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Autore Discussione: Vincenzo Visco. Conti, tutti dobbiamo dire la verità  (Letto 3302 volte)
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« inserito:: Dicembre 31, 2007, 05:10:52 pm »

Vincenzo Visco: «Ora ridurremo le tasse ai più deboli»

Bianca Di Giovanni


«Io voglio ridurre le tasse in modo strutturale a cominciare dalle fasce di maggior bisogno». Il viceministro Vincenzo Visco pianta subito i paletti, in attesa del vertice di maggioranza e della convocazione delle parti sociali. Si prepara solo una tantum, un chip, scriveva ieri «Repubblica». «Solo illazioni», replica il viceministro. «Dico che man mano che si recupera gettito con la lotta all’evasione, va diminuita stabilmente la pressione fiscale». Di quanto? Come? Sui modi e i tempi si svolgerà il confronto politico e quello con le parti sociali.

Il problema delle risorse non è affatto secondario. Quel deficit al 2% è un risultato che, se confermato, sarebbe al di sotto del 2,2 previsto per il 2008 e concordato con l’Europa. Significa che si ha già a disposizione uno 0,2%, cioè circa tre miliardi di euro? Visco non lo conferma, ma neanche smentisce. «I conti si fanno con la trimestrale, c’è da verificare il tendenziale del 2008 e poi si vedrà». Per abbassare le tasse, comunque, bisogna tenere sotto controllo la spesa. «Non tutta la spesa è buona - spiega rivolto soprattutto all’ala sinistra della coalizione - Bisogna eliminare quella cattiva, gli sprechi e le inefficienze». I risultati danno segnali positivi: in miglioramento appare soprattutto la spesa sanitaria. Ma la verifica arriverà solo con il consuntivo di marzo. In questa fine d’anno in cui si incrociano le richieste sindacali, le rivolte del nord su Alitalia, i diktat di Dini, le pressioni confindustriali per sempre nuove meno tasse (ancora) alle imprese, il viceministro non rinuncia all’ironia. «Confindustria chiede meno tasse? Soffre di un residuo sessantottesco: siate realisti, chiedete l’impossibile. Tutti noi possiamo illuderci dell’esistenza di un mondo migliore. In realtà per le imprese abbiamo già fatto molto. Naturalmente visto che tutti chiedono, adesso chiedono anche loro». Molto vuol dire primea 5 miliardi di minor cuneo fiscale, poi la riforma Ires e Irap inserita in Finanziaria. Che in soldoni vuol dire che per ogni 100 euro di profitti se ne risparmiano 5,5. In più si produce una fortissima spinta alla competitività.

Invece la questione salariale è ancora tutta da risolvere. Cosa farà il fisco per il lavoro dipendente? I sindacati premono per una risposta immediata.
«Premesso che, ripeto, io voglio abbassare le tasse, devo aggiungere che il problema del potere d’acquisto dei salari non si risolve con le tasse: è una questione molto più complessa. È un’illusione e un alibi pensare che il problema si risolve con la leva fiscale. Con quello si può contribuire a risolverlo: ma non si ottiene granché senza i contratti e senza la produttività».

Prodi ha fatto promesse concrete: ha parlato di riduzione sostanziosa.
«Certo in Italia c’è un problema di livello di reddito molto forte. Per questo la mia priorità sono interventi sui redditi più bassi. Chi si tratti di detrazioni o ridefinizione delle aliquote, poco importa. Le tecnicalità si possono decidere dopo. In Italia stiamo asssitendo a una sorta di shock esogeno: il potere d’acquisto si riduce per via dei rincari delle materie prime. È chiaro che questo va assorbito. Poi ci sono i problemi del bilancio, per questo bisogna verificare le risorse».

Meno tasse solo con meno spesa, o l’intervento fiscale si fa comunque grazie al recupero dell’evasione?
«La lotta all’evasione ha dato frutti inaspettati. Ma si è creata anche un’aspettativa sul fatto che questo maggior gettito continuerà. Questo non è sicuro, né lo possiamo sapere prima. Fosse dipeso da me, una volta riportato il disavanzo pubblico in ordine, l’extragettito l’avrei già destinato tutto all’abbassamento della pressione fiscale. Invece si sono fatte scelte diverse. Detto questo dobbiamo essere consapevoli del fatto che nella spesa pubblica ci sono moltissimi sprechi. Anche se la spesa statale corrente resta a livelli quasi inalterati, aumenta molto la spesa a livello decentrato, ci sono voci incontenibili (interessi e pensioni), un’altra questione è la produttività del pubblico impiego. Avrei voluto che in questo anno e mezzo ci si fosse concentrati di più su questo punto».

Il governo chiede un nuovo patto sulla produttività. Come replica alla sinistra che dice no ad aumenti per chi lavora di più. Non si rischiano altri tristi casi come la Thyssen?
«Casi così non devono più succedere le Paese, bisogna tenere la guardia alta. Per il resto credo che nel nostro Paese sia giunto il momento di modificare il modello contrattuale. Produttività non vuol dire lavorare di più, ma lavorare meglio, con maggiore efficienza. Un obiettivo che si raggiunge modernizzando il Paese: con una pubblica amministrazione più efficiente (noi abbiamo contribuito con l’informatizzazione degli uffici), un sistema politico più efficace, una giustizia più veloce, una scuola migliore. Se non cambia tutto questo, è difficile recuperare ricchezza».

Sul caso Speciale si sente sconfitto dalle ultime due decisioni?
«Di questo non parlo sui giornali, come ho sempre fatto dall’inizio di questa vicenda».

Lei invoca nuovi contratti, Ma anche lo Stato deve rinnovare e non ha stanziato le risorse.
«Le risorse ci saranno quando si farà l’intesa. Come accade per tutti i lavoratori».

Il problema delle tariffe non si risolverebbe diminuendo molto il carico fiscale sul petrolio?
«Così si inquinerebbe di più, si frenerebbe lo sviluppo delle fonti alternative, si rallenterebbe il risparmio energetico, si arricchirebbero gli sceicchi. L’Iva sul petrolio è già stata sterilizzata. Per di più siamo stati difesi dall’euro forte rispetto al dollaro. Sugli ultimi aumenti ha pesato la questione del gas, che è legata appunto alla mancata modernizzazione delle infrastrutture del Pese. Così si torna alla questione produttività».

Nel libro bianco sull’Irpef che state preparando si parlerà anche di rendite?
«Ripeto quello che ho già detto: le rendite stanno da oltre un anno in Parlamento. Spetta a loro varare la riforma. Comunque qualcuno si dovrà assumere la responsabilità del fatto che la nostra industria finanziaria si è interamente trasferita all’estero per via della riforma mancata».

Su Alitalia c’è il nord in rivolta e i sindacati sul piede di guerra.
«Tutte sciocchezze, il governo sta facendo quello che deve fare: ci sono i mercati, ci sono le regole, ci sono le procedure e le leggi. Certe cose non si possono gestire in modo arbitrario. Quello che posso recriminare è che la destra su questo punto non ha proprio niente da dire. Quando ho lasciato il Tesoro i colloqui con Air France erano già avviati: all’epoca Alitalia poteva trattare su basi molto diverse da quelle di oggi. Nei cinque anni successivi non si è fatto niente. Adesso il governo è stato fin troppo cauto. Io avrei fatto una liquidazione volontaria, la costituzione di una «newco» (nuova società) e di una «bad company»come si fa nei casi di salvataggio. Una soluzione del genere avrebbe tutelato di più il valore di Alitalia, ma questa strada sarebbe stata inaccettabile sul piano sindacale e politico, per questo non fu neanche presa in considerazione. Adesso c’è poco altro da fare»

Cosa replica alle richieste di Dini?
«Le preoccupazioni di fondo di Dini oggi dovrebbero essere superate: i conti vanno bene, la spesa migliora, l’emergenza è superata. Il resto sta già nei programmi: in Finanziaria c’è la programmazione della riduzione dei dipendenti pubblici. Se si superano pregiudiziali politiche, un equilibrio nel programma si può trovare. Qualcuno mi deve spiegare quale vantaggio ci sarebbe a interrompere la legislatura, andare alle elezioni e ridare il paese alla destra che ha aumentato la spesa pubblica e anche i pubblici dipendenti».

Dopo un anno e mezzo, qual è il bilancio di questa «coabitazione» con Tommaso padoa-Schioppa?
«Con il ministro ho collaborato con estrema lealtà e profondo senso di amicizia. Qualche preoccupazione c’è nel rapporto tra le amministrazioni. Se ci fosse la tendenza da parte del Tesoro di espandersi su terreni più propri delle Finanze, questo sarebbe un problema».

Pubblicato il: 31.12.07
Modificato il: 31.12.07 alle ore 6.38   
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 29, 2008, 05:36:23 pm »

Conti, tutti dobbiamo dire la verità

Vincenzo Visco


Dopo le elezioni è utile cominciare a chiederci cosa ci riserva il prossimo futuro, cercando di non farci condizionare troppo dalle emozioni e dal dibattito corrente.

I risultati elettorali avranno con ogni probabilità conseguenze molto rilevanti su abitudini, comportamenti e approccio culturale di alcuni importanti protagonisti della vita politica: la sinistra radicale innanzitutto, ma anche i sindacati per i quali diventa inevitabile fare i conti con una situazione del tutto inedita.

È difficile prevedere ora se ciò si tradurrà in una nuova concertazione, o in una contrapposizione o - come pure è possibile - nella riapertura di una forte dialettica interna. Ma è improbabile che tutto rimanga come adesso.

Al tempo stesso la spinta corale di sole poche settimane fa verso le riforme istituzionali può risultare attenuata in un contesto in cui la legge elettorale ha fornito un risultato di stabilità governativa, e la semplificazione politica ha ridotto fortemente il numero dei gruppi rappresentati in Parlamento; il che significa un enorme recupero di efficienza operativa (riduzione dei tempi) perfino nel nostro sistema di bicameralismo perfetto. La stessa prospettiva del referendum elettorale può apparire meno dirompente nel nuovo assetto politico bipolare. Non è detto che non se ne farà nulla (e non è auspicabile), ma è evidente che la questione istituzionale non sarà percepita con la stessa urgenza di alcune settimane fa.

Più importante è però riflettere sulla situazione economica oggettiva del Paese che è tutt'altro che semplice. Da questo punto di vista la prudenza con cui il centrodestra ha gestito la campagna elettorale (al di là delle vane promesse contenute nel programma), sottolineando le difficoltà e la necessità di sacrifici è significativa. Altrettanto evidente è la strategia politico-comunicativa già in atto per attribuire la responsabilità delle inevitabili difficoltà a soggetti ed eventi esterni: la crisi finanziaria, le plutocrazie bancarie e finanziarie, la Cina, i fondi sovrani, la BCE, il WTO, l'insufficienza dell'Europa, ecc..

Si tratta di un film già visto, ma che può avere esiti molto pericolosi sia sul piano politico: se le colpe sono di "nemici" esterni, è giustificata ogni paura e quindi ogni chiusura, ogni populismo; sia sul piano dell'azione di governo: se tutto dipende da fattori esterni non c'è molto che si possa fare per risolvere i problemi del Paese. Che sono viceversa molto gravi e richiederebbero interventi strutturali incisivi e non indolori con possibili effetti positivi solo nel medio periodo; il che preclude la possibilità di ricercare e ottenere consenso politico a breve termine che è invece l'approccio tipico e l'ispirazione di fondo del centrodestra italiano al potere (e non solo).

Il nuovo governo si troverà quindi ad affrontare problemi molto complessi che già in passato non è riuscito a gestire. Oggi per di più questi problemi sono aggravati da una situazione dell'economia mondiale caratterizzata, al di là della crisi finanziaria, tutt'altro che esaurita, da prezzi elevati e crescenti delle materie prime, a causa della maggiore domanda, degli errori delle politiche agricole e delle speculazioni che caratterizzano questi mercati. Ciò comporterà nel nostro Paese ulteriori cambiamenti dei prezzi relativi e ulteriori problemi economici per i ceti medi e popolari, già impoveriti nel corso del declino italiano degli ultimi 15 anni. Alla spinta verso l'aumento dei prezzi si assocerà una minor disponibilità di liquidità (e quindi di credito) che potrebbe incidere non solo sul settore finanziario, ma anche su quello reale finora poco toccato dalla crisi.

È in tale contesto che vanno valutate le priorità contenute nel programma di governo del centrodestra, a cominciare dal federalismo fiscale, tema assai caro alla Lega, la quale ha avuto una forte affermazione elettorale.

Ebbene, è opportuno essere consapevoli che le proposte in proposito della Lega e del PDL sono assolutamente incompatibili con la realtà dell'economia italiana e probabilmente non giustificate sul piano del dare e dell'avere effettivo, mentre il federalismo finora attuato ha prodotto aumenti di spesa pubblica, maggiori costi di transazione, e paralisi decisionale. Sarebbe quindi fortemente auspicabile una presa di consapevolezza effettiva dei problemi reali anziché continuare a declinarli in chiave politico-propagandistica in una assurda gara a chi è più federalista. In proposito non si può che fare riferimento alla proposta di legge delega del Governo Prodi, condivisa dalle Regioni che rappresenta il più elevato punto d'incontro possibile e l'unico praticabile.

Ma attenzione: allo stesso tempo incompatibili sono anche le richieste degli autonomisti del Sud che chiedono più soldi da bruciare nella fornace delle spese assistenziali e degli sprechi e ruberie senza fine che continuano a caratterizzare la gestione della cosa pubblica in non poche delle Regioni meridionali. Al contrario è giunto il momento di una riflessione seria sulle politiche seguite a favore del Mezzogiorno nell'intero dopoguerra, perchè non è possibile, né accettabile che, nonostante l'enorme quantità di risorse investite, i risultati siano assolutamente deludenti.

Rimane ancora un'ultima questione che è quella degli equilibri del bilancio pubblico, questione ampiamente rimossa nella campagna elettorale, ma che incombe come un convitato di pietra che condiziona le nostre vite da circa 30 anni. La sostanza è molto semplice: in estrema sintesi l'Italia, rispetto agli altri Paesi europei spende circa 2 punti in più di PIL per gli interessi passivi sul debito, e circa 3 punti di più per pensioni; quindi l'Italia corre con un handicap di 5 punti di PIL (in cifre, almeno 75 miliardi di euro l'anno) a causa di debiti contratti nel passato (negli anni '80 in massima parte) che fanno sì che una buona parte delle entrate tributarie si esauriscono in spese di trasferimento senza nessun impatto sulla domanda e sulla crescita. Prima di parlare di riduzioni di tasse e di spese (comunque auspicabili) bisognerebbe collocare le eventuali proposte nel contesto analitico corretto, il che non è certo facile.

Concludendo questi sono alcuni dei problemi aperti che la nuova legislatura dovrà affrontare. Le difficoltà che il nuovo governo incontrerà sono enormi: esse sono oggettive, ma anche soggettive (culturali, cognitive…). Per il PD invece è giunto il momento di non continuare a subire l'iniziativa politica e culturale dell'avversario; al contrario, dall'opposizione è giunto il momento di superare l'affannoso inseguimento dei diversi gruppi di opinione che via via si affermano, soprattutto sulla stampa, o degli interessi resi espliciti dai gruppi di elettori più capaci di superare il muro del silenzio. Bisogna dare risposte concrete ai bisogni pratici, ma in una prospettiva unificante, all'interno di un orizzonte di riscatto per tutto il paese, a cominciare da coloro che oggi subiscono di più le ripercussioni della crisi. Ma questo si può fare credibilmente solo se si dice la verità al Paese, tutta la verità, uscendo dalla commedia degli inganni che tutti ha coinvolto nel decennio del populismo. Solo così sarà possibile indicare una via praticabile per il rilancio. Fare questo non è difficile se si ha la conoscenza e consapevolezza dei problemi, ma diventa impossibile se si continua a ritenere che la politica sia soprattutto mediazione e ricerca del consenso, assecondando tutte le richieste e le pretese, senza la forza di voltare pagina.

Pubblicato il: 28.04.08
Modificato il: 28.04.08 alle ore 10.48   
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 08, 2012, 03:56:28 pm »


Politica

08/01/2012 - intervista

Visco: "Il blitz di Cortina? Uno show: la lotta ai furbi non si può basare su questo"

Roma

Chi non conosce Vincenzo Visco, tre volte ministro delle Finanze per il centrosinistra, magari si aspetta che plauda ai blitz antievasori fatti a Cortina. «Non c’è nulla da indignarsi o da applaudire - spiega invece lui - sono cose che si fanno ogni tanto, ma non particolarmente incisive salvo l'effetto di annuncio o di propaganda. La lotta all’evasione è altra cosa».

Dunque, i blitz solo propaganda? Non servono?
«Figuriamoci, io sono il teorico della deterrenza. Dico solo che non si può basare la lotta all’evasione su questi blitz. Noi del governo Prodi avevamo varato una norma - poi abolita da Berlusconi e Tremonti - che consentiva di chiudere anche temporaneamente le attività che non davano ricevute e scontrini. Di questi controlli ne facevamo 60-70mila l’anno. Negli ultimi anni sono stati di fatto eliminati, neanche 4000 ne hanno fatti. Il guaio di questa operazione a Cortina è che resta sospesa per aria, perché è in contraddizione con una linea che sembra andare da un’altra parte».

Allora, come si fa la «vera» lotta all’evasione?
«Primo, bisogna creare le condizioni per avere una tracciabilità effettiva, non come quella prevista nella manovra Monti: la possibilità di conoscere quello che accade nell’economia. Tracciamo gli stipendi dei lavoratori dipendenti, devono essere tracciati anche gli altri redditi. Nel 2006-2008 la questione del contante l’avevo affrontata in modo del tutto diverso: la stragrande maggioranza delle transazioni sono sotto i 1000 euro. Per i pagamenti ai professionisti avevamo stabilito che sopra i 100 euro non si potessero usare i contanti. Secondo, ripristinare il fondamentale elenco clienti e fornitori, abolito da Tremonti e non reintrodotto da Monti. Terzo, la trasmissione telematica dei corrispettivi dei negozi al Fisco. Insomma, bisogna far capire alla gente che può essere controllata, e convincerla spontaneamente a comportamenti corretti».

Lo stato di polizia tributaria temuto da Berlusconi?
«Sciocchezze. La lotta all’evasione non si fa con la repressione, ma con la dissuasione. E funziona, ha già funzionato quando il centrosinistra ha governato: dal 1996 al 2000 l’evasione Iva si è ridotta di 10 punti, nel 2007 sempre sull’Iva abbiamo avuto il livello di evasione più basso della storia d’Italia, poi ovviamente risalito. E poi bisogna cambiare completamente il modo di operare dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. Quei 4, 5 milioni di contribuenti a rischio vanno seguiti uno per uno e anno per anno. Ormai le informazioni delle banche dati ci sono...

E il sistema «Serpico» che sarebbe stato predisposto ora con la manovra Monti?
«Ma quale potenziamento, non mi facciano arrabbiare. “Serpico”? L’ho fatto io dodici anni fa, e mi piacerebbe sapere come è stato usato di recente. Certo, adesso il governo Monti ha reso possibile l’uso dei dati delle banche, una cosa importante. Ma prima di riuscire a adoperarli ci vorrà tempo, perché le banche danno la miriade di singole transazioni dei singoli cittadini, e non i risultati di sintesi, che sarebbero sufficienti. Bisogna lavorare molto per “pulire” le banche dati, che potrebbero avere un notevole effetto deterrente. Il problema di questo paese è se si vogliono far pagare le tasse a tutti o no».

Pare di no, a sentire le reazioni del centrodestra dopo Cortina...
«Quante stupidaggini abbiamo sentito! Il guaio è che c’è una parte politica che la lotta al’evasione non la vuole fare, la considera una violazione della privacy. Ma per avere risultati bisogna mantenere la stessa tensione per dieci anni di seguito».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437293/
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