LA-U dell'OLIVO
Novembre 22, 2024, 08:57:42 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 2 [3]
  Stampa  
Autore Discussione: LA LEGA.  (Letto 23624 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #30 inserito:: Aprile 28, 2019, 12:15:28 pm »

La Bestia’

Agnese Rapicetta @rapicettola · 25 aprile 2019

Odiatore seriale e ‘plasmatore’ di web star: chi è Luca Morisi, l’inventore de ‘La Bestia’

Sbaglia chi pensa che sia uno sprovveduto o che si sia improvvisato comunicatore, Morisi ha studiato, e anche tanto, per arrivare a trovare il modello di comunicazione che funziona

E’ balzato alle cronache per il post di Pasqua – per intenderci quello che ritraeva il ministro dell’Interno con in mano un mitra e che incitava ad armarsi-. Ma quello non era certo il primo cinguettio di Luca Morisi, alter ego virtuale di Matteo Salvini.
Non chiamatelo spin doctor perché si offende, ma sappiate che dietro ad ogni messaggio su Facebook o Twitter del leader della Lega c’è la sua firma.
Sbaglia chi pensa che sia uno sprovveduto o che si sia improvvisato comunicatore, Morisi ha studiato, e anche tanto, per arrivare a trovare il modello di comunicazione che funziona. Classe 1973, laureato col massimo dei voti in Filosofia, esperto di comunicazione e di marketing politico sui social media, per 10 anni insegna all’Università degli Studi di Verona. Esperto nella progettazione di database, web application e Intranet/Extranet, come si può leggere nel suo cv, Morisi ha realizzato diversi sistemi informativi in particolare nel campo sanitario e ha fatto parte dei consigli di amministrazione di società per azioni in diversi campi. Ma è nell’ambito della politica che ha dato il massimo inventando la cosiddetta ‘Bestia’, lo strumento in grado di analizzare l’orientamento della ‘pancia’ del web e monitorare il sentiment degli utenti. La folgorazione e il vero e proprio innamoramento per Salvini, che pian piano è diventato il Capitano, anche per merito suo, ha fatto il resto, contribuendo a creare la web star da 3 milioni e mezzo di follower.
Ma che cosa è davvero ‘La Bestia’? Nessuno lo sa con certezza, tanto da essere diventato quasi un animale mitologico. Qualcuno dice che sia uno strumento in grado di analizzare in tempo reale l’orientamento dei commenti e delle reazioni ad un post e di orientare i contenuti; altri che sarebbe in grado di suggerire anche quali termini utilizzare o addirittura quale tono. Come funziona nel concreto non si sa, ma sappiamo che funziona, nel senso che sono sempre tantissimi gli utenti che seguono le avventure e gli hashtag del Capitano. Anche quando, come nel giorno dell’incendio di Notre-Dame, Salvini ha scelto – in controtendenza col senso comune- di postare una puntata del Grande Fratello. O come nel caso dei post coi gattini e in quelli con pasta e ragù, per non parlare del concorso ‘Vinci Salvini’, che ha fatto tanto ridere gli oppositori ma che ha avuto un successo spropositato. Una macchina della propaganda semplice, spesso rozza e molto istintiva dove, però, niente è lasciato al caso.
E poi c’è quell’alone di mistero che è una caratteristica che accomuna gli alleati di governo: da una parte ‘Rousseau’ dall’altra ‘La Bestia’, in mezzo i cittadini bombardati da fake news e messaggi d’odio. Una situazione che dovrebbe far preoccupare tutti quelli che hanno a cuore la democrazia. Ma non è così. I più sono troppo impegnati a mettere il proprio like per accorgersi del reale pericolo.

Da - https://www.democratica.com/focus/chi-e-luca-morisi-social-media-manager-matteo-salvini-lega/
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #31 inserito:: Luglio 15, 2019, 06:24:31 pm »

Giornalismo da Pulitzer o scoop traballanti? La controversia su BuzzFeed

La testata che ha pubblicato gli audio sui presunti fondi russi alla Lega è una delle maggiori storie di successo del giornalismo americano contemporaneo.
Ma ha nel curriculum scivoloni molto pesanti

Di MASSIMO BASILE
12 luglio 2019, 09:32

Per alcuni è una redazione investigativa da premio Pulitzer, per altri una testata che pubblica scoop anche senza verificarli, per ammissione del suo stesso direttore. Dopo le rivelazioni sulla presunta trattativa per finanziare la Lega con soldi russi, BuzzFeed News è tornata al centro dell'attenzione. Nata 7 anni fa dalla costola di BuzzFeed, un sito di informazione e intrattenimento per il web con 1700 dipendenti e ricavi annui che superano i 150 milioni di dollari, BuzzFeed News è diretta da Ben Smith, 43 anni, giornalista di New York, figlio di un giudice di corte d'appello. Dal 2016 la redazione ha una squadra di venti giornalisti investigativi, guidata da Mark Schoofs, premio Pulitzer, l'oscar americano per il giornalismo.

La testata, che su Twitter ha 1,3 milioni di follower, e dal 18 luglio 2018 ha un sito web proprio staccato dalla "casa madre", rivelò la storia delle molestie sessuali di Kevin Spacey nei confronti di un giovane attore (denunce poi ritirare), ed è stata due volte finalista al Pulitzer. Ma ha fatto parlare di sè anche per "scoop" controversi.

La polemica sul Rapporto Steele
Il primo, nel gennaio 2017, ha riguardato la pubblicazione del Rapporto Steele, dal nome dell'ex capo dell'ufficio di Mosca dell'M16, i Servizi segreti britannici, Christopher Steele, in cui si rivelava di come la Russia da cinque anni stesse lavorando per favorire l'ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca e dell'offerta di Mosca di offrire il contenuto delle email di Hillary Clinton hackerate. Nelle 35 pagine del dossier pubblicate da BuzzFeed si faceva cenno anche a un tentativo di Trump di mettere a tacere una storia riguardo "prestazioni sessuali" con prostitute russe.

Mentre New York Times e Nbc News si rifiutarono di pubblicare il documento per "mancanza di prove evidenti", Smith lo fece, informando i lettori, che il dossier "non era stato verificato" e includeva "errori evidenti". La redazione, aveva aggiunto il direttore, stava comunque lavorando per trovare conferme. "Intanto - aveva chiosato - lo condividiamo con i lettori, è il nostro modo di essere trasparenti". Trump lo definì "cumulo di spazzatura", mentre Jake Tapper, un giornalista della Cnn, network non vicino al presidente, lo aveva bollato come "atto irresponsabile".

Citata in giudizio per diffamazione da un uomo d'affari, Aleksej Gubarev, il cui nome era apparso nel dossier, nel dicembre 2018 BuzzFeed si è vista però riconosciuta la qualità del proprio lavoro. Secondo il giudice, l'articolo era risultato "corretto e veritiero", poiché si era limitato a pubblicare un documento originale, senza aggiungere commenti.

Quel presunto scoop smentito da Mueller
Nel gennaio di quest'anno, la testata è finita di nuovo nella bufera per un'altra rivelazione, sempre legata ai rapporti tra Mosca e Trump: il presidente, sosteneva BuzzFeed, aveva ordinato al suo avvocato, Michael Cohen, di mentire al Congresso riguardo la tempistica delle relazioni con la Russia per la costruzione della Trump Tower a Mosca. Si sosteneva che i colloqui fossero avvenuti durante la campagna presidenziale, cosa vietata negli Stati Uniti.

La rivelazione di BuzzFeed fece il giro del mondo, mentre i democratici valutarono l'ipotesi di impeachment, ma due giorni dopo la notizia ricevette la smentita ufficiale del procuratore speciale, Robert Mueller. Rompendo per la prima e unica volta il silenzio in due anni, il procuratore bollò come "inaccurata" la ricostruzione giornalistica. Con la chiusura dell'inchiesta sul Russiagate, BuzzFeed pubblicò un articolo dal titolo "Il rapporto Mueller dice che Trump non chiese a Michael Cohen di mentire".

Le domande a Salvini
Nonostante qualche scivolone, l'agenzia americana indipendente NewsGuard, che stila pagelle sulla qualità di informazione dei siti giornalisti, in passato ha promosso BuzzFeed con il massimo dei voti. "La redazione è formata da giornalisti esperti - ha commentato all'Agi una fonte interna di NewsGuard - nel caso italiano sono comparse anche registrazioni, e ci risulta che abbiano inviato domande a Matteo Salvini per verificare l'informazione".

Da parte sua, Alberto Nardelli, il giornalista di BuzzFeed che firmato l'articolo sui presunti finanziamenti russi, dal suo profilo Twitter ha rivolto tre domande a Salvini. La prima: "Quale è la sua relazione con Savoini? Per quale motivo un uomo che non ricopre alcun ruolo ufficiale nel governo partecipa a viaggi ufficiali a Mosca con il ministro, sedendo nelle riunioni con ministri russi e partecipando a cene con il presidente Putin? In che ruolo fa tutto questo?".

E ancora: "Cosa sa Salvini sull'incontro al Metropol del 18 ottobre. Era consapevole della trattativa e della proposta di accordo per finanziare il suo partito e la campagna elettorale? Sa quali altri italiani hanno partecipato alla riunione?". E infine: "Cosa ha fatto Salvini la sera del 17 ottobre a Mosca dopo aver parlato alla conferenza al Lotte Hotel? E come mai i funzionari russi che avrebbe incontrato quella sera vengono poi nominati il giorno successivo durante l'incontro al Metropol Hotel?".
---
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it.
Se invece volete rivelare informazioni su questa o altre storie, potete scriverci su Italialeaks, piattaforma progettata per contattare la nostra redazione in modo completamente anonimo.
Da - https://www.agi.it/estero/buzzfeed_lega_russia-5822106/news/2019-07-12/?fbclid=IwAR2yObNea1k7Rct0aPhux5q5QeZ9xL6bQQn3awc8o-s6KcCOOCtpIiBKOjg
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #32 inserito:: Agosto 26, 2019, 12:02:30 pm »

TE LO MERITI, MATTEO SALVINI
   
FEDERICO GNECH
9 agosto 2019

In fondo hanno avuto ragione quegli intellettuali – qualcuno li definirebbe tecnici, ma per me i tecnici sono intellettuali a tutti gli effetti – che negli ultimi vent’anni hanno lavorato sodo perché la politica si riducesse a una faccenda di comunicazione o, più precisamente, a un’arte performativa, a una forma di spettacolo. Quest’ultimo anno di (s)governo non è stato altro che un’orribile recita a soggetto in cui si è messo in scena il personaggio più amato dall’italiota medio: sé stesso. Tredici mesi di fescennini ininterrotti in cui Matteo Salvini si è fatto rappresentante del carattere profondo di questa nazione moralmente, culturalmente ed economicamente alla frutta. Il consenso, del resto, oggi si conquista così: non applicando rimedi al declino, ma riproducendo – in grande, al centro di un elaborato apparato scenico che oggi comprende fessbook e compagnia – le urla, la rabbia e il gran stridore di denti dei protagonisti attivi e passivi di quello stesso declino. Gli elementi base di questa rappresentazione sono talmente noti che è quasi inutile elencarli: lo sguardo malevolo dell’italiano appena si mette in strada al mattino, il sarcasmo rivolto sempre ai più deboli, la violenza non solo verbale, l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro, l’indisponibilità ad occupare la zucca con qualcosa di diverso dalle pulsioni primarie, di produrre un pensiero, eccezion fatta, ovviamente, per il calcio, che impegna tutta la scarsa capacità di astrazione dell’italiano medio. E poi l’arroganza ridicola di chi, non avendo mai avuto il coraggio di guardarsi allo specchio della storia, si crede superiore a tutto il resto del mondo. Cos’è, in fondo, il sovranismo, se non la sommatoria delle singole arroganze, della vanagloria di tanti individui, generalmente i peggiori che una nazione possa esprimere? Ed è in virtù del grave disturbo narcisistico – o “delirio narcissico”, come lo chiamava Gadda in Eros e Priapo quasi ottant’anni fa – da cui è affetta la maggior parte degli italiani che Salvini, conclusa la tournèe, lasciati gli arenili e indossata la cravatta, può passare all’incasso senza il timore di finire sputazzato dal pubblico, come accadrebbe in una piega dello spazio-tempo meno bizzarra della nostra. No, il pubblico finora pare aver gradito molto l’interpretazione e probabilmente, tra ottobre e novembre, consegnerà al suo idolo il ruolo di capocomico. Chi davvero crede che questa sceneggiata si possa ancora chiamare “politica” non tarderà a “disegnare scenari” o a “individuare responsabilità”, guardando all’interno del ceto politico. Si interrogherà sulle sorti dei casaleggesi, sul futuro di Giggino, tra mandati zero e mandati meno uno, sul possibile nuovo partito di Renzi, sulla soddisfazione di Zingaretti che finalmente potrà far sloggiare i renziani ancora in Parlamento, su Berlusconi che ancora ci crede – non si bene a che cosa, ma Silvio ancora ci crede. Peccato che tutta questa roba non sia più politica, ma commedia. Gli Italiani adorano la commedia. Amavano essere ritratti dalla ferocia di un Risi o di un Monicelli, li divertiva vedersi nei panni di qualche pícaro moderno con la faccia di Sordi o di Gassman. Riuscivano se non altro a ridere di loro stessi. Oggi che la politica è morta e la commedia dai teatri e dai cinema si è trasferita nei palazzi del potere, gli Italiani non ridono più, ringhiano. A ottobre inizierà dunque la nuova stagione teatrale e metà del Paese già ringhia di felicità all’idea di poter assistere allo spettacolo di un Salvini ancora più tronfio – difficile a credersi – e finalmente dotato di “pieni poteri”. Ciò che apprezzeranno in particolare – anche se ancora non lo sanno – sarà il suo potere di «far venire giù il teatro». In senso non figurato. Auguri a tutti e occhio al soffitto.

Da - https://www.glistatigenerali.com/partiti-politici/te-lo-meriti-matteo-salvini/
Registrato
Admin
Administrator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 30.929



Mostra profilo WWW
« Risposta #33 inserito:: Settembre 25, 2019, 12:53:07 pm »

L’INTERVISTA
Intervista a Salvini: «Mai con i Cinque Stelle. Pauperisti»
Il leader della Lega: «Al Veneto subito un ministro e l’autonomia. E Zaia sta bene dove sta»

Di Marco Bonet

Parla con i modi e i toni del premier incaricato. Non «ruspe» ma «convergenze programmatiche». Giacca e cravatta più che felpa e cappuccio. «In questa fase ho il dovere di ascoltare tutti - spiega Matteo Salvini - anche il Pd, anche la Boldrini, se serve all’Italia». Secondo alcuni osservatori è lui il vero vincitore delle ultime elezioni. Più di Luigi Di Maio, visto che il Movimento Cinque Stelle è vissuto finora immerso in uno splendido isolamento mentre la Lega, alla testa di una coalizione in cui per quanto malconcio c’è ancora il «moderato» Berlusconi, potrebbe diventare il perno di una nuova maggioranza parlamentare. Complicata, certo. Ancora tutta da definire. Eppure Salvini sembra ottimista, «energizzato» da risultati in qualche caso al di sopra delle più rosee aspettative. Come in Veneto, dove la Lega ha triplicato i suoi voti rispetto al 2013, da 310 a 912 mila, dal 10,5 al 32%.

«Un risultato straordinario. Sapevo che saremmo andati bene, me lo sentivo, ma neanch’io speravo in una fiducia così enorme. Sondaggisti, opinionisti, intellettuali non avevano capito niente, in Veneto come nel resto d’Italia. Giornali e telegiornali ci hanno oscurato, esistevano solo Renzi e Berlusconi, Di Maio e la Bonino... Io mi sono fatto ventimila chilometri in campagna elettorale e questo, gliel’assicuro, aiuta a capire il Paese. Il Veneto poi, l’ho girato davvero in lungo e in largo».

Veramente qui si è sempre detto che il centrodestra, con la Lega in testa, avrebbe fatto cappotto. Quel che stupisce è semmai il distacco inflitto dal Carroccio agli avversari e agli alleati. Forza Italia è al 10%, ha perso 8 punti, 250 mila voti. L’emorragia degli azzurri, che di sicuro non aiuta la coalizione, la preoccupa? «A me interessa che il centrodestra sia la prima coalizione d’Italia e sia ampiamente avanti in Veneto e Lombardia. Il mio avversario non è all’interno ma all’esterno, è Renzi e, in questo senso, “missione compiuta”. Poi una volta possiamo far meglio noi, una volta Forza Italia. Alla fine si governa insieme, siamo una squadra e lo stiamo dimostrando anche in Regione».

Potrebbe nascere il partito unico del centrodestra? «Mannò, un passo alla volta. Abbiamo raccolto 12 milioni di voti, farò di tutto per andare al governo e dimostrare d’essermi meritato la fiducia che ci è stata data. Oggi mi preoccupo solo di questo».

Se andrà al governo concederà l’autonomia al Veneto? «È un tema centrale per noi. Abbiamo preteso e ottenuto che venisse inserito nel programma di tutto il centrodestra e non vedo l’ora di incontrare di nuovo Zaia e Fontana (il neoeletto presidente della Lombardia, ndr.) per dargli concretezza. Da leghista, lo sa qual è il bello? Che ora l’autonomia me la chiedono pure la Puglia e la Campania».

A un leghista della prima ora sarebbe venuta l’orticaria. Davvero si può dare l’autonomia a chiunque la chieda? Non si rischia l’effetto «autonomia per tutti, autonomia per nessuno»? «No, no, piano. Mica sto dicendo che tutti possono diventare come il Trentino. A ciascuno l’autonomia che gli spetta, secondo capacità, con la giusta gradazione. Nei prossimi cinque anni possiamo fare quel che non è stato fatto negli ultimi venti, l’Italia può diventare finalmente un Paese efficiente, moderno, federale, dove le risorse e la politica sono più vicine ai cittadini. Questo non lo vogliono più soltanto i veneti, adesso anche al Sud l’autonomia viene percepita come un’opportunità e non come un pericolo. E difatti sarà una delle prime riforme che metteremo in cantiere in parlamento».

Magari anche con l’aiuto dei Cinque Stelle, da sempre favorevoli. Un motivo in più per fare un governo assieme, no? «Mai nella vita, quella dell’alleanza Lega-M5S è una fake news, un’invenzione surreale come la caccia al Salvini razzista, fascista e nazista che spaventa i bambini. No. Io rispetto il voto ai Cinque Stelle perché l’elettore ha sempre ragione. Però è un voto di assistenza, pauperista. Il voto alla Lega, invece, è il voto della gente che lavora. Ovviamente in Veneto e in Lombardia ma anche al Sud, le persone che ci hanno votato sono quelle che in campagna elettorale mi hanno detto: io non voglio stare a casa a non fare niente, voglio studiare, lavorare, produrre. Io e Di Maio abbiamo due idee di Italia diverse: per lui è l’assistenzialismo del reddito di cittadinanza; per me è il rilancio e lo sviluppo della flat-tax».

E con il Pd potreste mai governare? «Ho letto anche questa, i giornalisti sono sempre fantasiosi. Di un accordo di governo, di partito, non se ne parla proprio, neanche col Pd. Poi chiaro, io ho un mio programma, sono a capo del partito che guida la coalizione più votata dal Paese, ho l’aspirazione di diventare presidente del Consiglio... ho il dovere di ascoltare tutti, scherziamo? Abolizione della legge Fornero, tassa unica al 15%, legittima difesa, stop all’immigrazione: chi ci sta, ci sta».

Per i dem qui è stata una debacle. Lei come se la spiega? «Hanno promesso troppo, non hanno mantenuto e, giustamente, sono stati puniti. Io me lo ricordo Renzi, qualche anno fa, accolto in Veneto come il Messia Salvatore dagli industriali. Evviva, applausi. Ma se poi le tasse aumentano, la burocrazia si complica con iniziative come il Codice appalti, l’immigrazione diventa un problema serio, le banche crollano - e a proposito, quella sulle banche sarà una delle prime direttive Ue che chiederò a Bruxelles di abolire - è chiaro che finisci male, a Treviso come a Pisa, dove infatti abbiamo fatto quattro parlamentari dopo che mai nella storia avevamo vinto alcunché. Se freghi la gente, la paghi cara. Poi secondo me c’è stato anche qualche problema di comunicazione...».

In che senso? «Beh, noi stavamo in piazza e al mercato, loro facevano la marcia antifascista e lanciavano allarmi sulle ingerenze russe e Trump...».

Gli industriali, però, continuano a guardarvi con sospetto. E lunedì sono partite note allarmate da pressoché tutte le categorie. «In alcune associazioni, e non mi riferisco solo a Confindustria, i vertici sono totalmente scollegati dalla base, ci sono presidenti che quando parlano rappresentano a malapena loro stessi, figuriamoci gli iscritti. Il 94% delle aziende, in Italia, ha meno di 9 dipendenti e il Veneto è l’esempio migliore di questo tessuto produttivo. Io voglio pensare a loro, dopo che per anni Renzi e Confindustria si sono preoccupati solo della Fiat e degli altri “grandi”».

Ma se davvero intende mettere i dazi, scatenando una guerra commerciale, il Veneto lo ammazza perché qui si esporta per 60 miliardi l’anno. «Non sono matto, i dazi si mettono se sono utili a difendere le nostre aziende, penso al settore del riso, altrimenti no. Io voglio solo un Paese dove sia più facile fare impresa e lavorare. Quindi non solo via la legge Fornero ma via pure lo spesometro, subito».

In questi giorni di stallo post voto sono riprese con insistenza le voci su «Zaia premier», il «volto buono della Lega» utile a sedurre i moderati. Lui è sbottato: «Basta tirarmi la giacchetta, sennò si strappa». Lei si sente insidiato? «Luca lo sento tutti i giorni, è l’amico con cui ho parlato di più prima e dopo il voto, una delle persone migliori che abbia non soltanto la Lega ma l’Italia. So che gli piace portare a termine il lavoro, una volta iniziato, e mi pare che sull’autonomia ci siano fior di cantieri aperti... So che vuole restare in Veneto e fa bene perché sta scrivendo la Storia della sua Regione. In futuro, vedremo».

Nel governo Salvini ci sarà posto per un ministro veneto? «Ovviamente sì, è scontato. Non faccio nomi e cognomi ma ho già qualche idea per due settori che mi stanno parecchio a cuore, la scuola e l’agricoltura. Ripeto: andiamo avanti un passo alla volta. Ma il Veneto ci sarà».

7 marzo 2018 (modifica il 7 marzo 2018 | 19:54)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

   Da - https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/politica/18_marzo_07/salvini-chiudeai-cinque-stellepauperisti-d0fe0e7a-21d3-11e8-84bd-43213e8c5574.shtml?intcmp=exit_page
Registrato

Admin
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #34 inserito:: Gennaio 03, 2020, 09:14:53 pm »

Meno poteri per Bossi. Cosa cambia nella Lega
13:13, 21 dicembre 2019

Di Federica Valenti
Il congresso federale ha approvato un nuovo statuto, che prevede la possibilità di cedere il simbolo ad altri movimenti politici. Bossi: "Se Salvini lo vuole, dovrà raccogliere le firme"

Il congresso federale della Lega Nord ha approvato il nuovo statuto del movimento fondato da Umberto Bossi nel 1991.
Rispetto al testo precedente (che risale al 2015), le principali modifiche riguardano il ruolo di Bossi e la possibilità scritta nero su bianco, che il consiglio federale conceda il simbolo ad altri movimenti politici. Il Senatur rimane presidente a vita del Movimento che fece nascere (federando tutti i soggetti politici autonomisti 28 anni fa).
"Salvini vuole avere la possibilità di avere il simbolo della Lega ma dovrà raccogliere le firme", ha puntualizzato Bossi nel suo intervento al congresso federale della Lega Nord. Il simbolo della Lega Nord, il guerriero Alberto da Giussano, è patrimonio del consiglio federale del movimento e non di 'Lega Salvini premier' che però l'ha utilizzato alla scorse europee.
Al congresso della Lega Salvini bacchetta gli assenti (tra cui c'è Maroni)
Chi comanda se si dimette il segretario?
Bossi resta "garante dell'unità della Lega Nord", ma gli viene tolta la possibilità di "assumere i poteri e le competenze del consiglio federale" in caso di dimissioni del segretario e di "convocare entro 120 giorni il congresso straordinario degli organi elettivi".
In caso di dimissioni del segretario, viene quindi introdotta una nuova figura, quella del "commissario federale con pieni poteri" che gestisce la transizione verso il congresso. Altra funzione che viene tolta alla presidenza federale, e quindi a Bossi, è quella di rappresentare l'ultima istanza cui possono fare "ricorso in appello" i padri fondatori che vogliano contestare eventuali provvedimenti disciplinati. Il presidente rimane comunque un componente del comitato disciplinare e di garanzia, organo cui spettano le deliberazioni in questi casi.
Dallo statuto scompare tutta la parte relativa alle sezioni provinciali, che dovrebbero passare al nuovo soggetto nazionale 'Lega Salvini premier' fondato nel 2017, mentre un'altra modifica riguarda la scadenza degli organi elettivi: il segretario e il consiglio federale non saranno in carica più solo tre anni, come introdotto da Roberto Maroni, nel 2012, ma cinque.
Viene poi messa nero su bianco la possibilità - già realizzata, peraltro, alle scorse Europee con Lega Salvini premier - che il consiglio federale conceda "l'utilizzo, anche per fini elettorali" del simbolo "ad altri Movimenti politici, le cui affinità con gli obiettivi di Lega Nord sono rimesse alla valutazione" del massimo organo esecutivo del partito.
La struttura del vecchio Carroccio ne esce poi ' 'dimagrita': scompaiono, tra gli altri organismi, la segreteria politica (una sorta di doppione del consiglio federale, usato, in passato, sostanzialmente soltanto da Maroni), e il responsabile federale organizzativo.

Rimane, invece, la parte in cui si afferma che la "Lega Nord tutela le minoranze, ove presenti, e, a tal fine, garantisce la presenza con diritto di parola e di voto in seno al consiglio federale al candidato alla carica di segretario federale che risulti il primo dei non eletti" (resta anche la parte in cui, in seguito a due assenze, anche non consecutive, in consiglio, si perde questo diritto). Curiosa la IV postilla alle disposizioni finali, in cui si delibera che "fino allo svolgimento del successivo congresso federale, il segretario federale, su conforme delibera del consiglio federale, ha il potere di modificare la sede della Lega Nord".
Se avete correzioni, suggerimenti o commenti scrivete a dir@agi.it

Da - https://www.agi.it/politica/congresso_lega_bossi_simbolo-6777722/news/2019-12-21/
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #35 inserito:: Gennaio 03, 2020, 09:16:03 pm »

LA TRASFORMAZIONE DELLA LEGA: IL PARTITO NAZIONALE È SERVITO

PAOLO NATALE - 22 dicembre 2019
   
Sono passati trent’anni giusti giusti dal primo vero congresso dell’allora Lega Lombarda, tenutosi a Segrate appunto nel dicembre del 1989. Io c’ero, impegnato a cercare di capire meglio cos’era quel nuovo fenomeno politico, mentre stavo preparando il primo studio un po’ più rigoroso uscito in Italia sulla Lega, insieme a Biorcio, Diamanti e Mannheimer. Ricordo ancora, tra le proposte di Bossi, quella che fu salutata con una vera ovazione da parte del pubblico presente: l’abolizione della bolla d’accompagnamento!

Già presente in Lombardia dal 1983, sulle orme della Liga Veneta, soltanto verso la fine degli anni Ottanta il movimento di Bossi stava riuscendo ad imporsi in maniera significativa come valida alternativa ai partiti tradizionali, molti dei quali sarebbero praticamente scomparsi di lì a poco, complici le indagini di Mani Pulite, lasciando ampio spazio elettorale alla nascente Lega Nord, frutto degli accordi con le altre leghe delle regioni settentrionali.

Le parole d’ordine dell’epoca, come ci ricordiamo, erano sostanzialmente di due tipi, il primo molto simile a quelle che sarebbero poi state riprese dal Movimento 5 stelle, contro la deriva di solo auto-conservazione delle forze politiche “romane”, il secondo tipo che concerneva l’attuale logica salviniana, quella della contrapposizione tra amico-nemico. Solo che allora il nemico era il meridione (“Roma ladrona”), oggi i nemici sono l’Europa da una parte e lo straniero dall’altra. Parole d’ordine dunque già all’epoca molto simili all’odierna impronta di stampo marcatamente populista.

Da questo punto di vista, le logiche di fondo della proposta politica non sono dunque cambiate in maniera significativa. Sono invece due gli aspetti drasticamente mutati. Il primo è la collocazione della “Lega per Salvini premier”: allora l’idea era quella di abbandonare la tradizionale dimensione destra-sinistra, per porsi oltre (“in alto”, diceva lo stesso Bossi), per acquistare consensi un po’ in tutte le precedenti aree politico-ideologiche, tanto è vero che D’Alema definì la Lega Nord con la famosa affermazione di “costola della sinistra”. Oggi il suo posto è chiaramente accanto ai partiti di centro-destra, se non addirittura di destra.

Il secondo decisivo mutamento è, accanto all’abbandono del Nord come punto di riferimento elettorale, per diventare un partito nazionale, il contestuale abbandono dell’idea federalista che aveva caratterizzato tutta la storia leghista, da Bossi a Miglio, in favore della Nazione nel suo complesso, dell’unità nazionale “contro” i due nemici descritti poc’anzi. E le radici cristiane, così sovente richiamate da Salvini, sono quindi il necessario legame alla tradizione dell’Italia intera.

Sembra essere allora nato anche formalmente, nel congresso di sabato 21 dicembre con il nuovo Statuto, un soggetto politico che, pur utilizzando alcuni stilemi comunicativi propri della vecchia Lega Nord, cerca di riposizionarsi in maniera piuttosto differente da quella antica Lega bossiana. Un esperimento politico che sta dando i suoi frutti elettorali sperati. Almeno finora.

Da - https://www.glistatigenerali.com/partiti-politici/la-trasformazione-della-lega/
Registrato
Pagine: 1 2 [3]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!