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Autore Discussione: DIARIO VENETO (1)  (Letto 99319 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Gennaio 06, 2009, 11:39:23 am »

5 gennaio 2009 RADIODEM - Dalle regioni

Al via la rivista del PD regionale, Il Pensiero Democratico Veneto

Con il 2009 nasce Il Pensiero Democratico, la rivista dei Democratici veneti.


Intervista a Michele Fiorillo, curatore.


«Un luogo di riflessione e dialogo con i cittadini, un laboratorio di cultura politica per analizzare la società veneta e avanzare proposte di cambiamento». Michele Fiorillo, curatore assieme a Paolo Giacon de Il Pensiero Democratico, spiega così il senso dell’ambiziosa iniziativa editoriale del PD veneto: una rivista-laboratorio per far crescere e diffondere la visione democratica nella nostra regione. Il numero zero, che sarà dato alle stampe nei prossimi giorni, è già disponibile on-line sul sito www.partitodemocraticoveneto.org (cliccare sul banner nella colonna di sinistra o digitare http://www.partitodemocraticoveneto.org/public/documenti/pensieri_dem/numero_0.pdf).

Fiorillo, cosa si propone di essere Il Pensiero Democratico?
La rivista dei Democratici veneti intesi come il blocco sociale che crede nelle possibilità di trasformazione positiva della società veneta. Non vuole essere una rivista di partito. Vi scriveranno non tanto personalità del mondo politico, quanto esperti nei vari campi della scienza dalla politologia alla giurisprudenza, dalla sociologia alle filosofia, a partire dai docenti universitari.
Ma vi contribuiranno anche professionisti, giornalisti, letterati e uomini di cultura, intellettuali, esponenti dell’associazionismo e del sindacato, e più in generale quei cittadini che vogliano mettere in campo idee creative e proposte approfondite.

Dunque si tratta di un vero e proprio laboratorio di cultura riformista?
Esatto. L’abbiamo immaginata come un centro studi e ricerche dei Democratici veneti che fornisca le strutture analitiche e le proposte per il cambiamento del Veneto. Un laboratorio intergenerazionale, dove a fianco dei contributi di persone autorevoli ed esperte ci saranno le riflessioni di giovani studiosi, di giovani ricercatori.

Come è articolata la rivista?
Ogni numero si aprirà con la sezione “Cultura democratica”, a cui seguirà la parte dedicata al “Veneto che verrà” e la sezione “Strumenti”, con le recensioni di libri da parte di giovani democratici.

Quali sono i temi del numero zero?
L’intervento del segretario Paolo Giaretta delinea nel trinomio mercato, eguaglianza e democrazia lo spirito della pratica della cultura democratica. Quindi ognuno di questi concetti vengono “esplosi” nelle relazioni degli esperti. Emilio Viafora, segretario della Cgil veneta, e Franca Porto, segretaria della Cisl, affrontano le questioni legate al mercato, alla produzione e al lavoro; Amedeo Levorato e Felice Casson si cimentano sul tema dell’eguaglianza, il primo affrontando la questione della povertà, il secondo dell’immigrazione; sulla democrazia c’è il mio intervento “Democratizzare la democrazia”. Offrono una riflessione sull’identità del PD Giorgio Tonini e Umberto Curi, quest’ultimo con un intervento critico che denuncia in questa fase insufficienze e mancanze.

Perché in copertina avete messo gli occhi di Barak Obama e la parola hope, speranza?
Perché Barak Obama incarna la speranza del cambiamento, una speranza che guida noi curatori della rivista e tutte le persone che afferiscono alla cultura democratica e riformista.

A chi si rivolge Il Pensiero Democratico?
È una rivista di approfondimento, per certi versi un po’ostica perché richiede pazienza di lettura, ma che ha uno sguardo e un pensiero lungo e complesso. Non si possono dare risposte semplici a problemi complessi, anche se la destra vuole farci credere questo. Si rivolge potenzialmente a tutti i cittadini, in particolare a quelli che si riconoscono nel campo progressista, ma è strumento per aprire un dialogo anche con chi non la pensa come noi.

Dove si potrà trovare?
Nel sedi del partito e sul sito internet www.partitodemocraticoveneto.org.
Stiamo pensando anche di fare delle presentazioni nelle librerie e ad altre forme di diffusione.

Una curiosità: perché l’avete battezzata Il Pensiero Democratico?
Perché crediamo che esista una visione democratica della società che ha percorso l’intera storia dell’uomo, visione che poggia su un’idea progressiva di libertà, di società aperta, plurale e di cittadini attivi, pienamente sovrani. Questa visione si contrappone a quella gerarchica e statica della società sottesa alla cultura della destra. La cultura democratica crede nella possibilità di emancipare l’uomo nella società a partire dagli individui e insieme dalla comunità.
Abbiamo deciso di usare il singolare e non il plurale – Il Pensiero Democratico e non Pensieri Democratici - per cercare di strutturare una visione comune a partire dal confronto ma anche dallo “scontro dialettico”.

La rivista è punteggiata da “glosse”, a margine degli articoli, di cosa si tratta?
Sono le “pillole democratiche” che contengono i pensieri di grandi pensatori e classici del pensiero filosofico-politico (ed economico) che proponiamo in particolare ai giovani lettori come “canone” del pensiero democratico.

Francesca Nicastro

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« Risposta #91 inserito:: Gennaio 07, 2009, 04:53:00 pm »

7/1/2009 (7:44) - PERSONAGGIO - FACCE DA SINDACO

Polenta calda a domicilio paga il Comune
 
In Veneto primo caso di welfare locale. Targato Lega

FRANCESCO BONAZZI
CORNEDO VICENTINO (Vicenza)


Se ne infischia della riforma Gelmini, perché s’è comprato tutte le scuole. Non teme che il soffitto della classe cada sulla testa dei ragazzi, perché alla manutenzione pensano i suoi operai. Non aspetta le classi-ponte per gli immigrati, perché ha già un drappello di maestre pensionate che si dedica gratis all’«alfabetizzazione di sostegno». Non apposta i vigili sulla superstrada per campare di autovelox, perché li spedisce casa per casa a controllare le residenze. Non semina telecamere a ogni angolo, perché dispiega ovunque nonni socialmente utili. Non aspetta con ansia la social card, perché consegna ogni giorno decine di pasti caldi agli anziani poveri o soli. Dopo lo stato sociale, ecco il Comune sociale. Un modello di local welfare sperimentato a Cornedo Vicentino, comunità (è il caso di dirlo) di 12 mila anime nella valle dell’Agno, sulle colline che salgono dolcemente fino a Recoaro nella ex Marzotto-Valley.

Certo, in tempi di crisi e assistenza pubblica che arretra, sembra quasi un sogno un sindaco che manda a casa la polenta calda a chi non se la sente di uscire. O che offre lo scuolabus a tariffe super scontate e con nonnetto incorporato, seduto tra i bambini per controllare che tutto fili liscio. Già, ma chi paga? «Mai sforato il patto di stabilità, mai tartassato i cittadini di multe, mai toccata la nostra Ici al 5 per mille per tutti, mai abboccato ai derivati che ci offrivano le banche», racconta con fierezza Lucio Vigolo, 52 anni, professione farmacista («non titolare», ci tiene a precisare), figlio di operai, ex studente lavoratore, eletto sindaco nel 2004 dopo aver fatto l’assessore al bilancio per dieci anni.

All’appuntamento con il cronista «foresto» arriva in ritardo perché il giovedì è giorno di mercato, e la passeggiata tra quei cinquecento metri di bancarelle che si snodano tra la piazza della chiesa e il municipio sono il suo sondaggio settimanale. «Ascolto tutti, cerco di capire di che cosa ha bisogno la gente e provo a fabbricare la soluzione», racconta. E te lo immagini a fare il sindaco con il camice da farmacista. Ascolta e poi trova la soluzione con il bilancino, ovvero facendo bastare quei 14 milioni di entrate annuali sui quali può contare la sua Cornedo. Racconta che la prima cosa che ha fatto, nell’estate di quattro anni fa, è stata la rimozione a tempo di record dell’amianto dal tetto di una scuola. Ma di solito non ci deve pensare la Provincia? «No, qui pian piano ci siamo comprati tutte le scuole e adesso non dobbiamo chiedere niente a nessuno», spiega orgoglioso. E quante scuole potrà avere un paese di 12 mila abitanti, con tre frazioni e un capoluogo? Quattro materne, tre elementari, una media più un nido: totale nove, tre delle quali «private». Dove le virgolette sono d’obbligo perché, per non correre rischi, a Cornedo si sono comprati anche i muri delle scuole cosiddette paritarie (e le finanziano con 100 mila euro l’anno). Alla manutenzione ovviamente pensa il Comune, con una squadretta di suoi operai.

Negli ultimi cinque anni, l’edilizia scolastica ha richiesto interventi per oltre due milioni e mezzo di euro e altri tre milioni abbondanti sono serviti a deviare il traffico fuori dall’abitato. Poi c’è una bella pista ciclabile nuova di zecca che corre lungo l’Agno e fa parte di un percorso provinciale di 26 chilometri. Tutto finanziato con fondi europei, fondi comunali e mutui a tasso fisso con la Cassa depositi e prestiti. Insomma, gestione senza rischi e senza patemi. Eppure i piazzisti di derivati sono arrivati a bussare perfino qui, attirati da quei mutui per oltre 5 milioni. Racconta il sindaco: «Sono venuti a più riprese i funzionari di tre banche per propormi di passare al tasso variabile agganciato a prodotti derivati. Ma non ci ho visto chiaro e ho pensato che per casa mia o per la farmacia non avrei mai preso rischi del genere».

Dove invece le casse di Cornedo hanno davvero rischiato di saltare per aria è sugli Lsu, ovvero i lavoratori socialmente utili. Manco fossimo in Sicilia. In un municipio che ha solo 49 dipendenti, quella ventina di pensionati che per 400 euro al mese aiutano i bambini a traversare la strada, sorvegliano i parchi o recapitano i pasti ai malati, sono fondamentali. Esistono dal 1994, ovvero da quando una Finanziaria dello Stato li ha istituiti, e Cornedo è stato il primo municipio veneto a fare il bando. Ma nel 2007 l’ispettorato del lavoro, al termine di una lunga istruttoria e di minuziose audizioni dei nonnetti (ma non del sindaco), intima al Comune di assumere tutti gli Lsu e di pagare gli arretrati. Uno scherzo da milioni di euro. Il dottor Vigolo sospende i servizi affidati ai nonni-vigili, ma impugna il provvedimento attraverso l’Anci, l’associazione dei Comuni. E poco prima di Natale gli danno ragione: l’ispettorato fa marcia indietro e tutto viene ridimensionato a mero equivoco. Dunque, via libera allo sfruttamento del vecchietto? Manco per idea. Il sindaco ci tiene a mostrare alcune lettere di Lsu per i quali anche quei pochi euro erano importanti. E oggi sono tornati al lavoro 16 pensionati, ex insegnanti compresi.

E il profeta del Comune Sociale quanti soldi si prende? Lui esibisce orgoglioso la sua busta paga da 1.088 euro netti e poi, se deve proprio dirla tutta, «come farmacista dipendente, a fare il sindaco ci rimetto 600 euro al mese». E perché si è buttato in politica, prima come assessore e poi come primo cittadino? «Era il 1993, c’era Tangentopoli e tutti ci lamentavamo dello schifo dei partiti, così ho pensato che fosse giusto impegnarsi per il bene del proprio territorio e della propria gente». Prima, pare che si fosse dedicato solo all’atletica (è arrivato ai nazionali sui 400 metri) e al volontariato. Tra l’altro, se a Cornedo non c’è una barriera architettonica, forse è anche perché uno dei suoi figli è disabile. E non sembrano esserci neppure vere barriere contro lo straniero. Il paese è disseminato di tricolori, ricordi risorgimentali e monumenti della Grande Guerra. Bandierine bianche rosse e verdi con la scritta «Compra italiano» spuntano su molte bancarelle, ma nessuno litiga con gli ambulanti cinesi e qui ci sono perfino un negozio equosolidale e un localetto che fa i kebab. Gli immigrati sono il 9 per cento della popolazione, «dato reale». Il perché di tanta certezza lo spiega ancora il sindaco: «La nostra vera unica misura di sicurezza è il controllo continuo dell’effettiva residenza, perché molti stranieri non hanno la cultura dell’anagrafe e magari si dimenticano di segnalare i cambi».

Insomma, qui nel profondo Veneto, niente sindaco sceriffo. Alla faccia di mode e luoghi comuni. E questo farmacista figlio di operai non ha in tasca la tessera del Pd, ma quella della Lega Nord. Che qui, chissà perché, piglia quasi il 40 per cento dei voti.Il sindaco di Favignana Lucio Antinoro ha guidato ieri mattina l’occupazione simbolica del traghetto «Filippo Lippi», iniziando lo sciopero della fame contro il drastico taglio ai collegamenti marittimi assicurati dalla Siremar, gruppo Tirrenia. La riduzione dei collegamenti è prevista dal 14 gennaio e ciò si aggiunge alla sospensione della linea di collegamento dell’aliscafo Napoli-Ustica-Favignana. «Vista la situazione non si può più stare ad attendere - dice il primo cittadino - bisogna agire per chiedere interventi urgenti e per evitare che il nostro turismo venga distrutto da scelte incomprensibili». Gli abitanti di Favignana hanno inviato tantissimi sms per sensibilizzate tutti gli amanti delle isole e hanno appeso coccarde viola. Iniziative che si aggiungono a quelle che in questi giorni hanno coinvolto tutte le isole minori della regione con proteste e occupazioni dei traghetti. Antinoro continuerà il digiuno fino a domani, quando, alle 11,30, incontrerà il ministro ai Trasporti Altero Matteoli, insieme a una delegazione di amministratori delle isole.

da lastampa.it
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« Risposta #92 inserito:: Gennaio 21, 2009, 11:17:27 am »

Un trentaduenne con disagi psichici, è stato attirato in una casa segregato e sottoposto alle più atroci sevizie per due settimane

Torture e violenze sessuali a un disabile quattro uomini in manette nel Trevigiano


TREVISO - Per due settimane hanno sottoposto ad atroci sevizie e violenze sessuali un uomo con forti disagi psichici. Quattro giostrai sono stati arrestati dai carabinieri di Montebelluna.

Agghiaccianti e raccapriccianti i supplizi inferti dai quattro alla vittima, un trentaduenne che vive con il fratello e il padre nel trevigiano, tutti e tre con problemi di alcolismo. Convinto dai quattro aguzzini a dare una mano nella ristrutturazione di una casa, una volta nello stabile l'uomo è stato segregato e sottoposto a terribili violenze, costretto anche a cibarsi di escrementi di cane.

E' stato il fratello della vittima a confidarsi con un avvocato che si è poi rivolto ai carabinieri anche se il trentaduenne, inizialmente, ha rifiutato di sporgere denuncia per paura di essere ucciso. I militari dell'arma hanno però proceduto d'ufficio dopo aver accertato, tra i reati, la violenza sessuale di gruppo. Alla fine la vittima ha collaborato con il pm trevigiano Valeria Sanzari, raccontando l'inferno in cui aveva vissuto per quelle due settimane.

In possesso degli investigatori ci sono 15 filmati delle violenze imposte al trentaduenne. Gli indagati sono accusati a vario titolo di violenza privata, violenza sessuale individuale, violenza di gruppo, sequestro di persona e lesioni personali gravi. Gli arresti sono stati compiuti uno a Ponzano (Treviso), due a Trevignano (Treviso) e l'ultimo all'aeroporto Canova di Treviso dal quale uno degli indagati stava tentando la fuga.

(21 gennaio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #93 inserito:: Gennaio 23, 2009, 12:06:59 am »

Regione Veneto, i supermanager beffano Brunetta


Hanno fatto infuriare persino Brunetta.
Proprio nel suo Veneto, proprio nella Regione amministrata dal suo centrodestra, hanno cercato di mettere i boiardi al riparo dalle leggi anti-fannulloni. Nel silenzio delle vacanze natalizie, una circolare ha esentato i top manager della Regione dalle nuove trattenute malattia. Da giugno infatti ai dipendenti pubblici che restano a letto nel periodo iniziale viene decurtato lo stipendio di ogni voce accessoria.

Ma il Veneto ha aspettato fine anno prima di varare la norma, con il risultato di dovere chiedere un semestre di tagli arretrati a chi era già caduto vittima dei malanni. Poi dall'inizio del 2008 sono diventati operative le sottrazioni: per ogni giorno di malattia, un usciere del livello più basso perderà otto euro, un funzionario da dieci a 20, un dirigente da 64 fino a 77.

Un salasso che dovrebbe dissuadere dalle assenze ingiustificate.

Il problema è che i top manager, quei 70 amministratori che siedono nella stanza dei bottoni della Regione guidata da Giancarlo Galan, si sono auto-esentati: per loro non sono previste sanzioni nè deterrenti. Il loro contratto garantisce stipendi da 100 mila euro l'anno  in su e non segue le regole della pubblica amministrazione. Una scelta che ha fatto infuriare i sindacati.

E che ha spinto Renato Brunetta a scrivere a Galan: «La legge vale per tutti».

Ora la Regione cercherà di trovare una soluzione. Sperando che i supermanager non si ammalino prima.


22/01/2009
da www.spreconi.it (espresso.repubblica.it)
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« Risposta #94 inserito:: Gennaio 31, 2009, 03:31:06 pm »

Blitz alla base Usa di Vicenza in 200 occupano l'aeroporto


VICENZA - Gli attivisti del movimento "No Dal Molin" sono entrati nei terreni dell'aeroporto vicentino dove deve sorgere la nuova base militare Usa, occupandoli. Lo hanno reno noto gli stessi rappresentanti del presidio anti-base.

I manifestanti, alcune centinaia, intendono protestare così contro l'avvio dei lavori nel Dal Molin, dove da alcuni giorni sono tornate in azione le ruspe per abbattere le vecchie strutture dell'aeroporto e preparare l'area per la Camp Ederle 2.

I dimostranti, ora controllati dalle forze dell'ordine, sono penetrati da un varco nella recinzione, e hanno occupato pacificamente la parte civile dell'aeroporto.

(31 gennaio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #95 inserito:: Febbraio 14, 2009, 03:20:17 pm »

All'armi siam leghisti

di Fabrizio Gatti


Nei comuni veneti tanta nebbia e pochissimi volontari anti-crimine. Ma ora la vigilanza delle ronde padane può diventare un affare. Persino a mano armata  Esci dall'autostrada Venezia-Trieste. E ti perdi. Chiarano, dove diavolo è Chiarano, capitale leghista delle ronde padane? Un cartello manda a sinistra. Arrivi a una rotonda e un altro cartello ti rimanda indietro. Eccolo finalmente il paese di Gianpaolo Vallardi, 47 anni, sindaco, sceriffo e anche onorevole. Fossati d'acqua, giardini ordinati, vie illuminate. Sicuramente ci sarà una pattuglia in giro stasera, volonterosi armati di fazzoletto verde e telefonino. Invece non si vede nessuno. Stesso deserto a Musile di Piave, qualche chilometro a Sud, dove la paura ha regalato l'elezione alla Camera a un altro borgomastro a tolleranza zero, Gianluca Forcolin, 41 anni. Strade vuote anche lì, come in tutti questi comuni della campagna veneta dove d'inverno, se ti perdi al buio, prima d'incontrare qualcuno per chiedere informazioni devi aspettare l'alba. Ma non era la provincia assediata dalla criminalità, questa? La terra dove la gente perbene è costretta a sostituirsi a polizia e carabinieri nei turni di vigilanza? La regione per la quale il Senato ha forzato la Costituzione e legalizzato le associazioni di cittadini per la sicurezza? Deserto ovunque.

L'affare infatti comincia adesso. In palio i cento milioni che il ministro per la Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha sottratto all'attività di polizia e carabinieri. Soldi che, grazie alle future convenzioni con i Comuni, finiranno anche alle ronde. L'ha promesso il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, spiegando che verranno premiati i sindaci più fantasiosi e creativi nel contrasto alla criminalità. Ecco cioè come il governo sta finanziando la sua pancia elettorale leghista. In piena crisi economica, con i soldi dello Stato e una legge presentata a difesa di tutti i cittadini che però non aggiunge nulla alla sicurezza. Ma chi difenderà i cittadini dagli eccessi delle ronde? La Questura di Padova ha revocato il porto d'armi sportivo ad alcuni imprenditori che la sera uscivano di pattuglia e nei fine settimana andavano ad addestrarsi al poligono con armi da guerra: Kalashnikov, fucili d'assalto e pistole. In provincia di Vicenza i carabinieri hanno invece denunciato per rapina uno dei sostenitori delle ronde dell'associazione leghista Veneto sicuro, di cui è stato testimonial il ministro per le Politiche agricole, Luca Zaia. Ora è sotto processo con altri due amici con l'accusa di aver aggredito un gay.

Da anni i promotori della tolleranza zero armano le loro parole guadagnandosi seggi in Parlamento. Come il senatore leghista di Treviso Piergiorgio Stiffoni, 61 anni, indagato e prosciolto dalla Procura della sua città per questa frase: "Cosa facciamo degli immigrati che sono rimasti in strada dopo gli sgomberi? Purtroppo il forno crematorio di Santa Bona non è ancora pronto". E la base li segue, in qualche caso armandosi davvero. Grazie a un emendamento del Pd all'articolo 46 del pacchetto sicurezza, le ronde dovranno essere disarmate. Ma il disegno di legge non esclude i volontari titolari di un porto d'arma. E la questione non è quello che succede durante i pattugliamenti. Ma quanto accade prima e dopo. Proprio per questo la questura di Padova ha revocato le licenze ad alcuni volontari della sicurezza.

L'inchiesta amministrativa della polizia padovana parte da un drammatico documentario, 'Stato di paura' (GUARDA)di Roberto Burchielli e Mauro Parissone, prodotto da La7 e vincitore nel 2007 del premio Ilaria Alpi. Sono i mesi in cui in via Anelli a Padova la presenza di spacciatori tra gli immigrati scatena la protesta degli abitanti esasperati. Una protesta sempre pacifica. Ma quella è l'occasione per la rottura del patto sociale tra cittadini e organi dello Stato accusati di inefficienza. Un solco che la legge voluta dal governo e in particolare dalla Lega rischia di allargare, togliendo finanziamenti a polizia e carabinieri e riducendo così la loro capacità operativa.

Il documentario di Burchielli e Parissone filma alcuni volontari delle ronde padovane durante i tiri al poligono. Sono soprattutto le loro parole a provocare l'intervento della polizia. "Pensate sempre che quando voi estraete l'arma , la estraete per usarla", ricorda un volontario, tra uno sparo e l'altro, "perché quello dall'altra parte... anche lui fa lo stesso ragionamento". Scherzano e, a ogni centro, fingono di aver colpito gli spacciatori: "Quando violenteranno qualche figlia di Prodi, Rutelli, Fassino, D'Alema, allora forse qualcosa cambierà". Un altro, che non partecipa ai tiri al poligono, racconta: "Mi son difeso una volta che ci hanno attaccato. Si erano attaccati alla rete per venire di qua. Ho preso la balestra. Ma senza mirarlo, perché aveva anche il mirino e se lo miravo... Già l'ho preso vicino alla giugulare. Per quello mi han dato tentato omicidio. Mi han fatto fare quattro mesi e mezzo di arresti domiciliari". E un altro ancora: "L'anno scorso c'è stata una fucilata... Mi venivano avanti e indietro, avanti e indietro... Gli ho sparato davanti ai piedi. Dopo due giorni sono uscito di giorno con la carabina, erano in cinque. Oh, scappavano da tutte le parti, bellissimo". Uno dei volontari che si allenano al poligono rivela il suo sogno: "Portarli tutti qua con i blindati e passarci sopra".

Il suo amico: "Non mi meraviglierei se un giorno qualche abitante della zona prendesse il fucile e tirasse due fucilate a qualcuno". Un altro: "Se ci fosse una legge che mi garantisce la mia... che io posso difendermi dentro casa come in America, cioè questa è proprietà privata tu entri, io non ti devo dire niente. Ti sparo addosso".

I palazzi occupati in via Anelli sono stati sgomberati, gli appartamenti murati. E gli spacciatori sono finiti in carcere o se ne sono andati. Delle decine che erano, l'unico rimasto appare il sabato sera. Pedala avanti e indietro in bicicletta con una borsa a tracolla. Prende gli ordini lungo la strada che porta alla tangenziale, sparisce, ritorna con eroina o cocaina. Il quartiere ora ha il tipico aspetto delle zone semindustriali delle città: una ragnatela di case, centri commerciali, fabbriche e strade che la sera si svuotano. Il risanamento non è merito delle ronde ma della collaborazione tra Comune, prefettura, polizia e carabinieri che hanno unito sforzi e obiettivi. Ed ecco adesso i soldati mandati dal ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Trascorrono la serata ad annoiarsi sulla jeep, ferma al piazzale della Stanga.

Ottantadue chilometri a Est, si perde tra le campagne Mareno di Piave, provincia di Treviso. Una sera del novembre 2007 Eugenio B., 29 anni, operaio, va in auto con il padre per la prima ronda in paese di 'Veneto Sicuro', l'associazione con base a Villorba in provincia di Treviso che unisce le ronde e il bacino elettorale della Lega. L'impegno per i volontari non è faticoso. Sono sempre gli stessi trenta leghisti a muoversi di paese in paese. Basta una mezz'ora all'aperto ogni due mesi. Una passeggiata davanti a fotografi e tv locali giusto per mantenere alti la paura e il consenso. Quella sera, racconta chi c'era, erano arrivati anche attivisti della Guardia nazionale padana. Per partecipare alle pattuglie, però, non è necessario mostrare la fedina penale. Così nessuno si preoccupa di avere accanto un volontario denunciato dai carabinieri e accusato di quello stesso tipo di reato che le ronde vogliono contrastare. Eugenio B. è sotto processo a Vicenza con l'accusa di aver picchiato un uomo di 43 anni e di avergli rapinato 500 euro e il telefono. Il ragazzo e i suoi due complici, sempre secondo l'accusa, l'hanno aggredito e minacciato con un coltello.

Il processo è ancora in corso. "Non è stata colpa mia", racconta Eugenio B. nella casa dei genitori con cui abita, "io non ho fatto nulla. C'è stata una lite con quel tale. Ci ha portati in discoteca a Milano e lì abbiamo scoperto che era gay. Al ritorno si è picchiato con i miei amici. Io non ho partecipato alla rapina". Il volontario delle ronde, portate a Mareno di Piave dal padre, per il momento ha lasciato la Lega. Adesso sta cercando di organizzare pattuglie per il partito della Fiamma Tricolore. Tutto ruota intorno a una palestra di pugilato e ad altre teste calde della zona. "Siamo fermi", dice Eugenio, "ma qualcosa stiamo organizzando. L'ultima ronda? A Conegliano, qui vicino, due mesi fa". L'ossessione di questi ragazzi sono gli immigrati. "Ma non siamo razzisti", precisa. Eppure non è chiaro di cosa si debba avere paura a Mareno di Piave. Secondo l'archivio dell'agenzia 'Ansa', negli ultimi nove anni la cronaca registra un uomo ucciso nel 2000 sul sagrato della chiesa dal figlio vittima di disturbi psichici, un ragazzo suicida nel 2001 per disturbi psichici, un morto per i botti di Capodanno nel 2002, il sequestro di 160 chili di fuochi artificiali illegali nel 2004. E i protagonisti non sono stranieri, ma italianissimi veneti. Qual è l'ultimo fatto di cronaca grave? Eugenio ci pensa su: "Mah, ieri sera la moglie di un mio collega pensava di essere inseguita da un extracomunitario mentre tornava dalla spesa. Lei ha telefonato al marito. Siamo andati. Abbiamo fermato un extracomunitario. Ma ci ha detto che stava tornando a casa".

Ormai è un fatto di cronaca grave anche il semplice pensare di essere inseguiti. Un mondo prigioniero dei fantasmi che si è creato e che hanno promosso la carriera e i guadagni pubblici di una squadra di amministratori leghisti che, proprio grazie a quei fantasmi, sono arrivati al governo e al Parlamento: il ministro Zaia, Massimo Bitonci, sindaco di Cittadella (Padova), oltre a Piergiorgio Stiffoni, Gianluca Forcolin e Gianpaolo Vallardi, l'inventore di tutto questo, il borgomastro di Chiarano che nel 2007, per la festa comunale degli anziani, ha regalato a trecento pensionati un coltellino serramanico. I leghisti si danno la carica così.

I funzionari di polizia sono preoccupati non solo per il Nord Est, anche per quello che succederà al Sud. E si sono uniti nella protesta con il sindacato Siap: "Oltre a mandare dei dilettanti in una corrida", spiega il segretario nazionale Siap, Giuseppe Tiani, "la norma corre il rischio di essere un vero e proprio cavallo di Troia per legittimare sul territorio azioni incontrollabili e disgreganti di associazioni mafiose e camorriste, come di squadracce di esaltati. La paura ha cominciato a prender corpo dai tagli ai fondi della sicurezza nel 2002. Diminuiscono volanti e gazzelle: chi risponderà alle chiamate di aiuto delle ronde armate di telefonino?". Ma cento milioni da incassare sono cento milioni. Così, dopo Lega e Fiamma tricolore, anche l'ala berlusconiana del Pdl in Veneto vuole adesso le sue ronde.

(12 febbraio 2009)
da espresso.repubblica.it
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« Risposta #96 inserito:: Febbraio 15, 2009, 12:43:08 am »

Vicenza, settemila in corteo: «Non siamo un'associazione a delinquere»

di Paola Zanca


Giovanni Rolando, a Vicenza, fa il consigliere comunale, capogruppo della lista civica che sostiene il sindaco Variati. Un uomo delle istituzioni, non certo un ribelle scalmanato, come vorrebbero dipingere i No Dal Molin. Oggi è lì, in corteo, insieme ad altre settemila persone. In mano stringe uno striscione: «No alla base Usa – si legge – Per il bene di Vicenza: VIA subito». Al suo fianco, da una parte c’è una professoressa di liceo, dall’altra uno dei più importanti imprenditori vicentini, il titolare della Lowara, che oggi è entrata a far parte di una multinazionale statunitense. Poco più in là, c’è il segretario cittadino del Pd, Claudio Veltroni. Il sindaco Achille Variati non partecipa al corteo, ma da piazza dei Signori, dove la manifestazione è partita alle 14.30, «per salvaguardare la giornata dei commercianti», ha ricordato che il diritto a esprimere le proprie idee non può essere messo in discussione da nessuno.

Già, perché a Vicenza, nel cuore del produttivo nordest, c’è un’emergenza democratica. Senza esagerare. C’è una città che da due anni lotta per il diritto a decidere che fare del suo territorio. C’è da perdersi nella catena infinita di sentenze, ricorsi, referendum. Ai vicentini resta un’unica certezza: gli americani possono decidere per loro. O almeno, c’è chi glielo lascia fare. Nomi e cognomi: Paolo Costa, il commissario governativo che segue l'iter per la realizzazione della nuova base americana, ma anche presidente della commissione Ue ai Trasporti, e presidente dell’Autorità portuale di Venezia.

A Vicenza, nominarlo, è soffiare fumo negli occhi: in consiglio comunale lo aspettano da mesi, anni oramai. Ma lui non si è mai presentato. Viene, va in prefettura, rilascia qualche dichiarazione alla stampa e se ne va. Per l’ennesima volta, una settimana fa, tre capogruppo della maggioranza e due della minoranza, gli hanno formalmente chiesto di poter visitare il cantiere. Lui ha risposto che dal luglio 2008 sono le autorità americane a dare l’autorizzazione. Non un nome a cui rivolgersi, sull’area del Dal Molin la democrazia è sospesa. La chiamano ormai un’«illegalità legalizzata». Perché lì non c’è una Valutazione di Impatto Ambientale: quasi quasi te la chiedono per aprire una finestra, esageriamo, figuriamoci per un’opera mastodontica, le cui fondamenta affonderanno nel terreno per venticinque metri. Alla commissione regionale è bastata la Valutazione paesaggistica: una pratica spicciata in un’ora, che lo stesso sindaco ha definito una buffonata.

Alla linea di Costa, quella della democrazia sospesa, sembra che ora si stiano adeguando anche questore e prefetto. L’ultimo episodio di tensione si è verificato martedì, quando gli attivisti del No Dal Molin hanno deciso di provare a bloccare lo stesso la strada verso l’area della base, nonostante la questura non avesse autorizzato la manifestazione. La polizia li ha accolti in assetto antisommossa. E sedici di loro hanno dovuto lasciare i documenti in questura. Tra le ipotesi di reato, c’è quella di associazione a delinquere. Chi si oppone alla base, insomma, farebbe parte di una vera e propria attività di criminalità organizzata. Facinorosi, direbbe qualcuno. Un’ipotesi che un lungo elenco di amministratori locali ha voluto respingere con forza. «La partecipazione ed il dissenso – dicono – non sono forme delinquenziali, bensì il sale della democrazia».

Per questo a Vicenza è emergenza democratica. Senza esagerare. Pensavano che prima poi sarebbe finita, che si sarebbero stancati, che non poteva durare due anni. Non qui, non finché esistono settemila cittadini che nella loro città vogliono ancora contare qualcosa.

14 febbraio 2009
da unita.it
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« Risposta #97 inserito:: Marzo 10, 2009, 11:48:04 am »

9 marzo 2009 PRIMO PIANO - Dalle regioni

Piano casa: Giacon, "L’impatto nel Veneto sarà minimo: solo 300 alloggi in tutta la regione".


Per il PD sarebbe preferibile un piano affitti e l’allentamento del patto di stabilità.

Quale sarà l’impatto veneto del faraonico piano casa proposto dal Governo Berlusconi? A domanda risponde Paolo Giacon, dell’esecutivo regionale del PD veneto, "Purtroppo sarà un impatto molto limitato. E come sempre la montagna partorisce alla fine dei topolini".

"Dai dati riportati sulla stampa - spiega Giacon - sembra che la prima tranche di interventi preveda la costruzione di 5000-6000 alloggi e che questi non saranno pronti prima di qualche anno. Questo significa che il Veneto, regione di circa 4 milioni e mezzo di abitanti, avrà in dote circa 300 alloggi. Saranno dunque una cinquantina gli alloggi costruiti per le province più grandi, una quarantina per le province con un minor numero di abitanti. I dati rivelano come l’impatto del grande piano casa sarà in fin dei conti, minimo: bisogna ricordare inoltre che, a causa delle lungaggini burocratiche del nostro Paese, prima di quattro o cinque anni gli alloggi non saranno a disposizione dei possibili utenti".

Il PD Veneto parte al contrattacco con una proposta condivisa da molti amministratori locali, "Se il Governo avesse voluto prendere dei provvedimenti seri a favore delle famiglie avrebbe lanciato un grande piano di sgravi sugli affitti – continua il dirigente del PD veneto - i soldi risparmiati e le agevolazioni si sarebbero immediatamente tramutati in consumi da parte di anziani e di giovani coppie".

"L’aspetto che più ci preoccupa per quanto riguarda il piano del Governo – denuncia Giacon - non risiede tanto nella nuova edilizia quanto nell’insidioso aumento di cubatura delle costruzioni già esistenti. In base alle intenzioni del Governo sarà possibile infatti aumentare del 20% la cubatura per gli immobili residenziali, mentre per quelli abbattuti e poi ricostruiti vi sarà un bonus di aumento della cubatura del 30%. Il PD è contrario a queste misure perchè hanno una scarsa utilità nel ridurre l’impatto della crisi economica. La richiesta del PD del Veneto, come di molti sindaci, indipendentemente dal loro colore politico è quella di allentare i vincoli del patto di stabilità. Piuttosto che focalizzare tutte le risorse nelle grandi opere è necessario investire anche nelle "piccole opere” che i nostri Comuni possono programmare e realizzare. Queste infatti hanno un impatto immediato nella vita dei cittadini (si pensi ad esempio ad un marciapiede, alla realizzazione di un parco, alla ristrutturazione di una sala culturale o di aggregazione) e contribuiscono alla sopravvivenza delle piccole e medie imprese locali".

da www.partitodemocratico.it
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« Risposta #98 inserito:: Marzo 12, 2009, 05:12:30 pm »

Belluno.

Lo scandalo della vagina "artistica": Comune contro Provincia

Opera d'arte censurata dall'ente provinciale.

Il sindaco Prade: «Non sono loro a decidere cosa il cittadino può vedere»

di Beatrice Mani


BELLUNO (11 marzo) - "Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?". L'ironica domanda di Nanni Moretti in "Ecce Bombo" ha finalmente trovato risposta nello "Scandalo della vagina" che sta scombussolando Comune e Provincia di Belluno: Ti si nota di più se proprio non vieni. Pomo della discordia un'opera d'arte che non è stata esposta da GaBls in occasione dell’8 marzo perché considerata eccessiva, di troppo impatto: si tratta di "Piatto, posate, vagina in cera d’api", dell'artista Mario Padovani.

L'arte ha mille forme espressive, una miriade infinita di soggetti, il gusto e la sensibilità del pubblico si comporta parimenti, muta con il passare del tempo, con lo sviluppo della società. E, arrivati al giorno d'oggi, parlare di scandalo intorno alle forme, anche quelle più intime, di un corpo femminile riesce a strappare quasi un sorriso. Insomma, su tv, giornali e web se ne vedono di tutti i colori. E invece, nonostante l'assuefazione all'eros dei nostri tempi, un'opera d'arte ha creato un vero putiferio, spaccando in due il mondo politico bellunese: Comune contro Provincia.

Occorre fare un passo indietro, per meglio capire l'inizio dei dissapori. "Piatto, posate, vagina in cera d’api", questo il nome della famigerata opera, era stata inserita fra i pezzi in esposizione nella collettiva organizzata in città da GaBls, l'8 marzo scorso per la Festa della donna. Si tratta, come ha spiegato lo stesso autore Mario Padovani, di «un'opera contro la retorica che sulla donna si fa in occasione della festa della donna; e non solo. Perché sul corpo femminile, ogni giorno, tutti ci mangiano: basta guardare la televisione ed aprire i giornali».

Peccato che il prodotto dell'estro di Padovani non l'abbia mai visto nessuno cittadino, o almeno l'abbiano visto in pochi: nella mostra non è mai stato esposto. Perché? Troppo d'impatto. La critica è arrivata dai piani alti della politica, non si è ancora ben capito da chi in particolare, tuttavia ha creato una frattura che sembra insanabile fra la Provincia, sostenitrice del diniego verso il "Piatto, posate" e quant'altro, e Comune, paladino della libera espressione.

Don Chisciotte in questo senso è stato proprio il sindaco Antonio Prade che ha tuonato contro la censura: «Certa politica pensa ancora di poter stabilire cosa un cittadino possa vedere o meno e che cosa deve pensare. Ed ecco la giunta Reolon che, coerente con questa vecchia impostazione, stabilisce cosa vada esposto in mostra, decidendo se un’opera è corretta o meno, se urta il pudore o altro. Ma quarda: le posizioni si sono rovesciate: una volta non erano loro, i progressisti, a stracciarsi le vesti nei confronti della censura? Oggi avviene il contrario». Il sindaco ha poi invitato l'artista ad esporre la sua opera a mostra conclusa "ovunque" negli spazi comunali.

Una dichiarazione che non è passata inosservata, anzi, la replica non ha tardato ad arrivare: «Collochi quell’opera dove vuole - ha sentenziato Claudia Bettiol, vicepresidente e assessore alla cultura della Provincia -, magari anche all’entrata della mostra del Brustolon!». Infuriata, la vice di Reolon non ha risparmiato parole verso il sindaco: «Prade si diverte a invocare una caccia alle streghe come un nuovo gioco cui invita i cittadini. In realtà noi non siamo entrati nel merito della qualità dell’opera in questione. Il curatore di GaBls ci ha interpellati sull’opportunità di esporre o meno quel lavoro e noi abbiamo concluso che nell’occasione dell’8 marzo, con tutti i casi di stupro che si verificano, quell’immagine era assolutamente improponibile». Insomma, si tratterebbe di un caso di "opportunità", con tutte le violenze che si sono in giro, un'opera del genere avrebbe, nella peggiore delle ipotesi, potuto perfino istigare qualcuno a commettere atti condannabili contro le donne, o semplicemente trasmettere un messaggio negativo ai visitatori.

Tinto Brass. E chi, meglio del famoso regista erotico, poteva dire la sua in merito a questa dilaniante querelle? Nessuno, ovviamente. Tinto Brass ha espresso le sue critiche ai censori senza mezzi termini: «Fanno la figura dei retrogradi». Di tabù Brass ne sa qualcosa e ha commentato, facendo un parallelismo con l’"Origine du monde" di Gustave Courbet, del 1866: «Anche quella grande vaginaè stata oggetto di strali».

Ma Brass ha fatto di più, ha liquidato la questione citando Picasso: «L’arte non è mai casta. Se lo è non è arte».

Ora bisognerà capire se e quando verrà esposta la tanto contestata e censurata "vagina" in cera, anche perché, nel frattempo, la curiosità degli appassionati è montata a dismisura. E chissà che questo scandalo tutto provinciale non determini la fortuna del giovane artista che, in futuro, potrebbe trovarsi a ricordare con nostalgia quell'episodio tanto discusso, senza il quale nessuno lo avrebbe notato. 

da ilgazzettino.it
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« Risposta #99 inserito:: Marzo 12, 2009, 05:13:40 pm »

Crisi del turismo a Venezia, le responsabilità degli albergatori
 
 
 
Lavoro dal '79 nel turismo e da anni negli alberghi; ho visto e vissuto situazioni varie e crisi più o meno gravi nel trasporto aereo, nei tour operator e nelle agenzie di viaggi, ma rimango "basito" nel leggere le quotidiane lamentele degli albergatori veneziani sulla crisi del turismo a Venezia.

Ci sono alcune cose che con tutta la mia buona volontà mi rimangono oscure, per esempio: Com'è possibile che bastino 3 mesi di incassi diminuiti (perché non mi vengano a raccontare la storia dell'orso, fino a settembre il turismo a Venezia è stato pressoché uguale all'anno precedente) per mandare in crisi aziende grandi e piccole che venivano da decenni di lauti guadagni? Contratti in scadenza non rinnovati, riduzione di orari, diminuzione di personale... una Caporetto.

In tutto questo lamentarsi però non ho sentito neppure una voce dai vari dirigenti dei vari organi preposti al controllo del turismo veneziano che ammettesse una qualche responsabilità per una situazione che chiunque dotato di un minimo di buon senso avrebbe potuto prevedere... Allora provo io, semplice addetto ai lavori, a metter lì qualche considerazione buona per riflettere: 20 anni fa esisteva la classificazione degli alberghi: serviva a garantire un minimo di standard qualitativo per il cliente, che sapeva che se prenotava un hotel 3 stelle aveva un servizio da 3 stelle, se prenotava un quattro stelle pagava di più ma aveva un servizio migliore.

Ogni anno venivano fatti controlli accurati e se l'albergo non rispettava gli standard o si adeguava alla svelta o veniva declassato... quando si apriva un albergo si dovevano rispettare delle regolamentazioni ferree a seconda delle quali veniva data la classificazione in stelle. Però questo evidentemente non andava bene, perché obbligava i proprietari degli alberghi ad investire soldini sulle strutture, per mantenerle in linea con gli standard richiesti, sul personale che doveva avere certe qualifiche (i quattro stelle dovevano avere obbligatoriamente un direttore, una governante ed un concierge).

Allora hanno (ribadisco hanno) deciso di abolire i controlli e la classificazione. Risultato? Proliferazione di alberghi sopravvalutati, 4 stelle con servizio da 2 stelle, personale non qualificato mandato allo sbaraglio per risparmiare, qualità inesistente. Oggi chiunque può classificare il suo albergo come gli pare, rispettando solo i vincoli di metratura, infischiandosene di standard di qualità e professionalità (andate a fare un giro per le portinerie degli alberghi di Venezia dopo le 21, il 95% del personale non parla non dico le lingue ma nemmeno l'italiano!!).
 
Vent'anni fa esistevano le tabelle con i prezzi minimi e massimi divisi per categoria: significava che un albergo a 4 stelle aveva un prezzo minimo e uno massimo per la bassa e l'alta stagione così come i 3, i 2 stelle. Era obbligatorio applicare quei prezzi, se si sgarrava erano multe salate. E così chi prenotava un 4 stelle sapeva che pagava di più e se voleva risparmiare prenotava un 3 stelle. Però nemmeno questo andava bene: via la differenziazione dei prezzi. Risultato? una babele di tariffe... hotel 4 stelle che vendono a prezzi di 3 stelle, 3 stelle che vendono al prezzo dei B&B sia in bassa che in alta stagione (che ormai non esiste più, si vende un tanto al chilo a seconda della disponibilità, tanto nessuno dice niente), forbici di prezzi fra minimo e massimo che possono arrivare anche al 300%!!

I clienti non ci capiscono più niente, non esiste più la differenziazione di prezzo e qualità che faceva scegliere al cliente un 4 stelle piuttosto che un 3 stelle... Vogliamo parlare poi della qualità del servizio negli alberghi, anche quelli di lusso? personale ridotto all'osso, senza formazione, molto spesso nemmeno in grado di esprimersi in italiano figuriamoci altre lingue, investimenti per la qualificazione professionale zero, salvo quella obbligatoria per legge ( 626, HCCP, antincendio, ecc...)

In conclusione: la deregulation selvaggia voluta dagli albergatori veneziani che negli anni di vacche grasse guadagnavano bei soldini si è loro ritorta contro.
Il problema è che come sempre l'hanno scaricata sull'anello debole della catena, i lavoratori, quelli che hanno bisogno dello stipendio di fine mese per pagarsi il mutuo e ai quali anche una riduzione di orari causa gravi problemi.

Lettera firmata 
da gazzettino.it
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« Risposta #100 inserito:: Marzo 13, 2009, 12:34:46 am »

Veneto, maxi bonus agli amministratori.

Il Pd: «Brunetta intervenga»


«Il ministro Brunetta, che ogni giorno parla di rinnovamento, di maggiore produttività e di meritocrazia nella pubblica amministrazione, ha pieno titolo per dire qualcosa». È quanto sottolinea il deputato del Pd Andrea Martella, che ha presentato un'interrogazione al ministro per la Pubblica Amministrazione Renato Brunetta sul premio di risultato assegnato ieri dalla Giunta veneta ai 13 massimi dirigenti della Regione, un maxi bonus di 15 mila euro in media ciascuno che equivale al 10% dello stipendio.

Martella chiede quali siano le valutazioni di merito da parte del ministro e quali le iniziative che intende assumere: «Sono certo che il ministro ora dirà di non avere alcun potere di intervento sulle scelte della Giunta regionale», afferma il parlamentare del Pd, secondo il quale invece Brunetta non solo ha «pieno titolo» per dire qualcosa ma è «costretto a dirla dopo quanto ha dichiarato il vicepresidente del Veneto Franco Manzato, che ha ammesso come il riconoscimento dei premi è una scelta politica, che premia i dirigenti di nomina politica senza distinzioni e senza alcuna valutazione di merito».

«Questa è la peggiore politica - conclude Martella - e mi auguro che il ministro, che è veneto come me, prenda posizione su una vicenda che cade nel pieno di un momento di crisi e di grandi sacrifici anche per i cittadini della nostra regione.  Sono certo che Brunetta la pensa come me, però non so se potrà dirlo».

12 marzo 2009
da unita.it
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« Risposta #101 inserito:: Marzo 15, 2009, 10:06:18 am »

POLITICA NODI E LITIGI

La Regione non si ferma: pronti altri 55 bonus

Nuova delibera in arrivo.

Galan difende la scelta: «I nostri manager sono i migliori»


VENEZIA — Il fronte è destinato ad allargarsi. E dopo i tredici top manager a breve toccherà ai cinquantacinque dirigenti che stanno sotto di loro: la delibera con l'indennità di risultato è allo studio dell'assessorato al Personale. Non le cifre dei top manager — per loro circa 15mila euro di premio, il 10% della retribuzione — ma comunque il 15% della retribuzione di un dirigente regionale. Poi, a cascata, toccherà a tutti gli altri dipendenti regionali, circa tremila. Davanti alla platea di Confindustria, ieri pomeriggio, il presidente Giancarlo Galan ha difeso la scelta della giunta: «Sono stati premiati perché sono i migliori del Paese. La Regione è la migliore d'Italia, ha realizzato opere che tutto il Paese ci invidia.

I dirigenti veneti hanno fatto meglio di tutti e vanno incentivati perché abbiano voglia di fare ancora meglio nonostante tutte le difficoltà che ci vengono frapposte e perché abbiano voglia di andare avanti anche quando tutto il resto del Paese funziona e marcia a un livello inferiore del nostro. Sono convinto di quello che ho fatto anche se può urtare la sensibilità di qualcuno. Ci vorrebbero gli strumenti per poter essere meritocratici ma nella pubblica amministrazione mancano i parametri per poterlo fare. Fosse per me il premio sarebbe rimanere al loro posto, ma dovrebbero essere pagati molto di più. Non ci sono criteri oggettivi per distinguere gli uni dagli altri. Come facevo a dare a loro meno del 10% quando qualche mese fa Finozzi ha dato al suo capo di Gabinetto, Max Siron, un premio del 10 per cento? Era come dire loro: valete meno di lui...».

 
Flavio Silvestrin (foto Balanza)
L'assessore competente, Flavio Silvestrin, si sente che non ne può più: «Non è mai successo che non sia stato dato un premio — sbuffa — quest'anno, però, ho dato disposizioni che venga assegnato dopo un'attenta valutazione. Non saranno tutti ottimi, insomma, ci sarà una verifica puntuale del merito. Gobbo ci attacca e dice che dovrebbero restituire i soldi? Ci dica quanto prende il massimo dirigente del Comune di Treviso». Ma le polemiche non si fermano. Per Ugo Agiollo, segretario Cgil Fp Veneto, il premio ai top manager e quello ai dirigenti «sembra un contentino ai dirigenti regionali. Visto che a gennaio hanno dovuto fare anche a loro la decurtazione per la malattia, hanno concesso e concederanno i premi. È una scelta sbagliata, profondamente immorale».

Dopo lo scontro tra l'assessore Donazzan e il vicepresidente della giunta, Franco Manzato, ieri il governatore Galan è intevenuto per stemperare i toni. Nel frattempo, sempre in tema di soldi ai dirigenti, ieri i sindacati hanno dichiarato guerra al sindaco di Cittadella, deputato della Lega, Massimo Bitonci, reo di aver gestito «ad personam» i premi ai dipendenti e di aver assunto un dirigente in più. «È pura violazione della legge, agiremo per vie legali con un esposto alla Corte dei Conti», tuonano i sindacati della funzione pubblica di Cgil e Cisl. Ieri il tavolo di conciliazione tra la prefettura di Padova e i sindacati, per la contrattazione dei premi ai dipendenti del Comune di Cittadella è saltato, perché il primo cittadino non si è presentato lo scorso lunedì.

I sindacati ieri hanno divulgato i documenti pubblici che testimoniano le cifre spese per i dipendenti del Comune, un centiaio in totale. Per due dipendenti è stato stabilito un premio di seimila euro: «La determina del 15 marzo scorso assegna seimila euro a dei dipendenti ma non è mai passata per alcun tavolo di trattative sindacali — attacca Christian Ferrari, della Cgil —. Inoltre il sindaco ha nominato un dirigente in più oltre il consentito. Sono violazioni gravissime della legge per cui agiremo per vie legali e con un'azione sindacale che potrebbe tradursi in uno sciopero ». L'opposizione spalleggia la causa del sindacato: «I dipendenti a contratto prendono 50mila euro in più all'anno come compenso per il lavoro aggiuntivo», chiarisce Francesco Rebellato, del Pd. Da Roma Bitonci replica deciso che non ha nessuna intenzione di sedersi al tavolo: «I sindacati vogliono fondi a pioggia, noi abbiamo scelto il criterio di meritocrazia per decidere in giunta i premi ai dipendenti più meritevoli. Avevo scritto al prefetto della mia assenza dal tavolo per questo motivo. C'è un fondo di 140mila euro all'anno da spartire tra i dipendenti a Cittadella, che fanno invidia a tutti gli altri Comuni».

Sara D'Ascenzo
Martino Galliolo

14 marzo 2009
da corrieredelveneto.corriere.it
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« Risposta #102 inserito:: Marzo 15, 2009, 10:07:09 am »

l'editoriale

Ticket e furbetti

I falsi poveri di una Usl trevigiana


E facciamoli questi benedetti nomi. Centocinquantasette. I nomi di tutti gli italici cittadini che con redditi elevati si sono esentati dal pagamento del ticket sanitario all'Usl 7 di Pieve di Soligo — la Toscana del Veneto accarezzata dalla poesia di Andrea Zanzotto che predica il ritorno alla sobrietà del paesaggio e dell'anima — autocertificando la propria indigenza. E facciamoli i nomi di questi travestiti da falsi poveri e magari offriamogli una social card per colmare il disavanzo che nella loro dichiarazione dei redditi (a proposito, chissà cosa troveremmo se ci guardassimo dentro) si creerà senza quei 20-30 euro truffati alla società per non pagare il dovuto dopo una visita medica o un esame del sangue.

E facciamoli i nomi di questi 157 cittadini veneti che al tempo della grande crisi, del welfare sofferente, delle fabbriche che chiudono, delle famiglie che lacrimano sangue, dei governi che impazziscono nel tagliare e cucire i bilanci, si sono autocertificati così: 121 disoccupati, 17 titolari di una pensione minima, 19 di un assegno sociale. E perchè non dovremmo farli questi nomi quando ogni giorno noi giornali e televisioni facciamo nomi e cognomi di ladri di biciclette e rapinatori di metadone, di chi commette piccoli- grandi crimini per avidità e profitto? Perchè dobbiamo bollare due romeni radiografando la loro identità fino alla quinta generazione per scoprire che poi magari non c'entrano e non dobbiamo censire le lazzaronate di chi nella in-civiltà della propria opulenza lucra i soldi che Comuni, Province e Regioni devono poi tagliare mettendo a rischio i servizi per chi è povero per davvero? Loro, i furbetti del ticket, si scopre che una volta scoperti hanno tentato l'altra nobile «italianata» e cioè quella di contattare i vertici dell'Usl per patteggiare in qualche modo il peccatuccio. Il direttore sanitario li ha respinti, dicendosi pronto invece a fornire gli elenchi per la pubblicazione, mentre i sindacati hanno chiesto la gogna pubblica.

Certo non è nemmeno facile decidere berline medievali per chi informa, stretto fra il diritto-dovere di cronaca e il rischio (più di qualche volta divenuto censurabile danno) di infangare e spettacolarizzare al di là del bene e del male. Non è facile perchè la gogna sa sempre un po' di demagogia e giustizialismo. Ma se ci devono essere regole e deontologia, senza prescindere dal loro rispetto non si può rinunciare almeno a quell'indignazione basica nei confronti di chi umilia il senso civico della collettività e fa dire al vescovo di Treviso Andrea Bruno Mazzocato che «la vicenda costituisce un'offesa a chi non può difendersi » e che «solidarietà significa anche andare contro certe furbizie». D'altra parte, non illudiamoci troppo. Se anche alla fine questi nomi (ma non sarà così) dovessero essere divulgati, noi che ci indigniamo potremmo essere nuovamente gabbati da quei 157 furbetti o da una parte di essi perchè chi arriva a truffare il compagno di banco per venti euro è capacissimo di mettere in calce, sulla propria autocertificazione, perfino un nome falso.

Alessandro Russello

14 marzo 2009
da corrieredelveneto.it
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« Risposta #103 inserito:: Marzo 17, 2009, 06:33:54 pm »

Patto segreto tra Berlusconi e Bossi

Ciao Galan... il Veneto sarà leghista


Martedí 17.03.2009 15:15


Giancarlo Galan è impegnatissimo. Non soltanto nel "suo" Veneto ma anche a livello nazionale. E' pronto a candidarsi alle elezioni europee per far conquistare voti al Popolo della Libertà ed è alla testa dei sindaci del Nord-Est nel chiedere un federalismo fiscale più "spinto" e più "aggressivo". L'obiettivo di fondo è la riconferma alla presidenza della Regione l'anno prossimo. D'accordo con lui anche il futuro coordinatore del Pdl in Veneto, che sarà Alberto Giorgetti, dal luglio 2002 numero uno di Alleanza Nazionale a Venezia e dintorni.

L'indicazione era nell'aria ormai da un mesetto, ma la conferma è arrivata sabato alla conclusione di un affollato pranzo organizzato dall'avvocato Niccolò Ghedini nella sua villa di Santa Maria di Sala, nelle campagne tra Padova e Venezia. Il coordinatore veneto di Forza Italia aveva invitato ministri, parlamentari, eurodeputati e consiglieri regionali del Pdl per "discutere di politica in previsione del congresso". Mancava soltanto il ministro Maurizio Sacconi, impegnato in una tavola rotonda a Cernobbio; pur di non mancare, il suo collega Renato Brunetta è invece arrivato e ripartito in elicottero.

Il Pdl quindi ha deciso di puntare con forza sul Veneto, anche perché i sondaggi dell'istituto Crespi Ricerche danno la Lega Nord primo partito in Regione. Il sorpasso di cui si è tanto discusso è ormai avvenuto: il Carroccio è sopra il 30 per cento e avrebbe un vantaggio di ben cinque punti sugli alleati. Soltanto terzo il Partito Democratico. Galan, però, è destinato alla sconfitta. Un accordo "segreto" siglato mesi fa tra Silvio Berlusconi e Umberto Bossi assegna il Veneto ai padani.

I quali non hanno nemmeno un presidente di Regione e hanno deciso di non fare la guerra a Roberto Formigoni in Lombardia proprio per concentrarsi sulla terra dove raccolgono il più alto numero di consensi. Il via libera del premier c'è già stato e salvo colpi di scena o terremoti nella maggioranza a Roma, il candidato alla guida del Veneto l'anno prossimo sarà un leghista. Chi? Sono tre nomi in corsa, spiegano da Via Bellerio. Il primo è ministro dell'Agricoltura Luca Zaia, molto apprezzato dal Senatùr per la sua azione di governo. Ma crescono anche le quotazione del popolarissimo sindaco di Verona Flavio Tosi, volto televisivo del Carroccio. Infine una donna, Manuela Dal Lago, ex presidente della provincia di Vicenza.

da affaritaliani.it
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« Risposta #104 inserito:: Marzo 26, 2009, 06:38:15 pm »

Caccia grossa all'evasore

di Paolo Biondani e Vittorio Malagutti


Un lista misteriosa. Con 552 "nomi grossi".

Sono tutti noti industriali e professionisti del nord-est. Che hanno gabbato l'erario italiano. Grazie a un avvocato svizzero. Finito a San Vittore 


Kerrville è una cittadina del Texas. Poche case, poca gente e poche strade in un paesaggio desolato. Bisogna partire da qui, dal Far West americano, per raccontare una storia di malaffare molto italiana. Ci sono centinaia di milioni di euro in fuga dal fisco e un codazzo eterogeneo di protagonisti: un avvocato svizzero specializzato in società off shore, un commercialista d'alto bordo con frequentazioni vip e un plotone di imprenditori in cerca di una scorciatoia per risparmiare sulle tasse. Serve un indirizzo fuori mano dove parcheggiare il denaro? Ecco Kerville, Texas, dove ha sede la finanziaria Wmk group, la cassaforte dell'organizzazione.

Per anni il sistema ha funzionato a meraviglia: riservatezza assoluta e soldi a palate per tutti. Poi, l'imprevisto. Nel primo weekend dello scorso febbraio, entra in scena la Guardia di finanza. Con un'operazione preparata da mesi, la squadra di polizia giudiziaria delle Fiamme gialle di Milano mette le mani su una lista di oltre 500 nomi, per l'esattezza 552. Ci sono imprenditori e aziende, con tanto di coordinate bancarie, società di copertura e una serie infinita di fatture emesse dall'Italia verso l'estero. Soldi che lasciano la Penisola e approdano nei paradisi fiscali. Per la procura di Milano, è una miniera di informazioni di straordinario valore.

La lista dei 552 era custodita in un file del computer portatile dell'avvocato svizzero Fabrizio Pessina, classe 1946. Un professionista di lungo corso con base a Chiasso, pochi metri oltre il confine. Sbarcato a Malpensa di ritorno da una breve vacanza a Marbella, Pessina viene arrestato con l'accusa di riciclaggio. Nell'inchiesta è coinvolto un suo cliente importante, l'imprenditore milanese Giuseppe Grossi. Ma l'analisi dei dati memorizzati per anni in quel computer mostra agli investigatori che Grossi in realtà è solo un nome tra i tanti. In tre decenni di onorata carriera l'avvocato svizzero specializzato in paradisi fiscali si è costruito un network di contatti molto ramificato. Fanno riferimento a lui un gran numero di industriali e professionisti, concentrati soprattutto nell'area del Nord-Est, in quella fascia ad alta densità di piccole e medie aziende che va da Brescia fino a Treviso. Clienti come il gruppo Greggio, griffe dell'argento con base in provincia di Padova. Oppure la famiglia veronese Cordioli, che produce e lavora alluminio, zinco e rame. E ancora, sempre a titolo di esempio, il bresciano Innocente Aderenti. Decine e decine di personaggi, per lo più poco noti al grande pubblico, che però, nell'insieme, riescono a muovere centinaia di milioni di euro.

I principali referenti bancari di Pessina sono ovviamente i giganti del credito svizzero, a cominciare dall'Ubs. In Italia, invece, in molte operazioni registrate nella lista dell'avvocato di Chiasso viene citato il nome della Banca Mb, un piccolo istituto nato da poco a Milano per iniziativa di alcune decine di imprenditori di seconda fila. Tra i promotori spicca un nome storico della finanza nazionale come Giuseppe Garofano, il manager, presidente Montedison ai tempi dei Ferruzzi, da sempre vicino all'Opus Dei. Clienti di Pessina sono i primi azionisti della banca. E come amministratore della Mb, dal 2003 fino al marzo 2006, spunta il commercialista Siro Zanoni, storico collaboratore dello stesso Pessina.

Ma non è solo questione di banche. Da almeno dieci anni l'avvocato di Chiasso ora agli arresti fa coppia fissa con Mario Merello, un professionista di gran successo, almeno a giudicare dal patrimonio personale. Residenza a Sankt Moritz, ma di casa anche a Montecarlo, Merello l'estate scorsa ha inaugurato il suo nuovo yacht da 50 metri battezzato Marcelita in onore della moglie, la cantante Marcella Bella. Il suo tesoro, quello vero, è però un patrimonio smisurato di contatti e relazioni, alcuni ad altissimo livello, famiglie e imprenditori di cui gestisce i capitali. Il socio di Pessina naviga da anni nel mondo dello spettacolo, tra i vip veri o presunti frequentati nelle occasioni mondane insieme alla consorte Marcella. A Milano, invece, l'attivissimo Merello è ben introdotto nel giro della Borsa e dell'alta finanza. Conosce da tempo, per esempio, la famiglia Ligresti. E si racconta che il suo maestro fu Silvano Pontello, il banchiere, morto nel 2002, a sua volta cresciuto allo scuola del bancarottiere Michele Sindona e in seguito salito al vertice della Banca Antonveneta. Tempi lontani, quelli. Da allora Merello ha fatto molta strada, giostrando con grande abilità capitali e amicizie tra Lugano, Milano e Montecarlo. In una carriera tanto fortunata va registrato un solo incidente di percorso. Nel 1998 la Sec americana lo pizzicò per una storia di insider trading (abuso di informazioni riservate in Borsa) a Wall Street. Tutto si chiuse con una semplice multa. Poca cosa per un tipo come Merello, che ormai viaggiava a tutta velocità. E infatti, tempo qualche anno, eccolo al volante della Wmk del Texas. Questa holding statunitense tira le fila di una struttura più complessa. C'è una Wmk con base in Lussemburgo, che a sua volta ha aperto un ufficio a Lugano. Alla consociata lussemburghese, secondo l'ultimo bilancio reso pubblico (datato 2007), fa capo un patrimonio di circa 300 milioni di euro. Investito, come recita la documentazione ufficiale, in non meglio precisati "valori mobiliari".

Ora, dopo l'arresto dell'avvocato-contabile Pessina, tutti gli affari del gruppo Wmk verranno passati al setaccio dalla Guardia di finanza, come quelli del suo partner Merello. L'inchiesta penale della Procura di Milano, affidata ai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta, è solo al primo capitolo, ma promette sorprese clamorose. L'unico cliente di Pessina per cui sia già possibile tirare le somme è proprio Grossi, che con la sua Green Holding spa ha gestito la bonifica ambientale di Montecity, l'area milanese dove l'immobiliarista Luigi Zunino sta costruendo il nuovo quartiere di Santa Giulia. L'avvocato svizzero è stato arrestato con l'accusa di aver riciclato 14 milioni e mezzo di euro creati proprio gonfiando i costi di quella bonifica. Ma ora i documenti sequestrati nelle perquisizioni hanno già fatto lievitare i fondi neri a 25 milioni. E negli ultimi interrogatori in carcere, Pessina ha dichiarato di aver versato quei soldi su una rete di conti esteri intestati a familiari, dirigenti e prestanome dello stesso Grossi, che a questo punto è a sua volta indagato per frode fiscale.

Ma ora le indagini della Procura vanno molto al di là del caso Grossi. Nel mirino della Guardia di finanza c'è l'interminabile lista di clienti e società scoperta nel computer di Pessina. Questo elenco di 552 nominativi può essere paragonato, come ordine di grandezza, all'ormai famosa lista degli italiani con il conto a Vaduz. Con alcune importanti differenze. La lista di Vaduz, resa pubblica nel marzo scorso dai vertici dell'Agenzia delle Entrate (quelli nominati dal governo Prodi e poi rimossi), era stata comprata dai servizi segreti tedeschi pagando un anonimo funzionario che, nel 2002, aveva copiato di nascosto gli archivi informatici della banca del Liechtenstein in cui lavorava. Quei depositi esteri, quindi, erano datati e in molti casi erano già stati regolarizzati sfruttando i due scudi fiscali varati tra il 2001 e il 2003 dal ministro Tremonti. Il computer di Pessina, invece, contiene dati recentissimi, aggiornati fino a venerdì 31 gennaio 2009, anzi probabilmente anche nel weekend dell'arresto. La lista di Vaduz, inoltre, conteneva 390 nomi, quasi tutti del Centro-Nord, che però erano in gran parte riuniti in gruppi familiari o societari, per cui corrispondevano solo a 157 posizioni bancarie: il totale dei depositi era di 1 miliardo e 337 milioni di euro. I clienti del fiduciario svizzero che ora è a San Vittore sono invece concentrati tra la Lombardia e il Veneto. I loro identikit professionali sono equivalenti a quelli dei soggetti comparsi nella lista di Vaduz. Ma questa volta il numero sembra calcolato per difetto. Secondo quanto risulta a 'L'espresso', infatti, a molti dei 552 nominativi corrisponde più di un conto estero e più di una società schermo. Alcuni nomi e cognomi coincidono con familiari di banchieri di rango, finanzieri d'assalto, dirigenti di aziende lombarde, imprenditori soprattutto del Nord-Est, ma ogni conclusione è prematura: le indagini sono alle primissime battute e la polizia giudiziaria sta ancora lavorando per ricostruire l'effettiva identità dei clienti, evitando errori o casi di omonimia.

Le operazioni annotate nel computer di Pessina sono migliaia. Ci sono accrediti registrati a partire dal 1996. Per altri clienti le informazioni coprono solo gli anni più recenti. Ma il dato più interessante forse è un altro: in quel laptop compaiono anche i nomi di altri fiduciari. Che potrebbero quindi rimandare a ulteriori piramidi e sotto-piramidi di clienti italiani con i conti all'estero. In questo quadro, è l'altissimo livello dei contatti personali e professionali di Merello, il socio forte di Pessina, a far ipotizzare sviluppi eccellenti. I conti esteri per cui la Procura di Milano ha già contestato l'accusa di frode fiscale sono intestati a società off shore dei più vari paradisi fiscali, da Madeira al Delaware, che di fatto però servono solo a gestire depositi in banche svizzere. L'arresto di Pessina ha creato grande imbarazzo nella Confederazione, già scossa dalle recenti polemiche internazionali sul segreto bancario. Pessina è stato per due anni, dal 1991 al 1993, presidente dell'ordine degli avvocati del Canton Ticino. E a San Vittore, ha da poco ricevuto la visita ufficiale di un diplomatico: il console svizzero.

(26 marzo 2009)
da espresso.repubblica.it
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