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Autore Discussione: FEDERICO GEREMICCA -  (Letto 136570 volte)
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« Risposta #240 inserito:: Gennaio 20, 2014, 11:26:19 pm »

Editoriali
20/01/2014

Il Cavaliere eterno tarlo dei Democratici
Federico Geremicca

Una visita di cortesia per accertarsi delle migliorate condizioni di salute e anche - perché no? - per raccontare all’ex segretario lo stato della dura trattativa in corso intorno alla riforma della legge elettorale. Sono queste, ufficialmente, le ragioni che ieri hanno spinto Matteo Renzi a Parma, dove Pier Luigi Bersani resta ricoverato ma in un quadro di deciso e continuo miglioramento. Sarebbe ingenuo, però, non vedere nell’iniziativa del leader Pd anche il tentativo di lanciare un segnale distensivo all’opposizione interna (della quale i bersaniani sono larga parte) alla vigilia di una Direzione che si annuncia tesa e incerta nel suo sviluppo.

Difficile sapere se Renzi abbia chiesto a Bersani addirittura di intervenire in qualche modo, suggerendo - magari - un abbassamento generale dei toni. Ma certo non si sarebbe trattato di una richiesta eccentrica, considerato il fatto che la polemica interna al Partito democratico ieri ha raggiunto punte di grande asprezza intorno ad una questione, per altro, che pareva definitivamente superata: e che è stata invece velenosamente rilanciata, facendo fare al Pd un doppio salto mortale all’indietro. Parliamo, naturalmente, dell’antiberlusconismo: croce e delizia della sinistra italiana dalla discesa in campo del Cavaliere in poi. Dopo due decenni di scelte e giudizi un po’ schizofrenici, di alti e bassi nei rapporti col Caimano e di interrogativi mai risolti (in sintesi: l’antiberlusconismo fa più male al Cavaliere o alla sinistra?), la questione sembrava esser stata definitivamente archiviata la primavera scorsa, quando i democratici concordarono e votarono con Berlusconi tanto il nome del nuovo-vecchio Capo dello Stato quanto il premier, la struttura e il programma del governo da sostenere assieme. La Cassazione (chiamata per altro a giudicare solo su eventuali vizi di forma) non si era ancora espressa sul ricorso del leader di Forza Italia: ma tutti sapevano che Berlusconi era già stato condannato in primo e secondo grado per un reato grave come la frode fiscale. Ciò nonostante - fu questa la decisione - con lui si poteva governare, e perfino eleggere un Presidente. 

Anche allora, nell’aprile scorso, ci furono obiezioni e proteste (soprattutto in periferia, tra gli elettori e i militanti Pd), ma il gruppo dirigente democratico - Bersani in testa - non vacillò e impose quella linea. Si trattò di una scelta più o meno discutibile, naturalmente: ma quel che stupisce oggi è sentir affermare da uomini di punta di quel gruppo dirigente (Fassina) di aver provato addirittura «vergogna» per l’incontro di sabato tra Renzi e Berlusconi. Vergogna: cioè proprio la stessa parola che veniva urlata dai manifestanti davanti Montecitorio mentre il Pd si accingeva a votare per Marini Presidente della Repubblica (nome imposto dal Cavaliere per dare il via libera a un ipotetico governo-Bersani) piuttosto che per Stefano Rodotà...

La politica viene definita, molto spesso, l’arte del possibile: ed è un’arte nella quale è dunque normale e possibile cambiare opinione, fare retromarcia, conservare o smarrire la coerenza. Il punto, dunque, non riguarda la legittimità della più velenosa delle critiche mosse in queste ore a Renzi («ha incontrato Berlusconi»): quanto la sua sensatezza oggi, e l’effetto politico che potrebbe innescare. Con un Berlusconi in forzato e dichiarato declino, costretto ad entrare nella sede Pd da un ingresso secondario, bersagliato da uova e sottoposto ad una sorta di mortificante Canossa, pare poco sensato affermare che il semplice incontro con Renzi abbia «rilanciato il Cavaliere». Quel che potrebbe esser davvero rilanciato, piuttosto, è una sorta di antiberlusconismo di ritorno: un’inattualità che rischia - come è sempre avvenuto in passato - di deviare il confronto politico facendo perdere di vista il merito delle questioni.

A volerla dire con semplicità, apparirebbe politicamente incomprensibile se oggi la Direzione del Pd finisse per lacerarsi sulla liceità dell’incontro tra Renzi e Berlusconi piuttosto che dividersi sul modello di legge elettorale al quale sta lavorando il leader Pd. E ci sarebbe perfino qualcosa di grottesco - dopo Bicamerali, governi e Presidenti eletti assieme - ritrovare vent’anni dopo lo stato maggiore di quel partito ancora a litigare sempre e solo su Silvio Berlusconi...

Da - http://lastampa.it/2014/01/20/cultura/opinioni/editoriali/il-cavaliere-eterno-tarlo-dei-democratici-7E9v7ErMpiM5F0Jb4puPNJ/pagina.html
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« Risposta #241 inserito:: Gennaio 31, 2014, 12:03:04 am »

Cronache
30/01/2014 - colloquio

Renzi: “Hanno perso la testa Squadristi da codice penale”
Il leader Pd contro Grillo: “L’attacco al Presidente è una vigliaccata”

Federico Geremicca
Roma

Il commento è secco, lapidario, privo di fronzoli e di retorica. Dice Matteo Renzi: «Non servono giri di parole per dire quel che il Movimento Cinque Stelle sta mettendo in scena alla Camera: roba da squadristi, al limite - se non oltre - del codice penale. E quanto all’atto d’accusa contro Napolitano, spero che nessuno si lasci ingannare: non c’entrano niente la voglia di cambiamento, la Costituzione e quelle balle lì. 

Siamo di fronte ad una strategia lucida ma disperata: tutta studiata a tavolino».

Le voci degli altri passeggeri e il rumore di fondo del treno col quale Matteo Renzi sta tornando a Firenze, non ostacolano la comprensione né del ragionamento del leader democratico né il suo umore. È quasi ora di pranzo e il sindaco-segretario non ha difficoltà a spiegare quel che pensa intorno a ciò che sta accadendo. Al centro del suo ragionamento c’è Beppe Grillo. I due, infatti, ormai si considerano reciprocamente il «nemico numero uno»: e non è difficile ipotizzare che è proprio dall’esito del loro duello che dipenderanno tante cose...

«La verità è che gli stiamo tagliando l’erba sotto i piedi - dice Renzi - smontando uno a uno tutti i suoi soliti e triti argomenti. La riforma della legge elettorale, l’abolizione del Senato come Camera elettiva, la cancellazione delle Province, il taglio al finanziamento dei partiti e la revisione del Titolo V... Dalla politica arrivano finalmente risposte, Beppe Grillo non sa come reagire e perde la testa. È per questo che cerca la rissa, la butta in caciara e arriva addirittura a proporre l’impeachment di Napolitano, al quale siamo stati noi a chiedere di restare. Ma vedrete che quest’ultima mossa gli si ritorcerà contro e gli creerà problemi perfino nei suoi gruppi parlamentari».

Renzi contro Grillo, e viceversa. Nel corso del colloquio il leader democratico tornerà spesso sul punto, ma l’avvio non può che essere per Napolitano. «Una cosa senza senso, l’attacco al presidente - dice -. Una vigliaccata. Quando ha ceduto alle richieste di ricandidatura, la scommessa del Capo dello Stato era proprio sulle riforme: è per questo che ha accettato di restare. Parliamo delle stesse riforme che Grillo invoca a gran voce e che ora - invece - vuole fermare. Capisco bene che i primi mesi di questa legislatura siano stati comodi per lui, con la politica bloccata e incapace di dare risposte: ha potuto approfittarne. Ma credo che ora abbia capito che la musica è totalmente cambiata e che andare avanti con la propaganda non può pagare».

L’avvento di Renzi alla segreteria, da solo, non sarebbe bastato; c’è voluto quello che il leader Pd considera un atto di coerenza e di coraggio: l’intesa con Berlusconi per avviare le riforme. È questo che ha sbloccato la situazione; ed è questo che starebbe creando nervosismi e problemi al movimento del comico genovese. «Siamo a un passo da una legge che non è la migliore possibile, che abbiamo provato e proveremo a migliorare - annota Renzi - ma che comunque assicura quel che il Paese chiedeva: governabilità e difesa del bipolarismo. E non è questione solo di legge elettorale: la politica comincia a dare risposte anche sulle altre riforme e se continua così, se ce la facciamo, per Grillo si fa notte...».

L’attacco a Napolitano, dunque, sarebbe più o meno questo: un moltiplicatore di tensioni per sviare l’attenzione da quel che sta accadendo. «Vede, Napolitano va difeso anche per questo: per il fatto che la difesa della sua persona e del suo ruolo, oggi coincide con la difesa delle istituzioni. Impedire a deputati di accedere alle commissioni per votare e lavorare è squadrismo; insultare con volgarità inaccettabili le nostre deputate è una vergogna, e c’è da ricorrere al codice penale. I Cinque Stelle hanno capito che la musica è cambiata e reagiscono così. Del resto, non c’è chi non veda la differenza con un anno fa».

Già, l’anno trascorso. Di questi tempi, dodici mesi fa, si era nel pieno di una campagna elettorale che pareva scontata e che poi, invece, è andata com’è andata... «Lo ricorderete anche voi, no? Un anno fa - spiega Renzi - Beppe Grillo parlava di futuro e di cambiamento, di rinnovamento della Repubblica e di speranze per i giovani: con una campagna aggressiva ma allegra, con toni certo duri ma ancora speranzosi, ha quasi vinto le elezioni... E ascoltatelo ora, invece: solo discorsi rabbiosi, bui, minacciosi, disperati. Semina odio. Ma il Paese non ne può più di tutto questo: vuole voltare pagina e tornare, finalmente, a guardare avanti».

E può farlo - è il ragionamento nemmeno tanto sottinteso - perché qualcosa si è messo in movimento. «A quest’atteggiamento rabbioso fa da contraltare - insiste Renzi - l’idea che con un orizzonte serio e con la calma necessaria, quel che deve esser fatto sarà fatto. È per questo che, al di là dell’indignazione, non siamo preoccupati da quel che dice e dalle assurde iniziative che mette in campo. Noi abbiamo un’altra idea di quel che serve al Paese, dopo anni di paralisi e di risse: e quel che serve, noi lo faremo...».

Ci vorrà calma e tempo, Renzi lo sa. Ma si dice pronto: pronto a lavorare ed a smentire il sospetto che lo circonda, e cioè che voglia solo e semplicemente le elezioni anticipate. «Non so più cosa dire per cancellare questa sciocchezza - si lamenta mentre il treno entra in stazione -. Ma vorrei che almeno si riconoscesse che sto facendo solo e semplicemente quel che avevo sempre detto... Il governo ha i suoi problemi, certo, ma non me ne occupo perché a questo pensa Letta. Ai nostri deputati e ai nostri senatori, invece, vorrei mandare un messaggio chiaro: ci sono molte cose da fare, vanno fatte e le faremo. Occorrerà tempo: ed è per questo che dico che la legislatura può arrivare fino al 2018 e che non c’è nessun motivo perché loro si debbano sentire dei dead man walking...». 

Da - http://lastampa.it/2014/01/30/italia/cronache/renzi-hanno-perso-la-testa-squadristi-da-codice-penale-K8uLROBA8saBNjZQoSYrvL/pagina.html?ult=1
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« Risposta #242 inserito:: Febbraio 03, 2014, 05:01:49 pm »

Politica
30/01/2014 - colloquio

L’attacco di Renzi ai grillini “Ora hanno perso la testa Squadristi da codice penale”
Il leader Pd contro Grillo: “L’attacco al Presidente è una vigliaccata”


Federico Geremicca
Roma

Il commento è secco, lapidario, privo di fronzoli e di retorica. Dice Matteo Renzi: «Non servono giri di parole per dire quel che il Movimento Cinque Stelle sta mettendo in scena alla Camera: roba da squadristi, al limite - se non oltre - del codice penale. E quanto all’atto d’accusa contro Napolitano, spero che nessuno si lasci ingannare: non c’entrano niente la voglia di cambiamento, la Costituzione e quelle balle lì. 

Siamo di fronte ad una strategia lucida ma disperata: tutta studiata a tavolino».

Le voci degli altri passeggeri e il rumore di fondo del treno col quale Matteo Renzi sta tornando a Firenze, non ostacolano la comprensione né del ragionamento del leader democratico né il suo umore. È quasi ora di pranzo e il sindaco-segretario non ha difficoltà a spiegare quel che pensa intorno a ciò che sta accadendo. Al centro del suo ragionamento c’è Beppe Grillo. I due, infatti, ormai si considerano reciprocamente il «nemico numero uno»: e non è difficile ipotizzare che è proprio dall’esito del loro duello che dipenderanno tante cose...

«La verità è che gli stiamo tagliando l’erba sotto i piedi - dice Renzi - smontando uno a uno tutti i suoi soliti e triti argomenti. La riforma della legge elettorale, l’abolizione del Senato come Camera elettiva, la cancellazione delle Province, il taglio al finanziamento dei partiti e la revisione del Titolo V... Dalla politica arrivano finalmente risposte, Beppe Grillo non sa come reagire e perde la testa. È per questo che cerca la rissa, la butta in caciara e arriva addirittura a proporre l’impeachment di Napolitano, al quale siamo stati noi a chiedere di restare. Ma vedrete che quest’ultima mossa gli si ritorcerà contro e gli creerà problemi perfino nei suoi gruppi parlamentari».

Renzi contro Grillo, e viceversa. Nel corso del colloquio il leader democratico tornerà spesso sul punto, ma l’avvio non può che essere per Napolitano. «Una cosa senza senso, l’attacco al presidente - dice -. Una vigliaccata. Quando ha ceduto alle richieste di ricandidatura, la scommessa del Capo dello Stato era proprio sulle riforme: è per questo che ha accettato di restare. Parliamo delle stesse riforme che Grillo invoca a gran voce e che ora - invece - vuole fermare. Capisco bene che i primi mesi di questa legislatura siano stati comodi per lui, con la politica bloccata e incapace di dare risposte: ha potuto approfittarne. Ma credo che ora abbia capito che la musica è totalmente cambiata e che andare avanti con la propaganda non può pagare».

L’avvento di Renzi alla segreteria, da solo, non sarebbe bastato; c’è voluto quello che il leader Pd considera un atto di coerenza e di coraggio: l’intesa con Berlusconi per avviare le riforme. È questo che ha sbloccato la situazione; ed è questo che starebbe creando nervosismi e problemi al movimento del comico genovese. «Siamo a un passo da una legge che non è la migliore possibile, che abbiamo provato e proveremo a migliorare - annota Renzi - ma che comunque assicura quel che il Paese chiedeva: governabilità e difesa del bipolarismo. E non è questione solo di legge elettorale: la politica comincia a dare risposte anche sulle altre riforme e se continua così, se ce la facciamo, per Grillo si fa notte...».

L’attacco a Napolitano, dunque, sarebbe più o meno questo: un moltiplicatore di tensioni per sviare l’attenzione da quel che sta accadendo. «Vede, Napolitano va difeso anche per questo: per il fatto che la difesa della sua persona e del suo ruolo, oggi coincide con la difesa delle istituzioni. Impedire a deputati di accedere alle commissioni per votare e lavorare è squadrismo; insultare con volgarità inaccettabili le nostre deputate è una vergogna, e c’è da ricorrere al codice penale. I Cinque Stelle hanno capito che la musica è cambiata e reagiscono così. Del resto, non c’è chi non veda la differenza con un anno fa».

Già, l’anno trascorso. Di questi tempi, dodici mesi fa, si era nel pieno di una campagna elettorale che pareva scontata e che poi, invece, è andata com’è andata... «Lo ricorderete anche voi, no? Un anno fa - spiega Renzi - Beppe Grillo parlava di futuro e di cambiamento, di rinnovamento della Repubblica e di speranze per i giovani: con una campagna aggressiva ma allegra, con toni certo duri ma ancora speranzosi, ha quasi vinto le elezioni... E ascoltatelo ora, invece: solo discorsi rabbiosi, bui, minacciosi, disperati. Semina odio. Ma il Paese non ne può più di tutto questo: vuole voltare pagina e tornare, finalmente, a guardare avanti».

E può farlo - è il ragionamento nemmeno tanto sottinteso - perché qualcosa si è messo in movimento. «A quest’atteggiamento rabbioso fa da contraltare - insiste Renzi - l’idea che con un orizzonte serio e con la calma necessaria, quel che deve esser fatto sarà fatto. È per questo che, al di là dell’indignazione, non siamo preoccupati da quel che dice e dalle assurde iniziative che mette in campo. Noi abbiamo un’altra idea di quel che serve al Paese, dopo anni di paralisi e di risse: e quel che serve, noi lo faremo...».

Ci vorrà calma e tempo, Renzi lo sa. Ma si dice pronto: pronto a lavorare ed a smentire il sospetto che lo circonda, e cioè che voglia solo e semplicemente le elezioni anticipate. «Non so più cosa dire per cancellare questa sciocchezza - si lamenta mentre il treno entra in stazione -. Ma vorrei che almeno si riconoscesse che sto facendo solo e semplicemente quel che avevo sempre detto... Il governo ha i suoi problemi, certo, ma non me ne occupo perché a questo pensa Letta. Ai nostri deputati e ai nostri senatori, invece, vorrei mandare un messaggio chiaro: ci sono molte cose da fare, vanno fatte e le faremo. Occorrerà tempo: ed è per questo che dico che la legislatura può arrivare fino al 2018 e che non c’è nessun motivo perché loro si debbano sentire dei dead man walking...». 

Da - http://lastampa.it/2014/01/30/italia/politica/renzi-hanno-perso-la-testa-squadristi-da-codice-penale-K8uLROBA8saBNjZQoSYrvL/pagina.html
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« Risposta #243 inserito:: Febbraio 06, 2014, 04:39:54 pm »

Politica
06/02/2014 - Il segretario

Renzi tentato dalla possibilità della staffetta
Pronto a dire sì solo se lo chiedesse il Colle

Federico Geremicca
Roma

Il dado è quasi tratto, i giochi potrebbero essere vicini alla conclusione e la notizia – per dir così – non è il pressing su Matteo Renzi affinché accetti di assumere la guida del governo, quanto il fatto che il leader del Pd ha ormai deciso: se si creassero le condizioni e gli venisse chiesto, è pronto ad assumere l’incarico che oggi è di Enrico Letta. La decisione è presa. E non si tratta di una svolta improvvisa. 

Ma del risultato di un paio di settimane di incontri e riflessioni: ragionamenti che, messi in fila, hanno convinto il sindaco-segretario a cambiar linea e ad accettare un’ipotesi - la cosiddetta “staffetta” - fino a ieri decisamente esclusa. 

Più del pressing (spesso interessato) esercitato su di lui ormai da tempo, in questo cambio d’opinione hanno pesato il concatenarsi degli avvenimenti, e alcuni fatti assai concreti. Il primo: il lento ma progressivo svanire della possibilità di elezioni in primavera; il secondo: l’aver scommesso così tanto sul “pacchetto riforme” da non poterlo far finire in malora, pena un pesante contraccolpo (politico e di immagine); il terzo: quella sorta di terra bruciata, soprattutto, che circonda il governo-Letta - ormai un governo figlio di nessuno - che sta producendo un progressivo deterioramento del quadro, a tutto danno - secondo Renzi - proprio del Pd.

Fino ad ancora un mese fa, di fronte al possibile naufragio dell’esecutivo, per il sindaco-segretario l’ipotesi principale restava quella di nuove elezioni: da sempre la via dritta (e coerente col suo passato) per arrivare a Palazzo Chigi. Poi, come detto, alcune cose hanno cominciato a cambiare. In particolare, si è fatta pesante l’insistenza di chi - per una ragione o per l’altra - ha cominciato a premere per la “staffetta”. «Alfano ha bisogno di tempo e non vuole elezioni subito - ha annotato Renzi facendo il punto, qualche giorno fa, con i suoi più stretti collaboratori -. E’ per questo che si dice pronto a sostenere un mio governo».

Ad Alfano si è aggiunto, da un paio di settimane, Pier Ferdinando Casini, bisognoso di spazio e tempo per la ricollocazione politico-elettorale ormai avviata. Ed al pressing centrista si è via via sommata la spinta (inconfessabile) della minoranza pd, che certo non si strapperebbe le vesti di fronte ad uno trasloco del segretario da Largo del Nazareno a Palazzo Chigi. Ieri Gianni Cuperlo ha lungamente incontrato Renzi e alla fine ha spiegato: «Più che di un rimpasto, oggi si dovrebbe parlare della ripartenza e di un nuovo governo». Se a questi movimenti sotterranei si aggiungono le critiche esplicite e sempre più frequenti mosse all’esecutivo da Giorgio Squinzi (che proprio stamane è a Firenze, a convegno assieme a Renzi...) il quadro si fa incontestabilmente chiaro.

Sul cambio di linea del giovane leader democratico hanno pesato, naturalmente, anche ragionamenti fatti sulle alternative rispetto all’ipotesi-”staffetta”. Col governo in queste condizioni, il rischio per il Pd - a partire dal voto della Sardegna - potrebbe esser quello di passare da un rovescio elettorale all’altro (l’Abruzzo, le europee...) entrando nel tunnel nero di un inarrestabile logoramento. In più, se il cambio Letta-Renzi avvenisse in tempi brevi - come molti auspicano - l’ipotesi di guidare il governo durante il semestre europeo di presidenza italiana sarebbe assai allettante per il leader pd, perchè gli permetterebbe di farsi meglio conoscere all’estero e di entrare sul palcoscenico internazionale dalla porta principale.

E’ per tutte queste ragioni che il termine “staffetta” da qualche giorno risuona sempre più di frequente nelle riunioni ristrette dello stato maggiore renziano. La parola d’ordine, naturalmente, è quella solita in passaggi così delicati: prudenza. Prudenza, sì: anche perchè resta decisiva l’opinione di chi è il vero titolare delle decisioni in questa materia... Infatti, Giorgio Napolitano - a quanto è dato sapere - potrebbe confermarsi scettico (se non decisamente contrario) di fronte a ogni ipotesi di sommovimenti, continuando a tener d’occhio le sue due stelle polari: la stabilità di governo e il processo riformatore.

Ieri, dopo un colloquio tra Napolitano e Letta - e certo non a caso - il Quirinale ha fatto sapere che il Capo dello Stato ha ribadito al premier «apprezzamento per la continuità e i nuovi sviluppi dell’azione di governo». E’ a Napolitano, come è chiaro, che spetterebbe l’ultima parola su rimpasti, “staffette” e crisi: ed è per questo che molti sperano che, in presenza di sfilacciamenti e fibrillazioni crescenti, il Presidente della Repubblica maturi la convinzione che sia proprio la presenza in carica di questo esecutivo a mettere a rischio tanto la stabilità quanto il varo delle riforme. E’ una speranza, nient’affatto una certezza. Ma è chiaro che se diventasse tale, per il Letta Uno si potrebbe cominciare a intonare un triste de profundis...

Da - http://lastampa.it/2014/02/06/italia/politica/renzi-tentato-dalla-possibilit-della-staffetta-7BmxIMM318XcmtYRmqH3KJ/pagina.html
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« Risposta #244 inserito:: Febbraio 07, 2014, 11:32:00 pm »

Editoriali
07/02/2014 - analisi

La direzione surreale dell’eterna melina stile Dc
I duellanti si passano la palla, e non decidono
Renzi: se Letta ritiene Governo ok, si va avanti


Federico Geremicca
Roma

A chi è un po’ avanti con gli anni, per qualche momento è sembrato di assistere (in streaming) ad una riunione della Direzione della fu Dc: giri di parole spesso incomprensibili, avvertimenti sottotraccia, minacce (politiche) più o meno velate.

E - soprattutto - una sorta di surreale parlar d’altro. Strano, certo. Ma non stranissimo, visto che a incrociare le lame - come accade ormai da un paio di mesi- erano due giovani ex o post-dc: e cioè Matteo Renzi ed Enrico Letta.

Oggetto del prudente contendere (qualche stoccata è stata tirata giusto nel finale) il rapporto tra il Pd e il governo e - dunque - la sorte di quest’ultimo. Detto così, non significa niente; ma in realtà, si tratta della questione dalla quale dipendono i possibili sviluppi di cui si scrive da settimane: la durata dell’esecutivo, il rischio di elezioni, l’ipotesi di una “staffetta” tra Letta e Renzi, il destino del processo riformatore (a cominciare dalla legge elettorale).

Tanto Renzi quanto Letta hanno deciso di affrontare la questione alla maniera dei loro antichi “maestri politici”: cioè girando intorno al problema, sperando che fosse l’avversario a scoprire le carte. “Dica il Pd se questo governo gli sta bene oppure no”, hanno chiesto molti in Direzione, tentando di far uscire Renzi allo scoperto; “Ci dica Letta se ritiene che il governo possa andare avanti così”, ha replicato Renzi, che ha irrigidito i toni solo nella replica finale: «Io sto allo schema dell’aprile 2013: si diceva 18 mesi, ne mancano otto. Si vuol cambiare schema? Non ho nessun problema... Se vogliamo giocare con un altro schema o confermare l’attuale o dire che il mio schema non va bene e si va a votare, credo sia opportuno inserire nella Direzione del 20 il tema di cosa pensa il Pd del governo...».

Dunque, tutto sospeso per ancora due settimane. E il risultato di questa sospensione non può che essere il perdurare di una situazione di stallo che, a questo punto, rischia di lasciar sviluppare in maniera incontrollata le mille tensioni in campo ed un processo disgregatore che pare inarrestabile. D’altra parte, quando il maggior partito di governo non esercita il ruolo che gli competerebbe - e cioè il far da propellente per l’esecutivo- non è che ci si possa aspettare (soprattutto in una situazione come quella attuale) che ci pensino altri.... Anzi.

Quando la cortina fumogena creata ieri dai due giovani ex o post dc si sarà dissolta, forse gli stessi protagonisti realizzeranno che lo stallo e la paralisi non fanno bene certo al Paese: ma nemmeno al Pd e al governo, e dunque a loro - Letta e Renzi - che ne hanno la guida e la responsabilità. Per ora, questa consapevolezza è apparsa più presente in altri - da Cuperlo a Bettini - che nei due protagonisti. È possibile, naturalmente, che qualcosa cambi: ma per ora non se ne vedono ancora i segni...

In realtà, la surreale Direzione pd di ieri ha avuto il corso che ha avuto anche perchè - per una volta - sulla questione governo Renzi ha deciso di non fare il Renzi (cioè: avanti tutta e chi non è con me è contro di me) sperando che fosse il presidente del Consiglio a proporre il tema di un esecutivo che - certo non solo per sua responsabilità - non pare più all’altezza dei compiti inizialmente affidatigli. Peccato che Letta abbia sapientemente evitato di addentrarsi su questo terreno, limitandosi a ripetere che non intende restare a palazzo Chigi a ogni costo e tantomeno “galleggiare”.

Il risultato di una tale dialettica non poteva che essere un rinvio della resa dei conti e il perdurare di uno stallo che rischia di produrre i suoi (negativi) effetti - per il Pd -nelle non più lontane e già programmate tornate elettorali: tra dieci giorni la Sardegna, poi le europee e il voto in Abruzzo. Letta lo sa, e Renzi anche. Così come sanno che se il loro paralizzante duello dovesse continuare sarebbe difficile - per entrambi - evitare di finire sul banco degli imputati per sconfitte elettorali che ancora un mese fa nessuno poteva prevedere... 

Da - http://lastampa.it/2014/02/07/cultura/opinioni/editoriali/la-direzione-surreale-delleterna-melina-stile-dc-XHadoNyNd92Efdo9oTkV9I/pagina.html
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« Risposta #245 inserito:: Febbraio 14, 2014, 06:22:57 pm »

Politica
12/02/2014

Renzi va allo scontro
Ha deciso di tentare il tutto per tutto
Il segretario, calcolati pro e contro, ha ormai rotto gli indugi


Federico Geremicca
Roma

Ora che forse si può, diciamoci la verità: non c’è nulla di più distante da una staffetta - concentrato di collaborazione e sincronia - dal durissimo scontro che starebbe per portare Matteo Renzi nelle stanze nobili di Palazzo Chigi al posto dell’«amico» Letta; del resto, non c’è nulla di più lontano da una sconfitta dal voto col quale il 2 dicembre 2012 il sindaco di Firenze fu battuto da Pier Luigi Bersani nelle primarie per la corsa a premier. La lunga corsa di Matteo Renzi, infatti, comincia da lì: da una vittoria di Pirro e da una sconfitta che sembrava oro.

Nessuno al momento può prevedere con certezza sviluppi ed epilogo di un violentissimo duello ancora tutt’altro che concluso. Ma se il cambio dovesse davvero avvenire, allora molti degli avversari passati e presenti del segretario Pd - a cominciare da Enrico Letta, naturalmente - dovrebbero interrogarsi sugli errori compiuti, a cominciare da quello che può esser considerato il loro «peccato capitale»: aver sottovalutato l’irruenza, la spregiudicatezza e lo stile politico - la «diversità», insomma - del giovane sindaco di Firenze. E non ci voleva molto, in verità, a capire che Renzi era come un alieno piombato giù da un altro pianeta: bastava averne seguito il percorso politico e aver ascoltato il discorso col quale - la sera del 2 dicembre, circondato da volontari e amici in lacrime - celebrò la sua stessa sconfitta.

«Non eravamo in campo per una battaglia di testimonianza: volevamo prendere in mano il governo del Paese e non ce l’abbiamo fatta - disse senza un filo di emozione -. La nostra scommessa non era l’ambizione di un ragazzetto... Siate orgogliosi di quello che avete fatto e non considerate quest’esperienza come la parola fine. Abbiamo dalla nostra tre cose: l’entusiasmo, il tempo e la libertà...». Nell’euforia della vittoria, il quartier generale del Pd immaginò che rottamatore e rottamazione fossero parole pronte per finire in archivio: qualche mese dopo, invece, «il ragazzetto» era di nuovo in campo per sbaragliare gli avversari e diventare segretario del Pd.

Possibile che quei momenti - quelli della sconfitta e poi quelli della vittoria - siano ripassati come fotogrammi di un film davanti agli occhi di Renzi lunedì sera quando, dopo la cena con Giorgio Napolitano, ha riunito pochi fedelissimi per fare il punto della situazione. Situazione difficile, se si guarda all’oggi e alla partita in divenire; ma addirittura terribile, da far tremare le vene ai polsi, se si guarda in avanti: e cioè agli impegni che attendono il governo, alle condizioni nelle quali quegli impegni dovranno essere affrontati e alla folla di nemici - vecchi e nuovi - pronti a render pan per focaccia ed a trasformare in un percorso di guerra il cammino dell’eventuale governo-Renzi.
Sono questioni che il leader Pd ha passato e ripassato in rassegna per giorni e giorni. Potremmo definirla la lista delle controindicazioni, cioè l’elenco di tutti i fattori che sconsiglierebbero un avvento alla guida del governo oggi: la situazione economica che continua a essere pesantissima; una maggioranza parlamentare che è quella che è, eterogenea, dipendente da Alfano e che certo non invita a sognare; l’obiezione, la circostanza - anzi - che il «campione delle primarie» arrivi al governo senza investitura popolare; e poi il rischio della «vendetta berlusconiana», che potrebbe portare in un vicolo cieco l’intero pacchetto di riforme da varare.

Tutto vero. Ma ai fedelissimi che lo stavano ad ascoltare Renzi ha elencato le ragioni che renderebbero inevitabile una sua ascesa a palazzo Chigi. Tutti pensano - ha spiegato il leader Pd - che questo governo ha ormai vita breve: tre, quattro mesi al massimo, dopo i quali sarebbe più difficile un rilancio e rischieremmo di tornare al voto con una legge proporzionale che magari ci costringerebbe di nuovo a larghe intese. Non solo. Da più parti - ha detto Renzi ai suoi - mi dicono di andare e giocare il tutto per tutto: da Alfano, Scelta civica e perfino dalla minoranza Pd mi arriva questa sollecitazione. Del resto, se vado scardino tutto, altro che cacciavite...

Nessuno dei presenti ha avuto il coraggio di chiedergli come era messa la faccenda con Letta. Ma Renzi non ha glissato: se hai fatto un governo di servizio e quelli che ti sostengono ti dicono spostati - ha spiegato loro - ti devi spostare. Non si va avanti a tutti i costi. Lo so che Enrico si sta posizionando nella parte di chi resiste, ma il suo governo ne ha combinata una al giorno... Ha rotto con Confindustria, con la Cgil, con l’opinione pubblica e perfino con i gruppi parlamentari. Napolitano - ha chiarito il leader pd - fa soltanto il suo lavoro da Presidente della Repubblica: ascolta i partiti e poi decide. Dobbiamo esser pronti - ha concluso - perchè tutto potrebbe accadere in poche ore.

Pochi dubbi, insomma, sul fatto che se il Capo dello Stato chiamasse lui non potrebbe che accettare. E quasi nessuna preoccupazione circa l’accusa più velenosa che potrebbero lanciargli contro nemici vecchi e nuovi: ecco l’uomo delle primarie che, come D’Alema, va al governo con la solita manovra di palazzo. «Questo è un altro film», ha spiegato Renzi ai suoi: Prodi fu votato da chi voleva il governo dell’Ulivo, Letta non lo ha votato nessuno. E io, comunque, ho appena vinto delle primarie col voto di due milioni di cittadini ed un programma di cose da fare...

Dunque, avanti tutta. Come sempre, avanti tutta. Del resto, conoscendo «il ragazzetto», nessuno poteva pensare che la sua corsa fosse finita con la conquista della segreteria Pd. Quell’incarico, proprio come la parola rimpasto, forse a Renzi provoca allergie e bolle... Era solo un passaggio, un trampolino verso altro. Qualcuno - D’Alema - l’aveva profetizzato: solo che qualcun altro, purtroppo per lui, non gli aveva creduto... 

Da - http://lastampa.it/2014/02/12/italia/politica/renzi-va-allo-scontro-ha-deciso-di-tentare-il-tutto-per-tutto-OmGiW2FixMyxEl6XRSv0vK/pagina.html
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« Risposta #246 inserito:: Febbraio 15, 2014, 10:27:35 am »

Politica
14/02/2014 - personaggio

L’alieno alla prova del nove “Un dovere il cambio radicale”
Renzi ha rottamato tutto ciò che ha incontrato sulla strada per Palazzo Chigi

Federico Geremicca
Roma

«Demolition man», lo definisce il Financial Times annunciando l’evento ai suoi lettori. «Il premier più giovane della storia repubblicana», battono le agenzie dando a volte per scontato quel che scontato ancora non è. 

Sono ore - insomma - in cui aggettivi, iperboli e metafore si sprecano, e lo si può capire: perchè a Palazzo Chigi - se poi avverrà davvero - sta atterrando un alieno. 

Un alieno nel modo di intendere la politica, nello stile con cui la pratica e nella filosofia che lo guida. Ieri in Direzione ha liquidato un governo con una relazione durata una ventina di minuti: un tempo che un segretario «normale» avrebbe impiegato per la sola introduzione. Ed una frase pronunciata davanti al gotha del suo partito è stata rivelatrice - per chi ancora ne avesse bisogno - del suo modo di affrontare le questioni: «Sapeste le mail che ho ricevuto con la preoccupata raccomandazione: “Matteo stai attento, Matteo rischi di bruciarti”. Ne capisco il senso... Ma se non avessi rischiato, oggi sarei ancora a fare il secondo mandato alla Provincia di Firenze...».

È anche per questo modo di parlare e di intendere la politica e forse la vita - il modo, per dirla semplice, di uno che non ha ancora quarant’anni - che molte delle obiezioni che gli sono state e gli vengono tuttora mosse - circa una certa carenza di bon ton politico, per esempio - Matteo Renzi non è che non le condivida: è che proprio non le capisce. Si pensi alla parola - «rottamazione» - che gli ha spianato una strada che era tutta in salita, facendo da passe-partout per arrivare prima alla segreteria Pd e poi - se accadrà - a Palazzo Chigi: dalla politica «tradizionale» sono piovute critiche circa la scarsa eleganza del termine, la sua rozzezza e perfino la sua violenza. Nessuno - o pochi - che abbia guardato alla sostanza: e nessuno, soprattutto, che se ne sia preoccupato, cogliendo in quel termine la sintonia con lo stato d’animo del Paese (e del Pd) e la sua dirompente attualità.

Oggi forse si può dire che l’irresistibile cavalcata del giovane sindaco di Firenze sarebbe stata meno irresistibile se fosse stata avversata con argomenti diversi da quelli attinti da un armamentario polemico ormai usurato. Che forza ha, per esempio, contestare al leader che meno di tutti ha paura del voto popolare (elezioni o primarie che siano) di arrivare a palazzo Chigi - se ci arriverà - attraverso una «manovra di Palazzo»? E che credibilità può avere un tale argomento polemico, quando la quasi totalità di quelli che hanno detto sì ad un suo possibile governo lo hanno fatto proprio per paura di andare al voto?

Ma tutto questo riguarda il passato, perché oggi il grande (e preoccupante) interrogativo è un altro: che cosa c’è da attendersi da un Presidente del Consiglio - se lo diverrà - che non è mai stato nemmeno ministro, che è fuori dal Parlamento e che non ha alcuna esperienza internazionale? Per ora è possibile una sola risposta, sulla base del percorso compiuto fin qui da Matteo Renzi: c’è da attendersi delle sorprese, questo è certo. Se poi si tratterà di sorprese che faranno bene al Paese, è un altro discorso: e non ci vorrà certo molto a capire che segno avranno.

A cominciare, naturalmente, dalla squadra di governo che sceglierà. L’attesa di un visibile cambiamento, inizia da lì: e sarebbe un primo e grave passo falso tradire le aspettative provando a blindare il suo esecutivo - per esempio - con nomi e scelte che rassicurino più i partiti che le ampie fasce di opinione pubblica che guardano a Renzi con speranza e simpatia. E per quanto si sia abituati a considerare i programmi di governo come impegni che raramente vengono rispettati, anche il percorso programmatico che proporrà avrà un grande peso nel valutare mosse e intenzioni del giovane leader democratico.

È presumibile che Matteo Renzi abbia pensato per tempo ai passi da muovere, e in che direzione. Ed è facile immaginare che quei passi possano essere condizionati dalla presenza al governo di una forza come quella di Angelino Alfano che - schiettezza per schiettezza - ha già fatto sapere, per esempio, che «se propone il matrimonio gay ce ne andiamo a gambe levate». Trovare un equilibrio tra cambiamento e interessi dei partiti che sostengono il possibile esecutivo, non sarà facile: ma è agli atti - e gli sarà ricordato - l’annuncio di ieri in Direzione circa «il dovere di un cambio radicale» ...

Comunque sia, la corsa di Matteo Renzi forse è finita: in un tempo che per i rituali della politica italiana è un niente, un amen, il rottamatore ha rottamato tutto quel che ha incontrato sulla strada che separava Palazzo Vecchio e Palazzo Chigi. I suoi nemici, fuori e dentro il Pd, hanno tentato di fermarlo con gli argomenti e i metodi di una politica tradizionale che già il travolgente successo di Beppe Grillo aveva certificato come inefficaci, usurati, finiti. Alcuni non l’hanno capito, altri hanno fatto finta di non capirlo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E non è detto che per il Paese sia un risultato da maledire. 

Da - http://lastampa.it/2014/02/14/italia/politica/lalieno-alla-prova-del-nove-un-dovere-il-cambio-radicale-MoabubtmZMQRTjo7OmoaVN/pagina.html
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« Risposta #247 inserito:: Febbraio 22, 2014, 08:14:52 am »

Articolo tratto dall'edizione in edicola il giorno 22/02/2014.
L’uomo solo ora è davvero al comando

I più delusi dicono che è stato quello - quel tweet scritto in un salone del Quirinale - il canto del cigno del «renzismo», l’avvio della metamorfosi, la pietra tombale sulla Leopolda e sul suo senso, coraggio, sfrontatezza, avanti sempre e senza paura: «Arrivo, arrivo! La volta buona». Quelli che continuano a crederci, invece, elencano le novità e si dicono felici: il governo più snello dal 1947, il premier più giovane della storia repubblicana, la prima volta di una donna al ministero della Difesa, la prima volta di un quarantenne (e donna) al ministero degli Esteri, una trentatreenne a coordinare il delicato lavoro sulle riforme...

Secondo una vecchia regola - e non giureremmo sbagliata, anche se vecchia - quando bisogna elencare e spiegare novità e successi, vuol dire che non sono (sia le novità che i successi) così evidenti e indiscutibili da imporsi da soli. È vero. E diventa a maggior ragione vero, quando alcuni successi non possono esser eccessivamente sbandierati pena la fine di un governo appena nato: ci riferiamo al ridimensionamento del ruolo del leader Ncd, Alfano, che perde la carica di vicepremier. 

Così che sia possibile dire - a differenza del governo Letta-Alfano - che questo è «il governo di Matteo Renzi», punto e basta. 

Naturalmente, questo non sarà sufficiente a mettere al riparo il neo-premier dalla constatazione che, pur avendo pesantemente criticato Alfano per la gestione del caso Shalabayeva, lo ha lasciato al ministero dell’Interno. E tantomeno dall’accusa di averlo confermato al governo dopo aver detto «non voglio assolutamente essere accomunato a lui... io ho ricevuto un mandato popolare, lui è stato portato al governo da Berlusconi quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze». Ma sono cose che possono capitare, nella vita: soprattutto quando si vuole assolutamente fare un governo, e per farlo i voti indispensabili li detiene proprio lui, Alfano, appunto... 

Il «renzismo» che si fa governo, insomma, resta una cosa tutta da scoprire: fatte le debite differenze (per alcuni indebite: e già questo è un problema...) il fulmineo avvento di Matteo Renzi somiglia alla strepitosa ascesa di Silvio Berlusconi nel 1994. Anche allora - in fondo come oggi - la «novità» fu imposta dal calo verticale di credibilità e dalla travolgente crisi dei partiti politici e dei soliti noti: una circostanza che rende solitamente possibile (o addirittura necessario) un ricambio radicale, ma non garantisce affatto sulla bontà della «rivoluzione» che va in campo. Certo, il precedente non è incoraggiante: ma le differenze tra il Cavaliere e il rottamatore sono talmente tante che è largamente possibile immaginare un epilogo del tutto differente.

Si era detto - a maggioranza politica invariata, e nelle ore in cui si immaginava una squadra di governo solo parzialmente rimpastata - che tutto sarebbe dipeso da Renzi e basta, dalla sua capacità di trasmettere energia senza perdere la propria. E che questo era troppo poco. Ora, se è vero che il nuovo esecutivo è invece assai diverso - e in ruoli chiave - da quello precedente, resta comunque confermata quell’affermazione. E la domanda, dunque, è: basterà Renzi, basterà l’uomo solo al comando, a cambiare verso all’Italia? La risposta non è semplice: ma come spesso accade quando si parla di futuro, per interpretarlo e prevederlo si può ricorrere al passato...

Il passato - recente, in questo caso - ci dice che un Pd sostanzialmente immutato nella sua linea, nel suo profilo e nella sua organizzazione, è stato letteralmente stravolto dall’arrivo alla segreteria di Matteo Renzi: in un mese ha ottenuto - attraverso un pur discusso accordo con Silvio Berlusconi - l’arrivo in aula di una legge elettorale attesa da anni; e in un altro mese ha liquidato il governo Letta con una disinvoltura e una rapidità che non ha - di fatto - precedenti. Ma quello, si potrebbe dire, era ancora il «Renzi di lotta», mentre gli interrogativi di oggi riguardano il «Renzi di governo». Distruggere - è vero - è assai più facile che costruire o ricostruire. Ma la chance di provarci, il neo premier l’ha conquistata sul campo: e che non sbagli, adesso, non è più speranza che riguardi soltanto lui... 

Federico Geremicca

Da - http://www.lastampa.it/2014/02/22/cultura/opinioni/editoriali/luomo-solo-ora-davvero-al-comando-yeslqWGTnHi4PIZzlNwYCJ/premium.html
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« Risposta #248 inserito:: Febbraio 24, 2014, 12:02:08 am »

Politica

Articolo tratto dall'edizione in edicola il giorno 23/02/2014.
“La ricreazione è finita” L’ora della verità per Matteo subito al lavoro sull’economia
In attesa di Padoan, Renzi ha messo mano con Delrio ai dossief fiscali
Correre, correre, correre. La cosiddetta «energia renziana» tracima in questo freddo sabato dell’insediamento e contagia chiunque incontri sul suo cammino. 

«Al primo consiglio dei ministri spero di portare il piano casa», dice Maurizio Lupi a giuramento appena compiuto. «Siamo una squadra che ha già cominciato a lavorare», assicura Graziano Delrio. «Deve ribaltare i tavoli, e farà in fretta», aggiunge Oscar Farinetti. La velocità, dunque, si conferma la cifra di un governo che - per il resto - resta tutto da scoprire: se basterà lo vedremo, ma che sia così è fuori discussione. 

Quirinale, foto di rito dopo il giuramento. Renzi si avvicina ad Alfano: «Andiamo, forza, c’è da lavorare». Palazzo Chigi, avvio del primo consiglio dei ministri, Renzi prende la parola: «La ricreazione è finita». E prima del giuramento aveva già twittato «Compito tosto e difficile, ma siamo l’Italia, ce la faremo». I tweet, giusto, che in questa giornata d’esordio aggiungono notizia a notizia, e anche un po’ di confusione. Dopo Renzi, infatti, twitta Letta: «Passaggio di consegne a Palazzo Chigi, l’ultimo di 300 giorni tutti difficili». Poi si aggiunge perfino il Papa, che pare consolare - nella confusione di cui si diceva - il premier uscente: «Non perdiamo mai la speranza. Dio ci ama, anche con i nostri sbagli e peccati...».

La cornice, insomma, è chiara: ed è segnata da quello che si è soliti definire l’ottimismo della volontà. Il profilo è quello: «marinettiano». Velocità, coraggio e fiducia nel futuro. È il verbo che Matteo Renzi ha portato il giro per il Paese per un anno intero, fino a vincere le primarie per la guida del Pd, nel dicembre scorso. Velocità, coraggio e fiducia nel futuro: ottimi per arrivare fin davanti al portone di Palazzo Chigi ma difficili da praticare - e forse di per sé insufficienti - una volta entrati dentro quel palazzo e prese le leve del comando. Ma Renzi non intende cambiare stile, fedele ad un clichè - quello dell’improvvisatore, del leader istintivo - che tanto successo e popolarità gli ha portato.

Dunque, per esempio, inutile stare ad arzigogolare intorno al discorso che starebbe preparando per il voto di fiducia in Parlamento, domani e poi dopodomani. Intanto perchè non lo sta preparando affatto, e successivamente perché se anche lo preparasse non è detto che poi lo leggerà. Indimenticabile, per esempio, resterà lo stupore degli uomini del suo staff nel giorno del discorso col quale a Bari aprì la campagna delle primarie per la guida del Pd (quello, per intenderci, col quale attaccò frontalmente Napolitano per aver suggerito al Parlamento un provvedimento di amnistia): ci avevano lavorato in tre, Renzi apprezzò gli appunti e il testo fornito, poi salì sul palco e parlò a braccio di quel che gli pareva.

Lo stesso vale per i programmi e le cose da fare subito, dove per subito si intende subito e non entro i soliti e famosi cento giorni. Renzi ha chiaro che la prima leva da azionare è quella dell’economia e in attesa di un primo confronto con Pier Carlo Padoan (rientrato a Roma ieri sera) ha già valutato con Graziano Delrio e gli uomini dello staff un intervento immediato sull’Irap ed una qualche forma di sostegno alle fasce più povere. Soldi in cassa ce n’è poco o niente e dunque il problema si confermerà lo stesso che ha frenato i governi di Mario Monti prima ed Enrico Letta poi: reperire da qualche parte le risorse necessarie.

Ma la prima giornata da premier in carica è filata via veloce - frenetica, anzi - anche grazie a qualche momento di quelli che fino a ieri non immaginavi, e quando arrivano ti lasciano un po’ così. Il telegramma di Vladimir Putin, la telefonata di François Hollande (che lo ha subito invitato a Parigi per far fronte comune in Europa) e i complimenti di Barack Obama. È un capitolo - il cosiddetto fronte estero - importante e delicato: da ieri alla Farnesina siede una ministra giovane e nuova di zecca per l’incarico, e tra qualche mese l’Italia avvierà il suo semestre di presidenza europea. L’occasione è grande, ma i rischi di sbagliare non lo sono certo di meno...

Nel tardo pomeriggio la partenza verso casa, a Pontassieve. Con lui la moglie Agnese e i tre figli vestiti di bianco, di rosso e di verde. Loro resteranno su, in Toscana: per ora nessun trasferimento in vista. Chi si trasferirà - invece - è lui, il premier. Addio al solito albergo romano, vivrà negli appartamenti di Palazzo Chigi (usati solo da Prodi e Monti, prima di lui). Una scelta forse inattesa: non è la prima e sicuramente non sarà l’ultima... 
Federico Geremicca

Da - http://lastampa.it/2014/02/23/italia/politica/velocit-coraggio-e-fiducia-il-premier-porta-il-suo-stile-allinterno-del-palazzo-4mF0XnrvrKPyvIDINoE4RM/premium.html
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« Risposta #249 inserito:: Febbraio 26, 2014, 05:59:32 pm »

Articolo tratto dall'edizione in edicola il giorno 25/02/2014.
Uno stile ibrido e troppo irrituale Al premier è mancata la forza
Renzi ha dato indicazioni vaghe sul suo programma

Il coraggio è sempre lì, intatto, come nei giorni d’avvio della sua lunga cavalcata: perché ci vuole coraggio, questo è certo, per andare in Senato a dire di sperare che sia l’ultima volta che Palazzo Madama vota una fiducia; e altrettanto, o forse di più, ne serve per citare Gigliola Cinquetti dimenticando, però, un qualunque riferimento (e forse è la prima volta che accade nella storia repubblicana) al presidente della Repubblica citato solo nella replica. Ma Matteo Renzi - ormai si sa - è così: irrituale, sorprendente e mai uguale.

E sorprendente, in effetti, il neo-premier lo è stato anche ieri, con un discorso perennemente in bilico tra il classico vorrei ma non posso e un inedito vorrei ma non so: una sorta di vorrei dirvi che se sono qui è per il discredito nel quale avete precipitato Paese e istituzioni, ma non posso; alternato ad un vorrei spiegarvi come penso di portarvi fuori dal pantano ma è successo tutto così in fretta che, in fondo, ancora non lo so. 

Un Matteo Renzi, insomma, non più (non pienamente) di «lotta», ma non ancora nemmeno di «governo». Il risultato non poteva che essere un ibrido: e cioè un discorso privo della originaria forza suggestiva del «renzismo» così come lo abbiamo conosciuto, ma anche parzialmente monco delle indicazioni programmatiche che il Parlamento attendeva. E un discorso, dunque, non a caso commentato in maniera varia e perfino irrituale: un comizio elettorale, un discorso da bar, un intervento da sindaco, mentre sindaco non lo è più.

Le difficoltà, naturalmente, erano tante: di natura politica ma perfino di contesto ambientale. Matteo Renzi, infatti, non aveva mai messo piede nell’aula del Senato, non potrebbe esservi nemmeno eletto per ragioni di età e aveva di fronte quei parlamentari e quei partiti - nessuno escluso - che attacca (rottama) incessantemente da un anno e mezzo o più: come giocare fuori casa con tutti contro, e fuori casa - si sa - è sempre tutto più difficile...

Né minori erano i problemi d’ordine politico intorno ai quali avrebbe dovuto zigzagare: le rassicurazioni a Forza Italia che la legge elettorale si farà; le garanzie al Nuovo Centrodestra che si farà ma non si voterà; e infine il rapporto col Pd, un partito letteralmente stravolto dall’avvento di Renzi, un giovane leader che ha fatto dimettere Fassina con un «chi?», Cuperlo con un inciso ed Enrico Letta con una relazione in Direzione durata - ringraziamenti compresi - ventitrè minuti. Prima dell’avvento - giusto per la cronaca - sotto i suoi colpi avevano arretrato leader del peso di Massimo D’Alema, Walter Veltroni e Rosy Bindi, per citare i più noti.

Ciò nonostante, proprio per il passato (recente) di Matteo Renzi - intendiamo per la sua carica, la sua forza comunicativa e il bagaglio delle promesse accumulate - o, al contrario, per il suo presente da presidente del Consiglio, era lecito attendersi qualcosa di più. Soprattutto, era ragionevole attendersi una scelta: o rottamatore o presidente, perché le due parti assieme è impossibile recitarle una volta giunti dove Renzi è giunto. La via di mezzo è forse stata la meno felice. E le genericità in materia di programma e un certo glissare sui nodi più intricati, hanno ricordato la sua prima sfida a Bersani, quella per la candidatura a premier nelle elezioni del febbraio 2013: al segretario e a quanti lamentavano l’assenza di un puntuale programma di governo, Renzi rispondeva semplicemente con una cosa che somigliava molto a «il programma sono io, il cambiamento lo garantisco io».

Giunti a Palazzo Chigi, tutto questo non pare più sufficiente. Il profilo di Matteo Renzi resta senz’altro quel che era: una sicurezza per chi crede che il Paese debba essere «rivoltato come un calzino». Solo che ora gli si chiede in che senso intende rivoltarlo, partendo da cosa, con quali soldi, quali alleanze e quale idea del nostro futuro. Il sindaco-segretario-presidente ha tempo per lavorarci, naturalmente. Ma occorre, appunto, che ci lavori. Perché, come ha avvisato lui stesso nel primo consiglio dei ministri, «la ricreazione è finita». Ma se è finita, è finita per tutti.

Federico Geremicca

Da - http://lastampa.it/2014/02/25/italia/politica/uno-stile-ibrido-e-troppo-irrituale-mancata-la-forza-Lf4o8t1vFK85MX5Gvap27O/premium.html
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« Risposta #250 inserito:: Marzo 10, 2014, 12:23:10 pm »

Politica
07/03/2014 - colloquio

Renzi: “Critiche ridicole anche da chi mi sosteneva. Ma la gente sta con me”
Lo sfogo: “La fiducia cresce eppure continuano ad attaccarmi
Ho smontato le accuse di Grillo: io non sto chiuso nei palazzi”

Federico Geremicca
Roma

Cosa dice, scusi, Presidente? «Che la Merkel m’aveva avvisato... E oggi che l’ho rivista, gliel’ho detto: cara Cancelliera, aveva ragione lei». 

La voce di Matteo Renzi gracchia al telefono mentre è in viaggio tra Bruxelles e Roma. Prima del vertice con i capi di Stato e di governo europei, s’era intrattenuto per qualche minuto con Angela Merkel: e ora rivela - appunto - di averle dato ragione. «Sì, me l’aveva detto la prima volta che ci incontrammo: “Guardi che Mario Gomez è un fuoriclasse ma fragilino, si infortuna spesso”. Aveva ragione: del resto, la Cancelliera di calcio se ne intende...».

E rieccolo, allora, Matteo Renzi: irriverente e ironico come fosse ancora quello di prima, cioè nel fuoco di una qualche elezione primaria e non nel bel mezzo di un mucchio di impegni e di guai. La legge elettorale patteggiata con Silvio Berlusconi, infatti, annaspa alla Camera; i provvedimenti-choc per il rilancio dell’economia fluttuano da un Consiglio dei ministri all’altro; e un certo scetticismo cresce, anche se lui fa mostra di non dare alcun peso a tutto ciò.

«Tra la gente va bene - annota Renzi -. La fiducia in me e nel governo cresce, e io credo che conti questo, per adesso. Dopodiché, se vuol saperlo, certe cose non finiranno di sorprendermi mai...». In verità, non è l’unico ad esser sorpreso da alcune cose accadute dopo il suo avvento a Palazzo Chigi. Sorpresissimi, per esempio, sono stati gli apparati delegati alla sua sicurezza, visto che hanno dovuto ingaggiare un vero e proprio braccio di ferro col neo-premier intorno al tema «io la mattina, fossero anche alle 6, ma devo correre per tenermi in allenamento». Non se ne può nemmeno parlare, naturalmente: ma non è stato semplice convincerlo. La mediazione raggiunta ipotizza la ricerca di una palestra nei dintorni di Palazzo Chigi: ma dire che questa alternativa abbia fatto fare salti di gioia al premier, sarebbe dire una bugia.

Comunque sia, dicevamo, Matteo Renzi si dichiara sorpreso. E quando gli si chiede da cosa o da chi, ecco che toglie il freno a mano e torna a parlare a modo suo: «Avevo dei nemici che mi attaccavano, ma lo sapevo e lo tenevo nel conto - si lamenta -. Ma ora mi attaccano anche quelli che prima mi sostenevano: e onestamente non capisco sulla base di che, visto che non abbiamo ancora nemmeno cominciato. La squadra di governo tiene e mi pare buona. La Boschi regge in una postazione delicata e anche la Mogherini, attaccata da più parti, sta guadagnando la stima dei suoi colleghi europei. Quindi, di che parliamo? Per cosa mi criticano? Se è per la storia dei sottosegretari o per i cori dei ragazzi di Siracusa o addirittura per il fatto che abbiamo denunciato che la situazione economica trovata non è quella che diceva Letta, allora davvero non capisco e mi arrabbio».

E come promesso si arrabbia: e di conseguenza si sfoga. «Sui conti c’è poco da dire: è stato addirittura Saccomanni ad avvisarci che le cose stavano in un certo modo... Dunque non capisco né gli attacchi né le ironie. Sui sottosegretari, poi, sono disposto a discutere con chiunque. Dovrei buttare fuori dal governo De Filippo per delle spese in francobolli? Qui si pone davvero un problema di civiltà... Mi pare surreale. E più surreale ancora, mi permetta di dirlo, è che al coro si sia aggiunto Pippo Civati, che ha fatto le primarie contro di me precisamente nella condizione di indagato in cui sono De Filippo e alcuni altri».

Se c’è da combattere, Matteo Renzi - come al solito - non si tira indietro: e come al solito, non fa sconti a nessuno. Si pigli la vicenda di Siracusa, e le ironie e le polemiche per la canzoncina dedicatagli dagli alunni della scuola «Raiti». Il premier è furioso sul serio: «C’è qualcuno che pensa che abbia chiesto io ai dirigenti della scuola di far cantare quelle strofe? Oppure che avessi dovuto fermarli e rimproverarli? È una polemica letteralmente ridicola, idiota. E dovrebbe far riflettere, piuttosto, la reazione stizzita di Beppe Grillo. Io che vado nelle scuole - e non a Roma o a Milano, ma a Treviso e Siracusa - smonto il paradigma accusatorio che ha fatto le fortune del leader 5 Stelle: e cioè, la casta che se ne sta rinchiusa nel Palazzo mentre lui sta in mezzo alla gente. Ma invece di riflettere su questo, si montano polveroni e polemiche inutili contro di me».

Non gli si può dire «caro presidente, chi la fa l’aspetti» perché la linea telefonica è tanto disturbata da render quasi impossibile dialogare. Ma è proprio così: arrivato al governo avendo attaccato tutto e tutti, e dopo aver spianato qualunque ostacolo incontrato sulla strada tra Palazzo Vecchio e Palazzo Chigi, Matteo Renzi non può certo attendersi che vi sia qualcuno disposto a porgere l’altra guancia. Fa mostra, però, di sorpresa e non di preoccupazione: «Le cose vanno bene - dice -. Nessun imprevisto in queste due prime settimane; sta andando né meglio né peggio di come m’aspettavo. Va come prevedevo, insomma, e col Consiglio dei ministri di mercoledì comincerete a vedere i risultati».

Sarà, naturalmente, come dice lui: per ora, intanto, quel che si vede non è che sia proprio un gran film. Si pensi al percorso di guerra in cui è entrata la riforma della legge elettorale. Ma Renzi - cocciuto - dice che le cose non stanno così: «Alla Camera abbiamo avuto molti voti su questioni difficili, come le soglie: e sono andati bene perché la maggioranza ha tenuto. Poi, certo, ci sono stati un po’ di franchi tiratori, ma non devo esser io a spiegare che il Parlamento funziona così... Vedo che c’è molta discussione, e lo capisco, sul fatto che la legge elettorale varrà solo per la Camera e non per il Senato: ma stamane (ieri per chi legge, ndr) ho riunito la segreteria del Pd e mi hanno ricordato che già in una riunione con i gruppi parlamentari, a dicembre, avvertii che si sarebbe potuta creare una situazione così... Insomma, non sono preoccupato: avevo promesso una nuova legge elettorale in tempi veloci e così sarà».

Tutto bene, insomma, dalle parti di Matteo Renzi: se si esclude un certo, crescente fastidio per le critiche che gli piovono addosso. Ma piuttosto che preoccuparsi di quelle, il più giovane premier della storia repubblicana - che andrebbe forse accompagnato da maggior speranza e un po’ più d’ottimismo - farebbe bene a temere l’epitaffio che molti già vorrebbero scrivere per lui e per il suo governo: un fallimento di grande successo. Che, in fondo, potrebbe essere una sintesi niente male...

Da - http://lastampa.it/2014/03/07/italia/politica/renzi-critiche-ridicole-anche-da-chi-mi-sosteneva-ma-la-gente-sta-con-me-wRM6eV2ea2lATCy38jXbgJ/pagina.html
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« Risposta #251 inserito:: Aprile 13, 2014, 05:47:33 pm »

Editoriali
13/04/2014

Il ritorno della doppia sinistra
Federico Geremicca

A Torino, Renzi, ad aprire la campagna elettorale europea con le sue cinque capolista; a Roma, gli ultimi due segretari, Bersani ed Epifani (più D’Alema e altri dirigenti di prima fila) che riaprono le ostilità nei confronti del premier-segretario. Facile parlare dell’esistenza di «due Pd»: e non c’è nulla di scandaloso, in democrazia, che una maggioranza debba fare i conti con una minoranza che si oppone. Più sorprendenti, invece - e per certi versi preoccupanti - tempi e contenuti del riesplodere della polemica. 

Il nuovo scontro, che naturalmente ha motivazioni «ufficiose» assai concrete - e che riguardano il potere che Matteo Renzi sta via via accumulando fuori e dentro il Pd - ieri si è ufficialmente giocato sulla dicotomia destra/sinistra, categorie politiche che vanno perdendo - e ce ne si può perfino rammaricare - senso e importanza per un numero crescente di cittadini. «Le norme sbagliate della destra non diventano giuste se a proporle siamo noi», ha accusato da Roma Cuperlo; «La sinistra che non cambia, diventa destra», ha replicato Renzi da Torino.

E a metterla così, è chiaro che si tratta di una discussione che difficilmente farà fare un solo passo avanti tanto al Pd quanto al Paese: che di rimettersi in moto, invece, ha un disperato bisogno. 

Ma tale discussione, per quanto ammantata da richiami ideologici, in realtà conferma il perdurare (e anzi il crescere) di un vero e proprio rigetto del fenomeno-Renzi da parte dei settori più tradizionali - appunto - della sinistra italiana. Infatti, non sono stati solo i suoi amici di partito, ieri, a mettere nel mirino il presidente del Consiglio, sul cui capo è caduto di tutto: dalle ironie di Susanna Camusso («Ci sono giovani che rappresentano abbastanza poco, anche se sono in posti chiave») alla definitiva scomunica comminata da Stefano Rodotà: «Il nostro sistema politico è segnato da tre populismi diversi tra loro: quello di Berlusconi, quello di Grillo e il nuovo populismo di Renzi».

Il segretario-premier, insomma, sembra esser considerato sempre più un «corpo estraneo» rispetto alle tradizioni (recenti) del Pd, e più ancora a quelle dei partiti che lo hanno incubato: il suo modo di fare, una evidente insofferenza al confronto ed una sorta di indifferenza rispetto a quanto è stato fino ad oggi solitamente considerato «di sinistra» (e, al contrario, «di destra») non vanno giù, e questo è comprensibile. Ciò che appare meno condivisibile, però, è la contestazione di concreti elementi di verità, la cui sottovalutazione si fatica a intendere, se non alla luce - appunto - della forte polemica politica in corso.

 In questo senso si può citare l’intervento svolto ieri da Massimo D’Alema - solitamente freddo nell’analisi - tornato a parlare di cose italiane all’assemblea della minoranza democratica. «Il Pd - ha spiegato - vive un processo di impoverimento che può prendere una piega drammatica. Questo partito non lo possiamo lasciar morire, lo dobbiamo far funzionare noi, dobbiamo aprire i circoli e fare il tesseramento...». Si tratta di una fotografia catastrofica dello stato di salute del Pd, accompagnata da un richiamo all’antico, alla tradizione. Ma è una fotografia che non corrisponde alla realtà delle cose, se è vero che ogni sondaggio - in vista delle europee - attribuisce al Partito di D’Alema percentuali superiori a ogni più recente tornata elettorale, e vicine ai consensi-record raccolti da Veltroni nelle elezioni politiche del 2008.

Il punto, dunque, sarebbe forse interrogarsi sul come e sul perché è stato ed è possibile che un «giovane populista» (per mettere assieme le accuse di Epifani e Rodotà) abbia nel giro di due mesi - dicembre 2013, febbraio 2014 - conquistato il più importante partito italiano, prima, e addirittura la guida del governo, poi. C’è qualcuno che ha sbagliato qualcosa? C’è qualcun altro che non ha inteso l’altissimo livello di insofferenza diffuso tra i cittadini-elettori del Paese?

La riflessione della minoranza Pd dovrebbe dunque partire da qui, piuttosto che adagiarsi su schemi di comodo. E dovrebbe esser avviata - per il Bene Superiore del Partito, che pure viene così invocato - forse non giusto a ridosso di una importante (forse decisiva) sfida elettorale come quella di maggio. A meno che, naturalmente, non si intenda con tali polemiche segnalare a iscritti e simpatizzanti che nulla è cambiato, e che il Pd è pronto - appena ne avrà l’occasione - a divorare il suo quinto segretario in sei anni. Faccenda con la quale, lo si riconoscerà, la dicotomia destra/sinistra non c’entra un bel niente...

Da - http://lastampa.it/2014/04/13/cultura/opinioni/editoriali/il-ritorno-della-doppia-sinistra-OfRvHM4UB2mYAi99T1OBYI/pagina.html
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« Risposta #252 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:22:01 pm »

Politica
20/04/2014
La sfida di Renzi è agganciare un po’ di ripresa
“I conti in autunno, ma se saranno in rosso...”

Federico Geremicca
Roma

Una palla di neve che rotola e diventa valanga. Un’auto spinta in discesa e il motore che finalmente si sblocca e parte. E’ in un effetto così, adesso, che spera Matteo Renzi, il premier che «ha mantenuto la promessa» ma che sa che l’impegno assunto con gli italiani - e alla fine rispettato - potrebbe non bastare. Il giorno dopo il bagno d’orgoglio e d’ottimismo, insomma, il quadro si fa più chiaro per tutti, e il giovane segretario-premier non nasconde nemmeno a se stesso il persistere di zone d’ombra e di preoccupazioni. 

Quella che riserva agli uomini a lui più vicini, infatti, è un’analisi che per una volta - forse la prima volta - mischia assieme serenità e timore: la serenità di chi ritiene di aver fatto quanto possibile, insomma, ed il timore che anche questo - alla fine - possa non bastare. Sono tante, infatti, le cose che si possono rimproverare a Renzi: ma non l’essere un ingenuo, e neppure il cavalcare l’ottimismo a ogni costo.

«Credo che si sia fatto il massimo di quel che si poteva fare - ha spiegato, così, ai suoi collaboratori -. L’obiettivo, si sa, era doppio: iniettare fiducia e ottimismo nelle vene di un Paese deluso e provato, e metterci nelle condizioni di agganciare quel po’ di ripresa che si profila all’orizzonte. La speranza è che entrambi gli obiettivi vengano centrati - ha annotato - che i consumi ripartano, che la gente torni a spendere e gli imprenditori ad investire. Se la ricetta è giusta, lo si vedrà solo tra qualche mese. I conti li faremo in autunno, e se saranno in rosso...».

Matteo Renzi sa che se saranno in rosso sarà difficile sfuggire all’epilogo profetizzato da Silvio Berlusconi nel giorno del suo ritorno in tv: si voterà tra un anno e mezzo. In caso di fallimento della ricetta proposta, infatti, l’effetto-valanga potrebbe prendere una direzione precisamente opposta a quella sperata, e resistere diventerebbe impossibile per chiunque. Da qui ad allora, però, tempo per fare ed agire ce n’è: ed il premier è già pronto a ripartire con la fase due, della quale ha chiari tempi, tappe e obiettivi.

Il punto di ripartenza sono le riforme, quella elettorale e quella del bicameralismo cosiddetto perfetto. La tappa intermedia sono le elezioni europee di maggio, che secondo ogni sondaggio potrebbero riservare al Pd ed al suo segretario un risultato così buono da esser letteralmente impensabile ancora un paio di mesi fa. La volata finale verso la «sentenza d’autunno», invece, è il semestre italiano di presidenza Ue, occasione unica per raggiungere notorietà e consacrazione internazionale, e per tentare di correggere per quanto possibile meccanismi decisionali e rotta europea.

E’ un percorso dall’esito non scontato, ma Renzi conta molto sul successo dei primi passi: le misure varate per rilanciare consumi ed economia, passi avanti per l’Italicum e per la trasformazione del Senato, e infine un risultato elettorale - a maggio - che lo metta al riparo prima di tutto dalle evidenti voglie di rivincita che animano più e più anime del suo Partito democratico. Nel Pd, infatti, coltelli e polemiche sembrano temporaneamente accantonate e riposti: ma il premier non si illude che la quiete (assai recente, del resto) possa durare all’infinito.

D’altra parte, i nemici - come da tradizione per qualunque Presidente del Consiglio - aumentano, e Matteo Renzi non fa fatica a snocciolarne l’elenco: le grandi banche colpite dalla manovra; i magistrati ed i manager pubblici cui è toccata uguale sorte; i sindacati troppo spesso snobbati; i dipendenti pubblici, forse, e certamente pezzi importanti del cosiddetto mondo politico, sempre più insofferenti di fronte agli affondo del «rottamatore». Molti nemici molto onore, si sarebbe detto un tempo. Ma quel tempo è cambiato: e di questa piccola folla che attende e affila i coltelli, diciamo la verità, Renzi farebbe onestamente a meno... 

Da - http://lastampa.it/2014/04/20/italia/politica/la-sfida-di-renzi-agganciare-un-po-di-ripresa-xEAbuC2Q51hPBdFs1HNrxL/pagina.html
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« Risposta #253 inserito:: Aprile 21, 2014, 11:34:23 pm »

EDITORIALI
19/04/2014

Matteo e la politica di ascolto
FEDERICO GEREMICCA

Per valutare gli effetti che la manovra annunciata ieri da Matteo Renzi avrà sul rilancio dell’economia del Paese, occorrerà – naturalmente – aspettare mesi, forse molti mesi; per conoscerne, invece, l’impatto politico – e persino psicologico – basterà attendere i sondaggi elettorali della prossima settimana e poi, soprattutto, il voto europeo del 25 maggio. Che il più giovane premier della storia repubblicana abbia guardato più al secondo (le elezioni) che ai primi (gli effetti economici), è l’obiezione fondamentale che le opposizioni stanno muovendo alla sua manovra in queste ore. È possibile che abbiano ragione: ma è assai riduttivo – e perfino fuorviante – chiudere la faccenda così.
 
Gli avversari del premier-segretario (e non solo loro, in verità) sono soliti definire Renzi un «prodotto politico» a mezza via tra Berlusconi e Grillo, per sottolineare i tratti un po’ populisti e un po’ demagogici che – a loro giudizio – ne contraddistinguono il modo di far politica. A parte l’ovvia considerazione – che pure dovrebbe far riflettere – che il paragone guarda a due dei tre leader più votati nel Paese (il terzo è appunto Renzi), quel che convince
sempre meno – in una società profondamente in crisi – è quella sorta di snobismo, quando non addirittura di sprezzo, che sembra esser riservata a chi pone orecchio alle richieste, al malessere e a ciò che si muove nel ventre molle di quella che viene solitamente definita, appunto, società civile. 
Naturalmente c’è modo e modo di interpretare quel malessere e quelle richieste: ed è appunto questa la prova alla quale è atteso, nei prossimi mesi, Matteo Renzi. Eppure, non cogliere il fatto che proprio la distanza da quelle aspettative e da quella rabbia sia uno degli elementi che ha prima determinato il distacco di milioni di cittadini dalla politica e poi offerto propellente per il boom di Beppe Grillo e del suo movimento, è prova di superficialità: quando non, addirittura, di irresponsabilità.
 
Molte delle misure annunciate dal premier nelle settimane passate (e confermate ieri) vanno precisamente in quella direzione. Si tratta di scelte che sono – nella maggior parte dei casi – economicamente poco incidenti, ma che possono avere un salutare effetto psicologico (e non solo) presso quanti – e si tratta di fasce assai ampie della società – avevano del tutto perso la speranza, la fiducia circa il fatto che una classe politica chiusa nella sua cittadella fosse in grado (e avesse voglia) di prestare ascolto alle loro richieste.
 
Lasciamo perdere gli 80 euro in busta paga, iniziativa che non ha bisogno di grandi commenti e che era la vera – perché più difficile e costosa – scommessa del premier. Parliamo del resto. La vendita delle auto blu (diventate negli anni il simbolo della casta): «Solo cinque per ministero – ha spiegato Renzi – e i sottosegretari andranno a piedi». Il tetto agli stipendi dei manager pubblici (i detestati «papaveri di Stato»). La riduzione dei compensi alle sfere più alte della magistratura. Il colpo alle banche, e in qualche misura ai giornali. Le spese di tutti i ministeri consultabili on line. La revisione del programma per gli F35. La riduzione da 8 mila a mille delle aziende pubbliche locali. E, prima ancora, un Senato non elettivo e non costoso; l’avvio dell’abolizione delle Province e la cancellazione del Cnel.
A guardare tali decisioni da un certo punto di vista - un punto di vista che non è solo delle opposizioni politiche - le si potrebbero definire senza ombra di dubbio demagogiche e populiste; ad osservarle da un altro, invece, le si possono considerare non solo una mannaia su sprechi e privilegi non più sostenibili, ma il risultato – il prodotto – di una «politica di ascolto»: di ascolto – appunto – di un distacco e di un malessere capaci, a lungo andare, di minare le basi, la sostanza e la credibilità di qualunque democrazia.
 
Tutto ciò, naturalmente, potrebbe portare nuovi consensi a Matteo Renzi, al suo governo ed al partito che dirige – il Pd – in vista delle ormai vicine elezioni di maggio. Che ciò accada è possibile. Ma la domanda è: la politica non è anche questo? Non è forse aspetto fondamentale del lavoro di un qualunque amministratore – a qualunque livello – esaminare i problemi, ascoltare le richieste che salgono dalla società e poi scegliere e decidere? Se le scelte sono sbagliate, quell’amministratore sarà punito; se si riveleranno giuste, ne riceverà popolarità e consenso. È quel che Renzi spera, naturalmente, guardando alle europee di maggio. Tra un mese o poco più saprà – e sapremo – cos’è rimasto di quella speranza... 

Da - http://www.lastampa.it/2014/04/19/cultura/opinioni/editoriali/matteo-e-la-politica-di-ascolto-WRjaCMGXhOe53avVsUaViJ/pagina.html
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« Risposta #254 inserito:: Aprile 28, 2014, 06:15:31 pm »

Politica
27/04/2014

Napolitano a Renzi: sulle riforme si dialoghi
Il premier disposto ad ascoltare chi si oppone, ma ai suoi fissa: “Confronto parlamentare importante, ma il patto va preservato”

Federico Geremicca
ROMA

La parola d’ordine - come sempre nei momenti delicati, quando è meglio tacere che parlare - la parola d’ordine dei due palazzi, dicevamo, è: «normale dialettica istituzionale». Dal Quirinale e da Palazzo Chigi filtra, insomma, poco o niente su un incontro (quello di ieri tra Napolitano e Renzi) che di «normale» non ha avuto nulla: a partire dalle modalità di definizione dell’appuntamento, fissato dai due presidenti praticamente per strada (davanti l’altare della Patria, venerdì mattina) e «rubato» dai microfoni indiscreti di SkyTg24. «Normale dialettica istituzionale» in un momento che di normale ha davvero poco, considerato quel che si agita sul fronte delle riforme da fare: gli stop and go di Silvio Berlusconi, le perduranti divisioni nel Pd, i giochini di Beppe Grillo, e poi «i professoroni», gli allarmi democratici e chi più ne ha più ne metta. È per questo che l’altra mattina - appunto davanti all’altare della Patria - Giorgio Napolitano ha chiesto a Matteo Renzi se non fosse forse il caso di fare un punto: ricevendo in risposta un veloce «attendo una convocazione, domani a qualsiasi ora, Presidente».

Ed è per questo - per la tensione che sale e la discussione che diventa una Babele - che il Capo dello Stato ha voluto ascoltare il premier, conoscerne le intenzioni e dispensare i suoi consigli. Consigli non nuovi, purtroppo, mai effettivamente seguiti e riassumibili in una indicazione, un metodo: le riforme vanno perseguite senza aut aut (il famoso «prendere o lasciare», così caro a Renzi), cercando il consenso più ampio ed evitando di minacciare ad ogni intoppo ritorsioni, apocalissi e perfino elezioni anticipate (che solo il Capo dello Stato, per altro, può determinare...).

Di fronte al pressante invito a ricercare il dialogo ed a mostrarsi disponibile al confronto ed anche a possibili modifiche dei testi presentati al Parlamento, Matteo Renzi ha voluto rassicurare Napolitano su più fronti. Primo: nessuno pensa a show down elettorali ravvicinati, perchè col semestre europeo alle porte e con tutto quel che c’è da fare, sarebbe follia il solo immaginarlo e l’orizzonte resta quello del 2018. Secondo: questo però non vuol dire che il governo sia disposto ad accettare diktat e dilazioni, visto che il premier ha esplicitamente legato la sua permanenza a Palazzo Chigi al varo della riforma del Senato. Terzo: il capo del governo è pronto al confronto di merito - e la settimana che comincia sarà ricca di appuntamenti - considera temporaneo ed elettoralistico l’avanti e indietro di Berlusconi e conferma - assieme - il sì al dialogo e il no allo stravolgimento del progetto di riforma del Senato. 

Sia come sia, il faccia a faccia di ieri ha di fatto confermato come il terreno delle riforme - e la via per vararle - sia comunque assai scivoloso, anche per il rapporto tra i due presidenti. Infatti, diversi per età ma soprattutto per «stile politico» non hanno - per formazione - lo stesso modo di affrontare le difficoltà. Napolitano ha fatto del dialogo la sua bussola politica per oltre cinquant’anni, Matteo Renzi è della scuola secondo la quale i nodi vanno tagliati anziché sciolti. Tradotto in pratica: il Capo dello Stato considera accettabili i famosi «quattro paletti» fissati dal premier in materia di riforma del Senato ma largamente discutibili funzioni, composizione e ruolo di quell’assemblea così come previsti dal testo del governo; Renzi, dal canto suo, ritiene intoccabili i punti fermi già fissati e il resto rivedibile ma solo in piccola parte: «Il confronto parlamentare - ha spiegato il premier ai suoi - è importante, ma il patto del Nazareno va preservato...». Non si tratta, come è evidente, di posizioni del tutto coincidenti. E si conferma, insomma, che se entrambi i presidenti - per ragioni diverse - hanno legato il loro futuro proprio alla realizzazione delle riforme, la via per centrare l’obiettivo potrebbe alla fine divergere. In sintesi: confronto e dialogo contro forza dei numeri e minaccia di show down elettorale. L’equilibrio è incerto, instabile. E le prossime mosse tutt’altro che scontate. In un clima così, è evidente, l’intenzione di approvare entro maggio - almeno in prima lettura - la riforma del Senato, va trasformandosi da speranza in irraggiungibile chimera...

Da - http://lastampa.it/2014/04/27/italia/politica/napolitano-a-renzi-sulle-riforme-si-dialoghi-gL4uSV03WeDE3WoeYsIYBK/pagina.html
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