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Autore Discussione: Piergiorgio ODIFREDDI.  (Letto 81971 volte)
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« Risposta #135 inserito:: Novembre 07, 2016, 04:47:19 pm »

Piergiorgio Odifreddi, intervista Huffpost: "Il 90 per cento degli italiani è stupido"

l'Huffington post | Di   Nicola Mirenzi

Pubblicato: 25/09/2016 16:09 CEST Aggiornato: 25/09/2016 19:14 CEST ODIFREDDI

Beppe Grillo: "È un minus habens". I grillini: "Peggio di lui". In generale: "Il novanta per cento delle persone è stupido. In un paese di 60 milioni di abitanti come l'Italia, saranno all'incirca 54 milioni: non possono essere andati tutti alla festa nazionale dei 5 stelle a Palermo". Piergiorgio Odifreddi – matematico, divulgatore scientifico, saggista – ha scritto un Dizionario della stupidità (Rizzoli, 378 pagine, 18 euro) per proteggersi dalle "scemenze della vita quotidiana". Laico fervente, ha studiato prima dalle suore, poi dai preti: "Non erano niente male". Se deve immaginare uno scenario politico peggiore di quello odierno, torna con la memoria alla stagione della Democrazia cristiana: "Anche se Giulio Andreotti – racconta – mi salvò da un pericoloso fermo in Unione Sovietica". Con l'Huffington Post, parla di banchieri da "mandare all'infermo", di politicamente corretto e Islam, della "superiorità" di Benedetto XVI sulla "banalità" di Papà Francesco, e di politica.

Odifreddi, nel suo dizionario c'è anche la voce: Matteo Renzi. Perché?
Se vogliono conquistare voti, i politici devono dire alle persone ciò che si vogliono sentir dire. Tendenzialmente, delle stupidaggini. E Matteo Renzi è l'erede perfetto di Berlusconi: il Cavaliere ha imparato a farlo cantando sulle navi, lui esordendo alla Ruota della fortuna.

Ma politicamente?
Renzi ha realizzato il programma berlusconiano, andando addirittura oltre con il Jobs act, che ha dissolto le tutele dello statuto dei lavoratori.

Dedica un lemma anche a Grillo.
Grillo ha iniziato a dire scemenze prima di cominciare a fare politica. Per dire: sosteneva che l'AIDS era una bufala, che l'OGM ammazza, che le radiazioni dei cellulari cuociono le uova. Ma lui ci crede. È questa la grande differenza tra Grillo e un politico di professione: che il politico deve dire delle cretinate per racimolare voti, lui le dice per convinzione.

Eppure ha un gran consenso.
Non voglio dire che il suo pubblico sia fatto di deficienti. È una parola brutta. Dico: ingenui. Ma rimane il fatto che sono persone che credono alle scie chimiche e fanno battaglie contro i detersivi. È la parte della società con meno mezzi culturali per giudicare.

Possibile che siano tutti così?
Bertrand Russell diceva che i politici hanno nei confronti degli elettori un vantaggio: che gli elettori sono più stupidi di loro. E giudicare Grillo, per me, è troppo difficile: mi è così distante che lo considero un minus habens. Quando lo sento, mi viene la pelle d'oca. Dicono che i suoi siano argomenti di pancia. Io fatico a considerarli proprio argomenti.

A Palermo, però, molte persone sono andate per ascoltarlo alla Festa nazionale dei 5 stelle.
Il novanta per cento delle persone è stupido. Quindi, considerato che siamo 60 milioni, in Italia ci sono almeno 54 milioni di stupidi: non credo ve ne siano di più a quella festa.

E gli altri dove vanno?
Vanno anche alle feste dell'Unità. Come si fa a pensare che dopo due anni di governo Renzi quella festa abbia un senso? Almeno, per decenza, cambiassero nome.

Non le sembra di sottovalutare? Il partito democratico governa il Paese, i Cinque stelle hanno conquistato due grandi città alle ultime elezioni.
C'è una differenza enorme tra le due città: a Torino, Chiara Appendino è il prodotto di ciò che i 5 stelle stessi chiamano poteri forti; a Roma, invece i poteri forti li hanno contro.

Può essere più esplicito?
Dietro Appendino c'è la Fiat. Appena aletta, John Elkan è subito corso a incontrarla. Viceversa, Virginia Raggi è dovuta recarsi in visita dal Papa.

C'è solo questa differenza tra le due?
No, Appendino ha le qualità per governare, Raggi le ha solo per vincere le elezioni.

Scrive: "E' venuto il momento di tornare a considerare i banchieri paria della società e reietti da Dio".
Nel Medio Evo, era considerato usuraio chiunque prestasse denaro, a qualsiasi tasso. Oggi il fastidio per i banchieri è tornato a essere forte. Quando la gente vede i posti di lavoro che evaporano, le tutele che si dissolvono, e dall'altra gli aiuti di stato per tenere in vita istituti che hanno fallito, s'incazza.


Però è difficile vivere in un mondo senza banche.
Certo che si può vivere in un mondo senza banche. Per metà del secolo scorso, l'Unione Sovietica ne ha fatto a meno.

Non è andata benissimo, però.
Non per quel motivo. Mi domando perché non si possano nazionalizzare le banche che vengono salvate. Perché è diventata una bestemmia?

In Europa, nazionalizzare è contrario alle regole dell'Unione.
È per questo che l'UE suscita l'astio dei suoi cittadini: perché è solo un'unione economica.

Nel suo libro, mostra di preferire Ratzinger a Papa Francesco. Perché?
Da ateo, con Benedetto XVI ho avuto un dialogo. Mi è interessato leggere le cose che scriveva, Ratzinger aveva una profondità di pensiero. La statura intellettuale Papa Francesco lascia perplessi. Quando parla, mi cadono le braccia. La misericordia, il vogliamoci bene, l'amore: sono cose talmente banali. Chi può essere contrario?

È facile criticare l'Islam allo stesso modo in cui lei, ora, ha fatto con il Cattolicesimo?
Penso che, in realtà, sia molto più facile criticare l'islam che il Cristianesimo. Farlo, è politicamente corretto. Ci sono partiti politici che fanno propaganda sull'equazione musulmano uguale terrorista. E l'opinione pubblica è sempre sul chi va là.

Dimentica quello che è successo in Francia per le vignette di Charlie Hebdo su Maometto?
La diversità è che i cristiani non vengono sotto casa ad aspettarti se li prendi di mira con la satira. Ma ricorda la parodia di Ratzinger fatta da Crozza? A un certo punto ha dovuto smettere di farla. E potrei fare altri esempi. Nei risultati, non è molto diverso da quello che accade con l'Islam.

Lei è stato compagno di classe di Flavio Briatore. Ha letto della polemica sul turismo al sud, secondo lui poco sensibile ai bisogni dei ricchi?
Non saprei dire se è così. So che con Briatore studiavo al geometra. Lui fu bocciato al secondo anno, poi lasciò e fece una scuola privata per recuperare tutti gli anni in uno. Credo sia la dimostrazione che il detto popolare – "ultimi a scuola, primi nella vita" – è vero.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2016/09/25/odifreddi-dizionario-stupidita_n_12180056.html
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« Risposta #136 inserito:: Maggio 06, 2017, 05:05:38 pm »

5
MAG
2017

Analogie matematiche

In una lettera del 26 marzo 1940, pubblicata in La fredda bellezza (Castelvecchi, 2014), il famoso matematico André Weil provò a raccontare alla famosa sorella filosofa Simone qualcosa del suo lavoro, avvertendola: “ti sembrerà forse di comprenderne l’inizio, ma non capirai nulla di quanto segue”. In effetti parlava di cose tecniche, ma almeno un pensiero centrale riuscì a convogliarlo in parole semplici: il ruolo dell’analogia nella scoperta matematica, grazie alla quale cose diverse a un livello concreto vengono viste come manifestazioni di una stessa cosa a un livello astratto.
Nella relazione Dalla matematica alla metafisica, tenuta a un convegno del 1960 e contenuta anch’essa nel libriccino citato, Weil ripeté: “Come sanno tutti i matematici, nulla è più fecondo di queste oscure analogie, questi indistinti riflessi tra una teoria e un’altra, queste certezze furtive, queste indecifrabili foschie, e nulla dà maggior piacere allo studioso. Poi, un giorno, l’illusione svanisce, il presentimento diventa certezza, le teorie gemelle rivelano la loro origine comune prima di svanire. Come insegna la Bhagavad Gita, si giunge alla conoscenza e all’indifferenza allo stesso tempo. La metafisica è diventata matematica, pronta a formare la materia di un trattato la cui fredda bellezza non saprà più emozionarci”.
Alla sorella spiegava così l’utilità di questo procedimento: “La matematica moderna ha assunto un’estensione e una complessità tali che è diventato urgente, se la matematica deve continuare ad esistere e non vuole dissolversi in un ammasso di piccoli ambiti di ricerca, portare a termine un enorme lavoro di unificazione che assorba in alcune teorie semplici e generali tutto il substrato comune di diverse branche della scienza, sopprima le cose inutili e lasci intatto ciò che costituisce effettivamente l’aspetto specifico di ogni grande problema”.
Queste righe riassumono il programma di lavoro che André Weil aveva iniziato a portare avanti proprio in quegli anni, insieme agli altri matematici del gruppo Bourbaki, per la rifondazione della matematica sulla base del concetto di struttura. Le “teorie semplici e generali” che aveva in mente erano dunque quelle insiemistiche, algebriche, topologiche e analitiche in seguito descritte nei molti volumi degli Elementi di matematica, usciti a partire dal 1939.
Visto il periodo storico in cui scriveva alla sorella, Weil propose un’analogia militare: “In tutto ciò ci sono dei grandi problemi di strategia. Ed è tanto comune conoscere la tattica quanto è raro comprendere la strategia. Paragonerei dunque, malgrado l’incoerenza delle metafore, questi grandi edifici assiomatici alle comunicazioni nelle retrovie: non si è mai ottenuta molta gloria negli uffici dell’amministrazione, né nei convogli di equipaggiamento, ma cosa si farebbe se molta brava gente non si consacrasse a questi bisogni subalterni? Il rischio è che i diversi fronti finiscano per ignorarsi reciprocamente, come gli Ebrei nel deserto, o per perdere tempo, come Annibale a Capua”.
Naturalmente i fronti aperti della matematica si dispiegano non soltanto nello spazio, ma anche nel tempo. E il punto di vista privilegiato per osservare il divenire delle analogie, che nel corso del tempo divengono teoremi e teorie, è la storia della matematica stessa. Un’impresa nella quale André Weil, come racconta la figlia Sylvie in Casa Weil (Lantana, 2013), “ aveva deciso di riciclarsi negli ultimi decenni della sua vita, invece di deprimersi come certi suoi vecchi colleghi che si ostinavano a fare matematica con un cervello diventato meno duttile”. In questo caso il risultato fu la grande Teoria dei numeri (Einaudi, 1993), che spazia da Fermat a Legendre ed è considerata un imperituro capolavoro.
Lo spirito che anima il libro era già stato anticipato da André Weil in un’altra lettera alla sorella, del 29 febbraio 1940: “La matematica non è altro che un’arte, una specie di scultura in un materiale estremamente duro e resistente, come certi porfidi usati a volte dagli scultori. Il matematico è talmente sottomesso al filo e al controfilo, alle curvature e alle imperfezioni della materia lavorata, che questo conferisce alla sua opera una forma di oggettività. Si produce in tal modo un’opera d’arte, ma mentre la critica dell’arte è un genere vano e vuoto, la sua storia è forse possibile. Per quanto ne so, però, non si è mai fatta la storia della matematica in questo modo”. Fino al suo libro, appunto.
(Rubrica Il matematico impertinente di Aprile su Le Scienze)

Da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=RHPF-WB
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