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Autore Discussione: Piergiorgio ODIFREDDI.  (Letto 82043 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Giugno 15, 2011, 06:26:42 pm »

13
giu
2011

Non mi lasciano lavorare!

Piergiorgio ODIFREDDI


Temo che la lettera di Fabio Fazio a Repubblica, così come l’ultima puntata della trasmissione di Michele Santoro, siano stati due passi falsi dei celebri conduttori. E che si possano configurare, a tutti gli effetti, come espressioni di “interesse privato in atto pubblico”.

Naturalmente, siamo tutti preoccupati delle sorti del loro lavoro, e di cosa vedremo (o non vedremo) in televisione. Ma portare su un giornale a tiratura nazionale, o in un programma a diffusione nazionale, le proprie vicende contrattuali individuali, rivela una sostanziale mancanza di senso civico dei due conduttori.

Naturalmente, non sono stati loro i primi a farlo: anni fa incominciò Enzo Biagi, a lamentarsi del fatto che la Rai l’aveva giubilato dopo decenni, in seguito a un diktat del Presidente del Consiglio. Dimenticandosi, però, che in Rai ci aveva lavorato appunto per decenni, e che l’azienda era sempre stata gestita come un feudo del governo e della maggioranza.

La stessa cosa vale per Fazio e Santoro, che da decenni conducono invariabilmente i loro programmi, e vengono profumatamente pagati per farlo. In particolare, con più di due milioni di euro l’anno, il primo risulta essere il più pagato conduttore della Rai. Di un’azienda, per inciso, così autolesionista da permettergli di far produrre il proprio programma dalla Endemol: cioè, dalla concorrenza berlusconiana.

Santoro ha deciso di andarsene, e pure lui ha ricevuto una buonauscita di più di due milioni di euro. Onestamente, in entrambi i casi queste cifre mi sembrano schiaffi alla concezione di una televisione pubblica, che dovrebbe semplicemente stipendiare decorosamente i propri dipendenti e farli lavorare nel modo che meglio ritiene. Eventualmente, togliendo loro i programmi quando pensa che lo si debba fare: anche perchè, non facendo così, si finirebbe di assegnarglieli a vita, alla faccia delle“sperimentazioni” e delle “novità” invocate da Fazio nella sua lettera.

Vedremo se Santoro potrà, approdato a La7, inveire contro i propri datori di lavoro quando le loro decisioni gli saranno sgradite, o chiamare a raccolta gli italiani per farsi riassegnare il programma, nel caso che decidano di toglierglielo. O se, invece, sarà costretto ad adeguarsi a quelli che sono gli standard di qualunque azienda, dove i dirigenti (a differenza dai lavoratori) possono essere licenziati, e non hanno il diritto di rivolgersi a un tribunale per essere reintegrati.

In realtà, Fazio e Santoro sono parte del problema della Rai. La quale dovrebbe preoccuparsi di essere un servizio pubblico, invece che un clone delle reti berlusconiane. E dovrebbe smettere di adottare la stessa logica perversa dell’Auditel e della pubblicità. Dire che i due conduttori dovrebbero continuare a condurre i loro programmi perchè questi generano introiti record, rivela invece una logica mercantile indegna non solo di una televisione pubblica, ma della stessa concezione sociale che Fazio e Santoro dicono a parole di difendere.

A proposito di parole, mi piacerebbe che entrambi evitassero di lamentarsi che “non li lasciano lavorare”. Quella stessa espressione l’abbiamo sentita troppe volte in questi anni, dalla bocca del Presidente del Consiglio: è troppo pretendere che chi la pensa diversamente da lui, oltre a non adeguarsi alla sua concezione del mercato, usi anche un linguaggio diverso dal suo?

da - odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/13/non-mi-lasciano-lavorare/
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« Risposta #46 inserito:: Giugno 26, 2011, 10:55:43 pm »

20
giu
2011

Il Presidente e la guerra

Piergiorgio ODIFREDDI

Ieri Bossi e Maroni hanno chiesto al governo di ritirarsi dalla missione in Libia. E oggi il presidente Napolitano li ha subito bacchettati, dicendo che “l’Italia non poteva guardare con indifferenza o distacco gli avvenimenti in Libia, un paese a noi così vicino e col quale abbiamo nel tempo stabilito rapporti così intensi”. E che “non poteva rimanere inerte dinanzi all’appello del Consiglio di sicurezza perchè si proteggesse una popolazione che chiede libertà, autonomia, giustizia”.

La prima affermazione del Presidente equivale a dire che l’intervento è giustificato perchè lì’Italia ha trascorsi coloniali in Libia. Argomento singolare, visto che semmai questi trascorsi sono da considerarsi delle colpe, e non dei meriti. E che scuse di questo genere sono spesso invocate dalle potenze ex-coloniali, Francia e Inghilterra in testa, per giustificare i loro tentativi di proseguire il colonialismo con altri mezzi e sotto altre forme.

La seconda affermazione del Presidente è formalmente corretta, perchè un appello generico del Consiglio di Sicurezza c’è stato. Ma è sostanzialmente scorretta, perchè un pressing specifico sull’Italia è stato fatto da Obama su Berlusconi, e la missione in Libia è gestita dalla Nato. Dunque, l’affermazione equivale a dire che l’intervento è dovuto perchè così ordinato dalla nostra potenza di riferimento, con la quale siamo stati, siamo e rimaniamo in rapporti di vassallaggio.

Napolitano non è comunque nuovo a interventi politici a favore degli interventi bellici, nonostante l’articolo 11 della Costituzione reciti testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Non si capisce in che modo le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq non rechino offesa alla libertà dei popoli di quelle nazioni, e addirittura assicurino la pace e la giustizia fra le Nazioni, quando non sono altro che guerre coloniali e imperialiste nella peggior tradizione ottocentesca. In ogni caso, l’intervento in Afghanistan non è stato perpetrato sotto l’egida delle Nazioni Unite, ma della Nato: un’organizzazione di mutua difesa dei paesi atlantici, appunto, nessuno dei quali era stato minacciato dall’Alghanistan. E l’intervento in Iraq è stato perpetrato con un colpo di mano statunitense che ha aggirato le delibere del Consiglio di Sicurezza, le quali erano comunque state prese sulla base di “prove” false e taroccate.

Un centinaio di milioni di persone del mondo intero si erano opposte alla guerra in Iraq, nella più grandiosa manifestazione a favore della pace che sia mai stata fatta. Che Bush e Berlusconi, insieme ad altri della loro pasta, abbiano deciso di agirein dispregio dei loro popoli, fa parte dell’ordine (o del disordine) delle cose. Ma che Obama e Napolitano continuino a difendere questo e altri interventi, dimostra che le diversità di facciata nascondono spesso identità di sostanza. E che non si diventa presidenti, negli Stati Uniti o in Italia, se non si è disposti a privilegiare le ragioni di stato rispetto a quelle dei cittadini.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/20/il-presidente-e-la-guerra/
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« Risposta #47 inserito:: Giugno 29, 2011, 06:29:13 pm »

« Il Presidente e la guerra

28
giu
2011

Le carte in Tav-ola

Piergiorgio ODIFREDDI

Nel Lupo della steppa, Hermann Hesse esterna tutto il suo disgusto per la civiltà occidentale: non sorprendentemente, per l’autore di Siddharta e del Pellegrinaggio in Oriente. Naturalmente, da un punto di vista esteriore, la civiltà occidentale si concretizza nelle macchine, ed Hesse constata che “c’è troppa gente al mondo. Prima non lo si notava tanto. Ma ora che ciascuno non solo vuole l’aria per respirare, ma pretende anche l’automobile, ora lo si nota”.

Il Lupo della steppa si conclude con una simbolica “lotta fra gli uomini e le macchine”, che lascia “dappertutto automobili schiacciate, contorte, mezzo bruciacchiate”. “Su tutti i muri vi erano manifesti eccitanti che, a lettere cubitali, ardenti come fiaccole, esortavano la nazione a prendere finalmente la parte degli uomini contro le macchine, a incendiare finalmente le fabbriche e a ripulire e spopolare la terra violentata affinchè vi ricrescesse l’erba, e quel mondo polveroso di cemento potesse ridiventare prato, foresta, brughiera, fiume e palude”.

Non ho problemi ad ammettere che, in un’ipotetica battaglia luddista contro le automobili, io starei dalla parte del Lupo della steppa. Ma nella reale battaglia luddista contro i treni ad alta velocità, sto contro i No-Tav. Perchè auto e treni non sono affatto la stessa cosa, essendo le prime mezzi di trasporto individuali, e i secondi mezzi di trasporto collettivi. E mentre io sono contro gli Agnelli, gli Elkann e i Marchionne, sto dalla parte delle Ferrovie dello Stato. O, se si preferisce, mentre sono contrario alle speculazioni private, sono a favore dei servizi pubblici.

Che i No-Tav siano oggettivamente dalla parte dei conservatori e dei leghisti, che non vedono al di là del proprio naso e delle proprie tasche quando si tratta di difendere i propri piccoli interessi contro quelli della comunità, l’hanno dimostrato alle elezioni regionali del 2010 in Piemonte. Invece di votare per la Bresso, hanno sprecato il cinque per cento dei voti nella lista qualunquista di Grillo, permettendo a Cota di vincere con un uno per cento di vantaggio.

Manifestare contro lo sviluppo tecnologico collettivo dei treni, significa schierarsi oggettivamente a favore dello sviluppo tecnologico individuale delle auto e dei camion. E’ una scelta oscurantista, perfettamente in linea con la politica che il cartello delle grandi fabbriche automobilistiche europee ha imposto ai governi nei decenni passati: mentre la Svizzera ha gradualmente dirottato tutto il trasporto delle merci sulle rotaie, bonificando le strade e le autostrade dai Tir, noi abbiamo potenziato ilsistema stradale e autostradale, infestandolo di traffico.

Dietro alla battaglia pro o contro la Tav, sta in fondo questo interrogativo: vogliamo continuare ad aumentare il degrado delle città, del territorio e della vita quotidiana prodotto dalle auto e dai camion, o preferiamo investire su autobus e treni per invertire la tendenza e sperare in uno sviluppo meno disumano? Se lo ricordino i No-Tav, che invece di provare a bloccare le rotaie potrebbero più utilmente provare a bloccare i caselli autostradali, a partire da quelli che portano nella Val di Susa.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/06/28/le-carte-in-tav-ola/
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« Risposta #48 inserito:: Agosto 02, 2011, 11:39:10 am »



31
lug
2011

Piergiorgio ODIFREDDI


L’amico Paolo Flores d’Arcais, direttore della rivista Micromega, ha pubblicato di recente per Add Editore Gesù. L’invenzione del Dio cristiano, che sta avendo un buon successo di vendite ed è entrato nelle classifiche. Mi ha chiesto il mio parere, e sono felice di darglielo. Non come supposto esperto dell’argomento, ma come reale compagno di strada sul cammino della laicità: una parola quasi sconosciuta nel nostro paese, dove ecumenicamente si dichiarano tutti cattolici, da Berlusconi a Vendola. E magari pure lo sono!

Flores ama dibattere con gli uomini di chiesa, e ha collezionato un gran numero di confronti ai massimi livelli della gerarchia cattolica, dai cardinali in giù. In particolare, una volta persino con l’allora cardinal Ratzinger, in un colloquio pubblico sponsorizzato da Repubblica, che è stato recentemente ripubblicato da Ponte alle Grazie in La sfida oscurantista di Ratzinger, con un lungo commento di aggiornamento.

E’ naturale che Flores interloquisca con l’attuale papa: in fondo, sono entrambi filosofi di formazione, e si capiscono meglio di quanto non possa succedere a chi, come me, proviene da una formazione diversa. E infatti, se devo dire spassionatamente la mia opinione, io li trovo entrambi talmente equidistanti da me, da considerarli paradossalmente quasi coincidenti nelle loro opinioni su Gesù.

Paradossalmente, dicevo, perchè Flores sicuramente si sente anni luce (divina) lontano da Ratzinger, in quanto quest’ultimo ovviamente difende le invenzioni a cui allude il sottotitolo del libro di Flores. Cioè, la dottrina costituita da un enorme castello di carte dogmatiche codificate dapprima nel Credo di Nicea e di Costantinopoli, e poi in uno sterminato elenco di sedicenti e autoproclamate “verità” di fede che definiscono appunto, a insaputa della maggior parte dei sedicenti e autoproclamati “credenti”, la fede cattolica in Gesù Cristo.

Giustamente Flores considera questo castello una costruzione immaginaria, ma stranamente cerca di smantellarlo sulla base delle testimonianze evangeliche. Egli si ferma, cioè, al primo passo della decostruzione della religione giudaico-cristiana: quello intrapreso, ad esempio, da Spinoza nel 1670 con il Trattato teologico-politico, o nel 1678 da Richard Simon nella Storia critica dell’Antico Testamento.

Ma ben altra acqua (non santa) è passata sotto i ponti del castello, in tre secoli, e ne ha scalzato le fondamenta. Oggi persino i teologi del Jesus Seminar considerano la quasi totalità delle notizie su Gesù riportate dai Vangeli inattendibili e non storiche. E lo stesso Ratzinger ammette, nelle due introduzioni ai suoi volumi su Gesù di Nazaret, che le ricerche storico-critiche hanno dimostrato che si può considerare Gesù un personaggio storico, solo se si accetta di stravolgere radicalmente il significato della parola “storia”.

Onestamente, mi aspettavo che la posizione di Flores fosse che i Vangeli sono tanto attendibili e storici quando il Mahabarata o il Ramayana, per non dire Il Signore degli Anelli o Harry Potter: cioè, come qualunque altro testo di letteratura fantastica. Il fatto che egli non la pensi così, come d’altronde non la pensa così Corrado Augias, autore di almeno due best seller su Gesù e il cristianesimo, dimostra che anche i laici possono essere vittime dell’efficace incantesimo lanciato dalle Chiese cristiane.

L’incantesimo consiste nel ripetere come un mantra che coloro che negano l’esistenza storica di Gesù sono un retaggio del positivismo ottocentesco, perchè la loro negazione sarebbe stata confutata convincentemente e non risulterebbe più credibile. Naturalmente, l’incantesimo non allega prove storiche della supposta esistenza di Gesù, e non le allega perchè le prove non esistono: a meno di non voler circolarmente considerare come tali i Vangeli, cioè appunto i testi che andrebbero confermati.

La mia critica “da sinistra” al libro di Flores è dunque che esso fa solo metà di ciò che dovrebbe: mostra sì che il cristianesimo è un castello dipinto su una roccia, ma non mostra che anche la roccia su cui il castello si fonda è dipinta, e che tutto fa solo parte di uno stesso quadro. Ma, forse, proprio questo è il segreto del suo successo, così come quello dei libri di Augias: perchè, per i lettori, un conto è criticare la dottrina della Chiesa, e un altro risvegliarsi dal sonno dogmatico e ammettere che anche Gesù adulto, così come Gesù bambino, non sono altro che sogni infantili.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/07/31/caro-flores-ti-scrivo/
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« Risposta #49 inserito:: Agosto 10, 2011, 10:47:03 pm »

9
ago
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Cavaliere, ci consenta!

Quarant’anni fa Jean Paul Sartre si opponeva all’unificazione europea, perché sospettava e temeva che il risultato finale sarebbe stata non un’integrazione politica ed economica dei vari paesi dell’Unione, ma un’egemonia neocapitalista franco-tedesca sui rimanenti.

Il tracollo di Grecia, Spagna e Portogallo dapprima, e dell’Italia ora, conferma le sue previsioni. Il tandem guidato da Sarkozy e dalla Merkel sta infatti imponendo al resto dell’Europa, e in particolare a noi, misure ultra-liberiste che non si discostano molto da quelle già imposte per decenni dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale ai paesi in via di sviluppo, costretti dalle loro difficoltà economiche a chiedere l’aiuto di queste vampiresche e imperialistiche organizzazioni.

Naturalmente, le misure richieste non dispiacciono affatto a Berlusconi e Tremonti, che si sono affrettati a presentare come passi inevitabili la privatizzazione selvaggia degli enti e dei beni pubblici, la riforma radicale del sistema pensionistico, l’abbattimento dei vincoli e dei controlli alla cosiddetta ‘libertà d’impresa’ e lo smantellamento di ciò che ancora rimane dello statuto e dei diritti dei lavoratori.

Inutile dire che quelle misure non sono affatto necessarie (e probabilmente nemmeno sufficienti) per il superamento della crisi, benché come tali vengano presentate. Lo dimostrano, ad esempio, le analisi del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che da anni si oppone alle analoghe misure imposte dal FMI e dalla BM (di cui egli era stato un contrastato vicepresidente).

Nello specifico, se in Italia ci fosse una sinistra degna di questo nome, e non solo una sua indegna caricatura, essa cercherebbe di imporre, o almeno di proporre, una svolta radicale in direzione neosocialista, o almeno neosocialdemocratica. In particolare, ricordando al governo che i 50 miliardi di euro di cui ha immediatamente bisogno, e le centinaia che dovranno seguire, si potrebbero reperire spolpando le ossa non delle classi lavoratrici e produttive, ma di quelle speculatrici e parassitarie.

Ad esempio, facendo restituire alle banche gli enormi finanziamenti che hanno permesso il loro salvataggio allo scoppiare della crisi nel 2008. Tassando le rendite azionistiche e i patrimon dei ricchi, invece che i consumi dei poveri. Scatenando una guerra senza presa di prigionieri all’evasione fiscale, invece di giustificarla e addirittura fomentarla. Chiudendo i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi. E soprattutto concentrando gli aiuti sui servizi e le infrastrutture sociali, invece che sulle imprese e il commercio privati.

Sappiamo bene, ovviamente, che non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata. E che la crisi sarà invece sfruttata come scusa per la restaurazione del capitalismo selvaggio, e lo smantellamento dello stato sociale. Ma possiamo almeno ricordare che nel 1929 le cose sono andate in un altro modo, e che dunque potrebbero andarci anche oggi, se solo al posto di Berlusconi (e anche di Obama) ci fosse un Roosevelt. Che però, purtroppo, non c’è…

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HREA-1
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« Risposta #50 inserito:: Agosto 16, 2011, 04:07:57 pm »

13
ago
2011


Interviste e gossip

Piergiorgio ODIFREDDI

Spero mi si perdonerà se, con tutti i problemi che affliggono l’Italia in questi giorni, mi permetto un intervento su un argomento secondario, che però mi riguarda personalmente. Mi consolo con la constatazione che, se di “conflitto di interessi” si tratta, sicuramente non è l’esempio più eclatante che possa venire in mente a casa nostra.

Il fatto è che nelle librerie circola un libello, apparentemente a mio nome e con tanto di fotografia in copertina,  intitolato Perchè Dio non esiste, edito da Aliberti. In realtà, se si guarda meglio, si nota che si tratta di un’intervista concessa a Claudio Sabelli Fioretti, il cui nome appare in piccolo. E se lo si legge si scopre che il titolo ha poco o niente a che vedere con gli argomenti affrontati all’interno.

Il fattaccio è che l’intervista di Sabelli, giornalista d’assalto e conduttore del programma radiofonico Un giorno da pecora, è semplicemente indegna. Il suo stile non è il mio, le sue parole non sono le mie, e le cose che gli ho detto le ha sistematicamente banalizzate, e spesso travisate. Purtroppo lui e l’editore, non paghi di pubblicare il libro senza farmi firmare alcun contratto, e senza pagarmi alcuna royalty, mi hanno impedito di correggere degnamente le bozze, che avrebbero necessitato di una radicale e laboriosa riscrittura.

Il libro è uscito un anno fa. Se ne parlo solo ora, è perché in questi giorni (chissà perché) ne sono uscite una recensione sul sito fondamentalista dell’Uccr (acronimo di un’ossimorica Unione di cristiani cattolici razionalisti), e una citazione sul sito di Giorgio Israel. Della carnevalata del primo non mi curo, e al secondo ho brevemente esposto i fatti e fattacci suddetti, riconoscendo il dovere di rispondere di ciò che personalmente scrivo e dico, ma rivendicando il diritto di non rispondere di ciò che mi viene scorrettamente attribuito.

Al di là del fatto personale, il problema riguarda anzitutto la deontologia dell’intervistatore serio. Il quale, dopo aver trascritto le registrazioni, le riduce e le organizza mantenendone la forma e la sostanza . Le interpolazioni, le riformulazioni e le invenzioni non fanno parte delle regole del gioco, ma solo dell’andazzo del gossip (forse non è un caso che Sabelli sia stato direttore di ABC).

E poi, naturalmente, il problema riguarda la deontologia dell’editore serio. Il quale, dopo essersi reso colpevole di vessazione editoriale, eventualmente domanda umilmente scusa, invece di minacciare mafiosamente querele. Soprattutto se è uno dei finanziatori di un giornale come Il Fatto Quotidiano, che di tali comportamenti dovrebbe essere il fustigatore politico, invece che il beneficiario economico.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/08/13/interviste-e-gossip/
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« Risposta #51 inserito:: Agosto 20, 2011, 09:25:27 pm »

19
ago
2011

Evasione fiscale: da che pulpito!

Piergiorgio ODIFREDDI

L’ottimo Massimo Gramellini, quello razionalista del “Buongiorno” mattutino su La Stampa (ce n’è anche un altro, per me meno ottimo: quello new age del romanzo L’ultima riga delle favole), ha posto un paio di giorni fa una domanda cruciale.

Il cardinal Sepe di Napoli aveva sollevato un’obiezione relativa allo spostamento della festività di San Gennaro alla domenica più vicina, sulla base della singolare scusa che l’abitudinario santo potrebbe finire col confondersi sul giorno del miracolo. Dopo alcune delle sue sempre divertenti osservazioni, Gramellini ha seriamente concluso così: “Ci piacerebbe approfittare della linea diretta per conoscere l’opinione del Santo anche sui 4 miliardi annui di esenzioni fiscali di cui la Chiesa italiana continua a godere persino su residenze e attività estranee al culto. Che sia questo il vero miracolo?”. Parole sante, verrebbe da dire.

Oggi il cardinal Bagnasco, che canta a Genova invece che a Napoli, ma sullo stesso spartito di Sepe, ha dichiarato papale papale (forse già sognando il prossimo conclave) a Radio anch’io: “Le cifre dell’evasione fiscale sono impressionanti”. E ha aggiunto: “Come credenti e comunità cristiana dobbiamo rimanere al richiamo etico che fa parte della nostra missione e fare appello alla coscienza di tutti perchè anche questo dovere possa essere assolto da tutti per la propria giusta parte”. Anche perchè, concludeva, così facendo “le cose sarebbero risolte”.

Dialogo fra sordi, si noterà. Perchè Gramellini suggeriva implicitamente che, in un momento di grave crisi economica, anche la Chiesa dovrebbe fare la sua “giusta parte”, spontaneamente o forzatamente, incominciando finalmente a pagare alcune delle indebite esenzioni fiscali che i governi di destra, di centro e di sinistra le hanno sempre ecumenicamente accordato. A Bagnasco, invece, non sembra essere passato per la testa che le esenzioni fiscali di cui gode la Chiesa sono semplicemente una versione legalizzata, e dunque doppiamente vergognosa, delle evasioni fiscali a cui giustamente si riferiva.

Naturalmente, sappiamo tutti che è più facile vedere la pagliuzza (si fa per dire) negli occhi altrui, che la trave nella propria. Ma proprio perchè è così, dovremmo essere noi a far notare alla Chiesa la trave fiscale che essa fa gravare sulle nostre spalle. E a liberarcene una volta per tutte, incominciando a far pagare ai preti e ai cardinali la prima tranche della “tassa di Robin Hood”. Perchè, soprattutto oggi che banche e industrie sono in difficoltà, l’unico vero ricco rimasto è proprio la Chiesa. Ed è giunta l’ora che essa smetta di parlare dei poveri, e incominci a pagare qualcosa per loro. Amen.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/08/19/evasione-fiscale-da-che-pulpito/?ref=HRER2-1
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« Risposta #52 inserito:: Agosto 28, 2011, 10:23:08 am »

25
ago
2011

Losing Jobs

Piergiorgio ODIFREDDI

Steve Jobs si è dimesso da amministratore delegato della Apple. Sembra, dunque, che stia perdendo la battaglia contro il male che lo sta divorando da tempo, e che l’ha reso ormai quasi evanescente come un fantasma, soprattutto se paragonato al florido ragazzo che era quando ha dato inizio all’avventura dei computer user friendly.

Interessante paragonare la sua carriera con quella parallela dell’altro enfant prodige dell’informatica, Bill Gates. Naturalmente, nessuno dei due è responsabile nè dell’invenzione del computer, nè dello sviluppo della sua tecnologia di base. Siamo dunque lontani anni luce dai contributi cruciali di Charles Babbage, Alan Turing e John von Neumann, tanto per limitarci alla Santissima Trinità.

Volendo mantenere la metafora profana, Gates e Jobs sono però i Pietro e Paolo della diffusione del vangelo del computer. Cioè, gli uomini del marketing, che hanno provveduto a diffondere il verbo informatico tra le genti, incarnato nel silicio invece che nelle valvole.

Agli inizi, Gates predicava il vangelo canonico dei fondatori, quello della programmazione e dei sistemi operativi. Il suo colpo di genio, come racconta lui stesso nella sua autobiografia La strada che porta a domani, fu di comprare (non di sviluppare!) l’ormai storico Dos, e di regalarlo all’Ibm, senza permetterle però l’esclusiva. L’adozione del Dos da parte dell’Ibm, e la costruzione dei cloni che potevano utilizzarlo grazie all’uso pubblico, ruppe il monopolio del colosso e diede inizio alla rivoluzione dell’informatica prêt-à-porter.

Jobs tradì la vocazione iniziale dell’informatica, di essere una religione per il solo popolo eletto in grado di programmare, e la diffuse tra i gentili: cioè, tra la gente comune, che non voleva saperne della te(cn)ologia. La teoria sparì dietro le icone, e rimase soltanto la pratica: come le vecchiette russe che pregano di fronte alle immagini di Andrei Rublev, completamente ignare dei dogmi che queste occultano, così i giovanotti occidentali si sono convertiti alla nuova religione, completamente ignari di cosa sia l’informatica. Come d’altronde, già era successo per le auto e la meccanica.

Analogamente all’originale evangelico, anche nel remake informatico ad avere la meglio è stato appunto Paolo-Jobs. E Pietro-Gates ha da tempo dovuto riconoscerne la vittoria e adattare la sua visione a quella dell’amico-rivale. Oggi il frontedi conversione della tecnologia digitale passa per l’Iphone, l’Ipod e l’Ipad, in attesa dei prossimi Iped, Ipud e Ipid: cioè, per i prodotti Apple, alla cui filosofia si è da tempo convertita anche la tecnologia Microsoft.

La consolazione per Gates è che tutti questi aggeggi ci portano sempre più avanti lungo La strada che porta a domani tracciata nel suo libro. Verso l’ormai prossima meta, cioè, di un’unica macchina versatile, portatile e in grado non soltanto di calcolare, ma di riunire in sè tutti i possibili flussi di informazione digitalizzabile (telefono, giradischi, radio, televisione, macchina fotografica, videocamera e, naturalmente, computer).

Che Jobs pssa riuscire a vedere realizzato l’obiettivo finale, alla cui realizzazione ha tanto contribuito.

da - repubblica.it
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« Risposta #53 inserito:: Agosto 28, 2011, 11:29:22 pm »

28
ago
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Porgere l’altro portafoglio

Il 9 agosto, in seguito all’annunciata manovra fiscale del governo, avevo suggerito nel post Cavaliere, ci consenta alcune misure più incisive ed eque per affrontare la crisi economica, una delle quali era “chiudere i rubinetti delle miliardarie elargizioni annuali al Vaticano, alla Chiesa e agli enti religiosi”. Aggiungendo, però, che “non una di queste misure verrà proposta, e meno che mai attuata”.

Fortunatamente, mi sbagliavo. Il 19 agosto, nel post Evasione fiscale: da che pulpito, ritornavo sull’argomento, stimolato da una presa di posizione di Massimo Gramellini, che su La Stampa aveva ripetuto la stessa richiesta. Nel frattempo, anche i radicali e l’Uaar hanno da parte loro avanzato proposte concrete di tassazione dei beni e delle attività commerciali ecclesiastiche.

L’Espresso, nel numero in edicola questa settimana, ha addirittura dedicato la copertina a quella che, coloritamente ma correttamente, chiama La Santa Evasione. Finalmente, dunque, una solitaria battaglia di nicchia ha ricevuto l’attenzione mediatica che si merita, e ha costretto “la grande meretrice” dantesca, e i suoi “protettori” politici, al contrattacco.

Ieri e oggi Avvenire ha dedicato articoli alla questione. Sostanzialmente, argomentando che la Chiesa già paga tutte le tasse dovute per legge, e non è dunque tecnicamente un evasore. Essi fingono ovviamente di non capire che il problema sono invece, da un lato, le leggi che garantiscono principesche esenzioni. E, dall’altro lato, quelle che forniscono principesche elargizioni.

Avvenire tira in ballo anche me, per la citazione su L’Espresso di quello che viene definito un mio “misterioso libro, nel quale accuso la Chiesa di evasione”. In realtà, il “misterioso libro” non è altro che il ben noto Perchè non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), che tante volte il cardinal Ravasi e altri collaboratori del giornale dei vescovi hanno attaccato e criticato: evidentemente, senza mai preoccuparsi di leggerlo.

E la “sconcertante assenza totale di fonti che i lettori possano controllare” è invece il seguente elenco, che non ho problemi a ripubblicare, a beneficio del cardinale e dei lettori. Ricordando che si tratta di cifre vecchie di qualche anno, perchè tratte dal Secondo rapporto sulla laicità pubblicato da Critica liberale nel gennaio-febbraio 2006, e dal rapporto Enti ecclesiastici: le cifre dell’evasione fiscale dell’Ares (Agenzia di Ricerca Economica e Sociale) del 7 settembre 2006.

Dunque, al miliardo di euro dell’8 per mille dei contribuenti, che molti credono ingenuamente essere l’unica elargizione statale alla Chiesa, va aggiunta ogni anno una cifra dello stesso ordine di grandezza sborsata dal solo Stato (senza contare regioni, province e comuni) nei modi più disparati.

Nel 2004, ad esempio, sono stati elargiti 478 milioni di euro per gli stipendi degli insegnanti di religione, 258 milioni per i finanziamenti alle scuole cattoliche, 44 milioni per le cinque università cattoliche, 25 milioni per la fornitura dei servizi idrici alla Città del Vaticano, 20 milioni per l’Università Campus Biomedico dell’Opus Dei, 19 milioni per l’assunzione in ruolo degli insegnanti di religione, 18 milioni per i buoni scuola degli studenti delle scuole cattoliche, 9 milioni per il fondo di sicurezza sociale dei dipendenti vaticani e dei loro familiari, 9 milioni per la ristrutturazione di edifici religiosi, 8 milioni per gli stipendi dei cappellani militari, 7 milioni per il fondo di previdenza del clero, 5 milioni per l’Ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, 2 milioni e mezzo per il finanziamento degli oratori, 2 milioni per la costruzione di edifici di culto, e così via.

Aggiungendo a tutto ciò una buona fetta del miliardo e mezzo di finanziamenti pubblici alla sanità, molta della quale è gestita da istituzioni cattoliche, si arriva facilmente a una cifra complessiva annua di almeno tre miliardi di euro. Ma non è finita, perchè a queste riuscite uscite vanno naturalmente aggiunte le mancate entrate per lo Stato dovute a esenzioni fiscali di ogni genere alla Chiesa, valutabili attorno ad altri sei miliardi di euro.

Gli enti ecclesiastici sono infatti circa 59.000 e posseggono circa 90.000 immobili, adibiti agli scopi più vari: parrocchie, oratori, conventi, seminari, case generalizie, missioni, scuole, collegi, istituti, case di cura, ospedali, ospizi, e così sia. Il loro valore ammonta ad almeno 30 miliardi di euro, ma essi sono esenti dalle imposte sui fabbricati, sui terreni, sul reddito delle persone giuridiche, sulle compravendite e sul valore aggiunto (Iva).

Come se non bastasse, alle esenzioni fiscali statali si aggiungono anche quelle comunali: ad esempio dall’Ici, “Imposta Comunale sugli Immobili”, in quanto gli enti ecclesiastici si autocertificano come “non commerciali”. La Legge n. 248 del 2006, approvata sotto il governo Prodi, garantisce infatti l’esenzione dall’Ici agli enti “non esclusivamente commerciali”.

In tal modo i comuni italiani perdono un gettito valutato intorno ai 2 miliardi e 250 milioni di euro annui. La Santa Sede possiede infatti un enorme patrimonio immobiliare anche fuori della Città del Vaticano, in parte specificato dal Trattato del 1929: dal palazzo del Sant’uffizio a Piazza San Pietro a quello di Propaganda Fide a Piazza di Spagna, dall’Università Gregoriana al Collegio Lombardo, dalla Basilica di San Francesco ad Assisi a quella di Sant’Antonio a Padova, da Villa Barberini a Castelgandolfo all’area di Santa Maria di Galeria che ospita la Radio Vaticana, e che da sola è più estesa del territorio dell’intero Stato (44 ettari).

Ma questi non sono che i gioielli della corona di una multinazionale che nel 2003 disponeva nella sola Italia di 504 seminari e 8.779 scuole, suddivise in 6.228 materne, 1.280 elementari, 1.136 secondarie e 135 universitarie o parauniversitarie. Oltre a 6.105 centri di assistenza, suddivisi in 1.853 case di cura, 1.669 centri di “difesa della vita e della famiglia”, 729 orfanotrofi, 534 consultori familiari, 399 nidi d’infanzia, 136 ambulatori e dispensari e 111 ospedali, più 674 di altro genere.

Come ho detto, i dati sono vecchi di qualche anno, perchè il mio libro è del 2007. Ma sappiamo tutti che i privilegi della Chiesa sono addirittura aumentati sotto il governo Berlusconi, grazie alla mediazione diretta di letterali “gentiluomini di Sua Santità” di provata fede, e altrettanto provata immoralità: ad esempio, Gianni Letta e Angelo Balducci, rispettivamente Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e Presidente Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

Altro che “dare a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”! Qui si tratta, semplicemente, di smettere di togliere al popolo per dare al Papa!

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/?ref=HRER2-1
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« Risposta #54 inserito:: Settembre 06, 2011, 03:18:03 pm »

Porgere l’altro portafoglio

5
set
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

Il Festival delle Vanità

Tenere una conferenza di filosofia al Festival del Cinema di Venezia, come mi è capitato di fare nel weekend, equivale ad andare a parlare di castità in un bordello. E non si tratta di una metafora, perchè l’impressione che si ha curiosando sulla terrazza dell’Hotel Excelsior, è che la maggioranza delle esibizioniste e degli esibizionisti che vi si mettono in mostra sia effettivamente costituita da prostitute e protettori.

Fuori dell’Hotel si trova il famoso “tappeto rosso”, sul quale sfilano esibizioniste ed esibizionisti di un altro genere, e attorno al quale si accalcano le folle dei fotografi e dei fan. A impressionare qui non è la totale mancanza di morale, ma la completa assenza di intelligenza: invece che in un bordello, infatti, sembra di essere finiti in un manicomio, o alla sezione del Cottolengo per i minorati mentali.

Per quale motivo la gente “normale” dovrebbe esaltarsi alla messa in scena commerciale della messa in scena cinematografica, soprattutto in momenti di grave crisi economica, è uno dei misteri dell’umanità. Se le cose andassero come devono, anzitutto ovviamente non ci troveremmo nella congiuntura in cui ci troviamo. E poi, a Venezia (o a Roma) scenderebbero in forza folle inferocite, a inseguire i divi non per un autografo, ma per una bella bastonata.

E invece, scendono in folla giovani e vecchi inebetiti, alla caccia disperata di biglietti per poter presenziare alla prima dei film che si potranno comodamente vedere tra un paio di settimane in qualunque sala cinematografica. In subordine, o in superordine, la stessa folla spera di poter cogliere dal vivo la mirabile visione delle loro dive o dei loro divi preferiti. Le quali e i quali sono appunti lì a pavoneggiarsi, visto che altro in fondo non sanno fare, dentro e fuori le pellicole cinematografiche.

La conferma viene dalle conferenze stampa, nelle quali decine di giornalisti pongono loro sempre le stesse domande, indipendentemente dai film e dagli interpreti: Qual è il suo personaggio? Cosa ha provato a interpretarlo? E a recitare insieme agli altri interpreti? E a lavorare col regista? E, naturalmente, ricevono sempre le stesse risposte: Per me è stata un’esperienza straordinaria. Non avrei mai immaginato di poter recitare con questo o quella. Regista e interpreti sono i più grandi con cui mi sia mai capitato di lavorare.

Sì, dicono proprio così: lavorare! E i media non riversano loro addosso improperi e bestemmie, ma servizi in technicolor o multisound, come se si trattasse di premi Nobel che hanno scoperto la materia oscura o la cura per il cancro. Ecco, questo sarebbe il momento buono per il ministro Brunetta di andare nella sua città, presentarsi al Lido e dire al volgo e all’inclita, per una volta con ragione: “Siete l’Italia peggiore”. Se lo facesse, sarei pure disposto a votarlo come sindaco: anche perchè, ovviamente, non sarebbe Brunetta.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/05/il-festival-delle-vanita/
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« Risposta #55 inserito:: Settembre 13, 2011, 04:55:15 pm »

Il Festival delle Vanità

12
set
2011

Piergiorgio ODIFREDDI



Finalmente passato il decimo anniversario dell’11 settembre 2001, possiamo trarre un bilancio dalla retorica delle celebrazioni di ieri. Non una voce si è alzata in Occidente, per quanto ne so, a dire la verità nuda e cruda: che gli Stati Uniti, attraverso le parole e le azioni del loro presidente e dei loro cittadini, da un lato hanno dimostrato di non aver capito le ragioni degli attentati, e dall’altro lato ne hanno confermato l’inevitabilità storica.

La domanda che gli statunitensi si erano posti, dieci anni fa, era stata giustamente: “Perchè il mondo ci odia così tanto?”. Sarebbe bastato un superficiale esame di coscienza per rispondere, altrettanto giustamente, che il mondo odiava l’unica nazione che l’aveva stuprato globalmente, dal “cortile di casa” del Centro e Sud America, alle più remote propaggini della Terra.

Come si sarebbe potuta non odiare, una nazione colpevole dell’invasione del Messico, del Guatemala, del Nicaragua, di Santo Domingo, delle Filippine? Dell’instaurazione delle dittature e dell’appoggio ai dittatori di Cuba, di Panama, del Brasile, del Cile, dell’Argentina, di Taiwan? Dell’uso di armi di distruzioni di massa su popolazioni inermi, dalle tempeste di fuoco su Dresda e Amburgo, alle bombe atomiche su Hirishima e Nagasaki? Delle guerre di Corea, del Vietnam e della Bosnia? E, naturalmente, per quanto riguarda il Medio Oriente, dell’appoggio unilaterale a Israele da un lato, e ai regimi corrotti e artificialmente filo occidentali del Golfo dall’altro, dallo Scià di Persia alla famiglia reale saudita?

Semmai, ci si sarebbe dovuti stupire del contrario: cioè, se questa politica di stupro globale dei diritti dei popoli non avesse provocato un odio generalizzato e capillare nei confronti dell’unica vera superpotenza. Ieri Obama ha trionfalmente dichiarato: “Siamo liberi”. Certo, non c’è dubbio, e gli Stati Uniti lo sono sempre stati. Il problema sta nel prezzo che il resto del mondo ha dovuto pagare, per questa libertà unilaterale.

Nei dieci anni dall’11 settembre, la lista dei motivi d’odio nei confronti degli Stati Uniti si è ulteriormente allungata, con le guerre in Afghanistan e in Iraq, e con i crimini di Guantanamo e Abu Ghraib. E la forbice fra i tremila morti subiti dagli Stati Uniti negli attentati, e i milioni da essi causati nel resto del mondo, si è ulteriormente divaricata.

Sarebbe difficile, per chi fosse in grado di mantenere il senso delle proporzioni e l’indipendenza di giudizio, non condividere oggi come ieri le parole che Hebe de Bonafini, fondatrice dell’Associazione delle Madri di Plaza de Mayo argentine, pronunciò dieci anni fa in occasione dell’11 settembre: “In quel momento molta gente ha gioito e ha sentito che il sangue di tante vittime è stato vendicato. Perché i bombardamenti della Nato, i blocchi navali e le morti di milioni di bambini erano dovute al potere che gli attentatori hanno attaccato col loro proprio corpo. E tutti lo sapevano”.

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/12/la-retorica-dell11-settembre/
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« Risposta #56 inserito:: Settembre 14, 2011, 05:45:02 pm »

13
set
2011

La “cupola” di San Pietro

Piergiorgio ODIFREDDI

Dunque, per la terza volta, si prova ad arrestare Joseph Ratzinger per il suo coinvolgimento nella copertura della pedofilia ecclesiastica.

La prima volta risale agli inizi del 2005, quando la Corte distrettuale della contea di Harris in Texas aprì una pratica contro l’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per connivenza nei reati di pedofilia e ostruzione alle indagini. A evitare al cardinale di dover rispondere di questi reati fu la sua elezione a papa, nell’aprile di quello stesso anno. Il Ministero della Giustizia statunitense chiese e ottenne, il 26 settembre 2005, di archiviare la pratica con la motivazione che, grazie alla nuova carica dell’imputato, il procedimento era “incompatibile con gli interessi della politica estera degli Stati Uniti”.

Il secondo tentativo, di cui abbiamo parlato nel blog del 17 settembre di un anno fa, lo fecero Richard Dawkins e Christopher Hitchens, chiedendo l’arresto di Benedetto XVI al momento del suo arrivo in Inghilterra per una visita ufficiale. Naturalmente, la loro imbarazzante richiesta fu lasciata cadere nel silenzio, e venne considerata l’espressione di un delirio anticlericale di due noti scrittori in cerca di ulteriore pubblicità.

Questa volta, però, a chiedere l’intervento della Corte Penale Internazionale dell’Aja sono le stesse vittime degli abusi, la cui esistenza e gravità ormai nessuno osa più negare, a partire dallo stesso pontefice. E come suoi correi vengono chiamati anche i cardinali Bertone e Sodano: attuale Segretario di Stato ed ex vice di Ratzinger il primo, ed ex Segretario di Stato di Vojtyla il secondo.

E’ interessante notare che i due cardinali sono esattamente gli stessi che hanno cercato di mettere a tacere nel maggio dello scorso anno il cardinal Schönborn, primate d’Austria e allievo prediletto di Ratzinger, quando quest’ultimo cercò di addossar loro le colpe della copertura in questione, nel tentativo di evitare che lo scaricabarile arrivasse fino al soglio più alto. Ma fu lo stesso Benedetto XVI a zittirlo, tirandogli le orecchie in pubblico e costringendolo a chiedere scusa a Sodano alla presenza sua e di Bertone.

Sarà improbabile vedere la Corte alternare le sedute per processare, per lo stesso reato di “crimini contro l’umanità”, Muhammar Gheddafi, contro il quale ha già spiccato un mandato d’arresto, e Benedetto XVI. Ma è divertente osservare la nemesi della storia: un secolo fa si temeva in Vaticano l’arrivo dei cosacchi, settant’anni fa quello delle SS, e oggi quello degli emissari della Corte Penale Internazionale.

In realtà, il Vaticano non ha aderito allo Statuto di Roma, e dunque non saranno le guardie svizzere a dover eseguire un eventuale mandato di cattura. Ma l’Italia è un paese parte, e sarei molto curioso di vedere i carabinieri mettere le manette al papa, alla sua prima uscita dai confini della Città del Vaticano. Sarebbe una grande catarsi per l’umanità, costretta a constatare che “ormai non c’è più religione” …


da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/13/arrestare-il-papa-di-nuovo/
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« Risposta #57 inserito:: Settembre 24, 2011, 11:52:41 am »

22
set
2011

Pergiorgio ODIFREDDI

Alla velocità del neutrino

“Non vedi quanto più veloci e lontano devono andare, e percorrere una maggiore distesa di spazio, nello stesso tempo che i raggi del Sole riempiono il cielo?”. A parlare è Lucrezio, nel suo capolavoro La natura delle cose, riferendosi ai simulacri che fluiscono di continuo e in ogni direzione sulla superficie delle cose, e producono le impressioni visive negli occhi degli osservatori. Ma a parlare potrebbe anche essere il portavoce del Cern, che oggi ha annunciato che alcuni esperimenti mostrerebbero che i neutrini possono andare a velocità superiore a quella della luce, appunto.

Prima di Lucrezio, la teoria di Epicuro assegnava ai simulacri una velocità ovviamente inferiore a quella della luce. Analogamente, prima dell’annuncio di oggi, facevano i fisici con i neutrini: particelle che, in qualche modo, sono sempre state collegate alle ricerche italiane. Infatti, alcune delle intuizioni più profonde al loro riguardo erano state fatte da Bruno Pontecorvo, fratello del regista. Intuizioni che, opportunamente sviluppate e confermate, portarono molti scienziati al premio Nobel (nel 1988, 1995 e 2002). Ma il premio non andò mai a Pontecorvo, che fu punito per essere scappato nella direzione sbagliata (in Unione Sovietica) dopo la guerra.

Se le osservazioni effettuate dal team di Antonio Ereditato fossero confermate, la memoria di Pontecorvo sarebbe finalmente vendicata da un italiano. Il condizionale, però, è d’obbligo. Già altre volte, infatti, i neutrini hanno riservato sorprese. Ad esempio, a lungo si pensava che non avessero massa, e andassero alla velocità della luce. Poi si scoprì che una massa ce l’avevano, e che dunque dovevano andare un po’ più lenti. Oggi, ci dicono che invece vanno un po’ più veloci. Certamente una delle tre alternative è quella giusta, ma quale?
E, se fosse quella annunciata oggi, che succederebbe?

Sgombriamo subito il campo da un’interpretazione sensazionalistica, che è circolata ad arte insieme alla notizia dell’esperimento.
La relatività di Einstein non prevede affatto che la velocità della luce non possa essere superata! Lo si dice continuamente, ma questo non significa che sia vero. Ciò che la relatività prevede, è soltanto che ci debba essere una velocità limite che non può essere superata.

Gli esperimenti finora sembravano indicare che questa velocità insuperabile fosse quella della luce nel vuoto, e forse dovremo cambiare espressione: invece di dire che non si può superare la velocità della luce, magari un giorno diremo che non si può superare quella dei neutrini.

Una possibile riformulazione dell’annuncio, dunque, è semplicemente che la velocità massima prevista da Einstein non è quella della luce, bensì qualcosa di molto prossimo ad essa: la differenza sembra essere di 60 nanosecondi sul tempo di percorrenza della distanza di 730 chilometri tra il Gran Sasso e il Cern, tra i quali si è fatto l’esperimento. E questa differenza infinitesimale sarebbe appunto sfuggita negli esperimenti fatti finora sulla luce: un fatto sperimentale interessante,ma certo non una tragedia teorica.

Coloro che preferiscono le rivoluzioni, si chiederanno se l’errore non stia invece, più che nelle misure sulla luce, nella relatività stessa. Tentare di buttare giù dal piedestallo Einstein, come lui aveva fatto con Newton, è una tentazione troppo grande per resisterle. Purtroppo per i giovani turchi della fisica, la relatività è confermata da miliardi di esperimenti, e non ne basterà uno solo a scalzarla. D’altronde, era Einstein stesso a dire che “la scienza non è una repubblica delle banane, dove le rivoluzioni succedono ogni giorno”: ovvero, ribellarsi è giusto, ma il successo non è garantito.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/22/alla-velocita-del-neutrino/
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« Risposta #58 inserito:: Settembre 24, 2011, 04:04:41 pm »

24
set
2011

Piergiorgio ODIFREDDI

(Far) uscire allo scoperto

La pubblicazione sul sito listaouting.wordpress.com dei nomi di dieci politici gay e omofobi, sta facendo discutere. Il dibattito riguarda, ovviamente, la privacy: è corretto divulgare le abitudini sessuali di una persona, se essa preferisce tenerle riservate? E’ ovvio che, se si tratta di un privato cittadino, la risposta dev’essere un secco no.

Ma qui si tratta di politici, che per il solo fatto di aver scelto di essere uomini pubblici, hanno rinunciato volontariamente al diritto alla privacy. Non tanto perchè un politico debba moralisticamente essere, come la moglie di Cesare, al di sopra di ogni sospetto. Quanto, piuttosto, perchè essendo i politici rappresentanti non di se stessi, ma dei loro elettori, questi ultimi hanno pragmaticamente il diritto di sapere di che stampo sia la persona per cui votano.

Ora, nella lista incriminata ci sono ad esempio i nomi di Roberto Formigoni (PdL), storico esponente del movimento fondamentalista cattolico Comunione e Liberazione. O di Luca Volontè (Udc), anch’esso seguace di don Giussani, e promotore della legge sulla funzione sociale degli oratori. O di Massimo Corsaro (PdL), esponente del movimento Scienza e Vita, che ha fatto fallire il referendum del 2005 sulla procreazione assistita. O di Roberto Calderoli (LegaNord), recordman mondiale di dichiarazioni fasciste e razziste. O di Gianni Letta, eminenza grigia dei governi Berlusconi e gentiluomo di Sua Santità.

Tutta gente, cioè, che predica bene ma razzola male. Ovviamente, non nel senso che praticare l’omosessualità sia un male, o una perversione secondo natura. Ma nel senso che sono loro stessi a predicare che essa sia così, ricevendo anche per questo i voti di chi la pensa come loro. Dunque, è sacrosanto che si smascheri la loro duplicità, purchè però lo si faccia portando almeno qualche straccio di prova: cosa che il sito incriminato purtroppo non fa, limitandosi a pubblicare una lista che sa più di delazione, che non di requisitoria.

Naturalmente, il discorso vale non solo per i politici, ma anche, e a maggior ragione, per i preti. Sarebbe molto interessante una lista documentata di prelati gay e omofobi, che ne smascherasse la duplicità. Lista che potrebbe arrivare molto in alto nelle gerarchie, raggiungendo i vertici stessi della C.E.I. e del Vaticano.

Un precedente c’è, e addirittura al massimo livello! Nel gennaio 2006 L’Espresso ha infatti rivelato che nel 1967 fu messo in opera un tentativo segreto di ricatto, in cui sembra fosse coinvolto lo stesso presidente Saragat, nei confronti di Paolo VI, basato sulla sua omosessualità e provocato da una sua apertura ai comunisti.

Che il cardinal Montini avesse avuto una relazione amorosa con l’attore Paolo Carlini, e che avesse addirittura riesumato l’ormai desueto nome di Paolo in suo onore, fu svelato al mondo intero nel 1976 dall’accademico francese Roger Peyrefitte, in ritorsione contro una dichiarazione del papa nei confronti dell’omossessualità, da lui improvvidamente definita “disordinata”. La relazione fu confermata da Carlini stesso all’amico Biagio Arixi, che ne prese spunto per il suo romanzo Peccati scarlatti.

Paolo VI in persona fu costretto a (s)mentire, la domenica delle Palme del 1976, lamentandosi ineffabilmente dal balcone del Palazzo Apostolico delle “cose calunniose e orribili che sono state dette sulla mia santa persona”. Il che non impedì alla voce di circolare, tanto da essere citata in televisione da Pippo Baudo ancora nel 2003, nella puntata del 27 marzo della sua trasmissione Novecento. E alla teologa Adriana Zarri di proporre poco dopo, sul Manifesto del 9 aprile, la proclamazione di Paolo VI “protettore degli omosessuali”.

L’ outing sacro o profano \`{e} sacrosanto, proprio perchè i fedeli o gli elettori hanno il diritto di poter dire, ai preti o ai politici gay che pontificano di morale sessuale: “Da che pulpito!”. Ma che sia supportato da prove, nella miglior tradizione del giornalismo d’inchiesta. E che non si limiti a elencare nomi, nella peggior tradizione del giornalismo di gossip.

DA - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/09/24/far-uscire-allo-scoperto/
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« Risposta #59 inserito:: Ottobre 04, 2011, 04:56:22 pm »

4
ott
2011

Gli insegnamenti del caso Amanda

Piergiorgio ODIFREDDI

Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono stati dichiarati innocenti nel processo di secondo grado, mentre quattro anni fa,  nel processo di primo grado erano stati dichiarati colpevoli e condannati a 25 anni.

Indipendentemente dallo specifico del loro caso, sui dettagli del quale traboccano i media, mi sembra  che la loro vicenda si presti ad almeno due considerazioni di carattere generale.

La prima ha a che fare con la giustizia. Se due tribunali hanno ritenuto di poter emettere due sentenze radicalmente contrapposte, evidentemente il caso è controverso, e le risultanze processuali devono essere state equamente distribuite a favore e contro.

In una situazione del genere, il giudizio equivale alla presa di una decisione casuale, analoga al tiro di una monetina. Ma la dea bendata si chiama Fortuna, e non Giustizia, e non è ad essa che si possono affidare le sorti degli individui.

Nei casi controversi, non bisognerebbe dunque avere il coraggio di dichiarare che ‘giustizia non può  essere fatta’? O, in subordine, che prendere una decisione a caso, qualunque essa sia, equivale a fare ‘giustizia sommaria’, e che l’ossimoro che equivale appunto a ‘ingiustizia’?

La seconda considerazione è che almeno metà delle notizie che i media ci hanno propinato per quattro anni sono dunque false, e costituiscono pura e semplice disinformazione.

Non sarebbe forse ora che televisioni, radio e giornali, che si autodefiniscono  invece ‘mezzi di informazione’, passassero a interessarsi  e interessarci ad argomenti più sensati? O, in subordine, che accettassero l’evidenza e ammettessero apertamente la loro natura di ‘mezzi per la diffusione del gossip’? 

Quanto ancora dovremo aspettare, per non vederci più imporre migliaia di ore o di pagine di servizi sulle Amande o gli Strauss Kahn di turno? E per vedere finalmente quelle ore e quelle pagine dedicate alle tante cose serie che ci sono al mondo, e che ora vengono sommerse dalla spazzatura mediatica come il grano dal loglio?

Scritto martedì, 4 ottobre 2011 alle 10:42

da - http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2011/10/04/gli-insegnamenti-del-caso-amanda/
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