centristi e rutelliani - ma i membri del governo voteranno contro la sfiducia. Come Pdl e Lega.

Detto questo, Berlusconi sta vivendo come fumo negli occhi riunioni movimenti come il vertice di ieri alla Camera tra oppositori moderati, quella sorta di aggregazione di 85 deputati riuniti dai tre big (Fini, Casini e Rutelli) al solo scopo di mandargli un messaggio: da settembre lo sgambetto d'aula sarà sempre dietro l'angolo. "Fanno solo manovre di palazzo, ma io non mi piego e li porto al voto, al quale io sono pronto, loro no" ha ripetuto incontrando nel tardo pomeriggio lo stesso Giacomo Caliendo, il Guardasigilli Alfano e l'avvocato Ghedini. Al sottosegretario sotto scopa ha rinnovato la fiducia: "Vai avanti, la mozione sarà respinta" ha rassicurato. Resta il dato politico di fondo, che il premier non intende lasciar passare inosservato.

L'atto di sfiducia presentato da Pd e Idv sarà respinto oggi ma con i soli 300-305 voti contrari di Pdl e Lega, ben al di sotto dell'asticella dei 316 che fissa la quota minima di una maggioranza alla Camera. Da qui il tam tam con cui, nella nervosa vigilia di ieri, i berlusconiani hanno fatto circolare in Transatlantico la voce seconda la quale il presidente del Consiglio si preparerebbe a un blitz al Quirinale, subito dopo il voto sulla mozione. Ultimo tentativo per condizionare i finiani in effetti tentati dal "no" alla sfiducia (da Divella a Lo Presti a Lamorte) e spaccare il fronte avversario. Poi tutto è rientrato. Letta ha convinto Berlusconi. Per di più, il capo dello Stato Napolitano era giusto partito ieri per il soggiorno a Stromboli (dettaglio che non è passato inosservato a Palazzo Chigi).

"Al Quirinale ora o dopo? Tutto può succedere in un momento come questo" racconta alla Camera il sottosegretario Guido Crosetto. I finiani sogghignano. "Meglio seguire il monito di Almirante, mai adottare decisioni gravose in estate, meglio rinviare" predica cautela il viceministro Urso. Alla fine, ha avuto forse ragione Sandro Bondi, già in partenza per le vacanze: "I veri problemi verranno a settembre".

(04 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA GOVERNO Il premier studia già la data del voto "E vedrete c
Inserito da: Admin - Agosto 05, 2010, 03:37:03 pm
GOVERNO

Il premier studia già la data del voto

"E vedrete che Fini dovrà dimettersi"

Berlusconi sul presidente-ribelle: se ci riporta alle urne dovrà spiegarlo al Paese.

Con i fedelissimi il premier allude ai possibili effetti della querelle sulla casa di Montecarlo

di CARMELO LOPAPA


Come ai saldi di fine stagione, 299. Neanche cifra tonda. Silvio Berlusconi alza lo sguardo al tabellone e lo abbassa subito, tutto è ormai chiaro. Lo sfogo sarà amaro: "Vedete che ho ragione io? Al voto bisogno andarci e anche alla svelta". A Gianfranco Fini non rivolge neanche uno sguardo, passando sotto la presidenza, il commento che invece gli dedica fuori da lì va oltre il rancore.

"State tranquilli, da qui a qualche settimana sarà costretto a dimettersi dalla presidenza della Camera" profetizza ai fedelissimi con vaga allusione alla campagna stampa del suo "Giornale". La stessa allusione torna in tarda serata alla cena con i deputati: "C'è qualcuno che ha speranza verso un leader che è al centro di notizie poco chiare che dovrebbe spiegare".

Elezioni presto, elezioni subito, è la mission che il leader Pdl scandisce al vertice riunito prima del Consiglio dei ministri a Palazzo Grazioli, con Tremonti, Frattini, Alfano, Matteoli, Letta, Bonaiuti, coordinatori, capigruppo e Ghedini. È un gabinetto di guerra che in presa diretta, tramite Letta, contatta il capo dello Stato Napolitano a Stromboli. Lo mettono al corrente della situazione critica, dei numeri "in sofferenza" che richiederanno una riflessione, alla ripresa. Non un commento, nessuna considerazione in un senso o nell'altro dal Quirinale, che resta osservatore attento ma discreto degli sviluppi parlamentari.

"Ma a settembre bisogna trovare l'occasione per aprire formalmente la crisi, dimostrare che non ci sono più i numeri e convincere il Colle che non c'è alternativa al voto" ha ripetuto Berlusconi ai big. Nel vertice, per la prima volta, si parla di date, della necessità di un'accelerazione per chiudere la partita entro il primo ottobre, in modo da portare il Paese alle urne il 14 o il 21 novembre. Auspici che non tengono conto di due incognite. La prima, il pretesto per aprire la crisi. Sembra che Berlusconi abbia accolto il suggerimento di chi gli consiglia di evitare una rottura sul processo breve: legge ad personam che lascerebbe il retrogusto di una crisi aperta per interessi privati. Si troverà altro, si dice convinto Berlusconi. Ma la seconda incognita è il Quirinale, appunto. Basterà il no a un reincarico all'attuale premier per indurre il capo dello Stato a sciogliere le Camere? E fallirà davvero, alla prova dei numeri, un incarico "tecnico"?

"La situazione in effetti è complicata, ne abbiamo preso atto" confida un ministro berlusconiano. Bossi per ora si dice certo che non si va al voto, almeno non prima che i decreti sul federalismo vadano in porto. Di certo, nell'esecutivo si è avvertito un certo nervosismo, culminato nell'ultimo consiglio dei ministri prima della pausa con l'ennesimo battibecco tra Tremonti e la Prestigiacomo sulla nomina del presidente della Consob, ancora al palo.

Sull'altro fronte gongolano. Pier Ferdinando Casini è uscito baldanzoso dall'aula. "Tu saprai fare i conti pubblici, ma questi conti in Parlamento li so fare meglio io" scherza con Tremonti. E se il voto diventa per Berlusconi la strada maestra, è il ragionamento di Casini, "allora ci saranno sorprese". Ma assai soddisfatto, anzi "sereno" si dice a giochi fatti Gianfranco Fini, dopo aver vinto la scommessa della prima prova d'aula del neonato gruppo Fli. Tutti astenuti i presenti a parte, come previsto, i governativi Ronchi e Urso. Le due deputate contattate ore prima dal premier per un ultimo pressing pro Caliendo - la Sbai e la Polidori - sono state "riacciuffate" in extremis. "Se qualcuno pensa di portare il Paese alle urne, deve sapere che dovrà rendere conto agli italiani - è stato il commento coi suoi del presidente della Camera - Il fatto che una deputata come la Moroni abbia fatto pubblicamente quel discorso, vuol dire che non si può più ridurre tutto a una lotta tra giustizialisti e garantisti". Un ultimo sondaggio che gli hanno consegnato in giornata (fonte Crespi) attesterebbe un suo ipotetico partito all'8 per cento. E il compito di strutturarlo, Fini lo ha affidato a Urso: dovrà essere "leggero, stile Obama". Dal Pdl lui e i suoi sono fuori. Epurazione di tutti i coordinatori e vice, regionali e provinciali, è stato deciso nel vertice a Palazzo Grazioli. E da settembre, con il rinnovo delle commissioni parlamentari, non più di due finiani per ciascuna. Giulia Bongiorno e Silvano Moffa, questo il diktat dei falchi condiviso dal premier, via dalle presidenze.

(05 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA Voto subito, il Pdl si spacca
Inserito da: Admin - Agosto 07, 2010, 10:24:56 pm
LO SCONTRO

Voto subito, il Pdl si spacca

Berlusconi: errori con Fini

I dubbi del premier. "Rischiamo di trovarci un altro governo Dini".

Scontro tra falchi e colombe. Fli, l'ipotesi di una federazione.

Il Cavaliere vuole come coordinatori del partito Gelmini, Meloni e Alfano. Ma La Russa si oppone

di CARMELO LOPAPA


ROMA - La quiete dopo la tempesta porta su Palazzo Grazioli una nuvola carica di dubbi. Il presidente del Consiglio Berlusconi, rimasto a Roma, va a incontrare l'amico e sodale di sempre Cesare Previsti, pranza con lui, poi riceve in via del Plebiscito Francesco Storace. Sente altri collaboratori e ministri nel corso della giornata e a tutti inizia a esternare le perplessità delle ultime ore. Si fa strada il sospetto che l'accelerazione impressa alla crisi forse non porterà subito laddove il capo del governo spererebbe, cioè al voto. "Forse abbiamo sbagliato i tempi" avrebbe confessato a più di un interlocutore. "Se sbagliamo, rischiamo di trovarci un altro governo Dini".
Uscito dopo due ore dalla casa romana di Previti a Piazza Farnese, il premier si limita a qualche battuta coi cronisti: "Non mi strapperete neanche una parola. Quello che succederà me lo direte voi. Io leggo i giornali e mi adeguo alla realtà che raccontate". Poi, "voi andate in vacanza, beati voi... Io andrò qualche giorno ad Arcore per riposarmi". Vacanze di lavoro, come va ripetendo. Parvenza di serenità che nasconde i timori suoi e dell'entourage. "Berlusconi non ha bisogno di consigli, sa sbagliare da solo. Ci sono grandi difficoltà - confessa Marcello Dell'Utri a Radio 24 - Il respiro del governo si è fatto affannoso, c'è dell'asma. Ma non credo si andrà a votare a breve come auspica il premier".

Già, perché il capo del governo si sta convincendo che la formazione di una nuova maggioranza in Parlamento, comunque in grado di sostenere un governo di transizione, non sia un'ipotesi del tutto peregrina. Calderoli dalle file del Carroccio continua a dire "no a esecutivi Frankenstein, meglio il voto". Ma a Berlusconi hanno spiegato che nel Pdl sarà facile reperire venti deputati e venti senatori pressoché certi di non essere ricandidati o di non essere eletti. A quel punto il gioco dei terzopolisti sarebbe fatto. Raccontano che la lettura dell'intervista a Repubblica di Giuseppe Pisanu ("Mi opporrò alle elezioni, in Parlamento tantissimi contrari") abbia contribuito a frenare gli ultimi slanci del presidente del Consiglio sul ritorno alle urne. E così le dichiarazioni dell'ormai ex pdl Chiara Moroni.

Anche l'exit strategy individuata dalle colombe del partito, un mini programma in quattro punti su giustizia, federalismo, fisco e Mezzogiorno sul quale apporre la fiducia e stanare i finiani, non è che lo abbia convinto più di tanto. Il premier Berlusconi è scettico. Teme soprattutto di ritrovarsi in un vicolo cieco, qualora i 33 deputati e i 10 senatori vicini al presidente della Camera votassero quel pacchetto, per poi ricominciare la guerriglia in aula. Tanto più che il capogruppo alla Camera Italo Bocchino ha già fatto sapere che quel patto loro lo accettano, "detto questo, però, i punti vanno tradotti in leggi e su quelle poi staremo attenti". Anche il prossimo capogruppo al Senato di "Futuro e libertà", Pasquale Viespoli, conferma che loro sono "pronti ad aprire il confronto".

Il clima nel dopo strappo dunque è tutt'altro che sereno, nel Pdl. Anche per il braccio di ferro in corso tra falchi e colombe. Alla prima categoria sono iscritti gli ex colonnelli di An e forzisti di peso quale Cicchitto. Sull'altro fronte, Gianni Letta, i ministri Frattini e Gelmini, tra gli altri. I primi lavorano per una rottura e per il voto in autunno. Un errore, al contrario, secondo le colombe che continuano a lavorare di diplomazia: per il voto a novembre non ci sarebbero i tempi tecnici, è la loro tesi. Calendario alla mano, con le Camere che riprendono a lavorare di fatto a metà settembre, Berlusconi dovrebbe aprire una crisi e ottenere lo scioglimento dal Colle entro i primi di ottobre. Meglio trattare con Fini - è dunque il suggerimento di Frattini, Gelmini e dei moderati - e stipulare magari una federazione con Fli, qualora accetti il piano in quattro punti: per vincolare loro e blindare il premier fino al termine della legislatura.

Ma a vacillare nel Pdl è anche il coordinamento. Nell'ultimo vertice di giovedì, Berlusconi ha illustrato i risultati degli ultimi focus dai quali emergerebbe come i giovani elettori pdl siano attratti da Fini. Da qui la necessità di "cambiare l'immagine del partito", ha rimarcato, ipotizzando Gelmini, Alfano e Meloni al coordinamento. La Russa ha ribattuto a muso duro: "Presidente, fà come vuoi, ma gli ex An li rappresento io", non il ministro della Gioventù, sottinteso. 

(06 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA. - La crisi Berlusconi frena: "Io vado avanti"
Inserito da: Admin - Agosto 09, 2010, 10:12:07 am
IL RETROSCENA

I falchi attaccano: e ora la crisi Berlusconi frena: "Io vado avanti"

Berlusconi: "Finché ho la maggioranza si continua".

E considera la nota di Fini quasi come un "autogol".

Ore di tensione, ci sarebbe stata anche una telefonata informale con il presidente della Repubblica.

Intanto insiste: "Se avesse un minimo di senso dello Stato, ora Gianfranco dovrebbe dimettersi"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Gongola, raccontano i suoi. La nota difensiva con cui Gianfranco Fini prova a smarcarsi dal caso monegasco la considera né più né meno che un "autogol". Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ritiratosi sabato notte ad Arcore, vuol incassare subito il dividendo politico di una vicenda sollevata dal suo "Giornale" in concomitanza con lo strappo consumato dal presidente della Camera. E sì che il Cavaliere scommette parecchio sullo "scandalo", per uscire dall'angolo in cui si ritrova e chiedere la "testa" di Fini. E allora altro che domenica d'agosto. Sono ore ad alta tensione, in cui - riferiscono berlusconiani di stretta osservanza - sarebbe intercorsa anche una telefonata informale con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

"Se avesse un minimo di senso dello Stato, Fini dovrebbe dimettersi" gli hanno sentito dire i consiglieri e i collaboratori più fidati sentiti al telefono da Villa San Martino. L'autodifesa in otto punti della terza carica dello Stato è stata diramata da poco più di un'ora e il capo del governo è un fiume in piena. "Si ritrova nella medesima posizione di Claudio Scajola. Anche il ministro non era stato raggiunto da alcun provvedimento giudiziario, le dimissioni sono state una scelta di opportunità politica - ragiona Berlusconi - Lo stesso dovrebbe fare Gianfranco, ma vedrete che proverà a resistere in ogni modo. Comunque, io non c'entro nulla con questa storia. Hanno fatto tutto i giornali".

Il premier non dispera. In settimana, in uno degli ultimi vertici del Pdl, al cospetto di ministri e coordinatori presagiva nubi nere in arrivo sull'inquilino di Montecitorio: "Vedrete, da qui a qualche giorno dovrà dimettersi". E proprio la richiesta di dimissioni è tornata ad essere, non a caso, il tamburo di guerra fatto risuonare per tutto il pomeriggio e fino a sera da tutta la batteria berlusconiana: capigruppo, sottosegretari, semplici peones. Daniela Santanché, tra gli altri, le ritiene "indispensabili".

Raccontano tuttavia che quando è stata portata al premier la nota di Fini, ad irritarlo non poco sia stato l'incipit del presidente della Camera. Quell'"a differenza di altri non ho l'abitudine di strillare contro i magistrati comunisti". Una "provocazione", è stato il commento: "Ormai si pone sullo stesso piano di Bocchino che chiede la sostituzione dei nostri coordinatori e di Della Vedova che apre alle coppie gay e di fatto" avrebbe ribattuto gelido Berlusconi. Per aggiungere poi - come avrebbe fatto dichiarare nei comunicati stampa dei suoi, da lì a breve - che "non ci sono più margini per trattare, c'è solo lo spazio necessario per aprire la crisi e andare a votare". Addio patto di legislatura, addio intesa con i finiani a settembre, è il senso dei messaggi firmati Pdl. "La verifica con Futuro e Libertà chiusa ancora prima di essere aperta" sintetizza non a caso il vicecapogruppo Osvaldo Napoli.

Il Cavaliere coi suoi si lascia andare a previsioni entusiastiche (sulle dimissioni di Fini) e a considerazioni amare (sul dialogo finito e sul voto). Lo fa a ruota libera con tutti coloro che sente. Tanto che in serata - come era accaduto il 26 luglio subito dopo l'uscita di Fini contro il coordinatore Verdini interrogato dai pm ("Inopportuno mantenere incarichi quando si è indagati") - il portavoce Bonaiuti si premura a diffondere una nuova "smentita preventiva" su ogni possibile ricostruzione che sarà attribuita al premier, sui quotidiani di oggi. Ma tant'è. Il presidente Berlusconi in queste ore gioca su più tavoli. Manda alla scoperta i falchi del partito minacciando la crisi-raid alla ripresa. Salvo poi prendere atto nei colloqui coi ministri che il voto in autunno è di fatto impossibile e che bisognerà in qualche modo tirare avanti. Possibilmente senza farsi cuocere a fuoco lento dagli uomini del presidente della Camera.

Un punto sembra che il premier lo abbia fatto, a distanza, proprio col capo dello Stato Napolitano, ritiratosi a Stromboli. Nessuna conferma dalle fonti ufficiali, ma i berlusconiani riferiscono di un lungo colloquio informale, qualcosa più che un semplice scambio di auguri di buone vacanze. Nel corso del filo diretto il presidente del Consiglio avrebbe fatto cenno esplicito alle criticità che il suo governo si ritroverà ad affrontare in Parlamento, dopo l'uscita dei 33 deputati e 10 senatori finiani, formalizzata a chiusura dei lavori d'aula. Con l'istantanea della mozione Caliendo lì a dimostrare che il centrodestra potrebbe anche andare sotto, almeno a Montecitorio, da settembre. Fino a quando ho i numeri io vado avanti, avrebbe spiegato il Cavaliere al presidente della Repubblica che anche in questi giorni ha seguito con attenzione e tacita discrezione l'evolversi della situazione.

Se poi i numeri venissero meno, se il governo non avesse più la maggioranza, tireremo le somme, è il sottinteso berlusconiano. Certo, né ora né in futuro, sarà possibile siglare un "patto" col Quirinale - che il leader Pdl auspicherebbe invece - per garantire lo scioglimento immediato delle Camere, in caso di crisi. Per adesso il premier ha raggiunto Arcore e lì ha fatto sapere di voler restare in questi giorni. "A lavorare". La convocazione di ministri e big Pdl potrebbe scattare anche prima di fine agosto.

(09 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/09/news/berlusconi_crisi_pdl-6164017/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Il Cavaliere spera nel ritorno dei ribelli...
Inserito da: Admin - Agosto 11, 2010, 10:36:01 am
GOVERNO

Il Cavaliere spera nel ritorno dei ribelli "E niente scherzi sulla legge elettorale"

Ma i finiani: ci bombardano, viene la tentazione di aprire la crisi.

Futuro e libertà medita una campagna per additare i "punti oscuri" di Silvio


di CARMELO LOPAPA


Siede in riva al lago e attende fiducioso. Il premier Berlusconi lascia Arcore, si sposta in serata a Lesa, nella sua Villa Campari, sul lago Maggiore, e prende tempo.

L'accelerazione verso il voto anticipato resta la soluzione prediletta. Ma il Cavaliere, da qualche ora, dicono sia sempre più convinto che l'affare dell'immobile monegasco possa imbrigliare a tal punto il suo avversario Fini da spingerlo davvero all'angolo, fino alle dimissioni, spera. Auspicio vano: "Se lo scordi, io non lascio" filtra anche dopo la giornata burrascosa di ieri dalla terza carica dello Stato.

Una chiamata in causa ancora più diretta e personale dell'ex leader di An in questa faccenda, ecco la previsione del premier: "Vedrete che a quel punto, dimissioni o meno, i suoi parlamentari, uno dopo l'altro, torneranno sulla nostra sponda". Di certo, a Bocchino e a chi gli chiede di smentire la richiesta di dimissioni, il premier oppone un significativo silenzio. Anzi, se non fosse chiaro, a un sottosegretario di governo, Francesco Giro, a un certo punto fa dire proprio che Berlusconi "non ha nulla da smentire o chiarire". Il presidente del Consiglio chiama piuttosto alla mobilitazione il partito con la lettera ai Club della libertà, appello che sa tanto di adunata pre-elettorale. Ma è solo un avvertimento, nella guerra di posizione con gli avversari. Non cita mai il presidente della Camera, ma nel disegno del Cavaliere è lui "che antepone i propri particolari interessi al bene di tutti".

D'altronde è della terza carica dello Stato che per tutto il giorno i Capezzone, i Cicchitto, i Napoli hanno chiesto con insistenza le dimissioni. Un lavorio ai fianchi che, questo è stato l'input del capo del governo, è destinato a proseguire nei prossimi giorni. In un tandem politico-mediatico che avrà - come ha avuto finora - sponda nei giornali più vicini al premier. A cominciare dai suoi. Tuttavia, nel pranzo con l'avvocato Ghedini ad Arcore e poi nei colloqui avuti, Silvio Berlusconi ha ostentato un'inconsueta pacatezza nell'analisi: "Sono disposto anche a concedere un rilancio della maggioranza, a rinunciare al voto, a patto che oltre alle nostre proposte, alla ripresa, i finiani sottoscrivano anche l'impegno a mantenere invariata la legge elettorale".

Sembra sia il nuovo cruccio del leader Pdl. "Il complotto che vogliono ordire alle mie spalle punta proprio a stravolgere la legge elettorale - è la sua convinzione - Col solo obiettivo di farmi fuori". Un "complotto" del quale sarebbero protagonisti, nell'immaginario berlusconiano, tanto Pd e dipietristi, quanto Casini, Rutelli e lo stesso Fini. Allo scopo di eliminare il meccanismo che consente al solo partito che ottiene più voti di ottenere un premio tale da governare con larga maggioranza alla Camera. "La legge elettorale non si tocca" è dunque l'ultimo diktat partito da Arcore.

Ma la legge elettorale non è certo in cima ai pensieri del presidente della Camera, in queste ore. Dalla vacanza blindata di Ansedonia, nei pochi contatti avuti, Gianfranco Fini lascia filtrare l'intenzione di proseguire il mandato, nessuna intenzione di dimettersi. "Se Berlusconi le pretende davvero, le chieda personalmente, anziché farlo attraverso i Capezzone" è lo sfogo riferito dai suoi. A quel punto, lo scontro non sarebbe solo politico, si farebbe "istituzionale". Ma quel che turba la cerchia più stretta dei finiani, adesso, è il sospetto rivelato da Carmelo Briguglio: un coinvolgimento poco chiaro di ambienti dei servizi nell'operazione mediatica lanciata in queste settimane, in concomitanza con lo strappo alla Camera. Di più, gli uomini più vicini al presidente, di fronte al fuoco incrociato in corso, si chiedono se a questo punto non sia il caso di lanciare loro il contrattacco, "dichiarare aperta la crisi e chiedere il voto: che senso ha, ormai, proporci la fiducia su questo e quell'altro punto". La crisi, va da sé, sarebbe crisi al buio. Anche perché ci si arriverebbe dopo che dal quartier generale di Futuro e libertà verrebbe scagliata l'arma fine-di-mondo. Non solo la legge sul conflitto di interessi, ma anche tutta una serie di nodi rimasti oscuri e irrisolti: "L'acquisto della casa di Arcore, con Previti mediatore - elencano - le ripetute visite di Berlusconi a Gheddafi, forse non solo per interessi di Stato, infine le incognite rimaste aperte sul caso Noemi".

(10 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/10/news/retroscena_10_agosto-6188455/


Titolo: CARMELO LOPAPA Il Cavaliere ora teme una soluzione alla Dini
Inserito da: Admin - Agosto 14, 2010, 03:52:22 pm
IL RETROSCENA

L'ira di Berlusconi sul Colle: Scorretto, non doveva intervenire

Il Cavaliere ora teme lo scenario del '94, una soluzione "alla Dini".

Irritazione per la scelta dell'intervista all'Unità: "Proprio il giornale che mi denigra sempre".

Su Fini: "La storia della casa gli ha tolto la maschera, perderà anche la poltrona"

di CARMELO LOPAPA


È il fantasma del '94 che ritorna. La soluzione "alla Dini" che si staglia all'orizzonte. Il premier Silvio Berlusconi intravede l'uno e l'altra e lo sfogo è denso di rabbia. "Napolitano è stato scorretto".

L'intervista del capo dello Stato all'Unità fa vedere nero, al presidente del Consiglio. La legge di primo mattino e la mette via: "È una intromissione indebita" è stata la reazione a caldo, riferita da alcuni fra i tanti capigruppo, ministri e semplici deputati che lo hanno sentito al telefono per sondarne gli umori, cogliere le sfumature, prevedere l'andazzo.

Il monito del Colle è sceso giù sull'inner circle berlusconiano come una doccia fredda. "Proprio all'Unità doveva concedere l'intervista?" si è chiesto retoricamente il Cavaliere. "Proprio al giornale che da sempre conduce una campagna denigratoria contro di me? È una provocazione". Ma non è solo il "mezzo" ad aver indispettito il capo del governo, ancora ieri ad Arcore e in procinto di trasferirsi da oggi in Sardegna giusto per la pausa di Ferragosto. Quell'evocazione del "vuoto politico" che metterebbe a rischio il Paese in caso di ricorso alle urne, l'invito a fermare la campagna di delegittimazione nei confronti del presidente della Camera, sono per Berlusconi la conferma che l'obiettivo del voto anticipato, in caso di crisi politica in autunno e dimissioni, non sarà tanto facile da raggiungere. Non è insomma una soluzione scontata, per il Quirinale. Prendono così corpo nuovamente, nel giro di poche ore, tutti i sospetti del leader Pdl sulle chances crescenti di un governo tecnico o di transizione. "Ma se danno vita a un altro esecutivo al posto mio, sarà un colpo di Stato e come tale io lo denuncerò" ha confessato il premier a uno dei maggiorenti del partito nel corso della giornata. "E di fronte a un golpe io mando la gente in piazza". Richiamo non nuovo alla mobilitazione, arma finale che Berlusconi in più di un'occasione ha ventilato. Questa volta al cospetto del Colle. Non a caso, poche ore dopo la pubblicazione dell'intervista a Napolitano, proprio il capogruppo Cicchitto viene lanciato subito alla carica, col richiamo alle "menifestazioni" di piazza. Poi tutti i falchi a seguire. Bondi, Gasparri, Napoli, tra gli altri.

Ma ad aver irritato altrettanto Berlusconi è stato anche l'invito a frenare la campagna in corso sull'inquilino di Montecitorio. "Sono stati usati due pesi e due misure. Nulla in mia difesa quando un anno fa sono stato al centro di un attacco politico e mediatico senza precedenti - si è sfogato ancora - adesso l'invito a fermare un'inchiesta su Fini sulla quale io nulla ho a che fare". Di più. "Il presidente della Repubblica avrebbe dovuto invitarlo piuttosto a fare chiarezza sulla faccenda della casa, e allora sì che Gianfranco sarebbe stato sull'orlo delle dimissioni". Il sospetto neanche tanto velato che il premier non riesce a cacciare è che l'asse Quirinale-Montecitorio, l'intesa solidissima tra Napolitano e Fini, resista e trami alle sue spalle. Magari per disarcionarlo. Magari per affidare le redini di un esecutivo di emergenza, di solidarietà nazionale, a una figura terza, al governatore di Bankitalia Mario Draghi, per esempio.

Quel che anche ieri il premier andava ripetendo ai più stretti collaboratori è che "con Fini non farò mai la pace". Toni ancora più aspri del solito: "Con questa storia della casa gli è stata tolta la maschera, io gli toglierò la poltrona". Il leaeder Pdl resta infatti convinto che il presidente della Camera "sarà costretto a dimettersi: e in ogni caso, lo porterò al voto, gli farò fare la fine di Rifondazione comunista". Su questo, sul ricorso al più presto alle urne, l'intesa con Bossi resta piena. Col Senatur si sono sentiti nel pomeriggio, concordando per il 25 agosto un vertice informale tra dirigenti di Pdl e Carroccio, nella villa berlusconiana sul lago Maggiore.
Le parole di Napolitano, neanche a dirlo, sono state lette al contrario con grande apprezzamento da Gianfranco Fini. "Bisognerebbe ascoltare le sue parole anziché giocare allo sfascio" sarebbe stato uno dei suoi commenti. Il capogruppo Italo Bocchino ha da poco lasciato Ansedonia, casa di vacanza del presidente della Camera, quando viene diffusa una sua nota in cui, prendendo spunto dall'intervista al capo dello Stato, si sottolinea non a caso come sia "facile capire chi gioca allo sfascio e vuol trascinare il paese in una ulteriore avventura elettorale nel più assoluto disprezzo dell'interesse nazionale". La convinzione dei finiani - anche alla luce delle ultime prese di distanza di Montezemolo e della Marcegaglia dal governo Berlusconi - è che il premier sia "ormai isolato: ha capito che il suo progetto di elezioni anticipate non avrà sbocco".

(14 agosto 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/08/14/news/retroscena_berlusconi-6277705/?ref=HREA-1


Titolo: Gianfranco si tiene le mani libere Tra un mese l'arma elettorale è scarica...
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2010, 12:31:00 pm
IL RETROSCENA

Gianfranco si tiene le mani libere "Tra un mese l'arma elettorale è scarica"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Da Mosca a Ottawa, la tregua regge. I toni si abbassano, nonostante le provocazioni a distanza. A fermare la contraerea dei finiani, pronta ad accendersi contro il premier che li accusava di coltivare solo la loro "aziendina", è lo stesso presidente della Camera. "Non rispondere, qualunque cosa dica, lasciare scivolare le accuse, volare basso almeno fino a metà ottobre quando l'arma elettorale sarà scarica", è il diktat dettato prima della partenza in Canada e ripetuto ieri ai fedelissimi al telefono. Sfumata quella scadenza, calendario alla mano, addio voto entro l'anno. E i giochi si riapriranno.

Berlusconi in Russia e Fini in Canada non si risparmiano sciabolate. Ma quel che conta è che entrambi, parlando coi loro interlocutori internazionali, sostengono la medesima tesi: "La legislatura andrà avanti", "il governo durerà tre anni". Il premier tira un sospiro di sollievo quando a Yaroslavl lo informano dell'ultima di Bossi sulla Lega che sarà leale e voterà come chiederà Berlusconi. È la conferma che le resistenze della Lega, ostinata sul voto anticipato, per il momento sono superate. Nonostante i dubbi di Roberto Calderoli, ancora convinto che a fine settembre servirà una "maggioranza di qualità", non una semplice di 316 voti. Il ministro va ripetendo che quella soglia vada raggiunta senza i 34 finiani. Altrimenti si continuerà a ballare, nei prossimi mesi. Ma per Berlusconi, per ora, conta la parola di Bossi. "Umberto si è convinto, garantirà pieno sostegno al governo e di lui mi fido. Con la Lega e i nuovi arrivi in maggioranza vedrete che andremo avanti" confida il Cavaliere a chi lo ha seguito nella missione moscovita.

E vanno letti nell'ottica del nuovo clima - non di pace, ma almeno di tregua armata - i passaggi inediti di ieri, dopo un'estate di fendenti e veleni. L'uscita del presidente del Senato Schifani che si smarca dalla campagna per le dimissioni di Fini; le scuse in pubblico di Gaetano Quagliariello per aver paragonato Fli al "cancro"; l'apprezzamento dell'unico ministro finiano Andrea Ronchi per le "parole di saggezza del presidente Schifani: è tempo di tornare a un confronto responsabile"; l'invito del berlusconiano Maurizio Lupi a seguire "la strada migliore, quella della responsabilità". Responsabilità è il termine abusato in queste ore, lo stesso col quale i consiglieri del premier vorrebbero battezzare il nascituro gruppo dei transfughi di maggioranza. Anche se Francesco Nucara, che ci sta lavorando e che lunedì riferirà al premier, ancora ieri invitava alla cautela: "dubito si tocchi quota 20". Non a caso, dato che le trattative con i pezzi pregiati dell'operazione, i 4-5 deputati udc, sono state bruciate. Mario Tassone, Calogero Mannino, Lorenzo Ria, Giuseppe Drago e Michele Pisacane, i cui nomi erano circolati perché contattati dagli ambasciatori berlusconiani, fanno sapere dalla loro festa di Chianciano che non si presteranno "a certe ambigue operazioni di basso trasformismo". Su altri, centristi, rutelliani, perfino dipietristi, il pressing proseguirà, confermano fonti di Palazzo Grazioli.

"Quel che è importante è che sembrano esserci le condizioni per finire la legislatura" ragiona un ministro prudente e d'esperienza come Altero Matteoli: "Se si aggiungerà qualcuno alla maggioranza sarà meglio, ma a confortare sono soprattutto le dichiarazioni ragionevoli di molti finiani". Riferimento ai moderati Viespoli, Moffa, Menia. Ma quelli di Fli si sentono altrettanto sicuri, a questo punto, che il voto non ci sarà e soprattutto di non poter essere sostituiti con nuovi gruppi in arrivo. "Da professionisti della politica, come ci chiama Berlusconi, da qui a fine mese resisteremo anche alle torture - spiega la strategia Carmelo Briguglio - non ci impressiona né una copertina di "Panorama" né una battuta infelice del premier: Fini ci prega di fare i martiri. A tempo, s'intende".

(11 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/11/news/mani_libere-6958189/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA L'ira del Cavaliere che teme 'il ricatto' e torna il rischio ...
Inserito da: Admin - Settembre 15, 2010, 09:01:44 am
IL RETROSCENA

L'ira del Cavaliere che teme 'il ricatto' e torna il rischio di stare sotto quota 316

Berlusconi ai suoi: "Non permetto a Fini di tenerci sulla graticola, deve dirci sì su tutto, giustizia compresa"


di CARMELO LOPAPA


ROMA - Fa in tempo a rientrare a Palazzo Grazioli nel pomeriggio, il presidente del Consiglio Berlusconi, che già lo svago della notte nella movida moscovita è cancellato dalle news italiane. L'esternazione canadese di Gianfranco Fini sulla necessità del voto, la battutina sulla campagna acquisti, la bolla come una provocazione bella e buona, "l'ennesima". "È la conferma che vuole tenerci sotto ricatto, se non raggiungeremo l'autosufficienza: quota 316 senza i suoi - è il ragionamento fatto dal premier di ritorno dalla Russia con chi lo ha sentito - Ma io non gli permetto di tenerci sulla graticola. Il 28 si vota, certo, ma loro dovranno dire sì su tutto, giustizia compresa, o li porto al voto al più presto". Una sfida che i finiani si preparano a raccogliere, come lascia intendere in serata Italo Bocchino confermando la disponibilità a votare "anche dieci lodi Alfano, ma non il processo breve: fatto questo, poi Berlusconi deve governare".

Anche oggi, alla chiusura della kermesse della Meloni (Atreju) a Roma, il Cavaliere ribadirà come fatto ieri che la legislatura deve andare avanti. Che è irresponsabile chi crea problemi per interessi di parte. Nel frattempo lavora a spron battuto per la nascita del nuovo gruppo di maggioranza che, nella strategia di Palazzo Chigi, dovrebbe proprio portare a quota 316 senza i finiani. Impresa sempre più ardua. Appena atterrato nella Capitale, il premier si è subito informato dello stato delle trattative condotte da Nucara, Cicchitto, Pionati, tra gli altri. Ma al momento il pallottoliere dei sì al programma in cinque punti è fermo a quota 310-311 (Fli a parte), come gli hanno confermato i suoi. "Non c'è alcun gruppo che assicuri per ora la maggioranza senza i finiani e penso che non sarà facile da realizzare" racconta il repubblicano Nucara dopo aver incontrato e tentato ieri perfino Marco Pannella. Invano. Il fatto è che ai 296 voti di Pdl e Lega, per adesso, si sono aggiunti solo i 5 di NoiSud, i 5 dell'Mpa (estranei però al nascituro gruppo), i 3 liberaldemocratici, e appunto i due Nucara e Pionati. Sul resto si tratta, ma restano indispensabili i 34 di Fli.

Gianfranco Fini torna più che soddisfatto dalla missione canadese, soprattutto del consolidamento dei rapporti con Nancy Pelosi, colonna dei democrats e dell'amministrazione Usa. "Se dopo il discorso di Berlusconi non si votasse, per il governo sarebbe un segno di grande debolezza" spiega ai fedelissimi prima di imbarcarsi sul volo per l'Italia. Se il 28 si voterà, è il filo di ragionamento seguito dalla terza carica dello Stato, è per anche "prassi parlamentare: da sempre a un intervento del premier segue il dibattito e i capigruppo di maggioranza si fanno carico di presentare un ordine del giorno da sottoporre al voto". Anche stavolta, sottinteso, si farà così. Si dovrebbe, meglio dire. Perché uno dei problemi è proprio quello: chi dovrebbe presentare e firmare l'odg pro Berlusconi? Bocchino è disposto a sottoscriverlo e farlo votare per conto dei finiani. Ma Cicchitto (Pdl) e Reguzzoni (Lega) accetteranno di firmare un documento con lui, certificando la nascita della nuova maggioranza a tre gambe? Tutto da vedere. "Se sarà un voto sulla risoluzione o un vero e proprio voto di fiducia lo si discuterà nei prossimi giorni", taglia corto Gasparri. Quel che è certo è che la stoccata di Fini su voto e campagna acquisti ha rimesso in fibrillazione il Pdl. "Continua a dimostrarsi tutt'altro che super partes - dice uno dei berlusconiani più ortodossi come Osvaldo Napoli - Sono i capigruppo e non lui a decidere se occorre un voto. Ecco perché deve dimettersi da presidente della Camera: parla ormai da capo partito".

(12 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/12/news/l_ira_del_cavaliere_che_teme_il_ricatto_e_torna_il_rischio_di_stare_sotto_quota_316-6990357/


Titolo: CARMELO LOPAPA Dell'Utri dietro alla nuova corrente di Miccichè
Inserito da: Admin - Settembre 19, 2010, 06:21:20 pm
IL CASO

Dell'Utri dietro alla nuova corrente di Miccichè

Berlusconi non stronca l'iniziativa del sottosegretario.

Pronto il movimento di Cuffaro. Gli udc siciliani su cui conta il premier hanno già registrato il nuovo movimento

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Ancora con questa storia del partito del Sud". Il presidente del Consiglio Berlusconi vola a Taormina ma prova a tenersi lontano dal "teatro dei pupi" siciliano che non smette di riservargli sorprese. Lì dove il governatore Lombardo sta per dare vita alla giunta-caponata, con moderati e terzopolisti dentro e tutti i pidiellini fuori, lì dove quel che resta dell'invincibile armata elettorale del Cavaliere va in frantumi, ad attenderlo al varco è adesso la novità del "Partito del popolo siciliano". Trovata del suo ex pupillo Gianfranco Micciché, intenzionato a lasciare il Pdl, dopo aver rotto con Lombardo, non senza aver accusato il coordinatore La Russa di essere "volgare e fascista".

Un pasticcio, insomma, l'ennesimo, alla siciliana. Che il premier sfiora appena, incontrando i maggiorenti del partito - il coordinatore Castiglione, i senatori Vizzini e Firrarello - in un hotel di Taormina, poco prima di partecipare alla kermesse della Destra di Storace. A loro racconta di non aver gradito modi, tempi e contenuti della sortita del sottosegretario, soprattutto l'insulto a La Russa, che in giornata incassa oltre alla telefonata di Berlusconi e del presidente del Senato Schifani, anche la solidarietà del ministro Gelmini e di Gasparri, tra gli altri. Micciché accorre pure a Taormina, ma per lui, raccontano, ci sarà solo una rapida stretta di mano. Tuttavia, nei suoi confronti non ci sarà da parte del presidente del Consiglio neanche una presa di distanza plateale. Nessuna stroncatura. E non poteva esservene, come spiega chi conosce le cose siciliane del Pdl e questa vicenda tra le altre: l'ex manager di Publitalia, l'artefice del 61-0 del 2001, nulla ha mai fatto e nulla mai farebbe senza l'assenso del suo mentore Marcello Dell'Utri. Regista, sembra, anche di questa operazione.

Berlusconi ha riservato una rapida stretta di mano e un saluto di cortesia anche al governatore Lombardo, che lo attendeva in serata in aeroporto a Catania. Niente più ha concesso a chi gli ha promesso la fiducia dei suoi cinque a Roma, ma a Palermo si è messo in testa di reggere Palazzo d'Orleans (sede della giunta) con il Pd, con i finiani, con gli uomini di Casini che hanno rotto con Cuffaro e i rutelliani. Prove generali in salsa siciliana del "terzo polo" dei moderati, peggio agli occhi del premier, di un governissimo con i berlusconiani fuori. L'unica preoccupazione del premier per ora è frenare l'operazione terzopolista a Roma, ragion per cui lavora da giorni d'intesa con i cuffariani.

Spiegava ancora ieri da Taormina: "Alcuni Udc rafforzeranno la maggioranza. Sono stato cercato, non ho esercitato alcuna pressione". Tutto torna, se è vero che il segretario siciliano Saverio Romano e il deputato Pisacane, con il ras nisseno Rudi Maira, avrebbero registrato giovedì scorso presso lo studio di un notaio a Roma una nuova associazione: sigla da trasformare presto in partito. Loro negano: "Ma quando mai, parliamo di cose serie". E prima di pronunciarsi attendono il discorso di Berlusconi in aula il 29. "Abbiamo una questione aperta nel nostro partito, Cesa e Casini stanno facendo di tutto per spingerci fuori" racconta Romano. Per ora restano nell'Udc, forse per poco. Dopo che Pier Ferdinando Casini ha affidato al nuovo plenipotenziario Gianpiero D'Alia il partito siciliano e lo scettro per trattare l'ingresso nella giunta Lombardo.

Già, Lombardo. Continua a giocare su più tavoli, il governatore. Venerdì sera ha colto l'occasione della festa del Pd a Palermo per stringere il patto di ferro coi democratici: "Siamo alleati e mi auguro che ci troviamo sul piano delle riforme - ha proclamato dal palco - Ci vorrà del tempo, ma se funzionano possiamo presentarci insieme per vincere le prossime elezioni". E giù applausi dalla platea pd. Col segretario Giuseppe Lupo che annuiva: "Si può aprire una nuova fase, per realizzare un'alternativa al berlusconismo". Anche se non tutti la pensano come lui e come Lumia, nel partito, da Rita Borsellino a Enzo Bianco: "Operazione spregiudicata".

Se non è spregiudicata, di certo l'operazione trasversale lo è. Ieri sera è arrivato il disco verde anche dei finiani Briguglio, Granata e Scalia, che daranno man forte coi loro cinque deputati regionali (e Nino Strano, quello della mortadella al Senato, in giunta). Come pure dai tre rutelliani all'Ars. Micciché invece dice di rompere per via "dell'accordo con il Pd". E' il momento di inventarsi qualcos'altro, ha annunciato dal suo blog: "Lascio il Pdl per dedicarmi interamente alla Sicilia e al Sud", ma non lascia né il centrodestra, né il posto al governo "né chiederò ad alcuno di lasciare i gruppi Pdl di Camera e Senato". Via di mezzo tra corrente e movimento. Nuova sigla per aprire altre trattative.

(19 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/19/news/dell_utri_dietro_alla_nuova_corrente_di_miccich-7216074/


Titolo: CARMELO LOPAPA Peones ingaggiati con 10mila euro
Inserito da: Admin - Settembre 28, 2010, 11:54:03 am
L'INCHIESTA

Ecco il contratto della compravendita

Peones ingaggiati con 10mila euro

Nel 2008 due ex leghisti premiati dal Pdl per le trame anti-Prodi: Pottino e Gabana non furono rieletti, ma in compenso ottennero uno stipendio mensile. Il ministro Elio Vito fu determinante nell'opera di convincimento

di CARMELO LOPAPA



ROMA - A proposito di calciomercato. Non c'è solo l'acquisto plateale e smaccato del deputato in carica, alla vigilia di un voto decisivo. Ci sono accordi e garanzie, sistemi e metodi tali da assicurare il presente e anche il futuro della pedina che si rende disponibile. Non necessariamente un seggio, magari un contratto ad personam. Con soldi sonanti. Tanti. Un tot al mese. Poco meno di quanti la pedina ne avrebbe guadagnati da parlamentare in carica. Di un paio di quei contratti Repubblica adesso è venuta in possesso.

Qual è il metodo? Quale il sistema? Come funziona il mercato da Transatlantico nel reame di Silvio Berlusconi, laddove tutto ha un prezzo, tutto una ricompensa? Lo ricostruiamo attraverso la storia di due oscuri peones, ligi ex onorevoli del Nord-Est. Transitati dalla Lega al gruppo misto nella passata legislatura, alla fine del 2006, nel pieno del biennio ballerino del governo Prodi. Quando ogni singolo senatore diventa determinante per la tenuta dell'esecutivo e in tanti vengono contesi, corteggiati, lusingati. In qualche caso forse convinti con ragioni a cinque zeri. Dopo aver rotto con la Lega in Friuli per beghe locali, Marco Pottino, allora deputato, classe '74, e Albertino Gabana, allora senatore, classe '54 (entrambi di Pordenone) dopo un anno di navigazione a vista nel gruppo misto, vengono "convertiti" a fine 2007 al credo berlusconiano. Per essere acquisiti infine al gruppo forzista. Sono le settimane in cui l'esecutivo del Professore già vacilla. E il senatore Gabana in più di un'occasione vota con quella maggioranza, in un Palazzo Madama trasformato ormai in una casbah. Poco influente Pottino a Montecitorio, ma strategico Gabana per tentare la spallata. I due però camminano insieme. Inseparabili. I messi del Cavaliere sanno che il "pacchetto" va acquisito in tandem. Entrambi vengono avvicinati, lusingati, compiaciuti. Elio Vito, attuale ministro dei Rapporti con il Parlamento - rivela in particolare Pottino nel colloquio telefonico con Repubblica - è il più convincente.

La contropartita? Dentro il Pdl raccontano come in quegli ultimi giorni della Pompei prodiana, Berlusconi chieda all'alleato Bossi il via libera per tentare l'operazione aggancio. E di come la manovra sia stata accordata dal Senatur, a patto che i due "ex" del Carroccio non vengano poi rieletti. Clausola che il Cavaliere, o chi per lui, mette subito in chiaro ai due, nel momento in cui viene prospettato il passaggio e la fittizia candidatura alle successive politiche (poi precipitate da lì a tre mesi). Ma allora che interesse avrebbero avuto i peones ad accettare l'offerta? Transitare per poi perdere il seggio? È qui che scatta la rete di protezione. La garanzia per entrambi, qualora non eletti, di mantenere comunque lo status economico da parlamentare, magari con una consulenza ad hoc.

I fatti.
Succede che, alle Politiche del 2008, tanto il giovane Pottino quanto il cinquantenne Gabana vengono candidati insieme alla Camera, lista Pdl, collegio del natio Friuli. Puntualmente non la spuntano: risultano primo e secondo dei non eletti. E accade che nel dicembre 2008, pochi mesi dopo l'inizio della legislatura, entrambi stipulino due distinti "contratti di lavoro a progetto" con il gruppo Pdl di Montecitorio, "in persona del suo presidente, Fabrizio Cicchitto", con tanto di firma in calce. Durata (art. 5 del contratto): a partire dal gennaio 2009 e "fino al termine della XVI legislatura". Compenso (art. 6): "Complessivi 120.516 euro annui al lordo delle ritenute", da corrispondere "in dodici rate di 10.043 euro". Né più né meno che l'indennità sommata alla diaria di cui godono gli onorevoli. Mancano all'appello solo i 4 mila del rimborso spese per portaborse. Bingo! Professionisti da gratificare per i servigi e la dedizione, consulenti meritevoli ("Considerevoli esperienze professionali nell'ambito delle comunicazioni istituzionali" è l'identica motivazione nei due contratti), da impiegare al gruppo. Il tutto, con soldi pubblici, i budget messi a disposizione dalla Camera, quattrini del contribuente.

Ma si dà il caso che a Montecitorio, al gruppo Pdl, di loro non vi sia traccia (se non al libro paga). "Non risultano nei nostri elenchi, è sicuro che lavorino qui?" risponde la segretaria interpellata. "Forse potete provare al partito". Ma la risposta non cambia quando vengono contattati gli uffici di via dell'Umiltà. Repubblica rintraccia Gabana e Pottino al telefono a Pordenone. I due ex leghisti, oggi pidiellini militanti, forniscono nella sostanza la medesima spiegazione. Confermano di avere quel rapporto di consulenza ma negano la compravendita: "Non siamo stati affatto comprati, provenivamo già dal centrodestra". E ammettono di andare poco a Roma: "Ma solo perché è meglio lavorare qui in Friuli, ci dedichiamo alla costruzione del partito. Proveniamo dal Carroccio e chi meglio di noi sa come si lavora sul territorio?".

(28 settembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/09/28/news/ecco_il_contratto_della_compravendita_peones_ingaggiati_con_10mila_euro-7498634/?ref=HRER2-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Bocchino: "Pronti a nuove maggioranze per cambiare la legge ...
Inserito da: Admin - Ottobre 04, 2010, 12:01:15 pm
L'INTERVISTA

Bocchino: "Pronti a nuove maggioranze per cambiare la legge elettorale"

Il finiano avverte il premier: se fa la crisi, non ci riteniamo liberi.

Non accetteremo una riforma della giustizia che sia punitiva verso i magistrati

di CARMELO LOPAPA



ROMA - "Se qualcuno cerca un pretesto per andare a votare, allora sappia che esiste già una maggioranza alternativa, tanto alla Camera quanto al Senato, in grado di ritrovarsi sulla modifica della legge elettorale. Fosse pure solo su quella. Dopo, solo dopo, si potrà tornare al voto. E' l'ora di passare dalla sovranità padronale a quella popolare". All'ultimatum del ministro degli Interni Maroni e all'avvertimento del premier Berlusconi i finiani non si piegheranno, spiega Italo Bocchino.

Ha sentito il presidente del Consiglio? Verifica giorno per giorno e se non sarete leali presto alle urne. Punto e a capo dopo la fiducia?
"Su questo il problema si risolve in un secondo. Non c'è bisogno della verifica giorno per giorno. Sul programma di governo il premier avrà sempre il nostro voto. La riforma del fisco, gli interventi per l'occupazione, per lo sviluppo, il piano per il Sud, le infrastrutture per il Nord".

Su cosa non lo avrà? Sulla riforma della giustizia?
"Se Berlusconi cerca un pretesto, ha trovato quello giusto: perché noi non accetteremo una riforma della giustizia che sia punitiva nei confronti della magistratura, che proceda per commissioni di inchiesta. Per noi i giudici non sono dei pazzi comunisti e neanche dei deviati mentali. Se il premier ha prove di illegalità, soprusi, persecuzioni, faccia un esposto al Csm. Noi su quel terreno non lo seguiremo".

Seguirete invece l'ultimatum
di Maroni. Vi danno tre 21 giorni per evitare il voto anticipato a marzo: primo banco di prova, le presidenze di commissione. E voi?
"Maroni fa riferimento alle commissioni solo perché sa che ormai lì siamo determinanti. Ma può stare tranquillo: il sostegno al programma di governo sarà indiscusso. La verità tuttavia è che la Lega vuole andare al voto per sottrarre voti a un Pdl ormai in grande difficoltà, sceso sotto il 30% dopo la nostra uscita. Maroni sa bene, da ministro degli Interni, che col ricorso anticipato alle urne Berlusconi e Bossi non avrebbero la maggioranza al Senato. Si andrebbe a una grande coalizione con un governo guidato da Tremonti. E' l'unica cosa che interessa ai leghisti: togliere voti e poltrona al premier. Paradossale che siamo gli unici a difenderlo. Ma non lo comprende".

Teme piuttosto lo spettro di un governo tecnico, come ha denunciato ieri. Meglio il voto anticipato, dunque.
"Se qualcuno pensa di correre al voto, è bene che sappia che la riforma elettorale non rientra nel vincolo di maggioranza. Si può dunque anche pensare, in caso di dimissioni del premier, a un governo che abbia come obiettivo la cancellazione del porcellum. D'altronde, quella legge ha ormai dimostrato di non garantire la stabilità. Per due legislature consecutive ha mandato in crisi la maggioranza dopo due anni. Il mattarellum assicurava più stabilità pur senza premio di maggioranza".

Vi accuseranno di lavorare al ribaltone, all'inciucio pur di liberarvi di Berlusconi.
"Non vogliamo liberarci di Berlusconi, ma dell'oligarchia che consente a cinque leader di nominare l'intera platea parlamentare. Su questo non c'è vincolo di maggioranza che tenga".

Enrico Letta vi ha già teso la mano per conto del Pd.
"Non abbiamo bisogno che alcuno ci tenda la mano. Il giorno dopo le dimissioni di Berlusconi si verificherà in Parlamento l'esistenza di una nuova maggioranza. Detto questo, la sinistra resta nostra avversaria".

Nel frattempo, quanto pensate di andare avanti al fianco di Bondi che ancora ieri accusava Fini e lei di ingratitudine?
"Gli si potrebbe rispondere che se Berlusconi non avesse incontrato Fini, non avrebbe vinto nel 1994, non avrebbe resistito a 15 anni di inchieste giudiziarie, non avrebbe risanato e rilanciato un'azienda fortemente indebitata. E mercoledì scorso non si sarebbe salvato grazie alla nostra fiducia".

(04 ottobre 2010) © Riproduzione riservata


Titolo: CARMELO LOPAPA Guerra fra ex An e Fli sul tesoro della casa madre
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2010, 11:15:22 pm
Guerra fra ex An e Fli sul tesoro della casa madre

La Russa: basta soldi al Secolo. Perina: è vendetta

I finiani rivendicano il 30% dei 380 milioni di patrimonio comune.

E per averlo sono pronti ad andare in tribunale

di CARMELO LOPAPA


ROMA - L'ordine di scuderia è congelare il tesoretto. Blindarlo e renderlo inaccessibile nella polverosa cassa di Alleanza nazionale. Quasi 380 milioni di euro di asset, tra liquidità, attivo in bilancio e valore dei 70 immobili. L'input degli ex colonnelli che siedono alla destra di Berlusconi è semplice: evitare che anche solo il 30 per cento venga assegnato al neonato Futuro e libertà che già rivendica la propria quota. Ma i finiani, che hanno assoluto bisogno di risorse, non ci stanno. Si preparano a portare carte e libri contabili alla magistratura e a chiedere il commissariamento dell'intero patrimonio.

È solo l'ultimo, prevedibile fronte della guerra infinita tra nemici ormai acerrimi. Con i la Russa e Gasparri intenzionati intanto a chiudere i rubinetti del finanziamento al Secolo, house organ un tempo di An ora di Fli. E il direttore Perina che, coi fedelissimi del presidente della Camera, bollano la stretta come "ritorsione politica". Una cosa è certa. In mattinata, il premier Berlusconi ha incontrato a Palazzo Grazioli gli ex colonnelli La Russa, Gasparri, Matteoli, Alemanno. È stata concordata in quella sede una tregua con gli avversari, anche sui conti di An. Tregua che fa il paio con rinvio di ogni discussione. E di ogni decisione. E infatti, per due volte - a metà giornata e in ultimo a sera - la riunione del comitato dei garanti di An che avrebbe dovuto iniziato a discutere del patrimonio e del giornale, è stata rinviata sine die. Ufficialmente, per la richiesta del presidente dimissionario (l'ex tesoriere del partito) Francesco Pontone di tempo per presentare il consuntivo, prima di lasciare. Si dimetterà più in là. E per prenderne il posto, i berlusconiani Gasparri, La Russa e Matteoli hanno già scelto il senatore Giuseppe Valentino. Sono loro, d'altronde, a vantare ormai la maggioranza nel comitato: sei membri su nove.

Ma i finiani non mangiano la foglia e rivendicano subito almeno i 700 mila euro necessari a ripianare il disavanzo del Secolo. Ora quel rivolo di finanziamento pubblico si chiude, annuncia in diretta tv il coordinatore Pdl La Russa, rispondendo a Belpietro: "L'anno scorso il quotidiano da An ha avuto qualcosa come 3,6 milioni di euro. Per vivere ha bisogno di costi eccessivi: ritengo che un giornale debba vivere non con gli aiutini ma camminando sulle proprie gambe". E dopo lui Valentino, in Transatlantico: "Sul Secolo vedremo, dobbiamo riflettere".

Quelli di Fli capiscono l'antifona e partono al contrattacco. "Vogliono far tacere l'unica voce non berlusconiana nella stampa di centrodestra, un atto di disperazione politica" è la tesi di Carmelo Briguglio. Ma a condurre la partita per i finiani è soprattutto il deputato e amministratore del Secolo, Enzo Raisi: "È una chiara vendetta politica, con la quale rischiano di far fallire e chiudere il quotidiano. E siccome quello è un bene di An e non vogliamo passare guai penali per colpa loro, porteremo i libri ai magistrati e chiederemo il commissariamento dell'intero patrimonio". Tradotto: se non lo vogliono dividere, allora non saranno loro a gestirlo.

Nell'immediato però vanno affrontate le difficoltà del giornale, alle prese anche con la stretta dei fondi per l'editoria di Palazzo Chigi. "Da 55 anni, prima l'Msi e poi An ripiana i debiti del Secolo. Questo è un boicottaggio - protesta il direttore Perina - Ricordo ancora La Russa che urlava: "Meglio Libero o il Giornale, dobbiamo fare del Secolo una sorta di Padania, altrimenti meglio aprire una tv". La verità - continua - è che da quando abbiamo parlato di veline in lista, siamo stati sempre osteggiati, ben prima dello strappo di Fini: hanno dei problemi con le teste pensanti e non condizionabili. È il loro limite".

(07 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/07/news/tesoro_an-7803579/?ref=HREC1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Caos nel Pdl, scatta l'allarme-fuga
Inserito da: Admin - Ottobre 27, 2010, 09:34:59 am
CENTRODESTRA

Caos nel Pdl, scatta l'allarme-fuga

Dissidenti verso Futuro e libertà

di CARMELO LOPAPA

Lascia anche il fondatore Biondi. Gasparri tenta Massidda: può fare il sindaco di Cagliari. Pressing di Fli su 3 deputati

ROMA - Il senatore ligure Enrico Musso lascia deluso il Pdl, già corteggiatissimo dai finiani. Alfredo Biondi, ex ministro ed ex deputato forzista, chiama Berlusconi e gli comunica la decisione "irrevocabile" di lasciare la direzione del partito, finora riunita una sola volta (il 22 aprile, giorno del famoso indice puntato di Fini). "Può darsi che lasceremo anche il Pdl" comunica l'anziano avvocato, tra i fondatori di Forza Italia. Di due deputati pidiellini, quelli di Futuro e libertà attendono l'arrivo ad horas.

È uno smottamento, lento e costante, con faglia unica che attraversa Camera e Senato. Al quartier generale berlusconiano da 48 ore trilla l'allarme. Soprattutto per quel che accade a Palazzo Madama, dove finora la maggioranza (a differenza che a Montecitorio) aveva mantenuto dieci parlamentari di vantaggio. Gasparri e Quagliariello hanno convocato in mattinata il gruppo, sedando a stento la vivace contestazione dei malpancisti. Una decina, tanti quanti hanno firmato il documento polemico presentato da Andrea Augello, Ferruccio Saro e Piergiorgio Massidda e che martedì sarà messo ai voti. Nel mirino, le nuove regole interne approvate dell'ufficio di presidenza Pdl sulla nomina dei coordinatori - invocano "maggiore coinvolgimento e democrazia" - ma anche la "necessità di riconoscere appieno la terza gamba finiana e di trattare con Fli". Anche per questo oggi i tre coordinatori hanno convocato il comitato statuto del partito. Al gruppo sono mancati mugugni sui ministri, Tremonti in testa, e sullo "scarso coinvolgimento". Saro conferma la "grande amicizia personale con Berlusconi", ma spiega che tra i suoi colleghi "i malesseri sono reali: quando non c'è più sicurezza, nascono fibrillazioni che possono degenerare in crisi se non sedate in tempo. Noi vogliamo aiutare il premier, speriamo non sia troppo tardi". Un'agitazione che va avanti da settimane e che non accenna a rientrare. Gasparri e Quagliariello sono riusciti a blindare per ora il senatore sardo Massidda (molto vicino a Pisanu). "È il miglior nome per il Comune di Cagliari" dice il capogruppo dopo il lungo colloquio avuto con lui. Ma gli altri? Paolo Amato, per esempio? E Massimo Baldini? "Ricostruzioni infondate, nessuna slavina" taglia corto Quagliariello. Musso intanto è già andato via: "Poca democrazia, chi dissente viene cacciato, come Fini". Forfait pure di Alfredo Biondi dalla direzione: "Atrofizzata dal non uso, poi io sono un liberale, qui la dialettica turba".

Alla Camera, i finiani attendono a giorni l'ufficializzazione del passaggio di Roberto Rosso (per lui uno dei tre posti di coordinatore Fli in Piemonte) e di Giancarlo Mazzuca, ex direttore del Carlino. I due per il momento negano. Ma il pressing è insistente anche su Alessio Bonciani.

(27 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/27/news/pdl_allarme_fuga-8469431/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Esodo dal Pdl ai finiani Berlusconi: "Va fermato"
Inserito da: Admin - Ottobre 28, 2010, 05:24:18 pm
IL CASO

Esodo dal Pdl ai finiani Berlusconi: "Va fermato"

Altri tre deputati pronti al "trasloco".

Futuro e Libertà: "Con noi 2mila 500 amministratori locali".

E Micciché accusa: "Il partito è sfasciato"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - C'è la lista. E c'è anche una data cerchiata in rosso: 3 novembre, mercoledì. Una conferenza stampa sancirà il passaggio di altri tre, forse quattro deputati berlusconiani al nuovo gruppo di Futuro e Libertà, giusto alla vigilia della kermesse di Perugia che nel fine settimana sancirà il lancio in grande stile del partito di Fini. Il premier Berlusconi vede rosso e corre ai ripari.
La fuga dal Pdl è un tam tam battente, in Transatlantico, e porta dritto ai toscani della fronda anti Verdini, Alessio Bonciani e Roberto Tortoli. Ma anche all'abruzzese Daniele Toto, già dimissionario dal coordinamento a Chieti. A Roberto Rosso, ex sottosegretario con cinque legislature alle spalle (e scarse chance di ricandidatura). Ancora, a Giancarlo Mazzuca, emiliano, convocato di gran carriera ieri sera da Cicchitto alla sede di Via dell'Umiltà.

Stando ai finiani saranno almeno tre di loro ad annunciare mercoledì l'adesione a Fli. Se così sarà, il gruppo scavalcherà per numero di deputati anche l'Udc, oggi entrambe le sigle a quota 35. Bocche cucite e mezze smentite, per ora, dagli "indiziati" di migrazione, per altro alle prese col pressing dei colleghi pidiellini. Coordinatori e capigruppo sono stati precettati da Berlusconi affinché venga tentato il tutto per tutto per trattenere i malpancisti alla Camera e riportare a più miti consigli i dieci senatori riottosi che martedì sera hanno presentato al gruppo un documento polemico su Pdl e tenuta del governo. "Parlate con loro, trovate voi il modo, non voglio più sentir parlare di malumori" ha intimato il presidente del Consiglio a Cicchitto, a Gasparri, a Verdini poco prima che i coordinatori si riunissero in serata per trovare un compromesso sul nodo della "democrazia interna" invocata da più parti. Risultato: una giunta consultiva di cinque dirigenti affiancherà i coordinatori e vice locali, d'ora in poi eletti e non più nominati. Basterà per convincere gli insoddisfatti? Martedì nuova riunione di gruppo al Senato. "I delusi non hanno da temere, Berlusconi ha garantito tutti e continuerà a farlo anche nella prossima legislatura" è il ramoscello teso da Osvaldo Napoli.

Ma dalla Sicilia alla Lombardia, la "fuga" - come la definiscono con enfasi gli uomini di Fini - riguarda soprattutto i dirigenti locali. Da Generazione Italia stimano in circa 2.500 gli amministratori, consiglieri per lo più, che avrebbero abbandonato il Pdl: una settantina in Piemonte, decine in Lombardia, una quarantina nella Toscana di Verdini, un centinaio in Sardegna, il boom tra Sicilia e Campania. "Il Pdl è totalmente sfasciato anche a livello nazionale, non ha senso continuare a tenerlo cosi" infierisce da La7 il sottosegretario Gianfranco Micciché, ideatore di "Forza del Sud". "Sfasciare tutto è facile, parole arbitrarie, infondate e ingenerose" gli ribatte Sandro Bondi. Il processo di disgregazione sembra però avviato. "Molti passeranno con noi, tre anche prima di Perugia, ci stiamo lavorando io e Italo Bocchino", svela Fabio Granata mandando su tutte le furie i berlusconiani. "Ma la campagna acquisti non era scandalosa?" attacca il senatore pidiellino Achille Totaro.

(28 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA Ora spunta l'appoggio esterno al governo.
Inserito da: Admin - Novembre 01, 2010, 12:01:23 pm
LA POLEMICA

L'ultimo attacco di Fini al premier "Si dimetta se il caso Ruby è vero"

Ora spunta l'appoggio esterno al governo.

Le colombe frenano.

Il presidente della Camera: "Faremo interdizione su tutte le leggi ad personam

di CARMELO LO PAPA


ROMA - "Amareggiato, perché l'Italia merita un biglietto da visita migliore". Dopo giorni di silenzio, Gianfranco Fini irrompe sul caso Ruby, lo fa sotto i riflettori del cinema Adriano gremito da centinaia di fan romani intenzionati a seguire il leader anche nella nuova avventura. Preoccupato, confesserà poco più tardi ai suoi che gli chiedono conto di quei toni. Perché se l'affare della minorenne marocchina venisse confermato in tutti i suoi passaggi più ambigui, allora "il premier dovrebbe fare un passo indietro". Le dimissioni sarebbero un passo inevitabile, necessario.

È l'estrema conseguenza, ancora eventuale, di un ragionamento che in mattinata il presidente della Camera aveva sviluppato dal palco, parlando delle pressioni di Palazzo Chigi emerse in questi giorni: "Se quell'intervento c'è stato - è la tesi di Fini - se è vero che è stato detto che quella signorina era parente di un capo di Stato, allora verrebbe dimostrata una disinvoltura, un malcostume, sintomo di uso privato di un incarico pubblico". Da qui la necessità di un passo indietro. In ogni caso, la storia "sta facendo il giro del mondo e mette l'Italia in una condizione imbarazzante, davvero una brutta pagina". Tanto più grave, racconta nell'intervista pubblica col direttore del Messaggero Roberto Napoletano, perché il Paese è "fermo" e "dilaniato da mille polemiche".

Il leader di Fli, tra gli applausi della platea, dà piena ragione a Emma Marcegaglia, la situazione è "drammatica" e il governo non sta facendo quanto sperato e atteso. "Non basta il pur necessario contenimento della spesa" attacca il presidente della Camera. "Possibile - si chiede - che l'Italia non riesca a trovare risorse che, al contrario, saltano fuori quando la Lega batte i pugni per difendere duecento ultrà delle quote latte? Il Pdl al Nord è la fotocopia della Lega ma gli elettori sceglieranno sempre l'originale". E se il Parlamento "ormai lavora due giorni alla settimana" è perché non ci sono soldi per la copertura alle leggi. Allora, Berlusconi "metta la testa, come ama dire lui, sui problemi reali". Non solo sulla giustizia. La riforma è necessaria, spiega Fini, a patto che non si risolva in un boomerang per i magistrati. Leggi ad personam invece no, per quelle il premier non potrà contare sul sostegno dei 36 deputati e 10 senatori di Futuro e Libertà. Il nuovo movimento non farà "interdizione sul pacchetto fiscale perché non è stato presentato, né sul piano per il Mezzogiorno perché non c'è. Interdizioni sulle leggi che servono unicamente al premier, quella sì" dice ancora tra gli applausi ricordando che la "legge è uguale per tutti". Il lodo Alfano costituzionale è la soluzione per quel genere di problemi del premier, ma "lo dissi due anni e mezzo fa, inascoltato". Sul caso Montecarlo, si limita a rispondere che "basta aspettare le decisioni della magistratura", se una cosa si rimprovera, è di non aver indagato a sufficienza sulla società che acquistava l'immobile.

Il presidente della Camera ha da poco concluso l'intervista pubblica che Fabio Granata lancia dal suo blog una proposta "personale" che scatena la reazione delle colombe finiane: "Dopo Perugia, Fli deve aprire una fase nuova, ritirando la propria delegazione al governo assicurando l'appoggio esterno solo per emergenze e parti condivise del programma". "Opinione personale" dicono da Moffa a Della Vedova, "una provocazione" per il capogruppo al Senato Viespoli. La più dura è Catia Polidori: "Chi è affetto da sintomi di disfattismo vada con Di Pietro". "Non ne abbiamo mai parlato" si limite a commentare il coordinatore Adolfo Urso. "I ribaltoni non appartengono alla cultura del centrodestra", stronca l'unico ministro Fli, Andrea Ronchi. Con Italo Boccchino che taglia corto: "Facciamo la convention di Perugia (sabato e domenica prossimi, ndr), lì Fini indicherà la strada".

Ma le parole del presidente della Camera scatenano nuove reazioni polemiche dagli alleati Pdl, i quali tornano a mettere in discussione il ruolo super partes. L'annuncio delle "interdizioni" Maurizio Lupi lo giudica "grave", perché non tiene conto del "ruolo istituzionale" di Fini. Se poi il leader di Fli accettasse la proposta di ieri di Bersani, "poco male, i due non hanno uno straccio di idea per un governo diverso dall'attuale" secondo Osvaldo Napoli.

(01 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA Fini: "L'addio è segnato" Berlusconi: "Venderò cara la pelle"
Inserito da: Admin - Novembre 01, 2010, 12:02:46 pm
GOVERNO

Fini: "L'addio è segnato"

Berlusconi: "Venderò cara la pelle"

Il Cavaliere lo sfida: se hai coraggio stacca la spina. Il capo del governo è sicuro: "I suoi non lo seguiranno.

Se insiste, meglio per noi". Il presidente della Camera deve ora convincere i "moderati" del suo partito a "rompere"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Io non mi dimetto, tanto meno perché lo chiede lui. Se Fini vuole, stacchi pure la spina, si assuma la responsabilità. Se ne è capace. I suoi non lo seguono nemmeno se azzarda un sostegno esterno, figurarsi nello strappo". I pochi parlamentari e collaboratori con i quali il presidente del Consiglio si intrattiene al telefono, durante il pomeriggio di riposo ad Arcore, raccontano di un Berlusconi ripresosi dopo l'abbattimento di due giorni fa, "intenzionato a combattere", comunque a vendere cara la pelle. "Anzi, se davvero Gianfranco va fino in fondo, è anche meglio. Sapremo a chi dare la colpa".

E a sortire l'effetto rivitalizzante, sono state proprio le esternazioni mattutine dell'acerrimo avversario Gianfranco Fini. L'annuncio delle "interdizioni" alle leggi ad personam ma ancor più la richiesta del "passo indietro" rivolta al premier, se i sospetti sulla sua condotta nello scandalo Ruby trovassero conferma. "Non ho nulla di cui vergognarmi, rifarei tutto, ho solo aiutato una persona in difficoltà e soprattutto non ho esercitato alcuna pressione sui poliziotti" va ripetendo invece il Cavaliere. Serafico, lo ha ribadito anche sabato notte, quando ha cenato al ristorante milanese "Giannino" dopo aver assistito alla partita Milan-Juve a San Siro. Con lui, Adriano Galliani, Emilio Fede, una decina di commensali. "Continuerà a fare la sua vita, ad invitare ospiti a casa sua e a organizzare feste se gli va di farlo" racconterà dopo il direttore del Tg4.

Berlusconi spera ancora di superare indenne anche questo scandalo. Il fatto è che l'avvertimento lanciato ieri da Gianfranco Fini, sembra essere solo il primo passo di un cammino che potrebbe anche subire un'accelerazione nelle prossime ore. Alla convention di Perugia che nel prossimo week end segnerà la nascita di Futuro e libertà, il leader del nuovo movimento consumerà un ulteriore strappo. Ma prima di "staccare la spina", come dai banchi dell'opposizione sperano che faccia, il presidente della Camera attende che si consumino alcuni passaggi. Non intende bruciare le tappe, né tanto meno bruciarsi in una vicenda delicatissima. "Ma il cammino è ormai segnato - spiega Fini ai fedelissimi in attesa di disposizioni e in allerta nonostante il giorno festivo - Vanno consumati tutti i passaggi, ma non è escluso che la crisi si apra prima del previsto".

Una delle tappe attesa sarà l'eventuale chiarimento del ministro degli Interni Maroni in aula. Il capo del Viminale potrebbe riferire a Montecitorio anche in settimana, forse mercoledì, sulla faccenda della minorenne marocchina. E il premier Berlusconi è quasi tentato dal dare il via libera, non fosse altro per approfittare di una Camera deserta, causa stop dei lavori d'aula, e tentare di chiudere lì la faccenda. Quel che è certo, è che dentro Futuro e libertà salgono di ora in ora le quotazioni del partito del "blitz", dei dirigenti convinti davvero che sia giunto il momento di staccare la spina all'esecutivo approfittando del Rubygate e della posizione sempre più "compromessa" del premier. L'eco internazionale che lo scandalo sta provocando, viene considerato nell'entourage finiano un particolare da tenere in alta considerazione. Il presidente della Camera via ha fatto anche riferimento nell'intervento pubblico di ieri mattina.

È vero che le "colombe" del partito, i moderati restii ad uno strappo immediato con Berlusconi, sono insorte contro quel Fabio Granata che ha iniziato a far circolare l'ipotesi del sostegno esterno. Ma è anche vero che il deputato siciliano ha molti avversari dentro Fli e viene considerato una sorta di pasdaran e che un invito a fare un passo avanti viene rivolto a Fini con insistenza, in queste ore, anche dal braccio destro Italo Bocchino. Glielo ha ripetuto anche in pubblico, ieri mattina, battagliero e in maniche di camicia: "C'è qualcuno che si aspetta un sussulto di orgoglio e di dignità, gli italiani aspettano un segnale e sanno che solo tu, Gianfranco, puoi offrire un'alternativa". D'altronde, la base del partito è su questa linea, bastava chiedere ai militanti affollavano il cinema. "Siamo stanchi di essere sudditi, di candidate elette sol perché sanno ballare il bunga bunga" sintetizza l'umore dei suoi Potito Salatto, dirigente romano di Generazione Italia. Il clima è quello lì, la t-shirt col Fini stilizzato alla Andy Warhol che punta il dito e la scritta "Che fai? Mi cacci?" va a ruba. E mentre i militanti sciamano anche un finiano moderato come Nino Lo Presti ammette che "se Bocchino gli ha rivolto quell'invito è perché ci siamo, il tempo di staccare la spina è arrivato prima del previsto e, ironia della sorta, non per colpa nostra".

(01 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/01/news/berlusconi_ruby-8626469/


Titolo: CARMELO LOPAPA Governo, ora spunta la carta Alfano
Inserito da: Admin - Novembre 02, 2010, 06:32:49 pm
CENTRODESTRA

Governo, ora spunta la carta Alfano

Ma il Cavaliere: "Mai un mio passo indietro" 

Gli uomini del premier chiedono: "La crisi cambierà il perimetro della maggioranza?".

Casini: "Questo è il momento giusto per staccare la spina, altro che entrare al governo"

di CARMELO LOPAPA


UNA mano tesa all'"amico Pierferdy", nella speranza che la scialuppa centrista lo porti fuori dalle secche di una crisi che è già qui e adesso. L'altra intenta a indicare lo spauracchio della "piazza pronta a insorgere", se il "complotto del governo tecnico" andasse in porto. È il Silvio Berlusconi di queste ore, diplomatico e minaccioso, in difesa sugli scandali e le inchieste giudiziarie ma all'arrembaggio contro Fini e i suoi "traditori".

Un presidente del Consiglio preoccupato e confuso. Messo in allerta dalle voci insistenti su alcuni, tra i suoi, al lavoro su una soluzione alla crisi interna al centrodestra. Ma con un premier diverso, che potrebbe rispondere al profilo di Angelino Alfano. Magari in cambio di un salvacondotto al Cavaliere. Fumo negli occhi per Berlusconi: "Non accetterei mai di farmi da parte". Sullo sfondo, lo strappo sempre più vicino e probabile di Fini, che già a Perugia pigerà sull'acceleratore, detterà le sue condizioni, aprirà al sostegno esterno al governo.

Raccontano che nella giornata trascorsa ancora ad Arcore non siano passate inosservate le news sulle indagini che accendono altri riflettori sui festini di Villa San Martino. "Eccolo il solito copione, di nuovo insieme, la procura di Milano con la Boccassini e quella di Palermo - si è sfogato al telefono il premier con i più stretti collaboratori - Eccola, la tenaglia delle toghe rosse: ma io non ho nulla da temere da questa spazzatura".

Sono le nubi sulle faccende private - su Ruby e le altre frequentatrici di Arcore e della Certosa - presto divenute molto pubbliche, infine squisitamente politiche. Si fanno sempre più dense. E sul capo del presidente del Consiglio si affiancano alle preoccupazioni per un quadro politico di ora in ora sempre più deteriorato. "Ormai il problema è capire se dalla crisi si esce attraverso una soluzione interna al perimetro di questo centrodestra o se sarà necessario uscire da quel perimetro" ragiona un berlusconiano che è stato a stretto contatto col premier in questo fine settimana. E il perimetro, continua l'analisi, si ricompone se i finiani accettano di andare avanti e l'Udc decide di sostenere l'esecutivo. Diversamente, si spalancherebbero nuovi scenari: la crisi e il governo di transizione, proprio lo spettro che Berlusconi non intende nemmeno prendere in considerazione. Ecco perché il Cavaliere, ancora ieri, continuava a caldeggiare l'apertura ai centristi. Peccato che Casini - il quale per tutto il giorno ha mandato in avanscoperta Cesa a stroncare qualsiasi avance - non ne voglia sapere. E lo va ripetendo anche in privato ai suoi: "Questo è il momento giusto per staccare la spina, altro che entrare in questo governo già alla frutta". Altra partita non nuova che Berlusconi sta portando avanti è quella che punta a spaccare il fronte finiano, in ultimo ieri con la nota dettata ai due capigruppo Pdl per mettere in mora il leader di Fli. "Non sono più disponibile a subire palate di fango in faccia da Gianfranco e non mi faccio cuocere a fuoco lento da loro" ha messo in chiaro il premier con le colombe alla Cicchitto che anche nelle ultime ore provavano a convincerlo a non rompere del tutto col presidente della Camera.

Ponte tutt'altro che di relax, ad Arcore, fatta eccezione per la partita di sabato sera e la cena successiva. A rabbuiare ancor più l'umore del Cavaliere, raccontano, l'ipotesi di una soluzione sì interna alla crisi, ma che contemplerebbe un colpo di scena: l'avvicendamento a Palazzo Chigi. Un Berlusconi dimissionario in cambio di un "salvacondotto" giudiziario. Non è peregrina, circola da qualche giorno, pensata da ministri e maggiorenti del Pdl tra i quali si intensificano i contatti e le cene riservate. A circolare è anche il nome del candidato all'operazione, quello "inattaccabile" del Guardasigilli Angelino Alfano. Lui o l'evergreen Gianni Letta, insistono i rumors, se il premier accettasse di farsi da parte. "Non accetterei mai un patto di questo genere - manda a dire Silvio Berlusconi - E mai farei un passo indietro, si mettano in testa che sono io ad avere il consenso, è me che la gente vuole al governo. E poi, chi mi garantisce davvero sul salvacondotto, non potendo nemmeno contare da qui a breve sul legittimo impedimento?"

Leadership che vacilla e scudi giudiziari che si dissolvono mentre altre inchieste avanzano. Ecco, è lo sviluppo di queste nuove indagini che Gianfranco Fini attende, scevro da "voglie di vendetta" ma anche intenzionato a "non fare sconti". Dopo l'ennesimo scambio tattico di note tra Pdl e Fli di ieri, quel che trapela dall'entourage del presidente della Camera è che il leader domenica prossima, alla kermesse di Perugia, si prepara a dettare condizioni ben precise al premier e al suo governo. Se non verranno accettate, se su quei punti non sarà possibile un'intesa - dalla riforma della giustizia allo scudo giudiziario, dalle norme anticorruzione al federalismo solidale - allora il passaggio a un sostegno esterno sarà "inevitabile". 

(02 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/02/news/governo_ora_spunta_la_carta_alfano_ma_il_cavaliere_mai_un_mio_passo_indietro-8652664/


Titolo: CARMELO LOPAPA E Gianfranco tenta Umberto Più facile un governo senza Silvio
Inserito da: Admin - Novembre 12, 2010, 10:47:31 pm
IL RETROSCENA

E Gianfranco tenta Umberto "Più facile un governo senza Silvio"

Bossi risponde: se lo decide lui. E offre posti nel nuovo governo, l'esclusione degli ex An e la riforma elettorale.

Il leader Fli: non voteremo mai una mozione di sfiducia del Pd, la presenteremo noi

di CARMELO LOPAPA


Il timing corre veloce, spedito, verso la crisi. E non sarà quella "pilotata" in cui il premier Berlusconi fino a ieri confidava. "Potete dire a Silvio che se non si dimette, lo facciamo dimettere noi" dice Gianfranco Fini a Bossi, Calderoli e Maroni. La missione da ultima spiaggia tentata dalla delegazione leghista nello studio al primo piano di Montecitorio, nella trincea "nemica", finisce così, col presidente della Camera che notifica l'intenzione di far presentare ai suoi una mozione di sfiducia, se il Cavaliere non si rassegnerà a fare "l'inevitabile" passo indietro.
Da lunedì, sarà un'escalation. Il ritiro del ministro Ronchi e dei sottosegretari di Fli dal governo; poi l'astensione sulla fiducia che Tremonti porrà alla legge di Stabilità (ma con voto favorevole sul merito della norma salva-conti); infine, appunto, la sfiducia. "Perché noi non voteremo mai una mozione presentata dalle opposizioni, ci assumeremo la responsabilità di firmarne una nostra" scandisce il leader dei futuristi al cospetto dei suoi. Sarà dicembre, a quel punto, e tutto allora passerà nelle mani del capo dello Stato.

Non che il Senatur non le abbia provate tutte, nel pur breve incontro con l'ex alleato alla Camera. "L'ingresso dell'Udc nel governo per noi è inaccettabile - ha premesso Bossi - Ma si può aprire una crisi pilotata, questo sì, con la garanzia che Berlusconi, andando al Quirinale a rassegnare le dimissioni, ne esca con un nuovo incarico, com'è già avvenuto in passato". Ma sta proprio qui il punto. "Eh no, lui si dimetta, poi vediamo cosa succede, non possiamo imporre paletti di questo genere al presidente della Repubblica" ribatte Fini agli uomini del Carroccio. È a quel punto, nel vertice di mezzogiorno durato meno di un'ora, che il leader leghista con i due ministri al fianco, prova a offrire al presidente della Camera quel che fino a ieri era impensabile. "Se voi accettate un Berlusconi bis - insiste Bossi rivolto a Fini - nel nuovo governo ci sarebbe spazio per un numero maggiore di vostri ministri, anche con portafogli. Si può aprire un dialogo per la riforma parziale della legge elettorale. E Silvio potrebbe sacrificare gli ex colonnelli di An" accenna con chiaro riferimento a La Russa e Gasparri, ormai tra i più ostinati avversari dei futuristi. Ecco, tutto questo "offre" Bossi nell'ultima trattativa, a patto che a guidare l'esecutivo sia ancora l'amico Silvio.

"Forse non è ancora chiaro, a me non interessano le poltrone" ribatte Fini, che poi incalza: "Ma voi escludete davvero che un governo possa essere presieduto da qualcun altro? Non pensate anche voi che questo ciclo sia finito?" Il leader leghista appare categorico, o quasi. "Noi lo escludiamo. Se poi Berlusconi decidesse di fare un passo indietro, allora se ne potrebbe parlare. Ma non mi sembra che possa accadere". Sono da poco trascorse le 12,30 e Maroni e Calderoli escono per primi, terrei e silenti lungo il corridoio che dalla presidenza conduce ai gruppi parlamentari. Andranno a riunirsi al gruppo della Lega con Bossi che li raggiungerà a breve.

Fini convoca i suoi. Racconta il "nulla" emerso dal faccia a faccia allargato con i leghisti, più curiosi di conoscere le mosse dell'avversario che intenzionati a portare avanti una mediazione concreta, a sentire i finiani. L'impressione, da Bocchino a Urso, da Menia a Briguglio passando per la Perina è che "il dado è tratto". E non da ieri.

Gianfranco Fini d'altronde guarda avanti, pensa ormai "oltre" come spiegherà in serata ai due liberldemocratici Italo Tanoni e Daniela Melchiorre, ai quali ha chiesto un incontro. Perché le "consultazioni" del presidente della Camera sono già iniziate. "Vi rendete conto anche voi che l'era di Berlusconi è finita, che bisogna guardare avanti" dice ai due deputati un tempo parte integrante della maggioranza nel Pdl, ora anch'essi fuori dal recinto. Anche a loro il leader di Fli chiede la disponibilità ad avviare un cammino comune, intanto, con l'astensione sulla fiducia, poi in vista della costruzione di un nuovo partito moderato con Casini e Rutelli. "Ma prima, è chiaro, occorrono le dimissioni di Berlusconi e se non arrivano quelle..." taglia corto Fini. Melchiorre e Tanoni danno la loro disponibilità.

Ma è soprattutto con Casini e Bersani che la terza carica dello Stato tessendo la sua trama. I contatti sono continui, ormai ripetuti nel corso della giornata, il pallottoliere della possibile, futura maggioranza viene aggiornato di ora in ora. Ed è soprattutto sui senatori in bilico che i tre stanno lavorando ormai da giorni. "Un altro governo non sarà di tre mesi, limitato alla legge elettorale, ma porterà a termine la legislatura e lavorerà per far fronte alla crisi economica" è il messaggio che quasi in coro ripetono ai loro interlocutori. Finiani e centristi confidano parecchio nella mano d'aiuto che indirettamente potrebbe arrivare dal drappello di parlamentari rimasto fedele all'ex ministro Claudio Scajola. Poco più di una decina, dicono nel Pdl, comunque in grande agitazione, fuori da tutti i giochi dettati dai tre coordinatori regnanti e pressoché certi di non essere ricandidati, in caso di ritorno immediato alle urne.

Berlusconi e Bossi hanno già confermato al telefono, tra Roma e Seul, il loro appuntamento ad Arcore di lunedì. Quella sera, forse, tutto sarà già compiuto.

(12 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/12/news/proposta_fini-9022389/


Titolo: CARMELO LOPAPA E c'è chi sbotta: sembra Wall Street.
Inserito da: Admin - Novembre 18, 2010, 12:22:35 pm
LA COMPRAVENDITA

Caccia ai transfughi in Transatlantico al Pdl serve quota 316 o qualche assenza

Berlusconi ora conta su 305 deputati, gliene mancano 11 per la maggioranza.

E c'è chi sbotta: sembra Wall Street.

Misuraca verso l'Udc. Fli prende le sue contromisure, ma Consolo e Catone incerti.

Guzzanti: voto la sfiducia

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Offerte, rialzi, ribassi, sembra di stare a Wall Street" la butta lì in Transatlantico, a metà giornata, il finiano Aldo Di Biagio. Ci sono liste che passano di mano, deputati avvicinati dai colleghi pidiellini, telefonini che trillano, parlamentari che entrano ed escono dallo studio di Gianfranco Fini al primo di piano di Montecitorio. Deputati e ministri del Pdl si riuniscono al gruppo con Cicchitto e tirano le somme: oggi contano su 305 deputati rispetto ai 316 necessari: parte la caccia agli undici. Ma - qui sta il punto di svolta - ne potrebbero bastare anche 4-5 in meno se altrettanti centristi o finiani, contrari alla sfiducia, il 14 dicembre se ne stessero a casa, abbassando il quorum. Tra i falchi berlusconiani parte così la rincorsa alla mezza dozzina. Quattro i finiani ritenuti quanto meno "avvicinabili" dalla corte del Cavaliere, un paio gli udc, tentano anche con un dipietrista, ma a fine giornata il carniere resta quasi a secco.

Anzi, la maggioranza perde altri pezzi, anche di peso. Dovrebbe annunciare ad ore il passaggio dal Pdl all'Udc di Casini il siciliano Dore Misuraca. Deputato un tempo vicino a Micciché, sta per fare armi e bagagli col suo carico di voti: la sua famiglia è titolare di una clinica e punto di riferimento politico del potente mondo della sanità privata nell'isola. Sono segnali. Come lo sono i giuramenti di fedeltà a Casini degli udc pur avvicinati, da Alberto Compagnon ("Sto col leader, non ho crisi di coscienza") ad Angelo Cera, che si schermisce: "Il corteggiamento lo detesto, sto bene dove sto". Il leader centrista si tiene stretti i suoi, ma anche Gianfranco Fini ha il suo bel da fare, in queste ore. Il senatore Giuseppe Valditara gli ha portato in studio il senatore pidiellino Piergiorgio Massidda, da tempo in rotta col partito, ma ancora in bilico. Esce da Montecitorio e nicchia: "Non ho ancora deciso, c'è tempo fino al 14 dicembre". Anche se i finiani si dicono ottimisti.

La vera partita si è aperta sulle resistenze dei 4-5 futuristi a votare la sfiducia. Al vertice di Fli nella sede di FareFuturo, Urso, Bocchino, Briguglio e gli altri hanno parlato di congresso, della probabile campagna elettorale (e relativo budget), ma anche dell'astensione sulla sfiducia a Bondi il 29 novembre, e di come arginare i dubbiosi. Carmine Patarino, indicato tra gli incerti, diventa responsabile organizzazione per il Sud di Fli. Catia Polidori, finita nel toto "abbordabili", diventa capogruppo in commissione Attività produttive. L'ex militare Gianfranco Paglia è uscito rassicurato, raccontano, dal faccia a faccia avuto con lo stesso Fini.

È una guerra psicologica, in aula e fuori. A un certo punto della giornata, un ministro Pdl mette in giro la voce che l'ormai ex ministro Andrea Ronchi non voterebbe la sfiducia. Lui stronca l'indiscrezione: "Non c'è alcuna possibilità di defezione". Restano tuttavia almeno un paio di ossi duri da convincere, tra i finiani. Giampiero Catone, da poco transitato dal Pdl, si dice pure d'accordo con la sfiducia "ma bisogna prima sapere cosa accade, al buio non si può andare". E ancor più incerto Giuseppe Consolo: "Non ho ancora deciso, in Fli non siamo una caserma, ma sono baggianate le voci di compravendita che mi riguardano". Dal Pdl bussano anche alla porta di Ferdinando Latteri, l'ex rettore di Catania già transitato dal Pd all'Mpa di Lombardo. Lui resiste, "tranquilli, è blindato" assicura il senatore Giovanni Pistorio. I berlusconiani tornano alla carica del dipietrista Antonio Razzi, che continua a rispondere come già a settembre: "Ho una mia dignità". Ma le opposizioni sotto attacco mantengono le posizioni e ne conquistano. Voteranno la sfiducia Giorgio La Malfa, con un piede in Fli (il Pri di Nucara ne ha chiesto ieri l'esclusione dalla Delegazione Nato in quota Pdl), e Paolo Guzzanti. "Campagna acquisti, chiedete alla nostra Paola Frassinetti" sbotta il ministro La Russa a chi gli chiede del pressing. Tra lei e Fini sembra abbia fatto da tramite sempre Valditara. La deputata ammette e taglia corto: "È vero, ci sono contatti bilaterali, ma resto nel mio partito". Il mercato continua.
 

(18 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/18/news/caccia_ai_transfughi_in_transatlantico_al_pdl_serve_quota_316_o_qualche_assenza-9229990/


Titolo: CARMELO LOPAPA Silvio inizia a cantare vittoria Gianfranco si è dovuto arrendere
Inserito da: Admin - Novembre 19, 2010, 11:54:33 am
GOVERNO

E Silvio inizia a cantare vittoria "Gianfranco si è dovuto arrendere"

Nel gruppo di Fli in tre hanno dichiarato l'indisponibilità a votare la sfiducia. L'Udc frena sullo show down.

Ipotesi Calearo ministro al posto di Ronchi.

Nel Pd nervosismo per la linea del Quirinale 

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Silvio Berlusconi assapora il gusto irresistibile della vittoria. Almeno quanto Fini e Casini stanno prendendo atto, in queste ore, con 25 giorni di anticipo sul D-day, che la loro sfiducia forse non la spunterà e con molta probabilità sarà meglio non presentarla affatto.

Pier Ferdinando Casini, tra una votazione e l'altra della legge di Stabilità a Montecitorio, in serata catechizzava già i suoi: "Fini non riuscirà a convincere l'intero gruppo a votare la sfiducia, cinque potrebbero restare fuori, i tre liberaldemocratici sono diventati due e sono pure a rischio, in queste condizioni dove andiamo? Ma non dobbiamo trasformarla in una catastrofe, potrebbe essere un'opportunità: Silvio costretto a restare con tre o quattro voti di maggioranza e, se vuole le elezioni, a dimettersi senza nemmeno l'alibi della sfiducia".

La vigilia della partenza per il vertice Nato di Lisbona è il giorno dell'euforia, a Palazzo Grazioli. "Grazie alle astensioni dei finiani e di altri che non voteranno quella mozione, ce l'abbiamo fatta anche a Montecitorio" gongola un premier entusiasta con tutti i suoi interlocutori. Prima Gianni Letta, Bossi e Calderoli incontrati al termine del Consiglio dei ministri a Palazzo Chigi. Poi, il deputato ex An Mario Landolfi, in serata gli ex dc, il ministro Gianfranco Rotondi e il sottosegretario Carlo Giovanardi ricevuti nella residenza privata. La sensazione netta, raccontano, è che il pressing sui peones sia andato a buon fine. Il videomessaggio del presidente della Camera Fini viene letto né più né meno che come una "mezza resa", quantomeno una disponibilità a trattare. "È un segnale positivo per i prossimi giorni, si sta arrendendo" ha confidato in serata il capo del governo. Con gli ex An, tra i quali Landolfi, si era mostrato abbastanza sicuro già a metà giornata. "Non avrebbero senso le mie dimissioni per ottenere un Berlusconi bis, la richiesta di Fini è incomprensibile, perché nel governo non c'è un deficit di leadership". Convinto poi che "è già terminato l'effetto novità di Fli, la gente capisce che la crisi avrebbe come unica conseguenza la consegna del Paese alla sinistra". Ma il pressing continua. Incassato il transito di Grassano, l'agenda è fitta di incontri con i parlamentari borderline. Una sola raccomandazione, rivolta ai dirigenti Pdl: "Ho avuto fin troppi problemi, fate sapere a chiunque abbia bisogno di chiedere qualcosa, di rivolgersi ai miei collaboratori. Non qui a me. Io parlo di politica". E di governo. Perché ora, con l'undicesima pregiatissima poltrona liberata ieri dall'ormai ex viceministro Giuseppe Vegas (designato alla Consob), si profila dopo il 14 dicembre una sorta di rimpasto. Col quale da Palazzo Chigi solletica gli appetiti. I berlusconiani lasciano circolare già il nome dell'ex pd Massimo Calearo quale ministro alle Politiche Ue al posto del finiano Ronchi. Un posto da sottosegretario ventilato per un impaziente Francesco Pionati, un altro promesso ai centristi siciliani che hanno abbandonato l'Udc. Saverio Romano, in Transatlantico, pregusta già il futuro: "Ormai è fatta, il 15 dicembre facciamo un il nuovo governo". Facciamo.

Gianfranco Fini dopo la registrazione del videomessaggio si dice tranquillo, anzi, "tranquillissimo", ma l'umore appare nero per il rischio boomerang. "Voglio vedere come andrà avanti con questo governo da gennaio, con 3-4 voti di maggioranza e tutti i ministri costretti a essere presenti in aula" si sfoga con i fedelissimi che gli raccontano dell'ottimismo del premier. "Noi possiamo pure perdere la partita clou, il derby del 14 dicembre, ma il campionato poi sarà tutta un'altra storia". Sta di fatto che in queste ore di quasi sconforto tra finiani, centristi e democrats, in Transatlantico trapela anche un certo rammarico per quel mese di tempo che, involontariamente, il Colle ha concesso a Berlusconi e alle sue trattative. Il Quirinale ha seguito una propria linea in piena autonomia. Ieri si raccontava di una telefonata non proprio serena ricevuta dalla massima carica dello Stato da un alto dirigente Pd, con cui gli veniva contestata la scelta della sfiducia al ministro Bondi il 29 novembre, quando la legge di stabilità non sarà ancora approvata. Una certa preoccupazione per il rischio destabilizzazione il presidente Napolitano l'avrebbe espressa in tal senso al telefono anche allo stesso Fini. Nascerebbe da qui la cautela con cui il leader di Fli ha già concordato coi suoi l'astensione sul pur non amato ministro dei Beni culturali.
 

(19 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/19/news/e_silvio_inizia_a_cantare_vittoria_gianfranco_si_dovuto_arrendere-9266719/?ref=HREC1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Mara tradita. "Ormai nel partito comandano gli affaristi"
Inserito da: Admin - Novembre 20, 2010, 09:05:06 am
RETROSCENA

Mara tradita nell'ultima battaglia "Ormai nel partito comandano gli affaristi"

Berlusconi cede all'ex sottosegretario, in gioco un business da 150 milioni.

Tra le ipotesi un passaggio a Fli e la candidatura a sindaco di Napoli, ma Carfagna smentisce

di CARMELO LOPAPA


ROMA - La gestione di un affare da oltre 150 milioni di euro che rischia di passare di mano. I ras berlusconiani in Campania, Nicola Cosentino e Mario Landolfi (entrambi sotto inchiesta), che si precipitano a Palazzo Grazioli. Il presidente del Consiglio che cede al pressing, promette di rivedere, correggere, smussare il decreto legge varato solo poche ore prima dal governo. È a quel punto, solo allora, che il ministro Mara Carfagna - sponsor del commissariamento che sanciva l'affidamento alla Regione della realizzazione dei tre termovalorizzatori di Napoli e Salerno - decide di gettare la spugna. Si sente tradita, raggirata, abbandonata in questa che è una storia di appalti pubblici e di cordate politiche in guerra. Di impegni siglati e del rischio di infiltrazioni camorristiche nella terra in cui la monnezza, prima ancora che un'emergenza, è un business.

Berlusconi la chiama appena atterrato a Lisbona. Sono lontani i buoni rapporti di un tempo: "Devi spiegarmi cosa è successo - lei lo incalza - Sono mesi che quella banda mi attacca, non puoi lasciare l'intera gestione dell'emergenza nelle mani di Cosentino e dei suoi uomini". Lui si impegna a trovare una soluzione. Ma stavolta sembra che non basti. Resta la delusione di fondo che il ministro confiderà poco dopo ai collaboratori: "Non voglio più stare vicino a certi affaristi. Starò col presidente in questo momento di bisogno. Ma dopo il 14 mi sentirò libera. Nel Pdl ormai comandano i Cosentino, i Verdini, i La Russa, dimenticano
che ho avuto 58 mila voti sei mesi fa". Parla fitto col finiano Bocchino, alla Camera, nelle ore in cui si consuma lo strappo. Gli avversari interni l'accusano di intelligence col nemico. Un transito a Fli e magari una candidatura shock a sindaco di Napoli in rotta col coordinatore pdl Cosentino, sono per ora solo ipotesi vaghe che la Carfagna smentisce.

Il fatto è che ancora una volta il gruppo di potere che nella sua regione fa capo all'ex sottosegretario, dimessosi dopo la richiesta di arresto per concorso in associazione camorristica, riesce a convincere, persuadere, condizionare il premier. Eppure, il decreto per lo smaltimento rifiuti approvato in Consiglio dei ministri stabiliva che il pallino nella costruzione dei costosissimi termovalorizzatori passasse dai due presidenti di Provincia Edmondo Cirielli e Luigi Cesaro (uomini di Cosentino) al governatore Stefano Caldoro (pdl ma suo avversario). Già in Consiglio dei ministri La Russa aveva invitato la Carfagna a non incaponirsi "per ragioni personali", a non insistere "per beghe locali" sul commissariamento. E invece la ministra ha insistito e l'ha spuntata. Poi la retromarcia del premier. "Avevo proposto questa soluzione per mettere a riparo l'operazione da affari sporchi - si sfogava lei ieri con alcuni deputati in Transatlantico - Ma questo è ormai il partito dei Verdini, dei Cosentino e dei La Russa". Il clima ostile maturava da giorni. Gli attacchi personali si moltiplicavano. Le interviste di Sallusti e di Stracquadanio, la allusioni sui rapporti con Bocchino, le foto, gli insulti e i "vergogna" alla Camera. Il sospetto latente che una "macchina del fango" si stesse muovendo anche contro di lei.

Sta di fatto che subito dopo il Consiglio dei ministri, giovedì, i deputati che fanno capo a Cosentino, gli stessi presidenti delle Province di Salerno, Cirielli, e di Napoli, Cesaro (sotto inchiesta a Napoli), e poi Landolfi e Laboccetta e Castiello danno tutti segni di nervosismo. Disertano alcune votazioni in aula. Fanno sapere a Berlusconi di essere pronti a passare al gruppo misto se quel decreto non verrà modificato: facendo così saltare la Finanziaria e mettendo ulteriormente a rischio la fiducia del 14 dicembre. Cosentino piomba a Palazzo Grazioli, accompagnato da Landolfi. C'è anche Gianni Letta in stanza col premier. Subito dopo l'incontro, il coordinatore Pdl in Campania va a Montecitorio e dà notizia del "successo" ai suoi, riportata dalle agenzie di stampa: "Sono molto soddisfatto, Berlusconi mi ha dato garanzie sulle competenze e sulla corresponsabilità degli impianti tra Province e Regione. La quadra trovata permetterà di accelerare la costruzione degli impianti".

L'affare può partire, insomma, e sarà soggetto alla sovrintendenza anche delle Province, dunque della potente corrente Cosentino. Ad oggi, in Campania c'è un solo termovalorizzatore, quello di Acerra, che funziona solo in parte, e che è già costato 25 milioni. Altri 75 milioni di euro sono stati investiti per la realizzazione di quello di Salerno. Altrettanti se ne prevedono per Napoli. Il terzo impianto non si sa ancora dove realizzarlo.

(20 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/20/news/carfagna_pdl-9304051/


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi cede all'ex sottosegretario, in gioco un business ...
Inserito da: Admin - Novembre 21, 2010, 12:06:22 pm
RETROSCENA

Mara tradita nell'ultima battaglia "Ormai nel partito comandano gli affaristi"

Berlusconi cede all'ex sottosegretario, in gioco un business da 150 milioni.

Tra le ipotesi un passaggio a Fli e la candidatura a sindaco di Napoli, ma Carfagna smentisce

di CARMELO LOPAPA


ROMA - La gestione di un affare da oltre 150 milioni di euro che rischia di passare di mano. I ras berlusconiani in Campania, Nicola Cosentino e Mario Landolfi (entrambi sotto inchiesta), che si precipitano a Palazzo Grazioli. Il presidente del Consiglio che cede al pressing, promette di rivedere, correggere, smussare il decreto legge varato solo poche ore prima dal governo. È a quel punto, solo allora, che il ministro Mara Carfagna - sponsor del commissariamento che sanciva l'affidamento alla Regione della realizzazione dei tre termovalorizzatori di Napoli e Salerno - decide di gettare la spugna. Si sente tradita, raggirata, abbandonata in questa che è una storia di appalti pubblici e di cordate politiche in guerra. Di impegni siglati e del rischio di infiltrazioni camorristiche nella terra in cui la monnezza, prima ancora che un'emergenza, è un business.

Berlusconi la chiama appena atterrato a Lisbona. Sono lontani i buoni rapporti di un tempo: "Devi spiegarmi cosa è successo - lei lo incalza - Sono mesi che quella banda mi attacca, non puoi lasciare l'intera gestione dell'emergenza nelle mani di Cosentino e dei suoi uomini". Lui si impegna a trovare una soluzione. Ma stavolta sembra che non basti. Resta la delusione di fondo che il ministro confiderà poco dopo ai collaboratori: "Non voglio più stare vicino a certi affaristi. Starò col presidente in questo momento di bisogno. Ma dopo il 14 mi sentirò libera. Nel Pdl ormai comandano i Cosentino, i Verdini, i La Russa, dimenticano
che ho avuto 58 mila voti sei mesi fa". Parla fitto col finiano Bocchino, alla Camera, nelle ore in cui si consuma lo strappo. Gli avversari interni l'accusano di intelligence col nemico. Un transito a Fli e magari una candidatura shock a sindaco di Napoli in rotta col coordinatore pdl Cosentino, sono per ora solo ipotesi vaghe che la Carfagna smentisce.

Il fatto è che ancora una volta il gruppo di potere che nella sua regione fa capo all'ex sottosegretario, dimessosi dopo la richiesta di arresto per concorso in associazione camorristica, riesce a convincere, persuadere, condizionare il premier. Eppure, il decreto per lo smaltimento rifiuti approvato in Consiglio dei ministri stabiliva che il pallino nella costruzione dei costosissimi termovalorizzatori passasse dai due presidenti di Provincia Edmondo Cirielli e Luigi Cesaro (uomini di Cosentino) al governatore Stefano Caldoro (pdl ma suo avversario). Già in Consiglio dei ministri La Russa aveva invitato la Carfagna a non incaponirsi "per ragioni personali", a non insistere "per beghe locali" sul commissariamento. E invece la ministra ha insistito e l'ha spuntata. Poi la retromarcia del premier. "Avevo proposto questa soluzione per mettere a riparo l'operazione da affari sporchi - si sfogava lei ieri con alcuni deputati in Transatlantico - Ma questo è ormai il partito dei Verdini, dei Cosentino e dei La Russa". Il clima ostile maturava da giorni. Gli attacchi personali si moltiplicavano. Le interviste di Sallusti e di Stracquadanio, la allusioni sui rapporti con Bocchino, le foto, gli insulti e i "vergogna" alla Camera. Il sospetto latente che una "macchina del fango" si stesse muovendo anche contro di lei.

Sta di fatto che subito dopo il Consiglio dei ministri, giovedì, i deputati che fanno capo a Cosentino, gli stessi presidenti delle Province di Salerno, Cirielli, e di Napoli, Cesaro (sotto inchiesta a Napoli), e poi Landolfi e Laboccetta e Castiello danno tutti segni di nervosismo. Disertano alcune votazioni in aula. Fanno sapere a Berlusconi di essere pronti a passare al gruppo misto se quel decreto non verrà modificato: facendo così saltare la Finanziaria e mettendo ulteriormente a rischio la fiducia del 14 dicembre. Cosentino piomba a Palazzo Grazioli, accompagnato da Landolfi. C'è anche Gianni Letta in stanza col premier. Subito dopo l'incontro, il coordinatore Pdl in Campania va a Montecitorio e dà notizia del "successo" ai suoi, riportata dalle agenzie di stampa: "Sono molto soddisfatto, Berlusconi mi ha dato garanzie sulle competenze e sulla corresponsabilità degli impianti tra Province e Regione. La quadra trovata permetterà di accelerare la costruzione degli impianti".

L'affare può partire, insomma, e sarà soggetto alla sovrintendenza anche delle Province, dunque della potente corrente Cosentino. Ad oggi, in Campania c'è un solo termovalorizzatore, quello di Acerra, che funziona solo in parte, e che è già costato 25 milioni. Altri 75 milioni di euro sono stati investiti per la realizzazione di quello di Salerno. Altrettanti se ne prevedono per Napoli. Il terzo impianto non si sa ancora dove realizzarlo.

(20 novembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/11/20/news/carfagna_pdl-9304051/


Titolo: CARMELO LOPAPA Secondo Fli, saranno solo 310 i sì a Montecitorio.
Inserito da: Admin - Dicembre 01, 2010, 05:40:23 pm
IL RETROSCENA

Fini e Casini preparano la sfiducia "Poi un altro esecutivo senza Silvio"

Secondo Fli, saranno solo 310 i sì a Montecitorio.

Il Cavaliere meno sicuro di avere la maggioranza: "Ho fatto tutto il possibile.

Dopo il 14 ci sarà un nuovo inizio"

di CARMELO LOPAPA


MOZIONE di sfiducia congiunta, finiani e centristi. La decisione è presa. Ne hanno parlato Fini e Casini nell'ennesimo incontro a quattr'occhi a Montecitorio, lo ha preannunciato il leader di Fli martedì sera al board ristretto dei dieci dirigenti del nuovo partito.

L'atto di sfiducia sarà presentato con molta probabilità giovedì 9 e sottoposto - questa la mossa tattica - alla firma (preventiva) di tutti i deputati futuristi, Udc, Api e Mpa. Tutti. E sono 83. Venti in più di quanto ne occorrono per la presentazione. Nessuno - questo il ragionamento di Fini e Casini - a quel punto potrà tirarsi indietro quando il 14 dicembre il presidente del Consiglio Berlusconi si sottoporrà al responso della Camera.

Il Cavaliere, raccontano ministri e coordinatori che lo hanno visto in mattinata in Consiglio dei ministri e nel pomeriggio a Palazzo Grazioli, resta convinto di avere ancora i numeri per spuntarla. Ma le sue certezze ieri apparivano meno solide. Secondo i calcoli che si fanno a Palazzo Chigi, di voti certi il governo ne avrebbe non più di 312. E i toni delle valutazioni del premier sono cambiati. Forse anche per quei sondaggi riservati, perfino quelli della fidatissima Alessandra Ghisleri, che danno il Pdl in forte calo, vicino a quota 25 per cento. "Sono sereno" dice. E non tanto per la fiducia tutt'altro che scontata a Montecitorio. Ma "perché sto facendo tutto quello che potevo fare: resto convinto che alcuni finiani non mi voteranno contro e così qualche esponente
dell'opposizione". Ad Alfredo Biondi e al senatore Enrico Musso, entrambi con un piede fuori ma ieri ritornati a Palazzo Grazioli, ha confidato di essere intenzionato a rilanciare il partito: "Torneremo allo spirito liberale di Forza Italia nel '94, il 14 dicembre segnerà un nuovo inizio". A prescindere dalla fiducia. Se poi non otterrà il via libera alla Camera, "allora si voterà a marzo. E alle urne ci andremo in ogni caso".

Ma marzo è davvero lontano. E da ieri, tra le file delle opposizioni e di Fli in Transatlantico il vento sembrava aver cambiato direzione. Il presidente della Camera Fini un segnale ben preciso lo ha già lanciato lunedì sera, parlando a porte chiuse ai suoi. "Presenteremo la sfiducia, è l'unica strada". Alle "colombe" Menia, Moffa, Consolo (portavoce dei dubbiosi del gruppo, da Paglia a Catone), incerti su cosa bisognerà fare dopo il 14 dicembre, ha spiegato il concetto ripetendolo due volte: "Inutile ragionare ora di terzo polo e alleanze. Guardate che abbiamo elementi abbastanza precisi che ci inducono ad escludere che si vada alle elezioni anticipate".

Il pensiero corre a quelle che, con insolita dose di "forte preoccupazione", Gianni Letta ha definito le "turbolenze finanziarie" che rischiano di contagiare l'Italia. Cosa accadrà nel nostro Paese tra due settimane, se Piazza Affari continuerà a perdere quota e i titoli di Stato non troveranno acquirenti sufficienti? Finiani e centristi prendono in considerazione solo due ipotesi: un nuovo governo di centrodestra allargato a loro ma con un premier diverso, pur indicato da Berlusconi (e Letta resta l'"indiziato" principale) oppure il governo di solidarietà nazionale allargato a tutti. Ma è chiaro che a quel punto sarà il faro del Quirinale a illuminare il campo di gioco e a individuare, tanto più in una situazione di emergenza, il nuovo timoniere super partes. Fini e Casini non lo dicono, ma non escludono nemmeno che qualora la loro mozione raccogliesse oltre 80 firme, allora il premier potrebbe presentarsi dimissionario al Colle anche prima del 14. Incertezze sul forfait dei suoi il presidente della Camera sembra non averne più. "Sto lasciando sfogare i miei, ma quel giorno saranno tutti con me" confidava ieri pomeriggio ai libdem Tanoni e Melchiorre fermatisi a salutarlo nel corridoio di Montecitorio.

Lo show-down tra due settimane. "Se davvero restiamo blindati - spiega Tanoni che aggiorna i conti ad horas - la sfiducia sarà votata da 319 deputati, o meglio 318 dato che il presidente Fini si astiene. Con Berlusconi restano in 310: se anche un paio di incerti non si presentano, allora è fatta".

Oggi, intanto, quando la Camera esaminerà il decreto sicurezza, i finiani si preparano a mandare sotto il governo almeno in un paio di altre occasione, come ormai avviene quasi quotidianamente.

(01 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/01/news/fini_e_casini_preparano_la_sfiducia_poi_un_altro_esecutivo_senza_silvio-9707844/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA - Bossi e Confalonieri "Silvio, meglio un accordo con Fini"
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2010, 04:14:36 pm
IL RETROSCENA

Il pressing di Bossi e Confalonieri "Silvio, meglio un accordo con Fini"

Per la successione i nomi di Letta, Tremonti e Alfano.

Il Senatur si sfoga con i suoi: ora Berlusconi ci deve dire chi sarebbero i finiani pronti a sostenerlo

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Ora i conti non tornano più. Ora che anche le colombe finiane firmano la mozione di sfiducia, ora che la "dichiarazione di guerra" viene depositata alla Camera con 85 firme in calce, ora che il premier Berlusconi guida un governo di minoranza (309 voti contro 317), adesso Umberto Bossi non si fida più del Cavaliere. Un presidente del Consiglio fiaccato di minuto in minuto dalle banderillas dei dossier WikiLeaks, costretto sulla difensiva, a rintuzzare una rivelazione dopo l'altra. E infine a correggere a distanza le tabelle che gli ex "colonnelli" gli avevano girato sulla tenuta della maggioranza.

"Dove sono i 320 di cui si diceva certo? Adesso deve chiarire, chi sono questi di Fli disposti ancora a votargli la fiducia?" è stato lo sfogo del Senatur raccolto da uomini di governo leghisti. Attende Berlusconi al varco, Umberto Bossi, al rientro dalla lunga missione internazionale. Proverà a "farlo ragionare: avevamo ragione noi, bisogna sedersi al tavolo e trattare con Fini". La mediazione che anche nelle ultime 48 ore ha portato avanti Gianni Letta col presidente della Camera, aprendo sulla riforma della legge elettorale, non ha sortito i risultati sperati. Adesso i leghisti vogliono che sia il premier ad aprire un confronto coi "nemici". Tentare così l'unica via d'uscita ormai possibile: dimissioni e Berlusconi-bis. Dato che, per dirla con Roberto Castelli, "facendo i conti della serva, la maggioranza non c'è più".

Ma ci sono altre pressioni che il presidente del Consiglio subisce già da qualche giorno. Sono quelle del presidente Mediaset Fedele Confalonieri. L'amico di una vita si è fatto portavoce del pensiero e delle preoccupazioni dei figli di Berlusconi, Marina e Pier Silvio, invitandolo a muoversi con maggiore cautela. Perché incaponirsi?, è stato il ragionamento: un tracollo politico metterebbe "a rischio la tenuta del gruppo". Il suggerimento insistente è quello di cedere lo scettro a un uomo di fiducia, sia Gianni Letta o Giulio Tremonti o Angelino Alfano. Purché "Silvio" si tiri fuori da un gioco che si fa "pericoloso". Ma sono consigli non richiesti e già cestinati. Non appena, in serata, i tre capoversi della mozione di sfiducia sono messi a punto, il premier chiama da Astana Verdini e Alfano e detta la controffensiva. "Nessun accordo con Fli e Udc per un Berlusconi-bis" dichiara il coordinatore pdl, "il presidente non si dimette" annuncia il Guardasigilli. Si va alla guerra, insomma.

Nel vertice mattutino nella stanza del presidente della Camera, Fini, Casini, Rutelli, Lombardo e Tanoni la sfiducia la danno ormai per scontata. Si soffermano sul dopo. Confidano ancora in prudenti dimissioni del premier prima del voto in aula. Reincarico a Berlusconi? "Decide il capo dello Stato, non noi" risponde Pier Ferdinando Casini a chi gli chiede. Il fatto è che un B-bis viene escluso da tutti i big del nuovo polo. "E ho elementi abbastanza solidi che mi inducono ad escludere le elezioni anticipate" ripete loro Gianfranco Fini. Il nome di Gianni Letta è l'unico fatto tra i cinque quale possibile alternativa per un governo di centrodestra allargato all'Udc. "Ma non ci sono preclusioni su altri nomi che dovessero essere indicati dal premier" hanno ripetuto. "Anche Pier Silvio, a quel punto, sarebbe un successo" ironizza in Transatlantico l'udc Roberto Rao. Il governo d'emergenza da affidare a un tecnico sarebbe l'ultimo passaggio, appena accennato nel vertice in presidenza. "Ma se qui si parla solo di sfiducia io mi alzo e vado, pensavo si parlasse di terzo polo" sbotta il libdem Tanoni, che rappresenta la Melchiorre e il rientrante (dopo la fuga) Grassano. "È chiaro che qui si pongono le basi per la costruzione della futura alleanza elettorale" è la riflessione di Rutelli sulla quale tutti concordano.

Ma prima ci sarà la mozione da approvare. "Mozione costruttiva", la definisce Bocchino. Nel senso che servirà a costruire il nuovo governo senza Berlusconi. Raccogliere le firme non è stato facile, Fini ha dovuto riunire tutto il suo gruppo, è lì che si annidavano gli ultimi incerti. Unico assente ingiustificato, e ormai "ex", Giampiero Catone. Gli altri danno battaglia, da Menia a Consolo, perplessi per l'accelerazione "eccessiva". Patarino, Moffa e Polidori firmano solo in un secondo momento, ma alla fine lo fanno tutti. Le sigle Fli sono 35. Forte del risultato, Fini incontra più sereno Montezemolo. Il presidente della Ferrari gli conferma, prima del convegno Telethon, che per ora non ha alcuna intenzione di fare un passo avanti in politica. Quindi, Pisanu, ancora una volta. Il senatore voterà la fiducia. Entrerà in gioco con altri colleghi Pdl dopo l'eventuale caduta di Berlusconi alla Camera.
 

(03 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/03/news/il_pressing_di_bossi_e_confalonieri_silvio_meglio_un_accordo_con_fini-9786335/?ref=HREC1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA L'ultimo forcing del Cavaliere
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2010, 07:08:00 pm

di CARMELO LOPAPA

L'ultimo forcing del Cavaliere

Dieci paginette in tutto. Per convincere gli ultimi indecisi, strappare la fiducia di misura e portare avanti comunque governo e legislatura. Silvio Berlusconi la notte scorsa ha illustrato ai dirigenti Pdl strategia e linee guida del discorso che lunedì leggerà prima al Senato e poi alla Camera. Proporrà un nuovo patto di legislatura a chi lo vorrà sostenere. Molto simile a quello già sottoposto alla fiducia il 29 settembre. Ma il punto forte sarà il richiamo al "senso di responsabilità", rivolto a tutti i parlamentari elettti nel Pdl. A cominciare dagli ex transitati in Futuro e libertà. Solo uno spiraglio di apertura sulla riforma elettorale, forse, ma con il paletto del "bipolarismo" che "non si tocca". Tutto questo, ha spiegato il premier, solo se non ci sarà il rischio di un logoramento quotidiano. In quel caso, l'unica via che verrà illustrata al Quirinale sarà il ritorno a breve alle urne.
Ma è proprio quel logoramento che Umberto Bossi teme. Il Senatur ha già messo in guardia il presidente del Consiglio: anche con una maggioranza risicata, non sarebbe procedere oltre sulla via delle riforme e di un governo stabile. E' anche su questa divergenza di vedute con il Cavaliere che si giocherà il prosieguo della legislatura. Da martedì in poi. 
Il Parlamento è chiuso ma in Transatlantico siamo in pieno calciomercato. Pdl e Lega, dopo gli ultimi tre passaggi al partito della fiducia, prevale l'euforia: la maggioranza è  convinta di spuntarla con almeno un voto di scarto: 314 a 313. Basterà per tornare a chiedere le dimissioni di Fini. Per il presidente della Camera, che ieri ha compattato i suoi e rinsaldato il patto con Casini, si va invece verso una "crisi al buio". E ora le opposizioni puntano dritte verso la sfiducia. Il Pd la invocherà già domani in piazza.

http://www.repubblica.it/politica/


Titolo: CARMELO LOPAPA "Ora Pier comincia a ragionare"
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2010, 03:32:09 pm
IL RETROSCENA

Il Cavaliere tira un sospiro di sollievo

"Ora Pier comincia a ragionare"

Il premier irritato per lo stop alla campagna acquisti a Montecitorio: "Troppa fretta".

Alfano all'opera per perfezionare la creazione del nuovo gruppo di deputati

di CARMELO LOPAPA


ROMA - L'irritazione del premier Berlusconi per la campagna acquisti già congelata alla Camera, per colpa di "procuratori" troppo solerti e sovraesposti, è almeno pari al sollievo che gli procurano nel pomeriggio le ultime uscite concilianti di Pier Ferdinando Casini.

"Adesso Pier ragiona, vedrete che non avremo bisogno di forzare e di trascinare il Paese alle urne" confida ai più stretti collaboratori dopo aver ascoltato in tv le parole del leader terzopolista. Sentire ieri Casini evocare il modello americano e il concorso dall'opposizione alle scelte del Paese è musica per il Cavaliere, alle prese in queste ore col pressing leghista e la voglia matta di Umberto Bossi di passare alla svelta all'incasso elettorale. Il fatto è che tra il presidente del Consiglio e il numero uno dell'Udc è in atto un sottile gioco del cerino, l'uno e l'altro pronti a tutto pur di scaricare sull'avversario la responsabilità di una crisi e della conseguente chiusura anticipata della legislatura. L'incendiario rischierà di pagare il conto alle urne. Ecco perché Berlusconi, come spiegava nel week end ad un ministro, è pronto a staccare la spina solo dopo uno stop plateale in Parlamento, "solo quando sarà chiaro che saranno i terzopolisti e la sinistra che mi impediscono di governare".

Proverà ad andare avanti, intanto. Anche tramite l'"operazione scialuppa" che partirà domani: prima riunione dei 22 deputati del gruppo misto che hanno
votato la fiducia all'esecutivo e che si apprestano a dar vita intanto a un coordinamento, ma presto anche al "gruppo di responsabilità". Manovra da condurre in porto subito per soccorrere il governo nelle cinque commissioni in cui il centrodestra si trova dal 14 dicembre in minoranza e le quattro in cui è in pareggio. La prima mossa sarà la richiesta alla Presidenza della Camera di una presenza dei deputati della nuova formazione laddove non sono rappresentati. Quanto all'iniziativa tenga il premier è confermato dallo sponsor d'eccezione che sovrintende da giorni alle operazioni: il Guardasigilli Angelino Alfano, in stretto contatto con il fondatore del Pid Saverio Romano. Dentro, con i cinque ex Udc, i sette di NoiSud, i quattro ex Fli (Moffa, Polidori, Siliquini e Catone), i tre "responsabili" Scilipoti, Cesario e Calearo, quindi Nucara, Pionati e Grassano. A Montecitorio il gruppo c'è. Al Senato, salvo "prestiti", è fermo a quota nove. Il pressing lì è tanto insistente quanto sterile sulla democratica Baio Dossi.

Il fatto è che la campagna acquisti si è subito arenata anche alla Camera. Berlusconi l'ha presa malissimo. Appena giovedì notte a Bruxelles dichiarava di averne personalmente "recuperati altri otto", alludendo a finiani e centristi pronti all'esodo dopo la sconfitta. Degli otto arrivi non vi è più traccia e il Cavaliere attribuisce la colpa a chi, da Pionati ad altri, si sarebbe mosso senza la dovuta accortezza nei contatti. Il gruppone intanto nascerà, sotto la guida, con molta probabilità, dello stesso Romano - se per lui il mini-rimpasto di fine gennaio non aprirà le porte di un ministero - o di Silvano Moffa. "Lavoriamo guardando anche all'opposizione - racconta il presidente della commissione Lavoro - per un gruppo in grado di garantire le riforme". Con un handicap di immagine, però: il rischio di presentarsi col pessimo brand di partenza del gruppo dei "comprati". Romano, che dei "responsabili" si definisce "l'ostetrico", nega: "Non siamo stati comprati da nessuno e siamo qui per sostenere il governo, salvare il Paese in crisi dal voto e trasformarci in polo attrattivo. Sarà più facile per gli insofferenti finiani e centristi avere un dialogo con un interlocutore strutturato". A breve il nuovo gruppo sarà interlocutore di Berlusconi quando si discuterà di nuovi ingressi al governo. Siliquini, Polidori e Pionati già in pole da sottosegretari. Nucara e Calearo in corsa per qualcosa di più.

(20 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/20/news/berlusconi_casini-10402613/


Titolo: CARMELO LOPAPA Casini apre al premier resta incognita voto
Inserito da: Admin - Dicembre 22, 2010, 03:32:55 pm

di CARMELO LOPAPA

Casini apre al premier resta incognita voto


Pier Ferdinando Casini non cede alle sirene del governo Berlusconi. Ma il leader del neonato "Polo della Nazione" apre a un'opposizione sul "modello americano", confermando la disponibilità a discutere delle riforme nell'interesse del Paese. Concessioni che il presidente del Consiglio incassa, pur con scetticismo. E col sospetto che il capo dei centristi voglia lasciargli in mano il cerino della crisi e scaricare sul governo poi la responsabilità della crisi e del voto anticipato. D'altronde, di un ingresso dell'Udc nella maggioranza non vuol sentir parlare Umberto Bossi. "I posti nel governo se li tenga" manda a dire Casini al Senatur.
In questo scenario, le elezioni anticipate restano l'epilogo più probabile, secondo Massimo D'Alema. Perché, sostiene il presidente del Copasir intervistato a "Che tempo che fa", così "non si governa". Ma quella appena trascorsa è stata anche la giornata che ha segnato un ennesimo muro contro muro a sinistra. Nichi Vendola si è scagliato all'attacco di Pier Luigi Bersani e di tutti coloro che nel Pd vorrebbero congelare le primarie per aprire al terzo polo. Un'alleanza che il governatore pugliese, intervistato da Lucia Annunziata, giudica insostenibile. "E poi, se dicono che ho solo 1 milione di voti, perché mi temono?" chiede il leader di Sel. La sua, gli replicherà D'Alema, è una "ossessione da leadership carismatica".
La settimana che si apre oggi sarà invece segnata dall'approvazione al Senato in via definitiva della riforma universitaria. L'appuntamento è per mercoledì. Gli studenti annunciano nuove mobilitazioni. E in questo clima infuocato l'uscita di Maurizio Gasparri, che propone l'arresto preventivo dei presunti violenti, ha l'effetto di una dinamite. Per i democratici sono "parole parafasciste".

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Titolo: CARMELO LOPAPA Sfiducia e "sgarbi" di Tremonti ora Bondi pensa alle dimissioni
Inserito da: Admin - Dicembre 27, 2010, 12:42:54 pm
IL RETROSCENA

Sfiducia e "sgarbi" di Tremonti ora Bondi pensa alle dimissioni

Negati fondi per lo spettacolo. "In me amarezza e disincanto". La scelta eviterebbe un quasi certo ko parlamentare.

"Così rafforzerei il governo"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - E adesso Sandro Bondi. Dopo Carfagna e Prestigiacomo, tocca al ministro dei Beni culturali. Il coordinatore Pdl - ad alto rischio sfiducia, alla ripresa, dopo la mozioni da Fli, Pd e Idv - le dimissioni non le minaccia, ma l'intenzione di lasciare la lascia trapelare in queste ore. Il pretesto: l'ultimo smacco subito col mancato reintegro del Fondo per lo spettacolo. Confessa "grande amarezza", perfino "disincanto" a chi gli ha parlato durante il week end festivo.

Concreta la volontà di farsi "da parte: anche per rafforzare il governo", sottrarre se stesso e l'esecutivo alla "campagna stampa denigratoria e immeritata" di questi mesi. La controparte non è il presidente del Consiglio, figurarsi, ma gli stessi avversari esterni e interni che non gli hanno perdonato la serie di insuccessi o che non lo hanno difeso a sufficienza. I crolli a Pompei e la falcidia ai fondi per la cultura, le assunzioni sospette dei "casi umani" familiari e il discusso premio all'attrice Michelle Bonev, amica del premier, alla Mostra del cinema di Venezia. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti risulta nella lista nera, frequenti gli scontri con lui in Consiglio dei ministri. A indurre Bondi a ventilare il gesto più plateale, in ultimo, lo stralcio del Fondo unico per lo spettacolo dal decreto "Milleproroghe" approvato nei giorni scorsi. Tante promesse di reintegro per riportare il Fus a 398 milioni di euro e infine l'ennesimo stop dall'Economia: il budget resta a quota 258 milioni.

Registi e attori ancora una volta sulle barricate a chiedere le dimissioni del responsabile della Cultura  e lui costretto sulla difensiva: "Eppure mi sono battuto". In privato la decisione, già comunicata, sembra, al presidente del Consiglio: "Ora basta".

Ma la scelta sarebbe dettata anche da ragioni di opportunità politica. La sfiducia individuale ha infatti alte probabilità di essere approvata alla Camera, considerati i numeri risicati della maggioranza. E il premier Berlusconi teme, a cavallo del pronunciamento della Consulta dell'11 sul legittimo impedimento, di subire una plateale sconfitta a Montecitorio. In secondo luogo - come spiega un dirigente Pdl in queste ore - la poltrona di un ministro comunque indebolito nell'immagine, spintosi fino a chiedere dal "Foglio" clemenza ai "cari compagni", tornerebbe utile in vista del minirimpasto annunciato per gennaio per allargare la maggioranza. Una somma di ragioni che potrebbe indurre il Cavaliere stavolta ad accettare il forfait del più fedele dei collaboratori.
Tutto questo accade mentre ancora resta aperto il caso Prestigiacomo. Il ministro dell'Ambiente conta di chiarire con un contatto diretto col premier Berlusconi la vicenda legata alla norma (cassata) sulla "tracciabilità" dei rifiuti che l'ha portata all'uscita dal Pdl, la scorsa settimana. Vicenda che per la Prestigiacomo "resta aperta" nonostante le rassicurazioni del presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di fine anno ("Caso chiuso").

Un magma in ebollizione, tra i pidiellini di governo. Con l'affare Carfagna appena archiviato e altri ministri insoddisfatti. Il responsabile dei Rapporti col Parlamento Elio Vito - raccontano i pidiellini che gli hanno parlato - per nulla contento della gestione del ddl Gelmini al Senato da parte della "straripante" collega. Lui si tiene fuori dal dibattito politico da oltre un mese e il 14 dicembre si è presentato in aula solo al momento della chiama per uscire subito da Montecitorio. Il ministro dell'Agricoltura Giancarlo Galan invece lamenta la guerra quotidiana con gli "avversari" leghisti che a marzo lo hanno sfrattato dalla Regione Veneto. Sulla gestione della Sanità nella sua ex Regione come sulle quote latte e infine sull'"opa" del Carroccio sulle banche venete, negli ultimi tre mesi è stato un muro contro muro continuo. La Lega non perde occasione per attaccarlo sulle politiche agricole. Lui resiste. Per ora.
 
(27 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/27/news/sfiducia_e_sgarbi_di_tremonti_ora_bondi_pensa_alle_dimissioni-10606435/?ref=HREC1-3


Titolo: CARMELO LOPAPA L'ombra di Tremonti dietro il gelo leghista
Inserito da: Admin - Gennaio 02, 2011, 06:52:38 pm

di CARMELO LOPAPA

L'ombra di Tremonti dietro il gelo leghista


E' un'insofferenza che cresce, un disagio che i leghisti non fanno ormai nulla per nascondere. Scettici, a dir poco, sull'opportunità di portare avanti legislatura e governo: prima Bossi, poi Maroni, in ultimo Calderoli. La Lega Nord gela i buoni propositi del presidente del Consiglio Berlusconi. E all'indomani di Capodanno - mentre il premier riposa ad Arcore e lavora all'allargamento della sua maggioranza - è il ministro per la Semplificazione a lanciare l'ultimatum più stringente. Corredato stavolta da data preferita per il ritorno alle urne: il 27 marzo. Un messaggio recapitato al capo del governo già in fibrillazione per lo scontro sotterraneo con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, per nulla intenzionato ad assecondare Berlusconi nell'allargamento dei cordoni della borsa. Fosse pure per un generoso intervento fiscale in chiave pre-elettorale. Il Cavaliere non nasconde ormai ai suoi il sospetto che in questa sorta di "assedio" al quale lo sottopone il Carroccio, un ruolo non secondario lo svolga d'intesa con Bossi proprio il superministro del suo governo. In gioco, ormai senza tanti infingimenti, c'è la premiership del centrodestra e il dopo-Berlusconi. Il premier non intende rassegnarsi. Il fatto è che le parole delle ultime ore di Roberto Calderoli non lasciano molti spazi alle trattative e alle compravendite in Parlamento. Il ministro fa sapere che "il passaggio decisivo per il treno del governo sarà tra il 17 e il 23 gennaio, quando nelle commissioni competenti si voterà il federalismo fiscale: se la sbarra sarà alzata allora si andrà avanti, se sarà abbassata non resterà che il voto". D'altronde, ai leghisti non interessa altro che condurre in porto quella riforma. Diversamente, "per votare il 27 marzo le Camere bisognerà scioglierle entro il mese di gennaio". Cammino in salita per il presidente del Consiglio, stretto dalla nuova opposizione da destra di Futuro e libertà, che si prepara al congresso di febbraio. "Berlusconi potrà restare a Palazzo Chigi ancora due giorni, due mesi o due anni, a noi non interessa" ragiona Italo Bocchino: "Il problema è il paese in crisi e l'ottimismo del premier peggiora le cose".

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HREC1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Il pressing del Colle e l'imbarazzo di Silvio
Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2011, 11:25:40 am
di CARMELO LOPAPA

Il pressing del Colle e l'imbarazzo di Silvio

Il capo dello Stato torna a spronare al senso dell'unità nazionale. E all'indomani del richiamo al rispetto del Tricolore per chi ha responsabilità di governo - che aveva scatenato la reazione stizzita di Bossi - si rivolge, formulando un auspicio, proprio a quelle regioni in cui più radicato è l'insediamento del Carroccio. Parla da Forlì, il presidente della Repubblica Napolitano, nella seconda tappa della visita in Emilia che ha aperto le celebrazioni per il 150esimo. E dice: "Spero che in altre parti del Paese, a Milano, a Venezia, a Verona, si ripetano iniziative come questa, affinché queste parti del Paese sappiano come divvenero italiane". L'identità nazionale prima di quella localistica.

Incurante delle polemiche con cui la Lega ha ancorato la riluttanza ai festeggiameneti alla tensione per il rush finale della riforma federalista, il Quirinale dunque tiene fermo e alto il vessillo dei valori comuni. Raccogliendo pochi sostegni, a ben guardare, anche dall'ala pidiellina del governo. Presidente del Consiglio in testa. Che sebbene si sia guardato bene dall'affiancare il Senatur nell'offensiva al Colle, si è anche tenuto lontano da qualsiasi forma di solidarietà o di presenza (sua o dei ministri) a questo avvio delle celebrazioni.

Sulla scrivania del premier, alla vigilia della ripresa, pesa piuttosto il macigno della tenuta dell'esecutivo proprio sul banco di prova decisivo per il federalismo. Perché nelle ultime ore i finiani, come già l'Udc e il centrosinistra, hanno preannunciato opposizione. Compreso quel Mario Baldassarri (Fli) decisivo nella bicameralina chiamata a varare la riforma. Calderoli indossa i panni del mediatore e prova a rassicurare: "Il federalismo darà una risposta concreta alla questione meridionale e i correttivi che ci chiedono sono già contenuti nel testo". Ma le garanzie convincono poco i terzopolisti. Bersani fa presente che il Pd ha un suo progetto federalista ed è pronto a discuterne. Ma attacca: "Questa destra è nel caos. E chi alza la testa muore".

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Casini: Il governo non ha i numeri tutti insieme per l'emergenza
Inserito da: Admin - Gennaio 10, 2011, 06:00:03 pm
UDC

Casini: "Il governo non ha i numeri tutti insieme per l'emergenza economia"

Il Cavaliere: pronto il nuovo gruppo dei responsabili. Il capogruppo della "terza gamba" sarà Moffa. L'ex udc Romano candidato sottosegretario. Il premier vuole incontrare il leader centrista in vista dei prossimi test parlamentari

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Si allontana da piazza San Pietro con Lorenzo Cesa sotto il braccio. "Non è che mi sia perso tanto, nei giorni trascorsi fuori: siamo ancora alla contabilità parlamentare, mi sembra, al presidente del Consiglio sempre alla ricerca affannosa di numeri per la sua maggioranza. Diciamo che l'ho ritrovato nelle stesse condizioni in cui lo avevo lasciato" scuote la testa Pier Ferdinando Casini.

Il paltò blu sotto il sole della mattinata romana quasi stona con l'abbronzatura, ultimo ricordo della vacanza alle Maldive ormai alle spalle. La benedizione all'Angelus di Benedetto XVI, la solidarietà portata assieme a uno sparuto gruppo di parlamentari alla Chiesa "perseguitata", lo indurrebbero a schivare il bailamme politico italiano. Ma la ripresa - e la prova del nove per il governo - incombe. Il premier Berlusconi confidava proprio nel ritorno dell'"amico" Pier per dare basi più solide alla sua azione di governo, fosse pure con un sostegno esterno alle riforme più importanti. A cominciare dal federalismo. "Confida su di noi? Sì, sì, lui confidi, confidi pure..." taglia corto ridendo.

Casini, però, non vuole nemmeno assumersi la responsabilità di un ritorno anticipato alle urne. Ecco perché l'appello al senso di responsabilità rivolto al governo prima della pausa festiva resta valido e dovrà essere la stella polare del Polo della Nazione, come va ripetendo a Cesa e a Lusetti, lì insieme con lui sotto la
finestra del Pontefice. Lo ripeterà poi per tutto il giorno ai dirigenti del partito che alla spicciolata lo chiamano per le prime indicazioni. "Sarà necessario sederci e lavorare tutti insieme sui conti pubblici, di fronte ai rischi di una crisi più nera e preoccupante del previsto non possiamo lavarci le mani" è il ragionamento del leader Udc. È la disponibilità, l'unica vera apertura che porterà su un vassoio d'argento al presidente del Consiglio, col quale potrebbe incontrarsi da qui a breve. Faccia a faccia al quale lavora da tempo il pontiere Gianni Letta.

Ma se dalla maggioranza e dalla Lega in particolare pensano di poter incassare il sostegno dei terzpolisti sul federalismo così com'è, si sbagliano. Perché "noi non siamo una forza di governo, costretta ad approvare alcunché: se il loro decreto darà attuazione alla pessima legge sul federalismo contro la quale abbiamo già detto no, allora non è affare che ci riguarda". Al contrario, "se troveranno le coperture necessarie al quoziente familiare e alle altre misure da noi richieste per la famiglia, se ne potrà discutere". Ma, questa la parola d'ordine, "basta con le chiacchiere, vogliamo provvedimenti e cifre concrete". Come dire che tutto è nelle mani, ancora una volta, del ministro Giulio Tremonti. Domani il coordinamento del nuovo Polo costruito con Gianfranco Fini tornerà a riunirsi per dettare l'agenda parlamentare comune. Casini esclude che qualcuno o qualcosa possa piegare l'asse costruito con il presidente della Camera. "Nessuno si dividerà con Fli, nemmeno sui valori". Voto congiunto su tutto, mozione Bondi compresa.

A Piazza San Pietro, il leader centrista assiste all'Angelus al fianco del presidente democratico della Provincia, Nicola Zingaretti. Gaetano Quagliariello e Maurizio Gasparri restano a cinque metri di distanza. Casini nota come in piazza non ci sia stato alcun dirigente Pd. Rimanda quasi al mittente l'appello di Bersani per un patto tra tutte le opposizioni. "Noi abbiamo già scelto, sono loro a dover decidere se stanno con la Fiom oppure no, con Vendola e Di Pietro o con i riformisti".

A Roma invece il premier Berlusconi rientrerà domani. Ultima domenica di relax ad Arcore ma in stretto contatto coi suoi prima di tuffarsi nelle due settimane cruciali su legittimo impedimento e federalismo. "Abbiamo i numeri, allargheremo la maggioranza e approveremo la riforma senza ostacoli" va ripetendo ai membri del governo sentiti. Domani riunirà, con Verdini, Moffa e Romano e i promotori del futuro gruppo dei "responsabili" che dovrebbe essere guidato proprio da Moffa. In cantiere quattro o cinque innesti per raggiungere quota 20. "Il gruppo si farà e sarà la terza gamba della coalizione - afferma il sottosegretario Daniela Santanché - Altri arriveranno, anche da Fli". 

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/10/news/casini_il_governo_non_ha_i_numeri_tutti_insieme_per_l_emergenza_economia-11032691/


Titolo: CARMELO LOPAPA "Serve tempo per costruire l'alleanza con Casini"
Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2011, 06:38:59 pm
RETROSCENA

Il premier blinda l'asse col Senatur "Non appoggerà Giulio contro di me"

Il capo del governo irritato con il ministro dell'Economia.

"Serve tempo per costruire l'alleanza con Casini"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Alla "cena degli ossi" di Calalzo di Cadore alla fine non è andato. "Non ce n'era bisogno, con Umberto ormai ho chiarito" racconta ai suoi il premier Berlusconi, di rientro ad Arcore dopo la puntata romana. "Non aveva alcuna voglia di incontrare Giulio Tremonti e fare come se nulla fosse successo" spiegano con maggiore schiettezza i più stretti collaboratori.

Eccolo l'equilibrio provvisorio sul quale si reggono le speranze del presidente del Consiglio di portare avanti la legislatura: guardia alta nei confronti del superministro, patto di ferro col Senatur. Per tutta la giornata lo ha ribadito a sottosegretari incontrati, ai capigruppo e ai pochi ministri rientrati dalle vacanze: "L'accordo con Umberto tiene e lui mi garantisce che farà rientrare anche Tremonti. Senza l'aiuto della Lega, Giulio può scordarsi per ora le elezioni anticipate". A Bossi, ancora una volta, Berlusconi manda a dire attraverso Calderoli che riuscirà a portare in maggioranza una dozzina di nuovi deputati da Fli, Udc - anche se dai centristi piovono solo prese di distanza - e perfino Idv, intestarditosi sul malcontento nel partito di Di Pietro. E che dunque i decreti sul federalismo "non correranno rischi".

"Sì, l'accordo con Bossi regge ed è un accordo fondato sul buon senso - conferma Gaetano Quagliariello - D'altronde, ha ragione anche lui: se la maggioranza c'è, per quanto risicata, si va avanti, diversamente si andrà a votare". Resta
sullo sfondo il gelo tra il premier e il ministro dell'Economia. Ormai additato nei dialoghi privati del Cavaliere, come dalle colonne del quotidiano di famiglia, quale il vero regista dell'operazione "voto anticipato". I due non si sentono da giorni. Non tanti, raccontano, comunque sufficienti per lasciar sedimentare i sospetti reciproci e logorare la relazione. D'altronde, a sentire un ministro pidiellino, "ormai Giulio sta giocando due partite: una nobile e comprensibile, perché fare il ministro dell'Economia con una maggioranza a rischio è impresa ardua; uno meno nobile, perché si è ormai convinto di essere il candidato unico per un governo di larghe intese in caso di voto e mancato successo del centrodestra al Senato". Questi i sospetti, questo il clima.

Ad ogni buon conto, le "manovre di palazzo" ordite per disarcionarlo non avranno successo, va ripetendo il Cavaliere nelle telefonate alle sue tv e ancora più nei colloqui riservati: "Non andremo al voto anticipato, non lo permetterò, non certo a marzo". E la sua strategia è assai spicciola e concreta. "Se ne parlerà a giugno se non a ottobre: abbiamo bisogno di tempo per lavorare a un accordo elettorale con Casini". Occorre "una verifica seria con i centristi" vanno ripetendo ora dal Pdl Cicchitto e Napoli. Non a caso. Berlusconi si è ormai convinto che il leader Udc non permetterà che si torni a votare a stretto giro. I due, nell'ultima telefonata per lo scambio di auguri alla vigilia di Natale, si sono dati appuntamento alla ripresa. Ma i segnali indiretti che dalle Maldive gli fa giungere l'amico Pier, Berlusconi li ritiene comunque rassicuranti. A cominciare dalla disponibilità manifestata proprio nelle ultime ore dai centristi a votare il decreto sul federalismo municipale, a condizione però che contenga le coperture per quoziente familiare e cedolare secca.

Ecco, quelle coperture - qui l'altro punto di frizione con Tremonti - il ministero di via XX Settembre le dovrà trovare, è il diktat del premier, costi quel che costi. Le residue chance di un patto elettorale coi centristi si giocano anche sui cordoni della borsa. Ma esistono davvero le condizioni per un'intesa Pdl-Udc? Per i leghisti è fumo negli occhi. Casini, dal canto suo, ha in serbo accordi pesanti col Pd su importanti piazze, in vista delle amministrative di primavera. Per non dire del nascente Polo della Nazione: l'asse Fini-Casini al momento appare solido, infrangibile a sentire i loro luogotenenti. L'inquilino di Palazzo Chigi è convinto del contrario. Intenzionato piuttosto ad infrangerlo alla ripresa dei lavori parlamentari, con due mosse. La prima, con l'apertura ai centristi sul quoziente familiare, appunto. La seconda, con le leggi di bio-etica che il vicepresidente pidiellino della Camera, Maurizio Lupi, ha già preannunciato per il calendario di gennaio. Gianfranco Fini è più preoccupato della "macchina del fango" che vede in moto contro di lui, piuttosto che degli agguati d'aula. Tanto più che su testamento biologico e altri ddl "etici" la linea ai suoi sarà quella della "libertà di coscienza".

(05 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/05/news/retroscena_5_gennaio-10861542/


Titolo: CARMELO LOPAPA Le paure del Cavaliere
Inserito da: Admin - Gennaio 17, 2011, 10:03:09 pm


di CARMELO LOPAPA


Le paure del Cavaliere

Una fidanzata. E' l'ultima trovata della campagna comunicativa che Silvio Berlusconi lancia - assieme all'offensiva contro i pm - nell'ultimo videomessaggio, nel tentativo di dirottare l'attenzione dal ciclone Ruby.

La tensione è altissima ad Arcore, oggi con molta probabilità diventeranno pubbliche le 300 pagine degli atti giudiziari inviati dalla Procura di Milano alla giunta per le autorizzazioni della Camera. Col loro carico di verbali e, soprattutto, le temute intercettazioni dei colloqui tra le frequentatrici delle residenze del premier.

Carte che il presidenze del Consiglio ha studiato coi suoi legali, nel week end, ricavandone una buona dose di preoccupazione per le ripercussioni politiche dello scandalo. In ballo, c'è la tenuta stessa del governo. Berlusconi confida poco, a questo punto, sulla riuscita dell'operazione allargamento della maggioranza. Le trattative in corso per il passaggio di altri deputati si sono raffreddate.
Ma a preoccupare parecchio l'inquilino di Palazzo Chigi, anche i rapporti con la Lega alla vigilia dell'esame decisivo per il federalismo, in Parlamento. Ancora una volta, ieri Bossi è tornato a ventilare l'ipotesi delle elezioni anticipate, oltre ad invitare l'alleato a "lasciare stare i magistrati".

In questo clima di somma incertezza, lo spettro che più agita il Cavaliere dunque torna ad essere una crisi che precipiti non già nella chiusura anticipata della legislatura e nel voto, ma in un governo tecnico. Magari per l'effetto di un'immagine pubblica irrimediabilmente deturpata e del giudizio immediato a carico dell'imputato Berlusconi. Il silenzio, la mancata solidarietà espressa da Giulio Tremonti, in queste ore, è un altro elemento valutato con sospetto, dalle parti di Arcore.

Ma a questo punto, il capo del governo "ha una sola cosa da fare - sostiene il presidente della Camera Fini intervistato da Fabio Fazio - anche per evitare discredito all'Italia: vada dai magistrati, dimostri la sua estranietà e si difenda". Per il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, il video messaggio è invece "uno spettacolo imbarazzante e desolante".

Il fatto è che Berlusconi non ha alcuna intenzione di presentarsi al cospetto di Ilda Boccassini e dei pm milanesi.

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Premier stretto tra il Colle e il Papa
Inserito da: Admin - Gennaio 21, 2011, 05:36:47 pm
di CARMELO LOPAPA

Premier stretto tra il Colle e il Papa

Silvio Berlusconi sembra chiuso in una tenaglia. E a bacchettarlo è stavolta il Papa. Che parla a chiare lettere di un "indebolimento dei principi etici e atteggiamenti morali". Subito dopo ci pensa il presidente della Repubblica a lanciare il suo monito: "Conflitti e strappi non portano alla verità". Secondo il capo dello Stato, poi, "il giusto processo" pè già garantito dalla legge. E il clima di tensione di questi giorni è determinato dal mancato rispetto dei suoi consigli.

Eppure, nonostante questi richiami il Cavaliere non si arrende. Non ci sarà via d’uscita alla crisi, se lo scandalo Ruby si rivelerà insostenibile e travolgerà tutto. L’unica soluzione saranno le urne. Scioglimento delle Camere e voto anticipato. Nessun’altra exit strategy, nessun governo con una premiership alternativa. Il premier è chiaro, quando ragguaglia i ministri al termine del Consiglio riunito in mattinata a Palazzo Chigi.Un primo risultato il capo del governo lo ottiene, concordando con la Lega la proroga di una settimana del voto sul decreto attuativo del federalismo fiscale, previsto in un primo momento entro fine gennaio. Ma il rinvio sarà di sette giorni, non uno di più, avvertono Umberto Bossi e Roberto Calderoli. E già questo, assieme al no opposto ieri dall’Anci al progetto federalista per i Comuni, rischia di far saltare l’intero tavolo della riforma e la stessa tenuta del governo, dato che nelle ultime ore il Terzo Polo ha chiesto un congelamento ma per sei mesi, difficilmente accettabile dalla Lega. Sono gli ostacoli politici che si intrecciano con lo scandalo Ruby, il caso giudiziario e il loro eco mediatico. I legali di Berlusconi confermano quel che già si sapeva: domani il loro cliente non si presenterà in Procura a Milano. Il premier, a margine del Consiglio dei ministri, torna ad attaccare Santoro e la tv pubblica “indecente” per la puntata di ieri (record di ascolti) e l’intervista alla escort Macrì (sentita oggi dai magistrati).

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Lo scontro finale
Inserito da: Admin - Gennaio 22, 2011, 05:43:50 pm


di CARMELO LOPAPA

Lo scontro finale

Silvio Berlusconi nella tenaglia. Il Papa parla a chiare lettere di un "indebolimento dei principi etici e atteggiamenti morali". Subito dopo ci pensa il presidente della Repubblica a lanciare il suo monito: "Conflitti e strappi non portano alla verità". Secondo il capo dello Stato, poi, "il giusto processo" è già garantito dalla legge. E il clima di tensione di questi giorni è determinato dal mancato rispetto dei suoi consigli.
Eppure, nonostante questi richiami il Cavaliere non si arrende. Non ci sarà via d’uscita alla crisi, se lo scandalo Ruby si rivelerà insostenibile e travolgerà tutto. L’unica soluzione saranno le urne. Il premier è chiaro, quando ragguaglia i ministri al termine del Consiglio riunito a Palazzo Chigi.
Umberto Bossi lo invita a "riposarsi, ci pensiamo noi" a difendere il presidente del Consiglio, "tanto non si dimette". E un primo risultato il capo del governo lo ottiene concordando proprio con la Lega la proroga di una settimana del voto sul decreto attuativo del federalismo fiscale, previsto in un primo momento entro fine gennaio. Ma il rinvio sarà di sette giorni, non uno di più, avvertono il Senatur e Roberto Calderoli. E già questo, assieme al no opposto ieri dall’Anci al progetto federalista per i Comuni, rischia di far saltare l’intero tavolo della riforma e la stessa tenuta del governo, dato che nelle ultime ore il Terzo Polo ha chiesto un congelamento ma per sei mesi, difficilmente accettabile dalla Lega.
Sono gli ostacoli politici che si intrecciano con lo scandalo Ruby, il caso giudiziario e il loro eco mediatico. I legali di Berlusconi confermano quel che già si sapeva: oggi il loro cliente non si presenterà in Procura a Milano. Il premier, a margine del Consiglio dei ministri, torna ad attaccare Santoro e la tv pubblica "indecente" per la puntata (record di ascolti) e l’intervista alla escort Macrì (sentita dai magistrati). E intanto, pensa a una nuova campagna di propaganda. Tutta tv e manifesti 6x3.

http://www.repubblica.it/politica/


Titolo: E per far dimenticare il Rubygate Ferrara guida la svolta moderata
Inserito da: Admin - Febbraio 03, 2011, 06:41:31 pm
Il caso

E per far dimenticare il Rubygate Ferrara guida la svolta moderata

A Palazzo Chigi il direttore del Foglio, ex ministro del governo Berlusconi e Letta impongono toni soft, sconfiggendo i falchi Verdini e Ghedini

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Giuliano Ferrara torna di casa a Palazzo Grazioli. Un eterno ritorno. Ciclico, meglio. Solo che l'ascesa, la risalita a corte dell'ex ministro, ex portavoce, consigliere dei momenti più bui, stavolta coincide con la svolta "aperturista" alle opposizioni: apprezzamenti per Napolitano, abbassamento dei toni contro i giudici e programmone di rilancio dell'economia che neanche negli anni floridi dei cento deputati di vantaggio. Strategia avvolgente, nel tentativo di sbianchettare il Rubygate.

Nella residenza privata del presidente del Consiglio, il direttore del Foglio si presenta alle 14,30. Presente Gianni Letta. Per definire la strategia di queste giorni.  Il direttore del Foglio sta ora rinsaldando un asse con le "colombe", con Sandro Bondi e con il portavoce Paolo Bonaiuti. Sull'altro fronte i falchi: Verdini, Brambilla, Ghedini che hanno ispirato la sequenza di videomessaggi "talebani" anti-giudici e in ultimo la manifestazione annunciata e poi smentita due giorni fa. Il direttore del Foglio, invece, per ora preferisce i toni serafici e dialoganti. E la riservatezza: "Scrivo tutti i giorni e aggiungere dichiarazioni è petulanza".

Con Silvio Berlusconi, riferisce chi frequenta il Palazzo, Ferrara ha messo a punto a pranzo le coordinate in vista dell'attesa intervista al Tg1 poi andata in onda alle 20. Giusto un accenno ai problemi di questi giorni. Poi, giù col nuovo copione: riforma dell'articolo 41 della Costituzione, piano casa, piano per il Sud, privatizzazione
dei servizi pubblici locali, liberalizzazioni. "La rivoluzione di febbraio del Cav. si chiama crescita" è lo slogan che campeggia nel titolo su due pagine del "Foglio" di ieri, non a caso. La strategia la detta il direttore. E già da qualche giorno. Da qui la sfuriata sotto forma di editoriale contro chi 48 ore fa - da Angelino Alfano a Michela Vittoria Brambilla - stavano per vanificare la svolta diplomatica ed economista con quel "comunicato criminale" sulla manifestazione antigiudici, poi cancellata.

È una partita, quella tra l'ex ministro e le "tigri" di Palazzo Chigi, che va avanti sotto traccia da tempo. Con alcune decisive accelerazioni. Dalla lettera al Corriere con offerta di tregua alle opposizioni, al successivo annuncio che il governo andrà avanti sul rilancio dell'economia nonostante Bersani. Dallo stop imposto alla contraerea anti-Procura (di Milano) fino al comunicato di apprezzamento per le parole del presidente Napolitano di ieri. D'altronde, ci sarà o no un motivo se Giuliano Ferrara da domenica scorsa è editorialista del "Giornale"? "Ma che ci sia una contrapposizione in atto io lo escludo" è tranchant Daniela Santanché. Che pure alcuni nel Pdl additano come paladina del partito (per ora calante) delle tigri e che era finita in quel comunicato assieme alla Brambilla quale promotrice della mobilitazione. Tigri o falchi, a preferenza. "Io sono falco nella misura in cui lo è Berlusconi e colomba quando lui è colomba - precisa - Se qualcuno poi ha qualcosa da ridire, lo dica al presidente. Perché io sono donna di destra per me la gerarchia conta e a quella mi attengo. Adesso sono nell'organigramma del Pdl e curerò la mobilitazione sul territorio, ma per promuovere l'azione del governo".

Veri o no gli scontri alla tolda di comando della nave in tempesta, lassù per adesso è tornato Giuliano. Lui è sempre stato l'"imprevedibilità" del berlusconismo. Il suo sogno è che il premier faccia sempre quel che gli altri non si attendono. La sorpresa come elemento fondante della politica. La conciliazione e la tregua quando tutto sembra precipitare. Nel giugno 2009, in pieno caos Noemi, inascoltato dal premier, scrisse sul suo quotidiano il discorso di autocritica che aveva suggerito al Cavaliere, "Ho ancora un sogno". Vano pure il tentativo di evitare, con tanto di mediazione a inizio estate 2010, lo scontro finale con Gianfranco Fini. Per poi concludere sconsolato: "B. ha un fungo nella pancia che gli deriva dalla idolatria di se stesso".

(03 febbraio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/02/03


Titolo: CARMELO LOPAPA Cambio all'Agricoltura, alt della Lega "Non può andare a ...
Inserito da: Admin - Marzo 03, 2011, 12:38:07 pm
IL RETROSCENA

Cambio all'Agricoltura, alt della Lega "Non può andare a un ministro del Sud"

Veti incrociati tra i Responsabili. E il rimpasto è congelato. Anche il Senatur gela Berlusconi: "Vedrei bene Bricolo, ha la faccia da contadino". Ma il Cavaliere rassicura Romano (Pid): "A quel dicastero ci andrai tu"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Saverio, tu sei ministro dell'Agricoltura. Sereno. Con Umberto ci parlo io, devi solo pazientare" sussurra in serata il premier Berlusconi a Montecitorio all'orecchio del fedele Romano. In quell'esatto momento, il co-fondatore (con Moffa) dei Responsabili, artefice dello strappo dei cinque ex Udc, ha capito che l'agognato riconoscimento per ora si allontana. Per lui come per gli altri pezzi acquisiti di maggioranza, pronti a passare all'incasso.

Pesa il veto di Bossi sul dicastero più pesante tra quelli in ballo. Il Senatur al premier suggerisce di "prendere tempo", quando si chiude con Calderoli, Cota e Bricolo nella saletta del governo adiacente all'aula per festeggiare l'approvazione del federalismo municipale. Il Carroccio non molla la presa sull'Agricoltura, poltrona finora occupata da Galan e dalla quale pendono le sorti delle quote latte. Ma se l'operazione rimpasto data per imminente addirittura per il consiglio dei ministri di oggi, è poi slittata a martedì se non oltre, è perché in 48 ore sulle seggiole in gioco si è scatenata la guerriglia. C'è mezzo gruppo dei Responsabili, da Moffa alla Polidori fino a Pionati pronti ad alzare barricate sull'ascesa al collega siciliano. E così, prigioniero della "tribù degli Scilipoti" - come in Transatlantico bollano la terza gamba della maggioranza - il presidente del Consiglio è costretto a soprassedere per ora. Un rinvio strategico, che fa molto gioco al premier impelagato nella partita politico-giudiziaria
legata allo scandalo Ruby.

"Non posso permettermi di correre rischi, di perdere pezzi di maggioranza a pochi giorni dal probabile voto in aula sul conflitto di attribuzione" ha ragionato con i suoi il Cavaliere, chiuso tutto il giorno a Palazzo Grazioli prima di spostarsi alle 19 a Montecitorio. Fini è intenzionato a rimettere all'aula la decisione sull'apertura del conflitto coi giudici di Milano davanti alla Consulta. Ma se il rimpasto si chiuderà prima - con l'assegnazione di tre ministeri e altrettanti vice e una sfilza di sottosegretariati - i troppi scontenti si trasformerebbero in altrettanti pericolosi disertori. I mal di pancia serpeggiano, in Transatlantico, e Berlusconi ne è informato. "Per quanto tempo ci dovranno prendere in giro? Sta rinviando di settimana in settimana questi incarichi, non è più tollerabile" alza la voce Mario Pepe (Responsabile) con i colleghi di gruppo nei quali si imbatte. Gli artefici della fiducia del 14 dicembre stanno perdendo la pazienza. "Il presidente faccia come vuole, ma io gli ho suggerito di ragionare bene sull'Agricoltura - racconta a un collega Francesco Pionati - Ma vi pare che si possa dare un ministero così pesante a un siciliano non pidiellino, di un partito mini che ha perso pure Mannino e Cuffaro?".

Eppure, in giornata Berlusconi aveva provato a mettere a posto i tasselli. Incontrando il ministro (uscente) all'Agricoltura Giancarlo Galan a Palazzo Grazioli e provando a convincerlo ad accettare le Politiche comunitarie. Sandro Bondi lo considera già dimissionario e Paolo Bonaiuti è stato allertato. A Bossi e Calderoli che hanno continuato a sponsorizzare Bricolo per l'Agricoltura ("Ha pure la faccia da contadino" hanno ironizzato col Cavaliere) il premier ha assicurato che tre sottosegretari saranno loro, compreso uno "di sentinella" all'Agricoltura, il piemontese Fogliato, qualora il ministero più delicato dovesse andare davvero al "siciliano". Ma ai leghisti ha garantito soprattutto la cosa che a loro sta più a cuore: il voto di fiducia anche per i prossimi decreti in arrivo sul federalismo, a cominciare da quello regionale. E tanto basta al Senatur per stringere la mano e incoraggiare per ora l'amico sulla tenuta dell'asse: "Per adesso teniamo".

Prendere tempo, rinviare le grane, tenere serrate le file. Eccole le priorità di un Berlusconi che ha altro a cui pensare. Lo confessa anche alle deputate con cui si intrattiene a Montecitorio, Barbara Saltamartini e Beatrice Lorenzin, alle quali dà il benestare per la manifestazione delle donne Pdl del 5 marzo, tornando con loro sul cruccio che lo tormenta: "Questa Ruby ha detto di non aver mai avuto rapporti sessuali con me. In un Paese civile un processo così durerebbe mezz'ora, qui lo portano per le lunghe trasformandolo in un processo mediatico. Io non ho mai fatto niente di male a nessuno, nella mia vita".

(03 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - www.repubblica.it/politica


Titolo: CARMELO LOPAPA La svolta di Fini: basta antiberlusconismo
Inserito da: Admin - Marzo 06, 2011, 10:39:16 pm


di CARMELO LOPAPA

La svolta di Fini: basta antiberlusconismo

La battaglia sulla giustizia entra nella settimana cruciale. Giovedì in Consiglio dei ministri il Guardasigilli Alfano porterà il progetto destinato a introdurre quella che il premier Berlusconi definisce una rivoluzione "epocale" dell’intero assetto giudiziario. Separazione rigida delle carriere tra giudici e pm, attenuazione dell’obbligatorietà dell’azione penale con poteri di indirizzo in capo al Parlamento, divisione del Csm e autonomia dai pm della polizia giudiziaria. Ma soprattutto, norma-ritorsione contro i giudici: la responsabilità civile per coloro che "sbagliano" nel percorso delle indagini.
Le opposizioni preparano le barricate nelle aule parlamentari e nelle piazze, le toghe avvieranno una mobilitazione simile a quella che due anni fa portò al congelamento della riforma. Lo scontro monopolizzerà i prossimi giorni. Ma stavola il Cavaliere è intenzionato a condurre fino in fondo la sua battaglia. Che coinciderà con l’entrata nel vivo della lunga stagione processuale che vede l’imputato Berlusconi coinvolto in quattro processi, il più delicato partirà il 6 aprile per prostituzione minorile e concussione. "L'obiettivo di Berlusconi è solo quello di tenere alto lo scontro con la magistratura per giustificare le leggi ad personam" attacca il presidente del Pd Rosy Bindi.
Gianfranco Fini, che ha concluso a Roma l’Assemblea dei circoli di Fli, mantiene una linea di prudenza sulla riforma della giustizia: "Se e quando sarà presentata la valuteremo con attenzione". Il presidente del Consiglio, al contrario, è convinto che senza l’avversario in maggioranza adesso il percorso sarà spianato. Un intervento, quello di Fini, molto attento agli equilibri interni di un partito uscito a pezzi dal congresso, puntato non a caso sul superamento dell’antiberlusconismo per investire il progetto politico di Fli sul nuovo polo, con Casini e Rutelli. Parla perciò di fallimento non solo del centrodestra, ma anche della sinistra: "Siamo in presenza di uno scontro tra due gruppi conservatori nel senso deteriore del termine". D’ora in poi, dice, il suo partito e più in generale la nuova aggregazione terzopolista, valuterà i singoli provvedimenti del governo "con onestà intelletuale"

da - repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA L'apertura di Alfano non convince il Pd
Inserito da: Admin - Marzo 16, 2011, 04:40:35 pm


di CARMELO LOPAPA

L'apertura di Alfano non convince il Pd

Il presidente del Consiglio che nell’ultimo exploit telefonico si definisce «coraggioso, temerario, forse anche un po’ eroico e matto» rilancia nella sua personalissima sfida, ormai quotidiana, contro la magistratura. La riforma-spot della giustizia diventa l’unico, quasi ossessivo tasto sul quale il premier Berlusconi batte a pochi giorni dall’esordio del processo Ruby che lo vedrà alla sbarra.
Una parziale apertura arriva intanto dal Guardasigilli Alfano, impegnato in un incessante tour televisivo per illustrare la riforma che porta il suo nome: «Proporrò il ritiro della norma transitoria del cosiddetto processo breve così com'è scritta» annuncia davanti alle telecamere di "In mezz'ora". Ma sulla modifica della Costituzione negli articoli che riguardano la giustizia, il governo andrà avanti spedito.

Perché, spiega il premier in due distinte telefonate - prima a una manifestazione Pdl a Torino, poi ai democristiani di Pizza a Catania - «è una riforma assolutamente giusta, non è punitiva per alcuno, è in linea con le più moderne legislazioni dei paesi occidentali, va incontro alle richieste di moderazione istituzionale che sono venute dal Capo dello stato. E' un testo equilibrato che toglie ogni alibi a chi, nell'opposizione, ha già, come al solito, pronunciato il no preventivo prima ancora di leggere questo testo. Voglio dirlo con chiarezza, non c'è alcuna norma 'ad personam', salva Berlusconi» assicura, invitando i suoi alla mobilitazione.

Ma in Italia non c’è alcuna dittatura né dei giudici nè dei magistrati, gli replica a distanza il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervistato da SkyTg 24. La terza carica dello Stato giudica positive le manifestazioni di sabato in difesa della Costituzione e si dice disponibile a discutere la riforma, come disponibile si dichiara il leader Udc Pier Ferdinando Casini, che invita il Pd a «non prendere cappello ed andare sull’Aventino». Aggiungendo: «Naturalmente se poi in corso d’opera vediamo che Berlusconi usa la giustizia solo per problemi suoi, come è possibile, allora prenderemo il cappello». Il segretario del Pd Bersani non si illude: «Non facciamo nessun Aventino – gli ribatte - noi siamo in Parlamento, discutiamo lì, ma invito Casini ad attendere qualche settimana».

da - repubblica.it/politica


Titolo: CARMELO LOPAPA Scontro istituzionale sul nuovo ministro
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2011, 04:42:22 pm


di CARMELO LOPAPA

Scontro istituzionale sul nuovo ministro


E' scontro istituzionale sulla nomina a ministro di Saverio Romano. Il premier Berlusconi riesce a imporre la sua designazione, nonostante le perplessità già espresse la scorsa settimana dal capo dello Stato Napolitano, e sale al Colle in mattinata con il leader del Pid, deputato siciliano dei Responsabili. Romano giura, accompagnato da moglie e figlio. Giusto il tempo di stringergli la mano per i complimenti di rito. Poi, il presidente della Repubblica diffonde una nota in cui rende pubbliche per la prima volta le riserve sulla opportunità di quell'incarico.

Ha assunto informazioni presso la procura di Palermo, la più alta carica dello Stato, per avere contezza dei due procedimenti a carico del neo ministro. Il primo, per concorso esterno in associazioni mafiosa, per il quale il pm ha chiesto l'archiviazione e sul quale invece il gip si è riservato di effettuare ulteriori accertamenti. Il secondo, per corruzione aggravata dal favoreggiamento a Cosa nostra.
Le riserve, chiarisce Napolitano, nascono proprio da quel giudizio sospeso a Palermo. Le perplessità sono dunque "politico-istituzionali".

Ma, "a seguito della formalizzazione della proposta da parte del presidente del Consiglio" si è proceduto comunque alla nomina "non ravvisando impedimenti giuridico-formali che ne giustificassero il diniego". Di fronte alle insistenze di Palazzo Chigi, insomma, il Quirinale non ha potuto fare altro. Ciò non toglie che il presidente della Repubblica attenda adesso un chiarimento dagli "sviluppi del procedimento". Basterà attendere poco, dato che il gip ha fissato per il primo aprile l'audizione delle parti. Nulla da eccepire invece sullo spostamento di Giancarlo Galan dal ministero dell'Agricoltura ai Beni culturali. Il caso fa esplodere subito la polemica in Parlamento. "Un indagato per mafia non può fare il ministro" attacca l'Idv. E i finiani: "Quella nomina dimostra l'assenza morale".

Nelle stesse ore in cui avveniva il minirimpasto, subito dopo il Consiglio dei ministri in cui il governo ha varato la moratoria di un anno sul ricorso al nucleare, la giunta per le autorizzazioni della Camera ha approvato a maggioranza il parere favorevole al conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato contro il Tribunale di Milano sul caso Ruby. Undici sono stati i sì di Pdl, Lega e Responsabili.

Dieci i no di Pd, Udc, Fli e Idv. Ma dalla procura di Milano fanno sapere in via informale che il processo a carico del presidente del Consiglio Berlusconi non si fermerebbe anche nell'ipotesi in cui la questione del conflitto arrivasse davanti alla Corte Costituzionale.

da - repubblica.it/politica/


Titolo: CARMELO LOPAPA Frattini: piano italo-tedesco per la Libia "Gheddafi in esilio..
Inserito da: Admin - Marzo 27, 2011, 10:49:18 am
L'INTERVISTA

Frattini: piano italo-tedesco per la Libia "Gheddafi in esilio e più diritti alle tribù"

In questi giorni difficili l'Europa forse ha perso dei pezzi, noi non vogliamo perdere Berlino.

Lavoriamo per farla rientrare e tenere insieme l'Ue.

Non condividiamo la scelta della Coalizione dei volenterosi: non è accettabile l'idea di una cabina di regia limitata a Parigi e Londra

Il presupposto del nostro piano è la necessità di giungere a una Road map per definire le tappe di una transizione che porti dalla crisi
alla nuova Libia

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Un asse italo-tedesco per la soluzione diplomatica della crisi libica. Destinato inevitabilmente ad affiancarsi all'iniziativa annunciata da Sarkozy e Cameron. Il governo italiano non cederà il testimone alla cabina di regia franco-britannica, insomma, ha un suo piano e sta lavorando perché possa tradursi in una proposta. Un vero e proprio documento da mettere a punto con la cancelleria Merkel e presentare al vertice della coalizione martedì a Londra. Una way out politica che il ministro degli Esteri Franco Frattini anticipa a Repubblica nelle sue linee guida e che dovrebbe passare - qui sta la svolta - attraverso l'esilio del colonnello Gheddafi. "In questi giorni difficili l'Europa forse ha perso dei pezzi - è il ragionamento del capo della Farnesina - noi non vogliamo perdere la Germania e un'evoluzione verso il cessate il fuoco ne renderà più facile il rientro. Noi lavoriamo per percorrere insieme con loro l'ultimo tratto di strada, cerchiamo di tenere insieme l'Europa".

Da domani la Nato assumerà il controllo delle operazioni. Almeno questo successo la diplomazia italiana può rivendicarlo. Ministro Frattini, cosa cambierà sullo scenario libico?
"Fino ad oggi, in questa fase iniziale segnata dell'emergenza, sono esistiti tre comandi distinti delle operazioni. Quello italiano e americano a Napoli, un secondo britannico e un terzo francese. Da lunedì, il comando sarà nelle mani di un'organizzazione sovranazionale, la Nato, che
si muoverà in base alle direttrici di un comitato militare e politico. Abbiamo fatto valere le nostre buone ragioni. A onor del vero, americani e inglesi si erano detti d'accordo fin dal primo momento".

Meno la Francia. I vostri rapporti con Parigi sono ormai gelidi. Colpa del protagonismo di Sarkozy?
"I rapporti con Parigi restano immutati. Diciamo che non abbiamo condiviso la scelta della coalizione dei volenterosi. Vi abbiamo partecipato in quanto misura urgente e temporanea. Trasformarla in una soluzione permanente non era accettabile".

La tensione è cresciuta anche in vista del vertice di Londra di martedì. Si profila un asse franco-britannico per una soluzione diplomatica, ci sarà un loro direttorio sulla crisi?
"Intanto, martedì si insedia un gruppo di contatto sulla Libia che coinvolge più di quindici paesi chiamati a discutere l'"end game". Quel che è certo è che non ci sarà una cabina di regia, tanto meno a due".

L'Italia ha le sue idee sulla "fine dei giochi", lei ha annunciato. Quali?
"Abbiamo un piano e vedremo se si potrà tradurre in una proposta italo-tedesca. Magari da elaborare in un documento congiunto da presentare martedì".

Quali sarebbero i passaggi della Road map alla quale state lavorando?
"Il cessate il fuoco, innanzi tutto. Che dovrà essere verificato e monitorato dalle Nazioni unite. E l'istituzione di un corridoio umanitario permanente, al quale stiamo già lavorando col governo turco".

Questo per gestire l'emergenza. E sul piano politico-diplomatico?
"Chiederemo intanto un impegno forte dell'Unione africana e della Lega araba, soprattutto al fine di coinvolgere le forze di opposizione di Bengasi. Le quali vogliono una Libia unita, si rifiutano di trattare con Gheddafi, intendono rispettare i trattati internazionali stipulati dal loro paese, anche quelli commerciali. Occorrerà coinvolgere i gruppi tribali, quantomeno i più rappresentativi. Tutti insieme lavoreranno quindi a una costituzione per la Libia, della quale il paese finora è stato sprovvisto.

D'accordo. Ma che ne sarà di Gheddafi? Tutto dipende da quello. La vostra proposta? È vero che il premier Berlusconi sarebbe disposto a mediare?
"Dopo che tutta Europa e l'Onu hanno ripetuto che il Colonnello non è interlocutore accettabile, non si può pensare ad una soluzione che contempli la sua permanenza al potere. Chiaro, altra cosa è pensare a un esilio per il Gheddafi, l'Unione africana si è già fatta carico di trovare una soluzione".

Peccato che lui non ne voglia sapere.
"Sta di fatto che anche nel suo regime c'è chi sta lavorando per favorire dall'interno questa via d'uscita".

Lei ha avuto contatti con esponenti del governo provvisorio. Li ritiene affidabili?
"Ho avuto un colloquio in questi giorni con Ibrahim Jebril, capo di quel governo. Ha insegnato all'università della Pennsylvania, viaggia, parla fluentemente inglese. Ha idee, proposte. Si tratta di figure che hanno la possibilità di rappresentare degnamente il loro paese".

Fronte interno. Lampedusa al collasso. Lei e Maroni avete siglato un importante accordo a Tunisi. Per Bossi gli immigrati vanno "cacciati e basta". Come la mettete?
"Quel che forse al ministro Bossi è sfuggito è che il fondo al quale si attinge per favorire il rimpatrio assistito dei migranti con i circa 1.500 euro a testa, è stato già istituito dall'Ue quando io ero commissario. Al più le somme vengono anticipate dall'Italia. Serve a consentire a ciascun immigrato di avviare un'attività in Tunisia ed evitare che dopo qualche mese torni su un barcone. Ma ricordo che c'è un secondo ordine di intervento, per chi non accetta il rimpatrio assistito, che è quello previsto dalla Bossi-Fini: l'espulsione".

Ammesso che il flusso venga arginato in Tunisia, c'è il rischio di un esodo biblico dalla Libia in fiamme.
"L'ammassarsi di profughi ai confini terresti della Libia è per noi segnale di grande preoccupazione. Non possiamo accogliere neanche temporaneamente più dei 50mila di cui ha parlato il ministro Maroni. L'Unione europea ha confermato, per la verità in modo un po' vago, la propria disponibilità a una "concreta solidarietà". È bene che ne dia subito prova, cominciando ad elargire subito i fondi per i rimpatri assistiti". 

(27 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/esteri/2011/03/27/news/


Titolo: CARMELO LOPAPA Sfida di Berlusconi al tribunale Sconfiggerò la gogna mediatica
Inserito da: Admin - Marzo 28, 2011, 04:45:30 pm
GIUSTIZIA

La sfida di Berlusconi al tribunale "Sconfiggerò la gogna mediatica"

Oggi alle 10 il premier in tribunale a Milano per l'udienza Mediatrade.

Lista di testi vip per il processo Ruby, al via tra dieci giorni

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Comparirà alle dieci del mattino, puntuale, davanti ai suoi giudici di Milano. E sarà la prima volta dopo le dichiarazioni spontanee al processo Sme, era il lontano 17 giugno 2003. Oggi l'udienza Mediatrade, tra dieci giorni il processo che scotta di più: Rubygate. "Vado perché non ho nulla da temere e dimostrerò agli italiani che non sfuggo ai miei processi, nonostante quattordici anni di persecuzione giudiziaria: ho il diritto di difendermi da accuse assurde", è il refrain che Silvio Berlusconi ripete alla vigilia agli interlocutori sentiti da Arcore.

Giornata di quasi relax, perché a Villa San Martino resta al suo fianco l'avvocato Niccolò Ghedini per studiare le carte dell'imputazione che assieme al premier coinvolgono altre undici persone, tra le quali il figlio Piersilvio e l'ad Mediaset Fedele Confalonieri. Udienza interlocutoria, molto tecnica. Berlusconi non avrà occasione di prendere la parola. Ecco perché lo farà prima, alle 8,40, intervenendo a "La telefonata" su Canale5 con Belpietro, ma soprattutto dopo l'udienza. Ad attenderlo, decine di sostenitori con il coordinatore regionale Pdl Mario Mantovani e il sottosegretario Daniela Santanché. Davanti a loro e - soprattutto - alle telecamere il prevedibile show difensivo. Con il quale il Cavaliere denuncerà i giudici che gli sottraggono tempo prezioso mentre lui è alle prese con una guerra alle porte e un'emergenza immigrazione che travolge Lampedusa. Nonostante tutto, eccolo lì, in barba a chi lo accusava di voler ricorrere al legittimo impedimento.

Al Tribunale di Milano per il Mediatrade, come lo sarà mercoledì 6 aprile per il processo più atteso dai media di mezzo mondo. "Sono solo processi mediatici, mi vogliono alla gogna" si sfoga in queste ore il presidente del Consiglio coi suoi, mentre con Ghedini ha anche messo a punto la lista dei testimoni per il processo Ruby: dal ministro Frattini al portavoce Bonaiuti, da Carlo Rossella ad Apicella. Nel pomeriggio c'è stato il tempo anche per una lunga telefonata con il governatore siciliano Raffaele Lombardo, esasperato a Lampedusa, per promettergli il suo impegno personale, "come a Napoli", e un consiglio dei ministri straordinario convocato per mercoledì. Di rimpasto no, Berlusconi preferisce non parlare per adesso e rimandare la partita. Anche se i Responsabili giurano di aver avuto garanzie sulla nomina a metà settimana di tre viceminsitri: Calearo, Misiti e Bernini.

Ma è soprattutto il temuto "processo mediatico" a occupare i pensieri del premier, nell'immediato. Tanto più con la campagna elettorale (per le amministrative del 15 maggio) alle porte. Tra le contromisure esaminate nel week-end, una punterebbe all'oscuramento dei talk-show politici in Rai (Annozero, Ballarò, In Mezzora, Porta a Porta) proprio come avvenne alla vigilia delle Regionali 2010. Entro le 14 di oggi in Vigilanza saranno presentati gli emendamenti al regolamento per le trasmissioni elettorali messo a punto dal presidente Zavoli da votare in settimana. I pidiellini Butti e Lainati si appresterebbero a presentarne uno che ripristini la norma di un anno fa: obbligo della par condicio "perfetta" e conseguente stop in video per Santoro, Floris, Annunziata. Coincidenza, giusto a cavallo delle prime udienze del processo Ruby, con gli approfondimenti sulla tv generalista che resterebbero in mano a Mediaset. Il radicale Beltrandi, padre della norma-scandalo di allora, mette le mani avanti: "Esiste il progetto, ma stavolta non mi presto a strumentalizzazioni". Dal pd Morri all'udc Rao sono già sulle barricate. In casa Pdl tengono le carte coperte. In attesa del via libera da Arcore.

(28 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/03/28/news


Titolo: CARMELO LOPAPA "I processi mi fanno crescere nei sondaggi"
Inserito da: Admin - Aprile 17, 2011, 05:03:50 pm
IL RETROSCENA

L'exit strategy del Cavaliere verso le elezioni

"I processi mi fanno crescere nei sondaggi"

Gli uomini di Palazzo Chigi temono lo stop del Quirinale sulla prescrizione breve e hanno fatto scattare il pressing sul voto anticipato.

Berlusconi inizia a pensare che dopo l'approvazione della prescrizione breve può essere più utile tornare alle urne

di CARMELO LOPAPA


ROMA - L'ombra delle manovre di palazzo per disarcionarlo. Il timore per le possibili mosse del Quirinale sulle leggi sulla giustizia. "Andremo fino in fondo se mi consentiranno di fare la riforma della giustizia e quella costituzionale, diversamente io porto tutti al voto, meglio le urne" si sfoga un Silvio Berlusconi galvanizzato dal bagno di folla all'Eur ma agitato dai due spettri che hanno segnato gli ultimi giorni.

Il premier spiega ai consiglieri più fidati, a chi lo sente evocare a sorpresa elezioni anticipate proprio nel momento in cui dichiara di essere più forte di prima, di vantare la maggioranza più coesa. Il fatto è che i sondaggi consegnatigli da Euromedia questa settimana - raccontano da Palazzo Chigi - avrebbero sollevato parecchio gli umori dell'inquilino. "Se votassimo a breve, vincerei ancora con una larga maggioranza" rivela ai suoi tenendosi sul vago sui numeri. Dunque, la scadenza naturale del 2013 potrebbe non essere più così "naturale". Di più. Tra i processi a suo carico, il presidente del Consiglio teme realmente il solo giudizio sul caso Mills, per altro imminente. E l'approvazione anche al Senato della prescrizione breve lo scioglierebbe in via definitiva dalla principale fonte di preoccupazione sul fronte giudiziario. A quel punto, prescritta l'accusa più pesante, sentirebbe di poter affrontare con maggiore sicurezza le urne.

Berlusconi perciò non tollera intralci sul cammino della norma, ora al Senato per il via libera atteso nelle prossime settimane. Il capo dello Stato Napolitano ha fatto sapere che si riserva di esaminare il testo a tempo debito. Considerazione scontata, che tuttavia il Cavaliere ha raccolto non senza apprensione, raccontano. Ecco perché lo spauracchio della richiesta di scioglimento anticipato delle Camere e del voto, agitato ieri dopo parecchio tempo, ha avuto tutto il sapore di un messaggio indirizzato anche al Colle. Il Quirinale tuttavia non si fa trascinare nella polemica politica. Ieri si è chiuso nel più stretto riserbo. D'altronde, la posizione della più alta carica dello Stato sulla giustizia, sul ruolo dei magistrati, è nota. E, se necessario, verrà ribadita nelle sedi istituzionali e nei tempi che la presidenza della Repubblica riterrà più opportune.

In ogni caso, il ddl sulla prescrizione breve e poi sul "processo lungo" e infine la norma in arrivo per la sospensione del processo Ruby sono tappe che Berlusconi e i suoi ritengono irrinunciabili. "La riforma della giustizia nel suo complesso è indispensabile e senza quella meglio andare a votare - è l'esegesi della fedelissima Daniela Santanché - Alcune procure non possono pensare di far cadere Berlusconi, stravolgere la volontà popolare". L'obiettivo, per dirla col neo ministro Saverio Romano, "è solo quello di introdurre in Costituzione meccanismi di check and balance anche per la magistratura".
Giustizia ma non solo. Sono state anche le scosse telluriche degli ultimi giorni a far vacillare alcune delle certezze del Cavaliere. Il tramonto repentino di Cesare Geronzi - al vertice di un potere finanziario che è stata colonna portante del sistema berlusconiano - l'affondo del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia contro il governo e ancora l'appello di Pisanu e Veltroni per un "governo di decantazione". Ecco, tutto questo ha acceso l'allarme rosso a Palazzo Chigi. Fabrizio Cicchitto di quel sospetto non ne fa mistero, parla di "prime mosse di una manovra di palazzo di cui ancora non si vedono gli elementi costitutivi". Manovra per disarcionare il capo, sottinteso. Se qualcosa del genere dovesse mettersi in moto, l'esito sarebbero le urne, è l'avvertimento di Berlusconi. Se proprio di messaggio si tratta, Gaetano Quagliariello lo esplicita senza giri di parole: "Io resto convinto che ci siano tutte le condizioni per portare a termine la legislatura, ma se non dovesse essere così, allora non abbiamo paura di andare al voto, siamo pronti, la macchina del partito è pronta".

Già, il partito. Con l'exploit del palacongressi il premier riprende in mano i cocci di un Pdl in frantumi. Minaccia di cambiare tutto, torna a indossare i panni del leader e manifesta per la prima volta in pubblico tutta la sua irritazione per cene e correnti, guerre di potere e polemiche. Perché il partito è Berlusconi. Altro che successione.

(17 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/17/news


Titolo: CARMELO LOPAPA La "mina" di Milano e l'altolà della Lega
Inserito da: Admin - Aprile 19, 2011, 04:43:31 pm
di CARMELO LOPAPA

La "mina" di Milano e l'altolà della Lega


Il monito del Quirinale scuote la politica funestata dagli attacchi del premier sulla giustizia e dai toni di una campagna elettorale che, soprattutto a Milano, è andata subito sopra le righe. L'avvertimento del presidente Napolitano - sulle polemiche che stanno ormai superando il "limite dell'esasperazione" e sulle "ignobili provocazioni" dei manifesti nei quali i pm milanesi sono stati equiparati a brigatisti - è destinato a fare da spartiacque. E produce i primi effetti. Nonostante il silenzio del premier Berlusconi, principale (sebbene implicito) destinatario del richiamo del Colle.

Il presidente del Senato Renato Schifani contatta telefonicamente i vertici dell'Associazione nazionale magistrati, ieri ricevuti da Fini. E al termine del colloquio con il numero uno dell'Anm, Luca Palamara, condanna i "cartelloni vili e incivili" e, convinto che "occorra fare gesti concreti per fare in modo che i toni si abbassino", "adesso che si conosce l'autore", invita il Pdl a "prendere le distanze" dall'iniziativa. Un richiamo recepito a tamburo battente dal partito. Il candidato sindaco di Milano Letizia Moratti, che per la verità già domenica aveva dato per scontato il ritiro della candidatura di Roberto Lassini, adesso pone il suo aut aut, definendo la propria candidatura "incompatibile con la presenza di Lassini in lista". Dopo le resistenze del diretto interessato, ribadite ancora nelle ultime ore, l'ultimo diktat potrebbe essere decisivo, dato che perfino il coordinatore del Pdl in Lombardia, Mario Mantovani, amico personale e sponsor politico del candidato-provocatore, scrive a Lassini chiedendogli di ritirare la sua corsa. Lo stesso ha fatto in queste ore il governatore lombardo Formigoni.

Caso manifesti a parte, la Lega per la prima volta esterna la propria preoccupazione e il proprio dissenso rispetto alle polemiche che hanno superato la soglia di guardia sulla giustizia. Se ne fa portavoce il capogruppo leghista alla Camera Reguzzoni: "Non ci piace il livello di scontro raggiunto". Berlusconi è avvisato. La campagna elettorale ormai è entrata nel vivo. Molti si chiedono se a questo punto il premier accetterà di modificarne toni e contenuti.

da - repubblica.it/politica/


Titolo: CARMELO LOPAPA Il premier teme l'effetto Grecia e accetta di frenare sul fisco
Inserito da: Admin - Aprile 22, 2011, 05:05:48 pm
   
GOVERNO

Silvio sigla la tregua armata con Giulio "Questa lite danneggia il governo"

Il ministro del Tesoro minaccia le dimissioni, poi va a Palazzo Chigi con i dati sulla ripresa del Pil .

Il premier teme l'effetto Grecia e accetta di frenare sul fisco

di CARMELO LOPAPA


Un chiarimento o in queste condizioni non posso portare avanti il mio lavoro. La telefonata di Giulio Tremonti a Palazzo Chigi arriva in tarda mattinata. Ed è uno sfogo sopra le righe. Il tempo della lettura del Giornale di "famiglia" che lo bolla ormai come un "caso", che scrive di "misura colma" nella gestione dell'Economia. Il titolare del dicastero lascia trascorrere le poche ore necessarie a prendere atto che dal premier Berlusconi non arriva alcuna presa di distanza dal ministro Galan che accusa il collega di essere "un socialista all'Economia". Ecco, è a quel punto, a mezzogiorno, che anche Tremonti ritiene la misura sia colma.

La solidarietà del Cavaliere arriverà solo dopo la sfuriata, alle 14. Accompagnata dalla promessa di riceverlo in giornata per quel chiarimento che il Professore pretende, se davvero Berlusconi ritiene di volerlo ancora al governo. Il faccia a faccia tra i due arriva a fine giornata, la più amara forse per Tremonti dopo quella delle dimissioni alle quali venne costretto sotto i fendenti di Fini e Casini nel 2004. Ma era una vita fa. Le due ore di confronto serrato a Palazzo Chigi serviranno a siglare una tregua. Tregua armata che reggerà, certo, almeno fino alle amministrative. Il presidente del Consiglio Berlusconi che lo rassicura: "La nostra linea politica economica è condivisa. Giulio, la penso come te: queste polemiche indeboliscono il governo. Mi è chiaro che la linea del rigore è l'unica possibile. Io con queste polemiche
non c'entro nulla, non ho sentito nessuno del Giornale, e poi figurarti se in campagna elettorale e sotto Pasqua monto su una polemica del genere". La tesi è quella del complotto cucinato in casa: "È tutta una strumentalizzazione, vedi l'uscita di Galan, quella del deputato Ceroni, la trovata di Lassini a Milano. Io non c'entro nulla".

Tremonti incassa. Il caso per lui si chiude con quella sorta di ammenda fatta dal premier. Ma il quadro gli è chiaro. Sa bene che Berlusconi per l'intera giornata non ha mai chiamato Galan per redarguirlo, lo farà solo la sera per un colloquio "cordiale". Ma tant'è. Al ministro a questo punto interessa altro. Interessa incassare il pieno sostegno sulla politica economica della quale lui è l'unico (e non poco criticato) regista in seno al governo. L'inquilino di via XX Settembre si presenta in Presidenza con la sua cartella zeppa di carte e tabelle che dispone in pochi secondi sul tavolo del premier. Mostra grafici, numeri, parametri. "Vedi, la nostra economica reale sta migliorando. Il nostro rapporto deficit-Pil è tra i più avanzati in Europa. Questo però non vuol dire che possiamo creare altro deficit. Questo non vuol dire alimentare altra spesa pubblica". Berlusconi annuisce, dice di concordare appieno. Non potrà fare diversamente. Anche perché, come ha modo di mostrare ancora il titolare dell'Economia, la situazione internazionale è pesante, sono ancora alti i rischi che corrono Portogallo, Spagna e Grecia. Cautela e buon senso inducono a escludere che possa esservi la "frustata" all'economia tanto auspicata e promessa dal presidente del Consiglio. Non è il momento. È un punto a favore di Tremonti. Berlusconi ancora una volta prende atto, incassa. Non entusiasta. "Ma almeno la riforma fiscale proviamo a portarla avanti, per presentarla magari tra sei mesi" abbozza il Cavaliere. Una botta, per lui che sognava di annunciarla nell'ultimo comizio utile della campagna elettorale, il venerdì 13 maggio, dalla piazza di Milano.

Tremonti tiene il punto, certo. Ma misura da ieri anche quanto sia profonda la sua solitudine nella squadra di governo. Dalla quale si è levata appena la voce di Altero Matteoli per prenderne pubblicamente le difese. Dagli altri big pidiellini un invito generico a evitare polemiche in campagna elettorale. Risale a neanche un mese fa, d'altronde, la cena alla quale parteciparono nove ministri su tredici per dire basta alla linea rigorista, ai cordoni sigillati del collega così vicino alle istanze della Lega. Per il momento Tremonti mastica amaro e va per la propria strada. La tirata di Galan la considera frutto dell'astio di chi ha dovuto cedere il Veneto al Carroccio. Il Giornale, dal quale almeno tre volte negli ultimi sei mesi era stato attaccato pesantemente, interprete della pancia del partito. Voce dei colonnelli più oltranzisti. Del resto, la recente investitura pubblica di Angelino Alfano alla successione ha finito col segare l'ultimo filo della corda che legava il Professore, successore in pectore, e il Cavaliere.

Nei colloqui avuti nel pomeriggio con i suoi prima del faccia a faccia, Berlusconi era stato assai schietto. Un colpo al cerchio, uno alla botte. Come spesso accade. "Siamo in campagna elettorale, comprendo le proteste dei ministri che si ritrovano col budget azzerato, ma dobbiamo abbassare tutti i toni". Almeno fino al 15 maggio. Ma se questo è il clima, lasciano filtrare i deputati pidiellini fedeli a Tremonti, allora la manovra da 35 miliardi che Bankitalia vorrebbe già a settembre la farà qualcun altro. 

(22 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/22/news/


Titolo: CARMELO LOPAPA Il governo spaccato sulla Libia
Inserito da: Admin - Maggio 01, 2011, 05:17:15 pm
di CARMELO LOPAPA

Il governo spaccato sulla Libia


L'Italia archivia il nucleare. Anzi no. Berlusconi, al fianco di Sarkozy, confessa pubblicamente l'escamotage ideato per evitare il referendum di giugno e rilanciare subito dopo, "nell'arco di uno, due anni" la risorsa energetica che il premier ritiene ancora "il futuro per tutto il mondo". Solo un incidente, Fukushima, disastro grave ma casuale, lo supporta il presidente francese durante la conferenza stampa che segue l'atteso vertice bilaterale in cui arriva anche un chiarimento sulle Opa francesi sulle imprese italiane (Parmalat in testa) e il via libera di Sarkozy alla nomina di Draghi ai vertici della Bce. Quanto al referendum sul nucleare, "la gente era contraria, farlo adesso avrebbe significato eliminare per sempre la scelta" di quella fonte energetica, spiega il Cavaliere giustificando la norma-moratoria approvata pochi giorni fa al Senato. "Un bluff", appunto, lo definisce il Pd che ritiene a questo punto indispensabile tenere in vita il referendum abrogativo. "Un imbroglio" a sentire Antonio Di Pietro. "Intende prendere in giro gli italiani", sostiene Nichi Vendola.
Ma i maggiori problemi in questo momento per il presidente del Consiglio coincidono con la sua decisione di intervenire in Libia al fianco della Nato anche con i Tornado bombardieri, come richiesto da Obama. Per Berlusconi il dissenso della Lega è comprensibile ma quasi già superato. Non è così, gli notifica subito Umberto Bossi. "Non sono d'accordo sui bombardamenti" dice il Senatur confermando la linea già dettata dai suoi. Già poche ore il vertice italo-francese, era stato il ministro Calderoli a ribadire che il Carroccio farà sentire la sua voce e farà valere il proprio voto contrario in Consiglio dei ministri. Peccato che per il premier la decisione sia già presa e acquisita dal governo col via libera alla risoluzione Onu di poco più di un mese fa. Dal Pdl, il coordinatore La Russa si dice convinto che "la spaccatura non ci sarà", ma nei fatti già c'è. E oggi lo stesso ministro della Difesa riferirà con Frattini in commissione alla Camera. Ma un voto non ci sarà.
Gli unici davvero rinfrancati dentro la maggioranza, al termine della convulsa giornata, sono i "Responsabili", i quali incassano la promessa (la terza in un mese) del rimpasto per nove di loro. In arrivo col Consiglio dei ministri di venerdì.

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Titolo: CARMELO LOPAPA Lo stop del Colle: serve chiarezza sul rimpasto
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2011, 06:25:09 pm
di CARMELO LOPAPA

Lo stop del Colle: serve chiarezza sul rimpasto


Un nuovo monito del Colle scuote il cammino della maggioranza e del governo. Suscita la reazione piccata del Pdl e della Lega e crea parecchia fibrillazione a una settimana dal voto per le amministrative.
Un mese fa la nomina del ministro Saverio Romano era stata accompagnata dai rilievi del presidente Napolitano per via delle inchieste a carico del deputato siciliano. Ieri, la firma ai decreti di nomina dei nove sottosegretari da parte del Quirinale è stata suggellata da una nota che ha una forte, inattesa valenza politica.
Napolitano fa notare infatti che "sono entrati a far parte del governo esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche". Quindi, è la conclusione, "spetta ai presidenti delle camere e al presidente del Consiglio valutare le modalità con le quali investire il parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il governo". Doccia gelata per i vertici di Pdl e Lega. Il premier Berlusconi si guarda bene dal commentare in pubblico l’avvertimento del Colle, ma lascia filtrare tutta la sorpresa di Palazzo Chigi. E l’intenzione di non prevedere alcun voto in aula. Tanto più che i nuovi nominati provenienti dall’opposizione in realtà sarebbero solo tre sottosegretari, oltre al ministro Romano.
La reazione ufficiale viene affidata ai quattro  tra capigruppo e vice del Pdl. I quali sottolineano come non vi è alcuna necessità di un nuovo voto in Parlamento perché le votazioni di fiducia degli ultimi mesi — è la tesi — hanno già confermato l’attuale maggioranza allargata. L’intenzione, dunque è di lasciare cadere nel vuoto l’ennesimo monito. Questa volta, con il sostegno pieno e esplicito del leader leghista Bossi. Nonostante i mugugni della sua base per l’infornata dei transfughi al governo, il Senatur dà ragione a Berlusconi, sostiene che ha fatto bene e che non occorre alcun voto. Ma sarà il capo dei Responsabili, pluripremiati sottosegretari, Luciano Sardelli a reagire senza alcuna diplomazia all’indirizzo del Colle, parlando di intervento "improprio e intempestivo", valutazione da "Repubblica ormai senile". Plaude a quell’intervento, invece, tutta l’opposizione. Pd, Fli e Idv, in particolare.
In giornata, durante la cerimonia di giuramento dei nuovi sottosegretari a Palazzo Chigi, il premier Berlusconi aveva ribadito la sua intenzione di procedere a breve a nuove nomine. Adesso dovrà rivedere forse i suoi piani. Anche il caso Ruby scuote il capo del governo: i pm di Milano hanno chiesto il rinvio a giudizio per la Minetti, Fede e Mora. E lunedì prossimo Berlusconi tornerà nelle aule del tribunale di Milano per partecipare all'udienza del processo Mills.

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Titolo: CARMELO LOPAPA Le poltrone-premio non bastano per tutti
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2011, 06:28:31 pm
di CARMELO LOPAPA

Le poltrone-premio non bastano per tutti


Il primo tratto distintivo dell'infornata di nuovi sottosegretari è che domina la componente degli ex finiani. Segnale preciso al nemico numero uno del premier e a chi gli è rimasto fedele. Nove poltrone - la metà appunto ex Fli - per appagare gli appetiti dei Responsabili in fermento da settimane, per un rimpastino destinato ad aprire tuttavia nuove falle. Chi resta fuori grida già al tradimento, dai cristiano-popolari Baccini e Galati al vetero dc Pionati, pronti forse a una nuova giravolta.

Nel consiglio dei ministri con cui il governo vara l'atteso decreto sviluppo  -  voluminoso documento colmo di impegni e promesse a dieci giorni dal voto - viene ufficializzata dunque anche la prima tranche della spartizione di sottogoverno. E' lo stesso Silvio Berlusconi, a Palazzo Chigi, a comunicare la lista: Misiti alle Infrastrutture, Rosso all'Agricoltura, Bellotti al Welfare, Polidori e Melchiorre allo Sviluppo Economico, Cesario e Gentile all'Economia, Catone all'Ambiente e Villari ai Beni cuilturali. Spiegando che si tratta di un doveroso riconoscimento alla "terza gamba" che consente alla maggioranza di andare avanti in Parlamento. Non arriva invece l'atteso viceministero per Massimo Calearo, ex Pd, che dovrà accontentarsi di un ruolo (pur accettato) di consigliere del presidente per il commercio estero. Quella poltrona, invece, lasciata da Adolfo Urso, come pure quella del ministero alle Politiche comunitarie (ex Ronchi), il Cavaliere preferisce lasciarle ancora libere in attesa di nuovi arrivi. Magari dei precedenti titolari.

Le nomine non fanno in tempo a essere ufficializzate che si scatena la polemica. "Grande abbuffata e triste spettacolo" per la democratica Rosy Bindi, "indecente infornata per stare in piedi" è la lettura di Casini, un "conto saldato con i disponibili" commentano sarcastici da Fli. Per un nodo che in parte si risolve, un altro resta aperto però in seno alla maggioranza e al governo. Ed è quello della successione, dopo l'apertura di Berlusconi a Tremonti di ieri.

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Titolo: CARMELO LOPAPA - Scontro a distanza tra il Colle e il premier
Inserito da: Admin - Maggio 10, 2011, 11:55:47 am
di CARMELO LOPAPA

Scontro a distanza tra il Colle e il premier

Negli stessi minuti in cui il capo dello Stato si commuoveva ricordando al Quirinale i magistrati uccisi dal terrorismo, in occasione della celebrazione della Giornata della memoria, il presidente del Consiglio Berlusconi annunciava la commissione di inchiesta contro "certi pm". Le toghe, quelle inquirenti "non quelle giudicanti", vengono definite ancora una volta un "cancro". Il premier entra in un Palazzo di giustizia sull'ingresso del quale, per volontà dell'Anm in memoria dei colleghi, campeggiano le immagini dei giudici uccisi. Fuori ancora momenti di tensione.

E' indispensabile "parlare responsabilmente della magistratura e alla magistratura nella consapevolezza dell'onore che ad essa deve essere reso come premessa di ogni produttivo appello alla collaborazione necessaria per le riforme necessarie" è il monito che lancia il presidente della Repubblica Napolitano, parlando al cospetto dei parenti delle vittime. Il suo riferimento alle polemiche e agli attacchi del leader Pdl alla magistratura sarà solo implicito, ma sufficientemente chiaro. "Parole chiarissime" dirà infatti il presidente dell'Associazione magistrati Luca Palamara. Il principale destinatario di quel messaggio, Silvio Berlusconi, in quegli istanti non può ascoltarle.

E' impegnato a Milano per un'udienza del processo Mills. Premette che è stato "indebito" equiparare i pm alle Br, come ha fatto il candidato della sua lista a Milano Roberto Lassini, col quale pure conferma che è intercorsa una telefonata dopo il suo annunciato (e poi ritrattato) ritiro dalla corsa. Berlusconi dice anche che le figure dei magistrati uccisi dal terrorismo sono "eroiche". Detto questo, preannuncia una commissione di inchiesta parlamentare per verificare se tra i pm di Milano, quelli cioè che indagano sui suoi affari e sul suo trascorso di imprenditore, esista una qualche forma di "associazione a delinquere". E, nel giro di poche ore, emerge già una proposta di legge ad hoc predisposta dal Pdl alla Camera, depositata il 4 febbraio. Le opposizioni insorgono.

Di Pietro chiede un ulteriore intervento del capo dello Stato. Il Pd con Anna Finocchiaro sostiene che le parole del premier sono "irresponsabili". Gianfranco Fini non è da meno. Sostiene che Berlusconi "non sarà mai presidente della Repubblica: semplicemente perché non controllerà la maggioranza del prossimo Parlamento".

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Titolo: CARMELO LOPAPA Occhi puntati su Milano Bossi: passiamo noi
Inserito da: Admin - Maggio 16, 2011, 11:22:19 am
di CARMELO LOPAPA

Occhi puntati su Milano Bossi: passiamo noi

Si vota, il partito dell'astensionismo rosicchia un punto, ma nulla di più, dopo la prima mezza giornata a urne aperte. Amministrative al via e a mezzogiorno l'affluenza ai seggi è stata in tutta Italia del 13 e mezzo per cento contro il 14,5 di cinque anni fa. Ma in crescita di un soffio sono i votanti nel cuore di questa consultazione, a Milano.
Silenzio elettorale, in teoria. I big di centrodestra in realtà non resistono alla tentazione di parlare alle porte dei seggi. Lo fa Bossi, lo fa con alcuni fedelissimi Silvio Berlusconi. Silenzio e rispetto delle regole elettorali, al contrario, da parte di tutti i big del centrosinistra. D'altronde, il presidente del Consiglio si appresta domattina a presenziare all'udienza del processo Mills dove non è escluso un nuovo show anti-pm, stavolta a urne aperte.  "Vinciamo al primo colpo" dice il leader della Lega Nord mentre si appresta ad entrare al seggio delle elementari don Orione di via Fabriano a Milano. Per il Senatur, accompagnato dal figlio, l'ipotesi ballottaggio lì non esiste. Convinto com'è che a trainare sarà il Carroccio, che "prenderà tanto". È lo stesso ministro a rivelare il colloquio intercorso ieri col presidente del Consiglio, al quale ha garantito sostegno e fedeltà, perché "ci ha dato i voti per fare il federalismo, ci interessa quello e che ci dia i voti per fare le prossime riforme". E ottimismo, su Milano e non solo, ha predicato anche Berlusconi ai suoi. "Non è pensabile che una città come Milano non possa essere governata da noi, è una città che deve guardare avanti e non può guardare al passato" ha detto ad alcuni sindaci dell'hinterland milanese dopo aver lasciato il seggio di via Scrosati a Milano. Insistento poi col refrain di questa campagna: "Noi siamo l'unica forza moderata, come possono i moderati dare un voto a questa sinistra radicale, ai Vendola e ai Pisapia fiancheggiati dai centri sociali e dai violenti?"  Di tensione nell'entourage pidiellino se ne percepisce parecchia. E a preoccupare di più è proprio la piazza milanese. E' lì che il Cavaliere è sceso in campo in prima persona, è lì che ha "messo la faccia" (da capolista al Comune) ed è lì che una mancata vittoria al primo turno potrebbe segnare i destini del governo e della legislatura.

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Titolo: CARMELO LOPAPA Il Cavaliere spiazzato dal Senatur "Sfascia tutto, ...
Inserito da: Admin - Maggio 23, 2011, 04:55:42 pm
RETROSCENA

Il Cavaliere spiazzato dal Senatur "Sfascia tutto, pensa al dopo-voto"

"Proprio ora che dovremmo batterci uniti, abbiamo guerre intestine e minacce di crisi".

Pugno di ferro sul partito: basta con i personalismi

di CARMELO LOPAPA


LO strappo del Senatur sui ministeri, le minacce di crisi dei suoi a Roma. Stretto nella tenaglia a una settimana dai ballottaggi, Berlusconi lo descrivono furente.

Col Pdl che sembra sgretolarsi nel momento più rischioso per la tenuta dello stesso governo. "Umberto sta tirando la corda, pare che giochi davvero allo sfascio, che dia già per persa Milano e pensi al dopo" si sfoga il premier coi dirigenti milanesi che lo accompagnano all'ospedale San Carlo, dove nel tardo pomeriggio va a far visita alla madre dell'assessore aggredita sabato.

E di fronte al fantasma di un Bossi in realtà intenzionato a staccare la spina dopo il 29 maggio, non è un caso se per tutta la giornata i dirigenti pidiellini rilanceranno nelle loro dichiarazioni il refrain dettato da Arcore. Lo stesso che in serata ripeterà davanti ai microfoni il presidente del Consiglio: l'esito del ballottaggio sarà ininfluente sulla tenuta della maggioranza e del governo. Concetto che da qui a sabato Berlusconi pretende sia rilanciato con insistenza, come uno spot. Consapevole com'è che di rischi la maggioranza ne corre eccome. Che una "guerra civile" è in corso: ma non quella evocata ieri della campagna elettorale milanese per colpa dei "rossi", ma quella ormai aperta e dichiarata dentro il Pdl. "Proprio in questo momento in cui dovremmo batterci tutti insieme come un sol uomo, in cui dovremmo tirare la volata alla Moratti e a Lettieri, ci troviamo a fronteggiare le minacce di crisi dei nostri, le guerre
intestine delle correnti, le ambizioni personali" è il lamento di queste ore del Cavaliere. Chi lo ha sentito o affiancato ieri a Milano lo ha trovato amareggiato, perfino abbattuto. Comunque intenzionato più di prima a rimettere mano al partito fin da giugno. Verdini e la Russa non si toccheranno, ma tutto il resto sarà rimesso in discussione. A cominciare dalla sopravvivenza delle correnti. Perché "non è tempo di pensare alla mia successione, d'ora in poi testa bassa e pedalare". Ma è un Berlusconi che accusa il colpo. Preoccupato ancor più di prima per la riuscita della rimonta della Moratti su Pisapia.

È stato incerto fino al tardo pomeriggio se andare o meno a incontrare la militante aggredita. La mediazione escogitata, quella del trasferimento in Lombardia solo di "dipartimenti", anziché di interi dicasteri come vorrebbe la Lega, lo ha convinto alla fine ad accettare il passaggio davanti alle telecamere. La minaccia di crisi del sindaco Alemanno - forte di una dozzina di deputati sufficienti in effetti a mandare a picco l'esecutivo - ha gettato ancor più nello sconforto il premier, raccontano. Quando ieri mattina l'ex colonnello di An e la Polverini hanno preso atto delle insistenze del Carroccio sulla storia dei ministeri, allora è stato il primo cittadino a chiamare di persona il ministro Tremonti per mettere in chiaro: "Puoi dire al presidente che noi facciamo sul serio, che può saltare tutto davvero, se non corre ai ripari, se non frena Bossi che detta ormai legge".

L'inquilino di via XX Settembre non ha perso tempo e ha telefonato a sua volta al premier, col quale per adesso regge quanto meno una tregua elettorale. E nasce da quell'avvertimento - e dalla consapevolezza del premier che con Alemanno si sono schierati tra gli altri La Russa, Gasparri, la Meloni - la nota congiunta che i capigruppo di Camera e Senato del partito renderanno pubblica a metà giornata per dire "no al trasloco".
Il fatto è che a incendiare gli animi in uno scontro ormai frontale con la Lega si è messo anche il governatore pidiellino Roberto Formigoni. Mentre Micaela Biancofiore con l'intervista di ieri al Corriere ha già notificato il suo addio al partito per aderire al nascente progetto politico di Scajola. Gli ex An sono in rotta e i ministri di Liberamente (Frattini, Gelmini, Carfagna) insofferenti. I ciellini sospettati di non aver fatto abbastanza a Milano. Crepe su crepe, correnti che danno vita ad altre correnti. Più che un rischio, per dirla con Quagliariello, la prospettiva che il Pdl "vada in frantumi". Di tutto questo si dovrebbe parlare nel vertice di oggi ad Arcore coi big del partito milanese (sebbene ieri in serata non si avesse ancora piena conferma), a cinque giorni dal ballottaggio. "È il momento della campagna elettorale per vincere, non quello delle minacce o delle divisioni, è bene che tutti lo comprendano" fa quadrato Daniela Santanché. "Altro che disimpegno, io e Formigoni abbiamo mandato in giro mille ragazzi in 170 parrocchie milanesi a illustrare i programmi della Moratti e di Pisapia" racconta l'eurodeputato milanese Mario Mauro, vicino al governatore, convinto che "la ripresa c'è". Ma nessuno nel Pdl è disposto a scommettere che sarà sufficiente.

(23 maggio 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/05/23/news/cavaliere_senatur-16619851/?ref=HRER1-1#commenta


Titolo: CARMELO LOPAPA - Le condizioni di Bossi: "Svolta su fisco o voto"
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2011, 11:32:11 am
Il retroscena

Le condizioni di Bossi: "Svolta su fisco o voto"  Ma il premier sogna il traguardo del 2013

Incontro a Villa San Martino tra vertici Pdl e Lega. Bossi vuole accelerare su fisco e ministeri al Nord.

Sul piatto anche la poltrona di Guardasigilli, liberata da Alfano: in pole position Lupi, ma si affaccia il nome di Castelli

di CARMELO LOPAPA


La tentazione di Bossi. Sottrarsi al logoramento e stringere col premier un patto di governo a tempo. Otto, nove mesi per andare al voto nel 2012, dopo aver messo a segno pochi ma incisivi provvedimenti in grado di riconquistare consensi al Nord. "Perché o si cambia o sarà meglio andare al voto subito" è quanto va ripetendo il Senatur (audio 1).

Dovrà fare i conti con la resistenza a oltranza di Berlusconi, che dall'alleato invece pretenderà pieno sostegno per portare la legislatura fino alla scadenza naturale del 2013. Senza strappi e, ovvio, senza alcun passo indietro da parte sua: l'inquilino non lascia Palazzo Chigi.

A chi lo ha sentito nel primo week end di relax trascorso ad Arcore dopo la batosta elettorale, il Cavaliere è apparso più determinato che mai alla vigilia del vertice in programma oggi a ora di pranzo a Villa San Martino. Appuntamento nel quale Angelino Alfano esordirà da neo segretario, assieme ai coordinatori pidiellini, e in cui col leader del Carroccio e i ministri Maroni, Calderoli ci sarà il loro "guru" economico, Giorgetti. Non a caso: tutti i riflettori saranno puntati sul commensale Giulio Tremonti. "Voglio vedere se con l'aiuto di Umberto, che come noi ha perso le elezioni per colpa del fisco e degli imprenditori delusi, riusciremo a convincere Giulio a cedere una volta per tutte".

In cima ai pensieri del presidente c'è la riforma fiscale da annunciare e approvare nel giro di poche settimane, ci sono i famosi cordoni della borsa da allargare. Proprio quelli che il ministro dell'Economia intende tenere sigillati, tanto più alla vigilia di una doppia manovra (giugno e fine anno) che già si preannuncia - e che l'Ue pretende - da lacrime e sangue. Ecco, su questo punto Berlusconi è convinto di trovare proprio in Bossi una solida sponda.

Ai primi punti dell'agenda per il rilancio che gli uomini del Carroccio porteranno ad Arcore, c'è proprio lo stop alla politica di "aggressione fiscale", quella delle ganasce e della lotta spietata all'evasione, per intendersi, che ha portato alla mezza rivolta degli imprenditori di Treviso di qualche giorno fa. "Quella è gente nostra, ha già minacciato che non ci vota più, non possiamo voltar loro le spalle" va ripetendo da giorni il Senatur ai dirigenti di Via Bellerio. Allora, rigore sì, Tremonti resta il loro faro, ma il ministro sarà invitato anche dai "lumbard" a cambiare registro.

Ma un Berlusconi indebolito dalla sconfitta elettorale e incalzato sul fronte interno dal pressing pidiellino sulla successione, sa bene che in questa partita con Bossi si gioca la propria sopravvivenza politica. Sa che dietro l'angolo potrebbe esserci la richiesta da parte dell'alleato di cedere il testimone, alla prossima tornata elettorale. Ecco perché Bossi e i suoi troveranno un padrone di casa piuttosto accondiscendente. Tra le portate della colazione non è escluso che venga servito il più pesante dei ministeri rimasto vacante: quello alla Giustizia liberato da Alfano.

Se finora il premier non si è sbilanciato sull'avvicendamento, è proprio perché intende sondare gli umori leghisti. Il più quotato dei papabili resta il pidiellino Maurizio Lupi, ma il Cavaliere non si straccerà le vesti, raccontano i suoi, per difendere una soluzione interna. Soprattutto se Bossi dovesse proporre Roberto Castelli, già leale e sperimentato Guardasigilli del vecchio governo Berlusconi. Non solo. Dal vertice di oggi il ministro delle Riforme vuole incassare il via libera al trasferimento di almeno un ministero a Milano. Il suo, nella fattispecie, magari con il dicastero alla Semplificazione di Calderoli annesso. Con buona pace degli ex An e del Pdl romano, Alemanno in testa. Il premier proverà a cedere solo dipartimenti, come aveva già abbozzato. Ma Bossi ha deciso di fare di questo uno degli annunci "forti" all'adunata di Pontida del 19 giugno.

Il sospetto che il Senatur stia premendo fin troppo sull'acceleratore con l'obiettivo recondito dello schianto, magari per dar vita entro l'anno a un esecutivo Tremonti e cambiare la legge elettorale, aleggia eccome in casa Pdl. "Speriamo che gli amici leghisti comprendano che non sono i ministeri a Milano a riportare a casa i voti persi - ragiona il berlusconiano doc Osvaldo Napoli - ma piuttosto la capacità di rilanciare l'economia". Già, ma Tremonti accetterà davvero di cambiare registro? La tensione è cresciuta parecchio, in queste ore, al ministero di via XX Settembre, cinto d'assedio su più fronti. "Berlusconi è stato sempre in grado di mediare quel che sembrava inconciliabile - confida l'eurodeputato Pdl Mario Mauro - dalla Lega alle varie anime del nostro partito". Questa volta l'impresa sarà ancora più ardua.

(06 giugno 2011) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA Emergenza debito sulla manovra clima bipartisan
Inserito da: Admin - Luglio 11, 2011, 09:13:30 am
di CARMELO LOPAPA

Emergenza debito sulla manovra clima bipartisan


Domenica col fiato sospeso. Vigilia di apertura dei mercati e rischio speculazione all’orizzonte. Così, sulla manovra che approda adesso al Senato e che è al centro delle attenzioni internazionali (e del vertice Ue che si riunirà tra poche ore), il governo tende la mano all’opposizione e apre a modifiche e contributi del centrosinistra in aula. E’ quasi un appello, quello che viene lanciato da ministri e capigruppo Pdl. Accolto, ma solo in parte e a precise condizioni, dai leader di Pd, Idv e Udc.

Silvio Berlusconi rinuncia alla telefonata prevista in mattinata alla festa Pdl di Mirabello. Un prevedibile sfogo dopo la batosta della sentenza sul lodo Mondadori che il premier ha voluto evitare, come spiega il portavoce Bonaiuti. Proprio alla luce della delicatezza del momento e delle probabili turbolenze in arrivo. L’antidoto sarà la manovra da 47 miliardi di euro, che tuttavia andrà rivista e modificata al Senato. Lo ha promesso lo stesso presidente del Consiglio, lo pretende la sua maggioranza.

La svolta delle ultime ore è lo spiraglio aperto anche alle opposizioni. "Il miglior modo di onorare i 150 anni è vedere governo ed opposizione insieme, di fronte all'Europa e al mondo — dice il ministro Frattini — a difendere un’Italia solida nei conti e nei fondamentali economici, soprattutto unita, decisa, e capace di scoraggiare ogni attacco speculativo". E al "generale senso di responsabilità di maggioranza e opposizione" fa appello anche il capogruppo Pdl Cicchitto. Già due giorni fa, i segretari di Pd e Udc, Bersani e Casini, avevano siglato a Bologna un patto per un’azione congiunta delle opposizioni per far fronte alla crisi e chiedere riforme "vere".

I democratici tuttavia, avverte il leader in visita a Gerusalemme, saranno disponibili al confronto, ma non all’astensione: "Le opposizioni sentono la responsabilità nazionale davanti alla crisi economica soprattutto perché il governo è nel marasma — dice Bersani — Rimaniamo opposizioni ma vogliamo essere propositivi". Di Pietro annuncia che non farà ostruzionismo e che i correttivi dell’Idv punteranno solo alla riduzione della spesa.

Ora tutta l’attenzione è centrata sull’apertura delle borse. E ancora una volta il pallino è nelle mani del ministro dell’Economia, già segnato dalle notizie sull’inchiesta che ha travolto il suo braccio destro Marco Milanese. Toccherà a Tremonti difendere la manovra nel vertice Ue sulla crisi. E convincere i mercati.

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Titolo: CARMELO LOPAPA La politica si fa lo sconto, sfuma il taglio agli stipendi...
Inserito da: Admin - Luglio 16, 2011, 04:49:08 pm
IL CASO

La politica si fa lo sconto, sfuma il taglio agli stipendi degli onorevoli

Correzione notturna al testo neutralizza la norma precedente che riduceva le indennità alla media degli altri Paesi europei.

L'ira delle opposizioni.

I rimborsi elettorali saranno ridotti solo dalla prossima legislatura, meno auto blu ma dal 2012

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Taglio alle indennità dei parlamentari addio, o quasi. Meglio equipararsi ai sei paesi più ricchi dell'Unione europea. E poi rimborsi elettorali ridotti ma dalla prossima legislatura, auto blu da ridimensionare ma dal 2012, vitalizi salvati in extremis, finanziamenti ai partiti appena sforbiciati. Doveva essere il fiore all'occhiello della manovra lacrime e sangue. Il buon esempio all'insegna dell'austerity dato dalla politica, perché - ammoniva Tremonti ancora pochi giorni fa - non si possono chiedere sacrifici agli italiani senza imporli alla classe dirigente.

E invece ecco servito il bluff. La manovra appena approvata da 70 miliardi, che si abbatterà tra ticket e superbolli su famiglie e risparmiatori, nel testo definitivo rinvia e in qualche caso annulla i buoni propositi di chi l'ha scritta. Il colpo grosso è andato in scena nel chiuso delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio al Senato sulla norma più attesa. Proprio quella che avrebbe dovuto equiparare le indennità parlamentari a quelle dei paesi Ue. Falcidiata tra la notte del 12 e il 13 mattino grazie a un paio di emendamenti targati Pdl.

Il testo originario di Tremonti prevedeva (dalla prossima legislatura) l'equiparazione delle attuali indennità parlamentari italiane a quelle dei 17 paesi dell'area euro. A conti fatti, per passare dall'attuale "trattamento economico" base (al netto delle varie voci accessorie) di quasi 12 mila euro mensili lordi dei nostri parlamentari, ai 5.339 euro della media europea, com'è
stata di recente calcolata dal Sole 24 ore. Risultato: Camera e Senato che oggi sborsano circa 144 milioni all'anno per le indennità, ne avrebbero spesi solo 62 milioni, meno della metà (il 53,5% in meno).

E invece, viene azzerato o quasi quel risparmio da 82 milioni. Come? Grazie a due colpi sottobanco. L'emendamento 1.1 del relatore in commissione, il pidiellino Picchetto, che prevede intanto un adeguamento della paga a quella non dei 17 paesi euro, ma dei "sei principali" paesi Ue, quindi dei più grandi. Infine, con l'emendamento 1.2 del duo siciliano (sempre Pdl) Fleres-Ferrara, con cui viene sancito che in futuro l'adeguamento andrà fatto in base alla "media", sì, ma "ponderata, rispetto al Pil" di quei paesi. Dovrà tener conto cioè non del numero dei cittadini, ma della ricchezza dei sei paesi. Bizantinismi. Sta di fatto, protesta il senatore Pd Francesco Sanna che si è battuto in commissione, "che con il sistema prescelto da maggioranza e governo la riduzione, se ci sarà, sarà lievissima". Anzi, con la media "ponderata al Pil", non sarà neanche detto che la decurtazione ci sarà. Il Pdl d'altronde in commissione aveva difeso a spada tratta la busta paga, contro "la deriva populista" e in difesa della "prestigio del Parlamento", con una sfilza di interventi, da Raffaele Lauro a Giuseppe Saro a Andrea Pastore. Missione compiuta.

Ma è solo il bluff più macroscopico, tra quelli che vengono a galla in queste ore in cui enti locali e sindacati denunciano la mannaia da 500 euro l'anno a famiglia in arrivo con la manovra. Scomparsa la norma che cancellava i vitalizi dei parlamentari che - grazie ai 2.238 assegni staccati ogni mese da Camera e Senato per gli "ex" - comportano un esborso annuo da 218,3 milioni di euro: ben più che per gli onorevoli in servizio. Mai messa nero su bianco quella annunciata sull'azzeramento delle indennità da 2.243 euro dei ministri (che si somma a quella da parlamentare) che avrebbe consentito di risparmiare 100 mila euro al mese, dunque un milione e 200 mila euro l'anno. Ha vissuto solo un paio di giorni sui giornali. Le auto blu - che sono oltre 15 mila e costano 1 miliardo di euro l'anno - non potranno avere in futuro una cilindrata superiore a 1.600, ma quelle in servizio saranno tenute fino alla rottamazione. I rimborsi elettorali ai partiti per le elezioni, che pesano per 180 milioni di euro, saranno ridotti, ma solo "dalla prossima legislatura" e solo del 10 per cento: 18 milioni appena di risparmio. Il voto di ogni tedesco oggi viene ripagato ai partiti con 38 centesimi, in Italia continuiamo a viaggiare sui 3,5 euro. Il rigore sulla politica può attendere.

(16 luglio 2011) © Riproduzione riservata
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Titolo: CARMELO LOPAPA Pressing sul Senatur per intervenire sulle pensioni
Inserito da: Admin - Agosto 18, 2011, 05:22:24 pm
IL RETROSCENA

Berlusconi pensa a uno scudo bis "Così si può cancellare il contributo"

L'ipotesi allo studio del Cavaliere: un nuovo condono sui capitali illegamente all'estero, tassati tra il 7 e il 10 percento.

Una misura che può garantire fino a 10 miliardi di introito. Ma Tremonti non è stato consultato.

Pressing sul Senatur per intervenire sulle pensioni

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Sogna il colpaccio, il Cavaliere. Adesso un maxi condono nuovo di zecca sui capitali (ancora illegali) all'estero, per incassare tra i 7 e i 10 miliardi ed evitare così di "mettere le mani in tasca agli italiani col contributo di solidarietà: vedrete che riuscirò a spuntarla". È il pallino che un Silvio Berlusconi chino sui dossier economici, ad Arcore, ripete ai capigruppo Pdl e ai più stretti collaboratori sentiti in una giornata per il resto trascorsa tra una seduta di ginnastica e un pranzo dietetico.

Ore tribolate di altalena in Borsa, di spread tra titoli di Stato e Bund tedeschi risalito a 272 punti, di rapporti ormai ridotti al lumicino col ministro dell'Economia. Il presidente del Consiglio sogna di passare agli annali come il salvatore della Patria, anche a costo di ricorrere alla finanza creativa fino a poco tempo prerogativa proprio di Giulio Tremonti.

Perché ha quel sapore lì la trovata ultima dello scudo-bis sui capitali all'estero, tramontata già l'ipotesi di ritassare i 97 milioni rientrati nel 2009. Allora, nelle casse dello Stato finirono appena 5 miliardi. "Ma un nuovo intervento su quegli stessi capitali "scudati" sarebbe stato illegittimo" spiega il vicecapogruppo Pdl Massimo Corsaro. Ecco allora il nuovo coniglio dal cilindro del premier, frutto dei suoi personalissimi contatti con esperti di economia e che prende spunto dalle stime di Bankitalia.

Misura che nasce sulla scia della tassazione delle transazioni finanziarie proposta dal due Merkel-Sarkozy e che farebbe leva - spiega chi ci sta lavorando - sull'esistenza di circa 150 miliardi di capitali (illegali) all'estero, tra depositi e titoli. La tassazione per garantire un nuovo scudo e il rientro in Italia, questa volta non sarebbe limitata al 5 per cento ma sarebbe elevata al 7-10 per cento (all'estero è al 20-30). Quanto basterebbe per garantire - nelle più rosee previsioni berlusconiane - un rientro di quasi dieci miliardi di euro. Altri cinque, si calcola, dall'aumento di un punto percentuale dell'Iva.

Il fatto è che tutto questo viene discusso e calcolato dal premier senza il minimo coinvolgimento di Giulio Tremonti. Il ministro si è ritirato nel "suo" Cadore, dove oggi festeggerà il compleanno e dove incontrerà gli amici Bossi e Calderoli. In pochi, tra colleghi di governo, sono pronti a scommettere su una telefonata di auguri da parte del Cavaliere.

Il ministro dell'Economia, racconta chi ha parlato con lui in queste ore, resta più che scettico rispetto alle proposte di modifica della manovra allo studio di Palazzo Chigi. Sullo scudo bis, ad esempio, la stima sull'introito sarebbe approssimativa e nell'immediato "poco spendibile" in sede Ue. Figurarsi introdurlo per cancellare il contributo di solidarietà per i redditi oltre i 90 mila euro, come conta di fare il premier.

Gelo e silenzio, ad ogni modo. Il ministro dell'Economia si è ripromesso di evitare qualsiasi esternazione. Si concentrerà piuttosto sull'obiettivo di convincere oggi Bossi dell'opportunità di intervenire sulle pensioni, nonostante le barricate del Senatur. Berlusconi scommette piuttosto sulla rottura dell'asse Bossi-Tremonti, temendo un riallineamento dei due che rischierebbe di metterlo in difficoltà alla ripresa dei lavori parlamentari.

Ad ogni modo, il presidente del Consiglio ormai va per la sua strada. Ha delegato ad Angelino Alfano il compito di mettere a punto il pacchetto di modifiche al decreto. Il segretario adesso è all'estero, ma al rientro già lunedì 22 dovrebbe incontrare i "frondisti" del Pdl in rotta su più punti. Su questa partita e sulla quadra finale il neo segretario mette di già sulla bilancia la tenuta della sua leadership.

In cantiere, Tfr da spalmare nelle buste paghe, liberalizzazione degli ordini professionali, privatizzazioni, cancellazione delle Province sotto i 300 mila (ma col mantenimento delle Prefetture), revisione dei tagli ai Comuni per venire incontro agli amministratori Pdl in rivolta. Ma soprattutto, introduzione del quoziente familiare per ridurre l'impatto del contributo di solidarietà, se la misura dovesse restare. Ritocchi tali da "stravolgere" la manovra, agli occhi di Tremonti, che non perde occasione per ricordare come l'Ue abbia approvato il testo e i conti usciti dal Consiglio dei ministri.

(18 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/18/news/scudo_fiscale_bis-20560262/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA ... ma il Tesoro avverte: Mancano 4 miliardi
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2011, 10:06:50 am
IL RETROSCENA

Manovra, il Cavaliere canta vittoria ma il Tesoro avverte: "Mancano 4 miliardi"

Il vertice ad Arcore approva gli emendamenti al provvedimento da 45,5 miliardi di euro approvato alla vigilia di Ferragosto.
Ma le nuove norme rischiano di non bastare per mantenere i saldi previsti. Rischio di una nuova correzione a dicembre.

Il premier contro Tremonti: "Oggi sembrava un agnellino, non pareva lui"

di CARMELO LOPAPA


ARCORE - "È fatta, siamo riusciti a non mettere le mani in tasca agli italiani, ma è stata dura". Quando il corteo di auto blu lascia Villa San Martino dopo sette ore di qualcosa che ha somigliato più alla trattativa sindacale che a un vertice, Berlusconi resta da solo in casa con Alfano e Ghedini ed è allora che tira il sospiro di sollievo. Ha voglia di stappare lo champagne che aveva messo in fresco per festeggiare la svolta che, dice, gli "spianerà il cammino fino al 2013".

È riuscito a cambiare i connotati alla manovra approvata 17 giorni prima, certo. Quel che il Cavaliere non può sapere è che negli stessi istanti, lontano da lì, i tecnici del ministero delle Finanze stanno già facendo due conti sulla manovra appena rivoltata come un calzino scoprendo che ora mancano all'appello almeno 4,2 miliardi di euro sui 45 che si dovranno reperire col decreto. E a sera tanto bastava per lasciar serpeggiare dentro lo stesso Pdl lo spettro di un nuovo intervento sui conti a fine anno. Molto dipenderà dalla reazione dei mercati da oggi e da quella di Bruxelles nei prossimi giorni.

Ma è un altro genere di saldo che in queste ore interessa al presidente del Consiglio: quello politico. Si considera il vincitore indiscusso al tavolo di Arcore, soprattutto per aver cancellato del tutto il contributo di solidarietà che sapeva di "tassa alla Visco". Colpo di spugna, perfino sopra i redditi da 200 mila euro. "Avete visto Giulio?
Sembrava un agnellino, non pareva lui", commenta compiaciuto a fine giornata, sebbene proprio con il suo ministro dell'Economia si sono registrati i momenti di maggiore tensione. Soprattutto quando si è aperto il capitolo Iva. Berlusconi, e con lui Alfano e i capigruppo Pdl, decisi ad alzarla di un punto per garantire un gettito da 5 miliardi di euro. Tremonti che non recede e rilancia col suo consueto stile professorale ("Ora vi spiego...").

Alla fine la spunterà il ministro, nella misura in cui dopo molteplici insistenze riuscirà a convincere tutti che l'aumento dell'Iva andrà fatto, ma in un secondo tempo. E che ora si può provvedere diversamente. Raccontano che abbia messo a punto lui, forte della pluriennale esperienza da tributarista, la stretta fiscale per colpire barche, auto di lusso e velivoli intestati a società di comodo. Sebbene anche qui resti l'incognita sull'effettivo gettito.

Lo stesso ministro non riuscirà a spuntarla invece sulle pensioni, dossier sul quale Alfano, Calderoli e Maroni hanno fatto scudo, dopo l'accordo chiuso tre giorni fa. Fatto salvo l'unico affondo sul riscatto degli anni universitari e da militare. Detto questo, chi ha partecipato al vertice ha parlato non senza malizia di un Tremonti "nuova versione, dialogante e costruttivo: avrà preso atto dell'isolamento". Il professore in realtà a fine incontro andrà via soddisfatto, convinto di aver vinto la sua battaglia sull'Iva. "Don Giussani ha fatto il miracolo" avrebbe commentato il ministro fresco di Meeting Cl.

Altro pepe al vertice lo metterà Roberto Maroni, in due distinti momenti. A metà giornata, quando ricorda che "da qui dobbiamo uscire con il dimezzamento dei tagli ai comuni, perché abbiamo preso un impegno". Ma ancor più quando nel tardo pomeriggio lascia il tavolo per raggiungere e rassicurare i sindaci riuniti in assemblea dopo la marcia su Milano. Torna ad Arcore e avverte Berlusconi, Bossi, Tremonti e gli altri: "Guardate che se riduciamo solo di 2 milioni i tagli ce li ritroviamo tutti contro, a cominciare dai nostri".

Ma i buoni propositi del big sponsor degli enti locali si sono infranti contro il muro dei numeri. Perché c'è poco da stare allegri, ha ricordato a tutti ancora Tremonti, richiamando i commensali alla dura realtà della crisi italiana. Legge infatti le agenzie che avevano appena battuto la notizia delle previsioni di crescita del Fondo monetario internazionale, che risultano ancora più negative del previsto, per l'Italia: crescita non più all'1 ma inchiodata allo 0,8 per quest'anno. Dunque, "meglio rispettare con rigore le stime della manovra approvata due settimane fa".

D'altronde, il Carroccio si può accontentare dello stop sulle pensioni, anche se i pidiellini racconteranno di un Bossi andato via di umore nero. Ma più perché dolorante e annoiato, sembra, che non per il rospo che ha dovuto ingoiare col ddl costituzionale sulla cancellazione delle province. In futuro, chissà quando. Sebbene il presidente della commissione Affari costituzionale del Senato, Carlo Vizzini, fa sapere che insieme con quello sul dimezzamento dei parlamentari saranno incardinati già la prossima settimana.

Adesso, vertice Pdl a metà settimana per decidere l'apertura a un paio di emendamenti del terzo polo. Poi la blindatura della manovra con la fiducia quando approderà in aula già al Senato.

(30 agosto 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/30/news/manovra_mancano_5_miliardi-21024448/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Tremonti al telefono con il Cavaliere "Stop attacchi, il ...
Inserito da: Admin - Settembre 02, 2011, 06:00:14 pm
IL RETROSCENA

Tremonti al telefono con il Cavaliere "Stop attacchi, il decreto è anche tuo"

L'ultimo colloquio tra i duellanti alla vigilia del summit di Arcore per decidere gli emendamenti alla manovra.

Resta il gelo, ma il ministro non farà le barricate. Per il ministro dell'economia unico punto non modificabile sono i saldi

di CARMELO LOPAPA

ROMA - L'ultima, algida telefonata intercorsa tra la dimora di Arcore e il rifugio di Lorenzago non ha sciolto il gelo di questa vigilia. Così, il premier Berlusconi e il suo ministro Tremonti si presentano all'appuntamento decisivo di questa mattina con lo stato maggiore della Lega senza uno straccio di accordo preventivo tra loro due che sarebbero pur sempre i firmatari della manovra da 45 miliardi.

Al Cavaliere il responsabile dell'Economia si è ritrovato a chiedere conto degli attacchi frontali e ormai senza sosta dalla sponda pidiellina. Un fuoco di fila al quale lui ha opposto solo il silenzio, come ha fatto notare al premier, e dal quale come al solito il premier ha preso le distanze. Tremonti ripete quel che sostiene da giorni e cioè che tutti tirano al piccione della manovra "come se il decreto fosse solo mio", come se non fosse stato approvato da tutto il Consiglio dei ministri all'unanimità.

Il professore le sue carte intende giocarsele in prima persona e de visu questa mattina al tavolo di Arcore. Se qualcosa trapela, alla vigilia, è che non si immolerà a questo punto per la difesa a oltranza dell'Iva, sebbene l'innalzamento di un punto preferirebbe rinviarlo alla riforma fiscale. Né per una riapertura del capitolo pensioni, né insisterà sui tagli ai Comuni.

L'unica linea del Piave che difenderà a spada tratta sarà il mantenimento dei saldi invariati. E dei tempi celeri. Ma farà presente tanto al Senatur quanto al Cavaliere, ancora una volta, che la manovra varata il 12 agosto è stata "apprezzata" da Bruxelles e cambiarle i connotati aprirebbe a nuovi scenari, imprevedibili.

Detto questo, le perplessità sul florilegio di ipotesi e di modifiche maturate nel partito, ma anche dal Carroccio. Ecco, sullo spettacolo al quale si sta assistendo da una settimana a questa parte, una volta tanto non la pensa diversamente dal presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che ha parlato di "gara a chi inventa la tassa più esotica".

Isolato, forse. Ma non sconfitto, giurano i suoi. Comunque per nulla disposto a gettare la spugna. Un isolamento anche fisico che ha voluto frapporre con Roma e le mediazioni di questi giorni. Dopo l'intervento al Meeting di Cl Tremonti è tornato a Lorenzago di Cadore dove si è rifugiato dopo Ferragosto. Le dimissioni, raccontano, non sono un'ipotesi che abbia mai preso in considerazione. E quando lo sottolinea lo fa ancora con una punta di velenosa presunzione, convinto com'è che il presidente del Consiglio non potrebbe permettersi di dimissionare il ministro dell'Economia che è "l'unico interlocutore credibile per l'Europa".

Berlusconi non sarebbe in grado di reggere l'impatto, nel pieno di una crisi finanziaria che è anche di sistema. Come dire, i due, segnati dalle rispettive debolezze, si reggono a vicenda. Schivato lo scoglio della manovra, Tremonti dovrà affrontare nel giro di poche settimane quello legato al voto alla Camera sull'arresto del suo ex braccio destro Marco Milanese, sul quale in molti nel partito si preparano a consumare la loro vendetta. E, a seguire, la partita non meno delicata della nomina del nuovo governatore che dovrà prendere il posto di Draghi in BankItalia, nella quale si ritrova ancora una volta sul fronte opposto rispetto all'asse Berlusconi-Letta.

Ma è il vento che spira nel partito di Alfano a soffiare sempre più in direzione opposta al professore. E anche la solita sponda leghista questa volta sembra vacillare. Calderoli e Maroni hanno condotto le trattative sulla manovra col segretario Pdl senza coinvolgere Tremonti, tirato fuori dai giochi. Anche se il ministro della Semplificazione sostiene di essersi mosso "tenendo conto della sensibilità di Giulio e delle sue esigenze rispetto all'Europa". Ma è soprattutto nel suo partito che l'inquilino di via XX Settembre vive ormai da separato in casa.

L'ultimo affondo in ordine di tempo - e non è certo una novità - l'editoriale del Giornale della famiglia Berlusconi con cui ieri ci si chiedeva appena perché, "se il ministro è così bravo, ci ritroviamo in questa situazione", per etichettare poi Tremonti come "il commercialista" che "ha poco a che fare con la maggioranza". E comunque "ha poco da stare tranquillo se si pensa che tra poche settimane tornerà alla ribalta la vicenda del suo ex braccio destro Marco Milanese".

Per non dire del sottosegretario Daniela Santanché che sempre ieri ipotizzava (su Repubblica) lo spacchettamento delle deleghe del suo dicastero per dimezzare i poteri del "super uomo" Tremonti. Tira questa aria. Il vertice di oggi, oltre che decisivo sulla manovra, segnerà la resa dei conti.

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/29/news/incontro_arcore-20987504/


Titolo: CARMELO LOPAPA "Il problema è Giulio, non garantisce più"
Inserito da: Admin - Settembre 03, 2011, 11:33:53 am
Il retroscena

L'ira di Berlusconi contro Bruxelles

"Il problema è Giulio, non garantisce più"

Il Cavaliere: ho chiarito con Merkel e Barroso. Allarme del Colle.

Il timore che la Bce non intervenga più nell'acquisto dei titoli di stato italiani.

Palazzo Chigi torna a studiare l'ipotesi di alzare l'Iva per coprire tutti i saldi

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "La verità è che Giulio ormai non è più una garanzia in Europa, non possiamo contare su di lui come lasciapassare per i palazzi di Bruxelles". Un Silvio Berlusconi sempre più assediato nel fortino di Arcore non nasconde, a chi gli ha parlato, tutta la sua preoccupazione. Preoccupazione per i dubbi piovuti dalle autorità Ue sulla manovra salvaconti che il governo italiano sta faticosamente, confusamente portando avanti.

Sorpreso, raccontano, ancor prima che irritato, il Cavaliere lo è soprattutto perché meno di 24 ore prima aveva tentato di rassicurare di persona i leader europei. A margine del conferenza di Parigi sulla Libia. "Io su questa manovra ci ho messo la faccia, ne ho parlato ancora con la Merkel, con Herman Van Rompuy, con Barroso, loro si fidano di me e ho promesso che faremo bene e in fretta" ripete il presidente del Consiglio. A Palazzo Chigi, da un lato, sono portati a minimizzare l'uscita del portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Ma quell'allarme sull'eccessivo ricorso alle misure antievasione per recuperare risorse è ponderato, nasce da consultazioni e briefing informali tra le autorità a Bruxelles. D'altronde, andava in quella direzione anche l'avvertimento a "non annacquare le misure adottate ad agosto", lanciato dal presidente uscente della Bce Jean-Claude Trichet nell'intervista di ieri al Sole24ore in cui si legge una chiara minaccia sulla possibilità che Francoforti non compri
più i nostri bot.

In ogni caso, Berlusconi si ritiene responsabile fino a un certo punto della situazione di incertezza generata anche oltre confine.
Se c'è un "artefice" dei tentennamenti che hanno generato confusione, quello è il suo ministro dell'Economia. È stato l'inquilino di via XX Settembre a fare della sterzata sulla lotta all'evasione il marchio di questa manovra. Tanto più dopo le correzioni apportate proprio da Tremonti due giorni fa con i "suoi" emendamenti depositati in commissione al Senato. "Non ha la bacchetta magica e lo hanno capito anche in Europa" è una delle considerazioni più amare che alti dirigenti Pdl hanno sentito pronunciare dal premier in queste ore. E tanto basta a questo punto per convincere ancor più il presidente del Consiglio del fatto che non sia rinviabile oltre un intervento sull'Iva.

Aumentare di uno-due punti l'imposta con un blitz della presidenza del Consiglio, come lo stesso Berlusconi ha ipotizzato da Parigi.
Ma non nei prossimi mesi, come preferirebbe il responsabile dell'Economia. "Non c'è altra strada per recuperare risorse certe e in tempi rapidi per rassicurare l'Europa e i mercati", va ripetendo il capo del governo ai ministri più fidati. Tutto questo mentre non solo a Bruxelles maturano i primi dubbi sulle misure antievasione che pure - assicurano dal Tesoro - garantirebbero un gettito quantificato dalla Ragioneria. Ma già il vicecapogruppo al Senato Gaetano Quagliariello invita per esempio a riflettere meglio sulla pubblicazione dei redditi dei contribuenti on line. Misura che sembra non abbia fatto esultare di gioia lo stesso Berlusconi.

Ma queste sono davvero ore di grande concitazione. Lo scontro che poi in serata si fa frontale tra Roma e Bruxelles chiude un venerdì già di suo abbastanza nero. Segnato dal nuovo tonfo di Piazza Affari, che perde quasi il 4 per cento, e dal differenziale tra i buoni del Tesoro i Bund tedeschi che torna a superare quota 330 punti, come nelle giornate d'agosto più infauste per la borsa italiana. Mentre la maggioranza è già andata sotto in un'occasione sull'esame della manovra in commissione Bilancio.

Una situazione complessiva che il Quirinale tiene sotto controllo ora dopo ora, con una buona dose di preoccupazione. I moniti lanciati dalle autorità comunitarie non sono stati presi affatto sotto gamba al Colle. Non fosse altro perché il rigoroso rispetto dei saldi della manovra, l'obiettivo dell'azzeramento del deficit, le riforme per favorire la crescita sono i paletti che già il presidente Napolitano ha richiamato a più riprese nelle scorse settimane. Invitando le forze politiche a un dialogo e a un confronto sui conti da risanare che invece non è mai decollato. E rischia di non decollare mai, se è vero - come ipotizzavano ieri sera a Palazzo Madama - che un governo che vuol fare quanto più in fretta possibile si prepara a porre la fiducia al decreto non solo alla Camera, ma anche la settimana prossima in aula al Senato.

Fare in fretta d'altronde è il diktat imposto da Arcore da un presidente del Consiglio che ha già sulle spine per le sue faccende private. Turbato e innervosito dall'inchiesta napoletana che ha portato in carcere Tarantini e schiaffato sui giornali le imbarazzanti intercettazioni sul caso escort. Un motivo in più per premere sull'acceleratore del giro di vite, già previsto dal ddl approvato in Senato e in procinto di essere discusso alla Camera. Non a caso berlusconiani di stretta osservanza come Cicchitto e Osvaldo Napoli preannunciano fin d'ora che il testo andrà "anticipato e messo in calendario subito dopo l'approvazione della manovra".

(03 settembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/03/news/ira_berlusconi_bruxelles-21169396/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA E il Cavaliere avverte gli alleati "Il Colle sa che se cado ...
Inserito da: Admin - Settembre 04, 2011, 05:09:13 pm
IL RETROSCENA

E il Cavaliere avverte gli alleati "Il Colle sa che se cado si va al voto"

La paura per la riapertura domani dei mercati. Il pressing su Tremonti. 

Il Pdl avverte che se ci fosse un altro crollo in borsa, il ministro del Tesoro dovrebbe lasciare.

Il titolare dell'Economia fa sapere che il suo destino è legato a quello del premier

di CARMELO LOPAPA


L'incubo mercati e lo spettro della crisi. E un avvertimento del Colle che lascia intatto lo stato di allerta. "Napolitano è stato corretto, ha messo in guardia tutti i complottisti che sono al lavoro contro di me fuori dal Parlamento". È questo l'apprezzamento che, in prima battuta, Berlusconi ha condiviso coi suoi da Arcore. Ma il risvolto neanche tanto implicito di quell'intervento dell'inquilino del Colle rivolto agli economisti di Cernobbio è piaciuto molto meno, al presidente del Consiglio. Il Quirinale ha fatto riferimento a quel che accadrebbe in caso di crisi, ai poteri che la Costituzione riconosce al capo dello Stato, dunque al "piano B", che contempla la possibilità che le Camere non vengano sciolte. "A Napolitano deve essere chiaro che se cade il mio governo si va al voto - è stato lo sfogo in seconda battuta del premier - Non ci sono alternative, soprattutto non ci sarà mai un governo tecnico: noi non lo sosterremo mai".

È un lungo fine settimana col fiato sospeso, quello che si sta vivendo in queste ore lungo l'asse Villa San Martino-Palazzo Chigi, in attesa della riapertura delle borse di domattina. I segnali recapitati da Bruxelles negli ultimi giorni, gli avvertimenti sulla manovra italiana ballerina, non sono stati rassicuranti. Tanto meno lo è stata la chiusura di Piazza Affari venerdì scorso. La preoccupazione fa capolino tra dirigenti e ministri pidiellini, mentre il decreto salva-conti completa l'iter in commissione al Senato e si appresta a passare all'esame dell'aula, da martedì. Il timore che confidano in tanti tra loro è che un eventuale crollo dei mercati domani possa far precipitare titoli e situazione finanziaria. In quel caso, sostengono i berlusconiani, "Tremonti dovrebbe farsi da parte". Il tam-tam è insistente in queste ore: il sacrificio sull'altare della crisi del ministro inviso ai più, dentro il partito.

Ma è una previsione che, sebbene per lui "comoda" sotto certi profili, il Cavaliere preferisce non fare. Il premier sa bene infatti che se tutto precipitasse fino a quel punto, anche per lui sarebbe difficile tenere in piedi il governo. Il timone della barca alla deriva rischierebbe a quel punto di sfuggirgli di mano. I due ormai ex inseparabili, il presidente e il professore, si reggono sempre più a vicenda. Tanto più che il capo dello Stato ieri è stato abbastanza nel descrivere il recinto entro il quale intende muoversi in caso di crisi, che è poi quello che gli riconosce la Carta costituzionale. Il governo c'è finché la maggioranza parlamentare regge. Se questo presupposto dovesse venire meno, allora lo scioglimento delle Camere non sarebbe affatto l'unico approdo. Non certo il primo. Esiste d'altronde un precedente che il Quirinale terrebbe in considerazione, quello della nomina di un governo tecnico alla Ciampi (1993) che ha segnato un'altra fase assai turbolenta della Repubblica. Nessuna intenzione di interferire nelle vicende politiche, da parte del presidente Napolitano. Consapevole tuttavia dei suoi poteri in caso di crisi e ancor più convinto che il ricorso alle urne non sarebbe la via preferibile mentre il paese è sotto attacco speculativo.

Berlusconi prova perciò a uscire indenne dalla tempesta. Resa ancora più insidiosa dal nuovo ciclone giudiziario che, sulla scia dell'arresto di Tarantini, sta riportando alla ribalta scandali privati e vulnerabilità pubblica del premier. Sebbene un ministro lo descriva "incazzato, più che preoccupato" dopo l'interrogatorio della fedelissima segretaria Marinella Brambilla e alla vigilia di una sua possibile convocazione da parte dei pm napoletani. Come se non bastasse, la doccia gelata fatta scendere in serata da Calderoli sulla prospettiva di una ricandidatura del leader Pdl alla premiership nel 2013 non fa che accrescere le incognite sul futuro della coalizione e, soprattutto, su quello personale del premier. La parola d'ordine dettata da Arcore dunque è portare a casa al più presto la manovra. Raccontano che il presidente del Consiglio abbia seguito anche ieri a distanza i lavori in corso in commissione al Senato, intervenendo in prima persona sui suoi sottosegretari per far cancellare la norma che prevede la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi on line. Perché passi pure l'intensificazione della lotta all'evasione, come ha voluto Tremonti, ma raccontano che Berlusconi quella disposizione "da stato Torquemada" non vuole leggerla più nemmeno nella bozza del provvedimento.

(04 settembre 2011) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/04/news/berlusconi_voto-21201113/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Corsa contro il tempo dopo allarme Colle
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2011, 05:33:42 pm
di CARMELO LOPAPA




Nuova manovra in cantiere a Palazzo Grazioli. Mentre per le vie di Roma, come in un tutte le piazze d’Italia, sfila un fiume di manifestanti convocati dalla Cgil contro la manovra, il premier Berlusconi fa precipitosamente rientro nella capitale. La Borsa piomba in un profondo rosso. Il differenziale dei titoli italiani con quelli tedeschi continua a restare altissimo. E governo e maggioranza sono costretti a correre ancora una volta ai ripari. Soprattutto dopo il monito del capo dello Stato, che ieri sera ha invocato nuove, più efficaci misure per far fronte a un’emergenza finanziaria senza precedenti.
Al Senato in queste ore inizia l’esame in aula della manovra. Ma quella che deve essere discussa a Palazzo Madama rischia di non essere affatto la versione definitiva. Nella residenza del premier è già allo studio il nuovo impianto del decreto. Probabilmente un maxi emendamento nuovo di zecca che – stando alle indiscrezioni che filtrano in queste ore – potrebbe contenere da subito quell’aumento di un punto dell'Iva a lungo discusso e già proposto dal presidente del Consiglio.  In discussione, anche la possibilità che al nuovo maxi emendamento venga apposta la fiducia, per accelerare ulteriormente i tempi e approvare il tutto entro domani sera. Ovvero prima che a Francoforte si riunisca giovedì il consiglio direttivo della Bce.
Occorre inviare segnali rassicuranti alle Borse, ma anche ai partner europei e ai vertici della Banca centrale. Dunque, aumento dell'Iva e, in prospettiva, ritocco del sistema previdenziale. Quel che il governo esclude è che si possa rimettere mano invece al discusso articolo 8 del decreto, quello che liberalizza i licenziamenti nelle imprese con il permesso dei sindacati. Ancora una volta il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, a margine della manifestazione di piazza a Roma, è tornato a chiedere lo stralcio della disposizione, la più contestata dalla Cgil e da tutto il centrosinistra. Invano. Il ministro del Welfare Sacconi chiude con un perentorio “non se ne parla”. Il sindacato dunque scende in piazza e avvia una mobilitazione che non si fermerà alla protesta di oggi. Contro la manovra, ma anche “contro il governo: perché vogliamo un paese migliore” attacca la segretaria Susanna Camusso.

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Tremonti vuole resistere "se vogliono, mi sfiducino"
Inserito da: Admin - Settembre 24, 2011, 11:50:45 am
IL RETROSCENA

Tremonti vuole resistere "se vogliono, mi sfiducino"

Il ministro dell'Economia in bilico. Berlusconi "sonda" Grilli e attacca la Marcegaglia.

Il direttore generale del Tesoro ha declinato l'offerta avanzata da Gianni Letta

di CARMELO LOPAPA


"Provino a cacciarmi, se ne hanno la forza". La trincea di Giulio è una barricata eretta al "fronte" di Washington, tra ministri economici del G20 e vertici del Fmi alle prese con la crisi globale. Resiste, Giulio Tremonti, all'assedio con il quale in quelle stesse ore lo cingono da Roma i pretoriani del Cavaliere. Chiaro che quella sfilza di peones e dirigenti che chiedono la sua testa accusandolo dell'assenza al voto su Milanese, prende le mosse da un input del presidente del Consiglio. L'inquilino di via XX Settembre ha la conferma di essere stato "sfiduciato" quando al risveglio, alle sette del mattino negli Usa (sono le 13 in Italia), i suoi gli confermano che da Palazzo Chigi non è arrivata alcuna smentita delle accuse attribuite al premier da tutti giornali: "Giulio immorale", "prima si dimette meglio è".

Tremonti chiama sottosegretari e collaboratori al ministero dell'Economia e rassicura. Se in questo caos il presidente del Consiglio non si fa da parte, è la tesi, non vede la ragione per la quale dovrebbe farlo lui. "Io sono qui a lavorare per l'interesse del Paese e Silvio che fa? Mi vuole sfiduciare? Se ne ha la forza mi cacci, provino a farlo, se ne sono capaci" è lo sfogo del ministro con i pochi che hanno avuto modo di parlargli. Sicuro di sé anche perché consapevole di quanto Berlusconi stesso e il suo governo rischino di essere travolti dall'eventuale siluramento del responsabile dell'Economia, tra borse che rimbalzano, titoli al ribasso e spread schizzato oltre i 400 punti. Per non dire del Quirinale che, in una fase così delicata e critica, sarebbe per nulla propenso a sostituire in corsa Giulio Tremonti per affrontare un salto nel vuoto o addirittura un interim. Il professore di Sondrio dunque continua a tessere la sua tela.
E a coltivare i suoi rapporti internazionali. Un breve incontro con il direttore generale dell'Fmi Christine Lagarde, poi il suo collega israeliano. Come nulla fosse.

Nelle stesse ore, a Roma, il presidente del Consiglio tesse altro genere di tele, con l'obiettivo dichiarato di disarcionarlo, o meglio, di costringerlo alle dimissioni. Ma intanto deve fronteggiare l'accerchiamento - non solo quello delle inchieste - che si fa sempre più asfissiante. La leader degli imprenditori Marcegaglia torna ad attaccare il governo, a invocare il cambiamento, pronta ormai a guidare la "rivolta" di Confindustria ("Salviamo noi l'Italia"). Berlusconi, raccontano, è furente dopo l'ultimo exploit: "La presidentessa è a fine mandato. Pensa al suo futuro in politica e di poter diventare il leader che il centrosinistra sta cercando" è il commento velenoso che gli attribuiscono. Certo, l'accerchiamento il governo lo avverte eccome, "c'è una elite lontana dal popolo che lavora contro il governo" va ripetendo Maurizio Sacconi anche alla kermesse Pdl organizzata da Alemanno alla quale partecipa con Alfano nel pomeriggio.

Ma in cima alle preoccupazioni del Cavaliere c'è soprattutto Tremonti e la risoluzione del rapporto. Non ne avrà parlato giusto con Sabina Began - 90 minuti nella residenza del premier - ma è il nodo al centro dei colloqui che seguono a Palazzo Grazioli con Angelino Alfano e poi con Renato Brunetta. Berlusconi lascia trapelare, non a caso, che i decreti per il rilancio dell'economia sono già in gestazione a Palazzo Chigi, che il ministero nei fatti è "esautorato". Ma si prepara alla guerra intestina, convinto com'è che "tanto Giulio non lascerà, perché sa bene che con le dimissioni uscirebbe di scena per sempre".

E così, ha tutto il sapore della provocazione, che non dell'effettivo tentativo di convincere l'interlocutore, il sondaggio riservato fatto nelle ultime ore con Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro. L'invito affinché accetti il dicastero di via XX Settembre viene rivolto dallo stesso Berlusconi e da Gianni Letta, nell'eventualità remota che il ministro getti la spugna. Grilli, uomo forte di Tremonti - scavalcato dal direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni nella corsa alla successione a Draghi alla guida di Palazzo Koch - avrebbe cortesemente declinato la proposta, com'era prevedibile. Ma il fatto che sia stata avanzata è risuonato come l'ennesimo avvertimento all'indirizzo del ministro. Come pure lo è la girandola di nomi che dal quartier generale di via dell'Umiltà hanno iniziato a far girare ventilando una successione: da Maurizio Sacconi ad Antonio Martino. Pedine improbabili.

Tremonti resta dov'è, quasi a ripetere quel "hic manebimus optime" già proclamato il 13 luglio scorso. Sempre più isolato, questo sì, ora che anche la sponda leghista appare meno solida per lui. Raccontano i dirigenti di via Bellerio che l'assenza al voto su Milanese abbia sorpreso e amareggiato anche il Senatur, che pure ha dovuto ingoiare il rospo al cospetto della sua base. "Giulio è stato scandaloso" è lo sfogo al quale si è abbandonato Umberto Bossi, amico di sempre del ministro. Tremonti resiste. Ma al rientro a Roma tutto sarà più difficile.


(24 settembre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/09/24/news/tremonti_dimissioni-22144538/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Deputati e senatori del Pdl chiedono "un atto di discontinuità".
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2011, 04:54:27 pm
RETROSCENA

La fronda dei 45 parlamentari fra incontri segreti e raccolta di firme

Deputati e senatori del Pdl chiedono "un atto di discontinuità".

Scajola sulla voglia di elezioni di Bossi: "Semina una paura che può portare altri verso di noi"

di CARMELO LOPAPA

 
ROMA - I contatti che erano quotidiani, sono diventati febbrili, incessanti, continui. Trenta deputati, quindici senatori della maggioranza. E un progetto comune. Nelle ultime ore è maturata la scelta di uscire allo scoperto, alla luce del sole, con un documento, firme nero su bianco, da portare al Cavaliere invocando "discontinuità". "Non vogliamo fare i ribaltonisti", bocciata l'idea di approfittare del prossimo voto segreto a Montecitorio, magari sulle intercettazioni, per mandare per aria il governo. Invece no, niente "operazione Valkiria".

Delle due opzioni si è discusso a lungo due sere fa in un ristorante romano, quando attorno a Claudio Scajola si sono ritrovati deputati (Da Berruti e ad Abrignani, da Cassinelli a Cicu, Scandroglio, Antonione, Gava) e senatori (Orsi, Lauro, Scarpa Bonazza). Hanno prevalso i moderati sui falchi. Questo stesso giorno, mercoledì pomeriggio, sul da farsi ad horas si erano interrogati nello studio del presidente della Camera, con Gianfranco Fini, anche il senatore Pdl Beppe Pisanu, e gli altri leader del terzo polo Casini e Rutelli. Il gabinetto di guerra è ormai permanente. Non si è discusso d'altro anche ieri. E l'uscita di Bossi sul voto anticipato al 2012, come commentava in serata Scajola con i suoi, diventa un'insperata mano d'aiuto per coinvolgere nel progetto le decine di deputati che non hanno alcuna intenzione di andare a casa un anno prima. Le firme, nei loro auspici, potrebbero diventare 50 e più. Dunque, un documento, per invitare il premier
ad accettare la svolta, intestarsela perfino, indicando una figura di spessore in grado di guidare un nuovo esecutivo d'emergenza con due finalità: approvare misure anticrisi e una riforma elettorale, nello scorcio di legislatura. E il tam tam tra Montecitorio e Palazzo Madama rimbalza con insistenza anche i nomi dei due candidati per l'operazione. Figure di peso e soprattutto di massima fiducia per il Cavaliere. Il più autorevole, il presidente del Senato Renato Schifani, e il braccio destro di sempre Gianni Letta.

Una "svolta", comunque, perché questo esecutivo non è in grado di affrontare la crisi, dice ormai apertamente Pisanu. Lo chiama "un governo dei migliori", Scajola. La settimana scorsa sedevano assieme a Casini e Roberto Formigoni nel salotto del banchiere ed economista cattolico Pellegrino Capaldo. Anche lui tra gli invitati all'appuntamento che quella fetta dell'establishment cattolico si è già dato per il 17 ottobre a Todi, alla presenza del presidente della Cei Angelo Bagnasco. In agenda non c'è la costituzione di un partito dei cattolici, che d'altronde nemmeno la Conferenza episcopale ha auspicato. Quel che è certo è invece che dai rami secchi del Pdl sta per nascere qualcosa di nuovo. Sotto la regia dei due pezzi da novanta Pisanu e Scajola - ex diccì e grandi catalizzatori di voti - starebbero lavorando a una nuova formazione "Liberal democratica" da lanciare a breve. Comunque alternativa a quel Pdl di Alfano, esordito come "partito degli onesti" e ormai quasi fagocitato dal "forza gnocca" berlusconiano. Nelle intenzioni di chi è all'opera, dovrebbe essere una forza in grado di aggregare laici e cattolici e alla quale oltre ai due big e ai parlamentari a loro vicini guarderebbero con interesse in tanti, da Pera a Dini. Un soggetto nuovo di zecca destinato fin dagli esordi a dialogare con Casini e Fini e dunque con il terzo polo già esistente.

Ma le elezioni sono lontane, nei disegni di chi si appresta intanto a invocare per iscritto una svolta in tre punti: no a "dannose elezioni anticipate", un governo di larghe intese (fosse pure esteso al solo terzo polo) per gestire l'emergenza della crisi, legge elettorale con preferenze. Non solo Scajola e Pisanu, in fermento nella maggioranza. Ieri il cristiano popolare Baccini (con lui Galati e Soglia) ha suggerito al premier di non ricorrere alla fiducia sulle intercettazioni. Un invito a non rischiare. Perfino l'ex generale Roberto Speciale si dichiara "a disagio". Versace ha già lasciato, i "responsabili" Sardelli, Milo e Iannaccone chiedono "aperture". Per non dire di Micciché coi suoi sudisti. Berlusconi i tamburi di guerra li avverte eccome. Continua a ripetere che i suoi, scajoliani compresi, non lo "tradiranno". Intanto, ieri mattina si è materializzato di buon'ora alla Camera nonostante ci fossero normali votazioni sul ddl intercettazioni. Una presenza per "rassicurare", spiegano dall'entourage. "Per mettere in guardia chi cospira" a sentire chi lavora già al dopo-Cavaliere.

(07 ottobre 2011) © Riproduzione riservata

da - REPUBBLICA.IT


Titolo: CARMELO LOPAPA Il premier rientrato dalla Russia accusa i "poteri forti".
Inserito da: Admin - Ottobre 10, 2011, 03:53:04 pm
Il retroscena

Il Cavaliere rilancia la campagna acquisti "Non avranno i numeri per sfiduciarmi"

Il premier rientrato dalla Russia accusa i "poteri forti".

Sul piatto, per far rientrare la spaccatura, ruoli di peso nel partito e nel governo.

Ma i frondisti sono pronti ad andare fino in fondo. Anche Alemanno al vertice dei dissidenti

di CARMELO LOPAPA


SI È CONVINTO che "una regia esterna stia provando a mettere insieme i pezzi, ad approfittare dei malumori interni per farmi fuori". E si dice altrettanto certo che "falliranno anche stavolta". È appena rientrato ad Arcore dal piacevole weekend in dacia tra San Pietroburgo e Mosca. "Ritemprato, tonico e motivato" come racconta un uomo di governo che lo ha sentito.

E il Cavaliere offre già nel pomeriggio ad alcuni dei suoi al telefono la sua lettura di quanto sta maturando negli ultimi giorni a Roma. "Io mi occupo di cose serie, sono già al lavoro sul decreto sviluppo" lascia trapelare ostentando sicurezza. I malpancisti "non hanno dove andare", insomma, lo sfiducino se ne sono capaci. Confida nel fatto che il fortino delle Camere reggerà come avvenuto il 14 dicembre, come sempre.

Il fatto è che i "frondisti" (che detestano essere definiti tali) sono pronti ad andare fino in fondo, come mai in passato: "Non hanno capito che facciamo sul serio" raccontano in anonimato. La promessa di un faccia a faccia Alfano-Scajola per metà settimana, forse mercoledì, non avrebbe sortito gli effetti sperati. Anche perché l'ambasciata informale è già avvenuta, l'offerta si concretizzerebbe in "ruoli di peso" nel partito, negli organismi dirigenti locali che si stanno formando, addirittura un posto da ministro per lo stesso Scajola.

Magari, azzarda un berlusconiano della cerchia ristretta, dopo uno spacchettamento
del ministero dell'Economia e la concessione a Tremonti del governatore di Bankitalia Vittorio Grilli. Paolo Romani si sposterebbe e lascerebbe così vacante il ponto da restituire all'ex ministro ligure due anni dopo.

Ma né Scajola né i suoi mangiano la foglia, per lo spacchettamento occorrerebbe modificare la legge Bassanini, ragionano, un decreto non basterebbe, non ci sono i tempi, ammesso che bastasse. Il gruppo dei dissenzienti tra Camera e Senato resta compatto e acquista peso. Deputati e senatori si vedranno martedì sera, e all'incontro, con i due big Pisanu e Scajola, dovrebbe partecipare anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno che con i suoi ha confermato ieri la propria disponibilità ad andare a "vedere le carte". È la conferma di quanto la partita si faccia complicata per Berlusconi. Quanto sia diventato concreto il rischio di una crisi al buio.

Il premier ha perciò deciso di rimettere in pista l'artiglieria pesante. In una riedizione della campagna acquisti in stile 14 dicembre. Il segretario Pdl è l'ambasciatore ufficiale con Scajola, ma le trattative, quelle "vere", il Cavaliere le ha delegate a Denis Verdini. Il coordinatore, destinato a indossare i panni del Mr. Wolf di Pulp Fiction ("Risolvo problemi") è stato lanciato in una sorta di "caccia all'uomo".

Nel mirino, uno per uno, gli scajoliani. Alcuni sarebbero stati già avvicinati. Altri lo saranno a Montecitorio. L'obiettivo è fare terra bruciata attorno all'ex ministro: l'unico big dissidente che nel radar di via dell'Umiltà è considerato davvero "pericoloso" perché dotato di "truppe". Si va dalla proposta della ricandidatura, all'invito a desistere da documenti di rottura o sfiducia, se non si vorrà vedere compromessa appunto la rielezione. Loro non desistono, per ora: "Nuovo governo e nuovo programma".

Anche se a Palazzo Chigi smorzano. "Si tratta solo di un dibattito interno, che non darà luogo ad alcuna frattura - sostiene il portavoce del presidente, Paolo Bonaiuti - L'unità del Pdl è sempre prevalsa e sarà così anche questa volta". Qualcun altro, come il sottosegretario Daniela Santanché, ricorda che "siamo alla vigilia dei congressi, posizionamenti e dibattiti sono fisiologici: Scajola e Formigoni non lasceranno. Di più: è imminente un ulteriore allargamento della maggioranza".

Tatticismi e guerra di posizione. Molto interna al partito, in cui ieri non è passato inosservato l'ennesimo giuramento di fedeltà di Angelino Alfano ("Berlusconi non si accantona"), dopo che il segretario era finito in un cono d'ombra per aver alluso in un intervento a Milano alla debolezza del premier. L'ex Guardasigilli resta dunque al suo fianco nel bunker, chiudendo le porte a Casini, a Formigoni e a chi nel Pdl chiede una svolta.

In questo clima, non proprio dei migliori per la maggioranza, si apre la settimana cruciale del ddl intercettazioni alla Camera. Ma il governo è atteso al varco soprattutto sul decreto sviluppo, rimasto finora una scatola vuota a dispetto della "scossa" invocata da Scajola.

Anche oggi da Arcore il premier sentirà alcuni esperti di economia per lavorare alle misure, che difficilmente vedranno la luce entro metà ottobre come promesso, e sembra invece abbia deciso per adesso di congelare l'opzione condono.  Non solo per i veti di Tremonti, ma anche per quelli di Bossi. Meglio rinviarlo a un prossimo provvedimento. Anche se in via XX Settembre già tremano al calcolo delle ricadute che lo stop and go sul ventilato colpo di spugna potrà avere già sull'acconto Irpef dei lavoratori autonomi a novembre.
 

(10 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/10/10/news/campagna_acquisti-22962541/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Scajola: "Fiducia, poi ci smarchiamo" (e vuole un ministero)
Inserito da: Admin - Ottobre 13, 2011, 12:02:37 pm
CRISI NELLA MAGGIORANZA

Scajola: "Fiducia, poi ci smarchiamo"
E pensa a un nuovo soggetto politico

Frenata dei frondisti del Pdl di fronte al voto sul discorso programmatico del premier.

Incontro di due ore tra Berlusconi e l'ex ministro: "Silvio, da amico, ti conviene dimetterti".

Poi propone un rimpasto per un governo-bis. Quasi pronto il 'documento sulla discontinuità'

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Il voto di fiducia sarà pure "al presidente Berlusconi e non a questo governo", come ha spiegato ieri sera a cena Claudio Scajola a una quindicina di parlamentari a lui più vicini, riuniti ancora una volta in un ristorante romano. Certo è che per chi, tra i suoi, si preparava fin d'ora a "staccare la spina" all'esecutivo in agonia, la decisione assunta dall'ex ministro ha avuto tutto il sapore della frenata.

Del resto, matura dopo il secondo pranzo in due giorni col Cavaliere a Palazzo Grazioli. Altre due ore di confronto serrato, a quattr'occhi, sulla soluzione migliore per uscire dalla crisi. "Per come si sono messe le cose, dovresti fare un passo indietro, è la via d'uscita che più ti conviene" è stato il suggerimento schietto, "da amico", di Scajola. "Nessuno ti può obbligare, sia chiaro, sarà una valutazione tua". Ma l'ennesimo crollo in aula dimostrerebbe a suo dire che "il rilancio non basta, bisogna allargare la maggioranza, aprire a Casini".

Il premier tuttavia non ha alcuna intenzione di accettare la condizione posta dal leader Udc, ovvero le dimissioni. Per lui sarebbe una sconfitta, l'ammissione di un fallimento. Altra cosa la disponibilità - che Berlusconi oggi ribadirà nel suo intervento - a dialogare coi moderati. Se non un nuovo premier, almeno si dia vita a un nuovo governo, è stato il secondo rilancio di Scajola: un Berlusconi-bis, ricambio ai ministeri strategici, a cominciare
dall'Economia. Ipotesi che il presidente del Consiglio ha promesso di prendere in considerazione.

Come pure l'ex ministro avrebbe invocato un ricambio ai vertici del gruppo, anche alla luce della "scarsa tenuta" sul rendiconto dello Stato, e una riorganizzazione del partito e dei congressi con le tessere: "Non possono continuare a esistere i tre vecchi coordinatori col nuovo segretario". Su tutto il capo del governo ha annuito, ha apprezzato i suggerimenti, ha preso tempo.

Alla fine, Berlusconi dirà a capigruppo e ministri pidiellini di aver "recuperato Claudio e i suoi" e di potersi ora occupare di rilanciare il governo col voto di fiducia di domani, considerato scontato.

Scajola sarà più cauto, raccontando in serata quanto avvenuto ai parlamentari. Li aveva convocati e ascoltati già in mattinata per due ore, prima di tornare dal premier. Una strategia concordata con Beppe Pisanu e Roberto Formigoni, con i quali i contatti telefonici restano costanti. Domani voto di fiducia, passaggio che i "malpancisti" ritengono "inevitabile". Scajola non ha ancora deciso - ma è probabile - se prenderà la parola in aula domani per sottolineare quel che non va.

A seguire, qualcuno sostiene già da domani, la pubblicazione del documento per la "discontinuità", sul quale la raccolta di adesioni è già in corso. Le firme tuttavia non sono sufficienti a dar vita a un gruppo parlamentare. L'obiettivo allora diventerà il "logoramento" quotidiano, finché non sarà Berlusconi a decidere di gettare la spugna.

"Di certo da domani tutto non potrà proseguire come prima - spiega uno degli scajoliani più impegnati - Dovremo smarcarci, creare una componente strutturata che tratti sui singoli temi, che abbia una propria autonomia".

E il modello pensato è quello del Forza del Sud di Micciché. Primo terreno di battaglia, il decreto sviluppo. Al Senato, accanto a Pisanu stanno lavorando altri pidiellini quali Baldini, Amato, Saro, Orsi, Lauro, Scarpa Bonazza. Alcuni dei cosiddetti frondisti hanno ricevuto ieri la telefonata "rassicurante" di Angelino Alfano. Il segretario in pubblico getta acqua sul fuoco: "Nessuna fronda, un normale dibattito, con Scajola un franco dialogo nel partito".

E le dichiarazioni ufficiali dei deputati vicini all'ex ministro non sono distanti. "Da Scajola e dai suoi amici mai una sfiducia a questo governo" dice Michele Scandroglio. Ignazio Abrignani precisa: "La fiducia a Berlusconi non è in discussione". Anche al governo? "Fiducia in Berlusconi". La voteranno pure i tre "responsabili" in fibrillazione (Sardelli, Milo e Marmo), non così Santo Versace, già ex Pdl, perché "serve un esecutivo di unità nazionale", e nemmeno Calogero Mannino. Mancherà anche il voto di Pietro Franzoso, degente in ospedale. Assenze ininfluenti, calcola tuttavia il pallottoliere di Verdini.
 

(13 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/10/13/news/scajola_si_smarca-23137855/


Titolo: CARMELO LOPAPA Catricalà rinvia gli incontri per le nomine.
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2011, 10:19:22 pm
Il caso

Sottosegretari, il premier congela tutto prima i partiti devono trovare un accordo

Veti e controveti negli schieramenti, Catricalà rinvia gli incontri per le nomine.

Commissioni, alt di Bindi a Bossi.

Possibile entro domani un contatto tra i segretari di Pd, Pdl e Terzo polo 

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Fermate i motori. Trattative in stand-by e incontri di oggi congelati, per la formazione della squadra di viceministri e sottosegretari. Troppi veti incrociati e dibattiti ritenuti "sterili" da Palazzo Chigi, in particolare su alcune delle deleghe più "calde", dalla Giustizia alle Telecomunicazioni. Tanto più in un momento così delicato: il presidente del Consiglio è alle prese col varo dei primi interventi economici ed è concentrato sulle missioni di domani e giovedì tra Bruxelles e Strasburgo.

Così, Mario Monti ha intimato uno stop al sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, incaricato di tenere i rapporti con le segreterie di Pd, Pdl e Terzo polo per la scelta dei 35 componenti mancanti del governo.

Non solo perché il nodo si rivela più ingarbugliato del previsto e lo stesso premier intende occuparsene mercoledì (nella pausa romana tra i due vertici Ue) o più probabilmente venerdì. Ma soprattutto perché il Professore vuole che "i partiti raggiungano tra loro un'intesa preliminare" sulle deleghe e sulle rose di nomi.

Nei pochi contatti telefonici intercorsi nel fine settimana tra le segreterie, non è stato escluso che già tra stasera (al rientro dalla due giorni trascorsa all'estero da Angelino Alfano) e domani i big dei partiti che sostengono l'esecutivo possano avere un primo incontro informale, per confrontarsi e chiarirsi.

D'altronde, sembra essere
questa la prassi prediletta d'ora innanzi dal premier, già collaudata sulla scelta dei ministri, coi vertici Alfano-Bersani-Casini durante le consultazioni.

La giostra di nomi per i posti nei dicasteri continua a girare vorticosa, a quelli circolati nel fine settimana si aggiunge adesso quello di Teresa Petrangolini, fondatrice del Tribunale per i diritti del malato, in corsa per una delega al Welfare, con la doppia sponda centrista e pd.

I problemi sono altrove. Coi berlusconiani che insistono sulla sponsorizzazione di Michele Saponara alla Giustizia (e i democratici su quella di Massimo Brutti) e con la contesa aperta sulla delega strategica alle telecomunicazioni. Monti ha fatto sapere che la scelta finale sulle rose dei nomi proposte dai partiti sarà sua e dei ministri.

Nel Pdl non sono pochi quelli che, come Guido Crosetto, vorrebbero puntare i piedi. Il Parlamento ritrovi "il proprio ruolo", dice l'ex sottosegretario alla Difesa, e se i ministri scelgono i sottosegretari "come fossero loro assistenti, allora serve un corso veloce sulle regole della democrazia". L'Idv col capogruppo Felice Belisario mette in guardia, al contrario, dalle "manovre sottobanco per lottizzare le nomine e trasformarle nel solito indegno mercato: siano tutti indipendenti". Una linea sulla quale si attesta anche qualcuno (ma non la maggioranza) nel Pd, come Mario Barbi: "Tutti tecnici, o cambia la natura del governo".

Lo scontro nel frattempo si sposta anche sulle commissioni parlamentari. La Lega, unica opposizione, rivendica quelle di garanzia: Copasir (D'Alema) e Vigilanza Rai (Zavoli). Il fatto è che gli uomini di Bossi vorrebbero tenersi anche quelle che già deteneva in maggioranza. Quattro: Bilancio, Esteri, Attività produttive e Ambiente alla Camera, e Politiche Ue al Senato. D'Alema ha già messo a disposizione la sua presidenza. Ma il Pd con Rosy Bindi detta le condizioni. "La Lega decida se essere di lotta o di governo: se vuole il Comitato di controllo sui servizi, rinunci alla presidenza delle altre".
 

(21 novembre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/21/news/sottosegretari_partiti-25332289/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Monti prepara la missione Ue la Cgil contro l'Ici
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2011, 10:20:19 pm
di CARMELO LOPAPA

Monti prepara la missione Ue la Cgil contro l'Ici

"Oggi è domenica" taglia corto coi giornalisti il presidente del Consiglio intercettato appena uscito da messa in centro, a Roma, per glissare sui dossier che lo stanno impegnando nel primo week end da premier. Perché al lavoro comunque è rimasto, il Professore, in mattinata per almeno due ore a Palazzo Chigi, spostandosi poi nel pomeriggio al ministero dell'Economia di via XX Settembre, dopo un blitz alla mostra in corso alle Scuderie del Quirinale.

Sul suo tavolo, le priorità di indirizzo che saranno affidate a ciascun ministro nel primo Consiglio in programma domattina. Ma soprattutto le misure economiche che saranno oggetto delle prime uscite internazionali previste in settimana. Martedì a Bruxelles, dove Monti incontrerà il presidente Ue Barroso e quello del Consiglio europeo Van Rompuy, e giovedì a Strasburgo per l'atteso trilaterale con Merkel e Sarkozy. La reintroduzione dell'imposta sugli immobili  -  stando a quanto trapela in queste ore  -  rientrerà quasi certamente nel primo pacchetto di interventi. Come pure un ritocco all'Iva e una riduzione di Irpef e Irap per alleggerire la pressione fiscale su persone fisiche e aziende. Sul ritorno all'Ici il segretario della Cgil Susanna Camusso si oppone: "Non può essere il punto di partenza, si può fare un riordino della tassazione sulla casa solo in conseguenza dell'avere cambiato la distribuzione della tassazione quindi partendo da un'imposta sulle grandi ricchezze".

Resta sullo sfondo, per adesso, lo snodo tutto politico dei sottosegretari e vice ministri che il governo deve designare da qui a qualche giorno. Il premier ha già rinviato tutto a fine settimane, forse venerdì. Ma domani, dopo il cdm, il sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà incontrerà i segretari dei partiti che sostengono la maggioranza per trovare un'intesa. Quel che è certo è che non saranno parlamentari in carica ma tecnici di area, che tra vice e sottosegretari non dovranno superare quota 35 e che tra Pd e Pdl esiste un accordo tacito per una distribuzione equa: 13-15 e 13-15 ciascuno, altri 7 al Terzo polo. La scelta finale sui nomi spetterà a Monti e alla sua squadra. Il pidiellino Guido Crosetto protesta: il Parlamento deve ritrovare il "proprio ruolo" e se i ministri pensano di scegliere i sottosegretari "come fossero loro assistenti, allora serve un corso veloce sulle regole della democrazia".

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Titolo: LOPAPA Berlusconi insiste per le deleghe alla Giustizia e Telecomununicazioni
Inserito da: Admin - Novembre 28, 2011, 07:20:58 pm
La trattativa

Intesa sui sottosegretari, tutti tecnici martedì la nomina, quota super al Pdl

Trovata la quadra nell'incontro notturno a palazzo Giustiniani: cinque fedelissimi di Monti, 12 al Popolo della libertà e 13 tra Pd e terzo polo. Non ci sarà spazio per ex parlamentari.

Berlusconi insiste per le deleghe alla Giustizia e alle Telecomunicazioni

di CARMELO LOPAPA

Intesa sui sottosegretari, tutti tecnici martedì la nomina, quota super al Pdl Carlo Malinconico, presidente Fieg, uno dei probabili sottosegretari, con delega all'editoria (ansa)



ROMA - Martedì il Consiglio dei ministri e la nomina dei sottosegretari. Mario Monti non vuole indugiare oltre in una trattativa che rischia di impantanare il governo. L'accordo è stato chiuso, in linea di massima, nel vertice di giovedì notte 1 a Palazzo Giustiniani. Dodici pedine in quota Pdl, 5 vicine al premier, 13 tra Pd e Terzo polo. Fuori tutti i politici, alla fine anche gli ex parlamentari: solo tecnici (di area). Sul tavolo resta il nodo Vittorio Grilli.

L'incontro dei tre leader Alfano, Bersani e Casini con il presidente del Consiglio è stato smentito dalle tre segreterie. Non da Palazzo Chigi, d'altronde fonti ben qualificate dei tre partiti, nelle stesse ore, hanno confermato una notizia colorata di giallo. Col probabile ingresso dei big a Palazzo Giustiniani (dove ha ufficio Monti) attraverso il tunnel che lo collega al Senato.

Al buio della sera, per evitare "foto di gruppo" giudicate imbarazzanti da democratici e pidiellini. Il presidente del Consiglio in quella sede ha insistito sulla presenza dei politici. Ma sul punto, il no soprattutto di Alfano è stato categorico. Tramonta così anche l'ipotesi di un ingresso di ex parlamentari (D'Andrea per il Pd, D'Onofrio per i centristi) per i Rapporti col Parlamento. La distribuzione passata assegna al Pdl la quota maggiore (12) perché "partito di maggioranza relativa e per compensare il sacrificio del passo indietro del suo premier" è stato il ragionamento di Alfano, sostenuto nella trattativa da Gianni Letta.

Bersani e Migliavacca per il Pd e Casini e Rutelli per il Terzo polo alla fine accettano metodo (tutti tecnici) e ripartizione. La scelta di politici, soprattutto in casa berlusconiana rischiava di acuire fibrillazioni che - raccontano dirigenti Pdl - già si avvertono tra i "falchi" per il semplice fatto che Alfano e Letta abbiano portato avanti una trattativa. Che chiuderà i battenti lunedì.

Passa intanto la "riserva" del premier. Monti ha chiesto di potersi avvalere di cinque uomini di fiducia. Il Professore vorrebbe viceministro all'Economia Vittorio Grilli, il direttore generale del Tesoro che è stato in corsa, per settimane, per Bankitalia (sponsor Tremonti). L'alto burocrate però ha un'indennità annua da oltre 500 mila euro, che vedrebbe decurtata fino ai 150 mila circa del sottogoverno. È uno degli ultimi nodi da sciogliere.

Il funzionario del Senato Federico Toniolo è un'altra pedina in quota Monti, come il presidente Fieg Carlo Malinconico (delega Editoria), il consigliere della Corte dei conti Paolo Peluffo, il direttore generale della Funzione pubblica Francesco Verbaro, il direttore generale dell'Anci, Antonio Rughetti per gli Interni.

Il Pdl continua a rivendicare le deleghe alla Giustizia e alle Tlc (Roberto Viola). Questo il mandato che Berlusconi ha consegnato al segretario, a Verdini, a La Russa incontrati a Grazioli prima di rientrare a Milano.

Una giornata che ha segnato un ulteriore strappo con Bossi. Il Senatur stronca l'esecutivo a modo suo ("Sono degli improvvisati, è un governo che fa schifo") e commenta a freddo le dimissioni dell'ex premier: "Gli hanno ricattato le imprese, crollate in borsa del 12 per cento in un giorno, e ha dovuto lasciare". Il Cavaliere non ci sta a passare per un ricattato. "Le mie dimissioni motivate dal senso di responsabilità e nell'interesse esclusivo del Paese".
 

(26 novembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/11/26/news/accordo_sottosegretari-25616804/?ref=HREC1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Tra i parlamentari scatta la rivolta
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2011, 10:27:35 am
La polemica

Indennità, cinquemila euro in meno

Tra i parlamentari scatta la rivolta

Scontro sul decreto del governo che da gennaio taglia gli stipendi di deputati, senatori e di tutte le cariche elettive. Ma loro non ci stanno: "Decidiamo noi, lede l'autonomia del parlamento". Già tagliato il vitalizio

di CARMELO LOPAPA


LA RIVOLTA parte dalla Camera e rimbalza in poche ore al Senato. La norma della manovra Monti che prevede un decreto per tagliare già da gennaio le indennità ai parlamentari  -  e con loro a tutte le altre cariche elettive  -  non passa. "Viola l'autonomia del Parlamento", andrà riscritta. E rivista. Su deputati e senatori si abbatte una nuova scure.

La notizia è che, dopo la cancellazione del vitalizio, tra poche settimane anche l'indennità verrà dimezzata o quasi. E ora è braccio di ferro sull'ammontare del taglio. Stipendio da agganciare agli europarlamentari, è la proposta messa per iscritto dai questori del Senato. No, così le spese raddoppiano anziché ridursi, rilanciano da Montecitorio: meglio la media delle indennità nei paesi Ue.

La prima bocciatura alla stretta arriva dalla commissione Affari costituzionali della Camera, che in queste ore ha espresso parere negativo sul settimo comma dell'articolo 23 della manovra. È la norma che prevede che dal primo gennaio gli stipendi di amministratori, consiglieri, sindaci e parlamentari subiranno un taglio che li equipari ai colleghi europei. A far insorgere le Camere, la previsione del ricorso a un decreto del governo nel caso, ormai probabile, in cui la commissione guidata dal presidente Istat Enrico Giovannini non depositi il previsto studio di comparazione entro fine anno. Nel Parlamento vige l'"autodichia", protestano.

La prima commissione di Montecitorio ha già
bocciato il comma. "Tocca a noi decidere come procedere". Lo stesso accade a Palazzo Madama. "Quell'intervento, giusto nel merito, lede l'autonomia del Parlamento - spiega il senatore questore Benedetto Adragna - Se non lo faranno prima i colleghi della Camera, il nostro collegio dei questori depositerà un emendamento correttivo. Puntiamo all'equiparazione ai parlamentari europei, con tutto ciò che ne consegue".

Il conto è presto fatto. Oggi l'indennità di un deputato italiano ammonta a 11.704 euro al netto della diaria. La media delle retribuzioni nell'eurozona è invece di 5.339 euro e quello sarebbe l'implicito suggerimento del governo Monti. Invece l'eurodepuato, al quale i senatori si vorrebbero agganciare, guadagna circa 5.900 euro netti mensili. Ma a Bruxelles vigono benefit di peso: i collaboratori sono a carico del Parlamento e i rimborsi spese (come i voli) avvengono a piè di lista, dopo presentazione di ricevute, ma sono "pieni".

Così, a Montecitorio i tecnici hanno fatto due conti e hanno scoperto che l'adeguamento all'Europarlamento farebbe quasi raddoppiare i costi della "casta" anziché ridurli. Ecco perché col placet della struttura, alla Camera i relatori alla manovra depositeranno nelle prossime ore un emendamento più in linea col progetto Monti. Spiega il questore di Montecitorio Gabriele Albonetti: "Dobbiamo parametrarci a un regime molto più rigido e individuare quale sia la soglia effettiva delle indennità nette, perché il lordo non fa testo, la fiscalità è diversa da paese e paese".

Quel che è certo è che matura la vera stangata, quella sull'indennità (già decurtata di mille euro a inizio anno). Lamberto Dini si fa portavoce della protesta: "Le nostre retribuzioni sono già sotto la media Ue". Alessandra Mussolini, intervista da "Anna" sostiene che già togliere il vitalizo è istigazione al suicidio", figurarsi il resto. Al rientro degli onorevoli lunedì dal lungo ponte festivo, sarà battaglia.


(10 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2011/12/10/news/indennit_5mila_euro_in_meno_tra_i_parlamentari_scatta_la_rivolta_di_carmelo_lopapa-26369083/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Ordini, imprese, faccendieri Parlamento ostaggio delle lobby
Inserito da: Admin - Gennaio 07, 2012, 10:27:37 pm
L'INCHIESTA

Ordini, imprese, faccendieri Parlamento ostaggio delle lobby

Otto proposte di legge per rendere le cose trasparenti. Ma prevale un Far West nel quale operano personaggi come l'ex piduista Bisignani.

"Liberalizzare per Monti sarà un'impresa" dice Lanzillotta (Terzo Polo): "La spunta solo se inserisce tutto in pacchetto unico come per la manovra"

di CARMELO LOPAPA e ROBERTO MANIA

ROMA - Una casta nella casta, l'una nascosta dentro l'altra. Come in una matrioska. Si fa presto a dire lobby. Sono partiti, pezzi interi di Parlamento, a farsi consorteria, a curare interessi, a schermare affari. Lobbisti sono gli stessi onorevoli. Anche se a invadere i corridoi di Montecitorio sono sempre più stormi di faccendieri.

Li chiamano "sottobraccisti". Pronti a prendere sotto braccio il parlamentare e spiegare, ammansirlo. Hanno trasformato l'anticamera delle commissioni più delicate - dalle Attività produttive al Bilancio - in un suk.
È accaduto poche settimane fa, quando il governo ha dovuto stralciare dal decreto "Salva Italia" le norme sulle liberalizzazioni. Si ripeterà tra pochi giorni.

L'Antitrust ha dettato la sua ricetta per liberalizzare energia, Poste, servizi pubblici. Monti e Catricalà torneranno alla carica. E gli emissari dei gruppi di interesse sono entrati già in fibrillazione. Avranno una buona sponda all'interno delle Camere.

Ancora una volta, il Parlamento delle corporazioni alzerà le sue barricate. In un gioco ad incastri nell'opacità, senza trasparenza, senza regole, senza controlli. Un Far West in cui poco è cambiato da quando un faccendiere pluricondannato come Luigi Bisignani, piduista e poi protagonista dell'inchiesta sulla P4, è diventato fulcro di operazioni che hanno coinvolto governo, Parlamento, linee strategiche di aziende multinazionali come Finmeccanica o Eni.

È l'ampia zona grigia dell'italico processo decisionale abitata da lobbisti che si travestono da parlamentari, da parlamentari peones succubi dei lobbisti, da migliaia di mediatori senza specifici vincoli di legge, dagli uomini potenti delle relazioni istituzionali dei grandi gruppi industriali, delle banche e delle assicurazioni che si mischiano con quelli dei gruppi di pressione vecchio stile: Confindustria, Confcommercio, sindacati, cooperative rosse e bianche.

E poi, sì, ci sono anche i condizionamenti d'Oltretevere, perché c'è stato - eccome - il pressing della Chiesa nella manovra che ha impedito che la pillola anticoncezionale (fascia C non rimborsabile dal servizio sanitario nazionale) finisse sugli scaffali della grande distribuzione. E a poco è valsa la garanzia del farmacista dietro il banco.

LE CORPORAZIONI IN AULA
Ma perché abbiamo un Parlamento prigioniero delle corporazioni? C'è una lettera (protocollo 20080004354/A. G.) del 16 aprile del 2008 firmata dall'allora presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti, Giacomo Leopardi (alla guida dell'ordine per ben 23 anni) che spiega - involontariamente, sia chiaro - chi sono i lobbisti con indennità da parlamentare.

La lettera è scritta subito dopo le ultime elezioni ed è inviata a tutti i presidenti degli ordini dei farmacisti. "Si fa seguito e riferimento alla circolare federale n.7123 del 10 marzo u. s. per informare che, con riferimento alle elezioni politiche del 13 e 14 aprile u. s., sono risultati eletti al nuovo Parlamento i seguenti farmacisti. Dott. Rocco Crimi (Pdl), Camera, Dott. sa Chiara Moroni (Pdl, passata poi a Futuro e Libertà, ndr), dott. Valerio Carrara (Pdl), Senato, Dott. Fabrizio Di Stefano (Pdl), Senato. Si evidenzia inoltre che è stato eletto al Senato anche il Dott. Luigi D'Ambrosio Lettieri (Pdl), presidente dell'Ordine dei farmacisti della provincia di Bari e componente del Comitato centrale della federazione".

Ma non è finita: "La scrivente esprime ai farmacisti eletti vivissime congratulazioni e formula loro i migliori auguri di un buon lavoro da svolgere nel rispetto dei valori ordinistici e dei principi fondanti la nostra professione". Uno smaccato conflitto di interessi nella degenerazione del parlamentare-designato chiamato a rispondere al suo capo partito e a nessun elettore.

Così, dopo il partito della Coldiretti, che nella prima Repubblica eleggeva non meno di una trentina di deputati nelle liste della Dc, quello dei farmacisti che ha deciso di giocare la sua partita politica nel centrodestra della seconda Repubblica. Così, non c'è da stupirsi se D'Ambrosio Lettieri è anche il primo firmatario della lettera dei 73 parlamentari anti liberalizzazioni, suddivisi tra Pdl, Io Sud e Terzo Polo. E che firme tra quei parlamentari: da Maurizio Gasparri a Raffaele Fitto, da Maurizio Lupi a Francesco Nitto Palma, da Gaetano Quagliariello a Maria Roccella, da Paolo Romani a Massimo Corsaro. Tutti in prima linea.

In qualche caso, com'è avvenuto per le quote latte, è un intero partito a farsi lobby, sotto le insegne di Alberto da Giussano. Che poi è l'accusa che da destra muovono al Pd quando entrano in gioco le coop. Tra gli scranni siedono 133 avvocati, 53 medici, 23 commercialisti, 13 architetti, 90 giornalisti. I paladini delle toghe si chiamano Maurizio Paniz, Nino Lo Presti, Gaetano Pecorella, tra gli altri. Già in guerra contro il progetto del governo di cancellare l'iscrizione agli ordini, gli esami di Stato e le tariffe minime.

Non ci sono tassisti, nelle Camere. Ma è come se ci fossero. Tutti nella destra: Barbara Saltamartini, Vincenzo Piso, Francesco Biava, scuderia di Gianni Alemanno, il sindaco di Roma che deve la sua scalata al Campidoglio anche alle 7.500 auto bianche schierate con lui nel 2008. Per la verità uno dei capi della categoria, quel Lorenzo Bittarelli, presidente dell'Uritaxi e della potente cooperativa romana del 3570 ha provato senza riuscirci a entrare in parlamento nelle liste del Pdl.

Ma ai tassisti basta minacciare di bloccare le città per ottenere il risultato. A Roma stanno con la destra, a Milano con la Lega. Per i loro padrini politici, irrinunciabili opinion maker ambulanti, capaci di incidere sul consenso in piena campagna elettorale. In fondo, pensano la stessa cosa dei farmacisti.

LE "CORPORATE" A PALAZZO
Poi ci sarebbero i lobbisti "doc", quelli delle corporate multinazionali che promuovono - quando vogliono - le campagne attraverso i social network. Lo fanno anche in Italia e la politica è costretta a rincorrere. Clamorosa fu per esempio la protesta via web sui costi delle ricariche telefoniche. Dietro pare ci fosse uno degli operatori del settore.

Massima discrezione e super attivismo anche per la lobby delle autostrade. Si chiama Aiscat, rappresenta 23 concessionari che gestiscono 5.600 chilometri di rete. A inizio anno le tariffe autostradali sono già aumentate. Municipalizzate, benzinai, commercianti, banche. Chi come Linda Lanzillotta da anni si batte per aprire uno squarcio alle liberalizzazioni, scuote la testa scettica: "Monti può farcela solo se presenta un pacchetto complessivo, altrimenti addio. Gli salteranno addosso".

I PRIVATI DIETRO I PARTITI
Se ci fosse trasparenza sui flussi di finanziamento della politica sarebbero chiari i collegamenti tra lobby e parlamentari. Avviene negli Stati Uniti e in quasi tutti i paesi a democrazia matura. Da noi no, da noi si finge. Così che la relazione ai presidenti delle Camere del Collegio di controllo sulle spese elettorali della Corte dei Conti rileva che tutte le forze politiche abbiano ricevuto contributi da privati, ma non si sa sempre da chi e soprattutto per quali importi.

Opacità. Non fosse altro perché il finanziamento può restare anonimo fino alla non indifferente soglia dei 50 mila euro. I vantaggi per l'imprenditore che trasferisce denaro ai "cari leader" sono invece consistenti, dato che scatta un diritto alla detrazione del 19 per cento di quanto versato.

Un quadro interessante emerge scorrendo le dichiarazioni depositate alla Camera dei contributi a partiti nazionali e locali e singoli parlamentari nel 2010. La torta che le varie sigle si sono spartita ammonta a 49 milioni di euro in un solo anno. A parte delle centinaia di microversamenti, si scopre ad esempio che Giuseppe Mussari, presidente del Monte dei Paschi e dell'Abi, l'associazione bancaria italiana, risulta essere il mecenate del Pd di Siena: 85 mila euro nel 2009, 100 mila nel 2010.

Il Pdl ha ricevuto 50 mila euro dalla spa Metro C di Roma, 50 da Progetto 90 srl di Roma e 50 dalla Milano 90, entrambe di quel Sergio Scarpellini che è proprietario di una serie di immobili locati dalla Camera (e ora in via di smobilitazione). E poi 80 mila dalla Master immobiliare di Roma, 80 mila dalla Leva srl di Roma, 200 mila dal Consorzio Villa Troili di Roma, 50 mila dalla Mezzaroma Ingegneria srl, 75 mila dalla Italiana Costruzioni spa di Roma e via finanziando fino a quota 4 milioni 700 mila euro.

Mara Carfagna spicca per trasparenza, perché la deputata pidiellina a differenza di altri, pur non essendo tenuta, rende pubblici anche i mini finanziamenti ricevuti nell'anno della sua candidatura in Campania da sette finanziatori, tra cui AirItaly, per un totale di 47 mila euro (sotto soglia).

L'Udc invece nel 2010 incassa 600 mila euro. Dietro, c'è tutto il supporto della famiglia Caltagirone (suocero di Casini): 100 mila euro ciascuna la Caltagirone Francesco, Caltagirone Francesco Gaetano, Caltagirone Gaetano, Caltagirone Alessandro, la Porto Torre spa, la WXIII/E srl di Roma.

Finanziamento non equivale a condizionamento. Questo è chiaro. Ma la trasparenza dei dati spesso aiuta a capire. E in qualche modo risalta l'assenza dei grandi gruppi industriali dalle dichiarazioni pubbliche.

LE LOBBY SUL GOVERNO
In principio era solo Fiat. E gli amministratori parlavano direttamente coi ministri. "Oggi se dovessi stilare una classifica, direi che in Parlamento si muovono parecchio con i loro uomini Eni e Enel, seguiti dalle aziende telefoniche e dagli altri gruppi energetici", racconta il democratico in commissione Attività produttive Andrea Lulli.

Il problema è che ad accedere a Montecitorio e Palazzo Madama non sono solo i responsabili delle relazioni esterne dei grandi gruppi. "Ci sono tre categorie di avventori", racconta Fabio Franceschetti, un passato radicale, oggi a capo della "Nomos" una delle più quotate e delle poche ufficiali società di lobbying. "La prima categoria è quella degli uomini azienda di società e multinazionali, poi ci siamo noi, professionisti e tecnici che agiamo per conto delle aziende, infine i battitori liberi o faccendieri".

Sono tanti, tantissimi, spesso avvocati di professione, lavorano per contatto o conoscenza personale, forti di una voluminosa rubrica. Rientrano un po' nella categoria i Bisignani, i Lavitola, i Tarantini. "Il paradosso è che in Parlamento non ti fanno entrare col tesserino da ospite se non ti dichiari rappresentante di un'azienda: dichiararsi società di lobbying non conta niente", dice ancora Franceschetti.

Il dipietrista Antonio Borghesi descrive la scena: "Fuori dalle commissioni stazionano questi emissari. Spesso sono giovani donne. Soprattutto quelle delle aziende telefoniche e delle società autostradali. Molto suadenti, spesso insistenti. Quando ci sono le sedute notturne e quando si sta per decidere, diventa tutto un grande suk".

Il grande suk degli interessi. Senza i riflettori accessi, nella penombra. Senza nessuna legge. Perché i lobbisti made in Italy preferiscono l'opacità. Ci sono otto proposte di legge presentate in Parlamento. Per nessuna è cominciata la discussione. Resteranno lettera morta, come le altre quaranta proposte degli ultimi decenni. Altro che Bruxelles, Londra o Washington. Qui di società ufficiali che interagiscono con la politica se ne contano davvero poche. La "Reti" di Claudio Velardi, la Cattaneo Zanetto & C., la FB & Associati e la Nomos.

Fabio Bistoncini, boss della Fb, sui suoi "Venti anni da sporco lobbista" ha pubblicato quest'anno un libro (Guerini e associati editore). "Il senso della mia storia da lobbista lo troverò - racconta - quando il lavoro che faccio uscirà dal cono d'ombra che lo avvolge". Troppi "sottobraccisti" in circolazione, che "non offrono competenza, ma vendono relazioni".


(07 gennaio 2012) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/economia/2012/01/07/news/lobby_bloccano_parlamento-27701584/


Titolo: CARMELO LOPAPA Province tra abolizione e salvataggio è caos al bivio delle ...
Inserito da: Admin - Febbraio 11, 2012, 11:11:25 pm
DOSSIER

Province tra abolizione e salvataggio è caos al bivio delle amministrative

Il presidente della Repubblica ha intimato un intervento: occorre prendere una decisione.

Da settimane se ne discute a Montecitorio ma l'accordo è lontano. In otto scadono a maggio. saranno commissariate

di CARMELO LOPAPA

ADDIO Province. Ma forse no. Il governo Monti le smantella col decreto Salva-Italia, in Parlamento si lavora per tenerle in qualche modo in vita. E intanto, in primavera, per le prime otto in scadenza anziché il voto arriva il commissario prefettizio, tra proteste e ricorsi alla Consulta. Sugli enti intermedi è il caos. Normativo, organizzativo, finanziario. Non a caso il presidente della Repubblica Napolitano ha intimato l'aut-aut: "Occorre fare un punto e scegliere una strada e risolvere il problema con razionalità". In commissione Affari istituzionali di Montecitorio si discute da settimane, ancora senza una soluzione, e Pd e Pdl concordano sulla necessità di una nuova disciplina che non preveda però la loro cancellazione. Il governo cerca di dare una scossa. Lunedì il ministro dell'Interno Cancellieri ha già convocato un vertice coi responsabili enti locali dei partiti. Le Province rilanciano con un loro piano per ridurre il numero da 108 a 60 e le spese per 5 miliardi. Ma la pressione dell'opinione pubblica è alta. Anche perché sullo sfondo resta appunto il capitolo costi: quello che ha acceso il caso e non da ora. Perché è vero, come emerge dai tabulati dell'Unione delle Province, che nel 2011 le spese sono state "solo" di 11 miliardi 618 milioni, con una riduzione del 14% rispetto al 2008, e che presidenti, assessori e consiglieri sono ora ridotti a 1.174 con un costo di 111 milioni l'anno. Ma è anche vero che l'ultimo
conto economico pubblicato dall'Istat dimostra come dal 1990 al 2010 la spesa pubblica per le Province è passata da 4,6 a 12,5 miliardi.

PARTITI DIVISI
In ordine sparso in Parlamento. La commissione Affari costituzionali è al lavoro alla Camera, deve produrre un testo entro il 31 marzo 2013, ma non c'è alcuna intesa tra i partiti. "Una follia prevedere la trasformazione di questi enti in organo di secondo livello, rendendolo di nomina politica" spiega il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti (Pd): "La vera riforma deve puntare alle competenze, con la riduzione del numero e il mantenimento delle funzioni di coordinamento". La proposta Pdl alla quale lavora Donato Bruno, non è molto differente: accorpamento e riduzione del numero, almeno 20-24 consiglieri da eleggere come avvenuto finora. La Lega punta al mantenimento dello status quo. Mentre l'Udc sposa la riforma appena varata da Monti. L'Idv, tranchant, è per la cancellazione proposta in una legge di iniziativa popolare già sottoscritta da 400 mila elettori. "Un peso morto, vanno abolite" sentenzia il deputato Antonio Borghesi.

IL DECRETO SALVA-ITALIA
Mai più elezioni provinciali. Sono otto le Province che vanno in scadenza tra aprile e maggio ma saranno le prime cavie a finire sotto la tagliola della cura Monti. Niente rinnovo per i consigli, nessuna elezione diretta del presidente per le amministrazioni di Genova, La Spezia, Como, Ancona, Cagliari, Ragusa, Vicenza e Belluno. È una delle ricadute più immediate dell'articolo 23 del decreto Salva-Italia. In quelle aree le Province resteranno in vita, ma le competenze di presidente e giunta saranno acquisiti da un unico commissario prefettizio o comunque governativo. L'Unione delle Province si prepara a impugnare la norma dinanzi alla Corte Costituzionale (l'organo è previsto dalla Carta e non può essere soppresso così, è la tesi). In ogni caso, entro il marzo 2013 una legge dovrà definire i destini delle altre 99 Province, per le quali comunque la norma vigente non prevede nuove elezioni.

LA CONTRO-PROPOSTA
È stato il decreto Salva-Italia dello scorso dicembre a imprimere la svolta. Cancellate le giunta, ridotti i consiglieri, abolite le elezioni per le Province, funzioni trasferite. È l'articolo 23 a dettare le nuove regole. L'ente mantiene "esclusivamente le funzioni di indirizzo politico e di coordinamento delle attività dei Comuni". Resta la figura del presidente, ma eletto dal consiglio provinciale. Quest'ultimo, a sua volta non sarà eletto con le consuete elezioni provinciali ogni cinque anni, ma composto da non più di dieci componenti (oggi sono stati già ridotti a 18) selezionati dai consigli comunali del territorio di riferimento. Le funzioni verranno trasferite ai comuni o acquisite dalle regioni con le modalità definite da una futura legge dello Stato. E con i compiti vengono trasferiti anche i circa 60 mila dipendenti.

LE CIFRE
Spese triplicate. È il quadro a tinte fosche che sembra abbia spinto il premier Monti a intervenire già a dicembre senza indugiare oltre. Si tratta del conto economico delle amministrazioni provinciali per gli anni 1990-2010 elaborato dall'Istat. Non tiene conto dei "risparmi" fatti registrare dagli enti (e rivendicati dall'Upi) alla chiusura dello scorso anno. Ma è comunque significativo. Cosa emerge dalla complessa tabella? Per esempio che le spese correnti che ammontavano a 3,6 miliardi nel 1990, sono lievitate fino a 9,9 miliardi nel 2010. Sono cioè triplicate. Quelle per investimenti erano un miliardo e 40 milioni nel '90 e sono più che raddoppiate due anni fa: 2,6 miliardi. E risulta triplicato il totale complessivo delle uscite: da 4,6 a 12,5 miliardi. Un capitolo che resta aperto è cosa ne sarà - ora che lo smantellamento è avviato - dei 13 miliardi di mutui che in questi anni le Province hanno acceso con la Cassa depositi e prestiti.

I PRIMI PROVVEDIMENTI
LE 107 province italiane (molte nate negli ultimi cinque anni) sono costate ai contribuenti 11 miliardi di euro, stando al dossier Upi pubblicato nel gennaio 2012. "A regime", gli assessori delle 107 giunte sono 395, i consiglieri oggi in carica 1.272 e in totale i 1774 amministratori comportano una spesa per indennità e gettoni per 111 milioni. Ma, fanno notare i presidenti, il personale politico era di 4 mila unità nel 2010. E le spese che ammontavano a 13 miliardi nel 2008 hanno subito una riduzione del 14 per cento nel 2011: 11,6 miliardi. Ma ci sono anche le entrate tributarie percepite dalle Province, che a fine 2011 erano pari a 3,8 miliardi. Che ne sarà di quei tributi? C'è poi il capitolo personale. Le 61 mila unità, tra impiegati e dirigenti, comportano uscite per 2 miliardi e 300 milioni. Ma gli enti intermedi - dalle società degli enti locali ai consorzi, agli enti porto e turistici - costano da soli quasi quanto le Province, fa notare l'Upi: 7 miliardi 26 milioni.

MAI PIU' ELEZIONI
L'Unione delle Province non si è limitata a schierarsi contro la riforma Monti, ma ha presentato due giorni fa la sua controproposta. Riduzione del numero delle province, dalle attuali 107 a 60, istituzione di aree metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria), accorpamento degli enti territoriali dello Stato, ma soprattutto cancellazione di enti, agenzie, consorzi e la ridefinizione delle loro funzioni evitando sovrapposizioni. Nella piattaforma illustrata assieme a cinque colleghi dal presidente dell'Upi Giuseppe Castiglione (Pdl, a capo della Provincia di Catania) un risparmio stimato in 5 miliardi di euro, "a fronte dei 65 previsti dal decreto Salva Italia". La bozza sarà sottoposto alla commissione paritetica Stato-Enti locali, ma dopo la mobilitazione di fine gennaio, ora l'Unione si prepara al ricorso costituzionale in difesa dell'ente "che è costituzionale e non può essere cancellato con una norma ordinaria".

(11 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/11/news/province_caos-29684694/?ref=HREC2-18


Titolo: CARMELO LOPAPA - I redditi. Catricalà ordina: entro martedì tutti i dati online.
Inserito da: Admin - Febbraio 15, 2012, 11:04:06 am
I redditi

Scaduto il termine-trasparenza solo tre ministri lo rispettano

Circolare-ultimatum ai ritardatari.

Catricalà ordina: entro martedì tutti i dati online. Hanno adempiuto all'obbligo anche i due sottosegretari alla Pubblica istruzione.

Monti aveva più volte garantito che sarebbero bastati i 90 giorni previsti dalla legge

di CARMELO LOPAPA

Scaduto il termine-trasparenza solo tre ministri lo rispettano Il ministro Francesco Profumo
ROMA - Puntuale all'appuntamento con la trasparenza annunciata si presentano giusto il ministro alla Pubblica istruzione Francesco Profumo, due suoi sottosegretari e altri due sottosegretari alla Difesa. Sono gli unici ad aver rispettato la scadenza del 14 febbraio che in un primo tempo era stata fissata dalla Presidenza del Consiglio per la pubblicazione della situazione patrimoniale di ognuno.

Prima cioè che nel Consiglio dei ministri del pomeriggio il premier Monti non fosse costretto - preso atto dei ritardi e delle inadempienze - a concedere altri sette, ultimativi giorni di tempo ai colleghi. Non senza disappunto, a quanto trapela.

Entro martedì tutte le tabelle con redditi, immobili, beni mobili, partecipazioni azionarie dovranno essere sui siti ministeriali. Non oltre. Si sono fermati a metà strada il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi e della Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Il successore di Brunetta sul sito di Palazzo Chigi non indica la situazione patrimoniale, né elenca gli immobili posseduti (tantomeno dunque la discussa casa vicino al Colosseo), piuttosto si limita a specificare in una riga il reddito complessivo lordo annuo: 205.915 euro. E così Barca: 199.778 euro. Sono quelli da ministri.

I ritardatari
Per le situazioni patrimoniali aggiornate del sottosegretario alla Presidenza Antonio Catricalà, del ministro della Difesa Giampaolo Di Paola e della Cooperazione Andrea Riccardi (impegnato all'estero) bisognerà
attendere oggi. Da qui a qualche ora Palazzo Chigi pubblicherà quella di Monti, assieme a un curriculum che integri l'attuale che - forse in nome della proverbiale sobrietà - è di una sola riga. Per tutti gli altri, corsa contro il tempo fino a martedì prossimo.

La circolare-ultimatum
E dire che lo stesso presidente del Consiglio a più riprese era stato chiaro: "Renderemo pubblici redditi e patrimoni entro la scadenza di legge", ovvero entro 90 giorni dall'insediamento avvenuto il 17 novembre 2011. Constatata una probabile ritrosia, il 9 febbraio scorso il sottosegretario Catricalà ha diramato a tutti i ministri e sottosegretari una circolare (che qui di fianco pubblichiamo) dai toni perentori: "Il prossimo 14 febbraio scade il termine di 90 giorni che ci siamo prefissati per dare pubblicità alla nostra situazione patrimoniale. Il presidente del Consiglio mi ha incaricato di chiedervi di pubblicare ciascuno sul proprio sito istituzionale tutti i dati che possono dar conto della vostra, anche al di là di quanto si è tenuti per legge a fare".

Catricalà suggerisce, in alternativa, di integrare le dichiarazioni che per legge i ministri non parlamentari devono depositare al Senato. Ma a ieri, stando alle informazioni acquisite, quelle presentate agli uffici di Palazzo Madama dai membri del governo erano davvero poche. E per evitare più o meno involontarie negligenze, il sottosegretario incaricato da Monti ha allegato alla circolare una scheda esplicativa di ben tre pagine, predisposta dalla Funzione pubblica, in cui viene elencata ogni voce che dovrà essere contenuta nella dichiarazione patrimoniale. Ovvero, altri incarichi ricoperti e beni immobili di qualsiasi tipo; auto, aerei o imbarcazioni e poi quote e azioni; cariche societarie di ogni tipologia e gestione di portafogli e un lungo elenco a seguire.

I redditi
Dunque l'unico curriculum ministeriale che a tarda sera ieri rimandava alla situazione patrimoniale era quello del ministro Francesco Profumo. Almeno in parte, dato che l'ex capo del Cnr pubblica il reddito lordo annuo che percepirà al governo (199.778 euro) ma non quello percepito finora.

Il responsabile della Pubblica istruzione, nato a Savona e residente a Torino, dichiara la proprietà di un appartamento a Savona, la comproprietà di quattro garage, quella di un appartamento ad Albissola Mare e di un altro a Torino e il 50 per cento di una casa a Salina. Lancia Lybra unica auto e poi otto tipologie di azioni o quote: 894 azioni Intesa Sanpaolo, 1.210 Montepaschi, 250 De Longhi, 262 Enel, 3.630 Telecom, 137 Finmeccanica, 5.199 Unicredit, 250 Delclima.

Al contrario, il suo sottosegretario napoletano Marco Rossi Doria, oltre alla paga che riceverà (189 mila euro), dichiara anche i 37 mila percepiti fino a novembre da docente di scuola primaria a Trento. L'altra sottosegretaria all'Istruzione, Elena Ugolini (reddito governativo da 188 mila) risulta comproprietaria col marito di una casa a Bologna e comproprietaria di altri tre immobili ereditati a Rimini.

Infine, arrivano in tempo anche i due sottosegretari alla Difesa. Gianluigi Magri (reddito ministeriale da 188 mila, tre comproprietà a Bologna, Jeep e moto Bmw, 25 mila euro di azioni Montepaschi e 22 mila di obbligazioni argentine). E il suo collega (identico reddito) Filippo Milone, con passione per auto (Classe A, Golf, Fiat d'epoca 1.500) e moto (Yamaha e Honda). Ma ora si attende tutto il resto.
 

(15 febbraio 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/02/15/news/scaduto_il_termine-trasparenza_solo_tre_ministri_lo_rispettano-29906220/?ref=HREC1-3


Titolo: CARMELO LOPAPA Da Berlusconi l'ultimo appello ai moderati
Inserito da: Admin - Marzo 04, 2012, 11:04:48 am
di CARMELO LOPAPA

Da Berlusconi l'ultimo appello ai moderati


Alla vigilia delle amministrative e coi sondaggi ai minimi storici per il Pdl, Berlusconi lancia un ultimo appello a Casini per stringere un patto in nome dell'unità dei moderati, che appare sempre più improbabile. Chi divide i moderati "è colpevole di un fatto gravissimo", cioè "dare una possibile vittoria alla sinistra" è l'avvertimento al leader Udc dall'ex premier che presenzia al congresso milanese del Pdl.

Da quel palco Berlusconi conferma che il partito cambierà nome, ma non pelle. Scarica su Giuliano Ferrara la paternità del progetto "Tutti per l'Italia". Il Pdl continuerà ad esistere, sotto altra formula, e Angelino Alfano ne sarà il segretario, ripete il Cavaliere che nega di aver scaricato da Bruxelles la leadership dell'ex Guardasigilli. "Si mangia tutti gli altri segretari" dice, riscaldando i suoi in platea. L'ex premier fa mostrare anche ai congressisti il video delle sue interviste tv rilasciate dopo il vertice Ppe. Omettendo di raccontare però che lo sfogo su Alfano lo abbia fatto poco dopo, parlando coi giornalisti della carta stampata, senza telecamere vicine. Infine Berlusconi attacca il presidente della Repubblica per un episodio legato alla fase finale del suo governo: "Quando studiavamo le misure richieste dall'Europa con la famosa lettera, da lui non abbiamo avuto il via a un decreto e ci accingevamo a fare un disegno di legge". Poi la crisi e le dimissioni.

Ma gli appellia all'unità dei moderati sono destinati a cadere nel vuoto, gli ribatte Rosy Bindi, convinta che il Pd vincerà le prossime elezioni relegando Berlusconi "in panchina". E poi, "è stato lui a dividere i moderati" gli rinfaccia il finiano Bocchino. Casini per adesso si tiene a debita distanza. Impegnato anche lui a Milano ma per il congresso Udc, nega che sia in atto un'opa del terzo polo sul Pdl: "Non posso passare il tempo a discolparmi perché Berlusconi ha governato male" si limita a commentare. Augurandosi però che Alfano riprenda davvero in mano le redini del partito. Con lui stanno condividendo l'esperienza del governo Monti che "non è un'ammucchiata: stiamo salvando il paese".

da - http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Duro scontro nell'ufficio di presidenza di Montecitorio sulle ...
Inserito da: Admin - Marzo 30, 2012, 06:07:56 pm
I COSTI DELLA POLITICA

Spese pazze per carta, colla e quadri e agli ex presidenti benefit fino al 2023

Duro scontro nell'ufficio di presidenza di Montecitorio sulle spese per le ex terze cariche dello stato.

Si sposta in avanti il calcolo, che inizierà dalla fine di questa legislatura. Hanno votato contro il Pdl, la Lega e l'Idv.

Così ad essere colpiti saranno solo Pietro Ingrao e la Pivetti

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Addio ai benefit degli ex presidenti della Camera: uffici, segretari, auto di servizio a disposizione. Sì ma dal 2023. E a Montecitorio il taglio "ad personam" diventa un caso. Anche perché il Senato poche settimane fa era stato più rigoroso: stop dopo dieci anni dalla cessazione dall'incarico, per tutti. Da quest'altra parte del Parlamento invece l'anno prossimo si chiuderanno le saracinesche solo per Ingrao (cessato nel '79) e la Pivetti ('96). Ma per Violante, Bertinotti, Casini (come per l'attuale presidente Fini) i dieci anni decorreranno dalla fine di questa legislatura, ovvero dal 2013.

E così, caso raro, l'ufficio di Presidenza si spacca. Il provvedimento passa ma con cinque voti contrari: oltre a Dussin (Lega) e Mura (Idv) anche quelli dei pidiellini Leone, Fontana e Milanato. Ma pure il vicepresidente Lupi ha votato no, per alzata di mano, sebbene il suo sesto non sia stato registrato a verbale. L'idv protesta: "Una presa in giro". La Pivetti, unica delle due vittime, non ci sta: "È il risultato di un clima forcaiolo che non distingue i bersagli".

Il fatto è che l'aria, nell'organo di autogoverno di Montecitorio, è proprio cambiata, "scintille da fine legislatura" nota il segretario Lusetti. E addio all'unanimità anche quando si è trattato di approvare il consuntivo 2011 e le variazioni al bilancio interno 2012. In tre si sono astenuti (Fontana, il sudista Fallica e perfino il finiano Lamorte) per denunciare il mantenimento
di spese anacronistiche.

Dalle duemila pagine di carta intestata al mese per deputato al chilo di colla liquida all'anno, passando per le gomme. A discapito del carente aggiornamento  informatico del Palazzo. "Gli atti parlamentari anziché sul web viaggiano in quintali di carta su carrelli che i commessi trascinano in stile mensa ospedaliera" lamenta Fallica: e costano 7 milioni l'anno.
 
Fini, Bertinotti, Casini e Violante
Lo stratagemma degli ex per mantenere i vantaggi
Benefici non più a vita anche per gli ex presidenti di Montecitorio, dunque. Fini impone anche lì lo stop dopo "dieci anni dalla data di cessazione dalla carica di presidente". Ma con una postilla. "Per quanto riguarda la situazione degli attuali ex presidenti, le predette attribuzioni sono riconosciute per un periodo di dieci anni a decorrere dall'inizio della prossima legislatura" ovvero dal 2013: "A condizione che gli stessi continuino ad esercitare il mandato nella presente legislatura o abbiano esercitato l'ultimo mandato parlamentare nella precedente". È l'escamotage che consente di mantenere fino al 2023 i benefit a Violante (dieci anni scaduti nel 2011), Casini (scadranno nel 2016) e Bertinotti (nel 2018). Per gli "ex" un ufficio con 4 addetti, auto quando occorre e plafond di ticket aerei.

La cancelleria
Duemila fogli al mese ma anche 10 dvd e 20 cd
La polemica esplosa ieri a Montecitorio svela consuetudini finora sconosciute ai più. Una volta al mese il commesso bussa alla porta di ogni deputato e consegna con ragionieristica puntualità duemila fogli di carta intestata "Camera" (con relativa busta). Dunque 24 mila in un anno. Ma vengono consegnate anche sei gomme ogni tre mesi (tre da biro, tre da matita), ovvero una ogni 15 giorni. E poi 10 dvd e 20 cd quali supporti per la trasmissione di materiale informatico. Ma la dotazione per agevolare l'attività parlamentare degli onorevoli comprende anche mille fogli di carta bianca l'anno ad uso fotocopie. Questa e tante altre voci fanno lievitare a un milione di euro tondo, per il 2012, la spesa annua per "Carta, cancelleria e materiali di consumo d'ufficio".

La colla
Un chilo di coccoina all'anno per ogni deputato
"Ma vi pare che ognuno di noi debba avere ancora in dotazione un chilo e mezzo di colla all'anno? Che ce ne facciamo della colla liquida?" È il pidiellino Gregorio Fontana ad aprire il dossier delle spese non tanto inutili quanto "anacronistiche" che ancora lievitano nel palazzo. E il chilo o litro di colla liquida l'anno che i commessi consegnano agli onorevoli è solo uno degli esempi più eclatanti, in pieno 2012 quando l'uso della carta - viene fatto notare in Ufficio di presidenza - dovrebbe essere ridotto al minimo a beneficio del web. "Io e la mia segreteria l'accatastiamo, mai utilizzata" rincara Pippo Fallica (Grande Sud). Di contro, denuncia Fontana, "Non ci sono postazioni wi-fi, che ormai esistono pure a Villa Borghese, e i telefonini spesso sono schermati".

Museo Montecitorio
Spesi 150mila euro per le opere d'arte
Nel 2012 la Camera spenderà 370 mila euro per "conferenze, manifestazioni e mostre". Una spesa alla quale va sommata quella da 150 mila euro l'anno per "opere d'arte" da mantenere o, meno che in passato, da acquistare. Tutte uscite che, denunciano Gregorio Fontana, Pippo Fallica e Antonio Leone in Ufficio di presidenza, "sono del tutto fuori dal core business della Camera dei deputati: se ormai tagli bisogna operare, allora lo si faccia cominciando da ciò che esula dall'attività parlamentare in senso stretto". Sebbene, fanno notare dalla Presidenza, spese per conferenze e mostre sono ridotte rispetto agli anni passati. Come pure quelle per l'acquisto (ormai quasi nullo) di opere d'arte, si tratta però di mantenere e conservare le tante di cui comunque il Palazzo dispone.

Spese postali
Seicentomila euro per i francobolli
Nell'era del web 2.0 e dei social network, in cui tutto viaggia quanto meno via mail, adesso anche per posta elettronica certificata, succede che a Montecitorio anche per questo 2012 600 mila euro per le "spese postali". Ovvero, per inviare documenti da questo ramo del Parlamento ad altre amministrazioni dello Stato. Ma scorrendo le voci "anacronistiche" finite ieri sotto i riflettori dell'Ufficio di presidenza, ci si imbatte anche nei 50 mila euro per "spedizioni". Se è per questo, il questore Antonio Mazzocchi ha aperto il caso "defibrillatori". Ne sono stati piazzati a Montecitorio, a Palazzo Marini e a San Macuto. "Ma può utilizzarlo solo il personale medico che ha sede alla Camera: con rischio che quando serve altrove nessuno potrà mettere in funzione le macchine".

Spreco di carta
Per la stampa degli atti 7 milioni 150mila euro
Dai deputati che ieri hanno puntato l'indice contro le spese ormai da archiviare, viene additato come il vero "bubbone". Anche se ogni documento è ormai reperibile sul sito della Camera, qualsiasi atto parlamentare, ordine del giorno, emendamento, ddl, interrogazione o interpellanza viene stampato su carta. Risultato (sul piano finanziario): i 7 milioni 150 mila euro che verranno spesi quest'anno per i "servizi di stampa degli atti parlamentari". Da sommare al milione 210 mila euro l'anno per l'analogo capitolo dei "servizi vari di stampa". Il risultato sotto il profilo ambientale, in termini di spreco di carta, lo si può intuire - fa notare il deputato Fallica - "osservando gli enormi carrelli con i quali i commessi trasportano quintali di documenti".


(30 marzo 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/03/30/news/spese_pazze_camera-32436744/?ref=HREC1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Aria da resa dei conti sul fronte giustizia
Inserito da: Admin - Giugno 15, 2012, 11:53:23 pm

di CARMELO LOPAPA

Aria da resa dei conti sul fronte giustizia


La Camera approva la legge anticorruzione, ma è un testo già avviato verso un binario morto. Il Pdl preannuncia fin da ora incisive modifiche quando il provvedimento passerà all'esame del Senato, mettendo sull'avviso il Guardasigilli Severino: i berlusconiani torneranno alla carica con toni durissimi ("Uomo e donna avvisati..." arriva a dire il capogruppo Cicchitto) sulla responsabilità civile dei magistrati.

E mentre, in casa, i partiti della maggioranza si danno battaglia sulla corruzione come sulla riforma costituzionale e quella elettorale, il premier Monti prova a puntellare la tenuta dell'Italia e dell'euro, fuori casa. Prima tappa è l'incontro con il neo presidente francese Hollande, in visita a Roma. Il capo del governo italiano cerca di mettere a punto con lui una strategia comune in vista del quadrilaterale aperto alla Merkel e allo spagnolo Rajoy del 22 giugno e al Consiglio europeo di fine mese. L'obiettivo è convincere la Cancelleria tedesca ad ammorbidire la sua linea e ad aprirsi a politiche di sviluppo più generose. Impresa ardua, sotto la tempesta speculativa che sta investendo di nuovo il continente.

E le prospettive non sono delle migliori anche per quel che riguarda le riforme costituzionali. Riprenderà in aula al Senato soltanto mercoledì prossimo, 20 giugno, l'esame del testo approvato in commissione e che prevede la riduzione del numero dei parlamentari. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. Complici gli emendamenti sul semipresidenzialismo presentati dal Pdl in aula. Il Pd chiede il ritorno in commissione Affari costituzionali del testo, proprio per esaminare quelle proposte di modifica. Così, un'approvazione definitiva della riforma rischia di non essere inserita in agenda nemmeno per la prossima settimana, quando l'aula dovrà pronunciarsi, tra l'altro, sull'arresto del senatore ed ex tesoriere della margherita Luigi Lusi.

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Titolo: CARMELO LOPAPA Incubo Pdl, scende al 15 per cento
Inserito da: Admin - Giugno 18, 2012, 04:49:59 pm
IL CASO

Incubo Pdl, scende al 15 per cento

Berlusconi: "Il partito non c'è più"

L'ultima rilevazione della Swg inchioda il Popolo delle libertà a cifre bassissime e il Cavaliere si chiede se reggerà fino alle primarie.

La Meloni lascia i Giovani

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Il Pdl in piena sindrome da 15 per cento. L'incubo diventa realtà e l'ultima rilevazione Swg di ieri cristallizza con quelle due cifre un tracollo di consensi che da via dell'Umiltà a Palazzo Grazioli temevano e in qualche misura già conoscevano. In queste ore non sono più i soli barricaderi ex An a chiedersi se il partito reggerà fino alle primarie di ottobre. Silvio Berlusconi quei dati se li rigira tra le mani, sempre più convinto che occorra "una scossa", che l'attuale baracca non basta: "Il Pdl non c'è più, esiste solo nelle teste dei nostri dirigenti" è la riflessione più amara del capo. Moltiplicare l'offerta con liste di giovani, di donne, di imprenditori e volti nuovi della società civile resta la soluzione preferita, un cantiere aperto al quale il Cavaliere in gran segreto sta già lavorando, in vista delle Politiche. Ma le elezioni sono lontane. Nel frattempo il Pdl è in piena emorragia. Ormai stabilmente sotto il 20, secondo tutti i sondaggisti, comunque terza forza alle spalle di Grillo. Viaggiava sopra il 25 in novembre scorso, all'insediamento del governo Monti. "La preoccupazione c'è, il vero problema è che manca la reazione", spiega un ex ministro sconfortato. L'ultima rilevazione registrata una settimana fa da Euromedia Research, società di fiducia di Berlusconi, dava al Pdl una forbice tra 18 e 20 per cento. "Ma tutti i grandi partiti presenti in Parlamento pagano
dazio, perdono consensi - spiega Alessandra Ghisleri, direttrice dell'istituto - E guadagna chi nelle Camere non c'è: Grillo e, in parte, Vendola". Consigli al Cavaliere sostiene di non averne forniti. "Ma un messaggio va colto: gli elettori dicono in coro che a loro non piace questo modo di fare politica, si attendono risposte immediate ai loro problemi reali".

Angelino Alfano confida nelle primarie per rilanciare il partito. Ha convocato per lunedì il tavolo "delle regole" che dovrebbe disciplinarle. E una direzione nazionale - sollecitata da tanti - per il 27 giugno. Ma del congresso nazionale non si ha notizia. Il calo di consensi lo riconduce al "sostegno al governo Monti: scontiamo l'opposizione dei nostri elettori". Ma confida sul fatto che gli elettori non siano "fuggiti altrove: li riconquisteremo". Lo dice durante la conferenza stampa convocata per ufficializzare le dimissioni del presidente della Giovane Italia, Giorgia Meloni, sostituita da Marco Perissa (classe '82, anche lui della scuderia Azione Giovani), che affiancherà la coordinatrice Annagrazia Calabria. L'ex ministro nella lettera di dimissioni rimarca la mancata convocazione di un congresso dei giovani per passare il testimone. Correrà anche lei per le primarie? La Meloni risponde solo che non lo ha preso in considerazione e che non lascia perché "è già pronta un'altra poltrona". Ma tutta l'area ex An si sta interrogando se sposare la causa Alfano o condurre una battaglia in sostegno proprio della Meloni per andare alla conta.

Il segretario, in maniche di camicia e in versione "smile" davanti ai giovani (dal 21 al 23 la loro assemblea a Fiuggi), si augura che le primarie siano le "più partecipate" possibile, che si trasformino in una "grande festa". Rivela di aver chiamato Vittorio Feltri e di averlo invitato a partecipare. Salvo essere gelato poche ore dopo dal direttore editoriale del Giornale: "Non ho ricevuto alcun invito, solo una telefonata di cortesia. Valuterò, i parlamentari sono degli straccioni, io guadagno 700 mila euro l'anno". Galan si è candidato. Daniela Santanché, forte dei sondaggi interni, è già in campagna elettorale (col placet del Cavaliere). "Certo che sono in corsa - spiega - Io non ho alcun tatticismo, nessuna strategia, solo un credo, un cuore, una passione".

(16 giugno 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/06/16/news/pdl_15_per_cento-37299527/


Titolo: CARMELO LOPAPA I giovani pdl bocciano i big del partito
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2012, 04:11:39 pm
IL CASO

"Alfano un perdente, Cicchitto inadatto" I giovani pdl bocciano i big del partito

Le pagelle dei "Formattatori" che sono state rese pubbliche: Berlusconi resta da 10

di  CARMELO LOPAPA


ROMA - L'Angelino Alfano da 4,5, che "ha collezionato un anno di insuccessi e anziché formattare è stato formattato", e il "logoro" coordinatore La Russa da 3 tondo tondo. Il capogruppo Cicchitto "simbolo del vecchio", e l'ex ministra animalista Brambilla (tre anche lei), "buona solo per una lista cinque stalle". E poi la Carfagna, insufficiente, sebbene "la politica più amata dai mariti infedeli", e il Tremonti "fuggiasco", voto 2. Si salvano in pochi, nelle pagelle estive sui 25 dirigenti ed ex ministri del partito che i giovani #Formattatori del Pdl rendono pubbliche. È la fotografia impietosa di un rinnovamento mancato. Dopo che il segretario Alfano alla loro manifestazione di Pavia del 26 maggio aveva promesso al sindaco Alessandro Cattaneo, loro leader, e agli altri under 35 che tutto sarebbe cambiato. La più grande novità però è stata il ritorno di Berlusconi. La sufficienza o qualcosa in più solo per Bondi, Brunetta, Fazio, Fitto, Frattini, Galan, Gelmini, Meloni, Sacconi. Ecco le pagelle.

BERLUSCONI. "Rieccolo: voto 10 (come la maglia). C'è chi non ce l'ha e chi ne ha a volontà: questione di quid! Ha dimostrato che dopo di lui, nel partito, c'è il diluvio. Sempre protagonista: nel bene e nel male. Formattatore per eccellenza: doveva subire il parricidio e invece ha sepolto Alfano".

ALFANO. "Rimandato: voto 4,5. Ha collezionato un anno di insuccessi: doveva innovare il Pdl e invece si è trovato alle prese con la stagione delle tessere false. Doveva inaugurare il "partito degli onesti" e onestamente nulla è cambiato. Doveva vincere le amministrative e invece ha perso anche ad Agrigento, casa sua. Ha pure chiesto le dimissioni della Minetti e lei lo ha ignorato spassandosela in Sardegna. Insomma, doveva essere il vero formattatore del partito invece è stato formattato".

LA RUSSA. "Logoro: voto 3. Dinanzi al crollo del Pdl, l'unica analisi che ha consegnato alla storia è la similitudine tra Grillo e il Berlusconi del '94, smentita poi dal capo. Più gaffe che voti".

VERDINI. "Highlander. Voto: 6. Furbo, scaltro, spregiudicato come pochi. Non conosce la parola sconfitta, come alle amministrative. Anche se in Toscana, la sua regione, ormai il Pdl governa solo a Prato. Disposto a tutto pur di sopravvivere".

CICCHITTO. "Calligrafo. Voto: 5,5. "È il simbolo del vecchio. Inadatto a fare il capogruppo, troppo ruvido, scostante e respingente. Se il Pdl alla Camera è passato da 277 deputati agli attuali 209 una responsabilità ce l'avrà, o no? Competente nelle analisi politiche, scrive bei libri".

GASPARRI. "Fomentatore. Voto: 5. Aveva detto a Berlusconi che i finiani ai tempi del 14 dicembre erano quattro gatti. Il Pdl si è salvato per un voto. Poco televisivo, ma passionale. A lui preferiamo Neri Marcorè".

BRAMBILLA. "Bestiale. Voto: 3. Promuovitalia. Cos'è? Non lo sa nessuno, eppure è un'agenzia voluta dall'ex ministro per aiutare il turismo, così fondamentale da finire sotto la scure della spending review. Impegnatissima sul fronte animalista, riscuote molto credito tra i quadrupedi. Forse perché loro, non parlando, non possono replicare... Buona solo per una Lista Cinque Stalle".

CARFAGNA. "Trasformista. Voto: 5,5. Vicina agli anta, nonostante l'ingresso in Parlamento di carne più fresca, detiene ancora lo scettro de "la politica più amata dai mariti infedeli". Tutti le riconoscono il buon lavoro come ministro (soprattutto la sinistra sui gay). Si è un po' eclissata da semplice deputato: un po' frondista al governo, terzopolista nelle relazioni, velina ingrata con Berlusconi".

MATTEOLI. "Stantio. Voto: 4. Capobastone della vecchia politica, pare il rappresentante di un mondo che dovrebbe essere seppellito. Imitando i formattatori ha organizzato a giugno un incontro coi giovani, per rinfrescarsi l'immagine. Peccato che la sala fosse vuota. Siede ininterrottamente da 30 anni in Parlamento. E punta a ricandidarsi. Si goda la pensione".

PRESTIGIACOMO. "Non pervenuta. Voto: 4. Forse se lo ricordano in pochi, ma è ministro dell'Ambiente uscente. A Taranto chiude l'Ilva e l'unica cosa che lei riesce a dire è "Micciché è un ottimo candidato per le regionali siciliane"".

ROMANI. "Approfittatore. Voto: 4. I soldi per la banda larga sono spariti. L'agenda digitale non c'è stata. Ha fatto il ministro e non ce ne siamo accorti. In compenso ha perso le amministrative a Monza, città di cui è commissario".

SCAJOLA. "Incompiuto. Voto: 5. Non riesce mai a fare il ministro perché prima uno scandalo poi un altro l'hanno costretto a dimettersi. Per il cambiamento speriamo rimanga fuori dalle liste, anche a sua insaputa".

TREMONTI. "Fuggiasco. Voto: 2. Insieme con Fini, è la causa del logoramento di Berlusconi. Nonostante Aspen, libri e titoli ha dimostrato di non avere capacità di leadership abbandonando i suoi più fidati uomini (vedi Milanese) e brillando per le sue assenze parlamentari da quando non è più ministro".

VITO. "Vito chi? Ricercato. Senza voto".
 

(12 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/12/news/giovani_pdl-40811250/?ref=HREC1-4


Titolo: CARMELO LOPAPA Monti chiede uno sprint ai ministri
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2012, 04:16:49 pm
GOVERNO

"A fine agosto misure per la crescita" Monti chiede uno sprint ai ministri

Il presidente del Consiglio chiede ai responsabili dei dicasteri di presentare il 24 agosto, ognuno per il proprio settore, idee proposte e progetti definiti nei dettagli

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Due settimane di tempo perché ciascun ministero metta a punto i dossier necessari a promuovere la crescita. Quelli illustrati per sommi capi nel lungo Consiglio dei ministri di ieri non sono sufficienti, poco esaustivi. Il presidente del Consiglio Monti dà così appuntamento al 24 agosto ai componenti del suo governo. Per quella data, idee, proposte e progetti dovranno essere definiti nei minimi dettagli. Partire da allora la "campagna d'autunno" del governo tecnico, prima del rush finale.

Il pallino della crescita e la seconda parte della spending review, in cima all'agenda del premier per la ripresa. Monti presiede l'ultima riunione protrattosi per cinque ore, prima del rompete le righe ferragostano. Da oggi, sei giorni di stop per lui, qualcuno in più per i colleghi. Ma con compiti a casa per le vacanze. Durante il lungo confronto tutti i ministri sono intervenuti per accennare alle iniziative ancora possibili. Tutto rimandato a fine mese. Si torna al lavoro venerdì 24, sempre che la situazione dei mercati non riservi sorprese. Eventualità che tuttavia nel governo, con le dovute cautele, si sentono di escludere.

Un passo avanti concreto invece lo si è compiuto sul cosiddetto "golden power" destinato a introdurre una barriera anti-scalate per le aziende ritenute strategiche per lo Stato. Sicurezza nazionale e difesa, i settori messi sotto la tutela del governo. Da Finmeccanica a Telecom, dall'Eni all'Enel alla Terna. La "golden share" ideata nel 1994 era stata bloccata dai vertici comunitari. Ora non più "partecipazione d'oro" dello Stato, ma poteri speciali. Sebbene anche questo passaggio dovrà essere portato a compimento. Il decreto, infatti, è stato ieri sottoposto dal premier al Consiglio dei ministri "per informativa", per delimitare perimetro e contenuti dei poteri concessi dal governo già nel maggio scorso. Ora il provvedimento dovrà tornare a Palazzo Chigi per il varo definitivo dopo il parere del Consiglio di Stato. Ma già il Pdl, Laura Ravetto in testa, chiede all'esecutivo di rivedere i perimetri ed estendere la tutela ad altre aziende che rischiano di diventare "prede" di investitori stranieri.

Ma il provvedimento che nelle ore successive ha scatenato la bagarre politica, generando una sollevazione dell'intero fronte berlusconiano, è quello con il quale si è dato il via libera alla razionalizzazione degli uffici giudiziari. L'originario taglio dei 37 tribunali "minori" è stato portato alla soglia dei 31. "Salvati" dalla lista nera altri sei in zone ad alto tasso di criminalità organizzata: Caltagirone e Sciacca in Sicilia, Castrovillari, Lamezia Terme e Paola in Calabria, Cassino nel Lazio. E questo perché, spiega il ministro Paola Severino, nella lotta alla mafia il governo "non intende in alcun modo arretrare nemmeno sul piano simbolico". Il capogruppo al Senato del Pdl, Gasparri, a testa bassa: "Guardasigilli da cacciare, penoso il suo operato". Taglio "incommentabile" per Enrico Costa, capogruppo in commissione Giustizia alla Camera. Respinta le proposte di salvataggio di molte sedi Nord. "Non a caso", protesta anche il governatore leghista del Piemonte Roberto Cota.

(11 agosto 2012) © Riproduzione riservata

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Titolo: CARMELO LOPAPA Prefetture, ecco le più spendaccione
Inserito da: Admin - Agosto 16, 2012, 07:10:45 pm
SPENDING REVIEW

Prefetture, ecco le più spendaccione

 Isernia costa 14 volte più di Milano

Dossier dell'esecutivo sui costi degli uffici. Il capoluogo milanese costa 3,89 euro per abitante, quello molisano 42.

Patroni Griffi: ok al riordino delle Province per abbattere gli sprechi. Penultima Rieti, preceduta da Campobasso.

Virtuosi Brescia e Torino

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Qualcuno adesso dovrà spiegare perché mantenere gli uffici dello Stato a Milano e provincia costa 3,89 euro per abitante, mentre nella molisana Isernia 42,34 euro. Anzi, qualcuno dovrà spiegare perché quello che dovrebbe essere un costo standard, uguale su tutto il territorio nazionale, varia invece da città a città, da provincia a provincia. Sebbene il budget, sulla carta, sia uguale. Uguali gli orari di lavoro negli uffici e agli sportelli. Identico il costo del lavoro e dei consumi. Sulla carta, appunto. In realtà non è cosi. E i costi lievitano man mano ci si sposti verso la parte meridionale dello stivale.

L'arcano di Ferragosto - ultimo della serie nel Paese del burosauro - emerge da un monitoraggio compiuto sulle strutture dell'amministrazione statale, e dunque sulle singole Prefetture, dal ministero della Funzione pubblica, dipartimento Riforme istituzionali, guidato da Carlo Diodato. Lo stesso che sta studiando - finora un'impresa alla Don Chisciotte - modalità e tempi per riordinare, se non proprio cancellare le Province.
Lo studio tiene conto delle risorse finanziarie impiegate per portare avanti gli uffici statali, commisurate ai cittadini residenti nei rispettivi territori.

Nell'Italia dei 56 milioni 561 mila abitanti, il budget utilizzato ammonta a 565 milioni 451 mila euro, destinati agli 8.001 comuni.
La media dei costi per residente, su scala nazionale, risulta essere dunque di 10 euro pro capite. Succede tuttavia che in 24 grandi e medi comuni virtuosi la media di spesa sia inferiore. Due terzi sono centri del Nord. In testa risulta essere Milano e la sua provincia, composta da 189 comuni. Seguita a ruota da Brescia, con la media di 4,64 euro. E da Torino, con 4,82 euro. Ma non mancano le eccezioni meridionali.
Napoli ad esempio risulta settima, con poco più di 6 euro per cittadino. Seguita da Roma. Nonostante il budget a disposizione sia il più alto d'Italia (23 milioni 211 mila euro) per la prefettura della Capitale la media per abitante risulta essere di 6,27 euro. Anche Cosenza (dodicesima con 7,76 euro), Salerno, Taranto, Lecce e Catania figurano tra le top 24.

Sotto quella soglia dei dieci euro della media nazionale, il quadro cambia. Perché a Isernia si spende più di 42 euro per cittadino?
Tanto più che la pur penultima Rieti, nel Lazio, si tiene comunque a debita distanza, spendendo 27,89 euro per residente.
Terzultima un'altra prefettura molisana, Campobasso, con 25 euro pro capite di media. Poi Nuoro, L'Aquila, Matera, Enna, Vibo Valentia e, prima maglia nera del Nord, La Spezia (20,14 euro).

Come uscire da quest'altro pozzo senza fondo della spesa pubblica? La cancellazione delle Province, di alcune almeno, e con esse delle relative Prefetture, risolverebbe secondo il governo una parte dei problemi. Il ministro della Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi: "La spending review ci sta consentendo di fare una grande verifica sui conti pubblici, trovare gli sprechi e gli eccessi - dice - Proprio per questo siamo sempre più convinti che occorra andare avanti con il riordino delle Province, che sarà la base per riorganizzare il nuovo assetto dello Stato".

(15 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/15/news/prefetture_ecco_le_pi_spendaccione_isernia_costa_14_volte_pi_di_milano-40969493/?ref=HREC1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Casini: ma così aiuto Bersani
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2012, 08:51:26 am
RETROSCENA

Blitz Pdl e Udc sulla legge elettorale intesa su proporzionale e preferenze

Tutto pronto per il modello tedesco: "Non si può aspettare il Pd all'infinito".

Oggi incontro degli "sherpa" per accelerare sulla riforma.

Casini: ma così aiuto Bersani

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Un blitz in aula per cambiare la legge elettorale. Un patto di ferro già siglato tra i centristi di Casini e gli uomini di Berlusconi. Per mettere all'angolo e stanare il Pd. Obiettivo: mandare in soffitta il Porcellum e introdurre anche a colpi di maggioranza un sistema proporzionale. Il modello è quello tedesco. Con sbarramento e preferenze. Nella bozza, l'ipotesi di collegi elettorali ridotti alla Camera e ancor più piccoli al Senato. Soluzione che troverebbe in aula il sostegno dei leghisti.

L'accelerazione delle ultime ore segue il colloquio avvenuto venerdì sera, al fresco di Chianciano, mentre sul palco della festa Udc Ciriaco De Mita stava presentando il suo ultimo libro. In un angolo, a pochi metri, si intrattengono Fabrizio Cicchitto, Pier Ferdinando Casini e Luciano Violante. "Non possiamo attendere all'infinito, il Porcellum va cancellato, non possiamo tirarla ancora per le lunghe dopo i richiami del capo dello Stato: la soluzione migliore è il sistema tedesco con preferenze" è l'amo lanciato dal leader Udc. Cicchitto lo aggancia al volo. È una via d'uscita che stuzzica adesso più che mai i pidiellini. Addio alle velleità maggioritarie.

I contatti telefonici tra gli sherpa impegnati nelle trattative sono proseguiti nel fine settimana. Manca una convocazione ufficiale del comitato ristretto al Senato, ma non viene esclusa per oggi una ripresa dei confronti tra Verdini, Quagliariello, Cesa e il luogotenente della segreteria Bersani, Maurizio Migliavacca.
Già, il Pd.

I democratici tacciono e guardano con sospetto ai movimenti in corso. Rischiano di ritrovarsi in un angolo. Un contraccolpo che rischia di avere ripercussioni anche sugli equilibri della maggioranza che sostiene Monti. Tanto più che centristi e Pdl lavorano per un passaggio in aula da qui a breve. "Vogliamo imprimere una svolta, lavoreremo fino all'ultimo per raggiungere le più larghe convergenze - premette il capogruppo Udc al Senato, Gianpiero D'Alia - Ma è chiaro che non possiamo attendere oltre, al massimo entro la prossima settimana la partita deve essere chiusa. Il Pd purtroppo è diviso al suo interno".

Il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, si prepara a riconvocare il comitato ristretto per la riforma e avverte: "Occorre un compromesso politico alto e il tedesco rappresenta una mediazione possibile, a patto che ognuno faccia un passo indietro".

I democratici sentono puzza di bruciato. La sensazione è che dentro il Pdl l'abbia spuntata chi puntano a una legge che non garantisca alcun vincitore dopo il voto "per contare all'indomani delle elezioni", per dirla con Migliavacca. La stessa corsa alle preferenze appare al braccio destro di Bersani "uno specchietto per le allodole". Al Largo del Nazareno insomma hanno alzato la guardia. Casini certo non intende rompere l'asse costruito a fatica col segretario Pd. Il leader Udc è anzi convinto che con l'accelerazione impressa farà il gioco proprio di Bersani, dato che un proporzionale senza indicazione del premier renderebbe inutili le primarie. "Alla fine - ragiona l'ex presidente della Camera con i suoi - con questa mossa do una mano al mio amico Pier Luigi".

Ma è davvero così? Il Pd punta quanto meno a un premio di maggioranza che garantisca la governabilità. Un corposo 15 per cento da destinare al primo partito, bocciato ieri dal capogruppo Pdl Cicchitto: "Troppa grazia". Come se non bastasse, Bersani è stretto dal pressing della minoranza "rumorosa" dei prodiani, pronti alle barricate contro proporzionale e preferenze: i vari Parisi, Santagata, Zampa, Barbi artefici della proposta per il ritorno al Mattarellum.

Berlusconi dirà la sua venerdì davanti ai giovani di Atreju, al ritorno dal Kenya. Ma reintrodurre le preferenze è l'obiettivo dichiarato anche di un drappello di pidiellini, non solo ex An, che a decine hanno sottoscritto un loro ddl, dalla Meloni a Brunetta, da Crosetto alla Beccalossi. Per il Cavaliere, il ritorno al proporzionale con preferenze è l'ultima chance per evitare l'esplosione del Pdl.
 

(11 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/11/news/blitz_pdl_e_udc_sulla_legge_elettorale_intesa_su_proporzionale_e_preferenze-42316795/?ref=HRER2-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Il pranzo dei deputati? Metà lo paga la Camera
Inserito da: Admin - Settembre 21, 2012, 05:40:57 pm
COSTI POLITICA

Il pranzo dei deputati? Metà lo paga la Camera

Un "regalo" che costa 3,5 milioni all'anno. I questori: non ce lo possiamo più permettere. Ma si cambierà solo nel 201.

Montecitorio vara il bilancio preventivo: nel 2013-2015 risparmio di 50 milioni

di CARMELO LOPAPA

Il pranzo è servito. E pagato. Almeno per metà prezzo lo offriranno, ancora per un bel po', le casse della Camera. Venti euro per un pasto completo a carico del deputato, altri 18 euro li integra l'amministrazione di Montecitorio attingendo al capitolo "ristorazione". Un andazzo non sostenibile, alla luce del giro di vite imposto al bilancio che sarà approvato il primo ottobre.

Ne prendono atto i questori del Palazzo che in questi giorni hanno approvato la deliberazione con cui si cambia registro. O meglio, si impegnano a cambiarlo. Ma dal 2014.

Il provvedimento avvia le procedure per l'affidamento in concessione del servizio di self service che dovrà prendere il posto dell'attuale, costoso (non per gli onorevoli e i giornalisti che lo frequentano) ristorante. Ma la procedura è lunga. Perché la burocrazia, anche quella parlamentare, necessita dei suoi tempi. Il nuovo regime entrerà in vigore nel 2014, quando si stima "un risparmio annuo di 2,5 milioni di euro", si legge nella deliberazione del collegio dei questori del 12 settembre. "Il sistema di compartecipazione al prezzo del pasto sarà rivisto - continua il provvedimento - prevedendo in ogni caso, per i deputati, che il pagamento delle consumazioni presso il self service sia a totale carico degli stessi". Ma è un avviso a futura memoria, gli attuali parlamentari potranno dormire (e mangiare) tranquilli. Il fatto è che la "compartecipazione" al pasto costa davvero tanto, troppo, per tempi di
magra.

A scorrere il bilancio interno che la settimana prossima sarà approvato dall'Ufficio di presidenza e di cui Repubblica è venuta in possesso, si scopre infatti che in questo 2012 la Camera prevede di incassare dalla ristorazione più o meno quanto l'anno scorso, ovvero 1 milione 130 mila euro. Ma spenderà 4 milioni 545 mila (uno in meno rispetto al 2011): vuol dire che occorreranno tre milioni e mezzo per integrare i pasti e garantire comunque l'alto standard della ristorazione a prezzi "pop". Risotto alla pescatora e salmone con patate lesse e bevanda a 20 euro, stesso prezzo per un filetto, un contorno e una frutta, 5 euro una pasta con vongole e bottarga, per fare qualche esempio.

Ristorazione a parte, il bilancio di previsione 2012 della Camera - messo solo adesso nero su bianco per adeguarlo alla spending review montiana - è all'insegna del lacrime e sangue. Cinquanta milioni di euro l'anno di risparmi per il 2013-14-15. Tutto connotato dal segno meno? Quasi. Dimezzati dal 2013 i contributi in favore del Circolo Montecitorio, frequentato sul Lungotevere da deputati (pochi) e dipendenti e funzionari (molti), e quelli per la Fondazione della Camera, guidata per cinque anni dall'ex presidente. Pro tempore da Bertinotti, dal prossimo anno da Fini. I bilanci della Fondazione saranno inviati in virtù del nuovo statuto alla Corte dei conti. Detto questo, resta invariato il capitolo "rimborso spese di viaggi ai deputati": 8,5 milioni di euro nel 2012. E quello destinato ai viaggi degli ex deputati (anche loro con benefit): 800 mila euro. Uguale allo scorso anno l'esborso per la manutenzione ordinaria degli edifici della Camera (13,8 milioni di euro) e per la telefonia mobile ad appannaggio di onorevoli e funzionari (550 mila euro l'anno). Stesso discorso per la buvette: anche nel 2012 costerà 540 mila euro. In calo minimo dopo anni i "servizi di pulizia" 6 milioni 930 mila euro (anziché i 7 milioni), la lavanderia di palazzo con 60 mila euro (anziché i 70 mila). Si dimezza la spesa per l'acquisto di giornali e periodici, che passa da 590 mila a 300 mila euro. Quasi centomila euro in meno per carta e cancelleria dopo le polemiche dei mesi scorsi (920 mila euro).

È stato invece raggiunto a Montecitorio ieri mattina, dopo settimane di braccio di ferro, un accordo con i sindacati dei dipendenti con cui passano i tagli da 13,2 milioni l'anno a carico del personale.

(21 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/21/news/camera_pranzo_deputati-42946548/


Titolo: CARMELO LOPAPA La Prestigiacomo lascia il Pdl "Ormai sono disgustata"
Inserito da: Admin - Settembre 30, 2012, 02:12:03 am
IL PERSONAGGIO

La Prestigiacomo lascia il Pdl "Ormai sono disgustata"

L'ex ministro dell'Ambiente, in Parlamento da 1994 pronta ad abbandonare il gruppo Azzurro. "Non c'è traccia del sogno berlusconiano, solo gruppi di potere in lotta fra loro"

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Due sere fa era seduta in prima fila al cospetto del Cavaliere, presentazione show del libro di Brunetta. La settimana prossima formalizzerà l'addio al gruppo del Popolo delle libertà. Il dado è tratto, ha raccontato Stefania Prestigiacomo alle ormai poche amiche e colleghe che hanno tentato di frenarla. Forfait di una "forzista" della prima ora, destinato a fare rumore. Tanto più perché potrebbe portarla sulle sponde dei centristi Casini e Fini.

Tuttavia l'ex ministra non rompe con Silvio Berlusconi (che oggi festeggerà i suoi 76 anni in Provenza dalla figlia Marina). "Con lui rapporti sempre ottimi" ha spiegato. È con tutto l'establishment del partito che non si ritrova più. Rapporti azzerati. Dialogo nullo. "Sono sconcertata da tutto - ha confidato - Del sogno berlusconiano in questo partito non c'è più traccia. Siamo circondati da piccoli gruppi di potere che passano le giornate a litigare". Ecco, di fronte allo spettacolo delle ultime settimane, la deputata aretusea si definisce "disgustata". Il Pdl, così com'è, lo ritiene ormai un "partito inesistente". Nasce da qui la presa di distanza che a giorni porterà al passo dell'addio. Disimpegno intanto dalla campagna elettorale siciliana in vista delle Regionali del 28 ottobre. Oggi alle 18, al Teatro Politeama di Palermo, Nello Musumeci, candidato del centrodestra, terrà la sua kermesse. Ma Stefania Prestigiacomo (rientrata
ieri a Siracusa) non ci sarà. Più probabile a questo punto il sostegno alla corsa di Gianfranco Micciché, amico e big sponsor fin dagli esordi e candidato del Terzo polo in Sicilia.

Una vita sulla scia di Silvio Berlusconi, imprenditrice, entrata a meno di trent'anni alla Camera, è tra i pochi parlamentari in carica ad aver affiancato l'avventura politica del leader da Forza Italia nel '94 ad oggi. Ministra delle Pari opportunità nel Berlusconi ter e dell'Ambiente nell'ultimo esecutivo. Non senza scintille. È passato agli annali il pianto del 2005 quando partito e governo le voltarono le spalle sulle quote rosa, ma anche la battaglia di principio condotta e persa col referendum sulla fecondazione assistita. Come pure gli scontri con Tremonti per i fondi via via sottratti al dicastero per l'Ambiente, negli ultimi anni.

Il forfait della Prestigiacomo - che i maligni ricollegano alla molto probabile esclusione dalle prossime liste - in realtà è sintomo di un malessere diffuso. E di una corsa al "si salvi chi può" destinata a farsi frenetica nelle prossime settimane. Quel che la deputata ha escluso, parlando con i colleghi a lei più vicini, è di accettare il corteggiamento del Grande Sud di Micciché. Sembra piuttosto che i contatti e il pressing nei confronti della ex ministra siano stati altrettanto insistenti, e più fruttuosi, da parte dei centristi Casini e Fini. Ma la Prestigiacomo non è l'unica berlusconiana finita nel mirino dei cacciatori di "teste" avversari. Non da ora, per esempio, lo è anche un'altra ex ministra come Mara Carfagna. Campanelli d'allarme (i più noti) di un partito in rotta alla vigilia della resa dei conti elettorale.

(29 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/29/news/prestigiacomo_lascia_pdl-43500719/?ref=HREC1-3


Titolo: CARMELO LOPAPA "Così si colpisce la libertà di stampa l'editore non può ...
Inserito da: Admin - Ottobre 23, 2012, 05:51:02 pm
L'intervista

"Così si colpisce la libertà di stampa l'editore non può entrare nelle redazioni"

Gustavo Zagrebelsky attacca sulla cosidetta legge salva-Sallusti che rischia di diventare una legge bavaglio: "Mondo politico insofferente al giornalismo d'inchiesta.

Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere"

di CARMELO LOPAPA

ROMA - "Neppure il fascismo aveva previsto una disciplina del genere. Il codice penale prevede lo schermo del direttore responsabile e tutto, da allora, è riconducibile a quella figura. Nel momento in cui però si estende la responsabilità all'editore, allora il sistema di garanzie e di diritti, il delicato equilibrio che è alla base del diritto di informare e di essere informati rischia di essere compromesso". Il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nutre più di una perplessità sul testo che corre spedito in commissione al Senato e che rischia di trasformarsi in una nuova edizione della legge-bavaglio. E sono tanti i nodi da passare al setaccio.

Tutto parte dal caso Sallusti, Professore. Dal direttore del "Giornale" che rischia la galera per un articolo diffamatorio.
"Lasciamo da parte per un momento la libertà di stampa con la "L" maiuscola. Parliamo del caso specifico. La pena detentiva è prevista dalla legge penale e il problema dell'adeguatezza della pena è annoso, non nuovo. Va detto, però, che nel caso dell'articolo in questione non si tratta di opinioni, ma dell'attribuzione di fatti determinati risultati palesemente falsi. Il reato consiste nell'omessa vigilanza circa un fatto che non riguarda la libertà di opinione. Si può discutere se il carcere sia la misura più appropriata".

Ecco appunto, lo è?
"Siamo di fronte a una valutazione politica, di opportunità: stabilire se il carcere è adeguato, proporzionato o utile. La mia risposta è no. Il carcere non è adeguato. In questo, come in tanti altri casi, non è la misura opportuna. Sulla qualità delle pene adeguate a un paese civile si discute da tempo e poco o nulla è stato fatto. Il carcere, come misura normale, è un fatto d'inciviltà. Discutiamo di questo".

Quali sarebbero le sanzioni adeguate, secondo lei?
"Innanzitutto, quella pecuniaria, come risarcimento del danno morale derivante dalla lesione dell'onorabilità delle persone: un bene importantissimo, quasi un bene sommo. Poi, l'intervento degli ordini professionali, cui spetta la tutela della deontologia, a tutela dell'onorabilità della professione. A me pare che le misure interdittive dell'esercizio della professione siano coerenti con questa esigenza. Poi, occorrerebbe prevedere forme processuali particolarmente celeri, processi immediati. Il diffamato che cosa se ne fa d'una sentenza che interviene dopo anni? Ciò che occorre è il ripristino dell'onore della persona offesa".

Il problema, nella legge in questione, è che l'alternativa al carcere è una sanzione pecuniaria talmente pesante da trasformarsi in un bavaglio per la stampa.
"La questione vera e grande, al di là del folclore di molti emendamenti, è la chiamata in causa dell'editore. Nel momento in cui si estende la responsabilità al proprietario dell'impresa editoriale, è chiaro che questi farebbe di tutto per prevenirla e ciò gli darebbe il diritto d'intervenire nella gestione dell'impresa giornalistica, un'impresa molto particolare, nella quale la libertà della redazione deve essere preservata dall'intervento diretto della proprietà, cioè del potere economico. L'autonomia dell'informazione, come libera funzione, è messa in pericolo da una norma di questo genere".

Se è per questo, l'editore rischia di perdere anche i contributi pubblici, in caso di condanna.
"È una previsione che, colpendo l'editore, mette a repentaglio, oltre all'azienda, anche il patto che per consuetudine viene stipulato, almeno tacitamente, tra impresa, direttore e giornalisti: la copertura finanziaria da parte dell'editore delle eventuali condanne pecuniarie dei giornalisti che operano nella sua impresa".

Diventa un'aggravante la circostanza che a firmare un articolo, ritenuto diffamatorio, siano ad esempio tre giornalisti. Siamo all'associazione a delinquere informativa?
"Quanto emerge da proposte di questo tenore è l'insofferenza che parti del mondo politico, indipendentemente dal colore, nutrono nei confronti del giornalismo di inchiesta che è un'attività che non si può svolgere da soli".

Le sue critiche si riferiscono anche all'ipotesi di sospensione del giornalista fino a tre anni, in casi estremi di recidiva nella diffamazione?
"No. Su questo sarei favorevole. Se la diffamazione è provata come fatto doloso, allora è giusta la sanzione proporzionata alla gravità dell'offesa. Per un cittadino, essere colpito nella propria onorabilità è un fatto grave, che può segnare pesantemente una vita, soprattutto delle persone per bene. Agli altri, per definizione, non importa nulla. Oggi, sembra che l'onore delle persone non conti più quasi nulla. Si tratta di ripristinare, innanzitutto nella coscienza civile, l'idea che l'onore, il rispetto, la dignità sono beni primari e la legge deve operare a questo fine. Certo, ci deve essere la prova del dolo, della macchinazione voluta per distruggere moralmente una persona. Stiamo parlando di ciò che voi giornalisti avete chiamato la "macchina del fango". E non può essere tollerata, lasciata operare senza freni. È cosa deplorata ma, di fatto, tollerata come arma da usare nella polemica politica, nella lotta per il potere. Va contrastata con ogni mezzo, anche con sanzioni molto pesanti".

La nuova disciplina rende più grave la sanzione se l'offeso è "un corpo politico, amministrativo o giudiziario", per stare ai termini della legge. La "casta" da tutelare più degli altri?
"Esistono dei reati che riguardano la tutela dell'onorabilità delle istituzioni. E questa è una cosa. Un'altra cosa sono gli uomini e le donne che operano nelle istituzioni. Questi non sono essi stessi istituzioni. Sono normali cittadini che, pro tempore, svolgono funzioni pubbliche. Bisogna distinguere. In passato, erano previste forme di tutela speciale contro l'oltraggio al pubblico ufficiale, punito in misura più severa di quanto lo fosse l'offesa arrecata al cittadino comune, ma la Corte costituzionale in tempi lontani ha fatto venire meno questa differenza. Il principio di uguaglianza deve valere per tutti e coloro che occupano posti nelle istituzioni non devono essere considerati più uguali degli altri".


(22 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/22/news/cos_si_colpisce_la_libert_di_stampa_l_editore_non_pu_entrare_nelle_redazioni-45039302/


Titolo: CARMELO LOPAPA Alfano vacilla, Silvio lo boccia Non capisce la pancia del paese
Inserito da: Admin - Ottobre 29, 2012, 10:54:58 pm
LA POLEMICA

Alfano vacilla, Silvio lo  boccia "Non capisce la pancia del paese"

Nel Pdl caos e rischio scissione.

La sorte del segretario appesa alla Sicilia: in caso di ko si dimetterà. "Così ci conteremo tra moderati e oltranzisti".

L'ira del Cavaliere su Monti e Colle: mi hanno abbandonato

di CARMELO LOPAPA

ROMA - Dopo di lui il diluvio. E pazienza se oggi sarà lunedì nero per spread e Borse. "Ho fatto due passi indietro ma Monti e Napolitano hanno preferito abbandonarmi al mio destino. Ora ho il diritto di difendermi, mi vogliono in galera e non ho tempo da perdere". Nel day after, Silvio Berlusconi rincara la dose, se possibile. Il governo dei tecnici dice di non volerlo far cadere, ma "ballare" sì che lo farà ballare. A cominciare da domani in commissione, legge di stabilità con la sua "odiosa" pressione fiscale.

La giornata di festa, dopo una settimana da incubo, la trascorre ad Arcore, in famiglia. Al telefono pochi fedelissimi del giro lombardo. Il Pdl vada pure per la sua strada, ripete. Martedì i dirigenti di via dell'Umiltà si riuniranno per il tavolo delle regole sulle primarie, lui partirà per Malindi. Destinazione Kenya, ritorno al residence di Briatore e arrivederci al 5 novembre. Le primarie sono "affare loro". Il partito è attonito, governato in queste ore dal panico, scialuppa in cui tutti i dirigenti cercano la rotta per salvarsi. Partito soprattutto a un passo dalla scissione, tra berlusconiani e montiani. Solo dopo una telefonata lunga un'ora, sabato a pranzo, Gianni Letta è riuscito a convincere l'ex premier a desistere dall'annuncio in conferenza stampa del varo del nuovo partito, della nuova lista.

Ma è lì che Berlusconi andrà a parare. Il segretario Alfano tace, ricomparirà oggi
dopo il voto in Sicilia 1. Sa di avere buona parte del partito con lui, sulla sponda pro-Monti, ma una disfatta nella "sua" isola potrebbe portarlo alle dimissioni, ammettono dirigenti di via dell'Umiltà. Fosse pure per provocare una scossa e trasformare le primarie in una corsa per la segreteria e contarsi lì sulla linea: quella oltranzista del capo o quella moderata che lui, Angelino, ormai rappresenta. "Non si torna indietro da Monti" diceva ieri sera al Tg3 Maurizio Lupi. È il diktat anche di Franco Frattini, che non fa mistero di non aver gradito affatto le uscite antieuropeiste e di non sostenerle in Parlamento. "Attenti a non far saltare lo spread" avverte ormai anche il capogruppo Fabrizio Cicchitto. Perfino il fedelissimo Gaetano Quagliariello sembra quasi richiamare il leader, quando fa notare che "in presenza di elezioni non si fa dibattito interno, è un fatto di buon senso". E comunque, "la spina a Monti non si stacca" avverte il vicecapogruppo alla Camera Osvaldo Napoli.

È l'ala montiana del partito, che comprende anche Maria Stella Gelmini (pur presente a Lesmo due giorni fa) e Mario Mauro, capogruppo a Strasburgo, assai critico con la svolta anti-Ue e "suicida" con la Merkel. Sognano il Ppe italiano, si sono ritrovati all'ombra di un leader populista e nemico dell'euro. A questo punto, però, la loro è l'ala maggioritaria. Pronta ad andare alla conta se la fronda berlusconiana decidesse di staccare la spina. Una fronda che comprende i coordinatori Verdini e Bondi, gli ex An La Russa e Meloni e Corsaro tentati dalla rivolta contro Monti. E poi le "amazzoni" Santanché e Biancofiore, ma anche i dc Rotondi e Giovanardi, oltre che il coordinatore lombardo Mantovani e Paolo Romani. La sacca di resistenza che ha deciso di stare col capo sempre e comunque. La Santanché, che due giorni fa aveva provocato Alfano chiedendone le dimissioni, ieri twittava trionfante: "Le parole di Berlusconi sono state un colpo d'aria che ha fatto andar via la voce agli amici del Pdl". Qualcuno di loro suggerisce anche una grande manifestazione di piazza, come ai vecchi tempi. Ma non tira aria. Pallottoliere alla mano, sulla "stabilità" alla Camera i berlusconiani non avrebbero i numeri per opporsi. Ma al Senato - ieri si faceva di conto nel partito - ce la farebbero, assieme ai leghisti.

Molteplici e tormentate le telefonate intercorse ieri per tutto il giorno tra Angelino Alfano e il suo leader. "Perché proprio ora? Giusto alla vigilia del voto in Sicilia? È un attacco a me? Ce l'hai con me?" avrebbe incalzato il segretario, stando ai racconti di chi ha parlato con Berlusconi. Il Cavaliere lo ha rassicurato a più riprese. "Con lui sotto il profilo umano non c'è alcun problema, ma ci sono alcuni nodi politici da risolvere" ha poi spiegato l'ex premier ai suoi interlocutori. Staccare la spina al governo non lo ritiene utile, ormai: "La crisi non conviene a nessuno, al voto si va comunque a breve: io ormai sono in campagna elettorale". Quella legge che aumenta la pressione fiscale però la vuole "stravolgere". Il presidente del Consiglio è nel mirino, come lo è senza ipocrisie ormai il capo dello Stato. Non si attendeva certo un salvacondotto, Berlusconi, a sentire lo sfogo delle ultime ore, ma delle garanzie più solide, anche dal Colle. Non è arrivato: "L'anno scorso ho compiuto un sacrificio importante, ma mi hanno abbandonato in balia dei magistrati". Ora non ci sta più.

Cavaliere "galvanizzato", raccontano, che adesso alza il tiro in privato a briglie sciolte contro Monti: "Ogni volta parla di credibilità come se quelli che sono venuti prima di lui fossero dei poco di buono. Lo spread si è regolarizzato, è vero, ma grazie agli interventi della Bce, non solo grazie a lui". E continua, rivolto al Professore: "Molte scelte strategiche vengono fatte senza alcun coinvolgimento: non ha tagliato il cuneo fiscale, non ha movimentato la crescita, solo tagli". Per non dire dei ministri tecnici del governo, definiti nei colloqui confidenziali "irriguardosi", oltre che con "velleità" politiche: "Ma chi si credono di essere?"

Berlusconi si è convinto che la pancia del Paese non segua più questo governo, soprattutto il cuore del Nord produttivo, "basta sentire Squinzi". E lui, l'ex premier, pensa di poterla interpretare, quella "pancia". A differenza del segretario del suo partito. "Angelino è un caro ragazzo. Ma fa fatica ad avere presa su quella fetta di paese scontento e disperato". È lo spartiacque del leader Pdl, "chi vuole andare col governo delle tasse ci vada pure, Angelino scelga con chi stare, io ho lanciato un'operazione verità". Con lui o contro di lui, ormai è una partita a rompere.

(29 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/29/news/pdl_rischio_scissione-45477927/?ref=HRER2-1


Titolo: Re: CARMELO LOPAPA
Inserito da: Admin - Novembre 15, 2012, 06:05:28 pm
Il retroscena

Il Cavaliere prepara il colpo di scena "Il candidato non sarà comunque Angelino"

L'ufficio di presidenza del Pdl si è trasformato in un vero e proprio psicodramma.

Berlusconi cerca un'alternativa e studia la nuova discesa in campo: solo io posso.

Il leader del Pdl ha già fissato per il 26 gennaio la data per il secondo "predellino"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Io continuo a cercare un candidato premier. Angelino vincerà pure le primarie, ma con lui rischiamo di straperdere le politiche ". Quando in serata inoltrata i dirigenti del Pdl e poi i giornalisti convocati in conferenza stampa lasciano il parlamentino di Palazzo Grazioli, dopo cinque ore di "psicodramma" di partito, Silvio Berlusconi assicura ai suoi che quel "dinosauro" lo tirerà fuori per davvero. Che lo choc ci sarà e sarà "rivoluzione". Un leader esterno. Ma se non sbucherà dal cilindro il "Berlusconi in stile '94", allora lui stesso è pronto a giocarsi la sua partita. Lo deve agli interessi di famiglia, alla guerra aperta con la magistratura, al popolo degli elettori che ritiene ancora di rappresentare. "Da solo valgo almeno il 10 per cento", va ripetendo focus group alla mano.

La selezione dei giovani manager d'altronde è partita. Quelli incontrati in più occasioni a Villa Gernetto. Ha sondato sul serio quello che con sprezzo Alfano definisce il "gelataio", il giovane fondatore dell'impero Grom, Guido Martinetti. C'è l'imprenditore modenese Gianpiero Samorì. Il talent scout televisivo  -  e di questi tempi forse non solo tv  -  Flavio Briatore, compagno di vacanze e forse socio di futuri investimenti in Kenya. Il neoconsigliere Volpe Pasini e Maria Rosaria Rossi. E poi i pretoriani del partito. Quelli che ancora ieri, a inizio vertice, hanno provato a caricarlo a molla per spingerlo a ritornare in pista. "Presidente, ma non lo vedi che Casini ormai va col Pd, tu non devi fare un passo indietro ma due avanti per rappresentare i moderati " lo sprona la Santanché. E come lei Giancarlo Galan. Quest'ultimo spintosi fino a un duello a muso duro con Angelino Alfano in quel vertice diventato resa dei conti. E poi Paolo Romani, Matteoli e la Bernini e ancora la Carfagna, la Prestigiacomo, la De Girolamo, Biancofiore, insomma "amazzoni", come continua ad apostrofarle in privato Alfano.

Ed è bastato attendere la conferenza stampa serale  -  convocata in fretta e furia per coprire l'immagine devastante rilanciata per tutto il pomeriggio dai lanci di agenzia su quanto stava esplodendo a porte chiuse  -  per comprendere che il Cavaliere ha altri piani. E soprattutto non ha alcuna intenzione di farsi da parte. "Metto a disposizione la mia esperienza per il paese" avverte, dopo aver chiuso una volta per tutte con Monti e il suo governo dal 2013. Non senza preannunciare il ritorno presto in tv, che per lui vuol dire campagna elettorale. Certo, ci saranno le primarie, ma per come sono state partorite dal vertice decisivo, "nascono già delegittimate ", come spiega un alto dirigente del partito. L'ex premier le ha stroncate pubblicamente dicendo che, fosse per lui, andrebbero fatte in dieci giorni e mediante call center. Come dire, le facciano pure. E si faranno, a questo punto, ma lo stesso capogruppo Cicchitto deve premettere che "se ci fosse la decisione di Berlusconi di tornare in campo, saremmo tutti intorno a lui".

La macchina che dovrà produrre lo "choc", la "rivoluzione" del resto è già in moto. I consiglieri a lui più vicini sostengono che stia attendendo l'esito delle primarie del Pd del 25 novembre. Prima di allora continuerà a lavorare sotto traccia. La data segnata in rosso per un "predellino 2" è il 26 gennaio. Più o meno in concomitanza con la data alla quale Alfano avrebbe pensato per piazzare la grande convention Pdl destinata alla sua scontata acclamazione.

Berlusconi avrebbe voluto completare già ieri pomeriggio la demolizione finale avviata da tempo. Smantellare il giocattolo delle primarie e con esse spazzare via l'intero palchetto di coordinatori, capigruppo, segretario, costretti a quel punto alle dimissioni. E a inizio vertice procedeva a colpi di piccone "le primarie sono capaci solo di alimentare le faide che i nostri elettori schifano", "ho sondaggi pessimi sul loro gradimento ", chiama il Pdl "Forza Italia ". Poi, col trascorrere delle ore, la demolizione viene congelata, rinviata. Perché dopo i pasdaran berlusconiani prende la parola Alfano e alza per la prima volta la testa e la voce prendendosela con "gelatai e barzellettieri" (o barzellettati). Si spinge fino a ventilare possibili dimissioni, se le primarie venissero cancellate ("Io non ci sto"). E dopo lui tutti i dirigenti più vicini e sono tanti, da Croseto a Fitto, da Lupi ad Alemanno e La Russa, ma anche una berlusconiana come Mariastella Gelmini invita a fare ormai la consultazione e a tenere insieme il leader e il Pdl, altrimenti si va tutti a sbattere. Nel frattempo, tutti gli ex An si erano riuniti prima del vertice riesumando il progetto di "scissione ", La Russa e Gasparri arrivano per protesta in ritardo a riunione iniziata. Ma con lo psicodramma in corso nessuno se n'è accorto.

(09 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/09/news/il_cavaliere_prepara_il_colpo_di_scena_il_candidato_non_sar_comunque_angelino-46223735/


Titolo: CARMELO LOPAPA Zagrebelsky: "I valori della Costituzione per battere i ...
Inserito da: Admin - Novembre 17, 2012, 03:16:28 pm
   
INTERVISTA

Zagrebelsky: "I valori della Costituzione per battere i nichilisti e il vuoto della politica"

La democrazia dei 5 Stelle è inganno. La tecnica non basta a governare un Paese. Il logoramento è sfociato in astensionismo e violenza.

La domanda ora è: siamo ancora in tempo per rimediare?

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Intorno a noi, vuoto politico. Ci voleva tanto a capire che la tecnica non basta a governare un Paese? Il governo tecnico poteva essere una medicina, ma la parola avrebbe dovuto riprendersela al più presto la politica. Ci voleva tanto a immaginare il logoramento che si sarebbe determinato: astensionismo, violenza, rifugio in forme di protesta elementari, prepolitiche? Siamo ancora in tempo per riprendere in mano politicamente la situazione, o non siamo più in tempo? Questa è la domanda". C'è preoccupazione nella riflessione di Gustavo Zagrebelsky. Nel "Manifesto di Libertà e Giustizia", da lui appena elaborato, viene indicata una possibilità, singolarmente consonante con quanto scrive Salvatore Settis nel suo ultimo libro che porta il sottotitolo "ritornare alla politica, riprendersi la Costituzione".

Come affrontare l'emergenza, professore, ora che le piazze italiane somigliano a quelle di Atene e Madrid?
"Innanzitutto, invito a distinguere. Come sempre nei momenti di crisi, una parte della società sta a guardare, cercando di difendere posizioni e privilegi, per poi, eventualmente, schierarsi col vincitore. All'opposto, par di vedere atteggiamenti - alimentati da parte della stampa - schiettamente nichilistici: distruggiamo tutto, poi si vedrà. Infine ci sono coloro che comprendono e vivono le difficoltà del momento e non aspettano altro che potersi identificare in qualcosa di nuovo, per muovere in una direzione costruttiva.
Tra questi, ci sono, oggi, molti passivi, solo perché non si mostra loro come e perché possano rendersi attivi".

Per la verità il Movimento 5 Stelle Grillo sembra, eccome, svolgere una funzione mobilitante.
"Sì. Ma bisogna onestamente dire che non sappiamo come e verso che cosa questa mobilitazione s'incanalerà. Non sappiamo se c'è un rapporto causa-effetto nella circostanza che, in Italia, dove esiste il M5S, non abbiamo avuto (finora?) l'esplosione di movimenti d'ultra destra, razzisti, nazionalisti. Se il rapporto c'è, dovremmo essere grati. Ma non conosciamo quale sarà l'esito: potrà costruire qualcosa o sarà votato alla distruzione? Su questo punto, sarebbe bene che i suoi sostenitori si ponessero domande fondamentali".

Si riferisce all'assenza di programma?
"No. Il programma c'è e non si può dire che sia più vuoto di quello di tanti partiti. Ma io penso ad altro, alla concezione della democrazia".

Che vuol dire?
"La democrazia del M5S vuole essere, attraverso l'uso della rete, una forma di democrazia diretta. Ma si dovrebbe sapere che la democrazia diretta come regola è solo la via per il plebiscito. L'idea della sovranità del singolo, il quale versa la sua voce nel calderone informatico, è un'ingenuità, un inganno. Su questo punto, il movimento di Grillo dovrebbe essere incalzato. Invece di scagliare vuote parole come "antipolitico", si dovrebbe spiegare che cosa è una forza politica basata sulla rete: democrazia diretta, sì; ma diretta da chi? La rete informatica può facilmente essere una rete nelle mani di uno o di pochissimi. Il leaderismo del periodo di Berlusconi si nutriva almeno di pulsioni populiste. Qui, il controllo dall'alto, a onta dei bagni di folla puramente spettacolari, si prospetta come un algido collegamento - nemmeno definibile rapporto - telematico".

Vuol dire che diventerebbe una democrazia eterodiretta?
"La logica parlamentare consiste nel dialogo e nel compromesso. Quando una spina di - si dice - centocinquanta deputati diretti dal web sarà piantata in Parlamento, che ne sarà di questa logica? La nostra democrazia rappresentativa già fatica, anche a causa dei tanti "vincoli di mandato" che legano i deputati a lobbies e corporazioni. Che cosa succederà in presenza d'un gruppo consistente che, per statuto, deve operare irrigidito dalla posizione che è in rete: o sarà ridotto all'impotenza, o ridurrà all'impotenza l'istituzione parlamentare".

Quale alternativa offrite col "Manifesto di Libertà e Giustizia"?
"Può sembrare un ritorno all'antico. È la Costituzione. Non è una parola vuota, ma svuotata. Sono decenni che la si vuole cambiare e, con ciò, s'è dato da intendere che è superata. Invece non è affatto superata. La Costituzione non contiene la soluzione dei nostri problemi, ma la direzione da seguire per affrontarli. E questa traccia è contenuta nel più elevato, nel più pensato, nel più denso di consapevolezza storica tra i documenti politici che il popolo italiano abbia prodotto".

Può fare qualche esempio?
"Basta scorrerne gli articoli, a partire dall'articolo 1, dove si parla del lavoro - non della rendita, non della speculazione, nemmeno della proprietà (che pure è riconosciuta e tutelata) - come fondamento della Repubblica. Non mi faccia fare un elenco. Ma voglio solo ricordare l'importanza che la Costituzione attribuisce alla cultura (non alla "tre i") e alla scuola (pubblica), come premesse, o promesse, di cittadinanza".

Nel confronto tv per le primarie, nessun candidato del centrosinistra ha inserito nel suo Pantheon personaggi della fase costituente. Che dire?
"Sciocca la domanda (non la sua, ma quella del conduttore), e sciocchissime le risposte. Invece di qualcuno che abbia a che fare con la loro formazione politica, con la propria identità, hanno evocato dal nulla nomi di degnissime persone, Papa Giovanni, Mandela, Martini... Io avrei potuto, allo stesso titolo, dire Giovanna d'Arco. Si è speculato sull'alta dignità di uomini assenti che avrebbero potuto dirti: ma come ti permetti d'utilizzarmi per farti bello, anzi per farmi fare da specchietto per allodole? Vuote e piuttosto ridicole parole".

Nel vostro Manifesto, c'è, appunto, un atto d'accusa contro le "parole vuote" della politica.
"Sì. Il Pantheon suddetto appartiene alle parole vuote. Ma poi riforme, innovazione, giovani, condivisione, merito, e tante altre. Qualcuno è contro i giovani? Qualcuno e per il de-merito? Bisognerebbe, per non inzupparci di parole inutili, seguire questo criterio: ciò che è ovvio, non deve essere detto".

Vi obietteranno che rischia di esserlo anche la fase costituente.
"No, No! Non "fase costituente", ma "fase costituzionale"!".

Ci spieghi.
"Vuol dire riportare la Costituzione al centro. Vorremmo un partito che dicesse: il mio programma è la Costituzione, il ripristino della Costituzione, nella vita politica, nella coscienza degli italiani: uguaglianza, libertà, diritti civili senza veti confessionali o ideologici, partiti organizzati democraticamente. Qualcuno dei nostri politici sa quale entusiasmo si suscita quando si parla di queste cose con la passione che meritano? E quale senso di ripulsa, invece, quando si parla dei partiti?".

In questi tempi, in effetti, pare che tutto ciò che i partiti toccano si trasformi in rifiuto.
"Non bisogna generalizzare. Anzi, occorre aiutare a distinguere. Per questo, se un partito "toccasse" la Costituzione in modo corretto, per farsene il manifesto, ne uscirebbe nobilitato. Aggiungo: se lo facesse in modo credibile, otterrebbe una valanga di voti. Nel referendum del 2006, quasi 16 milioni di cittadini hanno votato per la difesa di questa Costituzione, contro le improvvisazioni costituzionali, magari coltivate per anni, ma sempre improvvisazioni".

(16 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/16/news/zagrebelsky_costituzione-46755190/


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi cerca un'alternativa e studia la nuova discesa in ...
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2012, 05:01:55 pm
Il retroscena

Il Cavaliere prepara il colpo di scena "Il candidato non sarà comunque Angelino"

L'ufficio di presidenza del Pdl si è trasformato in un vero e proprio psicodramma.

Berlusconi cerca un'alternativa e studia la nuova discesa in campo: solo io posso.

Il leader del Pdl ha già fissato per il 26 gennaio la data per il secondo "predellino"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Io continuo a cercare un candidato premier. Angelino vincerà pure le primarie, ma con lui rischiamo di straperdere le politiche ". Quando in serata inoltrata i dirigenti del Pdl e poi i giornalisti convocati in conferenza stampa lasciano il parlamentino di Palazzo Grazioli, dopo cinque ore di "psicodramma" di partito, Silvio Berlusconi assicura ai suoi che quel "dinosauro" lo tirerà fuori per davvero. Che lo choc ci sarà e sarà "rivoluzione". Un leader esterno. Ma se non sbucherà dal cilindro il "Berlusconi in stile '94", allora lui stesso è pronto a giocarsi la sua partita. Lo deve agli interessi di famiglia, alla guerra aperta con la magistratura, al popolo degli elettori che ritiene ancora di rappresentare. "Da solo valgo almeno il 10 per cento", va ripetendo focus group alla mano.

La selezione dei giovani manager d'altronde è partita. Quelli incontrati in più occasioni a Villa Gernetto. Ha sondato sul serio quello che con sprezzo Alfano definisce il "gelataio", il giovane fondatore dell'impero Grom, Guido Martinetti. C'è l'imprenditore modenese Gianpiero Samorì. Il talent scout televisivo  -  e di questi tempi forse non solo tv  -  Flavio Briatore, compagno di vacanze e forse socio di futuri investimenti in Kenya. Il neoconsigliere Volpe Pasini e Maria Rosaria Rossi. E poi i pretoriani del partito. Quelli che ancora ieri, a inizio vertice, hanno provato a caricarlo a molla per spingerlo a ritornare in pista. "Presidente, ma non lo vedi che Casini ormai va col Pd, tu non devi fare un passo indietro ma due avanti per rappresentare i moderati " lo sprona la Santanché. E come lei Giancarlo Galan. Quest'ultimo spintosi fino a un duello a muso duro con Angelino Alfano in quel vertice diventato resa dei conti. E poi Paolo Romani, Matteoli e la Bernini e ancora la Carfagna, la Prestigiacomo, la De Girolamo, Biancofiore, insomma "amazzoni", come continua ad apostrofarle in privato Alfano.

Ed è bastato attendere la conferenza stampa serale  -  convocata in fretta e furia per coprire l'immagine devastante rilanciata per tutto il pomeriggio dai lanci di agenzia su quanto stava esplodendo a porte chiuse  -  per comprendere che il Cavaliere ha altri piani. E soprattutto non ha alcuna intenzione di farsi da parte. "Metto a disposizione la mia esperienza per il paese" avverte, dopo aver chiuso una volta per tutte con Monti e il suo governo dal 2013. Non senza preannunciare il ritorno presto in tv, che per lui vuol dire campagna elettorale. Certo, ci saranno le primarie, ma per come sono state partorite dal vertice decisivo, "nascono già delegittimate ", come spiega un alto dirigente del partito. L'ex premier le ha stroncate pubblicamente dicendo che, fosse per lui, andrebbero fatte in dieci giorni e mediante call center. Come dire, le facciano pure. E si faranno, a questo punto, ma lo stesso capogruppo Cicchitto deve premettere che "se ci fosse la decisione di Berlusconi di tornare in campo, saremmo tutti intorno a lui".

La macchina che dovrà produrre lo "choc", la "rivoluzione" del resto è già in moto. I consiglieri a lui più vicini sostengono che stia attendendo l'esito delle primarie del Pd del 25 novembre. Prima di allora continuerà a lavorare sotto traccia. La data segnata in rosso per un "predellino 2" è il 26 gennaio. Più o meno in concomitanza con la data alla quale Alfano avrebbe pensato per piazzare la grande convention Pdl destinata alla sua scontata acclamazione.

Berlusconi avrebbe voluto completare già ieri pomeriggio la demolizione finale avviata da tempo. Smantellare il giocattolo delle primarie e con esse spazzare via l'intero palchetto di coordinatori, capigruppo, segretario, costretti a quel punto alle dimissioni. E a inizio vertice procedeva a colpi di piccone "le primarie sono capaci solo di alimentare le faide che i nostri elettori schifano", "ho sondaggi pessimi sul loro gradimento ", chiama il Pdl "Forza Italia ". Poi, col trascorrere delle ore, la demolizione viene congelata, rinviata. Perché dopo i pasdaran berlusconiani prende la parola Alfano e alza per la prima volta la testa e la voce prendendosela con "gelatai e barzellettieri" (o barzellettati). Si spinge fino a ventilare possibili dimissioni, se le primarie venissero cancellate ("Io non ci sto"). E dopo lui tutti i dirigenti più vicini e sono tanti, da Croseto a Fitto, da Lupi ad Alemanno e La Russa, ma anche una berlusconiana come Mariastella Gelmini invita a fare ormai la consultazione e a tenere insieme il leader e il Pdl, altrimenti si va tutti a sbattere. Nel frattempo, tutti gli ex An si erano riuniti prima del vertice riesumando il progetto di "scissione ", La Russa e Gasparri arrivano per protesta in ritardo a riunione iniziata. Ma con lo psicodramma in corso nessuno se n'è accorto.

(09 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/09/news/il_cavaliere_prepara_il_colpo_di_scena_il_candidato_non_sar_comunque_angelino-46223735/


Titolo: CARMELO LOPAPA Bersani avanti ora Vendola ago della bilancia
Inserito da: Admin - Novembre 26, 2012, 05:39:30 pm


di CARMELO LOPAPA

Bersani avanti ora Vendola ago della bilancia


Vanno a votare quasi in quattro milioni, alle primarie Pd. File ai gazebo e boom di partecipazione, ben oltre l'asticella che con prudente cautela i dirigenti avevano fissato. Vince Bersani, ma non sfonda al primo turno. Il 45 lo costringe al ballottaggio con Matteo Renzi, che lo tallona otto punti dietro.

In tarda serata poteva ritenersi soddisfatto anche Nichi Vendola: in una battaglia in buona parte di marchio Pd, raggiunge il 15 per cento che potrebbe risultare decisivo domenica a beneficio del segretario. Ma gli uomini di Renzi a questo punto sognano il sorpasso.

Nelle stesse ore serali in cui prendeva forma il successo delle primarie Pd, il premier Mario Monti parlava del suo futuro davanti alle telecamere di Fazio. Ribadisce che rifletterà sulle modalità con cui potrà dare il suo "contributo" e che in ogni caso la scelta sarà "inevitabilmente" sua. Anche se sulla decisione avranno un peso le valutazioni del capo dello Stato Napolitano.

Il Pdl ieri ha formalizzato le candidature alle primarie, sono sei. Ma Alfano ammette che tutto a questo punto dipende dalla decisione di Berlusconi. Che a metà settimana annuncerà la nascita di Forza Italia e il suo ritorno alla leadership. Gli ex An verso la scissione.

DA - http://www.repubblica.it/politica/


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi affonda Alfano: "Mi avete deluso, io il migliore"
Inserito da: Admin - Dicembre 06, 2012, 04:57:31 pm
Berlusconi affonda Alfano: "Mi avete deluso, io il migliore"

Duro scontro tra l'ex premier e Alfano nel corso del summit a Palazzo Grazioli.

Il segretario Pdl alza la voce: "Si decida, non possiamo stare a guardare il Pd". Unica concessione dell'ex premier: "Il partito resta, ma cambia nome"

di CARMELO LOPAPA

"Sono stanco, mi avete deluso tutti. Mi avete abbandonato". Sono trascorse tre ore e mezza in quel salotto, Silvio Berlusconi non ne può più, il pranzo a Palazzo Grazioli è diventato un vertice interminabile con le solite facce del gruppo dirigente. I coordinatori La Russa, Verdini, Bondi, i capigruppo Cicchitto e Gasparri, e poi il segretario Alfano e Gianni Letta e Niccolò Ghedini.

"Deluso", ripete il Cavaliere alzando la voce e guardando tutti: "Appena ho voltato le spalle mi avete accoltellato, adesso congiurate pure contro di me, ma soprattutto mi avete lasciato solo contro i magistrati", dice alludendo a quei miseri sette o otto comunicati di solidarietà seguiti alla sentenza di condanna di fine ottobre. Trame o cospirazioni, il candidato premier sarà lui.

Doveva essere un "gabinetto di guerra" - quello convocato dall'ex premier al suo ritorno a Roma dopo quasi due settimane - e lo è stato certamente nei toni. Alza la voce lui, ma prova ad alzarla anche Angelino Alfano, come capita ormai di frequente a Palazzo Grazioli. Lo incalzano: "Presidente, si deve decidere, non possiamo stare a guardare il Pd che ha un leader ed è già in campagna elettorale: sarai tu a guidare il partito o no?". Lui non lascia molti spiragli a un'alternativa. Di certo si riprende in mano il partito. "Serve rinnovamento, servono facce nuove anche in tv: sono sempre le stesse". E il rinnovamento passerà attraverso il cambio di nome imminente. Forza Italia o, come sussurra adesso qualcuno, Piazza Italia?

Ad ogni modo si svolta. "Vi faccio un'unica concessione. Resto convinto che con lo spacchettamento raccoglieremmo più voti, ma teniamoci pure un partito unico, come volete. Ma alle mie condizioni, decido io". E decide lui soprattutto le candidature, nessun margine di manovra. E detta le condizioni. "Vi do ventiquattro ore di tempo, io sono pure disposto a fare un passo indietro, ma indicatemi un nome credibile, che possa prendere il mio posto". Come dire, se siete davvero convinti che possa essere Alfano, ditemelo, ma ve ne assumete la responsabilità. Il fatto è che gli uomini del segretario tornano a sperare, in serata le agenzie di stampa rilanciano le voci di un passo indietro imminente che dopo le 22 scatena la sfuriata del Cavaliere. Il candidato premier è lui e lancerà a breve la sua campagna tutta in chiave anti Monti. Chi non ci sta, può pure farsi da parte. I filo governativi alla Frattini o alla Mauro o alla Lupi sono avvertiti.

Che Berlusconi non fosse affatto convinto di cedere lo scettro, lo aveva capito il dirigente vicino al segretario che pochi giorni fa era stato ospite ad Arcore. "Ma Angelino lo capisce o no che se non ho fatto le primarie è stato solo per il suo bene? Lo capisce o no che lui le avrebbe perfino perse?", lo ha gelato il padrone di casa. Figurarsi lanciare il segretario per Palazzo Chigi alla guida di un partito che già è precipitato al 16 per cento nei sondaggi consegnati in settimana. Oggi pomeriggio nuovo appuntamento a Palazzo Grazioli, dopo il Consiglio dei ministri che dovrà pronunciarsi sulla data del voto per le regionali.

Una cosa è certa. Tramonta ogni ipotesi di crisi legata al mancato election day con le politiche. È Berlusconi stesso, col conforto di Letta al suo fianco, a comunicare a tutti come il Quirinale abbia chiuso le porte a qualsiasi ipotesi di scioglimento anticipato delle Camere sotto il "ricatto" del Pdl. Tanto più che ci sono sette decreti in ballo e la legge di stabilità da approvare prima di Natale. Arma spuntata, dunque.

Detto questo, al Colle non dormono affatto sugli allori. C'è preoccupazione per le insidie pidielline che rischiano di paralizzare ormai ogni azione dell'esecutivo. Per il governo è iniziata la parabola discendente, difficile possa aggiungere pagine al libro già scritto, alla ripresa di gennaio. E in queste condizioni, ragionano alla Presidenza della Repubblica, potrebbe non avere senso attendere la scadenza naturale e far votare dunque ad aprile, anche se la legge elettorale non dovesse essere riformata. Così, con le regionali in Lazio e Molise a febbraio, si fa sempre più probabile la scadenza del 10 marzo per le politiche, magari da accorpare alla Lombardia. Berlusconi resta convinto, e lo ha ripetuto ai suoi, che con la Lega occorra ricucire e che Storace sia "il migliore candidato per il Lazio", sul quale il Pdl non nutre grosse aspettative.

Nelle tre ore e passa a Palazzo Grazioli, Alfano e La Russa e Gasparri rialzano il tiro sulla legge elettorale, chiedono il via libera per l'intesa col Pd sulla riforma. Ma anche su questo il leader ha opposto un muro. Lo dice, lo urla: il Porcellum resta l'unica via di fuga per evitare la disfatta e tentare il colpaccio di un pareggio al Senato. Sandro Bondi lascia anzitempo il vertice, "indignato" per la linea dei dirigenti. E si sfoga: "Inutili riunioni, Berlusconi farebbe bene ad ascoltare piuttosto il mondo che è fuori". Ed è quello che ormai farà.

Dalla residenza dell'ex premier capigruppo e dirigenti escono scuri in volto quando è già calata la sera. Tutti dicono: "Ci sarà un comunicato di Alfano". E invece un primo comunicato sarà diffuso da "Palazzo Grazioli", del segretario nessuna traccia. E quello che chiude ogni partita e preannuncia la ri-discesa in campo viene stilato alla presenza di Verdini in tarda serata dallo stesso Berlusconi. Game over.

(06 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/06/news/retroscena_berlusconi_deluso-48167278/


Titolo: CARMELO LOPAPA Silvio tenta la mossa a sorpresa: "Blind trust per Mediaset...
Inserito da: Admin - Gennaio 31, 2013, 11:16:19 am
Il Cavaliere tenta la mossa a sorpresa: "Blind trust per Mediaset e minicessione"

Retroscena.

L'argomento è stato trattato nei pranzi del lunedì con i figli. Anche Letta e Verdini informati

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Un blind trust per gestire il patrimonio da 4 miliardi di euro. Silvio Berlusconi si prepara ad annunciare il colpo a sorpresa a chiusura della campagna elettorale. Per spiazzare gli avversari, tentare di risalire di qualche punto, ma soprattutto "per fare piazza pulita dell'ultimo baluardo che la sinistra continua a strumentalizzare contro di me", come va dicendo. Il Cavaliere è intenzionato a confermare in quell'occasione la voce che circola con insistenza da giorni nei mercati finanziari. E che vorrebbe imminente la vendita di una quota cospicua, sebbene di minoranza, delle azioni Mediaset.

La mossa è allo studio almeno da qualche mese. Ne è a conoscenza solo il circolo ristretto degli uomini di fiducia. Fedele Confalonieri, Gianni Letta, Ennio Doris, Denis Verdini, Angelino Alfano e, ovviamente, la famiglia. L'argomento è stato trattato negli ultimi pranzi del lunedì con i figli. E, come già avvenuto in passato - una prima volta nel 2005 - il progetto del patriarca ha incontrato l'ostilità della figlia Marina e, in parte, di Piersilvio. Tuttavia, questa volta il centocinquantanovesimo uomo più ricco al mondo (secondo Forbes), colui che ha visto lievitare il suo patrimonio negli ultimi 18 anni fino alla soglia dei 4 miliardi, vuole andare fino in fondo. E la sortita ultima di Bersani ("Se vinciamo, subito il conflitto di interessi") ha avuto l'effetto della classica goccia. Affidamento del patrimonio a un consorzio di garanti, dunque. E poi vendita di una fetta.
Ma a chi?

...

L'articolo integrale su Repubblica in edicola o su Repubblica+

(31 gennaio 2013) © Riproduzione riservata


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi chiama il partito in piazza ...
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2013, 04:38:04 pm
Processi, Berlusconi chiama il partito in piazza "Domani tutti al Palazzo di giustizia"

L'incubo delle inchieste e la sindrome dell'accerchiamento spingono il leader Pdl ad anticipare i tempi rispetto alla manifestazione del 23 marzo.

Timori di richiesta d'arresto per l'indagine napoletana sulla compravendita dei parlamentari

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Vogliono tenermi sotto assedio? Adesso noi assediamo loro". Il comandante è provato, furibondo, l'occhio coperto da una sorta di occhiale-maschera nella stanza buia del San Raffaele. Ma non domo. Silvio Berlusconi chiama alla mobilitazione il suo popolo già per domattina. Troppo lontana nel tempo la manifestazione convocata per il 23 marzo a Roma: da qui ad allora rischiano di arrivare altri colpi d'ascia, dall'appello Mediaset al processo Ruby.

Il tam tam è già cominciato ieri sera tra dirigenti e parlamentari. Alfano e Ghedini e pochi altri a farsi portavoce del diktat del capo. "Voglio tutti i parlamentari e i militanti davanti al Palazzo di Giustizia". Appuntamento per le 10 di domani, quando riprenderà il processo Ruby, a quell'udienza il Cavaliere non si presenterà, ha opposto il legittimo impedimento che ancora una volta, con molta probabilità, verrà respinto. Fuori dal Tribunale si faranno sentire i suoi. E non solo il partito milanese guidato da Mantovani, stavolta.

La tensione è altissima. Il medico personale Alberto Zangrillo parla di "disagio", di "amarezza" per la visita fiscale, Berlusconi in realtà lo raccontano "furibondo". Quasi esasperato da quel che vive appunto come un assedio, comunque come il suo personalissimo Armageddon, la battaglia finale tra il bene e il male. Lui, da una parte, il "partito dei giudici" col volto di Ilda Boccassini, dall'altro. Di certo, senza scomodare paragoni biblici, l'assedio dei militanti al Palazzo di giustizia, per come lo ha immaginato il leader Pdl, richiama piuttosto la scena finale del "Caimano" di Nanni Moretti. In ogni caso, si tratterà solo del primo di una serie di appuntamenti pubblici, di manifestazioni "eclatanti" per rispondere ai giudici. Fino alla piazza del 23, sorta di exploit finale di una escalation ancora in via di pianificazione. Perché, per dirla con Daniela Santanché, "bisogna reagire e ormai servono solo atti, azioni: agire e far capire che stanno succedendo cose inaudite".

E inaudita sarà la mobilitazione. Non solo di piazza. Ma anche quella mediatica. Il martellamento pensato per i prossimi giorni dalle reti Mediaset sarà da campagna elettorale. Ed è partito già ieri sera, con uno speciale alle 20 sul Tg4, col direttore di Tgcom24 Paolo Liguori che denunciava in prime time: "Vogliono cancellargli i diritti civili". Altri speciali seguiranno, i tg delle tre reti terranno alta l'attenzione. Come alti sono i toni che nel frattempo stanno usando tutti i parlamentari. Ormai anche una moderata come Maria Stella Gelmini parla di "persecuzione, giustizia imbarbarita", per non dire dei "medici nazisti" di Cicchitto o di Licia Ronzulli che definisce quella della Boccassini una "ossessione personale".

La vera preoccupazione che i dirigenti Pdl confidano è che col leader impelagato nelle sabbie giudiziarie, tutto il partito è segato fuori dalle trattative decisive per la nascita di un eventuale governo. Del resto, è la considerazione carica di rabbia che ha fatto anche dall'ospedale Berlusconi ai pochi andati a trovarlo: "È tutto studiato per tagliarmi fuori dalla politica, ma non ci riusciranno". Certo, ha altro a cui pensare in queste ore. Alla ripresa del processo Ruby di domani, per esempio. Infatti, verrà annullata la riunione dei neo eletti alla Camera e al Senato prevista a Roma per domani. Qualcuno come Altero Matteoli chiede la convocazione dell'Ufficio di presidenza per decidere come mobilitarsi.

Ma le decisioni in queste ore maturano al San Raffaele di Milano. E la linea, anche politica, ormai è definita. "Si va dritti al voto a giugno, non c'è alternativa" ripete un Cavaliere sotto assedio e ancor più motivato: non può permettersi il lusso di attendere mesi, addirittura l'anno prossimo, per ripresentarsi da leader alle elezioni, col giudizio definitivo su Mediaset (e relativa minaccia di interdizione) entro l'anno. Incombe soprattutto il processo di Napoli per la compravendita dei parlamentari. Per paradosso, dicono che sia la grana giudiziaria che lo preoccupa di più in queste ore. I pm di Napoli potrebbero chiedere il giudizio immediato per l'affaire De Gregorio. Ma l'incubo dell'entourage berlusconiano è che il pm Woodcoock possa avere altri colpi in canna, altre carte. Tante da giustificare una richiesta di arresto da depositare in quella giunta del Senato dove stavolta la maggioranza l'avrebbero Pd e M5s. Ipotesi che tuttavia la Procura non sembra intenzionata a prendere in considerazione.

(10 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/10/news/processi_berlusconi_chiama_il_partito_in_piazza-54238153/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA arriva il tornado Brunetta, deputati Pdl in rivolta
Inserito da: Admin - Marzo 23, 2013, 05:49:28 pm
Mega spese, commessi puniti, staff azzerato: arriva il tornado Brunetta, deputati Pdl in rivolta

Licenziati tutti i dipendenti, ha portato con sé quattro segretarie.

Ai rapporti con la stampa l'ex "agente Betulla" Renato Farina. Gli insorti raccolgono firme per sfiduciarlo, lui minaccia le dimissioni.

La Carfagna e la Lorenzin rinunciano al ruolo di vicecapogruppo: "Non con lui"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - La televisione per la sua stanza, da nuovo mega super capogruppo l'ha voluta enorme. Perché a lui tutto piace in grande.
Venerdì 15 febbraio l'elezione di Renato Brunetta alla presidenza della squadra Pdl alla Camera non era ancora formalizzata - Silvio Berlusconi aveva appena imposto ai deputati la sua irrevocabile scelta contro tutto e tutti - che già l'ex ministro si era presentato nei locali al sesto piano che erano stati di Fabrizio Cicchitto e impartiva le nuove disposizioni. Via il vecchio (neanche tanto, sembra avesse un paio d'anni) Toshiba del suo predecessore. La segretaria ha convocato i commessi per ordinare un nuovo tv al plasma da 50 pollici: "Presto, anzi subito". Costo a carico dei fondi del gruppo. Con buona pace dei tagli ai costi.

Era solo il preludio di quel che in una settimana si sarebbe trasformato nel tornado Renato, abbattutosi sui deputati Pdl. Settimana tribolata dentro e fuori quelle stanze. A farne le spese, per primo, il commesso del piano, deferito ai superiori per una sorta di lesa maestà: accusato di non essersi alzato e non aver "nemmeno salutato" il nuovo capogruppo al suo passaggio. Scatta richiesta di provvedimento disciplinare, incidente che, va da sé, è morto di morte naturale sul tavolo di un costernato segretario generale di Montecitorio, Ugo Zampetti.

Il tempo di mettere piede nelle stanze del gruppo ed ecco il primo atto dell'economista prestato alla causa berlusconiana: l'azzeramento dell'intero staff in servizio. A nessuno dei 98 dipendenti della passata legislatura viene rinnovato il contratto, nemmeno ai 36 preventivati in ragione del drappello di deputati ridotto a un terzo. Drammi umani. Il centinaio di parlamentari che si presenta agli uffici del gruppo, trova completamente deserte le stanze al quarto, quinto e sesto piano di pertinenza Pdl. In compenso, hanno preso possesso delle sale del capogruppo quattro nuove segretarie che Brunetta ha già portato con sé dalla sua Free Foundation: adesso passeranno a carico del Pdl.

Alle altre assunzioni provvederà lui personalmente. Intanto, ha già richiamato in servizio Renato Farina (in ballo tra il ruolo di portavoce e capo ufficio stampa), proprio l'ex deputato e giornalista sospeso dall'Ordine in quanto referente dei servizi, nome in codice "Betulla".

Tra i deputati è già caos. L'ultima goccia quando Brunetta annuncia che sarebbero stati sorteggiati e non scelti gli scranni in aula e che sarebbe stata sua l'ultima parola sull'assegnazione nelle varie commissioni. In dieci minacciano di passare al misto. Così mercoledì sera Brunetta comunica a Palazzo Grazioli l'intenzione di dimettersi: "Ho tutto il gruppo contro, non si può lavorare". Fulminato tuttavia da Berlusconi, alla vigilia della salita al Colle per le consultazioni.

Venerdì il patatrac finale. Errore nella distribuzione dei voti e fallisce l'elezione di Laura Ravetto alla carica di segretario d'aula.
In questo clima, Mara Carfagna e Beatrice Lorenzin hanno rinunciato alla carica di vicecapogruppo ("Non con Brunetta"). La sola Gelmini, per spirito di servizio, starebbe valutando. Ma i deputati raccolgono firme per la clamorosa sfiducia. Verdini e Alfano promettono che lunedì affronteranno il caso. Prima che il gruppo tracolli.

(23 marzo 2013) © Riproduzione riservata

http://www.repubblica.it/politica/2013/03/23/news/mega_spese_commessi_puniti_staff_azzerato_arriva_il_tornado_brunetta_deputati_pdl_in_rivolta-55168838/?ref=HREC1-5


Titolo: CARMELO LOPAPA Il leader Pdl non intende accettare un patto solo sulle riforme:
Inserito da: Admin - Marzo 24, 2013, 05:04:14 pm
Il Cavaliere dice no all'offerta del Pd "Ci stiamo solo se entriamo nel governo"

Il leader Pdl non intende accettare un patto solo sulle riforme: vuole anche suoi ministri. "Niente conflitto di interessi e ineleggibilità".

Ad aprile un'altra manifestazione, a Napoli, per avviare la campagna elettorale

di CARMELO LOPA


ROMA - "Sia chiaro, la fiducia la prende solo se entriamo in maggioranza, al governo, se ci danno la metà dei ministri, se concordiamo il capo dello Stato". Rientrato a Palazzo Grazioli con l'adrenalina ancora a mille, entusiasta per la piazza gremita che lui e solo lui ha monopolizzato per 70 minuti, Silvio Berlusconi è un fiume in piena, circondato da tutto lo stato maggiore del partito che lo ascolta in silenzio. "Devono mettersi in testa che le norme sull'ineleggibilità, sull'incompatibilità, sul conflitto di interessi non si toccano", sono le condizioni che il capo elenca ai suoi. Fuori, le ultime luci del tramonto della primavera romana.

Ad Alfano, Verdini, Bonaiuti, Santanché, Lupi e tanti altri dirigenti spiega perché la manifestazione appena conclusa è solo la prima di una serie, perché potrebbe segnare l'esordio della nuova campagna elettorale. Tutto è precipitato nelle dodici ore precedenti, come ha raccontato il leader anche a ora di pranzo, in un ufficio di presidenza riunito sempre a casa sua. I pontieri Gianni Letta, Verdini, Alfano erano già tornati con le pive nel sacco dai colloqui riservati con i democratici Migliavacca, Vasco Errani, Enrico Letta. Mano tesa solo sulle riforme, ma nulla da fare sul governo di "concordia nazionale". E questa storia del "doppio binario" per il Cavaliere è pressoché "irricevibile". Il comizio lo tiene su toni "soft", almeno rispetto agli standard tradizionali, perfino quando accenna alla giustizia. Per la prima volta riconosce in piazza la "saggezza e l'equilibrio di Napolitano" al quale ribadisce "piena fiducia". Poi, al rientro a Grazioli, ecco in tv Bersani che torna a chiudere, a parlare di ineleggibilità e incompatibilità. "Per quanto ci riguarda, così si va dritti alle elezioni a giugno - commenta allora Berlusconi coi parlamentari nel suo salotto - questi sono degli irresponsabili e se ci ridurremo come Cipro sarà colpa loro".

Martedì, quando Bersani incontrerà la delegazione Pdl, con molta probabilità Berlusconi non ci sarà. Il Cavaliere oggi si concederà qualche ora di relax in Sardegna, prendendo anche fisicamente le distanze da Roma e dalle sue trattative. Troppi segnali equivoci, troppe chiusure. Intanto su quei paletti di "garanzia", di salvaguardia per la sua persona che ritiene fondamentali: "Minacciare l'incompatibilità è una follia e il conflitto di interessi non è una priorità". Meglio farebbe Bersani, a sentire la Santanché, "se si presentasse al Colle rinunciando all'incarico e passando ad altri la mano". Intanto anche sul successore al Quirinale il dialogo è su un binario morto. "Io non mi attendo il sostegno a un nostro uomo, potrei accettarne anche uno indicato da loro, ma solo a patto di concordarlo" è la linea impartita dal leader ai suoi, per ora infruttuosa. Sul governo invece non ci sono vie di mezzo: "O siamo dentro, con la metà dei ministri, o per noi si va dritti al voto". Che poi è il monito ripetuto a più riprese durante l'ora e passa a Piazza del Popolo.

Galvanizzato dal successo, Berlusconi annuncia che va organizzata al più presto, a metà aprile, una nuova manifestazione. Si pensa già a Napoli, Bari, qualcuno propone Milano. Dopo Pasqua il capo tornerà in dosi massicce in tv: "Perché siamo in testa nei sondaggi e solo se mi spendo in prima persona i nostri consensi aumentano". Non è un caso se sul palco non c'è stato spazio per nessuno che non fosse lui. Palco dal quale sono partiti fendenti senza precedenti contro Grillo: è già caccia grossa ai suoi voti. "È stato un presidente moderato, i giochi non sono chiusi" sostiene a fine kermesse Gaetano Quagliariello. Ma il messaggio che parte in serata è un po' quello che sintetizza Maurizio Lupi: "Bersani non si attenda dal Pdl uscite dall'aula o sostegni a governicchi, l'alternativa alle larghe intese da oggi per noi sono le urne. Non ci interessano scambi". E per un partito che accende i motori elettorali, c'è una Mara Carfagna in procinto di essere investita del ruolo di nuova portavoce.

(24 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/24/news/il_cavaliere_dice_no_all_offerta_del_pd_ci_stiamo_solo_se_entriamo_nel_governo-55237072/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi ora cambia strategia: "Toni bassi, l'obiettivo è la...
Inserito da: Admin - Maggio 24, 2013, 04:35:18 pm
   
Berlusconi ora cambia strategia: "Toni bassi, l'obiettivo è la Cassazione"

Resta il sostegno al governo.

I timori sulla Suprema corte. La scelta del legale Coppi è finalizzata a persuadere i giudici del terzo grado


di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Perché hanno usato quei toni così duri? Perché infierire tanto? Tutto questo non lascia presagire nulla di buono per il futuro". Silvio Berlusconi rientra a Palazzo Grazioli in vista del comizio di oggi pomeriggio al Colosseo al fianco di Alemanno, incontra i suoi legali, poi Verdini e alcuni dirigenti Pdl e confessa tutta la sua preoccupazione, dopo la lettura in sequenza delle motivazioni della Cassazione (sul mancato spostamento a Brescia dei procedimenti di Milano) e quelle della Corte d'Appello (per la condanna Mediaset).

Pronunciamenti attesi, ma non in questi termini. Una escalation che induce ancora una volta il Cavaliere a parlare in privato di "assedio giudiziario" ai suoi danni. "Perché la Cassazione ricorda la mia definizione di "giudicesse femministe e comuniste" riferita alle toghe che hanno deciso sull'assegno di separazione per Veronica? Quello era il Tribunale civile, cosa c'entra?", chiede con insistenza il leader Pdl agli avvocati Ghedini e Longo. È un'agitazione che si proietta sul futuro. Perché quella medesima Corte di Cassazione sarà chiamata a pronunciare il terzo, ultimo, decisivo giudizio nel processo Mediaset da qui a un anno. Sentenza nella quale parecchio confida il Berlusconi condannato a quattro anni e cinque di interdizione dai pubblici uffici. Ma se questi sono i chiari di luna, il quadro si fa fosco. Per non dire delle possibili ricadute politiche sul Pd alleato di governo, ma spaccato al suo interno, con le ali più antiberlusconiane pronte sempre a soffiare sul fuoco.

Così, in un primo momento la linea decisa coi legali è stata quella del silenzio. Del "no comment" a caldo sulle motivazioni Mediaset, salvo lasciare partire la consueta contraerea di decine di parlamentari Pdl con le loro dichiarazioni anti giudici. Poi, nel giro di poche ore, l'ha spuntata la voglia irrefrenabile del Cavaliere di intervenire in prima persona per bollare come "surreali" le ragioni della sentenza, non in un'intervista ma in un sobrio comunicato.

Detto questo, la strategia politica dei "toni bassi" sulle toghe non cambia di una virgola. Zero attacchi alla magistratura nel suo complesso, in quella nota. E nessun riferimento al governo e alla sua stabilità a rischio. Il portavoce Paolo Bonaiuti, ieri a lungo a colloquio con Berlusconi, conferma: "La linea dell'appoggio al governo non cambia di sicuro, resta confermata". L'esecutivo Letta deve andare avanti, per il leader Pdl resta una "occasione storica", come detto nei giorni scorsi, e soprattutto "non cadrà certo per mano mia o per le provocazioni in cui certi magistrati cercano di farmi cadere". La parola d'ordine, insomma, resta ancora pacificazione. Ecco perché anche nel comizio di oggi al fianco del candidato sindaco di Roma non intende alzare il tiro sui giudici. Ai piedi del Colosseo - unico strappo alla decisione di non affrontare per ora comizi, dopo le contestazioni di Brescia - si atterrà a temi assai concreti, "da comunali", dall'Imu a Equitalia.

Strategia politica ma anche - ed è quel che più interessa al leader - processuale. Non bruciare i pozzi, evitare di arroventare il clima con i supremi giudici di Cassazione. A volerla dire tutta, sembra che il principe dei cassazionisti Franco Coppi scelto per affrontare la partita più importante, lo abbia posto, anzi imposto come condizione. Avrebbe accettato l'incarico solo a patto che cambiasse lo stile dell'imputato fuori dalle aule di giustizia. Niente più attacchi ai giudici. Il modello Andreotti resta inarrivabile, ma quanto meno nei prossimi mesi l'imputato dovrà tenerlo in alta considerazione.

Ma a convincere il Cavaliere sull'opportunità di cambiare registro sarebbero state in ultimo le riflessioni che il presidente Napolitano ha affidato il 16 maggio scorso al Messaggero. Laddove il capo dello Stato spiegava di capire "chi si trova impigliato" in vicende giudiziarie, ma suggeriva: "Meno reazioni scomposte arrivano, meglio è dal punto di vista processuale". Considerazioni generiche dell'inquilino del Colle, alle quali tuttavia - racconta chi lo frequenta - il Berlusconi "impigliato" preferisce adesso attenersi.

(24 maggio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/05/24/news/berlusconi_cambia_strategia-59503698/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA - L'ira di Berlusconi nel fortino Arcore: "Il Quirinale adesso...
Inserito da: Admin - Giugno 04, 2013, 11:43:07 pm
L'ira di Berlusconi nel fortino Arcore: "Il Quirinale adesso deve difendermi"

La richiesta che il Colle e la Consulta, che il 19 si pronuncerà sul legittimo impedimento al processo Mediaset, riconoscano e blocchino "l'accanimento".

Il centrodestra: sentenze politiche, mobiliteremo i cittadini


di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Ho fatto tanto per pacificare questo Paese e ridargli un governo dopo lo stallo e ora assistono tutti in silenzio al tentativo di farmi fuori, non una reazione dalla Consulta né dal Colle". Nube nera come una cappa, su Arcore, e non è solo affare di meteo. Il clima è assai cupo, anche al pranzo di Silvio Berlusconi con i figli e i vertici Mediaset, al rientro dalla Sardegna.

Il dibattito politico sulle riforme e il presidenzialismo, visto dalla Brianza, appare lunare, lontanissimo. La settimana di relax è già cancellata, sul Cavaliere ha il sopravvento la preoccupazione che diventa ansia, in vista del pronunciamento "decisivo" della Corte Costituzionale del 19 giugno sul legittimo impedimento al processo Mediaset. L'esito negativo potrebbe aprire alla conferma della condanna in Cassazione e all'interdizione. Ecco perché quella decisione è attesa ben più che la sentenza Ruby di primo grado del 24 giugno. A Villa San Martino nel pomeriggio arriva Nicolò Ghedini, dopo l'arringa difensiva tenuta in mattinata in aula. Sia lui che Longo gli hanno spiegato che con molta probabilità la Corte negherà la sussistenza del legittimo impedimento o al più la riconoscerà, ma non tale da vanificare il processo Mediaset ormai approdato in Cassazione. Allora l'esasperazione avrà varcato il segno. Berlusconi confessa tutta la sua delusione, chiamando in causa "gli arbitri che restano a guardare". Non si attende certo un intervento del
capo dello Stato o di chicchessia per bloccare sentenze ormai imminenti, spiega chi gli ha parlato nelle ultime 24 ore. "Ma se c'è la volontà e si riconosce l'accanimento, il modo per impedirlo si trova" è il suo ragionamento. "Napolitano è un grande presidente, siamo felici di averlo rieletto, ma il suo silenzio e l'immobilismo della Consulta pesano". Il leader Pdl nei lunghi e amari sfoghi ne fa una questione anche politica. "Mi sono battuto per ridare un governo al Paese, a fronte di tanti sacrifici nessuna forza politica ha nulla da ridire sul tentativo di farmi fuori?" E poi, ci sono i tentennamenti sulla cancellazione dell'Imu a mal disporre l'ex premier nei confronti del governo.

Delusione e rabbia. E in questo clima agisce da detonatore l'ultimo report consegnato ieri dalla sondaggista Alessandra Ghisleri, che riconosce al Pdl oltre il 28 per cento dei consensi e al centrodestra (prima coalizione) il 36, con Grillo in calo e tutti i partiti di governo in crescita. Cosa accadrà dunque dopo il pronunciamento della Corte del 19 sul legittimo impedimento? Berlusconi continua a dire ai suoi figli e ai vertici Mediaset che tenere in vita questo governo è una polizza per le aziende, basta scorrere i titoli in Borsa dalla fiducia del 29 aprile ad oggi. Detto questo, nessuno dei dirigenti di Via dell'Umiltà si sente ora di scommettere un euro sul fatto che le decisioni giudiziarie non avranno ricadute sugli equilibri politici e di governo. Cosa accadrà a fine mese, dicono un po' tutti i pidiellini, non è dato sapere. In realtà, neanche al capo è chiarissimo. Mario Mantovani, coordinatore lombardo ieri dimessosi da senatore, è tranchant: "Un'eventuale condanna sarebbe totalmente politica e di fronte a sentenze politiche mobiliteremo i cittadini contro i magistrati politicizzati". Al partito sperano tutti di sapere qualcosa in più questa sera. Dopo dieci giorni di black-out, Berlusconi rientra oggi a Roma e potrebbe riunire il partito a Grazioli in serata. Anche se il restyling del Pdl in versione Usa, sponsorizzata dai falchi, resta in stand by. "Spero che le indiscrezioni sulla rinascita di Forza Italia siano vere" dice la sottosegretaria Michaela Biancofiore. Di certo, il leader non terrà il comizio di chiusura né comparirà in strada al fianco del candidato sindaco di Roma Gianni Alemanno. Per lui, registrerà oggi uno spot e delle interviste con tv locali.

(04 giugno 2013) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/06/04/news/ira_berlusconi-60306371/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Chi l'ha visto ad Arcore lo descrive "stordito".
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2013, 12:16:13 am

Berlusconi alza il prezzo sulla giustizia: "Riforma o il governo non va lontano"

Il Cavaliere avverte Letta. "Ora tutto è possibile". Chi l'ha visto ad Arcore lo descrive "stordito".

"Deluso da Napolitano". Raccolta firme per chiedere il suo intervento

di CARMELO LOPAPA


Adesso che la "pacificazione è finita", come ripete un Cavaliere "stordito", perfino "sconvolto" - raccontano - dalla sentenza di "inaudita violenza", adesso tutto può succedere.

E la crisi in autunno diventa sempre più concreta, perfino probabile, stando a chi parla col leader. Di certo, parte subito una mobilitazione del Pdl per chiamare in causa direttamente il capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Arcore, interno tramonto, fortino blindato. Accessibile telefonicamente solo ad Alfano e a pochi dirigenti. Silvio Berlusconi accusa il colpo, di più, non ha quasi la forza di reagire, mentre sui siti di tutto il mondo campeggia la sua condanna più pesante sotto il profilo dell'immagine. La forza c'è giusto per buttare giù poche righe di reazione col portavoce Paolo Bonaiuti, ma per la prima volta in quelle righe non viene garantita la sopravvivenza del governo, non viene distinto il piano giudiziario da quello politico. Non a caso. Tutto può succedere, appunto.

Nel faccia a faccia che giusto oggi pomeriggio il leader Pdl dovrebbe avere con il premier Enrico Letta, sempre che si faccia (ieri sera il rientro di oggi a Roma e l'incontro a Palazzo Chigi era confermato da Arcore al 90 per cento) Berlusconi intende mettere in chiaro che così "non si va lontano". Si doveva parlare dell'imminente Consiglio europeo. In realtà il Cavaliere
fisserà un nuovo pesante paletto a un presidente del Consiglio che pure considera amico. "A questo punto la riforma della giustizia dovete inserirla tra le priorità, è un'emergenza democratica e può riguardare qualunque cittadino, lo pretendo" ha preannunciato al vicepremier Angelino Alfano. Lui, come gli altri tre ministri Pdl, questa volta sono usciti allo scoperto esprimendo piena solidarietà al capo. A tutti loro ha assicurato che il governo non cadrà per i processi, "ma per le emergenze economiche, se l'esecutivo non sarà in grado di farvi fronte, se continueranno a non arrivare risposte".

La dead line insomma si sposta in autunno, ma diventa concreta, minacciosa come mai prima d'ora, nella strategia di un leader che intravede il virtuale patibolo giudiziario all'orizzonte. Subito dopo l'estate, dunque a ridosso della sentenza della Cassazione sui diritti Mediaset (con relativa interdizione dai pubblici uffici) ogni momento diventerà quello propizio per staccare la spina. "È la fine del governo, è la fine del governo", gongolava ieri sera più di un falco. Del resto, il fedelissimo Sandro Bondi lo dice apertamente che sarebbe "assurdo pensare che il governo possa lavorare tranquillamente mentre si massacra politicamente" Berlusconi.

Oggi salta la prevista riunione dei gruppi parlamentari Pdl. Troppo alto il rischio che finisse in scontro aperto tra moderati e pasdaran pronti a ritirare il sostegno e i ministri al governo fin da subito. Del resto, gli umori del Cavaliere in queste ore sono quelli che sono. Lo sconforto di cui parlano gli interlocutori serali si trasforma in amarezza profonda per "una sentenza da Unione sovietica, da stato etico" è il commento a caldo subito dopo aver assistito in diretta televisiva alla sentenza di Milano. Ma è un'amarezza che sfocia in sconforto e, spiegano i suoi, anche in delusione nei confronti del capo dello Stato che secondo lo stesso Berlusconi avrebbe deluso certe aspettative. "Ho fatto tanto per dare un governo al Paese, per garantire davvero la pacificazione e questo è il risultato" è l'altro sfogo. E allora è proprio per chiamare in causa il presidente della Repubblica Napolitano che Brunetta e altri dirigenti stanno pianificando una iniziativa "clamorosa". Al momento si parla di una raccolta di "milioni di firme" da raccogliere in estate per invocare l'intervento del Colle contro la "persecuzione" del leader vittima della "guerra dei vent'anni". "Sta alla sua coscienza da primo magistrato d'Italia" intervenire, è la tesi del capogruppo alla Camera.

Strategia di pressione che correrà parallela al battage mediatico-televisivo che sulle reti Mediaset su questo tema è già partito. Già, l'impero Mediaset. In famiglia sono rimasti colpiti dal mezzo tracollo subito in borsa dal titolo, meno 5,3 per cento in un lunedì molto nero. Sarà anche per quello che - anche in questo caso per la prima volta - i figli Marina e Pier Silvio intervengono per dirsi amareggiati e indignati contro il "castello di falsità" su cui a loro dire sarebbe costruita la sentenza.

Adesso i passaggi cruciali incalzano, destinati ad alzare la tensione uno dopo l'altro. All'incontro con Letta di oggi Berlusconi farà seguire la direzione del partito di domani. Sarà il momento della verità sul da farsi. Poi l'escalation: giovedì il giudizio della Cassazione sul ricorso sul Lodo Mondadori, per il quale il Cavaliere è stato condannato a pagare 560 milioni di euro alla Cir, e nello stesso giorno si apre a Napoli l'udienza preliminare per la compravendita dei senatori. È l'"accerchiamento" tanto temuto, che sembra ormai stringere il fortino di Arcore. Dice: "Vogliono eliminarmi, farmi fuori e hanno trovato il modo per farlo". Lui resta pronto comunque a vendere cara la pelle.

(25 giugno 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/06/25/news/berlusconi_avverte_letta-61793318/


Titolo: CARMELO LOPAPA Marina Berlusconi scalda i muscoli: ormai studia da leader...
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2013, 11:35:56 am
Marina Berlusconi scalda i muscoli: ormai studia da leader politico

Vertice di famiglia ad Arcore.

La rivelazione di Bisignani: sta prendendo lezioni da Del Debbio. Le amazzoni: sarà lei la "Cavaliera" per battere Renzi.

E stavolta non c'è smentita da palazzo Grazioli

di CARMELO LOPAPA

Bisignani: ''Berlusconi ieri sera ha scelto: la sua erede sarà Marina''
La "Cavaliera", dicono già di lei. Ed è di nuovo "discesa in campo", in casa Berlusconi. Ad Arcore tutto è pronto, raccontano adesso. Marina intenta a raccogliere l'eredità politica (non solo quella dinastica e patrimoniale) del padre. Alla guida della Forza Italia 2.0 e via dritti verso il voto anticipato. Sembra l'eterno tormentone della successione che ritorna. Questa volta c'è l'ex faccendiere e informatissimo Luigi Bisignani a rivelare la presunta svolta maturata due sere fa ad Arcore, un paio d'ore dopo la sentenza di condanna a sette anni per il reato più ignominioso. L'investitura da parte dell'anziano leader ormai segnato, lei che finalmente accetta: la quarantenne che può sfidare e sconfiggere il quarantenne Renzi, distanza anagrafica azzerata.

È un fatto che in serata - a differenza che in passato - non sia arrivato lo straccio di una presa di distanza dall'indiscrezione da Palazzo Grazioli.
E nemmeno dalla presidente della Mondadori. Anzi, per ore è stato un coro di entusiastici consensi alla successione da dinasty. Le "amazzoni" in prima fila. A Piazza Farnese, ai piedi del palco improvvisato da Giuliano Ferrara, più di un fedelissimo del Cavaliere confidava che sì, "forse questa volta la notizia ha un fondamento". Settimane fa, per prima Laura Ravetto aveva rilanciato la notizia. La ministra Nunzia De Girolamo aveva sperato che accettasse lo scettro. Cosa è accaduto nelle ultime 48 ore?

Poco prima di cenare col padre, nel lunedì nero della famiglia Berlusconi, Marina rende pubblico il proprio "sdegno" contro "la condanna già scritta nel copione messo in scena dalla Procura di Milano". Sono gli stessi toni usati per anni dal padre. Difesa di una figlia, certo, ma via via in questi mesi, di intervista in intervista, lo spessore delle uscite dell'imprenditrice è stato sempre più politico. "Con lei, il vantaggio non da poco è che i nostri elettori ritrovano un Berlusconi per di più giovane da votare", racconta fiducioso un alto dirigente di via dell'Umiltà.

A raccontare senza remore quanto avvenuto è Luigi Bisignani, intervistato in Radio nella trasmissione "Un giorno da pecora". "Il presidente si è convinto che il dopo-Berlusconi è Marina. Non ero presente alla cena di lunedì, ma c'erano i familiari, Piersilvio, Marina e Barbara. Poi Francesca Pascale e l'avvocato Ghedini. Il piglio e la forza che Marina ha messo in quella cena ha convinto tutti che il vero erede è lei. D'altronde è stata fatta già testare, è stato fatto un sondaggio coi parlamentari Pdl ed è andato molto bene. E poi loro cercavano un imprenditore. E lei lo è. A una Forza Italia stanno pensano più persone, anche molti imprenditori come Alessandro Benetton".

La primogenita di Silvio, altra rivelazione, starebbe studiando alla "scuola" di Paolo Del Debbio, tra i fondatori di Forza Italia nel '94. Il trampolino di lancio, a sentire Bisignani e non solo lui, sarebbe già pronto. L'operazione correrebbe parallela col nuovo "predellino" che Berlusconi ha in mente. Forza Italia 2.0 da rilanciare in autunno, pronto uso in caso di crisi e elezioni anticipate, magari prima che la Cassazione travolga con l'interdizione il "patriarca" e con lui tutto e tutti, Pdl compreso. Già alla direzione del partito convocata oggi, con all'ordine del giorno la sola approvazione del bilancio interno c'è chi, come Giancarlo Galan e un manipolo di altri forzisti della prima ora, è intenzionato ad alzare la voce e far sapere che così è inutile andare avanti. Tornare alla vecchia sigla e alla svelta, sarà l'input al quale il leader non sembra sia estraneo.

"Ah, ho visto che volete candidare Marina. Vi converrà fare presto, prima che arrivino i giudici" ironizzava ieri pomeriggio il democratico Nicola Latorre con Paolo Bonaiuti, nel Transatlantico di Palazzo Madama. Ironie a parte, c'è chi sta prendendo la svolta molto sul serio, dentro il Pdl. Soprattutto le persone più vicine alla famiglia e non sarà un caso. "Spero che Bisignani abbia ragione. Ne sarei ben contenta" risponde Daniela Santanché. L'eurodeputata Lara Comi è la prima a cogliere al volo la notizia: "Marina a capo di una Forza Italia 2.0 sarebbe un'ottima prospettiva, spero sia vero". E il sottosegretario Michaela Biancofiore: "Noi un Renzi, molto più serio, preparato e affidabile, lo abbiamo e si chiama Marina.
Di fronte ad una sua discesa in campo, con dietro un padre oggi ancora più amato dal popolo italiano, non ci sarebbe speranza per nessun altro di conquistare il governo del Paese". Tutti pronti a garantire che il partito sarebbe al suo fianco.

Nell'impero di famiglia la primogenita è sergente di ferro. Donna sola al comando, oltre che madre di famiglia, col piglio intraprendente del padre.
È lei che si sobbarca le interviste più delicate quando lui finisce sotto attacco. L'ultima un mese fa a "Panorama" per definire "mostruoso il solo pensare che il destino del Paese passi per le mani di un gruppo di magistrati". Lei adesso è pronta a impedirlo. Come Silvio vent'anni fa.
Renzi è avvertito.

(26 giugno 2013) © RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/06/26/news/marina_berlusoni-61862186/?ref=HREC1-3


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi: ora pensa a un salvacondotto
Inserito da: Admin - Agosto 04, 2013, 11:48:23 am
   
L'ultima trincea di Berlusconi: ora pensa a un salvacondotto

Per ora l'ex premier ha voluto abbassare i toni sperando di ricevere risposte. L'idea è di tenere in vita il governo Letta ma solo a patto che si faccia la riforma della giustizia e il Pd accetti di porre fine alla "guerra dei vent'anni"

di CARMELO LOPAPA


La strada della grazia è ormai sbarrata, il Colle è inespugnabile, non c'è assedio, piazza che lo possa, condizionare, ricattare.
Il piano del Cavaliere è già un altro e passa per la sopravvivenza del governo Letta. "Proviamo a tenerlo in vita, ma solo a condizione che si faccia la riforma della giustizia e che il Pd accetti di chiudere lì la guerra dei vent'anni". Un'amnistia, insomma, o un qualche salvacondotto che possa cancellare con un colpo di spugna l'onta della condanna definitiva, sono tornati in cima ai desiderata di Silvio Berlusconi.

È la ragione per cui nella giornata di ieri l'ordine di scuderia è stato quello di abbassare i toni, non più la manifestazione a due passi dal Quirinale ma davanti la residenza del leader, non più minacce di crisi di governo ma disponibilità a sostenerlo ancora, non più ministri barricaderi, ma silenti, anzi del tutto assenti dal selciato arroventato dall'afa di oggi pomeriggio in via del Plebiscito. Conseguenza anche del messaggio che il presidente Napolitano, di ritorno dai giorni in Alto Adige, ha recapitato a Berlusconi tramite Gianni Letta: spazzare via la grazia dal tavolo di discussione, abbassare i toni, pena la cancellazione dell'incontro coi capogruppo di domani.

Ecco perché Berlusconi si riposiziona. "L'unica strada che abbiamo è raggiungere una accordo politico con il Pd, se vogliono la pacificazione devono dimostrarlo e concordare con noi la riforma della giustizia" ha insistito l'ex premier già nel vertice notturno di venerdì, dopo l'assemblea coi gruppi, quando ad ascoltarlo erano rimasti Alfano, Verdini, Santanché, Lupi, i capigruppo ma anche la figlia Marina e Fedele Confalonieri. Proprio col braccio destro di sempre e con l'amata figlia, oltre che con la fidanzata Pascale, ha ripreso ieri mattina la via di Arcore.

Il leader ha garantito ai promotori della manifestazione - trasformata nel giro di poche ore in pacifico sit-in - che oggi pomeriggio ci sarà. In realtà, eviterà di farsi coinvolgere, la strategia ora è quella dell'inabissamento. Il suo rientro a Palazzo Grazioli è previsto nel tardo pomeriggio, è assai probabile che si faccia vedere dai simpatizzanti sotto casa ma che non parli, come avvenuto un mese fa alla manifestazione davanti Villa San Martino ad Arcore.

Del resto, nella telefonata di fuoco che è intercorsa nella tarda serata di venerdì con il capo dello Stato Napolitano, Berlusconi si è impegnato a mantenere le distanze da qualsiasi comportamento "irresponsabile". Il Quirinale non sente ragioni, non ammette colpi di testa. "Presidente, non sono stato io a invocare la grazia, non ho alcuna intenzione di far cadere il governo" ha spiegato Berlusconi a Napolitano, raccontano. Impegnandosi "ad abbassare da subito i toni". Pur insistendo sul fatto di aver "subito una profonda ingiustizia".

E i toni sono di fatto cambiati nell'arco delle ultime 24 ore. Fatto salvo per le intemperanze di Sandro Bondi e la fiammata sulla "guerra civile", ovvio, che a Palazzo Grazioli ridimensionano a una sortita autonoma del coordinatore. Ecco allora che i ministri Lupi, Lorenzin, Quagliariello, De Girolamo, che nel pomeriggio in sequenza chiamano il capo per sapere se presentarsi o meno oggi al sit-in, subiscono lo stop dallo stesso Berlusconi. È lui a invitare a non andare, "per non prestarsi a strumentalizzazioni, per tenere fuori il governo". Linea che poi in serata il ministro Lupi andrà a ufficializzare davanti alle telecamere del Tg1 e che, del resto, il vicepremier Angelino Alfano aveva anticipato ore prima al presidente del Consiglio Enrico Letta. I due sono rimasti in contatto per tutto il giorno e da mattina a sera il premier si è sentito rassicurare sul fatto che l'evocazione del voto anticipato, fatta il giorno prima dal Cavaliere all'assemblea dei gruppi Pdl, non era altro che una provocazione per reagire alla condanna.

Nel Pdl i malumori restano, la spaccatura tra falchi e colombe è tornata palpabile, in serata la notizia dell'assenza dei ministri ha indispettito Gasparri e tanti altri. La tensione è stata altissima per tutto il giorno nella sede di via dell'Umiltà, dove sono stati chiamati in fretta e furia tutti i coordinatori comunali del Lazio per tentare di portare davvero qualche migliaio di persone nel pieno di una domenica d'agosto, la sfida dei falchi è ad alto rischio. "Non sarà una manifestazione contro Letta tanto meno contro Napolitano, ma di solidarietà al nostro leader" tiene a precisare Mariastella Gelmini. Berlusconi certo non rema contro i barricaderi. Ai ministri dice di non muoversi, di attendere ("Fino a lunedì restiamo fermi, io non dirò nulla"), dall'altro lato tiene accesa la fiamma della piazza. Del resto, in privato, con gli avvocati Ghedini e Longo studia la legge Severino sulla incandidabilità (per condanne superiori a due anni) per sondare la praticabilità del "piano B", ovvero la possibilità di candidarsi nonostante la condanna (un solo anno da scontare), qualora si votasse a ottobre. Quando ancora l'interdizione non avrà avuto la "ratifica" del Senato.

E di voto si torna a parlare con insistenza sulla sponda leghista. Roberto Maroni dopo aver sentito al telefono Berlusconi ha raccontato ai suoi di averlo trovato "molto determinato, per nulla abbattuto, vispo e combattivo: la storia della grazia è un ballon d'essai, nel Pdl sapevano dall'inizio che, per come l'hanno messa, Napolitano non poteva che dire no". Per l'ex ministro dell'Interno è la conferma che tutte le tensioni ora si riversano sul governo, "noi ci prepariamo alla crisi e alle elezioni, che adesso sono lo scenario più probabile, da metà ottobre può succedere di tutto".

Se Silvio Berlusconi sarà fuori gioco, la figlia Marina è già pronta al suo fianco. Non lo ha lasciato un secondo nelle ultime 48 ore, spesso mano nella mano, raccontano, al fianco del padre provato. Secondo tanti, nel partito, ormai in procinto di raccogliere anche lo scettro in politica.


(04 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/04/news/berlusconi_salvacondotto-64250680/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA. Ma il Cavaliere "Aspetto ancora le mosse di Napolitano"
Inserito da: Admin - Agosto 10, 2013, 11:22:33 pm
Ma il Cavaliere congela la crisi di governo "Aspetto ancora le mosse di Napolitano"

Sulla casa un ultimatum a salve: "Qui rischiamo di ritrovarci Prodi"

di CARMELO LOPAPA


ROMA  -  L'avvertimento è lanciato, il timing per fine agosto è partito, ma Silvio Berlusconi sull'Imu non ha alcuna intenzione di scatenare la crisi. Certo non ora, non sotto l'ombrellone, non prima che il Quirinale o il Pd non lo tirino fuori dai guai. Il Cavaliere alza il tiro ma la pistola è a salve.

Lo scoprono di primo mattino i dirigenti Pdl che lo chiamano ad Arcore per sapere se l'ora X è scattata, se adesso che Saccomanni ha chiarito che l'imposta sugli immobili con difficoltà potrà essere cancellata si potrà dichiarare guerra al governo Letta, prendere le distanze.

I falchi del partito non attendono altro, sarebbe l'omicidio perfetto: alibi di ferro, senza nemmeno chiamare in causa le disavventure giudiziarie del leader, tutto da scaricare sulle responsabilità del Pd. Invece da Villa San Martino arriva la doccia gelata. C'è la nota diffusa da Palazzo Grazioli, certo, per mettere i paletti sull'affaire Imu, caposaldo della campagna elettorale berlusconiana.

Ma, fanno notare, in quel comunicato non c'è un solo passaggio in cui più o meno esplicitamente si dà per imminente la crisi. Giusto un avvertimento "doveroso" a Palazzo Chigi e "dovuto" agli elettori. Ma non è questo il momento di decretare la fine dei giochi. "Lo capite o no che Napolitano ci ha fatto sapereancora una volta che in caso di crisi lui si dimette un minuto dopo, piuttosto che sciogliere le Camere e concedere le elezioni anticipate, e noi rischiamo di ritrovarci con Romano Prodi al suo posto", ripete Berlusconi alle teste più calde fra i suoi.

Se abbia avuto questo genere di riscontro dalla visita dei capigruppo Schifani e Brunetta lunedì scorso non è dato sapere, comunque l'argomento è valido per stoppare ancora una volta i falchi Pdl. E ripetere loro che "in ogni caso, senza una legge elettorale le elezioni non le otterremo né ora né mai", è stato il proseguimento del suo ragionamento.

L'ordine di scuderia ai parlamentari in partenza per le vacanze è stato quello di sparare ad alzo zero sull'Imu e sul ministro Saccomanni. Per non dire di Epifani, accusato di voler provocare lui col suo Pd la crisi. Ma è una manovra tesa più che altro a lanciare messaggi, non tanto all'esecutivo, quanto al Colle: paventare il finale di partita, come fanno in un tam tam Gelmini, Carfagna, Santanché e tanti altri.

Ma anche lasuasion, sciar filtrare, come avviene da giorni, l'imminenza dell'avvento di Marina e il lancio di Forza Italia a settembre, con lo spauracchio del rompete le righe e del voto. Messaggi da decodificare, appunto. Non fosse altro perché la testa del Cavaliere è sintonizzata su altre frequenze. In cima ai suoi pensieri c'è la prospettiva dei domiciliari o dei servizi sociali, per non dire della sua decadenza da parlamentare, a settembre.

Altro che la tenuta e la sopravvivenzadell'esecutivo Letta. Nel fortino di Arcore non vogliono scatenare la "guerra nucleare" finché non sia stata battuta anche l'ultima strada per ottenere dal Quirinale una qualche scialuppa di salvataggio. Scialuppa che in realtà, come ammettono i consiglieri più saggi del leader Pdl, non arriverà mai.

E con molta difficoltà, spiega chi ha parlato con il capo, verrebbe considerata soluzione accettabile un'accelerazione impressa dal Colle, forte dellamoral sulla legge elettorale. È probabile che anche di questo si sia parlato nel colloquio avuto dal presidente Napolitano con i vertici Pd ieri pomeriggio. Dal quartier generale berlusconiano già avvertono che non sarà correggendo il Porcellum, e consentendo dunque di sciogliere le Camere, che si salverà il governo.

Ma il Berlusconi di queste ore sembra piuttosto in un vicolo cieco, le sue armi spuntate. È la ragione per cui, nonostante la tempesta, il premier Enrico Letta  -  forte del via libera definitivo del Parlamento al suo decreto del Fare  -  ieri si è sbilanciato nel dire in pubblico quel che da 48 ore va ripetendo anche nel chiuso di Palazzo Chigi: "Il governo è più saldo di quanto non sostengano i nostri detrattori".

Non scorge minacce concrete e imminenti, insomma. Non è un caso se nel pomeriggio, mentre dal Pdl continuavano a partire colpi di artiglieria, il capogruppo al Senato Renato Schifani  -  dopo consultazione con Arcore  -  plaudiva Letta e i suoi "toni costruttivi" sulla vicenda.

"Certi che entro agosto sarà definita la linea che prevederà l'abolizione dell'imposta secondo gli accordi. Il bastone e la carota, conseguenza anche dello sbandamento in cui da dieci giorni versano un leader e un intero partito. Stretti tra la volontà di far saltare il banco e l'impossibilità di farlo.

(10 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/dal-quotidiano/retroscena/2013/08/10/news/ma_il_cavaliere_congela_la_crisi_di_governo_aspetto_ancora_le_mosse_di_napolitano-64568960/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Muoia Sansone con tutti i filistei"
Inserito da: Admin - Settembre 11, 2013, 11:14:38 am

La pistola puntata del Cavaliere Muoia Sansone con tutti i filistei"

L'ex premier vuole a rompere già domani: non mi farò strappare lo scalpo.

Il leader del centrodestra ha iniziato a puntare l'indice anche contro Napolitano


di CARMELO LOPAPA


È l'ora della pistola puntata alla tempia degli alleati, ormai nemici, del Pd. Prendere o lasciare, il suo salvataggio o la crisi di governo. "Vogliono il mio scalpo, al pari dei magistrati: piuttosto faccio saltare il tavolo, non mi fanno fuori così". Silvio Berlusconi è un fiume in piena. La convulsa e temuta giornata segnata dall'apertura e dall'accelerazione dei lavori in giunta per l'immunità, dell'asse Pd-M5S foriero di chissà quali sviluppi futuri, precipita il leader in un catartico "Muoia Sansone con tutti i filistei".

I democratici diventano gli "amici dei pm". Tanto più che poche ore prima la Corte d'Appello di Milano aveva alzato il sipario sull'interdizione, fissando la sentenza già per il 18 ottobre. E allora tutto agli occhi del leader di Forza Italia è compiuto. E anche il presidente Napolitano diventa il Ponzio Pilato che ha preferito "lavarsi le mani", rinnovare gli appelli alla responsabilità del Pdl piuttosto che "far ragionare" i dirigenti democratici. In mattinata ad Arcore fanno capolino il presidente Mediaset Fedele Confalonieri, poi il super dirigente e amico di una vita Bruno Ermolli. Non è più tempo per inviti alla prudenza, il quadro pare compromesso anche a loro. E così, quando in serata la giunta viene rinviata a stasera con la chiara intenzione dei democratici di bocciare le questioni pregiudiziali sollevate dal relatore Augello, l'ordine di Berlusconi ai luogotenenti romani è di minacciare perfino l'aventino, di disertare la seduta. "Tanto hanno ormai deciso tutto".

Qualche ora prima, del resto, da Villa San Martino era partita già la convocazione per domani alle 13 dell'assemblea dei gruppi parlamentari Pdl di Camera e Senato. Era il tamburo di guerra fanno risuonare alla vigilia di una partito che appariva anche a distanza abbastanza compromessa. Nessuna scialuppa di salvataggio dagli alleati di governo, nessun aiuto dal presidente del Consiglio. Quanto basta per una fedelissima a stretto contatto col capo quale Daniela Santanché per sostenere prima di andare in onda a Piazza pulita che "oggi è il Pd ad aver aperto ufficialmente la crisi: è stata una gara tra loro, i grillini e i magistrati a chi avesse eliminato per primo Berlusconi". E allora è Berlusconi a eliminare loro, il governo, l'inquilino di Palazzo Chigi. "A Enrico Letta aveva garantito lealtà, ma è lui che è venuto meno ai suoi impegni, non può far finta che l'affare non lo riguardi" tuona un Cavaliere ormai a freni rotti.

Sono le ore in cui i falchi, da Verdini a Capezzone a Minzolini, cantano vittoria. Sono loro che, in contatto per tutto il giorno con Arcore, hanno "pompato" a sufficienza il capo: "Hai visto i magistrati di Milano, comunque tra un mese ti fanno fuori". Inutile restare a guardare. E sono loro a far rimbalzare voci sul profondo malessere dell'ex premier nei confronti dei ministri e di tutta l'area moderata che, con Angelino Alfano in testa, ha lavorato in queste settimane per favorire il dialogo. Per convincere il leader che non tutto era perduto. Che esistevano ancora margini di manovra e di dialogo con una parte considerevole del Partito democratico. Perfino con il Quirinale. "Ma se a prevalere è la linea di Casson, allora finisce male" si sbilancia perfino una colomba come Mariastella Gelmini. In serata la crisi è un vortici che si avvita su se stesso.

Circolano le voci più disparate. Perfino quella di un Berlusconi intenzionato non solo a sparare a zero e a sancire la crisi già domani, in quella sorta di "mezzogiorno di fuoco" allestito al cospetto delle sue truppe parlamentari. Ma anche di presentarsi a sorpresa alla festa del Giornale in corso a Sanremo per concedere l'intervista-bomba a porte aperte che ieri ha congelato e infine annullato, proprio in un estremo tentativo di salvare il governo e l'alleanza. Il video messaggio per le tv è stato già registrato, è il colpo in canna pronto da giorni. Pochi minuti per segare il ramo dell'esecutivo sul quale anche lui e il suo partito stanno seduti. Dopo, se davvero lo strappo sarà consumato, sarà crisi al buio. I suoi più stretti collaboratori raccontano che il leader ne è consapevole. Ma che ormai non gli interessa più nulla. Pretende fedeltà cieca dai suoi e da tutti, a cominciare dai ministri e dai sottosegretari, si attende la prova del fuoco proprio nell'assemblea convocata per domani. Le dimissioni che sanciscano la fine dell'esperienza Letta. E infine quelle dei parlamentari Pdl, per "costringere" il capo dello Stato allo scioglimento del Parlamento al quale Napolitano non vorrebbe rassegnarsi, in assenza di una riforma elettorale. L'indiscrezione pubblicata ieri dalla Velina rossa su un presidente della Repubblica pronto, in quel caso, a una dichiarazione pubblica pesantissima su chi si è reso responsabile della crisi, raccontano da Arcore, non ha fatto altro che avvelenare ancor più il clima. Berlusconi all'angolo, ma da quell'angolo è pronto a consumare la sua ultima vendetta possibile. Far scattare il grilletto. E poi sarà buio per tutti.
 
(10 settembre 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/10/news/la_pistola_puntata_del_cavaliere_muoia_sansone_con_tutti_i_filistei-66223819/?ref=HRER1-1


Titolo: Re: CARMELO LOPAPA La rassegnazione di Berlusconi
Inserito da: Admin - Ottobre 06, 2013, 12:26:48 am
La rassegnazione di Berlusconi

"Basta, lascio il partito ad Angelino"

Nuovo faccia a faccia ieri mattina. "Dimettiti da senatore. Il Cavaliere offre la "testa" di Verdini e Santanché e i due guidano la rivolta dei cento "lealisti"

di CARMELO LOPAPA

ROMA - La tentazione di mollare tutto. Il crollo psicologico dopo la disfatta politica. La rassegnazione a cedere l'intera baracca ad Angelino, riconoscergli la vittoria.

Dura due ore il faccia a faccia mattutino, l'ennesimo, che a sorpresa si consuma nella residenza dell'ex premier, nel day after della disfatta berlusconiana. Nel salotto dello studio al primo piano, ancora una volta Alfano. Il capo riconosce: "Ho commesso degli errori, mi sono fidato di persone sbagliate, vi offro la testa di Verdini e Santanché, ma adesso cerchiamo di restare uniti, voi siete ministri del Pdl e io ho dato fiducia a questo governo". Ammette di essere "molto stanco", travolto dagli eventi, tanto più alla vigilia del voto di giunta di oggi e della decadenza imminente. "Angelino, il partito deve restare unito e poi lo sai, sei il segretario, sei destinato a guidarlo tu". Discussione filata via molto sul filo degli affetti tra i due. Appare il segnale della resa, della ritirata dell'anziano leader.

Al suo cospetto, il vicepremier non arretra, conferma la linea della fermezza, ma assicura a Berlusconi che loro non hanno alcuna intenzione di dar vita a gruppi autonomi "se non ce ne saranno motivi". E aggiunge: "Io ti suggerirei di dimetterti, di lasciare il Senato prima del voto di giunta (di oggi, ndr), sarebbe un segnale di distensione". Ipotesi, questa, che Berlusconi però scarta subito. Alfano dopo la vittoria di mercoledì in aula opta per la strategia dell'attesa, prevalsa del resto nel vertice della notte precedente tra i "diversamente berlusconiani" Quagliariello, Lupi, Cicchitto, Castiglione, Formigoni e altri. "Nuovi gruppi? Tutta da vedere" sostiene non a caso un Cicchitto di colpo più cauto. Non forzare la mano, dunque, non uscire per ora dal Pdl per dar vita a un gruppetto di 25 alla Camera e al Senato in stile Fli, attendere le prossime due settimane e gli sviluppi della decadenza del Cavaliere, l'inizio della pena restrittiva che ne depotenzierà comunque la leadership. I governativi decidono insomma di sedere in riva al fiume e attendere. Il punto sul quale tutti sono ormai d'accordo, come va ripetendo Castiglione, è che "Forza Italia a noi non interessa più, sarebbe un dannoso ritorno al passato, dobbiamo pensare al Ppe". E puntare a conquistare il partito nella sua interezza, intanto, cariche direttive comprese. A quel punto la decisione dei ministri di indire per mezzogiorno una conferenza stampa per confermare di voler restare nel partito e di Berlusconi di convocare per le 13 il gruppo per predicare appunto unità e compattezza.

L'elemento nuovo è che Berlusconi ad Alfano avrebbe confidato di sentirsi appunto stanco, pronto quasi a eclissarsi quando tra qualche giorno per lui scatteranno i servizi sociali da scontare e la decadenza. Il testimone anche di Forza Italia passerebbe a lui. Forse è lo sfogo del momento, forse un tentativo di ammansirlo. Sta di fatto che la notizia fa subito il giro dei palazzi. A Montecitorio e Palazzo Madama è subito panico tra i "veramente berlusconiani". I fedelissimi si chiamano a raccolta alla spicciolata, è il primo pomeriggio. Dopo il tam tam telefonico si ritrovano tutti nella nuova sede di Forza Italia a San Lorenzo in Lucina. Non solo Verdini e Santanché, in allarme per la notizia delle "teste offerte" dal capo ad Angelino. Ma anche Bondi e Capezzone, Gelmini e Carfagna, Fitto e Prestigiacomo, Malan e Biancofiore, Polverini e Saverio Romano, una cinquantina. "Non possiamo finire nel partito di Alfano, diamo vita subito a Forza Italia sotto la guida di Berlusconi" è il mantra che ripetono tutti. Vogliono contarsi, dimostrare di essere loro la maggioranza del partito, dopo che in giornata Formigoni aveva detto che gli alfaniani erano già diventati settanta. Ed ecco spuntare cento firme che i "lealisti" in serata portano a Berlusconi a Palazzo Grazioli. Discutono di un ipotetico segretario da contrapporre o al più da affiancare al "traditore" Alfano. Si parla di Fitto per quella carica. Invocano un rimpasto di governo dato che al momento non esprimono più ministri. Vogliono avere ancora il controllo del Pdl. Soprattutto chiedono al capo di non cedere il testimone al vicepremier. Lui li rassicura ma non fino in fondo. Non si dimetterà da senatore, come nel pomeriggio aveva confermato ai senatori Pdl incontrati negli uffici del gruppo a Palazzo Madama alla vigilia della giunta. Riunione assai tesa, sono scintille col capogruppo Schifani che due giorni fa si è rifiutato di pronunciare il discorso sulla sfiducia. Il partito resta dentro un frullatore. 
 


Titolo: CARMELO LOPAPA L'ex premier: quella di Angelino è solo una carineria tardiva
Inserito da: Admin - Novembre 23, 2013, 04:54:03 pm
Silvio spera ancora nel voto segreto "Ma da lunedì passiamo all'opposizione"

L'ex premier: quella di Angelino è solo una carineria tardiva

di CARMELO LOPAPA


"TENETEVI pronti, lunedì si passa all'opposizione di questo governo di tasse e amici dei giudici". Silvio Berlusconi resta blindato a Palazzo Grazioli, chiama a raccolta i colonnelli di Forza Italia.
È LA vigilia della settimana campale. Li chiama tutti a raccolta nelle prime linee del fronte, la permanenza in maggioranza ha le ore contate, come la sua in Parlamento d'altronde. "Ci riuniremo lunedì e decideremo" comunica a chi va a trovarlo, da Carfagna a Prestigiacomo, da Bergamini alla Mussolini, dalla Polverini a Rotondi. Il dado dunque è tratto.

Da ieri sera i senatori forzisti hanno indossato l'elmetto: astensioni a raffica sulla manovra, in commissione Bilancio. Una linea che del resto il Cavaliere aveva adombrato nella lunga notte precedente trascorsa in relax con la ventina di giovani del partito, quelli ufficiali, portati dalla responsabile Annagrazia Calabria in vista della kermesse di oggi della Giovane Italia alla quale il leader ha confermato la sua presenza.

Ma è nel salotto di Palazzo Grazioli, dove si è intrattenuto fino alle 2.30, che si è abbandonato alle confessioni più amare sul momento. "Vedrete che mi arresteranno, farò la fine di Yulia Timoshenko", paventa la persecuzione di qualche "procura impazzita" pronta a spiccare il mandato di cattura dopo il 27 novembre. Magari per l'ipotesi di corruzione di testimoni del Ruby ter che stanno per imputargli. A dir poco avvilito dalla prospettiva.

"La prima settimana mi saranno tutti vicini, la seconda solo la metà, la terza non avrò più nessuno intorno". È il Berlusconi vittima, il ruolo in sceneggiatura che gli è sempre riuscito meglio. E che tornerà a interpretare in tv, forse da Vespa, difficile a questo punto prima della decadenza, probabile subito dopo. Intenzionato comunque a non mollare la presa dal 27, o quando avverrà l'espulsione dal Parlamento. Da lì partirà la sua campagna per i club "Forza Silvio". Già in cantiere una convention a Milano per l'8 dicembre, per fare da contraltare alle primarie Pd, il Renzi day.

L'ordine di scuderia alla squadra di 60 senatori è di dare battaglia sulla legge di stabilità, per allungare il più possibile i tempi e rinviare il voto sulla decadenza di mercoledì prossimo, nonostante la conferma del presidente del Senato Grasso. Voto palese, ma l'ultima spiaggia sarà tentare il voto segreto sui molteplici ordini del giorno che i forzisti produrranno contro il pronunciamento pro-espulsione della giunta. Volpi d'aula come Donato Bruno e Lucio Malan sono al lavoro.

Come al lavoro è Berlusconi stesso sul suo discorso che pronuncerà in aula nel giorno clou. Di certo non si dimetterà un momento prima, avverte. Preannuncia un discorso "alto, non astioso", conciso. "Mi state consegnando ai magistrati, ma sappiate che presto le toghe si scateneranno contro di voi" è un passaggio anticipato agli ospiti di ieri. Per il momento la mobilitazione di quel pomeriggio sotto Palazzo Grazioli è confermata, come la sua partecipazione.

Angelino Alfano sembra che abbia voluto comunicare di persona al Cavaliere la decisione di non sostenere la richiesta di fiducia del governo e la battaglia per posticipare la decadenza rispetto alla manovra. Per Berlusconi, stando a quanto ha riferito poi ai suoi interlocutori, sono solo "tatticismi ". Quella del vicepremier una "carineria tardiva: hanno voluto spaccare il partito e non riesco a spiegarmi ancora le ragioni, se non la voglia di restare incollati alle poltrone". Il sospetto che alberga dentro Forza Italia è che in realtà "Angelino" lavori in pieno accordo col premier Letta.

Pronto a "scaricare" una volta per tutte l'ex leader subito dopo il via libera alla stabilità. Sprezzante, nei toni, il Berlusconi che ha commentato ancora coi suoi lo strappo: "Avete visto? Altro che 7-10 per cento, non hanno più del 3,6, non vanno da nessuna parte". Alfano riunisce i suoi trenta senatori che eleggono Maurizio Sacconi capogruppo e conferma la linea della "responsabilità " nei confronti dell'esecutivo per marcare le distanze dagli "ex". Non avrebbe causato questo terremoto, diversamente. E lì si concede dell'ironia sulle liti esplose dentro Forza Italia perfino per l'elezione del capogruppo.

"Noto che il metodo Berlusconi mette tutti d'accordo, per troppa democrazia non riescono nemmeno a scegliere il sostituto di Schifani, noi lo abbiamo eletto in cinque minuti ". Questa mattina la prima uscita pubblica, a Roma, con la presentazione dei 58 parlamentari nazionali, i 7 europei, gli 86 consiglieri regionali (12 assessori), un governatore (Scopelliti in Calabria), stando al censimento dell'uomo dei numeri del Ncd, Dore Misuraca. Perché la partita grossa si gioca ora sui territori.

Anche se Schifani e Quagliariello ce la stanno mettendo tutta, raccontano nel partito, per convincere 4-5 senatori forzisti a passare con Alfano. È l'ultima remora che frena ancora Berlusconi dall'ufficializzare il passaggio all'opposizione, il timore di un altro smottamento imminente.

(23 novembre 2013) © Riproduzione riservata

Da - http://www.repubblica.it/dal-quotidiano/retroscena/2013/11/23/news/silvio_spera_ancora_nel_voto_segreto_ma_da_luned_passiamo_all_opposizione-71701392/?ref=HRER2-2


Titolo: CARMELO LOPAPA - Berlusconi riapre la partita della decadenza.
Inserito da: Admin - Novembre 29, 2013, 06:53:03 pm
Berlusconi riapre la partita della decadenza. "Interverrà Napolitano, me lo deve"

I toni bassi dell'ex premier per strappare un rinvio a gennaio. L'obiettivo sarebbe far arrivare dagli Usa carte utili per la revisione del processo Mediaset

di CARMELO LO PAPA
17 novembre 2013

Berlusconi riapre la partita della decadenza. "Interverrà Napolitano, me lo deve"Berlusconi sul palco del Consiglio nazionale del Pdl (lapresse)
ROMA - Dieci giorni di tempo. E un patto in extremis. Un accordo per chiudere quello che considera un incubo: la decadenza. La linea della diplomazia che a sorpresa Silvio Berlusconi si è imposto nonostante lo strappo - e ha imposto ai suoi ieri - ha una data di scadenza assai ravvicinata. E coincide col voto per lui fatale del 27 novembre. E infatti im vista di quell'appuntamento si è convinto che si possa ancora tracciare un disegno che porti dritto al rinvio. Con due alleati "speciali": il Quirinale e il "figlio ribelle, ossia il vicepresidente del consiglio.

"Angelino - sospira nel retropalco della Palazzo dei Congressi - continua a dirmi che nonostante tutto si impegneranno per rinviare il voto sulla mia decadenza a gennaio, vedremo cosa sono capaci di fare". I fedelissimi fanno la fila per stringere la mano a un Cavaliere provato, sfiancato. Si è appena ripreso dalla crisi ipoglicemica che lo coglie sul palco. Ma il pensiero torna di nuovo ad Angelino. Tanto che molti sospettano che dietro la scissione ci sia addirittura un accordo sottobanco: rendere più facile lo slittamento al 2014 della sua decadenza.

Dopo il pranzo a porte chiuse con la Pascale, si aprono le porte per Verdini, Santanché e Fitto. Trovano un leader a quel punto risollevato. "Oggi non mi è mancato nulla, abbiamo fatto la cosa giusta, abbiamo fatto di tutto, ma per Angelino sono dispiaciuto, lo consideravo un figlio. Degli altri no, non m'importava più nulla" è lo sfogo: "Non possiamo essere tristi per aver perso Giovanardi o Formigoni". Tutti insieme, alle prossime Europee, dice che "non andranno oltre il 4 per cento".

Ma il chiodo fisso della decadenza imminente si rivela la vera causa dell'angoscia che lo attanaglia. "A me basta che rinviino il voto di alcune settimane, a gennaio. Il presidente Napolitano non può restare ancora una volta a guardare, ho fatto di tutto per farlo eleggere e dar vita al governo che lui voleva, deve fare qualcosa". Serve tempo. Ma suo a giudizio uno spiraglio si apre. "Mi dicono che la possibilità di fare un patto in extremis con il Colle esiste ancora".

In attesa che arrivino dagli Stati Uniti le nuove carte su Frank Agrama, l'italo egiziano del processo sui diritti tv. Ghedini e Longo lo hanno convinto che saranno il jolly per ottenere la revisione del processo. E per aiutare il ricorso alla Corte di Giustizia europea. A quel punto - questa la strategia studiata a Palazzo Grazioli - "basterebbe un ordine del giorno da votare al Senato per ottenere un rinvio del voto sulla decadenza sine die, fino al pronunciamento della Corte europea". Disegno velleitario, ormai fuori tempo massimo, continuano a ripetere invano i consiglieri più moderati a un Berlusconi che non si rassegna. "Se ci saranno elementi tali da giustificare questa istanza, come noi pensiamo, certamente non ci tireremo indietro" dice del resto da Bari l'altro legale Franco Coppi a proposito dell'ipotesi revisione. Intanto i falchi sono già al lavoro per la manifestazione di piazza per mercoledì 27 a Roma.

Eppure, nel discorso fiume di un'ora e mezza il Cavaliere non parla mai di crisi, mai accenna al passaggio all'opposizione. Ma non è un caso. L'obiettivo ora è cambiato, in pochi adesso parlano di voto anticipato. "Adesso alle elezioni non potremmo andare" ha ammesso lo stesso Berlusconi. Il leader promette ai suoi che martedì tornerà a Roma per lavorare all'organizzazione dei club Forza Silvio e soprattutto agli assetti gerarchici.

Chi è rimasto al suo fianco adesso scalpita. Il posto da vicepresidente al quale Alfano ha rinunciato rientra ora nelle mire di Raffaele Fitto. Verdini potrebbe restare coordinatore, sarà i dominus delle liste comunque. Tra i due ormai un asse, vanno via insieme, nella stessa berlina, dal Palazzo dei congressi. Annamaria Bernini e Paolo Romani sono in pole position per la carica di capogruppo al Senato lasciata da Schifani. Malore a parte, sotto il cielo grigio del novembre romano i toni sono dimessi, nessun'aria di festa, pare celebrarsi il divorzio dai "traditori" più che la rinascita di Forza Italia.

Le prime file con i volti di un tempo, da Martino a Dell'Utri, da Scajola a Brancher, non giovano al maquiellage. E a poco vale che fuori da lì si fronteggino i "falchetti" della Santanché e quelli della Giovane Italia di Annagrazia Calabria. Quando è tutto finito da un pezzo, sui gradini del piazzale antistante siedono i vincitori della battaglia campale di questi giorni. Fitto, Santanché e Verdini, tutti e tre intenti a fumare la sigaretta liberatoria. Con Angelino in realtà Berlusconi si è sentito fino a venerdì notte, quando tutto era già concluso. E si dice che contatti indiretti ci siano stati anche ieri. Al capo la conferenza stampa di Angelino in fondo sembra non sia dispiaciuta. Ma ora aspetta un segnale, l'unico che gli interessi. Dieci giorni di tempo.
© Riproduzione riservata 17 novembre 2013

Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/11/17/news/berlusconi_riapre_partita_decadenza-71193942/


Titolo: CARMELO LOPAPA - Forza Italia, lite sui vertici: Berlusconi striglia i big
Inserito da: Admin - Gennaio 30, 2014, 04:28:30 pm
Forza Italia, lite sui vertici: Berlusconi striglia i big
Fitto guida la fronda: subito le nomine. Il Cavaliere: pensate solo alle poltrone. Con l'ex ministro pugliese Gasparri, Matteoli e Romano. Ancora critiche per l'ascesa di Toti

di CARMELO LOPAPA

ROMA - "Io chiudo un accordo storico con Renzi, mi intesto le riforme, mi riapproprio del mio ruolo di protagonista della politica e questi litigano per incarichi e poltrone". È quasi fuori di sé Silvio Berlusconi, a fine giornata. Da Palazzo Grazioli è appena uscita una delegazione di dirigenti guidata da Raffaele Fitto e composta da Maurizio Gasparri, Altero Matteoli, Saverio Romano, Gianfranco Rotondi, Daniele Capezzone. E sono scintille, ancora una volta, nello studio al primo piano.

La mattinata il Cavaliere l'aveva trascorsa al fianco di Denis Verdini, in contatto telefonico col quartier generale dei democratici per chiudere la partita sulla riforma elettorale con Matteo Renzi e Maria Elena Boschi. Telefonata a più riprese, poi l'intesa finale sulla soglia al 37 per cento. Berlusconi al termine è soddisfatto, canta vittoria: "Tutti i piccoli, a destra, se vorranno sopravvivere dovranno unirsi e allearsi con noi" è la facile profezia. Ma già in quelle ore, a rovinargli la mattinata, la nuova intervista con cui Fitto, a Repubblica, si lancia all'attacco del nuovo "consigliere politico" Giovanni Toti, sollecitando a Berlusconi la nomina dell'ufficio di presidenza previsto dallo statuto del partito. A ruota, nel giro di poche ore, decine di parlamentari intervengono in sostegno del collega pugliese. Capezzone, Romano, Rotondi, Sisto, Martinelli. Altri fedelissimi come Michaela Biancofiore quasi insorgono: "Basta lealisti e areatori (riferimento a chi come Toti invoca "aria fresca", ndr) siamo tutti berlusconiani". Ma la miccia ormai è innescata con la notizia che lo stesso Toti sarebbe stato ospite in serata a Porta a Porta. Consacrazione finale al ruolo di vertice al quale il capo lo ha destinato.

"Quasi quasi chiuderei il portone e non li farei entrare" confida Berlusconi velenoso a Verdini e a altri, dopo aver incassato l'accordo sulla riforma e aver saputo che quelli sarebbero venuti a trascinarlo negli affari di partito che ormai lo annoiano e lo indispongono alquanto.

Il confronto con Fitto, Capezzone e gli altri dura due ore e mezzo e si accende presto. Gasparri e Matteoli rivendicano un riconoscimento per la loro area di provenienza (ex An). Ma è soprattutto l'ex governatore pugliese, con gli altri, ad alzare il tiro. Portano al padrone di casa una rassegna stampa completa delle uscite di Toti, gli ribadiscono che "parla come se fosse lui il capo", che non può dettare la linea. Il Cavaliere minimizza: "Ma no, è solo un consigliere, non gli ho affidato alcun ruolo politico, è solo uno dei miei uomini più fidati a Mediaset che mi sta dando una mano". Loro ripetono che non si può "bistrattare l'intera classe dirigente, come se non fossimo stati al tuo fianco in questi anni". Chiedono che tutto questo venga riconosciuto attraverso la nomina a breve dell'ufficio di presidenza che dovrebbe affiancare il leader. E non piuttosto del comitato ristretto pensato a quanto sembra da Berlusconi, da affidare magari alla guida di Toti. Il capo a quel punto si inalbera e taglia corto: "Nominerò l'ufficio di presidenza presto, forse nelle prossime ore" ma la chiude lì. Finito il "corpo a corpo" coi parlamentari confesserà che lui invece quel comitato lo ha davvero in testa: "Non voglio rottamare nessuno, ma bisogna rinnovare, come stiamo iniziando a fare".

Sullo sfondo c'è il timore della vecchia guardia che il pallino delle candidature passi proprio a quel comitato e a Toti. La partita si gioca lì, sul terreno più delicato. A Berlusconi i "ricatti" non piacciono. E quella visita, dirà poi, in quel senso l'ha interpretata. Una pistola posta sul tavolo in un momento assai delicato. Fitto è a capo di almeno 17 deputati, poi ci sono gli altri. Nessuno minaccia di andar via. Ma la settimana prossima la legge elettorale si vota in aula e a scrutinio segreto in alcuni passaggi. In tanti in Forza Italia avrebbero gradito le preferenze, al posto del listino bloccato. Berlusconi sull'intesa si gioca parecchio.

© Riproduzione riservata 30 gennaio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/01/30/news/forza_italia_lite_sui_vertici-77256559/?ref=HREC1-6


Titolo: CARMELO LOPAPA Il leader forzista: "Nel Pd è comunque un terremoto".
Inserito da: Admin - Febbraio 09, 2014, 05:35:10 pm
La tentazione di Berlusconi: "Se Renzi va a Palazzo Chigi noi pronti a entrare nel governo"

Il leader forzista: "Nel Pd è comunque un terremoto".

Incidente con Fitto che rinuncia alla commissione alleanze: "Non voglio incarichi"

di CARMELO LOPAPA
   
"Da quella parte rischia di terremotare tutto, teniamoci pronti" suona la sveglia ai suoi Silvio Berlusconi, mai come in questi giorni attento alle vicende interne al Pd e ai destini del governo Letta. Il terremoto significa un governo Renzi. E a sorpresa il Cavaliere è pronto a dare la sua benedizione. "A quel punto non si voterebbe ma io otterrei la legittimazione come 'padre della patria'".

Il suo ragionamento, già accennato nei giorni scorsi, ieri ha colto quasi tutti di sorpresa. Ma non i suoi fedelissimi. "Se davvero Renzi dovesse subentrare a Palazzo Chigi, noi in quel governo dovremmo entrarci" sostengono quasi a completare il ragionamento Renato Brunetta e il commissario europeo Antonio Tajani. Sono i due super governativi, entrambi a Palazzo Grazioli mercoledì sera, assieme a Giovanni Toti, Denis Verdini, Paolo Romani e Raffaele Fitto.

Ieri la tv dello studio è rimasta sempre accesa sulla diretta della direzione Pd da Largo del Nazareno, raccontano. Al fianco del capo, Giovanni Toti, che ha trascorso la mattinata nella sede di San Lorenzo in Lucina, e Denis Verdini che poi si tratterrà fino a sera. Proprio lui, assieme a Fitto guidano invece il partito del "no" a un eventuale governo Renzi. "Non possiamo rinnegare quanto fatto da novembre ad oggi, non possiamo tornare indietro" provano a insistere in sequenza. Eppure il discrso del leader forzista è molto pragmatico: "Se c'è Renzi, io ottengo la rinascita politica. Se salta tutto, si va a votare. In ogni caso ci guadagniamo". C'è poi chi ipotizza improbabili sostegni esterni, dietro lo scudo delle riforme da approvare da qui a un anno.

Al Cavaliere, Renzi piace e non ne fa mistero. Volentieri stringerebbe anche un patto di governo con lui, se solo il segretario dem accettasse. Ora gli occhi sono puntati sulla verifica annunciata per il 20 febbraio, che vista da Grazioli ha tutto il sapore di un'interessante resa dei conti a sinistra. Nel frattempo, l'ordine di scuderia è di dare il via libera alla nuova legge elettorale la settimana prossima. "Non cadiamo nella trappola di provocatori alla Grasso" intima Berlusconi che vede ancora rosso pensando alla costituzione di parte civile, ancor più dopo aver ascoltato ieri le motivazioni del presidente del Senato.

"Andate giù duro, senza esclusioni di colpi" è l'input partito da Palazzo Grazioli e che potrebbe portare alla mozione di censura, già in cantiere al gruppo guidato da Paolo Romani. "È stato un altro colpo di stato" va ripetendo il Cavaliere che poi, nel suo personalissimo pallottoliere, sarebbe il quinto di questi anni. Ma l'invito rivolto alle truppe parlamentari è a non cedere comunque a derive in stile grilline. Protesta sì, ma niente piazzate, in aula e fuori. A rinfrancarlo, il responso dei sondaggi dopo la svolta di Casini. Dell'ultimo ne dà notizia il "Mattinale" edito dallo staff di Brunetta: cita il Tecnè che darebbe "il centrodestra oltre quota 40, in vantaggio di 6 punti sulla sinistra". Percentuali che, stando all'house organ, lieviterebbero di giorno in giorno.

L'unica cosa della quale il leader non vorrebbe occuparsi per ora sono le beghe interne. Verdini ha insistito ancora a lungo ieri perché nominasse l'ufficio di presidenza dei 36-40, atteso dai dirigenti forzisti. Il Cavaliere non solo resiste, ma con un gesto che sa parecchio di provocazione nomina in serata la fedelissima senatrice Maria Rosaria Rossi capo dello staff della presidenza: è ormai la sua ombra, ma finora priva di incarichi di partito. Quindi, si inventa una commissione incaricata di tenere i rapporti con gli alleati, ne affida la guida ad Altero Matteoli e ne chiama a far parte Osvaldo Napoli, il giovane sindaco Alessandro Cattaneo, Saverio Romano e l'ignaro Raffaele Fitto.

Proprio il deputato pugliese, critico a più riprese in questi mesi, prende le distanze in polemica e si tira subito fuori: "Darò una mano per la costruzione di alleanze, ma preciso che non faccio parte di alcuna commissione - precisa in serata - e non voglio ricoprire alcun incarico. Attendo la costituzione degli organi statutari". L'incidente è servito. 

© Riproduzione riservata 07 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/07/news/la_tentazione_di_berlusconi_se_renzi_va_a_palazzo_chigi_noi_pronti_a_entrare_nel_governo-77906499/?ref=HREC1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi: "Mi deve tutto, ma ora Angelino è un pugile suonato.
Inserito da: Admin - Febbraio 17, 2014, 07:09:50 pm
Berlusconi: "Mi deve tutto, ma ora Angelino è un pugile suonato. Tra un anno si vota e vinceremo"

Su Renzi il Cavaliere conferma la linea resta soft: "Niente attacchi personali e se propone cose utili le voteremo"

di CARMELO LOPAPA
   
"Vedrete che da qui a un anno si vota, Renzi non si fa cuocere lì a lungo. Ma a quel punto la vittoria sarà nostra". Il giorno è già mesto di suo, nella tenuta di Arcore. E solo il pensiero di una rivincita elettorale rianima Silvio Berlusconi in momenti come questo. È impegnato con i figli nella commemorazione dell'anniversario della morte di mamma Rosa, sebbene sia caduto il 3 febbraio. Rientrato in tutta fretta la sera prima da Roma apposta, subito dopo le consultazioni al Quirinale. Così, le sortite di Angelino Alfano dal palco di Fiumicino hanno contribuito a rovinare una giornata piuttosto grigia di suo...

"Sono attonito - è l'espressione usata dal Cavaliere nei commenti a freddo - Non mi sarei mai aspettato che Angelino arrivasse a questo livello di ingratitudine. Ha già dimenticato che deve tutto a me"...

"Alfano ormai è un pugile suonato, con trattacca così perché si è parecchio indebolito - è il ragionamento fatto ai suoi - rischia di restare schiacciato tra Renzi e me, lo ha capito, è nervoso"...

Ora davvero la prospettiva di un'alleanza elettorale, pur di là da venire, è ridotta al lumicino. Ora davvero l'unico obiettivo di Berlusconi è spianare i "traditori" già alle Europee del 25 maggio, impedire con tutti i mezzi che il Ncd superi la soglia fatale del 4 per cento...

Berlusconi continua a predicare cautela ai suoi. "Nessun attacco personale a Matteo Renzi - è la linea - Non è escluso che sosterremo alcuni provvedimenti utili, del resto lo abbiamo fatto anche con il primo governo Prodi". Avrebbe fatto ieri anche un esempio concreto. "Io ragiono con la testa di un imprenditore, se mi presenta la cancellazione dell'Irap, volete che non gliela voti? Prima di tutto gli interessi dei nostri elettori e del Paese". Tanto il giro di giostra, ne è convinto, non durerà a lungo...

L'articolo integrale su Repubblica in edicola o su Repubblica+

© Riproduzione riservata 17 febbraio 2014
Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/17/news/berlusconi_alfano-78805906/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Berlusconi : "Il governo tuteli le mie AZIENDE"...
Inserito da: Admin - Febbraio 22, 2014, 07:59:26 am
Berlusconi e l'assillo di Mediaset: "Il governo tuteli le mie aziende"

La strategia del Cavaliere per non rompere il patto con Renzi.
Toni concilianti e disponibilità a dare una mano su alcune leggi, ma a certe condizioni

di CARMELO LOPAPA
   
ROMA - Garanzie per Mediaset. "Un patrimonio italiano, prima ancora che di Silvio Berlusconi": il Cavaliere il messaggio lo ha recapitato a Matteo Renzi. Dal governo che sta per nascere il patron si attende protezione per un'azienda, la sua, che vanta oltre 6 mila dipendenti e che è funestata al pari di altre dalla crisi. Pubblicità in netto calo, ascolti in declino a beneficio della Rai, conti che non tornano. Berlusconi non ci ha pensato due volte a perorare la causa delle sue "creature" a chi si appresta a governare con una discreta chance di durata. Aveva fatto la stessa cosa nel 1996 quando Massimo D'Alema andò a visitare gli studi Fininvest.

Insomma, non è stato solo in ossequio al santo festeggiato ieri (San Mansueto), se l'ex premier si è presentato in veste più che conciliante nella Sala del Cavaliere. Garanzie vuol dire tante cose, tanto per cominciare un ministro delle Comunicazioni non ostile. Certo, il leader di Forza Italia non ha esplicitato le sue richieste nell'incontro di ieri. I messaggi sono stati precedenti e più diplomatici. Sta di fatto che il nome di Antonio Catricalà, ex sottosegretario alla Presidenza con Monti e viceministro allo Sviluppo con Letta, sarebbe stato indicato come uno dei più graditi e non solo per il consolidato rapporto che lo lega a Gianni Letta. E qualcuno sospetta che si sarebbe accennato anche a questo nei cinque minuti di faccia a faccia isolato ottenuto da Berlusconi con il premier incaricato.

Se certe garanzie saranno rispettate, se lo status quo dovesse essere salvaguardato, allora ci sarà da parte di Forza Italia quell'ampia disponibilità a dare una mano d'aiuto al governo. E non solo sulla legge elettorale e la riforma del Senato. "Se ti dovessero mancare i voti anche per altri provvedimenti importanti, se questi del Nuovo centrodestra dovessero farsi da parte, potresti contare su di noi" è stato il ragionamento di Berlusconi che ha lasciato stupito perfino Renzi. Il Cavaliere le elencherà anche fuori, a beneficio delle telecamere, le leggi sulle quali vorrebbe dare un contributo: lavoro, fisco, pensioni, giustizia. Le riforme economiche in blocco. Mano offerta assieme a un pacco di suggerimenti non richiesti eppure elargiti dal leader di Forza Italia. Su come farsi valere in Europa, soprattutto, poi sui Marò, su Alitalia. E non solo. "Mi permetto perché hai la metà dei miei anni e ho qualche esperienza di governo: fatti una squadra del tutto nuova, ma soprattutto metti uomini tuoi, di fiducia. Non fare come me che avevo ministri dei quali non sapevo nemmeno cosa facessero e poi si è visto com'è andata a finire" ha alluso senza mai citare Alfano, Lupi e gli altri. Ma a far scattare fin dal pomeriggio l'allarme rosso nella compagine del Nuovo centrodestra sono stati quei cinque minuti a quattr'occhi tra Renzi e il Cavaliere. La blindatura della legge elettorale contro l'abbassamento della soglia di sbarramento che gli alfaniani pretendono da giorni.

Tra Berlusconi e il governo nascente tuttavia la partita che il primo vorrebbe aprire è molto più ampia. L'ex premier coi suoi non fa mistero di voler dire la sua anche sull'imponente (e imminente) infornata di nomine di boiardi di Stato. Il settore che gli sta più a cuore è quello dell'energia, del gas, che porta dritto ai vertici Eni, per esempio. Al rientro a Palazzo Grazioli dopo le consultazioni, il capo forzista incontra Giovanni Toti, Gianni Letta e Denis Verdini, prima di pranzare con la truppa di eurodeputati già in campagna elettorale. "Il ragazzo è sveglio, è furbo - confesserà agli ospiti - A me piace, può bruciarsi solo per l'eccessiva ambizione". Poi conferma la volontà di candidarsi all'Europarlamento nonostante l'interdizione, con tanto di nome nel simbolo, e di voler volare a Dublino per il vertice Ppe di marzo. "Ghedini mi ha detto che nell'area Schengen posso, anche se privato del passaporto". Chiederà comunque il permesso al Tribunale di Milano.

© Riproduzione riservata 20 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/02/20/news/berlusconi_mediaset-79113229/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_20-02-2014


Titolo: CARMELO LOPAPA L'ira di Berlusconi: "Se non vengo tutelato non garantisco le...
Inserito da: Admin - Aprile 07, 2014, 05:31:54 pm
L'ira di Berlusconi: "Se non vengo tutelato non garantisco le riforme"
Dopo il no di Napolitano il leader forzista cade nello sconforto. Ma Renzi, Verdini e Gianni Letta confermano l'accordo

di GOFFREDO DE MARCHIS e CARMELO LOPAPA
   
ROMA - La delusione maturata appena rientrato dal Colle ha adesso lasciato spazio allo sconforto più buio, a uno stato "quasi di prostrazione fisica", racconta chi ha raggiunto ieri Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli. Si sente in un vicolo cieco, a pochi giorni dal pronunciamento dei giudici del Tribunale di sorveglianza di Milano. Il leader di Forza Italia ha la certezza di essere rimasto solo di fronte alla pena da scontare.

"Napolitano non farà nulla per salvarmi, me lo ha detto, ne ero certo. D'altronde è da tempo che mi vuole fuori dai giochi", andava ripetendo nei pochi incontri politici avuti in giornata. Ma l'angoscia è cresciuta di ora in ora. Non ha retto alla tensione e ha cancellato l'incontro previsto in serata con i dirigenti del coordinamento del Lazio. L'ex premier non ce l'ha fatta, nel tardo pomeriggio a sorpresa è salito sul suo airbus per tornare ad Arcore.

La rabbia è nei confronti dei consiglieri che, ancora nelle ultime 48 ore, lo avevano illuso di uno spiraglio possibile, spingendolo a farsi ricevere dal capo dello Stato. Tutto inutile, ogni porta è sprangata. Lo spettro tornano ad essere gli arresti domiciliari, nonostante fedelissimi e legali continuino a rassicurarlo sui servizi sociali. L'esito dell'incontro al Quirinale avrebbe convinto Berlusconi del contrario. "Vedrete, questi ormai possono fare di tutto, anche sbattermi ai domiciliari. Se potessero mi metterebbero pure in galera pur di non farmi fare campagna", è lo sfogo che chiama in causa ancora una volta i magistrati che dovranno decidere sulla sua sorte. L'ex Cavaliere è spiazzato. La voglia matta di tornare a urlare da una tribuna, per esempio confermando il comizio in programma lunedì pomeriggio al Teatro Alfieri di Torino, deve fare i conti con i freni tirati dagli avvocati: "Non può piazzare dinamite a due giorni dalla decisione dei giudici".

In questo clima, ieri mattina, il leader forzista dà pieno mandato a Denis Verdini e a Gianni Letta per incontrare il premier Matteo Renzi e il ministro Maria Elena Boschi. Quell'incontro che Berlusconi avrebbe voluto fare in prima persona ma che il presidente del Consiglio ha rifiutato.

L'articolo integrale su Repubblica in edicola o su Repubblica+

© Riproduzione riservata 04 aprile 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/04/news/berlusconi_sconforto-82686148/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA. - L'EX DI TUTTO : "Solo così si poteva evitare la guerra"
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2014, 11:20:05 pm
E il Cavaliere tira un sospiro di sollievo: "Solo così si poteva evitare la guerra"
La giornata più lunga del leader di Forza Italia. Per le europee imita Renzi: almeno tre donne capolista

di CARMELO LOPAPA
   
E' lui stesso a smorzare gli entusiasmi quando intorno i familiari sorridono: "Non c'è niente da festeggiare, ancora il Tribunale non ha deciso niente e soprattutto resto un perseguitato della giustizia, in questo Paese". Ma raccontano che Silvio Berlusconi poco dopo le 18,30 abbia tirato un grosso sospiro di sollievo. "Fino all'ultimo ho temuto il peggio, perfino i domiciliari, solo così hanno evitato una guerra".

"Ci sono giudici che hanno ancora rispetto per il mio ruolo e se sarà così potremo lavorare alle riforme da protagonisti" è stata una delle considerazioni a caldo.

Rispetto, è il termine ripetuto. Lo stesso che ora promette di mantenere lui, almeno nelle prossime settimane calde, nei confronti dei magistrati tanto temuti e tanto osteggiati.

Attorno all'ex premier, nel salotto di Arcore, ci sono i tre figli Marina, Pier Silvio e Barbara, rimasti quasi tutto il giorno al suo fianco, con la compagna Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi. Niccolò Ghedini comunica la notizia al telefono. "Tutto può succedere, il Tribunale di sorveglianza può anche capovolgere il parere della Procura e schiaffarmi ai domiciliari " ripete Berlusconi usando le cautele dei suoi legali, ma lo fa quasi per esorcizzare il peggio, che tutti comunque nella cerchia ristretta considerano superato o quasi. Sebbene il tam tam rilanciato all'esterno sia improntato alla massima prudenza.

"Comunque vada, questa resta una giornata infausta per la democrazia, con Berlusconi si feriscono milioni di italiani che credono in lui", sintetizza la linea Mariastella Gelmini. Prima di lei, il solo scoppiettante Brunetta si era spinto a paragonare il leader a San Suu Kyi, premio Nobel per la pace costretta un tempo ai domiciliari dal regime birmano.

Ora si tratterà solo di attendere, pazientare, mantenere la linea del low profile, del silenzio assoluto fino alla data fatidica. Niente conferenza stampa dunque tra lunedì e martedì per presentare le liste per le Europee, tanto per cominciare. "Mi stanno sfiancando con questa attesa, sembra un'agonia" si sfoga il condannato che vuole conoscere il suo destino. Anche se la pena ormai si profila con una certa nitidezza. Il rinvio di 5 o perfino 15 giorni rischia di azzoppare lo start della campagna elettorale. Ma per come è sintonizzato lo stato d'animo del leader tra le quattro mura di Arcore, l'handicap sembra essere l'ultima delle preoccupazioni. Perfino il ginocchio ancora dolorante (forse occorrerà un piccolo intervento) è passato in secondo piano. In questo momento, i servizi sociali in un centro di assistenza per anziani vicino casa in Brianza  -  o quelli in una cascina nell'hinterland milanese gestita da un'associazione che si occupa di disabili  -  costituiscono la terra promessa dell'"agibilità politica". Gli consentirebbero di continuare a esercitare la leadership a pieno regime, pur costringendolo a rientrare a casa alle 23. Dunque: tv, comizi, campagna elettorale per le Europee, incontri blitz romani, da qui a breve si ricomincia. Sullo sfondo, resta l'ipotesi più rosea, ventilata dallo staff di legali: la possibilità di non dover nemmeno raggiungere un istituto, qualora il Tribunale decida di ridurre la pena a semplici colloqui a domicilio, per evitare disagi, scorte e capannelli di telecamere.

Così, mentre in serata il futuro delle prossime settimane inizia a rischiararsi, Berlusconi può rimettere testa, con i pochi dirigenti che riescono a parlargli, alle due priorità politiche che lo attendono. Le riforme da portare avanti con Renzi (o da seppellire) e le liste elettorali, per parare il colpo mediatico sferrato dal leader Pd con le donne capolista. Sulle riforme, le intenzioni bellicose dei giorni scorsi sono d'incanto archiviate. Se il capo di Forza Italia potrà continuare a esercitare la sua leadership, la farà valere anche al tavolo con il premier per superare il bicameralismo e cambiare la legge elettorale. "Sono stato responsabile fino ad ora e lo saremo ancora, se ci consentiranno di fare politica" spiega la linea Berlusconi ai suoi. Non a caso, in serata a Porta a Porta, il consigliere politico Giovanni Toti spiega che sulle riforme loro ci sono: "Il ddl Renzi non ci convince, sediamoci e parliamone, ma non sarò difficile trovare una soluzione".

Il dossier numero due va sotto il titolo "Europee". E porta il codice rosso dell'emergenza, dentro Forza Italia. Mentre da Milano si attendeva il pronunciamento della Sorveglianza, nella sede di San Lorenzo in Lucina si riunivano Toti, Denis Verdini, il capogruppo Paolo Romani, il responsabile elettorale Ignazio Abrignani. Hanno ragionato sulla necessità di correre ai ripari, le liste sono stantie, appaiono già vecchie e senza novità rispetto alle cinque con bandierina rosa in testa di Matteo Renzi. Ecco allora la proposta che, in collegamento telefonico, Berlusconi avrebbe mostrato di gradire. Piazzare dove possibile un capolista donna anche in Forza Italia, con due (o tre) eccezioni nelle cinque circoscrizioni. Ecco allora farsi largo il tandem delle uscenti Lia Sartori e Elisabetta Gardini nel Nordest, l'ipotesi di Gabriella Giammanco nelle Isole, mentre al Sud il partito è in pressing su Mara Carfagna. Lei è molto restia, tanto più se si dovesse trattare di scalzare in corsa Raffaele Fitto, col quale è in ottimi rapporti: il potente deputato pugliese dopo mille polemiche corre già da capolista. Come pure Toti al Nordovest e Antonio Tajani al Centro. Lo stesso Toti con Verdini e Bondi si sposteranno ad Arcore nel fine settimana. Con la sentenza, incombe anche la scadenza per il deposito delle liste di martedì 15 in vista delle Europee che, sondaggi alla mano, per Forza Italia non promettono nulla di buono.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/11/news/e_il_cavaliere_tira_un_sospiro_di_sollievo_solo_cos_si_poteva_evitare_la_guerra-83286435/?ref=HREC1-2


Titolo: CARMELO LOPAPA. L'EX DI TUTTO: "Senza agibilità politica scateneremo l'inferno"
Inserito da: Admin - Aprile 11, 2014, 11:47:27 pm
Berlusconi avverte: "Senza agibilità politica scateneremo l'inferno"
Oggi la decisione su servizi sociali o arresti domiciliari. "Se saranno concilianti, non parlerò più dei pm"

di CARMELO LOPAPA
   
ROMA -  "Tenetevi pronti, perché se va come temo, scateniamo la fine del mondo". La voce di Silvio Berlusconi sembra provenire dal regno dell'Ade alle orecchie di dirigenti e parlamentari che chiamano Arcore per infondere coraggio. Il loro leader non fa nulla per smorzare la tensione, nella più angosciosa delle vigilie che precede l'udienza di oggi pomeriggio del Tribunale di sorveglianza.

Nonostante le indiscrezioni filtrate alla vigilia, la storia dell'affidamento ai servizi sociali in un istituto per anziani e disabili del milanese - dove verrebbe impegnato mezza giornata a settimana - tutto lascia presagire nell'enclave di Villa San Martino che il finale non sarà così roseo. "Io sono sempre Berlusconi e loro i giudici di Milano, vedrete - è lo sfogo ancora di queste ore - comunque faranno di tutto per mettermi fuori gioco".

L'ex Cavaliere, raccontano, si muove ancora con difficoltà aiutandosi con la stampella, il nervosismo è a fior di pelle. A casa è un via vai dei figli Piersilvio e Marina, in un crescendo di preoccupazione per lo stato d'animo del padre. "Anche perché se c'è una cosa che lo deprime, è proprio la vista e il contatto con persone in difficoltà e quel genere di soluzione lo butterebbe giù" racconta chi gli sta vicino da parecchio tempo. Attorno a lui, solo la compagna Francesca Pascale e Maria Rosaria Rossi, con l'avvocato Niccolò Ghedini. Il legale predica prudenza e silenzio stampa assoluto in attesa del responso. Cautela anche per i giorni successivi alla sentenza: la campagna elettorale non potrà ruotare attorno alla "persecuzione giudiziaria" e agli attacchi alla magistratura, gli è stato detto. "Perché le misure che saranno decise nelle prossime ore potranno essere revocate in qualsiasi momento" è l'avvertimento del legale, che gli ha sconsigliato anche di presenziare oggi pomeriggio all'udienza.

Suggerimenti, consigli che cadono presto nel vuoto se l'assistito è Berlusconi. Basti pensare che nella lunga nota comunque diramata in mattinata da Arcore per mettere all'angolo Forza Campania di Nicola Cosentino, ecco la zampata contro la magistratura "braccio giudiziario della sinistra che vuole impedirmi di fare campagna elettorale". Non proprio una considerazione leggera se messa per iscritto dal condannato che dovrebbe manifestare "ravvedimento" per ottenere i servizi sociali. Che non sia ancora sicura la destinazione è confermato dalla circostanza che funzionari del palazzo di giustizia di Milano ancora questa settimana avrebbero bussato al centro di ascolto dell'Associazione italiana vittime di malagiustizia, già sondato dallo staff di Berlusconi. Lui resta convinto che lo vogliano vincolare ai domiciliari. "Silenziarlo in campagna elettorale sarebbe l'ennesima ingiustizia ad personam" mette le mani avanti il capolista nel Nordovest Giovanni Toti. Non è chiaro su quali basi, ma i forzisti alla Camera ieri si dicevano invece certi che il pronunciamento arriverà tra domani e lunedì. "Qualunque sarà la decisione, un giorno triste per la democrazia" dice Maria Stella Gelmini.

Poco o nulla contribuiscono a risollevare gli animi ad Arcore la notizia che l'avvocato ed ex ministro spagnolo Ana Palacio, con le deputate Deborah Bergamini e Elena Centemero (ieri in Francia per l'iniziativa), lavoreranno a un ricorso d'appello alla Corte di Strasburgo, dopo il no alla candidabilità già pronunciato due giorni fa. Di Europa, intesa come competizione elettorale, il leader forzista vorrebbe occuparsene dopo la sentenza del Tribunale. Ma le scadenze incombono, le liste vanno presentate entro martedì 15: nel fine settimana, per metterle a punto, con Toti raggiungerà Arcore anche Denis Verdini (dopo che ieri il Senato ha dato via libera alla richiesta dei magistrati di usare le intercettazioni che lo chiamano in causa in diversi procedimenti). La campagna mediatica è stata già pianificata: niente attacchi al governo sulle riforme, ma sull'economia sì. Nelle slide diffuse dal responsabile Antonio Palmieri, gli slogan sono sulla soglia dell'antieuropeismo alla Le Pen: oltre a "Più Italia, meno Germania", campeggia un "Basta con l'Euro moneta straniera".

© Riproduzione riservata 10 aprile 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/04/10/news/berlusconi_avverte_senza_agibilit_politica_scateneremo_l_inferno-83199556/?ref=HREC1-4


Titolo: CARMELO LOPAPA La strategia di Berlusconi: “Restituitemi il mio onore, una ...
Inserito da: Admin - Luglio 21, 2014, 05:55:39 pm
La strategia di Berlusconi: “Restituitemi il mio onore, una legge per ricandidarmi”
Dopo l’assoluzione nel processo Ruby l’ex premier punta a una soluzione per superare la legge Severino

di CARMELO LOPAPA
21 luglio 2014
   
ROMA - La grazia è una partita persa, archiviata, chiusa. Ne ha preso atto anche il diretto interessato, ora che il Quirinale ha lasciato trapelare la sua indisponibilità anche dopo l'ultima sentenza, quella che ha assolto Silvio Berlusconi in appello dalla più infamante delle condanne a suo carico. Ma l'ex Cavaliere  -  evaporata la sorpresa, l'euforia e perfino la commozione dei primi giorni  -  non si arrende, adesso punta solo a ottenere quel "risarcimento " che si è convinto gli spetti. Si tratta di capire come.

"Troppi anni e troppi danni subiti, troppo fango in Italia e fuori, qualcuno dovrà trovare una soluzione per ridarmi l'agibilità politica a cui ho diritto", ripeteva ancora ieri agli "amici di sempre". Quelli - come Fedele Confalonieri - con cui si confida nei momenti più difficili. Quelli cui chiede consiglio prima ancora di rivolgersi ai vertici del suo partito. Con loro si è consultato prima di dedicarsi in serata al giocattolo che ancora lo diverte: il Milan. Summit con la figlia Barbara, l'allenatore Filippo Inzaghi e l'ad Adriano Galliani sul mercato de i rossoneri.

Nel centrodestra si litiga di nuovo sulle primarie, sulla coalizione, sul ritorno (improbabile) di Alfano e dei suoi, sulla Lega. Ma il leader di Forza Italia non ha alcuna intenzione di farsi da parte, ora meno di prima. Ed è alla disperata caccia della soluzione che possa rimetterlo in gioco appieno, non solo nei panni di padre nobile. E l'unica strada che ha individuato con i suoi legali di vecchia data è quella di bypassare la legge Severino. Modificare la norma sulla incandidabilità o escogitare un modo per sterilizzarla nella parte in cui impedisce a un condannato in via definitiva di essere candidato, in Parlamento e a Palazzo Chigi.

"Dobbiamo battere quella strada e mi occuperò personalmente di trattare la questione con Renzi" è il più recente e segreto proposito. Tutt'altro che una trattativa da aprire in un tavolo ufficiale, nella sua strategia. Quel che è certo però è che dalla sentenza del 18 luglio si sente riabilitato, continuerà a trattare sulle riforme, a garantire il sostegno pieno di Forza Italia sul Senato e sull'Italicum, ma non sarà un supporto a costo zero. Tanto più ora che  -  pur tra un tira e molla, una chiusura e una riapertura  -  Grillo e Casaleggio appaiono fuori dai giochi per le riforme. Anzi, proprio il ruolo di "padre della patria " che si autoattribuisce viene considerato proprio il passe-partout per chiudere la stagione dei processi e arrivare alla "pacificazione" Berlusconi sa bene che la partita è difficile, anzi improba. "Non credo proprio che Renzi si faccia carico di una contropartita così delicata" ammetteva ieri pomeriggio più d'uno della cerchia ristretta del leader. Ma bisognerà fare i conti con la determinazione del capo, che tutti i suoi definiscono rigenerato dall'assoluzione in appello.

La "riabilitazione ", appunto, costituisce il chiodo fisso, adesso. Dagli avvocati Ghedini e Longo per di più avrebbe ottenuto il responso sperato a un interrogativo posto nei giorni scorsi. E cioè: gli effetti della Severino sarebbero cancellati nel caso in cui la Corte di Strasburgo dovesse accogliere il ricorso presentato contro la sentenza definitiva sui diritti Mediaset? Sembrerebbe di sì, stando al loro parere. E questo riaprirebbe sì i giochi in casa, con la possibilità di tornare a candidarsi per guidare con tanto di nome in lista il partito e eventualmente la coalizione. Ma soprattutto, nell'ottica dell'ex Cavaliere, gli consentirebbe quella "riabilitazione" agognata anche sul piano internazionale.

Ecco l'altro pallino. Tornare a sedere da leader anche al cospetto delle cancellerie europee e in particolare a Bruxelles. Cosa che per altro intende fare, senza perdere altro tempo, già da marzo, quando gli sarà restituito il passaporto e saranno conclusi i servizi sociali. Intanto, ha incaricato il suo "ambasciatore" Ue, il vicepresidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, di diffondere il più possibile, con tutti i suoi interlocutori ai vertici del Ppe, la notizia della cancellazione della condanna su Ruby. Circostanza che  -  avrebbe fatto notare l'ex commissario Ue  -  è già ben nota, dato che dell'assoluzione si è occupata tutta la stampa internazionale. Non basta, per il leader, che già nei giorni scorsi aveva sentito il presidente del Ppe Joseph Daul per discutere delle nomine ai vertici della Commissione. Il meglio, dal suo punto di vista, deve ancora venire. "Dal prossimo anno Angela Merkel dovrà tornare ad avere a che fare con me", confida ora un Berlusconi rinvigorito, saggiando il miele della rivincita. Non ha fatto mistero coi suoi che tornerà a frequentare i vertici del Ppe, sebbene Forza Italia contribuisca da quest'anno a quel gruppo con un numero ben più ridotto di parlamentari, tredici.

Ma se il leader si prepara a costruire il suo rilancio internazionale, figurarsi se prende in considerazione veti interni, oppositori o dissidenti dentro il partito. Da oggi al Senato si fa sul serio, iniziano le votazioni sulla riforma concordata con Renzi. L'ex premier ha garantito al suo interlocutore il pieno sostegno, nonostante la presa di distanza dei 22 contrari nel gruppo forzista. Quella riforma, come la legge elettorale, Berlusconi deve condurla in porto, almeno in prima lettura, per poter dettare poi condizioni quando il suo potere contrattuale sarà ancora più consolidato. Condizioni che riguarderanno, come si è visto, il suo status di "interdetto", ma anche la tenuta e il futuro delle aziende, dell'impero economico-finanziario.

Ecco perché, quando ieri mattina si sono fatti sentire ad Arcore Denis Verdini e il capogruppo Paolo Romani, entrambi piuttosto preoccupati per le voci di un ripensamento del capo sul percorso delle riforme, hanno ricevuto la risposta che si aspettavano e che speravano. "Nessuna marcia indietro, e fatelo sapere a tutti, non faremo alcuna retromarcia sul patto del Nazareno". Minzolini, la Bonfrisco e gli altri senatori sono avvertiti. E nella strategia imposta a suon di minacce ("Ai probiviri chi si oppone"), potrebbe fare le spese alla ripresa di settembre anche il capogruppo alla Camera Renato Brunetta, non certo uno dei più convinti sostenitori delle riforme.
 
© Riproduzione riservata 21 luglio 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/07/21/news/la_strategia_di_berlusconi_restituitemi_il_mio_onore_una_legge_per_ricandidarmi-92040921/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_21-07-2014


Titolo: CARMELO LOPAPA Riforme, Grillo punta al referendum e Fi corteggia Renzi per...
Inserito da: Admin - Agosto 12, 2014, 06:21:43 pm
Riforme, Grillo punta al referendum e Fi corteggia Renzi per l'economia

di CARMELO LOPAPA

Il primo via libera alla riforma del Senato tiene ancora acceso, seppur al minimo, il motore del dibattito politico nel fine settimana che precede Ferragosto. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi visita a sorpresa la kermesse degli scout a San Rossore, per lui e la moglie un tuffo nel passato, ma rifiuta di strumentalizzare l’occasione parlando di governo e riforme. "Voi vi siete ascoltati. Talvolta, invece, la politica ha questo difetto: parla, parla, parla ma non ha la capacità di ascoltare" è il messaggio che affida alle migliaia di giovani delle Route nazionale.

Pur se dalle vacanze in Sardegna invece Beppe Grillo non molla la presa e torna ad alzare i toni parlando di "golpe" e "golpisti". "Dopo l'abolizione del Senato e il tradimento della Costituzione da parte del trio Napolitano, Renzie, Berlusconi, l’unica forza democratica del paese è il M5s" scrive sul suo blog il leader, che pubblica un manifesto della Cina comunista nel quale il volto di Mao è sostituito con il suo. E aggiunge: "Sarà una lunga marcia. Non abbiamo fretta. Con Questi golpisti comunque non ci vogliamo più avere niente a che fare. Prepariamoci al referendum confermativo per il Senato". Lavora di grafica pure il governatore lombardo Roberto Maroni, il quale posta su Twitter un fotomontaggio con i volti sovrapposti di Berlusconi e Renzi per attaccare "la strana coppia", rea di aver approvato una riforma che

"degrada regioni a prefetture di area vasta: sacrosanto no di Lega nord" scrive. E se a difendere il testo ci pensa Angelino Alfano, leader del Nuovo centrodestra, che stuzzica gli ex colleghi ("Grazie a noi Forza Italia si è rimessa in carreggiata"), proprio il partito di Berlusconi rivendica ora il ruolo e il peso determinante al Senato nel cammino della riforma. E dal "Mattinale" di Brunetta viene avanzata ancora una volta la proposta di collaborazione anche in campo economico a cominciare dall’autunno. Il premier Renzi non ha alcuna intenzione di accettare, mezzo Pd gli si rivolterebbe contro. Alcuni, come il senatore Corradino Mineo, danno già battaglia da tempo anche sulle riforme. L’ex direttore di Rainews anche in queste ore ha parlato dell’approvazione del testo al Senato come di un "problema di democrazia".

Da - http://www.repubblica.it/politica/


Titolo: CARMELO LOPAPA Svolta di Berlusconi: "In caso d'emergenza, ok alle larghe intese
Inserito da: Admin - Luglio 19, 2015, 06:08:38 pm
Svolta di Berlusconi: "In caso d'emergenza, ok alle larghe intese"
Se la Grecia uscisse dall'eurozona e ci fossero ricadute pesanti sull'Italia, sarebbe necessaria un'assunzione di responsabilità, dice l'ex premier.
Che è offeso con Palazzo Chigi perché ha sempre respinto aiuti sulla politica estera

Di CARMELO LOPAPA
13 luglio 2015

ROMA. «Io una mano d'aiuto a Renzi la do, ma solo se la situazione precipita, non certo per fare le riforme che vuole lui». Silvio Berlusconi dal ritiro di Arcore osserva quanto accade in queste ore tra Bruxelles ed Atene con un'interessata apprensione. Non prevede «nulla di buono» per l'Italia a trazione renziana, teme le ricadute di una Grexit ancora probabile sull'economia e le borse del nostro Paese, che tanto per cominciare colpirebbero le sue aziende. Così come segue con preoccupazione, racconta chi lo ha sentito, l'escalation delle minacce dell'Isis contro Roma, culminate con l'autobomba del Cairo contro il consolato italiano. «La mano d'aiuto che più volte abbiamo offerto al premier in politica estera non è mai stata presa in considerazione», si lamenta il Cavaliere. Il divorzio consensuale con Denis Verdini (pronto a sostenere il governo) è la conferma di quanto Forza Italia ormai vada in altra direzione. Ma solo uno scenario potrebbe invertire la rotta. «Se la situazione economica precipitasse o se ci fosse un attacco diretto contro l'Italia noi, con responsabilità, ancora una volta, potremmo dare il nostro contributo - è il ragionamento estremo di Berlusconi - Anche entrando in un governo di emergenza nazionale, se necessario». Ma con altrettanta schiettezza non nasconde il suo scetticismo sull'«umiltà di Renzi». Di quel famoso "tavolo" per gli affari esteri, offerto per affrontare nodi pesanti come l'esodo dalle coste libiche, in questi mesi il governo non ha avvertito alcuna esigenza. Figurarsi se il clima è di dialogo sui dossier interni, riforme in testa.

I mediatori che in questi tre giorni hanno cercato di convincere Denis Verdini a recedere dalla decisione ormai presa di abbandonare il partito e il leader hanno fallito. Il senatore toscano non ne vuole più sapere, l'amarezza per il rapporto logorato ha avuto la meglio su tutto. «Non ho altra scelta», è stata la risposta agli ultimi pontieri. Con una chiosa: «Spero un giorno Silvio ricordi chi gli riempì la piazza sotto casa domenica 4 agosto 2013, dopo la condanna Mediaset». I fedelissimi del toscano non fanno ormai mistero dell'imminente scissione dal gruppo al Senato. «La data spartiacque sarà il 31 luglio, il giorno in cui scade il termine per la presentazione degli emendamenti al testo delle riforme costituzionali», spiega il senatore Lucio Barani, uno dei dodici coinvolti nel progetto. E si sbilancia: «Al momento siamo a 15 adesioni».

Berlusconi - che non intende più muoversi da Arcore, salvo che per qualche puntata in Sardegna, ma deciso a tenersi lontano ormai da Roma - osserva i movimenti interni senza intervenire. Giovedì Raffaele Fitto consumerà lo strappo definitivo anche alla Camera coi suoi 14 in uscita. L'ex premier passa dalla reazione stizzita («Era ora che Verdini e Fitto facessero chiarezza e ci liberassero») a momenti di preoccupazione per il futuro. «Indietro non si torna e non ci sarà più alcuna riedizione del patto del Nazareno, questo è evidente a tutti», sottolinea la portavoce Deborah Bergamini. Il leader tiene la linea dura ma manda in avanscoperta altri per tenere aperto uno spiraglio. Il capogruppo al Senato Paolo Romani parla a più riprese col collega pd Luigi Zanda e riferisce al capo di «segnali buoni per ottenere modifiche alla riforma e anche all'Italicum». Non ha sortito altrettanti effetti, a quanto risulta, l'approccio tentato con Palazzo Chigi da Gianni Letta per un paio di questioni che lo interessavano personalmente. In assenza di Verdini i ponti sono saltati del tutto.

Il leader forzista è arrivato a una conclusione, anche alla luce dei 25 dissidenti sui quali Renzi non potrà più contare al Senato. «A settembre potremmo accettare di sedere al tavolo della riforma costituzionale solo a una condizione - è la confidenza rassegnata ai più fidati - se Matteo accettasse di rivedere l'Italicum, introducendo il premio alla coalizione anziché alla lista o quanto meno la possibilità di apparentamento tra il primo e il secondo turno». I portoni di Palazzo Chigi, per adesso, restano però sprangati. E non solo per Gianni Letta.

© Riproduzione riservata
13 luglio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/07/13/news/svolta_di_berlusconi_in_caso_d_emergenza_ok_alle_larghe_intese_-118948937/?ref=HREC1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Referendum riforme, mossa per spacchettare i quesiti
Inserito da: Arlecchino - Maggio 05, 2016, 12:30:54 pm
Referendum riforme, mossa per spacchettare i quesiti
Nel fronte del No crescono i favorevoli a votare per parti separate. Dai costituzionalisti ai parlamentari d'opposizione, alla parte più agguerrita della minoranza Pd. "Pronti a ricorrere alla consulta"

Di CARMELO LOPAPA
03 maggio 2016
   
ROMA - Spacchettare il quesito referendario di ottobre in quattro, cinque, sei distinti quesiti sulla riforma costituzionale. Obiettivo: "disinnescare" l'effetto plebiscito che il premier Renzi avrebbe generato collegando alla vittoria del "sì" la sua permanenza a Palazzo Chigi.

Una proposta assai concreta che tra i costituzionalisti sta prendendo campo, soprattutto una precisa strategia di attacco alla consultazione che le opposizioni stanno studiando nei minimi dettagli. Opposizioni in senso lato, perché con i Cinque stelle e la Sinistra italiana, in trincea si posiziona anche l'ala più agguerrita della sinistra Pd. "È quella la strada da percorrere, occorre abbassare la temperatura plebiscitaria che Renzi vuole alzare, altrimenti finiamo nel pieno della deriva berlusconiana - attacca il senatore Miguel Gotor - E siccome la Carta è di tutti è incivile imporre un quesito unico. Sì, stiamo valutando con Cuperlo la possibilità di chiedere quesiti separati. Di più: pensiamo che il premier debba consentire anche dentro il Pd la costituzione di comitati per il no".

Il M5s che si prende tutti i 90 giorni di tempo che la legge mette a disposizione e poi depositerà all'Ufficio centrale presso la Cassazione il suo "referendum per parti separate", come pure prevede la legge. E su questa battaglia chiederanno le firme anche alle altre forze di opposizione, Lega e Fi in testa. Hanno del resto quasi i numeri per farlo: basta un quinto dei parlamentari di Camera e Senato (in alternativa cinque consigli regionali o le firme di 500 mila elettori). "La dottrina è univoca nel sostenere che il cittadino debba pronunciarsi su quesiti omogenei, è un principio costituzionale oltre che una forma di rispetto della volontà popolare", argomenta Danilo Toninelli, tra i grillini il deputato che ha seguito più da vicino il cammino della riforma Renzi-Boschi. "Presenteremo i quesiti all'Ufficio in Cassazione, almeno uno per ciascun capitolo della riforma. Li sottoporremo ai partiti che come noi hanno votato contro". A quel punto si apre un'altra partita. "Siamo certi - continua Toninelli - che l'Ufficio solleverà il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale, investendo la Consulta della decisione finale". È un ulteriore possibile passaggio che renderebbe ancora più impervio il percorso: uno dei comitati promotori del referendum o lo stesso Ufficio centrale possono investire il supremo giudice costituzionale sulla opportunità che il quesito sia unico o meno.

Ieri Renzi ha lanciato i comitati per il Sì. Un sì ad una consultazione unica, ad oggi. Va detto che nel 2005, con la riforma costituzionale targata Berlusconi, poi bocciata proprio dal referendum, il quesito è stato unico e vincente, cancellando la riscrittura di ben 55 articoli. Stavolta sarebbero 40.
Referendum, Renzi: "State con l'Italia che dice sì al futuro, non solo alla riforma"
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Fulco Lanchester, ordinario di Diritto costituzionale alla Sapienza di Roma, è l'ideologo della campagna che i Radicali stanno portando avanti. Teorizza il principio di "discernimento". Invece che schierarsi per il no o per il sì secco "che viola la libertà di voto, è possibile seguire due strade alternative, o il referendum parziale oppure per parti separate". "Il referendum non è una guerra santa - ragiona il segretario radicale Riccardo Magi - Il nostro comitato "Per la libertà di voto" depositerà il referendum per parti separate e siamo certi che l'Ufficio centrale solleverà il conflitto di attribuzione alla Consulta. Se non lo farà, impugneremo noi alla Corte il decreto di convocazione del referendum".

Alessandro Pace, costituzionalista, presiede uno dei tre comitati per il "no", composto da numerosi giuristi. "Il referendum così com'è è una porcheria - dice senza mezzi termini - il contenuto è tutt'altro che omogeneo quando il quesito referendario sulle legge costituzionale dovrebbe esserlo. Io sono stato messo in minoranza nel mio comitato che dunque non depositerà quesiti separati, preferendo la via del "no", ma resto convinto che dal punto di vista giuridico sia la via preferibile".

Anche l'appello dei 56 costituzionalisti che si sono schierati contro la riforma con un documento, fa riferimento alla "mancanza di omogeneità" del quesito, primo firmatario il presidente emerito della Consulta, Valerio Onida. Assai scettico Ugo De Siervo, altro presidente emerito della Corte: "Secondo me, concettualmente sarebbe meglio il quesito omogeneo, ma dal punto di vista tecnico è una ipotesi poco praticabile". Pesa il precedente recente del 2005. Che poi è il motivo che induce il pragmatico Roberto Calderoli a deporre almeno questa arma. "L'articolo 138 della Costituzione parla chiaro, in teoria sarei d'accordo con quei costituzionalisti - spiega - ma ci sarà un motivo se dal '47 ad oggi lo spacchettamento non è stato mai fatto. E poi è già complicato comunicare per un referendum, figuriamoci per più di uno". Sulla stessa linea Fi. "Sarebbe un bizantinismo", obietta Francesco Paolo Sisto. Ma la partita è ancora aperta.

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03 maggio 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/05/03/news/riforme_referendum_spacchettamento_quesiti-138960231/?ref=HRER1-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Renzi: "Allucinante la decisione Unesco su Israele".
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 25, 2016, 05:46:04 pm
Renzi: "Allucinante la decisione Unesco su Israele". E convoca Gentiloni. Tel Aviv ringrazia
Il premier pronto a "rompere con l'Ue" sulle risoluzioni che penalizzano Gerusalemme, l'Italia si era astenuta: "Siamo andati in automatico, un errore"

Di CARMELO LOPAPA
21 ottobre 2016

ROMA. Il presidente del Consiglio si schiera contro la risoluzione dell'Unesco sui luoghi santi del Medio Oriente che penalizza Israele. Una presa di distanza netta, risoluta, senza precedenti. E la protesta italiana sarà formalizzata già nelle prossime ore, come annuncia lo stesso Matteo Renzi. Anche se la posizione del governo era stata più morbida, nei giorni scorsi in occasione della risoluzione il nostro esecutivo, attraverso la Farnesina, si era astenuto. "Una vicenda allucinante, ho chiesto al ministro Esteri di vederci subito al mio ritorno a Roma - spiega il primo ministro in collegamento telefonico con Rtl - E' incomprensibile, inaccettabile e sbagliato. Ho chiesto espressamente ieri ai nostri di smetterla con queste posizioni. Non si può continuare con queste mozioni finalizzate ad attaccare Israele. Se c'è da rompere su questo l'unità europea che si rompa". La risoluzione era passata con l'astensione dell'Italia, ma la linea adesso sarà ulteriormente irrigidita. Si vedrà con quali ricadute.

Intanto, si registra l'immediato riconoscimento e apprezzamento da parte del governo di Tel Aviv. "Ringraziamo e ci felicitiamo con il governo italiano per questa importante dichiarazione", dice il portavoce del ministero degli Esteri israeliano Emmanuel Nahshon. Si conclude il Consiglio europeo da lì a qualche ora e in conferenza stampa da Bruxelles il presidente del Consiglio torna sul caso. E precisa. "Non ho convocato il ministro, si convocano gli ambasciatori degli altri paesi, ho detto solo di aver parlato con il ministro degli Esteri". Quella italiana è stata una "posizione tradizionale nel senso che tutti gli anni va in automatico un voto di questo genere, non è la prima volta. Ecco, siamo andati in automatico, ce ne siamo accorti tardi. Ma questo non vuol dire che la posizione non vada cambiata, io almeno la penso così - ha continuato - Penso si debba ridiscutere e riflettere: non è certo colpa dell'ambasciatore", ma di linea politica "e su questo è stato fatto un errore". Perché "non si può negare quel che è l'origine, la storia di quella meraviglia, quello scrigno che è la città di Gerusalemme".

In Italia il caso accende subito una polemica politica, col centrodestra che accusa Palazzo Chigi. Giovedì, assai duro era stato il rabbino capo di Venezia, Scialom Bahbout: "I Paesi che si sono astenuti" dal voto sulla risoluzione Unesco "che nega la stretta relazione del popolo ebraico con Gerusalemme e il Monte del Tempio hanno collaborato a un atto terroristico che si propone di cancellare migliaia di anni di storia", ha tuonato. Il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, usa toni più moderati ma non rinuncia a manifestare il disagio: "Gli ebrei italiani sono sconcertati e feriti dal comportamento tenuto dalla rappresentanza diplomatica italiana all'Unesco" scrive in una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pubblicata sulla Stampa. Poi il centrodestra, dalla Lega a Fi e non solo. "Dov'era Renzi quando per due volte l'Italia si è astenuta in sede Unesco a distanza di giorni?" attacca Daniele Capezzone, deputato vicino a Fitto. E Maurizio Gasparri: "Renzi pagliaccio, non controlla nulla".

In cima all'agenda di Renzi resta tuttavia il referendum costituzionale del 4 dicembre. C'è il sostegno al Sì del Pse, ricorda. Subito dopo il Consiglio europeo il premier si sposta in Sicilia per una serie di comizi in favore del Sì. Mentre i sondaggi iniziano a segnare una prima inversione di tendenza proprio in favore della riforma. "I grandi professori hanno fatto ricorso e hanno perso anche al Tar del Lazio - ironizza a proposito della bocciatura del ricorso sul quesito - adesso per favore parliamo di merito". Perché la consultazione, torna a ripetere, "non è su di me, né sul governo". L'inquilino di Palazzo Chigi nega anche che ci sia stata una sua sovraesposizione mediatica in tv.

"Trovo più facilmente rappresentate le ragioni del No - aveva detto in radio in mattinata - Vado da Semprini e la settimana dopo a Politics è andato un deputato M5s, domenica sarò dalla Annunziata perchè la settimana prima c'era D'Alema e le trasmissioni sono iniziate con Di Maio e Di Battista. Facciamo una lista e vediamo chi partecipa a cosa". C'è un blocco "che dice sempre no" rimarca, e da Bruxelles elenca tutti gli ex premier che si sono iscritti appunto a quel fronte: "Berlusconi e D'Alema, Monti e De Mita fino a Dini". Oltre a "illustri personalità quali Gianfranco Fini e Cirino Pomicino". Come dire, il passato. Glissa sorridendo invece in radio sul sostegno dei Masai, a proposito della notizia dei giorni scorsi sulla quale tanto si era ironizzato sui social: "Non me la sento nemmeno io, che pure ho la faccia tosta, di dire che i Masai voteranno sì. A questo non arrivo. Mi autocontengo".

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21 ottobre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/10/21/news/renzi_allucinante_la_decisione_unesco_su_israele_linea_dura_con_bruxelles_la_manovra_non_si_tocca_-150257297/?ref=HRER3-1


Titolo: CARMELO LOPAPA Gentiloni offre a Cuperlo l'Istruzione: "No grazie"
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 12, 2016, 04:20:53 pm
Gentiloni offre a Cuperlo l'Istruzione: "No grazie"
L'ex presidente Pd declina l'invito a entrare nel governo.
Decisione presa anche per evitare che potesse apparire come una 'contropartita', se non una ricompensa, per il suo schieramento con il 'Sì' al referendum

Di CARMELO LOPAPA
11 dicembre 2016

ROMA - Il "no grazie" di Gianni Cuperlo è solo l'ultimo colpo di scena di una giornata che dopo l'incarico a Paolo Gentiloni scorre a tappe forzate verso la formazione del nuovo governo. Pochi, chirurgici interventi dovrebbero consentire al neo premier di chiudere la partita entro domani, per ottenere entro mercoledì la fiducia delle due Camere e presentarsi così giovedì al Consiglio europeo nel pieno dei suoi poteri.
 
L'esigenza - che è sua ma forse ancor più del segretario Matteo Renzi - è quella adesso di 'coprire' l'esecutivo a sinistra. Allargare le maglie del consenso e recuperare lo strappo apertosi con la minoranza dem nella lunga campagna referendaria. Ma il primo tentativo in questa direzione è fallito. L'offerta più clamorosa è stata avanzata a uno dei leader della sinistra interna, quel Gianni Cuperlo che nelle ultime settimane che hanno preceduto il voto del 4 dicembre si era orientato per il Sì.
 
Ebbene, a lui è stato proposto l'ingresso nel governo Gentiloni con la delega alla Pubblica istruzione. A conferma del fatto che Stefania Giannini non sarà riconfermata al suo posto. Ma l'ex presidente pd ha detto no, non solo a quel dicastero, ma anche a un coinvolgimento diretto che potesse apparire come una "contropartita" se non una ricompensa per la scelta referendaria che invece "era solo politica".
 
La segreteria Renzi tuttavia non si fermerà qui. La trama a sinistra continuerà a essere tessuta in queste ore, si parla adesso con insistenza di un'analoga offerta alla minoranza per un altro ministero chiave, quello del Lavoro che Poletti potrebbe lasciare. Il cantiere resta aperto.

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11 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/11/news/cuperlo_dice_no_a_ingresso_in_governo_gentiloni-153889045/?ref=HREA-1


Titolo: CARMELO LOPAPA E Berlusconi lancia l'Assemblea costituente dei cento.
Inserito da: Arlecchino - Dicembre 21, 2016, 06:46:59 pm
E Berlusconi lancia l'Assemblea costituente dei cento. "Ma solo dopo il voto col proporzionale"
Il leader ai parlamentari forzisti: voteremo i provvedimenti positivi di Gentiloni. Primo sì sulla mozione Mps e banche.
Salvini vede in quella disponibilità "l'inciucio", per trattare le modifiche dell'Italicum e allungare i tempi per andare al voto

Di CARMELO LOPAPA
21 dicembre 2016

ROMA - Vada per l'Assemblea costituente dei cento, cinquanta politici, cinquanta esperti. Purché si stia tutti insieme. E Forza Italia torni in gioco, da protagonista. "Speravano di essersi liberati di me, invece eccomi ancora qui". Silvio Berlusconi è vulcanico, assai conciliante col governo appena insediato, risoluto solo su un punto: legge elettorale proporzionale, niente maggioritario.

Sala Koch di Palazzo Madama, tutti i gruppi parlamentari forzisti (anche quello europeo) sono convocati al cospetto del capo per fare il punto di fine anno. E dettare le condizioni per trattare la modifica dell'Italicum: "Il Mattarellum era un sistema che funzionava in un'Italia bipolare, il Paese è diventato almeno tripolare" e quindi "non è pensabile un premio di maggioranza, il proporzionale è un discorso serio. Ho sentito qualcuno parlare di un'assemblea costituente. Io sono favorevole, ma è importante che le forze politiche facciano una serie di incontri per una soluzione condivisa" mette in chiaro il Cavaliere. "La prossima legislatura deve essere costituente - aggiunge - e l'assemblea potrebbe essere composta da cinquanta politici e cinquanta esperti, in carica per quattro mesi".

Un segno concreto della mano d'aiuto che il partito intende dare al governo Gentiloni lo si è avuto già nelle ore precedenti, allorché Forza Italia ha votato alla Camera a favore della mozione di maggioranza che autorizza il governo a ricorrere a un debito fino a 20 miliardi di euro per interventi a sostegno di Mps e del sistema bancario. "Perché adesso c'è discontinuità con Renzi", spiega Renato Brunetta.

Il leader del partito parla più in generale di quel che sarà la sua "opposizione responsabile". Ovvero? "Quando la sinistra presenta un provvedimento in Parlamento, lo esaminiamo: se è positivo, noi come opposizione lo votiamo, al contrario di quello che ha fatto la sinistra con noi, scegliendo il tanto peggio tanto meglio". Del resto, anche al ricevimento natalizio al Quirinale il Cavaliere è stato molto chiaro: non si deve tornare presto al voto. E' vitale per la sopravvivenza di Forza Italia, che si gioca una partita tutta interna al centrodestra con Salvini e la Lega per la leadership. Ecco, appunto, le primarie, tanto care al capo del Carroccio. Berlusconi ancora una volta le stronca: "Ci vuole una legge che le regolamenti, deve votare chi ha un tesserino, bisogna poi vedere quale sarà la legge elettorale, se prevede subito l'espressione del candidato premier e bisogna poi vedere quali saranno le coalizioni". Insomma, l'ennesima bocciatura. Altro che consultazioni a febbraio o a marzo, come sognano Salvini e Meloni.
E Berlusconi lancia l'Assemblea costituente dei cento. "Ma solo dopo il voto col proporzionale"

L'intervento davanti ai gruppi si risolve, come di consueto in questi casi, soprattutto in un comizio. Tutto giocato in chiave anti Renzi. Berlusconi non ha gradito affatto la telefonata tra l'ex premier e Salvini per trovare un'intesa sul Mattarellum. Scavalcando appunto Fi e scegliendo il meccanismo che più penalizza il suo partito. E allora, eccole le bordate contro il segretario Pd. "Le ricette di Renzi in mille giorni di governo si sono rivelate fallimentari", "da quando non governiamo un milione di poveri in più", "il Jobs Act un costoso fallimento", "Renzi viene dalla sinistra Dc". Fino agli evergreen del repertorio berlusconiano: "In 25 anni, cinque colpi di Stato", "siamo al 13 per cento ma arriveremo al 23", "Putin è l'unico leader, bisogna collaborare con lui", "ho tentato invano di fermare la deriva delle primavere arabe".

Ma in queste ore concitate per l'impero di Cologno Monzese, stretto dall'assedio di Vivendi che ha portato al 26 per cento la sua partecipazione in Mediaset, è inevitabile per il Cavaliere quanto meno accennare alle sorti del suo impero. E lo fa con una sortita che è un bluff: "Io non mi sono mai occupato di queste cose, lascio che di Mediaset se ne occupino i miei figli che sono capaci di tutelare la sua italianità".
E Berlusconi lancia l'Assemblea costituente dei cento. "Ma solo dopo il voto col proporzionale"

Berlusconi non ha terminato di parlare che Matteo Salvini, anche lui in Senato ma in un'altra sala per una conferenza stampa, lo attacca, lo accusa di "inciuciare" col governo. "Alla Camera e al Senato abbiamo assistito al grande inciucio che qualcuno sta preparando, a partire dalla banche". Quanto sta avvenendo è a suo modo di vedere "un insulto ai 32 milioni di elettori del 4 dicembre, che chiedono linearità". L'accusato è appunto il leader forzista, senza tanti giri di parole: "Chissà - ironizza sferzante Salvini - forse è nervoso per la scalata Mediaset, o perché il Milan non è arrivato a Doha per la Supercoppa italiana. Diamogli queste due attenuanti generiche". Ma da gennaio sarà battaglia aperta tra i due. Anzi, è già cominciata.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/21/news/e_berlusconi_lancia_l_assemblea_costituente_ma_solo_dopo_il_voto_col_proporzionale_-154584871/?ref=HREC1-5


Titolo: CARMELO LOPAPA. Martina: "Reddito ai più poveri, pronti a fare un decreto"
Inserito da: Arlecchino - Gennaio 06, 2017, 02:48:10 pm
Martina: "Reddito ai più poveri, pronti a fare un decreto"
Il ministro dell'Agricoltura in campo per l'assegno di "inclusione" alle famiglie sotto i 3 mila euro. "C'è un miliardo, va sbloccato in poche settimane"

Di CARMELO LOPAPA
03 gennaio 2017
 
ROMA. Tempi stretti per il "reddito di inclusione". A beneficiarne, una buona fetta del milione 600 mila famiglie italiane che l'Istat ha certificato come nuovi poveri. Per loro, un aiuto mensile fino a 400 euro. Esiste già un budget per quel che si preannuncia (quando sarà approvato) come il provvedimento più popolare del governo Gentiloni. A spingere la misura è soprattutto il ministro pd delle Politiche agricole, Maurizio Martina, che non esclude il ricorso al decreto d'urgenza: "Per me è lo strumento migliore per renderla operativa nel giro di poche settimane".

Sarà la priorità di questo inizio 2017?
"Noi dobbiamo rispondere all'appello lanciato giorni fa da "Alleanza contro la povertà", l'associazione che raggruppa 35 organizzazioni con cui abbiamo lavorato in questi anni. Dobbiamo concretizzare in tempi rapidi il reddito di inclusione per svoltare con gli strumenti di contrasto alla povertà, in sostegno di famiglie e persone in grave difficoltà economiche. Un gran lavoro è stato fatto dal governo Renzi: con la legge di stabilità 2016 abbiamo definito un fondo da 1 miliardo 150 milioni. Adesso quel lavoro deve dare i suoi frutti".

A quale platea è destinato?
"I dati Istat ci dicono che un milione e 600 mila famiglie, ovvero 4,5 milioni di persone hanno varcato la soglia della povertà assoluta, un minore su tre è a rischio. Ecco, loro devono essere la priorità. Parliamo di famiglie con reddito Isee sotto i tremila euro".

Di cosa si tratta? Un assegno mensile o cosa?
"Si tratterà di un sostegno finanziario non assistenziale, che dovrà rispettare determinati criteri e che coinvolgerà nella prima fase famiglie con minori. Per ampliare poi il bacino con l'aumento delle risorse. In questi anni la sperimentazione del Sia (Sostegno per l'inclusione attiva) è stato un passo importante in alcune città".

Lo sa che vi accuseranno di orchestrare la più grande mancia preelettorale, vero?
"Non scherziamo. È un provvedimento atteso da parecchio tempo. Per la prima volta abbiamo risorse strutturali per finanziare un intervento come questo, siamo l'unico Paese in Europa a non avere uno strumento di contrasto universale alla povertà. Si colma piuttosto una lacuna. Io rivendico il lavoro fatto dal governo Renzi in questo senso. La legge delega votata alla Camera nel luglio scorso è oggi al Senato. Occorre fare presto".

La relatrice, Annamaria Parente (Pd), propone un disegno di legge.
"Sono d'accordo sulla necessità che si faccia presto. Personalmente sono per un provvedimento di urgenza, proporrò che si prenda in considerazione il ricorso al decreto".

Piacerà a sinistra. Faciliterà il dialogo con il nuovo soggetto al quale lavora Pisapia?
"Non da oggi sostengo che noi dobbiamo riorganizzare il campo del centrosinistra. E penso che il Pd giochi ovviamente un ruolo fondamentale e debba aprire una stagione nuova. Il tentativo che Pisapia, Zedda e altri stanno portando avanti è importante. Dobbiamo combattere la sindrome divisiva che troppe volte ha fatto male alla sinistra, con un nuovo progetto, per contrastare le derive populiste".

Dovete trovare intanto una legge elettorale che vi consenta di farlo.
"Credo che questo bisogno di riorganizzare si debba perseguire prima ancora della legge elettorale. Io sono assolutamente favorevole al rilancio del Mattarellum che il mio partito sta portando avanti, coinvolgendo le forze che ci staranno. Anche prima del pronunciamento della Consulta. Non vorrei rinunciassimo a una certa idea di democrazia dell'alternanza".

Lei parla di misure che non sembrano da governo "primaverile", cioè destinato secondo tanti nel Pd soltanto a portare al voto entro giugno.
"La legislatura volge al termine, dopo il 4 dicembre. Iniziative come il reddito di inclusione o altre misure sociali possono essere approvate nel giro di poche settimane. Io mi rifaccio alle valutazioni di Gentiloni a fine anno: la stabilità di un Paese non può rendere prigioniera la democrazia, le elezioni non sono una minaccia".

Ancora con Renzi leader e candidato premier?
"Per me lui è la risorsa fondamentale per questo partito".

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03 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/03/news/martina_reddito_ai_piu_poveri_pronti_a_fare_un_decreto_-155310123/?ref=HREC1-4


Titolo: CARMELO LO PAPA. Orfini reggerà il Pd fino al congresso.
Inserito da: Arlecchino - Febbraio 17, 2017, 12:14:20 am
Orfini reggerà il Pd fino al congresso.
Vertice notturno dei big al Nazareno per evitare la scissione con la minoranza.
Renzi: "Non andatevene, ma venite"
Il segretario passa la guida "pro tempore" al presidente.
Franceschini, Lotti e Boschi si incontrano per aprire alla sinistra prima dello showdown di domenica.
Speranza, Rossi e Emiliano: "Ormai è il Partito di Renzi"

Di Carmelo Lo Papa
15 febbraio 2017

ROMA. Matteo Renzi apre alla minoranza, in un tentativo estremo di ricucitura prima che lo strappo sia irreparabile. "Il verbo del congresso non è andatevene, ma venite - scrive nella sua Enews settimanale - non sarà scontro sulle poltrone ma confronto delle idee. Una scissione sulla data del congresso sarebbe incomprensibile. Inspiegabile far parte di un partito che si chiama democratico e aver paura della democrazia. Il dibattito interno non interessa i cittadini. Si riparte, ci si rimette in cammino, c'è bisogno di tutti". Tanto per cominciare, non sarà il segretario reggente del Pd in vista del congresso di aprile (o maggio), dall'assemblea di domenica passerà il testimone al presidente Matteo Orfini.

Ma a stretto giro arriva la doccia gelata da Enrico Rossi, Michele Emiliano e Roberto Speranza, i tre candidati alternativi in rotta col leader. In una nota congiunta, con cui si danno appuntamento in un teatro romano sabato sera a Roma, alla vigilia dell'Assemblea, sostengono che la  direzione "ha sancito la trasformazione del Partito democratico nel Partito di Renzi, un partito personale e leaderistico che stravolge l'impianto identitario del Pd e il suo pluralismo" e che le loro richieste "sono rimaste inascoltate".

E a poco sembra valere l'annuncio dell'ex premier di una sorta di passo di lato. Di primo mattino, la segreteria di Largo del Nazareno si affretta a precisare che non ci sarà alcuna "reggenza" del capo uscente. Renzi nel fine settimana lascerà la poltrona più alta del Pd come aveva fatto il 4 dicembre con quella di presidente del Consiglio. In entrambi i casi con l'obiettivo di tornarvi presto, comunque passando ad altri la gestione "temporanea". Per il Pd toccherà al presidente Matteo Orfini, comunque fedelissimo del leader.   
Orfini reggerà il Pd fino al congresso. Vertice notturno dei big al Nazareno per evitare la scissione con la minoranza. Renzi: "Non andatevene, ma venite"

Ed è questo un primo segnale di disponibilità inviato alla minoranza interna. La partita con Bersani, Speranza e gli altri non è chiusa. Renzi non la considera chiusa nonostante i messaggi recapitati dicano l'esatto contrario. Sta cercando di salvare il salvabile. Non a caso, la notte scorsa, i big della maggioranza dem si sono incontrati nella sede del Nazareno per esaminare tutte le strade di una possibile apertura alla sinistra e scongiurare così la scissione che sembra ormai a un passo.  Riunione terminata alle ore piccole, alla presenza dello stesso Renzi, del ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, dello Sport Luca Lotti e della sottosegretaria alla Presidenza, Maria Elena Boschi. Ancora ieri Roberto Speranza aveva detto di attendersi un "segnale" dai renziani.
Orfini reggerà il Pd fino al congresso. Vertice notturno dei big al Nazareno per evitare la scissione con la minoranza. Renzi: "Non andatevene, ma venite"

E la segreteria a quel segnale sta lavorando e continuerà a farlo anche oggi. Qualcosa che vada oltre lo slittamento delle primarie di un paio di settimane, magari alla prima domenica di maggio, come pure ventilato. Non basta quello. Nelle prossime ore anche la corrente dei "Giovani turchi" farà il punto al suo interno, con un incontro al quale assieme a Orfini è prevista la presenza del ministro Andrea Orlando, che nella direzione di lunedì si era espresso contro il congresso anticipato e si era astenuto al voto sulla mozione di maggioranza. Lo stesso presidente pd con un post su Facebook stempera i toni su un altro tema che sta a cuore alla minoranza: la durata dell'esecutivo. "Il governo Gentiloni, come quello Renzi, rischia di indebolirsi proprio a causa delle fibrillazioni da congresso permanente del Pd. Se sciogliamo i nodi, invece, il governo sarà più forte" è il messaggio messo nero su bianco e indirizzato neanche tanto implicitamente a Bersani e alla minoranza. Punto sul quale si esprime lo stesso Renzi, nella Enews: "Sulla durata del governo non decido io: decide il premier, i suoi ministri, la sua maggioranza parlamentare e vediamo se almeno su questo possiamo finalmente smettere di discutere".

Mentre il ministro Graziano Delrio, renziano, intervistato da Rtl sulla possibilità che possa candidarsi anche lui alla guida del Pd se Renzi decidesse di rinunciare, esclude l'eventualità: "Io sto continuando a insistere perchè lui continui a proporsi - spiega - e credo di avere successo in questa mia impresa". Anche da pare sua toni concilianti e inviti alla riflessione: "Non è vero che la scissione sarebbe in atto, separarci sarebbe una tragedia". Un coro, ormai, dal fronte renziano, in queste ore in cui i rapporti con la minoranza tengono banco nel tentativo di scongiurare lo schianto finale. Sabato sera all'iniziativa organizzata a Roma da Enrico Rossi sono stati chiamati a raccolta gli esponenti di spicco della sinistra, da Bersani a D'Alema, oltre a Emiliano e Speranza. "Dopo la rottamazione c'è la sepoltura, se Renzi vuole una sua Dc noi non ci stiamo", dice il governatore toscano. Faranno il punto a poche ore dall'Assemblea. I giochi a quel punto saranno chiusi e se falliranno le ultime trattative l'intera area di minoranza potrebbe decidere il forfait all'appuntamento clou dell'indomani. Renzi al congresso va comunque e annuncia fin d'ora una kermesse in sostegno della sua mozione, dal 10 al 12 marzo, al Lingotto di Torino. Dove la storia del Pd è cominciata.

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15 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/15/news/orfini_reggera_il_pd_fino_al_congresso_vertice_notturno_dei_big_al_nazareno_per_trattare_con_la_minoranza_ed_evitare_la_sci-158347877/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_15-02-2017


Titolo: CARMELO LOPAPA - Bufera su Grillo: "Io rispondo solo dei miei post".
Inserito da: Arlecchino - Marzo 16, 2017, 12:25:58 pm
Bufera su Grillo: "Io rispondo solo dei miei post".
L'esperto: "Sistema nasconde la titolarità del blog"
La titolarità distinta dalla responsabilità, uno sconosciuto modenese effettivo proprietario, il ruolo della Casaleggio Associati e dell'Associazione Rousseau.
Il gioco di "schermi" visto dall'esperto di diritto delle nuove tecnologie Guido Scorza


Di CARMELO LOPAPA
15 marzo 2017

ROMA – Beppe Grillo gioca a nascondino. E non da ora. Almeno dal 2012 tutte le denunce per calunnia e le querele per diffamazione rimbalzano contro un sistema di scatole cinesi destinate a creare confusione, nella migliore delle ipotesi. A schermare l’effettiva titolarità del Blog, a voler pensare male. Sta di fatto che individuare la reale titolarità della pagina web tra le più cliccate e politicamente attive d’Italia è un po’ come «andare alla ricerca del Sacro Graal», per dirla con l’avvocato Guido Scorza, uno dei massimi esperti di diritto delle nuove tecnologie, sulla scia della vicenda portata alla luce dal tesoriere Pd Francesco Bonifazi con la querela seguita alle pesanti accuse rivolte al partito per la vicenda petrolio e ministro Guidi di un anno fa. Col conseguente muro opposto dal capo dei Cinque Stelle e dai suoi avvocati che hanno "contestato la riconducibilità ad esso del blog", come si legge nella loro difesa.

Grillo, attraverso la stessa pagina, in queste ore si difende: "Il Blog beppegrillo.it è una comunità online di lettori, scrittori e attivisti a cui io ho dato vita e che ospita sia i miei interventi sia quelli di altre persone che gratuitamente offrono contributi. Il pezzo oggetto della querela del Pd - scrive - era un post non firmato, perciò non direttamente riconducibile al sottoscritto. I post di cui io sono direttamente responsabile sono quelli, come questo, che riportano la mia firma in calce". Dunque per il leader "nessuno scandalo, nessuna novità. Se non il rosicamento del Pd per aver per il momento perso la causa, cosa che Bonifazi ha scordato di dire. Nessuna diffamazione. Nessun insulto. Semplice informazione libera in rete. Maalox?" Da sinistra a destra lo prendono di mira. "Quindi chi decide? Ridicoli e inquietanti", attacca il presidente Pd Matteo Orfini su Twitter, "vigliacco e bugiardo", rincara Bonifazi. "Beppe Grillo non esiste, verrebbe da dire, ormai siamo al trash", dice Stefano Maullu di Fi.


Il blog come fosse una community, dunque, in cui lui il capo dirige soltanto il traffico. Ma è realmente così? La vicenda è solo l’ultima. E quella che a differenza di altre è emersa dall’anonimato. Primo indizio. Il registro nazionale dei nomi a dominio ("Whois") dice che il dominio non fa capo in effetti al comico. «E' almeno dal 2012 che la contraddizione è esplosa», racconta l’avvocato Scorza. «Cinque anni fa, un analogo processo si è tenuto a Modena perché è emerso che il sito è intestato allo sconosciuto signor Emanuele Bottaro, residente a Modena, almeno stando a whois.net». In quell’occasione, guarda caso, a difendere davanti ai giudici il signor Bottaro è stato l’avvocato del foro di Genova Enrico Grillo, cugino del più noto Giuseppe.
 
Il secondo indizio porta al titolare dei diritti d’autore della pagina “Beppegrillo.it”. Ebbene il soggetto che imputa a sé quei diritti è la Casaleggio Associati. «Una eventuale azione risarcitoria non investe necessariamente il titolare di quei diritti, ovvero dei credits, come si dice in gergo – spiega Scorza – Ma a è pur vero che il titolare dei credits sta al blog come l’editore a un giornale". Ecco il secondo passaggio. Non è detto che il gestore dei diritti d'autore debba rispondere di tutti i contenuti pubblicati on line sul sito.
 
Terza scatola. Quella che porta alla policy privacy. Basta cliccare sull’omonimo link della pagina del leader Cinque Stelle per scoprire chi sia il “titolare del trattamento” del blog, il deus ex machina, diremmo: è lui. Ma quella titolarità Grillo la delega in qualche modo, anche qui, a Davide e alla società ereditata dal padre. "Titolare del trattamento ai sensi della normativa vigente è Beppe Grillo - si legge sul blog - mentre il responsabile del trattamento dei dati è Casaleggio Associati srl, con sede in Milano, Via Morone n.6". Come se non bastasse, entra in gioco un terzo soggetto: l’Associazione Rousseau. Chiamata in causa con una contorsione anche grammaticalmente complicata, forse non a caso. «I dati acquisiti – si legge infatti - verranno condivisi con il "Blog delle Stelle" e, dunque, comunicati alla Associazione Rousseau, con sede in Milano, Via G. Morone n.6 che ne è titolare e ne cura i contenuti la quale, in persona del suo Presidente pro-tempore, assume la veste di titolare del trattamento per quanto concerne l'impiego dei dati stessi".
 
Un labirinto, insomma, all’interno del quale anche i più esperti fanno fatica a districarsi. "Questo della policy privacy è un altro elemento che non fa chiarezza ma aggiunge confusione perché in genere il titolare del trattamento dei dati personali è anche il gestore del sito internet", spiega l’avvocato Scorza. "Per altro quest’ultimo passaggio supporta la tesi secondo cui in un modo o in un altro il gestore del sito internet sia proprio Beppe Grillo. Più che di scatole cinesi, una dentro l’altra, in questo caso sembra piuttosto che le scatole siano state poste una accanto all’altra quasi a creare un labirinto, appunto».
 
Non appena è esploso il caso, il deputato renziano del Pd Ernesto Carbone ha pubblicato via Twitter uno stralcio del documento con cui Beppe Grillo, dopo fughe, strappi e polemiche interne aveva rivendicato la sua esclusiva potestà del sito, pur concedendo una pagina interna al Movimento. «Giuseppe Grillo, in qualità di titolare effettivo del blog raggiungibile dall’indirizzo www.beppegrillo.it, nonché di titolare esclusivo del contrassegno di cui sopra, mette a disposizione della costituita Associazione la pagina del blog www.beppegrillo.it/movimento5stelle. Spettano dunque al Signor Giuseppe Grillo titolarità, gestione e tutela del contrassegno, titolarità e gestione della pagina de blog».
 
Sembrerebbe la rivendicazione autografata dal diretto interessato. I suoi avvocati, di fronte all’ennesima querela però, dicono ora che non è. Sarà un giudice – una volta per tutte - a scoprire e rivelare chi si nasconda realmente dietro le scatole. 

© Riproduzione riservata 15 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/15/news/quel_sistema_di_scatole_cinesi_che_nasconde_la_titolarita_del_blog_di_grillo_sembra_costruito_per_proteggerlo_in_giudizio_-160594877/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1


Titolo: CARMELO LOPAPA Di Maio e il "40% di criminali romeni importati in Italia".
Inserito da: Arlecchino - Aprile 13, 2017, 06:14:14 pm
Di Maio e il "40% di criminali romeni importati in Italia".
La rivolta via web, la protesta di ambasciata e associazioni
Monta sui social la contestazione dei cittadini del Paese dell'Est per l'uscita su Facebook.
Sono più di un milione quelli stabilmente residenti. "Vergogna", "Lavoriamo e paghiamo le tasse"

Di CARMELO LOPAPA
12 aprile 2017

ROMA – Rischia di passare agli annali come l’ennesima gaffe via social dell’aspirante premier Luigi Di Maio. Sulla scia del "venezuelano Pinochet", della "lobby dei malati di cancro" e dei sociologi confusi con psicologi. Di certo, il post sull’Italia che ha «importato il 40 per cento dei criminali romeni», oltre ad aver provocato la reazione risentita dell’ambasciata in Italia, si è trasformato in un caso ed è stato coperto da una montagna di commenti indignati, da parte di cittadini residenti in Italia da parecchi anni e non solo da loro. Il fiume di protesta non si ferma.
 
Un incidente che investe una delle comunità maggiormente presenti nella Penisola. Stando agli ultimi dati disponibili e risalenti al 2014, sono 1 milione 131mila i romeni residenti, pari al 22,6 per cento del totale degli stranieri. Quasi uno su quattro. E si tratta – va ricordato – di cittadini a tutti gli effetti europei. «Mentre la Romania sta importando dall’Italia le nostre imprese, i nostri capitali, l’Italia ha importato dalla Romania il 40 per cento dei loro criminali» è la considerazione postata sulla pagina Facebook dal vicepresidente della Camera targato Cinque Stelle.
 
«Caro Luigi, non è proprio così. Trova invece la percentuale di quanti romeni onesti lavorano nel vostro Paese, inclusa me che sono anche cittadina italiana», gli replica Angelica Visan, pur elettrice convinta dei grillini. Ma è solo una delle voci di protesta che si levano e crescono di ora in ora da giorni contro Di Maio sul web. «Lo Stato italiano non ha importato un bel niente e quest’affermazione è volutamente denigratoria e offensiva nei confronti dei tanti lavoratori romeni onesti stabilmente residenti – scrive Cludiu Ioan Fronea – Il fatto semmai è la crisi della giustizia italiana che perdura da prima dell’entrata della Romania in Europa. Che vergogna».
Romeni ma non solo nel coro di indignazione. «Con questa espressione disgustosa, signor Di Maio, conferma di essere uno che dice tanto di essere contro il sistema ma che in realtà in quel sistema ci sguazza, alla ricerca di briciole elettorali», è la critica di Enrico Garello. E sulla stessa scia perfino simpatizzanti e attivisti. Molti di loro (italiani) scrivono per sostenere e plaudire alla teoria del pupillo di Beppe Grillo. Altri no: «Sono stato attivista e anche conosciuto sul territorio, ma un’affermazione così qualunquista è davvero la tua?» chiede Antonio Di. Un imprenditore che rivela: «Ho 15 romeni che lavorano per me, fanno lavori che nessun italiano vuol fare (e siamo a Napoli), tutti grandi e onesti lavoratori e poi se non ci fossero loro la metà degli italiani che vivono in famiglia sarebbero chiusi in ospizi».
 
C’è chi perde le staffe («Vai a vederti le statistiche vere, ho pubblicato già due studi universitari su questo argomento, se solo fossi passato almeno una volta per l’Università, caro Luigi» sostiene Alina Harja) e chi si dice «orgogliosa di essere romena», come Maria Alexandrina Dascalu: «Paghiamo le tasse come tutti gli italiani, portiamo i nostri figli nelle scuole italiane e non chiediamo privilegi».
 
Singoli cittadini del paese dell’Est che si sentono oltraggiati ma anche le associazioni che rappresentano la vasta comunità.

«Di Maio è un ignorante, è vero che ci sono i delinquenti – sostiene Romolus Popescu dell’Associazione romeni in Italia, citato dalla Stampa – ma quante badanti e infermiere curano i vecchi italiani. Si informi prima di aprire bocca».

© Riproduzione riservata 12 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/12/news/di_maio_e_il_40_di_criminali_rumeni_importanti_in_italia_la_rivolta_via_web_la_protesta_di_ambasciata_e_associazioni-162799786/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1


Titolo: CARMELO LOPAPA - Gentiloni vola da Trump, spese militari e Libia i temi caldi
Inserito da: Arlecchino - Aprile 21, 2017, 11:56:14 pm
Gentiloni vola da Trump, spese militari e Libia i temi caldi 
Domani il premier in visita di Stato alla Casa Bianca. Dopo mesi di gelo per l'endorsement di Renzi a Hillary, riparte il confronto. Gli Usa chiedono di portare al 2% del Pil gli investimenti per la difesa, l'Italia mette sul tappeto la questione migranti

Dal nostro inviato CARMELO LOPAPA
19 aprile 2017

WASHINGTON – Paolo Gentiloni entra alla Casa Bianca tre mesi abbondanti dopo l’insediamento di Donald Trump, preceduto da Theresa May, Angela Merkel e altri capi di Stato e di governo. La prima telefonata di saluto tra i due risale ai primi di febbraio. Ma è un faccia a faccia che – fanno notare i diplomatici – avrebbe potuto benissimo non essere concesso affatto, dato che tra poco più di un mese il presidente americano sarà a Taormina per il G7, con il premier italiano padrone di casa.

Ma a confermare la solidità del rapporto con l’alleato d’Oltreoceano il governo di Roma tiene non poco, parecchio ci ha lavorato l’ambasciatore negli Usa Armando Varricchio. E per Washington sono tanti e troppo caldi i dossier che coinvolgono su più fronti il nostro Paese per evitare un faccia a faccia. La guerra all’Isis in primo luogo. E faccia a faccia sarà, dunque, nel pomeriggio (sera italiana) di giovedì.

Perché è vero che il governo italiano in campagna elettorale si era sbilanciato, forse più dei partner europei, in favore di Hillary Clinton, ma Gentiloni non è Matteo Renzi, alla premiership italiana c’è stato un avvicendamento e – nonostante i tratti di ovvia continuità - questo elemento alla fine sembra che abbia facilitato l’apertura delle porte della White House.

Incontro nel corso del quale il presidente del Consiglio italiano ricorderà il contributo che il nostro Paese sta fornendo in termini di sicurezza, logistica militare e cooperazioni in territori chiave come quello afgano, in Iraq, in Kosovo, in Libia, in Libano. Quello che Gentiloni definisce “il nostro contributo alla sicurezza collettiva”, cioè internazionale, che magari non prevede l’impiego di uomini in prima linea nei conflitti ancora aperti, ma di certo ha una ricaduta immediata e diretta. Basterà?

Bastava di certo a Barack Obama, forse non del tutto al suo successore alla Casa Bianca. Trump ricorderà a Gentiloni quel che ha sottolineato già agli altri paesi alleati e nel corso del recente incontro col segretario generale della Nato: occorre portare al 2 per cento dei rispettivi Pil le spese destinate alla difesa. Un impegno che – conti alla mano – Palazzo Chigi non è in grado di sostenere: nel 2017 si spenderanno già 23,4 miliardi di euro, con investimenti cresciuti nell’ultimo decennio dall’1,2 all’1,4 per cento sul Pil. E raddoppiare o quasi, in tempi di magra, non sarebbe possibile pur volendo.

Stesso motivo per il quale non è pensabile un impegno diverso delle truppe italiane in Iraq, che già presidiano, controllano e mantengono la sicurezza nell’area strategica della diga di Mosul. Ma non è detto che il presidente americano chieda di più. Sarà accolta, ma questo era già scontato, la richiesta dell’Amministrazione americana di confermare la presenza dei nostri militari in Afghanistan, soprattutto con funzioni di addestramento. Insomma, il “contributo alla sicurezza collettiva” l’Italia continuerà a darlo, questa la linea che ribadirà Gentiloni. Sempre finché le risorse e la politica del “dialogo” tutta italiana lo consentiranno.

Altra storia il dossier Libia. Roma sta sostenendo il governo di Fayez Al Sarraj, nella speranza (finora vana) di un ritorno alla stabilità in un Paese strategico per gli investimenti energetici italiani. Ma soprattutto per la gestione dei flussi migratori, tornati fuori controllo. Ecco il tallone d’Achille vero, per il quale il governo italiano vorrebbe un qualche contributo americano.
Ma finora non è nemmeno del tutto conclamato il sostegno di Washington al governo di Tripoli. Bisognerà fare chiarezza. Su questo come su tanto altro.

Venerdì Gentiloni volerà poi a Ottawa per incontrare il primo ministro canadese Justin Trudeau.

© Riproduzione riservata 19 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/19/news/gentiloni_vola_da_trump_spese_militari_e_libia_i_temi_caldi-163343983/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-T1


Titolo: CARMELO LOPAPA. Voto anticipato e proporzionale, tutti i "padri nobili" contro R
Inserito da: Arlecchino - Giugno 08, 2017, 11:10:09 am
Voto anticipato e proporzionale, tutti i "padri nobili" contro Renzi.
Ma il segretario: avanti comunque
Da Napolitano a Prodi e Veltroni, lo schieramento dei fondatori di Ulivo e Pd che boccia il ricorso alle elezioni in autunno e il "tedesco": "Così si torna con Berlusconi"
Il timore dem di un loro strappo alle politiche in favore di Pisapia

Di CARMELO LOPAPA
07 giugno 2017

ROMA - Si sono schierati uno dopo l'altro. Ora sono tutti di là, sul fronte opposto a Matteo Renzi. Sul ritorno al proporzionale e soprattutto sul ricorso anticipato alle urne e infine sul patto col "diavolo", l'intesa con Silvio Berlusconi magari da suggellare dopo il voto con un governissimo. Sta di fatto che nel giro di pochi giorni, come se avessero risposto a un appello, tutti i padri fondatori o comunque "nobili" del Partito democratico hanno preso le distanze dalla linea del segretario tonato alla guida del partito. Qualcuno con toni pacati, altri con fragorosi strappi. L'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano è solo l'ultimo della serie. Ma l'elenco comprende ormai tutti i big di quel che è stato l'Ulivo, ma anche l'esordio del Pd, da Prodi a Veltroni, passando per Parisi, Letta, Bindi.

Matteo Renzi sembra procedere senza tenerne conto. Allo stato maggiore del partito invece qualche apprensione si sta facendo largo. Cosa accadrebbe se tutti loro, oltre a contestare la scelta strategica della fine anticipata della legislatura, decidessero di dichiarare anche il loro "non voto" al partito in campagna elettorale? E se sposassero la battaglia pro-centrosinistra di Giuliano Pisapia e del partito che per ora non c'è? Quanti voti possano spostare ancora i vecchi pezzi da novanta targati dem non è un dato soppesato, quantificato da analisti e sondaggisti. Veltroni ha già messo le mani avanti dicendo che lui si sente ancora "democratico". Gli altri non si spingono più a tanto.

Ha lasciato intendere che il suo voto in aula al Senato sulla legge elettorale tedesca non sarà scontato, il senatore a vita Giorgio Napolitano, che spara ad alzo zero contro il "patto extracostituzionale" dei "quattro leader", sostenendo che il voto a settembre "conviene solo a loro".  Romano Prodi parla in tv e si dice d'accordo con lui. Definisce l'eventualità della fine prematura della legislatura "un vulnus". Perché, spiega, "ha una data di scadenza che dà stabilità e poi in Europa c'è la voce che si voglia andare al voto prima della legge di bilancio per non scontentare prima del voto gli elettori".

Qualche giorno prima, Walter Veltroni non è stato da meno, intervistato dal Corriere della Sera, sul rischio del "ritorno agli anni Ottanta". "Quando sono andato all'assemblea del Pd, cosa che non facevo da anni, ho detto che se si torna al proporzionale e ai governi fatti dai partiti, e magari si rifanno Ds e Margherita, non chiamatelo futuro, chiamatelo passato. Sono rimasto di questa idea. E sono molto preoccupato dal fatto che il mio Paese torni agli anni '80". E ancora, "la prospettiva di un governo Pd-Fi è un errore gravissimo, rischia di alimentare la protesta".

Chi aveva intuito già come sarebbe andata a finire è stato qualche settimana fa Arturo Parisi, prodiano della prima ora, maggioritario convinto. E ora deluso, a dir poco. Più che il probabile approdo proporzionale sul piano della legge elettorale - ha spiegato al Foglio l'ex ministro - la vera sciagura è quel che potremmo chiamare il proporzionalismo. Ci troveremmo di fronte non solo alla stabile instabilità dei governi della Prima Repubblica, ma di fronte alla instabilità nel rapporto di forza tra le due metà che dovessero spartirsi i compiti di governo o di opposizione: sia che il primo turno tocchi al Pd più Fi o a Lega più M5S. Un incubo".

Si spinge oltre, avendo ancora un ruolo in Parlamento, Rosi Bindi. "Tutto quello per cui noi democratici abbiamo combattuto sin dagli anni Novanta, viene smantellato - raccontava qualche giorno fa a Repubblica - questa legge elettorale proporzionale è solo un patto di convenienze. Ed è la fine del Pd". Preoccupata soprattutto dall'ipotesi di un'intesa Renzi-Berlusconi nel dopo elezioni: "Mi pare sia l'unico scenario possibile ed è incomprensibile la scelta del Pd", come quella di anticipare il voto. Lei ha ancora la tessera "ma se il Pd sarà quello che rischia di diventare sarà tutto più difficile".

Tralasciando le prevedibili prese di posizione di Pierluigi Bersani e Massimo D'Alema, tra i fondatori anche loro ma ormai avversari politici plateali del Pd e del suo leader, va detto che lo stesso ragionamento della Bindi lo fa senza usare tante diplomazie ormai anche l'ex presidente del Consiglio Enrico Letta. Che l'altro giorno da Bruxelles ha puntato il dito contro Matteo Renzi, definendo le elezioni anticipate "il capriccio di uno che vuole tornare a fare il premier il prima possibile".

Il treno verso l'approvazione della nuova legge proporzionale

in tempi rapidi e con una maggioranza che rasenta l'80 per cento è ormai in corsa, assieme alla prospettiva assai concreta del ritorno al voto subito dopo l'estate. Fermare un treno in corsa è assai difficile, ma da Prodi a Veltroni ci credono ancora.
© Riproduzione riservata 07 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/07/news/voto_anticipato_e_proporzionale_tutti_i_fondatori_dell_ulivo_e_del_pd_contro_la_strategia_di_renzi_ma_il_segretario_va_ava-167469115/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P1-S1.8-L


Titolo: CARMELO LOPAPA. Gentiloni "ignora" la bufera elettorale, nella road map ius soli
Inserito da: Arlecchino - Giugno 28, 2017, 12:18:44 pm
Gentiloni "ignora" la bufera elettorale, nella road map ius soli e Antimafia
Per il premier il colpo al Pd nelle urne non cambia l'obiettivo di arrivare a fine legislatura.
Il codice anticorruzione primo test: alfaniani contro, per i dem è "irrinunciabile"

Di CARMELO LOPAPA
27 giugno 2017

ROMA. L'incidente è dietro l'angolo. Annidato in un'agenda parlamentare che da oggi e fino alla pausa estiva riserva almeno un paio di trappole insidiose - dal codice Antimafia allo Ius soli - per il cammino già a ostacoli del governo Gentiloni. Il ballottaggio di domenica, con la batosta riservata all'azionista di maggioranza Pd, non si è risolto certo in un'iniezione di salute per l'esecutivo.

Il premier si è tenuto fuori dalla contesa delle amministrative, ben più di quanto abbia fatto il segretario Matteo Renzi. Ed è il motivo per cui a Palazzo Chigi si ritengono al riparo dalla disfatta elettorale. "Si va avanti fino al termine della legislatura, non c'è motivo perché non lo si faccia, finché c'è una maggioranza e ci sono i numeri", si sono ripetuti nel briefing del lunedì alla Presidenza del Consiglio lo stesso premier Gentiloni col ministro per i Rapporti col Parlamento, Anna Finocchiaro, e il capogruppo al Senato dem, Luigi Zanda. Nessun vertice d'emergenza post-sconfitta, solo una riunione operativa di routine, tengono a precisare. Alle opposizioni non basta, già urlano alle dimissioni, così Salvini, così Meloni che invoca l'intervento del Quirinale, perfino Renato Brunetta domenica notte in tv gridava allo stop al decreto banche per un "governo privo ormai di legittimazione".

Incognite e tagliole si nascondono tuttavia in seno alla maggioranza, tra le pieghe dei primi provvedimenti in agenda. E se la situazione dovesse precipitare, fanno presente dal quartier generale renziano, "non ci sarebbero più le condizioni per andare avanti ". Il Codice Antimafia che da oggi approda al Senato dopo un primo passaggio alla Camera, è un'autentica mina. Forse la più rischiosa. "I nostri colleghi a Palazzo Madama tenteranno di modificare un testo che, così com'è, con l'estensione irrazionale delle misure anche ai reati di corruzione, rischia di snaturare le stesse norme sulla prevenzione", avverte alla vigilia il ministro per gli Affari regionali Enrico Costa (Ap), ex vice Guardasigilli. Si fa portavoce dell'insofferenza già esplosa nelle Camere penali, come pure era avvenuto per la riforma del processo penale (sulla quale ha votato contro). Se così fosse, se i centristi si giocassero di sponda con Forza Italia - che ha già tentato, invano, di stoppare il ddl - allora il giocattolo rischierebbe di rompersi. Su questo snodo, mette in chiaro il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, il Pd non cederà: "Sarebbe gravissimo se opponessero resistenza a un provvedimento che noi riteniamo strategico, irrinunciabile".

Il governo non ha posto la fiducia sul codice, ma questo non vuol dire che sarà disposto a cambiarlo. Se non passasse così, chiude Rosato, "ci sarebbe un serio problema di maggioranza". I naviganti - tutti coloro che tengono alla chiusura naturale della legislatura - sono avvisati. Il codice, già ritoccato in commissione, dovrà passare in aula entro la settimana, per tornare alla Camera per il sì definitivo. Stesso discorso per lo Ius soli, dopo le barricate e gli incidenti che sempre a Palazzo Madama ne hanno impedito l'esame in aula la scorsa settimana. Anche su quello si procederà a spron battuto, stavolta con la probabile fiducia posta dal governo, pur di stroncare le residue perplessità di Alfano e dei suoi. A costo di aizzare la rivolta dai banchi di Lega e M5S. Ma è un ruolino di marcia serratissimo, se si vorranno rispettare anche le scadenze per l'approvazione dei decreti sulle banche venete e sui vaccini, prima che il Parlamento chiuda i battenti come sempre i primi di agosto.

Ad apertura della discussione generale, ieri alla Camera, il sottosegretario allo Sviluppo Antonio Gentile ha lanciato un appello a tutti i gruppi affinché il ddl sulla concorrenza venga approvato prima possibile, in settimana, per consentire il via libera finale del Senato a giorni: "Non abbiamo più tempo da perdere, siamo indietro rispetto ad altri paesi europei". Anche perché a seguire il governo vorrebbe colmare l'altro gap rispetto agli altri grandi paesi: l'introduzione del reato di tortura per la quale l'Italia si è impegnata con l'Onu appena 29 anni fa. E il ddl è già alla quarta lettura. "Una grave lacuna da colmare per il nostro Paese ", è il monito lanciato ancora ieri dal presidente della Camera, Laura Boldrini. Nel già fitto calendario del Senato, come se non bastasse, spicca anche uno dei ddl più attesi, almeno fuori dal Parlamento: quello sul fine vita. Frontiera etica, anche lì con spaccatura trasversale alla maggioranza.

E in un calderone che ribolle a queste temperature, sarà un'impresa inserire anche la legge Richetti sui vitalizi degli ex parlamentari già stoppata: il Pd ci riproverà comunque. "Finché i numeri tengono", finché qualcuno non provocherà l'incidente.

© Riproduzione riservata 27 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/27/news/gentiloni_ignora_la_bufera_elettorale_nella_road_map_ius_soli_e_antimafia-169222562/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1


Titolo: CARMELO LOPAPA Franceschini: "Nati per unire non per dividere, si è rotto...
Inserito da: Arlecchino - Giugno 29, 2017, 12:32:21 pm
Franceschini: "Nati per unire non per dividere, si è rotto qualcosa col Paese e così ci consegniamo a Grillo”
Il ministro, azionista di maggioranza del partito chiede al leader "un confronto serio: i numeri del voto parlano di un smacco"

Di CARMELO LOPAPA
28 giugno 2017

ROMA. "Quando perdi vuol dire che si è rotto qualcosa con il tuo elettorato, con il Paese, e devi capire cosa. Devi ricucire. I numeri di questa tornata amministrativa purtroppo parlano chiaro. Qui non ci troviamo solo di fronte a una sconfitta politica del centrosinistra, ma a un bivio. Che riguarda non solo noi, il Pd, il nostro campo, ma i destini del Paese nei prossimi anni. E su questo punto nel Partito democratico si deve aprire un confronto franco, senza ambiguità. La via da intraprendere non può essere che quella della ricomposizione del centrosinistra". Metà pomeriggio, al ministero della Cultura di via del Collegio Romano, a due passi dal Pantheon, Dario Franceschini è nel suo studio in maniche di camicia, fuori Roma è arroventata. Il tweet lanciato poco prima dall'ex segretario, cofondatore nonché "azionista" di maggioranza del partito, ha avuto l'effetto del macigno, più che del sassolino, nello stagno dem.

Imputa al leader il mancato riconoscimento della sconfitta, ministro Franceschini?
"Qui non è solo un problema di mancato riconoscimento della sconfitta. I numeri purtroppo ci consegnano il resoconto di una scacco non solo del centrosinistra, ma anche del nostro partito. Detto questo, il tema è più ampio e ci interroga ben oltre i confini del nostro campo. E non possiamo procedere oltre, far finta di nulla"

L'INTERVISTA INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA E SU REPUBBLICA +.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/28/news/franceschini_nati_per_unire_non_per_dividere_si_e_rotto_qualcosa_col_paese_e_cosi_ci_consegniamo_a_grillo_-169344361/?ref=fbpr


Titolo: CARMELO LOPAPA Gentiloni "ignora" la bufera elettorale, nella road map ius soli
Inserito da: Arlecchino - Luglio 02, 2017, 05:31:21 pm
Gentiloni "ignora" la bufera elettorale, nella road map ius soli e Antimafia
Per il premier il colpo al Pd nelle urne non cambia l'obiettivo di arrivare a fine legislatura.
Il codice anticorruzione primo test: alfaniani contro, per i dem è "irrinunciabile"

Di CARMELO LOPAPA
27 giugno 2017

ROMA. L'incidente è dietro l'angolo. Annidato in un'agenda parlamentare che da oggi e fino alla pausa estiva riserva almeno un paio di trappole insidiose - dal codice Antimafia allo Ius soli - per il cammino già a ostacoli del governo Gentiloni. Il ballottaggio di domenica, con la batosta riservata all'azionista di maggioranza Pd, non si è risolto certo in un'iniezione di salute per l'esecutivo.

Il premier si è tenuto fuori dalla contesa delle amministrative, ben più di quanto abbia fatto il segretario Matteo Renzi. Ed è il motivo per cui a Palazzo Chigi si ritengono al riparo dalla disfatta elettorale. "Si va avanti fino al termine della legislatura, non c'è motivo perché non lo si faccia, finché c'è una maggioranza e ci sono i numeri", si sono ripetuti nel briefing del lunedì alla Presidenza del Consiglio lo stesso premier Gentiloni col ministro per i Rapporti col Parlamento, Anna Finocchiaro, e il capogruppo al Senato dem, Luigi Zanda. Nessun vertice d'emergenza post-sconfitta, solo una riunione operativa di routine, tengono a precisare. Alle opposizioni non basta, già urlano alle dimissioni, così Salvini, così Meloni che invoca l'intervento del Quirinale, perfino Renato Brunetta domenica notte in tv gridava allo stop al decreto banche per un "governo privo ormai di legittimazione".

Incognite e tagliole si nascondono tuttavia in seno alla maggioranza, tra le pieghe dei primi provvedimenti in agenda. E se la situazione dovesse precipitare, fanno presente dal quartier generale renziano, "non ci sarebbero più le condizioni per andare avanti ". Il Codice Antimafia che da oggi approda al Senato dopo un primo passaggio alla Camera, è un'autentica mina. Forse la più rischiosa. "I nostri colleghi a Palazzo Madama tenteranno di modificare un testo che, così com'è, con l'estensione irrazionale delle misure anche ai reati di corruzione, rischia di snaturare le stesse norme sulla prevenzione", avverte alla vigilia il ministro per gli Affari regionali Enrico Costa (Ap), ex vice Guardasigilli. Si fa portavoce dell'insofferenza già esplosa nelle Camere penali, come pure era avvenuto per la riforma del processo penale (sulla quale ha votato contro). Se così fosse, se i centristi si giocassero di sponda con Forza Italia - che ha già tentato, invano, di stoppare il ddl - allora il giocattolo rischierebbe di rompersi. Su questo snodo, mette in chiaro il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, il Pd non cederà: "Sarebbe gravissimo se opponessero resistenza a un provvedimento che noi riteniamo strategico, irrinunciabile".

Il governo non ha posto la fiducia sul codice, ma questo non vuol dire che sarà disposto a cambiarlo. Se non passasse così, chiude Rosato, "ci sarebbe un serio problema di maggioranza". I naviganti - tutti coloro che tengono alla chiusura naturale della legislatura - sono avvisati. Il codice, già ritoccato in commissione, dovrà passare in aula entro la settimana, per tornare alla Camera per il sì definitivo. Stesso discorso per lo Ius soli, dopo le barricate e gli incidenti che sempre a Palazzo Madama ne hanno impedito l'esame in aula la scorsa settimana. Anche su quello si procederà a spron battuto, stavolta con la probabile fiducia posta dal governo, pur di stroncare le residue perplessità di Alfano e dei suoi. A costo di aizzare la rivolta dai banchi di Lega e M5S. Ma è un ruolino di marcia serratissimo, se si vorranno rispettare anche le scadenze per l'approvazione dei decreti sulle banche venete e sui vaccini, prima che il Parlamento chiuda i battenti come sempre i primi di agosto.

Ad apertura della discussione generale, ieri alla Camera, il sottosegretario allo Sviluppo Antonio Gentile ha lanciato un appello a tutti i gruppi affinché il ddl sulla concorrenza venga approvato prima possibile, in settimana, per consentire il via libera finale del Senato a giorni: "Non abbiamo più tempo da perdere, siamo indietro rispetto ad altri paesi europei". Anche perché a seguire il governo vorrebbe colmare l'altro gap rispetto agli altri grandi paesi: l'introduzione del reato di tortura per la quale l'Italia si è impegnata con l'Onu appena 29 anni fa. E il ddl è già alla quarta lettura. "Una grave lacuna da colmare per il nostro Paese ", è il monito lanciato ancora ieri dal presidente della Camera, Laura Boldrini. Nel già fitto calendario del Senato, come se non bastasse, spicca anche uno dei ddl più attesi, almeno fuori dal Parlamento: quello sul fine vita. Frontiera etica, anche lì con spaccatura trasversale alla maggioranza.

E in un calderone che ribolle a queste temperature, sarà un'impresa inserire anche la legge Richetti sui vitalizi degli ex parlamentari già stoppata: il Pd ci riproverà comunque. "Finché i numeri tengono", finché qualcuno non provocherà l'incidente.

© Riproduzione riservata 27 giugno 2017

DA - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/27/news/gentiloni_ignora_la_bufera_elettorale_nella_road_map_ius_soli_e_antimafia-169222562/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T2


Titolo: CARMELO LOPAPA. Forza Italia, Berlusconi l'incandidabile nel logo: "Una mossa...
Inserito da: Arlecchino - Ottobre 21, 2017, 12:24:58 pm
Forza Italia, Berlusconi l'incandidabile nel logo: "Una mossa da due milioni di voti"

Il Cavaliere non potrà presentarsi alle elezioni ma nel simbolo del partito il suo nome alla fine sarà indicato come "presidente"

Di CARMELO LOPAPA
17 ottobre 2017

ROMA - Nel corpo a corpo con la Lega del guerriero Salvini ogni arma torna utile. E ora che Forza Italia si ritrova a inseguire pur di un soffio l'alleato-competitor (vedi il sondaggio Demos su Repubblica), allora nel partito hanno deciso di ricorrere all'arma finale. Il brand Berlusconi campeggerà comunque nella scheda elettorale.

Come se il capo ci fosse davvero, come se corresse al pari degli altri candidati, perfino come se potesse tornare a Palazzo Chigi. Anche se così non è, non è più possibile dopo la condanna definitiva del 2013 e gli effetti della Severino. Legge che tuttavia non contempla alcun divieto per il nome del condannato non candidabile. E allora eccolo "Berlusconi presidente", farà da cornice al nome e al simbolo Forza Italia che comparirà su ognuna delle liste del proporzionale nelle 28 circoscrizioni della Camera e nelle 20 del Senato, accanto al nome del candidato di centrodestra nei 231 collegi uninominali per Montecitorio. "Berlusconi presidente lo è a tutti gli effetti, nel nostro partito, non c'è alcuna anomalia", taglia corto con soddisfazione chi lavora al marketing elettorale. "Se Forza Italia viaggia attorno al 15%, il brand Berlusconi vale da solo almeno la metà" spiega il professor Nicola Piepoli. "Se vogliamo essere più precisi circa 2,5 milioni di voti vengono ancora spostati da quel cognome", è la sua stima.

La trovata - alla quale da Arcore hanno sempre fatto ricorso anche alle ultime politiche - stavolta acquista dunque un significato particolare. Va a colmare almeno in parte la voragine: niente posto da capolista al proporzionale per il leader in tutte le circoscrizioni come ai tempi d'oro, addio alla corsa "uno contro uno" in un collegio milanese. Bisogna far ricorso all'escamotage salva-partito. Del resto, lo stesso ex premier ormai tiene acceso solo un barlume di speranza rispetto al pronunciamento della Corte di Strasburgo sui diritti dell'uomo sul suo caso. "Il 22 novembre si riuniranno per due ore ma la sentenza mi dicono che arriverà dopo sei mesi, al momento resto incandidabile: non posso essere eletto, per ora, ma sono a disposizione ", allargava le braccia Berlusconi lo scorso fine settimana alla manifestazione dei suoi a Ischia. Andrà in Sicilia nei prossimi giorni per un paio di tappe per sostenere Nello Musumeci. Poi farà campagna battente per le politiche. Da leader ma, appunto, "incandidabile".
Berlusconi a Ischia: "Se non ho la maggioranza è colpa degli italiani"

Questo non gli impedirà di completare la riabilitazione politica già ampiamente avviata in seno alla famiglia del Ppe. Dopo la "benedizione" impartitagli due settimane fa a Roma dal presidente Joseph Daul - che lo ha indicato come baluardo del centrodestra contro i populisti in Italia giovedì il Cavaliere dovrebbe far ritorno a Bruxelles dopo 5 anni. Per partecipare proprio al pre vertice del Ppe. Pranzo con gli altri capi di Stato e di governo del partito, al quale parteciperà Angela Merkel, fresca del successo in Germania. "La vittoria in Austria del Partito popolare conferma la forza trascinante della linea moderata", ha commentato ieri Berlusconi dopo il successo del giovane Kurz. I moderati, non i "ribellisti" amici della Lega, è il sottinteso.

© Riproduzione riservata 17 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/10/17/news/forza_italia_berlusconi_l_incandidabile_nel_logo_una_mossa_da_due_milioni_di_voti_-178497388/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P5-S1.4-T1


Titolo: CARMELO LOPAPA L'eterna maledizione dei presidenti "contro".
Inserito da: Arlecchino - Novembre 16, 2017, 09:14:29 pm
L'eterna maledizione dei presidenti "contro".
Da Pivetti a Bertinotti, da Casini a Fini. Ma il tandem Camera-Senato è senza precedenti
La rottura della seconda e terza carica dello Stato, Grasso e Boldrini, è solo l'ultima di una serie.
Crisi di governo e leadership ombra delle spine nel fianco dei premier nell'ultimo quarto di secolo

Di CARMELO LOPAPA
15 novembre 2017

ROMA - L'hanno battezzata - e non da ora - la "maledizione" dei presidenti della Camera. La saga ormai piuttosto prolungata del capocondomino di Montecitorio che si trasforma mese dopo mese, anno dopo anno, nella spina nel fianco ora del presidente del Consiglio ora del capo della maggioranza che li ha eletti allo scranno più alto di quel ramo del Parlamento. Laura Boldrini e la sua presa di distanza (per usare un eufemismo) da Matteo Renzi segretario Pd e dalle politiche del governo Gentiloni in questo caso non farebbe eccezione. A farla, in questa legislatura, è il collega dell'altro ramo, Piero Grasso, con lo strappo e l'uscita dal Pd: nell'ultimo quarto di secolo non si era mai visto il tandem dei vertici di Camera e Senato procedere compatto in direzione contraria. Quasi sempre, il partito del quale il presidente è espressione si rende artefice della crisi del governo in carica. Se in questo caso non accadrà è solo perché della diciassettesima legislatura si contano ormai solo i giorni. Se c'è stata una eccezione vera, nel tempo, è stata quella di Luciano Violante.

I DILEMMI DELLA PIVETTI
L'eterna maledizione dei presidenti "contro". Da Pivetti a Bertinotti, da Casini a Fini. Ma il tandem Camera-Senato è senza precedenti
Autunno 1994, una giovanissima e allora sconosciuta Irene Pivetti si ritrova alla presidenza di Montecitorio nei giorni in cui la sua Lega Nord decide di staccare la spina al primo governo di Silvio Berlusconi, sei mesi dopo la sua nascita. L'avviso di garanzia al premier durante il vertice internazionale di Napoli, la scelta di Umberto Bossi di rompere. Il Senatur chiede proprio a lei una "copertura politica" della frattura. Cosa "che io non avrei potuto garantirgli, proprio per il mio ruolo", rivelerà Pivetti anni dopo. L'esecutivo cade, lei resta alla presidenza per i restanti due anni della legislatura, che si chiuderà nel 1996.

I FIORETTI DI CASINI
L'eterna maledizione dei presidenti "contro". Da Pivetti a Bertinotti, da Casini a Fini. Ma il tandem Camera-Senato è senza precedenti
Devono trascorrere tuttavia parecchi anni prima che i presidenti delle Camere assurgano al ruolo di protagonisti e soggetti attivi della vita politica. Legislatura 2001-2006, l'Udc di Pier Ferdinando Casini e Marco Follini diventa sempre più il grillo parlante detestato da Silvio Berlusconi e dal suo governo, che sembra non avere e non temere avversari in quegli anni. Missione in Afghanistan, indulto, le scintille si sprecano e diventano quotidiane. "L'Udc sta facendo molti errori. Casini? Non sa dove andare, si trova in mezzo al guado", attacca l'inquilino di Palazzo Chigi. E il presidente della Camera: "Ho fatto un fioretto, fino alle elezioni non polemizzo più con Berlusconi". Ma è un bluff. "Seguo la mia strada, se lo incontro bene, altrimenti è lo stesso", rincara poco dopo. La richiesta di discontinuità dei centristi si fa sempre più pressante, finché Berlusconi non è costretto a dar vita all'edizione bis del suo governo. Resta celebre la citazione evangelica di Casini: "Mi hanno chiesto un consiglio, ma può un cieco guidare un altro cieco senza che finiscano tutti e due nel burrone?"

BERTINOTTI E IL BRODINO
L'eterna maledizione dei presidenti "contro". Da Pivetti a Bertinotti, da Casini a Fini. Ma il tandem Camera-Senato è senza precedenti
Durerà solo 24 mesi, ma la legislatura 2006-2008 farà scuola, quanto a "frontali" tra il presidente della Camera (allora Fausto Bertinotti di Rifondazione comunista) e il premier (Romano Prodi). Spettatore silente e affranto il collega al Senato, Franco Marini. Bertinotti non lesina affondi quotidiani al Professore, paragonato a Vincenzo Cardarelli, "il più grande poeta morente". Quando a fine 2007 il destino appare ormai segnato e il governo supera di poco la soglia di maggioranza al Senato nell'ennesima votazione al cardiopalma, il bacchettatore Bertinotti non fa salti di gioia: "Il malato ha preso un brodino". E' l'annuncio della crisi, che il leader rifondarolo può sancire il 4 dicembre di quell'anno: "Il progetto di governo è fallito". Anche se poi sarà cura del Guardasigilli Clemente Mastella, dopo l'inchiesta che tocca la sua famiglia, a sancire la fine dei giochi e aprire la strada al ritorno di Berlusconi.

FINI E IL "CHE FAI MI CACCI"
L'eterna maledizione dei presidenti "contro". Da Pivetti a Bertinotti, da Casini a Fini. Ma il tandem Camera-Senato è senza precedenti
Legislatura 2008-2013, Gianfranco Fini è il presidente della Camera eletto dalla maggioranza del Pdl guidata dal Cavaliere tornato per la terza volta a Palazzo Chigi. L'ex fondatore di An diventa il leader della minoranza interna della coalizione, in un'escalation di contestazioni e prese di distanza che lievita con la crisi economica che attanaglia il Paese. Il punto di rottura si consuma nella celebre direzione del partito del 22 aprile 2010. Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi non ne può più e sbotta contro la terza carica dello Stato: "Se vuole fare delle dichiarazioni politiche, prima si dimetta dalla presidenza della Camera", lo sfida dalla tribuna dell'Auditorium della Conciliazione a Roma. Gianfranco Fini siede in prima fila e fa un salto sulla poltrona: "Altrimenti che fai, mi cacci?" Da allora lo scontro si spinge fino alla scissione, alla nascita di Fli e alla crisi di governo del novembre 2012.

BOLDRINI, GRASSO E "L'UOMO SOLO AL COMANDO"
Ancora una volta, quando si intravede la linea del traguardo della legislatura i solchi tra Montecitorio e Palazzo Chigi (e Nazareno) si fanno voragini. Ma già il 21 febbraio 2015 ad Ancona la presidente della Camera Laura Boldrini attacca l'allora premier Matteo Renzi nel pieno dei suoi poteri, pur senza mai citarlo: "L'idea di avere un uomo solo al potere, contro tutti e in barba a tutto, a me non piace". Su Jobs Act e Rai maturano via via le differenze, fino alla riforma costituzionale cancellata dal referendum. "Difendere l'aula è il mio primo dovere" controbatte Boldrini a Renzi che nel frattempo la accusa di "uscire dal perimetro istituzionale". Ma poche settimane fa è stata l'uscita del presidente del Senato Piero Grasso dal Pd, partito nel quale la seconda carica dello Stato militava, a fare più rumore. E' il "passaggio all'opposizione senza precedenti" dei due presidenti, contestano i dem, votati a future leadership. Ma questa, è storia di questi giorni. 
 
© Riproduzione riservata 15 novembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/11/15/news/l_eterna_maledizione_dei_presidenti_contro_da_pivetti_a_bertinotti_da_casini_a_fini_ma_il_tandem_camera-senato_senza_pr-181150772/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P1-S2.5-T1


Titolo: CARMELO LOPAPA La mediazione in extremis nel centrodestra, e c'è l'accordo ...
Inserito da: Arlecchino - Marzo 24, 2018, 11:37:04 am
La mediazione in extremis nel centrodestra, e c'è l'accordo su Elisabetta Casellati
Ultimo minuto.
Nottata di trattative tra Lega e Forza Italia dopo lo strappo di Salvini su Anna Maria Bernini.
In mattinata il vertice a Palazzo Grazioli, Giorgetti prova a ricucire su un nome e si converge sulla avvocata sostenuta da Ghedini.

Di CARMELO LOPAPA
24 marzo 2018

ROMA - La mediazione in extremis è riuscita. Almeno per ora. E si è trovata nel vertice della mattina presto a Palazzo Grazioli che si annunciava come una resa dei conti tra i leader del centrodestra. Ha partorito, per il Senato, il nome di Maria Elisabetta Alberti Casellati da candidare alla presidenza del Senato. Nome sul quale arriva il gradimento del M5s. Avevano lavorato fino a notte fonda i pontieri di Lega e Forza Italia per scongiurare la rottura che nella serata di ieri era apparsa già gravissima, quasi irrimediabile tra Salvini e Berlusconi. Il vertice al quale i due, con Giorgia Meloni, si sono ritrovati questa mattina a Palazzo Grazioli è frutto della mediazione di Giancarlo Giorgetti, braccio destro del leader leghista, di Niccolò Ghedini e Licia Roncalli, sulla sponda berlusconiana. "Col Cavaliere? Nessuna rottura", aveva minimizzato prima di entrare nella residenza dell'ex premier proprio Giorgetti, il più diplomatico della squadra di Salvini, oltre che amico personale dell'uomo di Arcore.

Dopo lo strappo maturato col voto leghista ad Anna Maria Bernini al Senato e la dichiarazione di guerra del Cavaliere ("Atto ostile e unilaterale, Salvini ci ha tradito"), il tentativo di ricucitura della prima mattina, a ridosso della terza e soprattutto quarta e decisiva votazione a Palazzo Madama, passa attraverso l'individuazione di una figura terza. Che consenta al centrodestra di andare oltre la candidatura forzista di Paolo Romani non gradita dai 5 stelle e della stessa Bernini, che ha dichiarato la propria indisponibilità dopo l'iniziativa leghista non concordata. E tutti gli indizi già in prima mattinata portavano appunto ad Maria Elisabetta Alberti Casellati. Avvocato, ex membro del Csm in quota Fi, è stata sottosegretaria alla Giustizia dal 2008 al 2011. Era la candidata sin dall'inizio sostenuta dal suo collega avvocato Ghedini e con una storia personale gradita alla Lega.

Ed è da ricondurre al pressing della Lega anche la designazione, avvenuta in piena notte con un comunicato da parte dei 5 stelle, del candidato ufficiale alla presidenza della Camera: Riccardo Fraccaro. "Noi abbiamo indicato la nostra candidata al Senato, Bernini, ormai anche voi dovete fare il nome per Montecitorio che ci siamo impegnati a sostenere", hanno insistito gli uomini di Salvini. E così, poco prima

di mezzanotte, una nota ha formalizzato la scelta caduta sul deputato più vicino a Luigi Di Maio (e più gradito alla Lega). E non su Roberto Fico, che in più di un'occasione si era pronunciato contro l'ipotesi di un accordo e di un governo futuro con Salvini e i suoi.

© Riproduzione riservata 24 marzo 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/03/24/news/parlamento_la_mediazione_in_extremis_nel_centrodestra_-192114775/?ref=RHPPTP-BH-I0-C12-P2-S1.12-T2


Titolo: CARMELO LOPAPA E MONICA RUBINO Di Maio: "No a governo tecnico".
Inserito da: Arlecchino - Maggio 07, 2018, 11:26:50 am
Di Maio: "No a governo tecnico".

Salvini non rompe con Berlusconi: "O esecutivo di centrodestra o voto"

La senatrice azzurra Ronzulli a Circo Massimo su Radio Capital: "Niente appoggio esterno".

Cottarelli: "Se mi chiamano, mi assumo le mie responsabilità"

Di CARMELO LOPAPA E MONICA RUBINO
07 maggio 2018

ROMA -  Con l'arrivo al Quirinale della delegazione del Movimento 5 Stelle, composta da Luigi Di Maio e dai capigruppo di Camera e Senato Giulia Grillo e Danilo Toninelli, ha preso il via il terzo e ultimo ciclo di consultazioni del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per la formazione del nuovo governo. Al termine del colloquio, Di Maio ha ribadito il no del M5s a un governo tecnico: "O esecutivo politico o si torna al voto. Ho detto chiaramente, ma la Lega lo sapeva già, che sono disponibile a scegliere un premier terzo con Salvini, su un programma. Sono condizioni che ho posto ieri. Io non sono mai stato l'impedimento a firmare il contratto di governo". Da alcune fonti si è saputo di una telefonata stamane fra Di Maio e Salvini prima che il segretario della Lega prendesse parte al summit della sua coalizione.

• CENTRODESTRA ALLA RESA DEI CONTI
Intanto nel vertice del centrodestra a Palazzo Grazioli, riunito per fare il punto in vista dell'incontro al Colle in programma per le 11, Salvini non è riuscito a convincere Berlusconi. Respinto l'ultimo invito del capo politico dei cinquestelle, la coalizione non si spacca e resta ferma su una posizione unitaria: o esecutivo di centrodestra o si torna al voto. Tra i partecipanti all'incontro anche il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, oltre a Giancarlo Giorgetti, Ignazio La Russa e Giorgia Meloni.

• RONZULLI: "NO A GOVERNO DI TREGUA"
Una posizione, quella del centrodestra, anticipata questa mattina da Licia Ronzulli, senatrice di Forza Italia molto vicina a Silvio Berlusconi. Che a Circo Massimo su Radio Capital afferma: "Ieri sera si è ribadito che il centrodestra è unito nel dire no a un governo del presidente. Oggi andremo al Quirinale a chiedere che il governo venga dato al centrodestra, con incarico a Salvini o a un altro esponente della coalizione che Salvini indicherà".

APPROFONDIMENTO
Gelo tra Salvini e Berlusconi, è l'ora della verità
Di CARMELO LOPAPA
Se non passa questa linea non c'è altra soluzione che tornare alle urne. "Forza Italia non è disponibile a un appoggio esterno - aggiunge Ronzulli -  se non va al governo va all'opposizione. Di Maio ha fatto l'ultimo tentativo di spaccare il centrodestra. Ma è stato respinto".

• COTTARELLI: "SE MI CHIAMANO, MI ASSUMO MIE RESPONSABILITÀ"
Sul fronte dei possibili candidati premier di un eventuale governo di tregua, in cima alle classifiche figura anche il nome di Carlo Cottarelli, già commissario alla spending review: "Non mi ha chiamato nessuno", risponde a Circo Massimo. Ma non nega che "sarebbe pronto a prendersi le proprie responsabilità".
 
Ritiene però che "per mettere al riparo da certi rischi l'economia italiana ci vuole un governo politico. I mercati finanziari al momento sono tranquilli, c'è molta liquidità. Non c'è un'emergenza economica in questo momento. Non serve un esecutivo alla Monti". E aggiunge: "Se non c'è qualche choc esterno non mi aspetto un aumento particolare degli spread anche con le elezioni a ottobre".

• VERTICE DEL PD
Il Pd intanto resta spettatore: "Mi pare che adesso il problema sia di qualcun altro", dice il segretario reggente Maurizio Martina arrivando al Nazareno per un vertice allargato anche alle minoranze prima delle consultazioni al Colle, previste alle 12.

© Riproduzione riservata 07 maggio 2018

Da - http://www.repubblica.it/politica/2018/05/07/news/forza_italia_ronzulli_no_governo_presidente_consultazioni-195710406/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P1-S1.8-T2


Titolo: CARMELO LOPAPA Cottarelli verso la rinuncia: cresce l'ipotesi di voto a luglio
Inserito da: Arlecchino - Maggio 31, 2018, 01:12:50 pm
Governo, Cottarelli verso la rinuncia: cresce l'ipotesi di voto a luglio
Lega, M5s, Pd e Forza Italia non escludono elezioni a stretto giro: data probabile il 29 luglio

Di CARMELO LOPAPA
29 maggio 2018

ROMA - Nulla di fatto. Il premier incaricato Carlo Cottarelli ha lasciato il Palazzo del Quirinale per fare rientro alla Camera dopo un incontro con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La lista dei ministri non è ancora definita: "Ci sono problemi", dicono fonti del Quirinale. E a mettere in stand by il premier incaricato sarebbe il crescente pressing dei partiti per un voto a luglio. Il premier incaricato e il presidente della Repubblica si incontreranno nuovamente domani mattina.

Il voto a luglio. L'ipotesi di andare al voto addirittura prima della pausa estiva si fa sempre più consistente. E in questo caso non avrebbe senso formare un nuovo governo: a traghettare il Paese verso le elezioni potrebbe essere il governo Gentiloni. A parlare apertamente del "voto estivo" è il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci: "Se c'è l'accordo si può fare". Per Luigi Di Maio, capo politico dei 5 Stelle, "era più responsabile far partire il governo, ma siamo pronti ad andare al voto a luglio". E nella riunione di oggi con i fedelissimi, Berlusconi avrebbe parlato di una "consistente ipotesi di voto a luglio". "Siamo pronti a votare subito e vi manderemo ancora una volta a casa", dice il capogruppo della Lega al Senato Gian Marco Centinaio.

Il lavoro di Cottarelli e il toto ministri. All'ex commissario alla spending review è stata messa a disposizione per lavorare una stanza a Montecitorio, dove è arrivato a piedi ed è entrato da un ingresso laterale. L'obiettivo di Cottarelli è presentare entro venerdì il nuovo esecutivo al Parlamento per la fiducia.

L'elenco dei ministri comprende nomi di prestigio al servizio delle istituzioni, come l'economista Guido Tabellini, che occuperebbe la casella del Tesoro, il giurista Alessandro Pajno, presidente del Consiglio di Stato, Paola Severino, rettore della Luiss e già ministro della Giustizia nel governo Monti, Francesco Paolo Tronca, già commissario straordinario del Comune di Roma dopo il crollo della giunta Marino, Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina e Anna Maria Tarantola, ex presidente Rai, Enrico Giovannini, già ministro del Lavoro per il governo Letta. In proposito Giovannini, intercettato dai cronisti nei pressi del Campidoglio, ha affermato: "Io nel toto ministri del governo Cottarelli? Devo appunto scappare da un'altra parte, sono di fretta".

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© Riproduzione riservata 29 maggio 2018