L’INTERVISTA
Intervista a Salvini: «Mai con i Cinque Stelle. Pauperisti»
Il leader della Lega: «Al Veneto subito un ministro e l’autonomia. E Zaia sta bene dove sta»
Di Marco Bonet
Parla con i modi e i toni del premier incaricato. Non «ruspe» ma «convergenze programmatiche». Giacca e cravatta più che felpa e cappuccio. «In questa fase ho il dovere di ascoltare tutti - spiega Matteo Salvini - anche il Pd, anche la Boldrini, se serve all’Italia». Secondo alcuni osservatori è lui il vero vincitore delle ultime elezioni. Più di Luigi Di Maio, visto che il Movimento Cinque Stelle è vissuto finora immerso in uno splendido isolamento mentre la Lega, alla testa di una coalizione in cui per quanto malconcio c’è ancora il «moderato» Berlusconi, potrebbe diventare il perno di una nuova maggioranza parlamentare. Complicata, certo. Ancora tutta da definire. Eppure Salvini sembra ottimista, «energizzato» da risultati in qualche caso al di sopra delle più rosee aspettative. Come in Veneto, dove la Lega ha triplicato i suoi voti rispetto al 2013, da 310 a 912 mila, dal 10,5 al 32%.
«Un risultato straordinario. Sapevo che saremmo andati bene, me lo sentivo, ma neanch’io speravo in una fiducia così enorme. Sondaggisti, opinionisti, intellettuali non avevano capito niente, in Veneto come nel resto d’Italia. Giornali e telegiornali ci hanno oscurato, esistevano solo Renzi e Berlusconi, Di Maio e la Bonino... Io mi sono fatto ventimila chilometri in campagna elettorale e questo, gliel’assicuro, aiuta a capire il Paese. Il Veneto poi, l’ho girato davvero in lungo e in largo».
Veramente qui si è sempre detto che il centrodestra, con la Lega in testa, avrebbe fatto cappotto. Quel che stupisce è semmai il distacco inflitto dal Carroccio agli avversari e agli alleati. Forza Italia è al 10%, ha perso 8 punti, 250 mila voti. L’emorragia degli azzurri, che di sicuro non aiuta la coalizione, la preoccupa? «A me interessa che il centrodestra sia la prima coalizione d’Italia e sia ampiamente avanti in Veneto e Lombardia. Il mio avversario non è all’interno ma all’esterno, è Renzi e, in questo senso, “missione compiuta”. Poi una volta possiamo far meglio noi, una volta Forza Italia. Alla fine si governa insieme, siamo una squadra e lo stiamo dimostrando anche in Regione».
Potrebbe nascere il partito unico del centrodestra? «Mannò, un passo alla volta. Abbiamo raccolto 12 milioni di voti, farò di tutto per andare al governo e dimostrare d’essermi meritato la fiducia che ci è stata data. Oggi mi preoccupo solo di questo».
Se andrà al governo concederà l’autonomia al Veneto? «È un tema centrale per noi. Abbiamo preteso e ottenuto che venisse inserito nel programma di tutto il centrodestra e non vedo l’ora di incontrare di nuovo Zaia e Fontana (il neoeletto presidente della Lombardia, ndr.) per dargli concretezza. Da leghista, lo sa qual è il bello? Che ora l’autonomia me la chiedono pure la Puglia e la Campania».
A un leghista della prima ora sarebbe venuta l’orticaria. Davvero si può dare l’autonomia a chiunque la chieda? Non si rischia l’effetto «autonomia per tutti, autonomia per nessuno»? «No, no, piano. Mica sto dicendo che tutti possono diventare come il Trentino. A ciascuno l’autonomia che gli spetta, secondo capacità, con la giusta gradazione. Nei prossimi cinque anni possiamo fare quel che non è stato fatto negli ultimi venti, l’Italia può diventare finalmente un Paese efficiente, moderno, federale, dove le risorse e la politica sono più vicine ai cittadini. Questo non lo vogliono più soltanto i veneti, adesso anche al Sud l’autonomia viene percepita come un’opportunità e non come un pericolo. E difatti sarà una delle prime riforme che metteremo in cantiere in parlamento».
Magari anche con l’aiuto dei Cinque Stelle, da sempre favorevoli. Un motivo in più per fare un governo assieme, no? «Mai nella vita, quella dell’alleanza Lega-M5S è una fake news, un’invenzione surreale come la caccia al Salvini razzista, fascista e nazista che spaventa i bambini. No. Io rispetto il voto ai Cinque Stelle perché l’elettore ha sempre ragione. Però è un voto di assistenza, pauperista. Il voto alla Lega, invece, è il voto della gente che lavora. Ovviamente in Veneto e in Lombardia ma anche al Sud, le persone che ci hanno votato sono quelle che in campagna elettorale mi hanno detto: io non voglio stare a casa a non fare niente, voglio studiare, lavorare, produrre. Io e Di Maio abbiamo due idee di Italia diverse: per lui è l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza; per me è il rilancio e lo sviluppo della flat-tax».
E con il Pd potreste mai governare? «Ho letto anche questa, i giornalisti sono sempre fantasiosi. Di un accordo di governo, di partito, non se ne parla proprio, neanche col Pd. Poi chiaro, io ho un mio programma, sono a capo del partito che guida la coalizione più votata dal Paese, ho l’aspirazione di diventare presidente del Consiglio... ho il dovere di ascoltare tutti, scherziamo? Abolizione della legge Fornero, tassa unica al 15%, legittima difesa, stop all’immigrazione: chi ci sta, ci sta».
Per i dem qui è stata una debacle. Lei come se la spiega? «Hanno promesso troppo, non hanno mantenuto e, giustamente, sono stati puniti. Io me lo ricordo Renzi, qualche anno fa, accolto in Veneto come il Messia Salvatore dagli industriali. Evviva, applausi. Ma se poi le tasse aumentano, la burocrazia si complica con iniziative come il Codice appalti, l’immigrazione diventa un problema serio, le banche crollano - e a proposito, quella sulle banche sarà una delle prime direttive Ue che chiederò a Bruxelles di abolire - è chiaro che finisci male, a Treviso come a Pisa, dove infatti abbiamo fatto quattro parlamentari dopo che mai nella storia avevamo vinto alcunché. Se freghi la gente, la paghi cara. Poi secondo me c’è stato anche qualche problema di comunicazione...».
In che senso? «Beh, noi stavamo in piazza e al mercato, loro facevano la marcia antifascista e lanciavano allarmi sulle ingerenze russe e Trump...».
Gli industriali, però, continuano a guardarvi con sospetto. E lunedì sono partite note allarmate da pressoché tutte le categorie. «In alcune associazioni, e non mi riferisco solo a Confindustria, i vertici sono totalmente scollegati dalla base, ci sono presidenti che quando parlano rappresentano a malapena loro stessi, figuriamoci gli iscritti. Il 94% delle aziende, in Italia, ha meno di 9 dipendenti e il Veneto è l’esempio migliore di questo tessuto produttivo. Io voglio pensare a loro, dopo che per anni Renzi e Confindustria si sono preoccupati solo della Fiat e degli altri “grandi”».
Ma se davvero intende mettere i dazi, scatenando una guerra commerciale, il Veneto lo ammazza perché qui si esporta per 60 miliardi l’anno. «Non sono matto, i dazi si mettono se sono utili a difendere le nostre aziende, penso al settore del riso, altrimenti no. Io voglio solo un Paese dove sia più facile fare impresa e lavorare. Quindi non solo via la legge Fornero ma via pure lo spesometro, subito».
In questi giorni di stallo post voto sono riprese con insistenza le voci su «Zaia premier», il «volto buono della Lega» utile a sedurre i moderati. Lui è sbottato: «Basta tirarmi la giacchetta, sennò si strappa». Lei si sente insidiato? «Luca lo sento tutti i giorni, è l’amico con cui ho parlato di più prima e dopo il voto, una delle persone migliori che abbia non soltanto la Lega ma l’Italia. So che gli piace portare a termine il lavoro, una volta iniziato, e mi pare che sull’autonomia ci siano fior di cantieri aperti... So che vuole restare in Veneto e fa bene perché sta scrivendo la Storia della sua Regione. In futuro, vedremo».
Nel governo Salvini ci sarà posto per un ministro veneto? «Ovviamente sì, è scontato. Non faccio nomi e cognomi ma ho già qualche idea per due settori che mi stanno parecchio a cuore, la scuola e l’agricoltura. Ripeto: andiamo avanti un passo alla volta. Ma il Veneto ci sarà».
7 marzo 2018 (modifica il 7 marzo 2018 | 19:54)
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