LA-U dell'OLIVO
Novembre 22, 2024, 08:11:09 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 2 [3]
  Stampa  
Autore Discussione: ASIA. ORIENTE E MEDIO ORIENTE.  (Letto 13668 volte)
Admin
Administrator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 30.929



Mostra profilo WWW
« Risposta #30 inserito:: Agosto 25, 2021, 04:56:49 pm »

Il problema dei terroristi infiltrati tra i profughi che lasciano Kabul

Posta in arrivo

ggiannig <ggianni41@gmail.com>
24 ago 2021, 10:02 (1 giorno fa)
a me

https://www.agi.it/estero/news/2021-08-24/problema-terroristi-infiltrati-tra-profughi-lasciano-afghanistan-13651883/
 
Registrato

Admin
Admin
Administrator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 30.929



Mostra profilo WWW
« Risposta #31 inserito:: Ottobre 03, 2021, 06:27:33 pm »

Kabul come Saigon? Le illusioni sul declino americano

Quel che rende gli Stati uniti così peculiari è che più guerre perdono, più accrescono e rafforzano la loro presa sul mondo.

Marco d'Eramo 16 Settembre 2021



Non si può accendere una radio o una Tv senza sentir paragonare con la caduta di Saigon il 30 aprile 1975 quello che è successo a Kabul nelle ultime settimane. Ma nessuno, tra i nostri pensosi commentatori, si prende la briga di valutare il seguito della vicenda, di considerare cioè Saigon (e Kabul) non come la fine di una storia, ma come un capitolo a cui seguono nuovi sviluppi.
Allora, negli anni ’70, la caduta di Saigon parve l’ultimo chiodo piantato nella bara della potenza americana, l’evento simbolico di un declino irreversibile e ravvicinato. Torniamo con la mente a quegli anni: intanto la caduta di Saigon poneva fine a una guerra molto più sanguinosa e impegnativa per gli Stati uniti di quanto sia mai stata l’invasione dell’Afghanistan: il picco della presenza americana in Afghanistan è stato di 95.000 soldati (più 7.800 mercenari), su una popolazione Usa di 310 milioni, mentre in Vietnam il picco della presenza militare era stato di 536.000 soldati (su una popolazione Usa di 196 milioni); in Afghanistan sono morti 2.500 soldati Usa, che arrivano a 6.400 se si contano i mercenari, mentre in Vietnam i morti erano stati più di 58.200 su una popolazione di 196 milioni.
Non solo, ma gli Stati uniti venivano da un decennio di tumulti (movimenti dei diritti civili, movimenti studenteschi, rivolte dei ghetti neri): l’ultimo episodio clamoroso era avvenuto nell’ottobre 1972 quando i marinai neri della portaerei Kitty Hawks, che bordeggiava al largo del Vietnam, si ammutinarono contro il personale di bordo. Un decennio di omicidi politici (John Fitzgerald Kennedy, Martin Luther King, Malcolm X, Bob Kennedy), di crescenti spese militari per la guerra del Vietnam e quindi una crisi della bilancia dei pagamenti senza precedenti, tanto che nell’agosto del 1971 gli Stati uniti dichiararono morti e sepolti gli accordi di Bretton Woods (1944) che per 27 anni avevano regolato il cambio delle valute mondiali, e decretarono che il valore internazionale del dollaro non era più ancorato all’oro. Alla rottura della stabilità monetaria internazionale era seguita due anni dopo la prima, più inaspettata e quindi più devastante, crisi petrolifera (ottobre 1973).
D’altronde l’egemonia mondiale degli Usa scricchiolava ovunque: avevano dovuto provocare un colpo di stato (1973) con il generale Augusto Pinochet per riprendere il controllo del Cile “caduto in mano ai socialisti”. Nel marzo del 1974, appena un anno prima della caduta di Saigon, la rivoluzione dei garofani aveva fatto cadere Lisbona “in mano ai rossi”, facendo pendere Angola e Mozambico verso il campo sovietico. Nell’agosto di quell’anno, veniva deposto in Etiopia il Negus Haile Selassie, aprendo la via al regime filosovietico di Mengistu Haile Mariam (1976). Sempre nell’agosto del 1974 si concludeva a Washington lo scandalo Watergate scoppiato due anni prima, con le dimissioni del presidente Richard Nixon.
Insomma, mentre Saigon cadeva, gli Usa erano in preda a una crisi interna ed economica senza precedenti, una perdita di legittimità politica persino della Casa Bianca. La bandiera americana veniva ammainata in mezzo mondo, la sfera d’influenza dell’Unione sovietica sembrava espandersi senza tregua.
Facciamo un salto di 16 anni, siamo nel 1991 e l’Unione sovietica non esiste più, quello che sembrava il competitore economico più pericoloso degli Usa, il Giappone (i giovani non lo ricordano ma negli anni ’80 l’isteria per il pericolo economico giapponese era salita alle stelle) entra in una stagnazione che si prolunga ancora oggi a 30 anni di distanza; il controllo dell’economia mondiale da parte statunitense è totale e gli Usa esercitano un’egemonia planetaria tale da poter guidare una mega coalizione per umiliare (1991) il rais Saddam Hussein dell’Iraq.
Questo salto ci fa capovolgere la prospettiva con cui avevamo guardato quelle immagini dell’aprile 1975: non erano la fine dell’impero americano, erano l’inizio della controffensiva, il segnale del ritorno in forza sulla scena internazionale. Quindi dovremmo andarci cauti con le conclusioni: oggi la Cina sembra uscire vincitrice dalla disfatta Usa in Afghanistan, ma allora era l’Urss che sembrava prendere il sopravvento, e abbiamo visto come è andata a finire.
È da quando sono bambino piccolo che sento parlare di declino americano (in realtà questa tesi circolava anche da prima che io nascessi, eppure sono anziano). Noam Chomsky situa il declino a partire dall’indomani della Seconda Guerra Mondiale, quando gli Usa “persero la Cina”. Addirittura il dibattito infuriava nel 1992 (“Is America in Decline?” Harvard Business Review), l’anno dopo il crollo dell’Unione sovietica. Viene in mente la frase di Hegel per cui “a letteratura vive del suo sentirsi morta”: infatti il famoso libro di Oswald Spengler su Il tramonto dell’Occidente data del 1918, quando lo strapotere occidentale doveva ancora celebrare i suoi fasti.
Ora è vero che l’Urss del 1975 non regge il confronto con la Cina di oggi e che l’equilibrio del potere sembra spostato, ma quel che rende gli Stati uniti così peculiari (e, da un certo punto di vista, così simili all’impero romano) è che più battaglie, più guerre perdono, più accrescono e rafforzano la loro presa sul mondo. Dal 1945 hanno perso praticamente ogni guerra che hanno ingaggiato, ma ogni volta la loro potenza globale (finanziaria, simbolica, tecnologica, linguistica, non solo militare o diplomatica) si è accresciuta.
Mi scrive Victoria De Grazia, storica della Columbia University: “Un passo indietro, un grande balzo in avanti. Ogni volta che gli Stati uniti hanno perso una guerra seria dalla Seconda Guerra Mondiale (guerra di Corea, Vietnam, Iraq/Afghanistan), prende il via una ristrutturazione della società americana. Si pensi agli immensi investimenti in autostrade, istruzione, Arpa, negli anni 1950. Alla Grande Società nei 1970. Fin dagli anni 1990 gli imperialisti liberal vecchio stampo (Joseph Nye, Bound to Lead, 1990) hanno insistito che non c’è soft power senza ricostruire gli Usa in un nuovo modello di un qualche tipo di New Deal. È quel che Joe Biden cerca di fare col suo progetto di infrastrutture Trillion Dollar (…) La realpolitik globale non è il solo modo di guardare alla sconfitta americana in Afghanistan. È obsoleto il pensiero a somma zero, per cui quel che gli Usa perdono è vinto dalla Cina o dall’Urss.”
Se allora spingessimo il paragone Saigon/Kabul oltre le apparenze, oltre le foto a effetto, forse dovremmo chiederci quale tipo di controffensiva gli Stati uniti stanno cercando di organizzare e soprattutto in che modo pensano di riorganizzare la loro società che oggi, proprio come negli anni ’70, sembra sull’orlo della guerra civile.



Per sostenere MicroMega e abbonarsi alla rivista e a "MicroMega+": www.micromegaedizioni.net
Da - https://www.micromega.net/kabul-saigon-declino-americano/
Registrato

Admin
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #32 inserito:: Ottobre 29, 2021, 11:53:44 am »


Maria Farina
I KAZARI: dominatori del mondo

Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana.” [Apoc. II, 9]
Questo versetto è veramente magnifico e inquadra perfettamente la situazione attuale della Chiesa Cattolica. Ma chi sono questi giudei dell’Apocalisse, citati nella lettera all’Angelo della chiesa di Smirne, che si pretendono giudei senza esserlo? Essi non lo sono né per fede, avendo ripudiato la legge di Mosè per preferire il talmud, né per sangue non essendo originari della Giudea, bensì dell’Asia centrale, dell’Europa centrale e dell’est, e più precisamente provenienti dalla Turchia e della Mongolia. Si tratta innegabilmente del popolo kazharo (in turco significa “errante”). Secondo gli storici ufficiali Benjamin H. Freedmann ed Arthur Koestler, il reame dei kazhari dominò il mondo come nazione, dopo la Russia dal VII al X secolo. Anche prima della venuta di Cristo sulla terra, i kazhari avevano già invaso l’Europa orientale. Questi guerrieri furono inizialmente dei pagani che si allearono a Bisanzio (l’Impero Romano d’Oriente) contro i persiani ed i musulmani. Poi il loro re Bulan dovette scegliere tra le tre religioni monoteiste. Il cristianesimo, l’islam, ed il talmudismo. Il re di questi pretesi giudei optò per il terzo, cosa che diede diritto al suo popolo di proseguire la sua dominazione attraverso l’usura, essendo all’epoca il talmudismo ciò che si chiama oggi il giudaismo talmudico. Nel suo libro “Due secoli insieme”, il russo Alexandre Soljenitse da una spiegazione politica a questa conversione determinante. “I capi etnici dei turco-kazari idolatri di questa epoca non volevano né l’islam, per non sottomettersi al califfo di Bagdad, né il Cristianesimo per evitare la tutela di Bisanzio. Così quasi 722 tribù adottarono la religione giudaica.” Qualunque sia il motivo, politico o economico, questa conversione al giudaismo doveva condurre alla loro egemonia. Questa falsa religione deve molto a questo popolo. Perché ci si chiede, senza i kazari, sarebbe mai sussistito il giudaismo talmudico? L’interrogativo resta aperto. – Il re Butan si convertì dunque nell’anno 740. Questa conversione cambiò le cose, altre seguirono massivamente: oramai solo un giudeo poteva accedere al trono perché l’autorità religiosa era il talmud. I rabbini si incaricarono poi di imporlo alle popolazioni. – L’apogeo della dominazione kazhara fu a metà del IX secolo. Il loro reame aveva allora esteso largamente il suo territorio, dall’Europa dell’est all’Europa centrale, su circa 15,3 milioni di chilometri quadrati. I kazhari, questi askhenaziti dell’Europa orientale, non sono quindi semiti, bensì ariani. Essi parlano l’yddish, una lingua che ha preso un gran numero di parole dal tedesco, e che nulla a che a vedere, nemmeno una parola, con l’ebraico antico o biblico di cui ha ereditato solo i caratteri esdraici quadratici. I kazhari furono in seguito cacciati dalla Russia come spesso è loro accaduto nel corso della storia. La capitale dell’Ucraina, Kief, era stata creata da loro ed in loro onore nel 640. Certi autori, tra i quali pure il Freedman, pensano, legittimamente, che la rivoluzione bolscevica sia stata una rivincita del kazari sul popolo russo. I fatti danno credito a questo punto di vista, poiché si sa bene che gli autori maggiori della sovversione in Russia erano tutti giudei askhenaziti, cioè falsi giudei. Ora il 90 % degli askhenaziti sono di discendenza kazhara, secondo Benjamin H. Freedman, Arthur Koestler e John Beaty. Il legame tra questo popolo e l’oligarchia mondialista è stretto, perché i due non fanno che una sola cosa. Osserviamo ciò che analizzava a suo tempo il giornalista Paul Copin-Albancelli sugli uomini che dirigono la franco-massoneria: “… va da sé che un’opera come quella che abbiamo studiato, [la realizzazione della piramide massonica] non potrebbe essere quella di un unico uomo, né quella di alcuni uomini estranei tra loro che si sarebbero incontrati. La sua continuità, più ancora che la sua immensità, rivela questa permanenza di sforzi della quale sono capaci solo le razze che rendono indistruttibili la loro fedeltà alla fede degli avi. Il potere occulto è dunque costituito dai rappresentanti di una razza e di una religione”. Questa razza è appunto la razza giudeo-askhenazita kazhara e questa religione è il giudaismo talmudico.
Pertanto, ciò che si chiama comunemente l’impero, trasse le sue origini da questo popolo sanguinario, da questi askhenaziti di discendenza kazhara che sono globalmente dei rifugiati dell’Europa dell’est. Quindi ai giorni nostri, si è avverato che la stragrande maggioranza dei giudei askenaziti discendenti dal popolo kazaro e l’alta finanza dei Rothschild, Warburg, Soros, Lazard … proviene in pratica tutta da questa razza, che nulla ha a che vedere con la Giudea e con gli Ebrei.

[Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum]
I Kazari

Da Fb del 23/10
Registrato
Pagine: 1 2 [3]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!