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Autore Discussione: CARMELO LOPAPA  (Letto 70086 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Marzo 23, 2011, 04:42:22 pm »



di CARMELO LOPAPA

Scontro istituzionale sul nuovo ministro


E' scontro istituzionale sulla nomina a ministro di Saverio Romano. Il premier Berlusconi riesce a imporre la sua designazione, nonostante le perplessità già espresse la scorsa settimana dal capo dello Stato Napolitano, e sale al Colle in mattinata con il leader del Pid, deputato siciliano dei Responsabili. Romano giura, accompagnato da moglie e figlio. Giusto il tempo di stringergli la mano per i complimenti di rito. Poi, il presidente della Repubblica diffonde una nota in cui rende pubbliche per la prima volta le riserve sulla opportunità di quell'incarico.

Ha assunto informazioni presso la procura di Palermo, la più alta carica dello Stato, per avere contezza dei due procedimenti a carico del neo ministro. Il primo, per concorso esterno in associazioni mafiosa, per il quale il pm ha chiesto l'archiviazione e sul quale invece il gip si è riservato di effettuare ulteriori accertamenti. Il secondo, per corruzione aggravata dal favoreggiamento a Cosa nostra.
Le riserve, chiarisce Napolitano, nascono proprio da quel giudizio sospeso a Palermo. Le perplessità sono dunque "politico-istituzionali".

Ma, "a seguito della formalizzazione della proposta da parte del presidente del Consiglio" si è proceduto comunque alla nomina "non ravvisando impedimenti giuridico-formali che ne giustificassero il diniego". Di fronte alle insistenze di Palazzo Chigi, insomma, il Quirinale non ha potuto fare altro. Ciò non toglie che il presidente della Repubblica attenda adesso un chiarimento dagli "sviluppi del procedimento". Basterà attendere poco, dato che il gip ha fissato per il primo aprile l'audizione delle parti. Nulla da eccepire invece sullo spostamento di Giancarlo Galan dal ministero dell'Agricoltura ai Beni culturali. Il caso fa esplodere subito la polemica in Parlamento. "Un indagato per mafia non può fare il ministro" attacca l'Idv. E i finiani: "Quella nomina dimostra l'assenza morale".

Nelle stesse ore in cui avveniva il minirimpasto, subito dopo il Consiglio dei ministri in cui il governo ha varato la moratoria di un anno sul ricorso al nucleare, la giunta per le autorizzazioni della Camera ha approvato a maggioranza il parere favorevole al conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato contro il Tribunale di Milano sul caso Ruby. Undici sono stati i sì di Pdl, Lega e Responsabili.

Dieci i no di Pd, Udc, Fli e Idv. Ma dalla procura di Milano fanno sapere in via informale che il processo a carico del presidente del Consiglio Berlusconi non si fermerebbe anche nell'ipotesi in cui la questione del conflitto arrivasse davanti alla Corte Costituzionale.

da - repubblica.it/politica/
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« Risposta #46 inserito:: Marzo 27, 2011, 10:49:18 am »

L'INTERVISTA

Frattini: piano italo-tedesco per la Libia "Gheddafi in esilio e più diritti alle tribù"

In questi giorni difficili l'Europa forse ha perso dei pezzi, noi non vogliamo perdere Berlino.

Lavoriamo per farla rientrare e tenere insieme l'Ue.

Non condividiamo la scelta della Coalizione dei volenterosi: non è accettabile l'idea di una cabina di regia limitata a Parigi e Londra

Il presupposto del nostro piano è la necessità di giungere a una Road map per definire le tappe di una transizione che porti dalla crisi
alla nuova Libia

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Un asse italo-tedesco per la soluzione diplomatica della crisi libica. Destinato inevitabilmente ad affiancarsi all'iniziativa annunciata da Sarkozy e Cameron. Il governo italiano non cederà il testimone alla cabina di regia franco-britannica, insomma, ha un suo piano e sta lavorando perché possa tradursi in una proposta. Un vero e proprio documento da mettere a punto con la cancelleria Merkel e presentare al vertice della coalizione martedì a Londra. Una way out politica che il ministro degli Esteri Franco Frattini anticipa a Repubblica nelle sue linee guida e che dovrebbe passare - qui sta la svolta - attraverso l'esilio del colonnello Gheddafi. "In questi giorni difficili l'Europa forse ha perso dei pezzi - è il ragionamento del capo della Farnesina - noi non vogliamo perdere la Germania e un'evoluzione verso il cessate il fuoco ne renderà più facile il rientro. Noi lavoriamo per percorrere insieme con loro l'ultimo tratto di strada, cerchiamo di tenere insieme l'Europa".

Da domani la Nato assumerà il controllo delle operazioni. Almeno questo successo la diplomazia italiana può rivendicarlo. Ministro Frattini, cosa cambierà sullo scenario libico?
"Fino ad oggi, in questa fase iniziale segnata dell'emergenza, sono esistiti tre comandi distinti delle operazioni. Quello italiano e americano a Napoli, un secondo britannico e un terzo francese. Da lunedì, il comando sarà nelle mani di un'organizzazione sovranazionale, la Nato, che
si muoverà in base alle direttrici di un comitato militare e politico. Abbiamo fatto valere le nostre buone ragioni. A onor del vero, americani e inglesi si erano detti d'accordo fin dal primo momento".

Meno la Francia. I vostri rapporti con Parigi sono ormai gelidi. Colpa del protagonismo di Sarkozy?
"I rapporti con Parigi restano immutati. Diciamo che non abbiamo condiviso la scelta della coalizione dei volenterosi. Vi abbiamo partecipato in quanto misura urgente e temporanea. Trasformarla in una soluzione permanente non era accettabile".

La tensione è cresciuta anche in vista del vertice di Londra di martedì. Si profila un asse franco-britannico per una soluzione diplomatica, ci sarà un loro direttorio sulla crisi?
"Intanto, martedì si insedia un gruppo di contatto sulla Libia che coinvolge più di quindici paesi chiamati a discutere l'"end game". Quel che è certo è che non ci sarà una cabina di regia, tanto meno a due".

L'Italia ha le sue idee sulla "fine dei giochi", lei ha annunciato. Quali?
"Abbiamo un piano e vedremo se si potrà tradurre in una proposta italo-tedesca. Magari da elaborare in un documento congiunto da presentare martedì".

Quali sarebbero i passaggi della Road map alla quale state lavorando?
"Il cessate il fuoco, innanzi tutto. Che dovrà essere verificato e monitorato dalle Nazioni unite. E l'istituzione di un corridoio umanitario permanente, al quale stiamo già lavorando col governo turco".

Questo per gestire l'emergenza. E sul piano politico-diplomatico?
"Chiederemo intanto un impegno forte dell'Unione africana e della Lega araba, soprattutto al fine di coinvolgere le forze di opposizione di Bengasi. Le quali vogliono una Libia unita, si rifiutano di trattare con Gheddafi, intendono rispettare i trattati internazionali stipulati dal loro paese, anche quelli commerciali. Occorrerà coinvolgere i gruppi tribali, quantomeno i più rappresentativi. Tutti insieme lavoreranno quindi a una costituzione per la Libia, della quale il paese finora è stato sprovvisto.

D'accordo. Ma che ne sarà di Gheddafi? Tutto dipende da quello. La vostra proposta? È vero che il premier Berlusconi sarebbe disposto a mediare?
"Dopo che tutta Europa e l'Onu hanno ripetuto che il Colonnello non è interlocutore accettabile, non si può pensare ad una soluzione che contempli la sua permanenza al potere. Chiaro, altra cosa è pensare a un esilio per il Gheddafi, l'Unione africana si è già fatta carico di trovare una soluzione".

Peccato che lui non ne voglia sapere.
"Sta di fatto che anche nel suo regime c'è chi sta lavorando per favorire dall'interno questa via d'uscita".

Lei ha avuto contatti con esponenti del governo provvisorio. Li ritiene affidabili?
"Ho avuto un colloquio in questi giorni con Ibrahim Jebril, capo di quel governo. Ha insegnato all'università della Pennsylvania, viaggia, parla fluentemente inglese. Ha idee, proposte. Si tratta di figure che hanno la possibilità di rappresentare degnamente il loro paese".

Fronte interno. Lampedusa al collasso. Lei e Maroni avete siglato un importante accordo a Tunisi. Per Bossi gli immigrati vanno "cacciati e basta". Come la mettete?
"Quel che forse al ministro Bossi è sfuggito è che il fondo al quale si attinge per favorire il rimpatrio assistito dei migranti con i circa 1.500 euro a testa, è stato già istituito dall'Ue quando io ero commissario. Al più le somme vengono anticipate dall'Italia. Serve a consentire a ciascun immigrato di avviare un'attività in Tunisia ed evitare che dopo qualche mese torni su un barcone. Ma ricordo che c'è un secondo ordine di intervento, per chi non accetta il rimpatrio assistito, che è quello previsto dalla Bossi-Fini: l'espulsione".

Ammesso che il flusso venga arginato in Tunisia, c'è il rischio di un esodo biblico dalla Libia in fiamme.
"L'ammassarsi di profughi ai confini terresti della Libia è per noi segnale di grande preoccupazione. Non possiamo accogliere neanche temporaneamente più dei 50mila di cui ha parlato il ministro Maroni. L'Unione europea ha confermato, per la verità in modo un po' vago, la propria disponibilità a una "concreta solidarietà". È bene che ne dia subito prova, cominciando ad elargire subito i fondi per i rimpatri assistiti". 

(27 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/esteri/2011/03/27/news/
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« Risposta #47 inserito:: Marzo 28, 2011, 04:45:30 pm »

GIUSTIZIA

La sfida di Berlusconi al tribunale "Sconfiggerò la gogna mediatica"

Oggi alle 10 il premier in tribunale a Milano per l'udienza Mediatrade.

Lista di testi vip per il processo Ruby, al via tra dieci giorni

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Comparirà alle dieci del mattino, puntuale, davanti ai suoi giudici di Milano. E sarà la prima volta dopo le dichiarazioni spontanee al processo Sme, era il lontano 17 giugno 2003. Oggi l'udienza Mediatrade, tra dieci giorni il processo che scotta di più: Rubygate. "Vado perché non ho nulla da temere e dimostrerò agli italiani che non sfuggo ai miei processi, nonostante quattordici anni di persecuzione giudiziaria: ho il diritto di difendermi da accuse assurde", è il refrain che Silvio Berlusconi ripete alla vigilia agli interlocutori sentiti da Arcore.

Giornata di quasi relax, perché a Villa San Martino resta al suo fianco l'avvocato Niccolò Ghedini per studiare le carte dell'imputazione che assieme al premier coinvolgono altre undici persone, tra le quali il figlio Piersilvio e l'ad Mediaset Fedele Confalonieri. Udienza interlocutoria, molto tecnica. Berlusconi non avrà occasione di prendere la parola. Ecco perché lo farà prima, alle 8,40, intervenendo a "La telefonata" su Canale5 con Belpietro, ma soprattutto dopo l'udienza. Ad attenderlo, decine di sostenitori con il coordinatore regionale Pdl Mario Mantovani e il sottosegretario Daniela Santanché. Davanti a loro e - soprattutto - alle telecamere il prevedibile show difensivo. Con il quale il Cavaliere denuncerà i giudici che gli sottraggono tempo prezioso mentre lui è alle prese con una guerra alle porte e un'emergenza immigrazione che travolge Lampedusa. Nonostante tutto, eccolo lì, in barba a chi lo accusava di voler ricorrere al legittimo impedimento.

Al Tribunale di Milano per il Mediatrade, come lo sarà mercoledì 6 aprile per il processo più atteso dai media di mezzo mondo. "Sono solo processi mediatici, mi vogliono alla gogna" si sfoga in queste ore il presidente del Consiglio coi suoi, mentre con Ghedini ha anche messo a punto la lista dei testimoni per il processo Ruby: dal ministro Frattini al portavoce Bonaiuti, da Carlo Rossella ad Apicella. Nel pomeriggio c'è stato il tempo anche per una lunga telefonata con il governatore siciliano Raffaele Lombardo, esasperato a Lampedusa, per promettergli il suo impegno personale, "come a Napoli", e un consiglio dei ministri straordinario convocato per mercoledì. Di rimpasto no, Berlusconi preferisce non parlare per adesso e rimandare la partita. Anche se i Responsabili giurano di aver avuto garanzie sulla nomina a metà settimana di tre viceminsitri: Calearo, Misiti e Bernini.

Ma è soprattutto il temuto "processo mediatico" a occupare i pensieri del premier, nell'immediato. Tanto più con la campagna elettorale (per le amministrative del 15 maggio) alle porte. Tra le contromisure esaminate nel week-end, una punterebbe all'oscuramento dei talk-show politici in Rai (Annozero, Ballarò, In Mezzora, Porta a Porta) proprio come avvenne alla vigilia delle Regionali 2010. Entro le 14 di oggi in Vigilanza saranno presentati gli emendamenti al regolamento per le trasmissioni elettorali messo a punto dal presidente Zavoli da votare in settimana. I pidiellini Butti e Lainati si appresterebbero a presentarne uno che ripristini la norma di un anno fa: obbligo della par condicio "perfetta" e conseguente stop in video per Santoro, Floris, Annunziata. Coincidenza, giusto a cavallo delle prime udienze del processo Ruby, con gli approfondimenti sulla tv generalista che resterebbero in mano a Mediaset. Il radicale Beltrandi, padre della norma-scandalo di allora, mette le mani avanti: "Esiste il progetto, ma stavolta non mi presto a strumentalizzazioni". Dal pd Morri all'udc Rao sono già sulle barricate. In casa Pdl tengono le carte coperte. In attesa del via libera da Arcore.

(28 marzo 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/03/28/news
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« Risposta #48 inserito:: Aprile 17, 2011, 05:03:50 pm »

IL RETROSCENA

L'exit strategy del Cavaliere verso le elezioni

"I processi mi fanno crescere nei sondaggi"

Gli uomini di Palazzo Chigi temono lo stop del Quirinale sulla prescrizione breve e hanno fatto scattare il pressing sul voto anticipato.

Berlusconi inizia a pensare che dopo l'approvazione della prescrizione breve può essere più utile tornare alle urne

di CARMELO LOPAPA


ROMA - L'ombra delle manovre di palazzo per disarcionarlo. Il timore per le possibili mosse del Quirinale sulle leggi sulla giustizia. "Andremo fino in fondo se mi consentiranno di fare la riforma della giustizia e quella costituzionale, diversamente io porto tutti al voto, meglio le urne" si sfoga un Silvio Berlusconi galvanizzato dal bagno di folla all'Eur ma agitato dai due spettri che hanno segnato gli ultimi giorni.

Il premier spiega ai consiglieri più fidati, a chi lo sente evocare a sorpresa elezioni anticipate proprio nel momento in cui dichiara di essere più forte di prima, di vantare la maggioranza più coesa. Il fatto è che i sondaggi consegnatigli da Euromedia questa settimana - raccontano da Palazzo Chigi - avrebbero sollevato parecchio gli umori dell'inquilino. "Se votassimo a breve, vincerei ancora con una larga maggioranza" rivela ai suoi tenendosi sul vago sui numeri. Dunque, la scadenza naturale del 2013 potrebbe non essere più così "naturale". Di più. Tra i processi a suo carico, il presidente del Consiglio teme realmente il solo giudizio sul caso Mills, per altro imminente. E l'approvazione anche al Senato della prescrizione breve lo scioglierebbe in via definitiva dalla principale fonte di preoccupazione sul fronte giudiziario. A quel punto, prescritta l'accusa più pesante, sentirebbe di poter affrontare con maggiore sicurezza le urne.

Berlusconi perciò non tollera intralci sul cammino della norma, ora al Senato per il via libera atteso nelle prossime settimane. Il capo dello Stato Napolitano ha fatto sapere che si riserva di esaminare il testo a tempo debito. Considerazione scontata, che tuttavia il Cavaliere ha raccolto non senza apprensione, raccontano. Ecco perché lo spauracchio della richiesta di scioglimento anticipato delle Camere e del voto, agitato ieri dopo parecchio tempo, ha avuto tutto il sapore di un messaggio indirizzato anche al Colle. Il Quirinale tuttavia non si fa trascinare nella polemica politica. Ieri si è chiuso nel più stretto riserbo. D'altronde, la posizione della più alta carica dello Stato sulla giustizia, sul ruolo dei magistrati, è nota. E, se necessario, verrà ribadita nelle sedi istituzionali e nei tempi che la presidenza della Repubblica riterrà più opportune.

In ogni caso, il ddl sulla prescrizione breve e poi sul "processo lungo" e infine la norma in arrivo per la sospensione del processo Ruby sono tappe che Berlusconi e i suoi ritengono irrinunciabili. "La riforma della giustizia nel suo complesso è indispensabile e senza quella meglio andare a votare - è l'esegesi della fedelissima Daniela Santanché - Alcune procure non possono pensare di far cadere Berlusconi, stravolgere la volontà popolare". L'obiettivo, per dirla col neo ministro Saverio Romano, "è solo quello di introdurre in Costituzione meccanismi di check and balance anche per la magistratura".
Giustizia ma non solo. Sono state anche le scosse telluriche degli ultimi giorni a far vacillare alcune delle certezze del Cavaliere. Il tramonto repentino di Cesare Geronzi - al vertice di un potere finanziario che è stata colonna portante del sistema berlusconiano - l'affondo del presidente di Confindustria Emma Marcegaglia contro il governo e ancora l'appello di Pisanu e Veltroni per un "governo di decantazione". Ecco, tutto questo ha acceso l'allarme rosso a Palazzo Chigi. Fabrizio Cicchitto di quel sospetto non ne fa mistero, parla di "prime mosse di una manovra di palazzo di cui ancora non si vedono gli elementi costitutivi". Manovra per disarcionare il capo, sottinteso. Se qualcosa del genere dovesse mettersi in moto, l'esito sarebbero le urne, è l'avvertimento di Berlusconi. Se proprio di messaggio si tratta, Gaetano Quagliariello lo esplicita senza giri di parole: "Io resto convinto che ci siano tutte le condizioni per portare a termine la legislatura, ma se non dovesse essere così, allora non abbiamo paura di andare al voto, siamo pronti, la macchina del partito è pronta".

Già, il partito. Con l'exploit del palacongressi il premier riprende in mano i cocci di un Pdl in frantumi. Minaccia di cambiare tutto, torna a indossare i panni del leader e manifesta per la prima volta in pubblico tutta la sua irritazione per cene e correnti, guerre di potere e polemiche. Perché il partito è Berlusconi. Altro che successione.

(17 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/17/news
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« Risposta #49 inserito:: Aprile 19, 2011, 04:43:31 pm »

di CARMELO LOPAPA

La "mina" di Milano e l'altolà della Lega


Il monito del Quirinale scuote la politica funestata dagli attacchi del premier sulla giustizia e dai toni di una campagna elettorale che, soprattutto a Milano, è andata subito sopra le righe. L'avvertimento del presidente Napolitano - sulle polemiche che stanno ormai superando il "limite dell'esasperazione" e sulle "ignobili provocazioni" dei manifesti nei quali i pm milanesi sono stati equiparati a brigatisti - è destinato a fare da spartiacque. E produce i primi effetti. Nonostante il silenzio del premier Berlusconi, principale (sebbene implicito) destinatario del richiamo del Colle.

Il presidente del Senato Renato Schifani contatta telefonicamente i vertici dell'Associazione nazionale magistrati, ieri ricevuti da Fini. E al termine del colloquio con il numero uno dell'Anm, Luca Palamara, condanna i "cartelloni vili e incivili" e, convinto che "occorra fare gesti concreti per fare in modo che i toni si abbassino", "adesso che si conosce l'autore", invita il Pdl a "prendere le distanze" dall'iniziativa. Un richiamo recepito a tamburo battente dal partito. Il candidato sindaco di Milano Letizia Moratti, che per la verità già domenica aveva dato per scontato il ritiro della candidatura di Roberto Lassini, adesso pone il suo aut aut, definendo la propria candidatura "incompatibile con la presenza di Lassini in lista". Dopo le resistenze del diretto interessato, ribadite ancora nelle ultime ore, l'ultimo diktat potrebbe essere decisivo, dato che perfino il coordinatore del Pdl in Lombardia, Mario Mantovani, amico personale e sponsor politico del candidato-provocatore, scrive a Lassini chiedendogli di ritirare la sua corsa. Lo stesso ha fatto in queste ore il governatore lombardo Formigoni.

Caso manifesti a parte, la Lega per la prima volta esterna la propria preoccupazione e il proprio dissenso rispetto alle polemiche che hanno superato la soglia di guardia sulla giustizia. Se ne fa portavoce il capogruppo leghista alla Camera Reguzzoni: "Non ci piace il livello di scontro raggiunto". Berlusconi è avvisato. La campagna elettorale ormai è entrata nel vivo. Molti si chiedono se a questo punto il premier accetterà di modificarne toni e contenuti.

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« Risposta #50 inserito:: Aprile 22, 2011, 05:05:48 pm »

   
GOVERNO

Silvio sigla la tregua armata con Giulio "Questa lite danneggia il governo"

Il ministro del Tesoro minaccia le dimissioni, poi va a Palazzo Chigi con i dati sulla ripresa del Pil .

Il premier teme l'effetto Grecia e accetta di frenare sul fisco

di CARMELO LOPAPA


Un chiarimento o in queste condizioni non posso portare avanti il mio lavoro. La telefonata di Giulio Tremonti a Palazzo Chigi arriva in tarda mattinata. Ed è uno sfogo sopra le righe. Il tempo della lettura del Giornale di "famiglia" che lo bolla ormai come un "caso", che scrive di "misura colma" nella gestione dell'Economia. Il titolare del dicastero lascia trascorrere le poche ore necessarie a prendere atto che dal premier Berlusconi non arriva alcuna presa di distanza dal ministro Galan che accusa il collega di essere "un socialista all'Economia". Ecco, è a quel punto, a mezzogiorno, che anche Tremonti ritiene la misura sia colma.

La solidarietà del Cavaliere arriverà solo dopo la sfuriata, alle 14. Accompagnata dalla promessa di riceverlo in giornata per quel chiarimento che il Professore pretende, se davvero Berlusconi ritiene di volerlo ancora al governo. Il faccia a faccia tra i due arriva a fine giornata, la più amara forse per Tremonti dopo quella delle dimissioni alle quali venne costretto sotto i fendenti di Fini e Casini nel 2004. Ma era una vita fa. Le due ore di confronto serrato a Palazzo Chigi serviranno a siglare una tregua. Tregua armata che reggerà, certo, almeno fino alle amministrative. Il presidente del Consiglio Berlusconi che lo rassicura: "La nostra linea politica economica è condivisa. Giulio, la penso come te: queste polemiche indeboliscono il governo. Mi è chiaro che la linea del rigore è l'unica possibile. Io con queste polemiche
non c'entro nulla, non ho sentito nessuno del Giornale, e poi figurarti se in campagna elettorale e sotto Pasqua monto su una polemica del genere". La tesi è quella del complotto cucinato in casa: "È tutta una strumentalizzazione, vedi l'uscita di Galan, quella del deputato Ceroni, la trovata di Lassini a Milano. Io non c'entro nulla".

Tremonti incassa. Il caso per lui si chiude con quella sorta di ammenda fatta dal premier. Ma il quadro gli è chiaro. Sa bene che Berlusconi per l'intera giornata non ha mai chiamato Galan per redarguirlo, lo farà solo la sera per un colloquio "cordiale". Ma tant'è. Al ministro a questo punto interessa altro. Interessa incassare il pieno sostegno sulla politica economica della quale lui è l'unico (e non poco criticato) regista in seno al governo. L'inquilino di via XX Settembre si presenta in Presidenza con la sua cartella zeppa di carte e tabelle che dispone in pochi secondi sul tavolo del premier. Mostra grafici, numeri, parametri. "Vedi, la nostra economica reale sta migliorando. Il nostro rapporto deficit-Pil è tra i più avanzati in Europa. Questo però non vuol dire che possiamo creare altro deficit. Questo non vuol dire alimentare altra spesa pubblica". Berlusconi annuisce, dice di concordare appieno. Non potrà fare diversamente. Anche perché, come ha modo di mostrare ancora il titolare dell'Economia, la situazione internazionale è pesante, sono ancora alti i rischi che corrono Portogallo, Spagna e Grecia. Cautela e buon senso inducono a escludere che possa esservi la "frustata" all'economia tanto auspicata e promessa dal presidente del Consiglio. Non è il momento. È un punto a favore di Tremonti. Berlusconi ancora una volta prende atto, incassa. Non entusiasta. "Ma almeno la riforma fiscale proviamo a portarla avanti, per presentarla magari tra sei mesi" abbozza il Cavaliere. Una botta, per lui che sognava di annunciarla nell'ultimo comizio utile della campagna elettorale, il venerdì 13 maggio, dalla piazza di Milano.

Tremonti tiene il punto, certo. Ma misura da ieri anche quanto sia profonda la sua solitudine nella squadra di governo. Dalla quale si è levata appena la voce di Altero Matteoli per prenderne pubblicamente le difese. Dagli altri big pidiellini un invito generico a evitare polemiche in campagna elettorale. Risale a neanche un mese fa, d'altronde, la cena alla quale parteciparono nove ministri su tredici per dire basta alla linea rigorista, ai cordoni sigillati del collega così vicino alle istanze della Lega. Per il momento Tremonti mastica amaro e va per la propria strada. La tirata di Galan la considera frutto dell'astio di chi ha dovuto cedere il Veneto al Carroccio. Il Giornale, dal quale almeno tre volte negli ultimi sei mesi era stato attaccato pesantemente, interprete della pancia del partito. Voce dei colonnelli più oltranzisti. Del resto, la recente investitura pubblica di Angelino Alfano alla successione ha finito col segare l'ultimo filo della corda che legava il Professore, successore in pectore, e il Cavaliere.

Nei colloqui avuti nel pomeriggio con i suoi prima del faccia a faccia, Berlusconi era stato assai schietto. Un colpo al cerchio, uno alla botte. Come spesso accade. "Siamo in campagna elettorale, comprendo le proteste dei ministri che si ritrovano col budget azzerato, ma dobbiamo abbassare tutti i toni". Almeno fino al 15 maggio. Ma se questo è il clima, lasciano filtrare i deputati pidiellini fedeli a Tremonti, allora la manovra da 35 miliardi che Bankitalia vorrebbe già a settembre la farà qualcun altro. 

(22 aprile 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #51 inserito:: Maggio 01, 2011, 05:17:15 pm »

di CARMELO LOPAPA

Il governo spaccato sulla Libia


L'Italia archivia il nucleare. Anzi no. Berlusconi, al fianco di Sarkozy, confessa pubblicamente l'escamotage ideato per evitare il referendum di giugno e rilanciare subito dopo, "nell'arco di uno, due anni" la risorsa energetica che il premier ritiene ancora "il futuro per tutto il mondo". Solo un incidente, Fukushima, disastro grave ma casuale, lo supporta il presidente francese durante la conferenza stampa che segue l'atteso vertice bilaterale in cui arriva anche un chiarimento sulle Opa francesi sulle imprese italiane (Parmalat in testa) e il via libera di Sarkozy alla nomina di Draghi ai vertici della Bce. Quanto al referendum sul nucleare, "la gente era contraria, farlo adesso avrebbe significato eliminare per sempre la scelta" di quella fonte energetica, spiega il Cavaliere giustificando la norma-moratoria approvata pochi giorni fa al Senato. "Un bluff", appunto, lo definisce il Pd che ritiene a questo punto indispensabile tenere in vita il referendum abrogativo. "Un imbroglio" a sentire Antonio Di Pietro. "Intende prendere in giro gli italiani", sostiene Nichi Vendola.
Ma i maggiori problemi in questo momento per il presidente del Consiglio coincidono con la sua decisione di intervenire in Libia al fianco della Nato anche con i Tornado bombardieri, come richiesto da Obama. Per Berlusconi il dissenso della Lega è comprensibile ma quasi già superato. Non è così, gli notifica subito Umberto Bossi. "Non sono d'accordo sui bombardamenti" dice il Senatur confermando la linea già dettata dai suoi. Già poche ore il vertice italo-francese, era stato il ministro Calderoli a ribadire che il Carroccio farà sentire la sua voce e farà valere il proprio voto contrario in Consiglio dei ministri. Peccato che per il premier la decisione sia già presa e acquisita dal governo col via libera alla risoluzione Onu di poco più di un mese fa. Dal Pdl, il coordinatore La Russa si dice convinto che "la spaccatura non ci sarà", ma nei fatti già c'è. E oggi lo stesso ministro della Difesa riferirà con Frattini in commissione alla Camera. Ma un voto non ci sarà.
Gli unici davvero rinfrancati dentro la maggioranza, al termine della convulsa giornata, sono i "Responsabili", i quali incassano la promessa (la terza in un mese) del rimpasto per nove di loro. In arrivo col Consiglio dei ministri di venerdì.

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« Risposta #52 inserito:: Maggio 07, 2011, 06:25:09 pm »

di CARMELO LOPAPA

Lo stop del Colle: serve chiarezza sul rimpasto


Un nuovo monito del Colle scuote il cammino della maggioranza e del governo. Suscita la reazione piccata del Pdl e della Lega e crea parecchia fibrillazione a una settimana dal voto per le amministrative.
Un mese fa la nomina del ministro Saverio Romano era stata accompagnata dai rilievi del presidente Napolitano per via delle inchieste a carico del deputato siciliano. Ieri, la firma ai decreti di nomina dei nove sottosegretari da parte del Quirinale è stata suggellata da una nota che ha una forte, inattesa valenza politica.
Napolitano fa notare infatti che "sono entrati a far parte del governo esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche". Quindi, è la conclusione, "spetta ai presidenti delle camere e al presidente del Consiglio valutare le modalità con le quali investire il parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il governo". Doccia gelata per i vertici di Pdl e Lega. Il premier Berlusconi si guarda bene dal commentare in pubblico l’avvertimento del Colle, ma lascia filtrare tutta la sorpresa di Palazzo Chigi. E l’intenzione di non prevedere alcun voto in aula. Tanto più che i nuovi nominati provenienti dall’opposizione in realtà sarebbero solo tre sottosegretari, oltre al ministro Romano.
La reazione ufficiale viene affidata ai quattro  tra capigruppo e vice del Pdl. I quali sottolineano come non vi è alcuna necessità di un nuovo voto in Parlamento perché le votazioni di fiducia degli ultimi mesi — è la tesi — hanno già confermato l’attuale maggioranza allargata. L’intenzione, dunque è di lasciare cadere nel vuoto l’ennesimo monito. Questa volta, con il sostegno pieno e esplicito del leader leghista Bossi. Nonostante i mugugni della sua base per l’infornata dei transfughi al governo, il Senatur dà ragione a Berlusconi, sostiene che ha fatto bene e che non occorre alcun voto. Ma sarà il capo dei Responsabili, pluripremiati sottosegretari, Luciano Sardelli a reagire senza alcuna diplomazia all’indirizzo del Colle, parlando di intervento "improprio e intempestivo", valutazione da "Repubblica ormai senile". Plaude a quell’intervento, invece, tutta l’opposizione. Pd, Fli e Idv, in particolare.
In giornata, durante la cerimonia di giuramento dei nuovi sottosegretari a Palazzo Chigi, il premier Berlusconi aveva ribadito la sua intenzione di procedere a breve a nuove nomine. Adesso dovrà rivedere forse i suoi piani. Anche il caso Ruby scuote il capo del governo: i pm di Milano hanno chiesto il rinvio a giudizio per la Minetti, Fede e Mora. E lunedì prossimo Berlusconi tornerà nelle aule del tribunale di Milano per partecipare all'udienza del processo Mills.

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« Risposta #53 inserito:: Maggio 07, 2011, 06:28:31 pm »

di CARMELO LOPAPA

Le poltrone-premio non bastano per tutti


Il primo tratto distintivo dell'infornata di nuovi sottosegretari è che domina la componente degli ex finiani. Segnale preciso al nemico numero uno del premier e a chi gli è rimasto fedele. Nove poltrone - la metà appunto ex Fli - per appagare gli appetiti dei Responsabili in fermento da settimane, per un rimpastino destinato ad aprire tuttavia nuove falle. Chi resta fuori grida già al tradimento, dai cristiano-popolari Baccini e Galati al vetero dc Pionati, pronti forse a una nuova giravolta.

Nel consiglio dei ministri con cui il governo vara l'atteso decreto sviluppo  -  voluminoso documento colmo di impegni e promesse a dieci giorni dal voto - viene ufficializzata dunque anche la prima tranche della spartizione di sottogoverno. E' lo stesso Silvio Berlusconi, a Palazzo Chigi, a comunicare la lista: Misiti alle Infrastrutture, Rosso all'Agricoltura, Bellotti al Welfare, Polidori e Melchiorre allo Sviluppo Economico, Cesario e Gentile all'Economia, Catone all'Ambiente e Villari ai Beni cuilturali. Spiegando che si tratta di un doveroso riconoscimento alla "terza gamba" che consente alla maggioranza di andare avanti in Parlamento. Non arriva invece l'atteso viceministero per Massimo Calearo, ex Pd, che dovrà accontentarsi di un ruolo (pur accettato) di consigliere del presidente per il commercio estero. Quella poltrona, invece, lasciata da Adolfo Urso, come pure quella del ministero alle Politiche comunitarie (ex Ronchi), il Cavaliere preferisce lasciarle ancora libere in attesa di nuovi arrivi. Magari dei precedenti titolari.

Le nomine non fanno in tempo a essere ufficializzate che si scatena la polemica. "Grande abbuffata e triste spettacolo" per la democratica Rosy Bindi, "indecente infornata per stare in piedi" è la lettura di Casini, un "conto saldato con i disponibili" commentano sarcastici da Fli. Per un nodo che in parte si risolve, un altro resta aperto però in seno alla maggioranza e al governo. Ed è quello della successione, dopo l'apertura di Berlusconi a Tremonti di ieri.

da - www.repubblica.it/politica/
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« Risposta #54 inserito:: Maggio 10, 2011, 11:55:47 am »

di CARMELO LOPAPA

Scontro a distanza tra il Colle e il premier

Negli stessi minuti in cui il capo dello Stato si commuoveva ricordando al Quirinale i magistrati uccisi dal terrorismo, in occasione della celebrazione della Giornata della memoria, il presidente del Consiglio Berlusconi annunciava la commissione di inchiesta contro "certi pm". Le toghe, quelle inquirenti "non quelle giudicanti", vengono definite ancora una volta un "cancro". Il premier entra in un Palazzo di giustizia sull'ingresso del quale, per volontà dell'Anm in memoria dei colleghi, campeggiano le immagini dei giudici uccisi. Fuori ancora momenti di tensione.

E' indispensabile "parlare responsabilmente della magistratura e alla magistratura nella consapevolezza dell'onore che ad essa deve essere reso come premessa di ogni produttivo appello alla collaborazione necessaria per le riforme necessarie" è il monito che lancia il presidente della Repubblica Napolitano, parlando al cospetto dei parenti delle vittime. Il suo riferimento alle polemiche e agli attacchi del leader Pdl alla magistratura sarà solo implicito, ma sufficientemente chiaro. "Parole chiarissime" dirà infatti il presidente dell'Associazione magistrati Luca Palamara. Il principale destinatario di quel messaggio, Silvio Berlusconi, in quegli istanti non può ascoltarle.

E' impegnato a Milano per un'udienza del processo Mills. Premette che è stato "indebito" equiparare i pm alle Br, come ha fatto il candidato della sua lista a Milano Roberto Lassini, col quale pure conferma che è intercorsa una telefonata dopo il suo annunciato (e poi ritrattato) ritiro dalla corsa. Berlusconi dice anche che le figure dei magistrati uccisi dal terrorismo sono "eroiche". Detto questo, preannuncia una commissione di inchiesta parlamentare per verificare se tra i pm di Milano, quelli cioè che indagano sui suoi affari e sul suo trascorso di imprenditore, esista una qualche forma di "associazione a delinquere". E, nel giro di poche ore, emerge già una proposta di legge ad hoc predisposta dal Pdl alla Camera, depositata il 4 febbraio. Le opposizioni insorgono.

Di Pietro chiede un ulteriore intervento del capo dello Stato. Il Pd con Anna Finocchiaro sostiene che le parole del premier sono "irresponsabili". Gianfranco Fini non è da meno. Sostiene che Berlusconi "non sarà mai presidente della Repubblica: semplicemente perché non controllerà la maggioranza del prossimo Parlamento".

da - repubblica.it/politica/?ref=HRBP-3
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« Risposta #55 inserito:: Maggio 16, 2011, 11:22:19 am »

di CARMELO LOPAPA

Occhi puntati su Milano Bossi: passiamo noi

Si vota, il partito dell'astensionismo rosicchia un punto, ma nulla di più, dopo la prima mezza giornata a urne aperte. Amministrative al via e a mezzogiorno l'affluenza ai seggi è stata in tutta Italia del 13 e mezzo per cento contro il 14,5 di cinque anni fa. Ma in crescita di un soffio sono i votanti nel cuore di questa consultazione, a Milano.
Silenzio elettorale, in teoria. I big di centrodestra in realtà non resistono alla tentazione di parlare alle porte dei seggi. Lo fa Bossi, lo fa con alcuni fedelissimi Silvio Berlusconi. Silenzio e rispetto delle regole elettorali, al contrario, da parte di tutti i big del centrosinistra. D'altronde, il presidente del Consiglio si appresta domattina a presenziare all'udienza del processo Mills dove non è escluso un nuovo show anti-pm, stavolta a urne aperte.  "Vinciamo al primo colpo" dice il leader della Lega Nord mentre si appresta ad entrare al seggio delle elementari don Orione di via Fabriano a Milano. Per il Senatur, accompagnato dal figlio, l'ipotesi ballottaggio lì non esiste. Convinto com'è che a trainare sarà il Carroccio, che "prenderà tanto". È lo stesso ministro a rivelare il colloquio intercorso ieri col presidente del Consiglio, al quale ha garantito sostegno e fedeltà, perché "ci ha dato i voti per fare il federalismo, ci interessa quello e che ci dia i voti per fare le prossime riforme". E ottimismo, su Milano e non solo, ha predicato anche Berlusconi ai suoi. "Non è pensabile che una città come Milano non possa essere governata da noi, è una città che deve guardare avanti e non può guardare al passato" ha detto ad alcuni sindaci dell'hinterland milanese dopo aver lasciato il seggio di via Scrosati a Milano. Insistento poi col refrain di questa campagna: "Noi siamo l'unica forza moderata, come possono i moderati dare un voto a questa sinistra radicale, ai Vendola e ai Pisapia fiancheggiati dai centri sociali e dai violenti?"  Di tensione nell'entourage pidiellino se ne percepisce parecchia. E a preoccupare di più è proprio la piazza milanese. E' lì che il Cavaliere è sceso in campo in prima persona, è lì che ha "messo la faccia" (da capolista al Comune) ed è lì che una mancata vittoria al primo turno potrebbe segnare i destini del governo e della legislatura.

da - repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #56 inserito:: Maggio 23, 2011, 04:55:42 pm »

RETROSCENA

Il Cavaliere spiazzato dal Senatur "Sfascia tutto, pensa al dopo-voto"

"Proprio ora che dovremmo batterci uniti, abbiamo guerre intestine e minacce di crisi".

Pugno di ferro sul partito: basta con i personalismi

di CARMELO LOPAPA


LO strappo del Senatur sui ministeri, le minacce di crisi dei suoi a Roma. Stretto nella tenaglia a una settimana dai ballottaggi, Berlusconi lo descrivono furente.

Col Pdl che sembra sgretolarsi nel momento più rischioso per la tenuta dello stesso governo. "Umberto sta tirando la corda, pare che giochi davvero allo sfascio, che dia già per persa Milano e pensi al dopo" si sfoga il premier coi dirigenti milanesi che lo accompagnano all'ospedale San Carlo, dove nel tardo pomeriggio va a far visita alla madre dell'assessore aggredita sabato.

E di fronte al fantasma di un Bossi in realtà intenzionato a staccare la spina dopo il 29 maggio, non è un caso se per tutta la giornata i dirigenti pidiellini rilanceranno nelle loro dichiarazioni il refrain dettato da Arcore. Lo stesso che in serata ripeterà davanti ai microfoni il presidente del Consiglio: l'esito del ballottaggio sarà ininfluente sulla tenuta della maggioranza e del governo. Concetto che da qui a sabato Berlusconi pretende sia rilanciato con insistenza, come uno spot. Consapevole com'è che di rischi la maggioranza ne corre eccome. Che una "guerra civile" è in corso: ma non quella evocata ieri della campagna elettorale milanese per colpa dei "rossi", ma quella ormai aperta e dichiarata dentro il Pdl. "Proprio in questo momento in cui dovremmo batterci tutti insieme come un sol uomo, in cui dovremmo tirare la volata alla Moratti e a Lettieri, ci troviamo a fronteggiare le minacce di crisi dei nostri, le guerre
intestine delle correnti, le ambizioni personali" è il lamento di queste ore del Cavaliere. Chi lo ha sentito o affiancato ieri a Milano lo ha trovato amareggiato, perfino abbattuto. Comunque intenzionato più di prima a rimettere mano al partito fin da giugno. Verdini e la Russa non si toccheranno, ma tutto il resto sarà rimesso in discussione. A cominciare dalla sopravvivenza delle correnti. Perché "non è tempo di pensare alla mia successione, d'ora in poi testa bassa e pedalare". Ma è un Berlusconi che accusa il colpo. Preoccupato ancor più di prima per la riuscita della rimonta della Moratti su Pisapia.

È stato incerto fino al tardo pomeriggio se andare o meno a incontrare la militante aggredita. La mediazione escogitata, quella del trasferimento in Lombardia solo di "dipartimenti", anziché di interi dicasteri come vorrebbe la Lega, lo ha convinto alla fine ad accettare il passaggio davanti alle telecamere. La minaccia di crisi del sindaco Alemanno - forte di una dozzina di deputati sufficienti in effetti a mandare a picco l'esecutivo - ha gettato ancor più nello sconforto il premier, raccontano. Quando ieri mattina l'ex colonnello di An e la Polverini hanno preso atto delle insistenze del Carroccio sulla storia dei ministeri, allora è stato il primo cittadino a chiamare di persona il ministro Tremonti per mettere in chiaro: "Puoi dire al presidente che noi facciamo sul serio, che può saltare tutto davvero, se non corre ai ripari, se non frena Bossi che detta ormai legge".

L'inquilino di via XX Settembre non ha perso tempo e ha telefonato a sua volta al premier, col quale per adesso regge quanto meno una tregua elettorale. E nasce da quell'avvertimento - e dalla consapevolezza del premier che con Alemanno si sono schierati tra gli altri La Russa, Gasparri, la Meloni - la nota congiunta che i capigruppo di Camera e Senato del partito renderanno pubblica a metà giornata per dire "no al trasloco".
Il fatto è che a incendiare gli animi in uno scontro ormai frontale con la Lega si è messo anche il governatore pidiellino Roberto Formigoni. Mentre Micaela Biancofiore con l'intervista di ieri al Corriere ha già notificato il suo addio al partito per aderire al nascente progetto politico di Scajola. Gli ex An sono in rotta e i ministri di Liberamente (Frattini, Gelmini, Carfagna) insofferenti. I ciellini sospettati di non aver fatto abbastanza a Milano. Crepe su crepe, correnti che danno vita ad altre correnti. Più che un rischio, per dirla con Quagliariello, la prospettiva che il Pdl "vada in frantumi". Di tutto questo si dovrebbe parlare nel vertice di oggi ad Arcore coi big del partito milanese (sebbene ieri in serata non si avesse ancora piena conferma), a cinque giorni dal ballottaggio. "È il momento della campagna elettorale per vincere, non quello delle minacce o delle divisioni, è bene che tutti lo comprendano" fa quadrato Daniela Santanché. "Altro che disimpegno, io e Formigoni abbiamo mandato in giro mille ragazzi in 170 parrocchie milanesi a illustrare i programmi della Moratti e di Pisapia" racconta l'eurodeputato milanese Mario Mauro, vicino al governatore, convinto che "la ripresa c'è". Ma nessuno nel Pdl è disposto a scommettere che sarà sufficiente.

(23 maggio 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #57 inserito:: Giugno 06, 2011, 11:32:11 am »

Il retroscena

Le condizioni di Bossi: "Svolta su fisco o voto"  Ma il premier sogna il traguardo del 2013

Incontro a Villa San Martino tra vertici Pdl e Lega. Bossi vuole accelerare su fisco e ministeri al Nord.

Sul piatto anche la poltrona di Guardasigilli, liberata da Alfano: in pole position Lupi, ma si affaccia il nome di Castelli

di CARMELO LOPAPA


La tentazione di Bossi. Sottrarsi al logoramento e stringere col premier un patto di governo a tempo. Otto, nove mesi per andare al voto nel 2012, dopo aver messo a segno pochi ma incisivi provvedimenti in grado di riconquistare consensi al Nord. "Perché o si cambia o sarà meglio andare al voto subito" è quanto va ripetendo il Senatur (audio 1).

Dovrà fare i conti con la resistenza a oltranza di Berlusconi, che dall'alleato invece pretenderà pieno sostegno per portare la legislatura fino alla scadenza naturale del 2013. Senza strappi e, ovvio, senza alcun passo indietro da parte sua: l'inquilino non lascia Palazzo Chigi.

A chi lo ha sentito nel primo week end di relax trascorso ad Arcore dopo la batosta elettorale, il Cavaliere è apparso più determinato che mai alla vigilia del vertice in programma oggi a ora di pranzo a Villa San Martino. Appuntamento nel quale Angelino Alfano esordirà da neo segretario, assieme ai coordinatori pidiellini, e in cui col leader del Carroccio e i ministri Maroni, Calderoli ci sarà il loro "guru" economico, Giorgetti. Non a caso: tutti i riflettori saranno puntati sul commensale Giulio Tremonti. "Voglio vedere se con l'aiuto di Umberto, che come noi ha perso le elezioni per colpa del fisco e degli imprenditori delusi, riusciremo a convincere Giulio a cedere una volta per tutte".

In cima ai pensieri del presidente c'è la riforma fiscale da annunciare e approvare nel giro di poche settimane, ci sono i famosi cordoni della borsa da allargare. Proprio quelli che il ministro dell'Economia intende tenere sigillati, tanto più alla vigilia di una doppia manovra (giugno e fine anno) che già si preannuncia - e che l'Ue pretende - da lacrime e sangue. Ecco, su questo punto Berlusconi è convinto di trovare proprio in Bossi una solida sponda.

Ai primi punti dell'agenda per il rilancio che gli uomini del Carroccio porteranno ad Arcore, c'è proprio lo stop alla politica di "aggressione fiscale", quella delle ganasce e della lotta spietata all'evasione, per intendersi, che ha portato alla mezza rivolta degli imprenditori di Treviso di qualche giorno fa. "Quella è gente nostra, ha già minacciato che non ci vota più, non possiamo voltar loro le spalle" va ripetendo da giorni il Senatur ai dirigenti di Via Bellerio. Allora, rigore sì, Tremonti resta il loro faro, ma il ministro sarà invitato anche dai "lumbard" a cambiare registro.

Ma un Berlusconi indebolito dalla sconfitta elettorale e incalzato sul fronte interno dal pressing pidiellino sulla successione, sa bene che in questa partita con Bossi si gioca la propria sopravvivenza politica. Sa che dietro l'angolo potrebbe esserci la richiesta da parte dell'alleato di cedere il testimone, alla prossima tornata elettorale. Ecco perché Bossi e i suoi troveranno un padrone di casa piuttosto accondiscendente. Tra le portate della colazione non è escluso che venga servito il più pesante dei ministeri rimasto vacante: quello alla Giustizia liberato da Alfano.

Se finora il premier non si è sbilanciato sull'avvicendamento, è proprio perché intende sondare gli umori leghisti. Il più quotato dei papabili resta il pidiellino Maurizio Lupi, ma il Cavaliere non si straccerà le vesti, raccontano i suoi, per difendere una soluzione interna. Soprattutto se Bossi dovesse proporre Roberto Castelli, già leale e sperimentato Guardasigilli del vecchio governo Berlusconi. Non solo. Dal vertice di oggi il ministro delle Riforme vuole incassare il via libera al trasferimento di almeno un ministero a Milano. Il suo, nella fattispecie, magari con il dicastero alla Semplificazione di Calderoli annesso. Con buona pace degli ex An e del Pdl romano, Alemanno in testa. Il premier proverà a cedere solo dipartimenti, come aveva già abbozzato. Ma Bossi ha deciso di fare di questo uno degli annunci "forti" all'adunata di Pontida del 19 giugno.

Il sospetto che il Senatur stia premendo fin troppo sull'acceleratore con l'obiettivo recondito dello schianto, magari per dar vita entro l'anno a un esecutivo Tremonti e cambiare la legge elettorale, aleggia eccome in casa Pdl. "Speriamo che gli amici leghisti comprendano che non sono i ministeri a Milano a riportare a casa i voti persi - ragiona il berlusconiano doc Osvaldo Napoli - ma piuttosto la capacità di rilanciare l'economia". Già, ma Tremonti accetterà davvero di cambiare registro? La tensione è cresciuta parecchio, in queste ore, al ministero di via XX Settembre, cinto d'assedio su più fronti. "Berlusconi è stato sempre in grado di mediare quel che sembrava inconciliabile - confida l'eurodeputato Pdl Mario Mauro - dalla Lega alle varie anime del nostro partito". Questa volta l'impresa sarà ancora più ardua.

(06 giugno 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #58 inserito:: Luglio 11, 2011, 09:13:30 am »

di CARMELO LOPAPA

Emergenza debito sulla manovra clima bipartisan


Domenica col fiato sospeso. Vigilia di apertura dei mercati e rischio speculazione all’orizzonte. Così, sulla manovra che approda adesso al Senato e che è al centro delle attenzioni internazionali (e del vertice Ue che si riunirà tra poche ore), il governo tende la mano all’opposizione e apre a modifiche e contributi del centrosinistra in aula. E’ quasi un appello, quello che viene lanciato da ministri e capigruppo Pdl. Accolto, ma solo in parte e a precise condizioni, dai leader di Pd, Idv e Udc.

Silvio Berlusconi rinuncia alla telefonata prevista in mattinata alla festa Pdl di Mirabello. Un prevedibile sfogo dopo la batosta della sentenza sul lodo Mondadori che il premier ha voluto evitare, come spiega il portavoce Bonaiuti. Proprio alla luce della delicatezza del momento e delle probabili turbolenze in arrivo. L’antidoto sarà la manovra da 47 miliardi di euro, che tuttavia andrà rivista e modificata al Senato. Lo ha promesso lo stesso presidente del Consiglio, lo pretende la sua maggioranza.

La svolta delle ultime ore è lo spiraglio aperto anche alle opposizioni. "Il miglior modo di onorare i 150 anni è vedere governo ed opposizione insieme, di fronte all'Europa e al mondo — dice il ministro Frattini — a difendere un’Italia solida nei conti e nei fondamentali economici, soprattutto unita, decisa, e capace di scoraggiare ogni attacco speculativo". E al "generale senso di responsabilità di maggioranza e opposizione" fa appello anche il capogruppo Pdl Cicchitto. Già due giorni fa, i segretari di Pd e Udc, Bersani e Casini, avevano siglato a Bologna un patto per un’azione congiunta delle opposizioni per far fronte alla crisi e chiedere riforme "vere".

I democratici tuttavia, avverte il leader in visita a Gerusalemme, saranno disponibili al confronto, ma non all’astensione: "Le opposizioni sentono la responsabilità nazionale davanti alla crisi economica soprattutto perché il governo è nel marasma — dice Bersani — Rimaniamo opposizioni ma vogliamo essere propositivi". Di Pietro annuncia che non farà ostruzionismo e che i correttivi dell’Idv punteranno solo alla riduzione della spesa.

Ora tutta l’attenzione è centrata sull’apertura delle borse. E ancora una volta il pallino è nelle mani del ministro dell’Economia, già segnato dalle notizie sull’inchiesta che ha travolto il suo braccio destro Marco Milanese. Toccherà a Tremonti difendere la manovra nel vertice Ue sulla crisi. E convincere i mercati.

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« Risposta #59 inserito:: Luglio 16, 2011, 04:49:08 pm »

IL CASO

La politica si fa lo sconto, sfuma il taglio agli stipendi degli onorevoli

Correzione notturna al testo neutralizza la norma precedente che riduceva le indennità alla media degli altri Paesi europei.

L'ira delle opposizioni.

I rimborsi elettorali saranno ridotti solo dalla prossima legislatura, meno auto blu ma dal 2012

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Taglio alle indennità dei parlamentari addio, o quasi. Meglio equipararsi ai sei paesi più ricchi dell'Unione europea. E poi rimborsi elettorali ridotti ma dalla prossima legislatura, auto blu da ridimensionare ma dal 2012, vitalizi salvati in extremis, finanziamenti ai partiti appena sforbiciati. Doveva essere il fiore all'occhiello della manovra lacrime e sangue. Il buon esempio all'insegna dell'austerity dato dalla politica, perché - ammoniva Tremonti ancora pochi giorni fa - non si possono chiedere sacrifici agli italiani senza imporli alla classe dirigente.

E invece ecco servito il bluff. La manovra appena approvata da 70 miliardi, che si abbatterà tra ticket e superbolli su famiglie e risparmiatori, nel testo definitivo rinvia e in qualche caso annulla i buoni propositi di chi l'ha scritta. Il colpo grosso è andato in scena nel chiuso delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio al Senato sulla norma più attesa. Proprio quella che avrebbe dovuto equiparare le indennità parlamentari a quelle dei paesi Ue. Falcidiata tra la notte del 12 e il 13 mattino grazie a un paio di emendamenti targati Pdl.

Il testo originario di Tremonti prevedeva (dalla prossima legislatura) l'equiparazione delle attuali indennità parlamentari italiane a quelle dei 17 paesi dell'area euro. A conti fatti, per passare dall'attuale "trattamento economico" base (al netto delle varie voci accessorie) di quasi 12 mila euro mensili lordi dei nostri parlamentari, ai 5.339 euro della media europea, com'è
stata di recente calcolata dal Sole 24 ore. Risultato: Camera e Senato che oggi sborsano circa 144 milioni all'anno per le indennità, ne avrebbero spesi solo 62 milioni, meno della metà (il 53,5% in meno).

E invece, viene azzerato o quasi quel risparmio da 82 milioni. Come? Grazie a due colpi sottobanco. L'emendamento 1.1 del relatore in commissione, il pidiellino Picchetto, che prevede intanto un adeguamento della paga a quella non dei 17 paesi euro, ma dei "sei principali" paesi Ue, quindi dei più grandi. Infine, con l'emendamento 1.2 del duo siciliano (sempre Pdl) Fleres-Ferrara, con cui viene sancito che in futuro l'adeguamento andrà fatto in base alla "media", sì, ma "ponderata, rispetto al Pil" di quei paesi. Dovrà tener conto cioè non del numero dei cittadini, ma della ricchezza dei sei paesi. Bizantinismi. Sta di fatto, protesta il senatore Pd Francesco Sanna che si è battuto in commissione, "che con il sistema prescelto da maggioranza e governo la riduzione, se ci sarà, sarà lievissima". Anzi, con la media "ponderata al Pil", non sarà neanche detto che la decurtazione ci sarà. Il Pdl d'altronde in commissione aveva difeso a spada tratta la busta paga, contro "la deriva populista" e in difesa della "prestigio del Parlamento", con una sfilza di interventi, da Raffaele Lauro a Giuseppe Saro a Andrea Pastore. Missione compiuta.

Ma è solo il bluff più macroscopico, tra quelli che vengono a galla in queste ore in cui enti locali e sindacati denunciano la mannaia da 500 euro l'anno a famiglia in arrivo con la manovra. Scomparsa la norma che cancellava i vitalizi dei parlamentari che - grazie ai 2.238 assegni staccati ogni mese da Camera e Senato per gli "ex" - comportano un esborso annuo da 218,3 milioni di euro: ben più che per gli onorevoli in servizio. Mai messa nero su bianco quella annunciata sull'azzeramento delle indennità da 2.243 euro dei ministri (che si somma a quella da parlamentare) che avrebbe consentito di risparmiare 100 mila euro al mese, dunque un milione e 200 mila euro l'anno. Ha vissuto solo un paio di giorni sui giornali. Le auto blu - che sono oltre 15 mila e costano 1 miliardo di euro l'anno - non potranno avere in futuro una cilindrata superiore a 1.600, ma quelle in servizio saranno tenute fino alla rottamazione. I rimborsi elettorali ai partiti per le elezioni, che pesano per 180 milioni di euro, saranno ridotti, ma solo "dalla prossima legislatura" e solo del 10 per cento: 18 milioni appena di risparmio. Il voto di ogni tedesco oggi viene ripagato ai partiti con 38 centesimi, in Italia continuiamo a viaggiare sui 3,5 euro. Il rigore sulla politica può attendere.

(16 luglio 2011) © Riproduzione riservata
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