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Autore Discussione: CARMELO LOPAPA  (Letto 70088 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Dicembre 10, 2010, 07:08:00 pm »


di CARMELO LOPAPA

L'ultimo forcing del Cavaliere

Dieci paginette in tutto. Per convincere gli ultimi indecisi, strappare la fiducia di misura e portare avanti comunque governo e legislatura. Silvio Berlusconi la notte scorsa ha illustrato ai dirigenti Pdl strategia e linee guida del discorso che lunedì leggerà prima al Senato e poi alla Camera. Proporrà un nuovo patto di legislatura a chi lo vorrà sostenere. Molto simile a quello già sottoposto alla fiducia il 29 settembre. Ma il punto forte sarà il richiamo al "senso di responsabilità", rivolto a tutti i parlamentari elettti nel Pdl. A cominciare dagli ex transitati in Futuro e libertà. Solo uno spiraglio di apertura sulla riforma elettorale, forse, ma con il paletto del "bipolarismo" che "non si tocca". Tutto questo, ha spiegato il premier, solo se non ci sarà il rischio di un logoramento quotidiano. In quel caso, l'unica via che verrà illustrata al Quirinale sarà il ritorno a breve alle urne.
Ma è proprio quel logoramento che Umberto Bossi teme. Il Senatur ha già messo in guardia il presidente del Consiglio: anche con una maggioranza risicata, non sarebbe procedere oltre sulla via delle riforme e di un governo stabile. E' anche su questa divergenza di vedute con il Cavaliere che si giocherà il prosieguo della legislatura. Da martedì in poi. 
Il Parlamento è chiuso ma in Transatlantico siamo in pieno calciomercato. Pdl e Lega, dopo gli ultimi tre passaggi al partito della fiducia, prevale l'euforia: la maggioranza è  convinta di spuntarla con almeno un voto di scarto: 314 a 313. Basterà per tornare a chiedere le dimissioni di Fini. Per il presidente della Camera, che ieri ha compattato i suoi e rinsaldato il patto con Casini, si va invece verso una "crisi al buio". E ora le opposizioni puntano dritte verso la sfiducia. Il Pd la invocherà già domani in piazza.

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« Risposta #31 inserito:: Dicembre 22, 2010, 03:32:09 pm »

IL RETROSCENA

Il Cavaliere tira un sospiro di sollievo

"Ora Pier comincia a ragionare"

Il premier irritato per lo stop alla campagna acquisti a Montecitorio: "Troppa fretta".

Alfano all'opera per perfezionare la creazione del nuovo gruppo di deputati

di CARMELO LOPAPA


ROMA - L'irritazione del premier Berlusconi per la campagna acquisti già congelata alla Camera, per colpa di "procuratori" troppo solerti e sovraesposti, è almeno pari al sollievo che gli procurano nel pomeriggio le ultime uscite concilianti di Pier Ferdinando Casini.

"Adesso Pier ragiona, vedrete che non avremo bisogno di forzare e di trascinare il Paese alle urne" confida ai più stretti collaboratori dopo aver ascoltato in tv le parole del leader terzopolista. Sentire ieri Casini evocare il modello americano e il concorso dall'opposizione alle scelte del Paese è musica per il Cavaliere, alle prese in queste ore col pressing leghista e la voglia matta di Umberto Bossi di passare alla svelta all'incasso elettorale. Il fatto è che tra il presidente del Consiglio e il numero uno dell'Udc è in atto un sottile gioco del cerino, l'uno e l'altro pronti a tutto pur di scaricare sull'avversario la responsabilità di una crisi e della conseguente chiusura anticipata della legislatura. L'incendiario rischierà di pagare il conto alle urne. Ecco perché Berlusconi, come spiegava nel week end ad un ministro, è pronto a staccare la spina solo dopo uno stop plateale in Parlamento, "solo quando sarà chiaro che saranno i terzopolisti e la sinistra che mi impediscono di governare".

Proverà ad andare avanti, intanto. Anche tramite l'"operazione scialuppa" che partirà domani: prima riunione dei 22 deputati del gruppo misto che hanno
votato la fiducia all'esecutivo e che si apprestano a dar vita intanto a un coordinamento, ma presto anche al "gruppo di responsabilità". Manovra da condurre in porto subito per soccorrere il governo nelle cinque commissioni in cui il centrodestra si trova dal 14 dicembre in minoranza e le quattro in cui è in pareggio. La prima mossa sarà la richiesta alla Presidenza della Camera di una presenza dei deputati della nuova formazione laddove non sono rappresentati. Quanto all'iniziativa tenga il premier è confermato dallo sponsor d'eccezione che sovrintende da giorni alle operazioni: il Guardasigilli Angelino Alfano, in stretto contatto con il fondatore del Pid Saverio Romano. Dentro, con i cinque ex Udc, i sette di NoiSud, i quattro ex Fli (Moffa, Polidori, Siliquini e Catone), i tre "responsabili" Scilipoti, Cesario e Calearo, quindi Nucara, Pionati e Grassano. A Montecitorio il gruppo c'è. Al Senato, salvo "prestiti", è fermo a quota nove. Il pressing lì è tanto insistente quanto sterile sulla democratica Baio Dossi.

Il fatto è che la campagna acquisti si è subito arenata anche alla Camera. Berlusconi l'ha presa malissimo. Appena giovedì notte a Bruxelles dichiarava di averne personalmente "recuperati altri otto", alludendo a finiani e centristi pronti all'esodo dopo la sconfitta. Degli otto arrivi non vi è più traccia e il Cavaliere attribuisce la colpa a chi, da Pionati ad altri, si sarebbe mosso senza la dovuta accortezza nei contatti. Il gruppone intanto nascerà, sotto la guida, con molta probabilità, dello stesso Romano - se per lui il mini-rimpasto di fine gennaio non aprirà le porte di un ministero - o di Silvano Moffa. "Lavoriamo guardando anche all'opposizione - racconta il presidente della commissione Lavoro - per un gruppo in grado di garantire le riforme". Con un handicap di immagine, però: il rischio di presentarsi col pessimo brand di partenza del gruppo dei "comprati". Romano, che dei "responsabili" si definisce "l'ostetrico", nega: "Non siamo stati comprati da nessuno e siamo qui per sostenere il governo, salvare il Paese in crisi dal voto e trasformarci in polo attrattivo. Sarà più facile per gli insofferenti finiani e centristi avere un dialogo con un interlocutore strutturato". A breve il nuovo gruppo sarà interlocutore di Berlusconi quando si discuterà di nuovi ingressi al governo. Siliquini, Polidori e Pionati già in pole da sottosegretari. Nucara e Calearo in corsa per qualcosa di più.

(20 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #32 inserito:: Dicembre 22, 2010, 03:32:55 pm »


di CARMELO LOPAPA

Casini apre al premier resta incognita voto


Pier Ferdinando Casini non cede alle sirene del governo Berlusconi. Ma il leader del neonato "Polo della Nazione" apre a un'opposizione sul "modello americano", confermando la disponibilità a discutere delle riforme nell'interesse del Paese. Concessioni che il presidente del Consiglio incassa, pur con scetticismo. E col sospetto che il capo dei centristi voglia lasciargli in mano il cerino della crisi e scaricare sul governo poi la responsabilità della crisi e del voto anticipato. D'altronde, di un ingresso dell'Udc nella maggioranza non vuol sentir parlare Umberto Bossi. "I posti nel governo se li tenga" manda a dire Casini al Senatur.
In questo scenario, le elezioni anticipate restano l'epilogo più probabile, secondo Massimo D'Alema. Perché, sostiene il presidente del Copasir intervistato a "Che tempo che fa", così "non si governa". Ma quella appena trascorsa è stata anche la giornata che ha segnato un ennesimo muro contro muro a sinistra. Nichi Vendola si è scagliato all'attacco di Pier Luigi Bersani e di tutti coloro che nel Pd vorrebbero congelare le primarie per aprire al terzo polo. Un'alleanza che il governatore pugliese, intervistato da Lucia Annunziata, giudica insostenibile. "E poi, se dicono che ho solo 1 milione di voti, perché mi temono?" chiede il leader di Sel. La sua, gli replicherà D'Alema, è una "ossessione da leadership carismatica".
La settimana che si apre oggi sarà invece segnata dall'approvazione al Senato in via definitiva della riforma universitaria. L'appuntamento è per mercoledì. Gli studenti annunciano nuove mobilitazioni. E in questo clima infuocato l'uscita di Maurizio Gasparri, che propone l'arresto preventivo dei presunti violenti, ha l'effetto di una dinamite. Per i democratici sono "parole parafasciste".

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« Risposta #33 inserito:: Dicembre 27, 2010, 12:42:54 pm »

IL RETROSCENA

Sfiducia e "sgarbi" di Tremonti ora Bondi pensa alle dimissioni

Negati fondi per lo spettacolo. "In me amarezza e disincanto". La scelta eviterebbe un quasi certo ko parlamentare.

"Così rafforzerei il governo"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - E adesso Sandro Bondi. Dopo Carfagna e Prestigiacomo, tocca al ministro dei Beni culturali. Il coordinatore Pdl - ad alto rischio sfiducia, alla ripresa, dopo la mozioni da Fli, Pd e Idv - le dimissioni non le minaccia, ma l'intenzione di lasciare la lascia trapelare in queste ore. Il pretesto: l'ultimo smacco subito col mancato reintegro del Fondo per lo spettacolo. Confessa "grande amarezza", perfino "disincanto" a chi gli ha parlato durante il week end festivo.

Concreta la volontà di farsi "da parte: anche per rafforzare il governo", sottrarre se stesso e l'esecutivo alla "campagna stampa denigratoria e immeritata" di questi mesi. La controparte non è il presidente del Consiglio, figurarsi, ma gli stessi avversari esterni e interni che non gli hanno perdonato la serie di insuccessi o che non lo hanno difeso a sufficienza. I crolli a Pompei e la falcidia ai fondi per la cultura, le assunzioni sospette dei "casi umani" familiari e il discusso premio all'attrice Michelle Bonev, amica del premier, alla Mostra del cinema di Venezia. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti risulta nella lista nera, frequenti gli scontri con lui in Consiglio dei ministri. A indurre Bondi a ventilare il gesto più plateale, in ultimo, lo stralcio del Fondo unico per lo spettacolo dal decreto "Milleproroghe" approvato nei giorni scorsi. Tante promesse di reintegro per riportare il Fus a 398 milioni di euro e infine l'ennesimo stop dall'Economia: il budget resta a quota 258 milioni.

Registi e attori ancora una volta sulle barricate a chiedere le dimissioni del responsabile della Cultura  e lui costretto sulla difensiva: "Eppure mi sono battuto". In privato la decisione, già comunicata, sembra, al presidente del Consiglio: "Ora basta".

Ma la scelta sarebbe dettata anche da ragioni di opportunità politica. La sfiducia individuale ha infatti alte probabilità di essere approvata alla Camera, considerati i numeri risicati della maggioranza. E il premier Berlusconi teme, a cavallo del pronunciamento della Consulta dell'11 sul legittimo impedimento, di subire una plateale sconfitta a Montecitorio. In secondo luogo - come spiega un dirigente Pdl in queste ore - la poltrona di un ministro comunque indebolito nell'immagine, spintosi fino a chiedere dal "Foglio" clemenza ai "cari compagni", tornerebbe utile in vista del minirimpasto annunciato per gennaio per allargare la maggioranza. Una somma di ragioni che potrebbe indurre il Cavaliere stavolta ad accettare il forfait del più fedele dei collaboratori.
Tutto questo accade mentre ancora resta aperto il caso Prestigiacomo. Il ministro dell'Ambiente conta di chiarire con un contatto diretto col premier Berlusconi la vicenda legata alla norma (cassata) sulla "tracciabilità" dei rifiuti che l'ha portata all'uscita dal Pdl, la scorsa settimana. Vicenda che per la Prestigiacomo "resta aperta" nonostante le rassicurazioni del presidente del Consiglio durante la conferenza stampa di fine anno ("Caso chiuso").

Un magma in ebollizione, tra i pidiellini di governo. Con l'affare Carfagna appena archiviato e altri ministri insoddisfatti. Il responsabile dei Rapporti col Parlamento Elio Vito - raccontano i pidiellini che gli hanno parlato - per nulla contento della gestione del ddl Gelmini al Senato da parte della "straripante" collega. Lui si tiene fuori dal dibattito politico da oltre un mese e il 14 dicembre si è presentato in aula solo al momento della chiama per uscire subito da Montecitorio. Il ministro dell'Agricoltura Giancarlo Galan invece lamenta la guerra quotidiana con gli "avversari" leghisti che a marzo lo hanno sfrattato dalla Regione Veneto. Sulla gestione della Sanità nella sua ex Regione come sulle quote latte e infine sull'"opa" del Carroccio sulle banche venete, negli ultimi tre mesi è stato un muro contro muro continuo. La Lega non perde occasione per attaccarlo sulle politiche agricole. Lui resiste. Per ora.
 
(27 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/27/news/sfiducia_e_sgarbi_di_tremonti_ora_bondi_pensa_alle_dimissioni-10606435/?ref=HREC1-3
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« Risposta #34 inserito:: Gennaio 02, 2011, 06:52:38 pm »


di CARMELO LOPAPA

L'ombra di Tremonti dietro il gelo leghista


E' un'insofferenza che cresce, un disagio che i leghisti non fanno ormai nulla per nascondere. Scettici, a dir poco, sull'opportunità di portare avanti legislatura e governo: prima Bossi, poi Maroni, in ultimo Calderoli. La Lega Nord gela i buoni propositi del presidente del Consiglio Berlusconi. E all'indomani di Capodanno - mentre il premier riposa ad Arcore e lavora all'allargamento della sua maggioranza - è il ministro per la Semplificazione a lanciare l'ultimatum più stringente. Corredato stavolta da data preferita per il ritorno alle urne: il 27 marzo. Un messaggio recapitato al capo del governo già in fibrillazione per lo scontro sotterraneo con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, per nulla intenzionato ad assecondare Berlusconi nell'allargamento dei cordoni della borsa. Fosse pure per un generoso intervento fiscale in chiave pre-elettorale. Il Cavaliere non nasconde ormai ai suoi il sospetto che in questa sorta di "assedio" al quale lo sottopone il Carroccio, un ruolo non secondario lo svolga d'intesa con Bossi proprio il superministro del suo governo. In gioco, ormai senza tanti infingimenti, c'è la premiership del centrodestra e il dopo-Berlusconi. Il premier non intende rassegnarsi. Il fatto è che le parole delle ultime ore di Roberto Calderoli non lasciano molti spazi alle trattative e alle compravendite in Parlamento. Il ministro fa sapere che "il passaggio decisivo per il treno del governo sarà tra il 17 e il 23 gennaio, quando nelle commissioni competenti si voterà il federalismo fiscale: se la sbarra sarà alzata allora si andrà avanti, se sarà abbassata non resterà che il voto". D'altronde, ai leghisti non interessa altro che condurre in porto quella riforma. Diversamente, "per votare il 27 marzo le Camere bisognerà scioglierle entro il mese di gennaio". Cammino in salita per il presidente del Consiglio, stretto dalla nuova opposizione da destra di Futuro e libertà, che si prepara al congresso di febbraio. "Berlusconi potrà restare a Palazzo Chigi ancora due giorni, due mesi o due anni, a noi non interessa" ragiona Italo Bocchino: "Il problema è il paese in crisi e l'ottimismo del premier peggiora le cose".

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HREC1-1
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« Risposta #35 inserito:: Gennaio 09, 2011, 11:25:40 am »

di CARMELO LOPAPA

Il pressing del Colle e l'imbarazzo di Silvio

Il capo dello Stato torna a spronare al senso dell'unità nazionale. E all'indomani del richiamo al rispetto del Tricolore per chi ha responsabilità di governo - che aveva scatenato la reazione stizzita di Bossi - si rivolge, formulando un auspicio, proprio a quelle regioni in cui più radicato è l'insediamento del Carroccio. Parla da Forlì, il presidente della Repubblica Napolitano, nella seconda tappa della visita in Emilia che ha aperto le celebrazioni per il 150esimo. E dice: "Spero che in altre parti del Paese, a Milano, a Venezia, a Verona, si ripetano iniziative come questa, affinché queste parti del Paese sappiano come divvenero italiane". L'identità nazionale prima di quella localistica.

Incurante delle polemiche con cui la Lega ha ancorato la riluttanza ai festeggiameneti alla tensione per il rush finale della riforma federalista, il Quirinale dunque tiene fermo e alto il vessillo dei valori comuni. Raccogliendo pochi sostegni, a ben guardare, anche dall'ala pidiellina del governo. Presidente del Consiglio in testa. Che sebbene si sia guardato bene dall'affiancare il Senatur nell'offensiva al Colle, si è anche tenuto lontano da qualsiasi forma di solidarietà o di presenza (sua o dei ministri) a questo avvio delle celebrazioni.

Sulla scrivania del premier, alla vigilia della ripresa, pesa piuttosto il macigno della tenuta dell'esecutivo proprio sul banco di prova decisivo per il federalismo. Perché nelle ultime ore i finiani, come già l'Udc e il centrosinistra, hanno preannunciato opposizione. Compreso quel Mario Baldassarri (Fli) decisivo nella bicameralina chiamata a varare la riforma. Calderoli indossa i panni del mediatore e prova a rassicurare: "Il federalismo darà una risposta concreta alla questione meridionale e i correttivi che ci chiedono sono già contenuti nel testo". Ma le garanzie convincono poco i terzopolisti. Bersani fa presente che il Pd ha un suo progetto federalista ed è pronto a discuterne. Ma attacca: "Questa destra è nel caos. E chi alza la testa muore".

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #36 inserito:: Gennaio 10, 2011, 06:00:03 pm »

UDC

Casini: "Il governo non ha i numeri tutti insieme per l'emergenza economia"

Il Cavaliere: pronto il nuovo gruppo dei responsabili. Il capogruppo della "terza gamba" sarà Moffa. L'ex udc Romano candidato sottosegretario. Il premier vuole incontrare il leader centrista in vista dei prossimi test parlamentari

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Si allontana da piazza San Pietro con Lorenzo Cesa sotto il braccio. "Non è che mi sia perso tanto, nei giorni trascorsi fuori: siamo ancora alla contabilità parlamentare, mi sembra, al presidente del Consiglio sempre alla ricerca affannosa di numeri per la sua maggioranza. Diciamo che l'ho ritrovato nelle stesse condizioni in cui lo avevo lasciato" scuote la testa Pier Ferdinando Casini.

Il paltò blu sotto il sole della mattinata romana quasi stona con l'abbronzatura, ultimo ricordo della vacanza alle Maldive ormai alle spalle. La benedizione all'Angelus di Benedetto XVI, la solidarietà portata assieme a uno sparuto gruppo di parlamentari alla Chiesa "perseguitata", lo indurrebbero a schivare il bailamme politico italiano. Ma la ripresa - e la prova del nove per il governo - incombe. Il premier Berlusconi confidava proprio nel ritorno dell'"amico" Pier per dare basi più solide alla sua azione di governo, fosse pure con un sostegno esterno alle riforme più importanti. A cominciare dal federalismo. "Confida su di noi? Sì, sì, lui confidi, confidi pure..." taglia corto ridendo.

Casini, però, non vuole nemmeno assumersi la responsabilità di un ritorno anticipato alle urne. Ecco perché l'appello al senso di responsabilità rivolto al governo prima della pausa festiva resta valido e dovrà essere la stella polare del Polo della Nazione, come va ripetendo a Cesa e a Lusetti, lì insieme con lui sotto la
finestra del Pontefice. Lo ripeterà poi per tutto il giorno ai dirigenti del partito che alla spicciolata lo chiamano per le prime indicazioni. "Sarà necessario sederci e lavorare tutti insieme sui conti pubblici, di fronte ai rischi di una crisi più nera e preoccupante del previsto non possiamo lavarci le mani" è il ragionamento del leader Udc. È la disponibilità, l'unica vera apertura che porterà su un vassoio d'argento al presidente del Consiglio, col quale potrebbe incontrarsi da qui a breve. Faccia a faccia al quale lavora da tempo il pontiere Gianni Letta.

Ma se dalla maggioranza e dalla Lega in particolare pensano di poter incassare il sostegno dei terzpolisti sul federalismo così com'è, si sbagliano. Perché "noi non siamo una forza di governo, costretta ad approvare alcunché: se il loro decreto darà attuazione alla pessima legge sul federalismo contro la quale abbiamo già detto no, allora non è affare che ci riguarda". Al contrario, "se troveranno le coperture necessarie al quoziente familiare e alle altre misure da noi richieste per la famiglia, se ne potrà discutere". Ma, questa la parola d'ordine, "basta con le chiacchiere, vogliamo provvedimenti e cifre concrete". Come dire che tutto è nelle mani, ancora una volta, del ministro Giulio Tremonti. Domani il coordinamento del nuovo Polo costruito con Gianfranco Fini tornerà a riunirsi per dettare l'agenda parlamentare comune. Casini esclude che qualcuno o qualcosa possa piegare l'asse costruito con il presidente della Camera. "Nessuno si dividerà con Fli, nemmeno sui valori". Voto congiunto su tutto, mozione Bondi compresa.

A Piazza San Pietro, il leader centrista assiste all'Angelus al fianco del presidente democratico della Provincia, Nicola Zingaretti. Gaetano Quagliariello e Maurizio Gasparri restano a cinque metri di distanza. Casini nota come in piazza non ci sia stato alcun dirigente Pd. Rimanda quasi al mittente l'appello di Bersani per un patto tra tutte le opposizioni. "Noi abbiamo già scelto, sono loro a dover decidere se stanno con la Fiom oppure no, con Vendola e Di Pietro o con i riformisti".

A Roma invece il premier Berlusconi rientrerà domani. Ultima domenica di relax ad Arcore ma in stretto contatto coi suoi prima di tuffarsi nelle due settimane cruciali su legittimo impedimento e federalismo. "Abbiamo i numeri, allargheremo la maggioranza e approveremo la riforma senza ostacoli" va ripetendo ai membri del governo sentiti. Domani riunirà, con Verdini, Moffa e Romano e i promotori del futuro gruppo dei "responsabili" che dovrebbe essere guidato proprio da Moffa. In cantiere quattro o cinque innesti per raggiungere quota 20. "Il gruppo si farà e sarà la terza gamba della coalizione - afferma il sottosegretario Daniela Santanché - Altri arriveranno, anche da Fli". 

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/10/news/casini_il_governo_non_ha_i_numeri_tutti_insieme_per_l_emergenza_economia-11032691/
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« Risposta #37 inserito:: Gennaio 12, 2011, 06:38:59 pm »

RETROSCENA

Il premier blinda l'asse col Senatur "Non appoggerà Giulio contro di me"

Il capo del governo irritato con il ministro dell'Economia.

"Serve tempo per costruire l'alleanza con Casini"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Alla "cena degli ossi" di Calalzo di Cadore alla fine non è andato. "Non ce n'era bisogno, con Umberto ormai ho chiarito" racconta ai suoi il premier Berlusconi, di rientro ad Arcore dopo la puntata romana. "Non aveva alcuna voglia di incontrare Giulio Tremonti e fare come se nulla fosse successo" spiegano con maggiore schiettezza i più stretti collaboratori.

Eccolo l'equilibrio provvisorio sul quale si reggono le speranze del presidente del Consiglio di portare avanti la legislatura: guardia alta nei confronti del superministro, patto di ferro col Senatur. Per tutta la giornata lo ha ribadito a sottosegretari incontrati, ai capigruppo e ai pochi ministri rientrati dalle vacanze: "L'accordo con Umberto tiene e lui mi garantisce che farà rientrare anche Tremonti. Senza l'aiuto della Lega, Giulio può scordarsi per ora le elezioni anticipate". A Bossi, ancora una volta, Berlusconi manda a dire attraverso Calderoli che riuscirà a portare in maggioranza una dozzina di nuovi deputati da Fli, Udc - anche se dai centristi piovono solo prese di distanza - e perfino Idv, intestarditosi sul malcontento nel partito di Di Pietro. E che dunque i decreti sul federalismo "non correranno rischi".

"Sì, l'accordo con Bossi regge ed è un accordo fondato sul buon senso - conferma Gaetano Quagliariello - D'altronde, ha ragione anche lui: se la maggioranza c'è, per quanto risicata, si va avanti, diversamente si andrà a votare". Resta
sullo sfondo il gelo tra il premier e il ministro dell'Economia. Ormai additato nei dialoghi privati del Cavaliere, come dalle colonne del quotidiano di famiglia, quale il vero regista dell'operazione "voto anticipato". I due non si sentono da giorni. Non tanti, raccontano, comunque sufficienti per lasciar sedimentare i sospetti reciproci e logorare la relazione. D'altronde, a sentire un ministro pidiellino, "ormai Giulio sta giocando due partite: una nobile e comprensibile, perché fare il ministro dell'Economia con una maggioranza a rischio è impresa ardua; uno meno nobile, perché si è ormai convinto di essere il candidato unico per un governo di larghe intese in caso di voto e mancato successo del centrodestra al Senato". Questi i sospetti, questo il clima.

Ad ogni buon conto, le "manovre di palazzo" ordite per disarcionarlo non avranno successo, va ripetendo il Cavaliere nelle telefonate alle sue tv e ancora più nei colloqui riservati: "Non andremo al voto anticipato, non lo permetterò, non certo a marzo". E la sua strategia è assai spicciola e concreta. "Se ne parlerà a giugno se non a ottobre: abbiamo bisogno di tempo per lavorare a un accordo elettorale con Casini". Occorre "una verifica seria con i centristi" vanno ripetendo ora dal Pdl Cicchitto e Napoli. Non a caso. Berlusconi si è ormai convinto che il leader Udc non permetterà che si torni a votare a stretto giro. I due, nell'ultima telefonata per lo scambio di auguri alla vigilia di Natale, si sono dati appuntamento alla ripresa. Ma i segnali indiretti che dalle Maldive gli fa giungere l'amico Pier, Berlusconi li ritiene comunque rassicuranti. A cominciare dalla disponibilità manifestata proprio nelle ultime ore dai centristi a votare il decreto sul federalismo municipale, a condizione però che contenga le coperture per quoziente familiare e cedolare secca.

Ecco, quelle coperture - qui l'altro punto di frizione con Tremonti - il ministero di via XX Settembre le dovrà trovare, è il diktat del premier, costi quel che costi. Le residue chance di un patto elettorale coi centristi si giocano anche sui cordoni della borsa. Ma esistono davvero le condizioni per un'intesa Pdl-Udc? Per i leghisti è fumo negli occhi. Casini, dal canto suo, ha in serbo accordi pesanti col Pd su importanti piazze, in vista delle amministrative di primavera. Per non dire del nascente Polo della Nazione: l'asse Fini-Casini al momento appare solido, infrangibile a sentire i loro luogotenenti. L'inquilino di Palazzo Chigi è convinto del contrario. Intenzionato piuttosto ad infrangerlo alla ripresa dei lavori parlamentari, con due mosse. La prima, con l'apertura ai centristi sul quoziente familiare, appunto. La seconda, con le leggi di bio-etica che il vicepresidente pidiellino della Camera, Maurizio Lupi, ha già preannunciato per il calendario di gennaio. Gianfranco Fini è più preoccupato della "macchina del fango" che vede in moto contro di lui, piuttosto che degli agguati d'aula. Tanto più che su testamento biologico e altri ddl "etici" la linea ai suoi sarà quella della "libertà di coscienza".

(05 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2011/01/05/news/retroscena_5_gennaio-10861542/
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« Risposta #38 inserito:: Gennaio 17, 2011, 10:03:09 pm »



di CARMELO LOPAPA


Le paure del Cavaliere

Una fidanzata. E' l'ultima trovata della campagna comunicativa che Silvio Berlusconi lancia - assieme all'offensiva contro i pm - nell'ultimo videomessaggio, nel tentativo di dirottare l'attenzione dal ciclone Ruby.

La tensione è altissima ad Arcore, oggi con molta probabilità diventeranno pubbliche le 300 pagine degli atti giudiziari inviati dalla Procura di Milano alla giunta per le autorizzazioni della Camera. Col loro carico di verbali e, soprattutto, le temute intercettazioni dei colloqui tra le frequentatrici delle residenze del premier.

Carte che il presidenze del Consiglio ha studiato coi suoi legali, nel week end, ricavandone una buona dose di preoccupazione per le ripercussioni politiche dello scandalo. In ballo, c'è la tenuta stessa del governo. Berlusconi confida poco, a questo punto, sulla riuscita dell'operazione allargamento della maggioranza. Le trattative in corso per il passaggio di altri deputati si sono raffreddate.
Ma a preoccupare parecchio l'inquilino di Palazzo Chigi, anche i rapporti con la Lega alla vigilia dell'esame decisivo per il federalismo, in Parlamento. Ancora una volta, ieri Bossi è tornato a ventilare l'ipotesi delle elezioni anticipate, oltre ad invitare l'alleato a "lasciare stare i magistrati".

In questo clima di somma incertezza, lo spettro che più agita il Cavaliere dunque torna ad essere una crisi che precipiti non già nella chiusura anticipata della legislatura e nel voto, ma in un governo tecnico. Magari per l'effetto di un'immagine pubblica irrimediabilmente deturpata e del giudizio immediato a carico dell'imputato Berlusconi. Il silenzio, la mancata solidarietà espressa da Giulio Tremonti, in queste ore, è un altro elemento valutato con sospetto, dalle parti di Arcore.

Ma a questo punto, il capo del governo "ha una sola cosa da fare - sostiene il presidente della Camera Fini intervistato da Fabio Fazio - anche per evitare discredito all'Italia: vada dai magistrati, dimostri la sua estranietà e si difenda". Per il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, il video messaggio è invece "uno spettacolo imbarazzante e desolante".

Il fatto è che Berlusconi non ha alcuna intenzione di presentarsi al cospetto di Ilda Boccassini e dei pm milanesi.

http://www.repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #39 inserito:: Gennaio 21, 2011, 05:36:47 pm »

di CARMELO LOPAPA

Premier stretto tra il Colle e il Papa

Silvio Berlusconi sembra chiuso in una tenaglia. E a bacchettarlo è stavolta il Papa. Che parla a chiare lettere di un "indebolimento dei principi etici e atteggiamenti morali". Subito dopo ci pensa il presidente della Repubblica a lanciare il suo monito: "Conflitti e strappi non portano alla verità". Secondo il capo dello Stato, poi, "il giusto processo" pè già garantito dalla legge. E il clima di tensione di questi giorni è determinato dal mancato rispetto dei suoi consigli.

Eppure, nonostante questi richiami il Cavaliere non si arrende. Non ci sarà via d’uscita alla crisi, se lo scandalo Ruby si rivelerà insostenibile e travolgerà tutto. L’unica soluzione saranno le urne. Scioglimento delle Camere e voto anticipato. Nessun’altra exit strategy, nessun governo con una premiership alternativa. Il premier è chiaro, quando ragguaglia i ministri al termine del Consiglio riunito in mattinata a Palazzo Chigi.Un primo risultato il capo del governo lo ottiene, concordando con la Lega la proroga di una settimana del voto sul decreto attuativo del federalismo fiscale, previsto in un primo momento entro fine gennaio. Ma il rinvio sarà di sette giorni, non uno di più, avvertono Umberto Bossi e Roberto Calderoli. E già questo, assieme al no opposto ieri dall’Anci al progetto federalista per i Comuni, rischia di far saltare l’intero tavolo della riforma e la stessa tenuta del governo, dato che nelle ultime ore il Terzo Polo ha chiesto un congelamento ma per sei mesi, difficilmente accettabile dalla Lega. Sono gli ostacoli politici che si intrecciano con lo scandalo Ruby, il caso giudiziario e il loro eco mediatico. I legali di Berlusconi confermano quel che già si sapeva: domani il loro cliente non si presenterà in Procura a Milano. Il premier, a margine del Consiglio dei ministri, torna ad attaccare Santoro e la tv pubblica “indecente” per la puntata di ieri (record di ascolti) e l’intervista alla escort Macrì (sentita oggi dai magistrati).

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« Risposta #40 inserito:: Gennaio 22, 2011, 05:43:50 pm »



di CARMELO LOPAPA

Lo scontro finale

Silvio Berlusconi nella tenaglia. Il Papa parla a chiare lettere di un "indebolimento dei principi etici e atteggiamenti morali". Subito dopo ci pensa il presidente della Repubblica a lanciare il suo monito: "Conflitti e strappi non portano alla verità". Secondo il capo dello Stato, poi, "il giusto processo" è già garantito dalla legge. E il clima di tensione di questi giorni è determinato dal mancato rispetto dei suoi consigli.
Eppure, nonostante questi richiami il Cavaliere non si arrende. Non ci sarà via d’uscita alla crisi, se lo scandalo Ruby si rivelerà insostenibile e travolgerà tutto. L’unica soluzione saranno le urne. Il premier è chiaro, quando ragguaglia i ministri al termine del Consiglio riunito a Palazzo Chigi.
Umberto Bossi lo invita a "riposarsi, ci pensiamo noi" a difendere il presidente del Consiglio, "tanto non si dimette". E un primo risultato il capo del governo lo ottiene concordando proprio con la Lega la proroga di una settimana del voto sul decreto attuativo del federalismo fiscale, previsto in un primo momento entro fine gennaio. Ma il rinvio sarà di sette giorni, non uno di più, avvertono il Senatur e Roberto Calderoli. E già questo, assieme al no opposto ieri dall’Anci al progetto federalista per i Comuni, rischia di far saltare l’intero tavolo della riforma e la stessa tenuta del governo, dato che nelle ultime ore il Terzo Polo ha chiesto un congelamento ma per sei mesi, difficilmente accettabile dalla Lega.
Sono gli ostacoli politici che si intrecciano con lo scandalo Ruby, il caso giudiziario e il loro eco mediatico. I legali di Berlusconi confermano quel che già si sapeva: oggi il loro cliente non si presenterà in Procura a Milano. Il premier, a margine del Consiglio dei ministri, torna ad attaccare Santoro e la tv pubblica "indecente" per la puntata (record di ascolti) e l’intervista alla escort Macrì (sentita dai magistrati). E intanto, pensa a una nuova campagna di propaganda. Tutta tv e manifesti 6x3.

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« Risposta #41 inserito:: Febbraio 03, 2011, 06:41:31 pm »

Il caso

E per far dimenticare il Rubygate Ferrara guida la svolta moderata

A Palazzo Chigi il direttore del Foglio, ex ministro del governo Berlusconi e Letta impongono toni soft, sconfiggendo i falchi Verdini e Ghedini

di CARMELO LOPAPA


ROMA - Giuliano Ferrara torna di casa a Palazzo Grazioli. Un eterno ritorno. Ciclico, meglio. Solo che l'ascesa, la risalita a corte dell'ex ministro, ex portavoce, consigliere dei momenti più bui, stavolta coincide con la svolta "aperturista" alle opposizioni: apprezzamenti per Napolitano, abbassamento dei toni contro i giudici e programmone di rilancio dell'economia che neanche negli anni floridi dei cento deputati di vantaggio. Strategia avvolgente, nel tentativo di sbianchettare il Rubygate.

Nella residenza privata del presidente del Consiglio, il direttore del Foglio si presenta alle 14,30. Presente Gianni Letta. Per definire la strategia di queste giorni.  Il direttore del Foglio sta ora rinsaldando un asse con le "colombe", con Sandro Bondi e con il portavoce Paolo Bonaiuti. Sull'altro fronte i falchi: Verdini, Brambilla, Ghedini che hanno ispirato la sequenza di videomessaggi "talebani" anti-giudici e in ultimo la manifestazione annunciata e poi smentita due giorni fa. Il direttore del Foglio, invece, per ora preferisce i toni serafici e dialoganti. E la riservatezza: "Scrivo tutti i giorni e aggiungere dichiarazioni è petulanza".

Con Silvio Berlusconi, riferisce chi frequenta il Palazzo, Ferrara ha messo a punto a pranzo le coordinate in vista dell'attesa intervista al Tg1 poi andata in onda alle 20. Giusto un accenno ai problemi di questi giorni. Poi, giù col nuovo copione: riforma dell'articolo 41 della Costituzione, piano casa, piano per il Sud, privatizzazione
dei servizi pubblici locali, liberalizzazioni. "La rivoluzione di febbraio del Cav. si chiama crescita" è lo slogan che campeggia nel titolo su due pagine del "Foglio" di ieri, non a caso. La strategia la detta il direttore. E già da qualche giorno. Da qui la sfuriata sotto forma di editoriale contro chi 48 ore fa - da Angelino Alfano a Michela Vittoria Brambilla - stavano per vanificare la svolta diplomatica ed economista con quel "comunicato criminale" sulla manifestazione antigiudici, poi cancellata.

È una partita, quella tra l'ex ministro e le "tigri" di Palazzo Chigi, che va avanti sotto traccia da tempo. Con alcune decisive accelerazioni. Dalla lettera al Corriere con offerta di tregua alle opposizioni, al successivo annuncio che il governo andrà avanti sul rilancio dell'economia nonostante Bersani. Dallo stop imposto alla contraerea anti-Procura (di Milano) fino al comunicato di apprezzamento per le parole del presidente Napolitano di ieri. D'altronde, ci sarà o no un motivo se Giuliano Ferrara da domenica scorsa è editorialista del "Giornale"? "Ma che ci sia una contrapposizione in atto io lo escludo" è tranchant Daniela Santanché. Che pure alcuni nel Pdl additano come paladina del partito (per ora calante) delle tigri e che era finita in quel comunicato assieme alla Brambilla quale promotrice della mobilitazione. Tigri o falchi, a preferenza. "Io sono falco nella misura in cui lo è Berlusconi e colomba quando lui è colomba - precisa - Se qualcuno poi ha qualcosa da ridire, lo dica al presidente. Perché io sono donna di destra per me la gerarchia conta e a quella mi attengo. Adesso sono nell'organigramma del Pdl e curerò la mobilitazione sul territorio, ma per promuovere l'azione del governo".

Veri o no gli scontri alla tolda di comando della nave in tempesta, lassù per adesso è tornato Giuliano. Lui è sempre stato l'"imprevedibilità" del berlusconismo. Il suo sogno è che il premier faccia sempre quel che gli altri non si attendono. La sorpresa come elemento fondante della politica. La conciliazione e la tregua quando tutto sembra precipitare. Nel giugno 2009, in pieno caos Noemi, inascoltato dal premier, scrisse sul suo quotidiano il discorso di autocritica che aveva suggerito al Cavaliere, "Ho ancora un sogno". Vano pure il tentativo di evitare, con tanto di mediazione a inizio estate 2010, lo scontro finale con Gianfranco Fini. Per poi concludere sconsolato: "B. ha un fungo nella pancia che gli deriva dalla idolatria di se stesso".

(03 febbraio 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #42 inserito:: Marzo 03, 2011, 12:38:07 pm »

IL RETROSCENA

Cambio all'Agricoltura, alt della Lega "Non può andare a un ministro del Sud"

Veti incrociati tra i Responsabili. E il rimpasto è congelato. Anche il Senatur gela Berlusconi: "Vedrei bene Bricolo, ha la faccia da contadino". Ma il Cavaliere rassicura Romano (Pid): "A quel dicastero ci andrai tu"

di CARMELO LOPAPA


ROMA - "Saverio, tu sei ministro dell'Agricoltura. Sereno. Con Umberto ci parlo io, devi solo pazientare" sussurra in serata il premier Berlusconi a Montecitorio all'orecchio del fedele Romano. In quell'esatto momento, il co-fondatore (con Moffa) dei Responsabili, artefice dello strappo dei cinque ex Udc, ha capito che l'agognato riconoscimento per ora si allontana. Per lui come per gli altri pezzi acquisiti di maggioranza, pronti a passare all'incasso.

Pesa il veto di Bossi sul dicastero più pesante tra quelli in ballo. Il Senatur al premier suggerisce di "prendere tempo", quando si chiude con Calderoli, Cota e Bricolo nella saletta del governo adiacente all'aula per festeggiare l'approvazione del federalismo municipale. Il Carroccio non molla la presa sull'Agricoltura, poltrona finora occupata da Galan e dalla quale pendono le sorti delle quote latte. Ma se l'operazione rimpasto data per imminente addirittura per il consiglio dei ministri di oggi, è poi slittata a martedì se non oltre, è perché in 48 ore sulle seggiole in gioco si è scatenata la guerriglia. C'è mezzo gruppo dei Responsabili, da Moffa alla Polidori fino a Pionati pronti ad alzare barricate sull'ascesa al collega siciliano. E così, prigioniero della "tribù degli Scilipoti" - come in Transatlantico bollano la terza gamba della maggioranza - il presidente del Consiglio è costretto a soprassedere per ora. Un rinvio strategico, che fa molto gioco al premier impelagato nella partita politico-giudiziaria
legata allo scandalo Ruby.

"Non posso permettermi di correre rischi, di perdere pezzi di maggioranza a pochi giorni dal probabile voto in aula sul conflitto di attribuzione" ha ragionato con i suoi il Cavaliere, chiuso tutto il giorno a Palazzo Grazioli prima di spostarsi alle 19 a Montecitorio. Fini è intenzionato a rimettere all'aula la decisione sull'apertura del conflitto coi giudici di Milano davanti alla Consulta. Ma se il rimpasto si chiuderà prima - con l'assegnazione di tre ministeri e altrettanti vice e una sfilza di sottosegretariati - i troppi scontenti si trasformerebbero in altrettanti pericolosi disertori. I mal di pancia serpeggiano, in Transatlantico, e Berlusconi ne è informato. "Per quanto tempo ci dovranno prendere in giro? Sta rinviando di settimana in settimana questi incarichi, non è più tollerabile" alza la voce Mario Pepe (Responsabile) con i colleghi di gruppo nei quali si imbatte. Gli artefici della fiducia del 14 dicembre stanno perdendo la pazienza. "Il presidente faccia come vuole, ma io gli ho suggerito di ragionare bene sull'Agricoltura - racconta a un collega Francesco Pionati - Ma vi pare che si possa dare un ministero così pesante a un siciliano non pidiellino, di un partito mini che ha perso pure Mannino e Cuffaro?".

Eppure, in giornata Berlusconi aveva provato a mettere a posto i tasselli. Incontrando il ministro (uscente) all'Agricoltura Giancarlo Galan a Palazzo Grazioli e provando a convincerlo ad accettare le Politiche comunitarie. Sandro Bondi lo considera già dimissionario e Paolo Bonaiuti è stato allertato. A Bossi e Calderoli che hanno continuato a sponsorizzare Bricolo per l'Agricoltura ("Ha pure la faccia da contadino" hanno ironizzato col Cavaliere) il premier ha assicurato che tre sottosegretari saranno loro, compreso uno "di sentinella" all'Agricoltura, il piemontese Fogliato, qualora il ministero più delicato dovesse andare davvero al "siciliano". Ma ai leghisti ha garantito soprattutto la cosa che a loro sta più a cuore: il voto di fiducia anche per i prossimi decreti in arrivo sul federalismo, a cominciare da quello regionale. E tanto basta al Senatur per stringere la mano e incoraggiare per ora l'amico sulla tenuta dell'asse: "Per adesso teniamo".

Prendere tempo, rinviare le grane, tenere serrate le file. Eccole le priorità di un Berlusconi che ha altro a cui pensare. Lo confessa anche alle deputate con cui si intrattiene a Montecitorio, Barbara Saltamartini e Beatrice Lorenzin, alle quali dà il benestare per la manifestazione delle donne Pdl del 5 marzo, tornando con loro sul cruccio che lo tormenta: "Questa Ruby ha detto di non aver mai avuto rapporti sessuali con me. In un Paese civile un processo così durerebbe mezz'ora, qui lo portano per le lunghe trasformandolo in un processo mediatico. Io non ho mai fatto niente di male a nessuno, nella mia vita".

(03 marzo 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #43 inserito:: Marzo 06, 2011, 10:39:16 pm »



di CARMELO LOPAPA

La svolta di Fini: basta antiberlusconismo

La battaglia sulla giustizia entra nella settimana cruciale. Giovedì in Consiglio dei ministri il Guardasigilli Alfano porterà il progetto destinato a introdurre quella che il premier Berlusconi definisce una rivoluzione "epocale" dell’intero assetto giudiziario. Separazione rigida delle carriere tra giudici e pm, attenuazione dell’obbligatorietà dell’azione penale con poteri di indirizzo in capo al Parlamento, divisione del Csm e autonomia dai pm della polizia giudiziaria. Ma soprattutto, norma-ritorsione contro i giudici: la responsabilità civile per coloro che "sbagliano" nel percorso delle indagini.
Le opposizioni preparano le barricate nelle aule parlamentari e nelle piazze, le toghe avvieranno una mobilitazione simile a quella che due anni fa portò al congelamento della riforma. Lo scontro monopolizzerà i prossimi giorni. Ma stavola il Cavaliere è intenzionato a condurre fino in fondo la sua battaglia. Che coinciderà con l’entrata nel vivo della lunga stagione processuale che vede l’imputato Berlusconi coinvolto in quattro processi, il più delicato partirà il 6 aprile per prostituzione minorile e concussione. "L'obiettivo di Berlusconi è solo quello di tenere alto lo scontro con la magistratura per giustificare le leggi ad personam" attacca il presidente del Pd Rosy Bindi.
Gianfranco Fini, che ha concluso a Roma l’Assemblea dei circoli di Fli, mantiene una linea di prudenza sulla riforma della giustizia: "Se e quando sarà presentata la valuteremo con attenzione". Il presidente del Consiglio, al contrario, è convinto che senza l’avversario in maggioranza adesso il percorso sarà spianato. Un intervento, quello di Fini, molto attento agli equilibri interni di un partito uscito a pezzi dal congresso, puntato non a caso sul superamento dell’antiberlusconismo per investire il progetto politico di Fli sul nuovo polo, con Casini e Rutelli. Parla perciò di fallimento non solo del centrodestra, ma anche della sinistra: "Siamo in presenza di uno scontro tra due gruppi conservatori nel senso deteriore del termine". D’ora in poi, dice, il suo partito e più in generale la nuova aggregazione terzopolista, valuterà i singoli provvedimenti del governo "con onestà intelletuale"

da - repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #44 inserito:: Marzo 16, 2011, 04:40:35 pm »



di CARMELO LOPAPA

L'apertura di Alfano non convince il Pd

Il presidente del Consiglio che nell’ultimo exploit telefonico si definisce «coraggioso, temerario, forse anche un po’ eroico e matto» rilancia nella sua personalissima sfida, ormai quotidiana, contro la magistratura. La riforma-spot della giustizia diventa l’unico, quasi ossessivo tasto sul quale il premier Berlusconi batte a pochi giorni dall’esordio del processo Ruby che lo vedrà alla sbarra.
Una parziale apertura arriva intanto dal Guardasigilli Alfano, impegnato in un incessante tour televisivo per illustrare la riforma che porta il suo nome: «Proporrò il ritiro della norma transitoria del cosiddetto processo breve così com'è scritta» annuncia davanti alle telecamere di "In mezz'ora". Ma sulla modifica della Costituzione negli articoli che riguardano la giustizia, il governo andrà avanti spedito.

Perché, spiega il premier in due distinte telefonate - prima a una manifestazione Pdl a Torino, poi ai democristiani di Pizza a Catania - «è una riforma assolutamente giusta, non è punitiva per alcuno, è in linea con le più moderne legislazioni dei paesi occidentali, va incontro alle richieste di moderazione istituzionale che sono venute dal Capo dello stato. E' un testo equilibrato che toglie ogni alibi a chi, nell'opposizione, ha già, come al solito, pronunciato il no preventivo prima ancora di leggere questo testo. Voglio dirlo con chiarezza, non c'è alcuna norma 'ad personam', salva Berlusconi» assicura, invitando i suoi alla mobilitazione.

Ma in Italia non c’è alcuna dittatura né dei giudici nè dei magistrati, gli replica a distanza il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervistato da SkyTg 24. La terza carica dello Stato giudica positive le manifestazioni di sabato in difesa della Costituzione e si dice disponibile a discutere la riforma, come disponibile si dichiara il leader Udc Pier Ferdinando Casini, che invita il Pd a «non prendere cappello ed andare sull’Aventino». Aggiungendo: «Naturalmente se poi in corso d’opera vediamo che Berlusconi usa la giustizia solo per problemi suoi, come è possibile, allora prenderemo il cappello». Il segretario del Pd Bersani non si illude: «Non facciamo nessun Aventino – gli ribatte - noi siamo in Parlamento, discutiamo lì, ma invito Casini ad attendere qualche settimana».

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