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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 317642 volte)
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« Risposta #660 inserito:: Marzo 05, 2017, 10:53:59 pm »

Aristotele e Cavour, cosa serve a costruire uno Stato
"Per fare un passo avanti seguiamo il Manifesto di Spinelli, la politica economica di Mario Draghi e quella valoriale di Veltroni"

Di EUGENIO SCALFARI
05 marzo 2017

PARLERÒ in questa mia nota domenicale del tema della corruzione, connesso alla questione che sta investendo Matteo Renzi, la sua famiglia, i suoi amici e una parte del suo partito e per conseguenza anche la pubblica opinione. Non stupitevi se comincio con Aristotele, allievo polemico di Platone e a sua volta educatore di Alessandro il Grande alla corte di Filippo il macedone.

Aristotele scrisse molto e molti di quegli scritti andarono perduti, ma altri ne sono rimasti. In uno di essi parla dell'uomo di natura sociale che in quanto tale si distingue dagli animali e così dice: "L'uomo è politico ed è quella la sua caratteristica dominante. Il suo intelletto è di costruire lo Stato che è l'ente più perfetto. Una volta che lo Stato sia stato costruito, entra in gioco la potenza degli individui e delle loro famiglie ".

Questa è la dottrina aristotelica: la politica e lo Stato sono i requisiti positivi dell'uomo che Aristotele distingue dall'individuo e dalla sua famiglia. La distinzione probabilmente allude ad una classe politica che opera per la collettività ma che poi, quando ragiona da individuo si mette all'opera per impadronirsi di alcuni settori dello Stato e utilizzarli a vantaggio proprio e della sua famiglia. I partiti nascono così e comincia la corruzione. Così pensava Aristotele, che nacque e morì nel III secolo a.C.; probabilmente già a quell'epoca erano nati i partiti ed anche la corruzione che consiste soprattutto nell'uso del potere a proprio personale vantaggio.

Lo statista invece, usa la sua potenza a vantaggio del popolo, cioè di tutti e dello Stato che tutti ci rappresenta. Nella storia dell'Italia moderna l'esempio più positivo fu quello di Cavour ed è proprio quell'esempio che ho più volte suggerito a Renzi di studiare a fondo per farne il fondamento della sua vita politica. Naturalmente ce ne sono stati molti altri oltre Cavour ma sono comunque personaggi eccezionali. Senza di loro la corruzione non avrebbe alcun limite.

In realtà la corruzione c'è dovunque, in tutto il mondo. E dovunque ci sono associazioni che campano sulla corruzione propria e altrui, le mafie e le clientele paramafiose. Non credo che l'Italia sia il Paese più corrotto. Ci sono le Americhe, c'è la Russia pre e post comunista, c'è il Medio Oriente, la Cina, l'India, i Balcani, la Turchia, l'Africa e l'Australia.

Ma l'Italia non è seconda a nessuno anche perché lo Stato nel nostro Paese è nato molto tardi e dunque il potere si è sempre identificato con quello degli individui e delle loro anime italiane o straniere. Siamo arrivati al punto che settori dello Stato sono corrotti e questo è il punto massimo della corruzione. C'è un poeta italiano di metà Ottocento, Giuseppe Giusti, che è diventato tra i più validi sul tema della corruzione, come lo fu pochi anni prima Gioachino Belli. Questi scriveva in romanesco, ma si equivalgono. Leggeremo qualche verso del Giusti, ci servirà a capire meglio ciò che oggi sta sempre più avvenendo.

Dal Brindisi di Girella: " Viva Arlecchini E burattini, E birichini; Briganti e maschere D'ogni paese, Chi processò, chi prese e chi non rese. Viva Arlecchini E burattini, E teste fini; Viva le maschere D'ogni paese, Viva chi sa tener l'orecchie tese. Quante cadute Si son vedute! Chi perse il credito, Chi perse il fiato, Chi la collottola E chi lo Stato. Ma capofitti Cascaron gli asini; Noi valentuomini Siam sempre ritti, Mangiando i frutti Del mal di tutti “.
***
Oggi ci si domanda se è attendibile chi espone i fatti. Il padre di Matteo Renzi? Il suo amico e segretario Lotti, ministro dello Sport nel governo Gentiloni, che avrebbe avvertito l'amministratore delegato della Consip delle "cimici" elettroniche? Il padre dell'attuale sottosegretaria Boschi ex vicepresidente di Banca Etruria?

Non sto a fare l'elenco, l'ha già scritto ieri compiutamente con le drammatiche conseguenze Ezio Mauro e oggi non c'è niente di nuovo salvo una comparsata di Renzi nella trasmissione della Gruber. Rispondendo alle domande di Tommaso Cerno, direttore dell'Espresso, Matteo Renzi ha detto che non ne sa nulla degli affari di suo padre, che lo ritiene innocente di ogni reato di corruttela attiva o passiva, ma se la magistratura lo ritenesse colpevole lui chiederebbe una doppia punizione, una come risarcimento dello Stato e l'altra come suo risarcimento personale. La medesima doppia punizione a carico eventuale del suo amico Lotti, che a lui è sempre stato fedele e di sicura onestà.

Per queste risposte i grillini stanno studiando l'ipotesi di un voto di sfiducia nei confronti di Lotti, che tuttavia, qualora la sfiducia passasse, forse metterebbe in crisi anche il governo favorendo in tal modo il desiderio di elezioni immediate che i 5 Stelle chiedono ogni giorno. Su questa questione vale la pena di spendere qualche parola. Il presidente della Repubblica, qualora i 5 Stelle decidessero di votare la sfiducia a Lotti e con loro anche la Lega di Salvini, i "Fratelli d'Italia" della Meloni e probabilmente anche una parte dei senatori berlusconiani, dovrebbe accettare non soltanto le dimissioni di Lotti ma anche quelle dello stesso Gentiloni. È possibile una soluzione del genere? Credo di no. Anzitutto in Senato il voto di sfiducia dei 5 Stelle e alleati non raggiunge la maggioranza. Ma qualora la raggiungesse sarebbe Lotti a doversi dimettere ma non il governo Gentiloni. Se lo facesse appagherebbe il desiderio di elezioni immediate dei grillini e questo è un ottimo motivo per non farlo.

Per quanto riguarda il governo Gentiloni comunque, vale la pena di esaminare più da vicino il modo come fu composto. Il presidente Mattarella aveva invitato Renzi a proseguire nell'incarico governativo, ma Renzi rifiutò: preferiva occuparsi soltanto del partito e semmai chiedere dopo qualche mese un voto anticipato. Quanto a Gentiloni, fu Renzi a suggerire al Capo dello Stato di dare al suo ministro degli Esteri l'incarico di governare e Mattarella accettò. I ministri furono designati da Gentiloni d'accordo con Mattarella e furono naturalmente quasi tutti provenienti dal Pd del quale Gentiloni è attualmente l'esponente principale. Alcuni di essi gli furono suggeriti da Renzi: sicuramente Lotti e probabilmente anche Elena Boschi. Naturalmente Gentiloni accettò ma conferì a Lotti il ministero dello Sport; quanto alla Boschi in un certo senso la declassò da ministro delle Riforme quale era ai tempi di Renzi a sottosegretario della Presidenza, senza portafoglio.

Ricordo questi particolari perché è interesse dello Stato e di tutti i cittadini consapevoli che il governo Gentiloni arrivi fino al 2018, quando la legislatura scade e le Camere si sciolgono automaticamente. In questo periodo l'attuale governo può far molto, direi che deve far molto con più energia ed efficacia di quanto di buono ha già fatto. Gli resta uno spazio di oltre un anno che richiede una politica sociale ed economica del genere di quella che Mario Draghi incoraggia; un rafforzamento dell'Europa come continente federato e non confederato e una politica dell'accoglienza che nei modi più adatti limiti l'immigrazione accogliendo però in modi idonei l'arrivo di rifugiati e di stranieri che chiedono diritto d'asilo.

Voglio dire a questo punto che quando Renzi si presenterà come un capopartito alle elezioni del 2018 (sempre che sia lui a vincere le primarie e il congresso) io seguirò con molto interesse la sua politica. Gentiloni speriamo che abbia già fatto tutto quel che poteva per migliorare la situazione interna e la posizione internazionale del suo governo, ma a Renzi resteranno comunque compiti estremamente importanti. Per quanto riguarda la politica interna economica e sociale dovrà modificare gli errori a suo tempo commessi, sempre che non li abbia corretti Gentiloni. Per quanto riguarda la politica europea il contributo italiano sarà estremamente necessario poiché non basta certo un anno a risolvere una situazione confusa e tutt'altro che rafforzata. Su quella materia il governo Renzi si è già comportato - a mio giudizio - con molta decisione e con alcuni risultati positivi, ma c'è ancora moltissimo da fare. Per quanto riguarda i temi in gioco posso indicarli con una sola parola: Ventotene.

Naturalmente il problema di Renzi e di tutti gli italiani è se vincerà alle elezioni sempre che sia lui a guidare il partito. Sul nostro giornale di ieri ci sono i risultati di un sondaggio molto accurato di Ilvo Diamanti. Da esso risulta che i 5 Stelle sono due punti sopra al Pd. È tuttavia molto probabile, anzi quasi certo, che gli ex dissidenti interni del Pd che sono ormai usciti dal partito e ne hanno fatto un altro, riscuotono in questi primi giorni della loro esistenza il 4 per cento. Se come è molto probabile si alleeranno al Pd l'alleanza si troverebbe due punti sopra ai 5 Stelle, ma la cosa potrebbe crescere molto di più se la nuova legge elettorale prevedesse coalizioni e nel caso specifico la coalizione comprendesse non soltanto i Dp ma anche tutti gli altri gruppi della sinistra che arrivano a circa il 10 per cento. Sarebbe quello che Walter Veltroni si è augurato nell'intervista pubblicata qualche giorno fa dal nostro giornale e ha già manifestato nel suo intervento all'Assemblea del Pd: l'alleanza dell'intera sinistra democratica. Questo porterebbe la sinistra molto vicina al 40 per cento. Sarebbe una vittoria clamorosa che assicura la governabilità soprattutto se nella riforma delle legge elettorale il premio previsto attualmente del 40 per cento fosse ridotto intorno al 35. Governabilità e al tempo stesso rafforzamento della democrazia parlamentare visto che la legge elettorale ha come fondamento il principio proporzionale che accresce la rappresentatività del Parlamento.

Guardo con molto interesse a questa possibile soluzione e riassumo i risultati che, se raggiunti, rappresentano un notevole passo avanti della nostra Patria italiana ed europea. Europa unita, sinistra unita e forte in un Continente diventato

Stato. Seguiamo dunque il Manifesto di Spinelli, la politica economica di Mario Draghi e quella valoriale di Veltroni. E l'insegnamento di Aristotele: lo Stato europeo da costruire, il potere delle clientele paramafiose da distruggere. Questo è il risultato che mi piace sognare.

© Riproduzione riservata 05 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/05/news/aristotele_e_cavour_cosa_serve_a_costruire_uno_stato-159787585/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P4-S1.4-T1
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« Risposta #661 inserito:: Marzo 13, 2017, 12:34:40 pm »

Demagogia e carisma, così Renzi andrà al voto nel 2018
Nel suo discorso l'ex premier si è soffermato sul partito. E sull'esigenza di passare dall'io al noi

Di EUGENIO SCALFARI
12 marzo 2017

BISOGNA chiedersi soprattutto due cose dopo aver letto ciò che Matteo Renzi ha detto venerdì al Lingotto di Torino: la validità della linea politica da lui esposta e la sua capacità, e la sua volontà di attuarla. La mia terza domanda è la seguente: se sarà Renzi a vincere le primarie o uno dei suoi avversari: Emiliano e Orlando. La risposta a questa terza domanda dà la vittoria di Renzi a dir poco al 60 per cento. Quanto alle altre precedenti sono da affrontare con molta attenzione avendo ben chiara la personalità del protagonista, i suoi precedenti, la compattezza del gruppo dirigente del Pd. Accingiamoci dunque a questo lavoro.

***

L'esordio riguarda il luogo storico dove il Partito democratico è nato: dieci anni fa con la guida di Walter Veltroni che a distanza di pochi mesi affrontò le elezioni e ottenne quasi il 35 per cento dei voti, una cifra leggermente maggiore di quella avuta a suo tempo da Enrico Berlinguer dopo il suo distacco definitivo dal potere sovietico. Veltroni aveva fondato un partito che con il comunismo non aveva più niente a che vedere e lo definì un partito riformatore che è diverso dal termine riformista perché non riforma l'esistente ma fonda una realtà politica diversa e nuova, aggiungendo a quella definizione l'aggettivo di maggioritario come vocazione. Renzi ha ben presente la globalizzazione che ormai è in pieno sviluppo e condiziona quindi il mondo intero.

Non solo quello occidentale che ci riguarda più da vicino. Il vero problema di questo mondo è il recente arrivo al potere negli Stati Uniti d'America di Donald Trump, un personaggio tutto anomalo nella politica Usa, conseguenza del crescente mutamento della società del maggior impero attualmente esistente che con Trump democraticamente eletto ha messo in luce l'odio di massa contro l'establishment, contro le crescenti diseguaglianze sociali ed economiche e perfino contro l'immigrazione che è stata da cinque secoli il fenomeno che ha creato le Americhe, sia quella del Nord sia quella del Sud. Un fenomeno del tutto diverso ma di analoga importanza è avvenuto in Europa, che è stata la culla della civiltà: l'Europa - che ha creato ed esportato la civiltà occidentale - ha vissuto in continue lotte e guerre da millecinquecento anni: interessi diversi e contrapposti tra le nazioni, diversi linguaggi, diverse etnie, diverse culture; un continente diviso al suo interno e tuttavia madre degli imperi occidentali: quello inglese, quello francese, quello germanico, quello spagnolo. Imperi militari, economici, culturali. Per quanto riguarda l'Italia, non è più stata, dopo la caduta di quello romano, un impero militare e coloniale, ma culturale sì, lo è stato sempre, e perfino nel costume. Questa è la nostra storia e quella del continente di cui facciamo parte ma che è l'unico che non abbia ancora realizzato la sua unità. La sua attuale imperfezione consente ad una sorta di contropotere di guadagnare terreno a vantaggio del populismo che anche da noi odia l'establishment (che peraltro se lo merita) ma che è un populismo retrogrado, antiliberale e antidemocratico, derivante tuttavia dal malanno reale dell'aumento delle diseguaglianze sociali ed economiche.

***

Ovviamente Renzi su questo antefatto storico non poteva diffondersi, sicché non è certo che ne sia consapevole, ma della realtà che esso ci ha lasciato sì, è consapevole ed è la materia prima che ha delineato. Sull'Europa si è intrattenuto fin dall'inizio, sostenendo che occorre assolutamente rafforzarla soprattutto nella politica economica che deve molto più puntare sulla crescita ed anche sulla struttura economica affinché sia contemporaneamente unitaria e flessibile, contando soprattutto sull'eurozona con l'introduzione di un ministro delle Finanze unico (auspicato ancor prima di lui da Mario Draghi) che peraltro non ha mai nominato nel suo discorso. Poi si è soffermato sull'immigrazione, chiedendo anche qui una politica europea unitaria sia per le quote di accoglienza sia per il contenimento dei flussi migratori nelle terre d'origine dove occorre riportarli o evitare che fuggano, trattando con i governi africani le condizioni sociali ed economiche dei fuggitivi che affrontano la morte pur di sottrarsi ad una vita impossibile da sostenere. Ha esposto il ruolo italiano di Paese fondatore che come tale va considerato principalmente nella sua situazione di Paese mediterraneo che fronteggia la costa africana e mediorientale, sconvolta dalle guerre in Siria e da una Turchia sempre meno europea e sempre più dittatoriale. Infine ha rimpianto Obama con grande affetto per la sua politica. Della politica di Trump non ha parlato ma il rimpianto per Obama è significativo in proposito. Fin qui la politica internazionale ma il nucleo del discorso è stato la situazione interna del nostro Paese. "Bisogna dare una linea al nostro partito" ha detto, "una linea e una strategia".

La linea è quella di passare dall'io al noi. La strategia è quella di far crescere l'occupazione. "Non assistenza ma lavoro". Naturalmente l'assistenza dei poveri va ampiamente praticata, per i meno abbienti anche, ma per loro si entra nella politica fiscale contro le diseguaglianze. Sono necessari investimenti pubblici e privati, italiani ma anche europei, di adeguata intensità. Infine il partito. Aveva già detto di voler passare dal tu al noi. Li ha chiamati compagni, ma queste sono novità formali anche se non prive di un voluto significato. La struttura deve basarsi sull'aspetto territoriale, sui circoli, sulla base del partito e tenerne conto. Insomma un partito profondamente democratico come lo è nel nome, ma ancora poco nella realtà. Credo che su questo punto avrebbe dovuto ammettere che la responsabilità è pienamente sua, ma di questo suo errore non ha fatto alcuna ammissione.

Il nucleo del discorso è però un altro: il partito deve avere la natura di una forza politica di centrosinistra dove la parola sinistra abbia di gran lunga prevalenza. La sinistra nel suo complesso è variamente rappresentata anche da piccole formazioni, ma quella vera che ne è il cuore deve essere ed è il Partito democratico che deve rappresentare i bisogni, i diritti, le speranze del popolo. È il popolo che costruisce il partito e il Pd lo rappresenta, ma non è un partito di pochi che rappresentano i molti, al contrario è o deve essere un partito di molti che lo sostengono e lo votano perché ne sono la struttura portante. La formula dal tu al noi vale all'interno del partito ma anche, anzi soprattutto, all'esterno tra partito e popolo sovrano. Ci sono molte altre cose nel discorso di Renzi ma questi mi sembrano i punti fondamentali.

***

Ad alcuni osservatori e colleghi il discorso non è piaciuto o hanno avanzato molte riserve pensando soprattutto al passato di Renzi, a cominciare dallo "Stai sereno" il giorno stesso in cui pugnalò Enrico Letta suo predecessore. E poi ai tre anni durante i quali fece molti interventi politici ed economici alcuni dei quali profondamente sbagliati. Molte di queste critiche le ho condivise e in alcuni casi sono stato il primo a formularle. La principale si è poi vista allo scorso referendum, non tanto perché puntava sul sistema monocamerale che anzi era da condividere ma per la legge elettorale che configurava una Camera "nominata" più che eletta e quindi un trasferimento del potere effettivo nelle mani dell'Esecutivo cioè nelle mani di Renzi e del suo "Giglio" di berlusconiana memoria.

Questo è il passato e la natura di solito non cambia. Del resto in molti Paesi europei (quasi tutti) il monocamerale è in atto ed anche chi comanda è il Capo dell'esecutivo. In una società ormai pienamente globale i problemi sono estremamente complessi e debbono essere rapidamente risolti. La democrazia è dunque ormai relegata ma tutelata dalla separazione dei poteri. Queste riflessioni assolverebbero Renzi, pur restando ferme le riserve su alcuni aspetti della sua politica. Ma ci sono altre riserve da formulare. Le mie riguardano soprattutto la demagogia. La natura di Renzi contiene una dose notevole di demagogia, che si accompagna spesso al carisma. Quest'ultimo d'altra parte è pressoché indispensabile per far emergere una leadership, perfino nelle attività ed opere culturali di vario genere, ma in politica è pressoché indispensabile.

Questa comunque è la mia riserva, ma complessivamente il discorso lo considero positivo. Vedremo ora come si svilupperà, fermo restando una buona notizia: il governo Gentiloni resterà in carica fino alla scadenza della legislatura l'anno prossimo. Di voto a breve termine non si parla più e questo è un risultato molto positivo per il Paese.

© Riproduzione riservata
12 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/03/12/news/demagogia_e_carisma_cosi_renzi_andra_al_voto_nel_2018-160341018/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #662 inserito:: Marzo 23, 2017, 10:55:31 am »


Il mio grande amico Reichlin e le nostre cene dei cretini
Il fondatore di "Repubblica" racconta il politico scomparso. "Addio, eri il più comunista e il più democratico"

Di EUGENIO SCALFARI

L'avevamo battezzata, Alfredo ed io, la cena dei cretini, che da almeno tre anni aveva luogo in un ristorante romano di buon livello, non sempre lo stesso. I membri titolari di quella cena erano oltre noi due anche Fabiano Fabiani e Luigi Zanda ciascuno con le proprie mogli. Ognuno di noi naturalmente poteva invitare altri comuni amici o figli e questo secondo ciclo, figli a parte, erano cretini di complemento, la serie B: Andrea Manzella, Lorenzo Pallesi, Gianluigi Pellegrino e suo padre quando era a Roma.

Cretini. Ma perché c'era venuta in mente quella parola attribuita a noi stessi e perché mi viene in mente per prima, insieme a una montagna di ricordi questo che è il più cretino del mondo? Era la consapevole descrizione di persone fortemente interessate alla politica e alla propria professione: uomo politico, avvocato, magistrato, docente. Ma nessuno di loro (di noi) aveva mai pensato al proprio interesse. L'interesse generale, quello sì; lo Stato in quanto suo tutore. La distinzione era netta tra l'interesse generale e quello particolare, che doveva essere tutelato anch'esso, ma solo con le forze proprie e comunque doveva cedere di fronte agli ideali, ai valori ed anche alla eventuale conflittualità con quello dello Stato.

Si può conciliare il generale e il particolare, ma c'è chi lo fa con sagacia, nel senso cioè che quella conciliazione è furbesca e procura comunque qualche vantaggio, qualche influente amicizia che al bisogno una mano te la dà. Il cretino della nostra definizione invece è in questo caso ingenuo, sincero, leale con gli altri ed anche con se stesso. Insomma non si è posto un problema contraddittorio che per la sua natura non c'è. Ma per ironizzarlo e divertirmici sopra usiamo la parola cretini, anziché onestamente ingenui. Era anche onestà, non soltanto nella vita pratica ma anche in quella intellettuale. È probabile che questo mio racconto venga preso in giro e sia origine di sfottimenti di vario genere, più o meno diffamatori. Comunque a noi cretini la diffamazione ci sfiora ma non ci tocca. E tantomeno ci ferisce.
***
Quello che fin qui ho raccontato riguarda questi ultimi anni della mia amicizia con Alfredo, ma essa è molto più antica. Cominciò nei primi anni Cinquanta attraverso Luigi Pintor il quale era molto attivo, comunista politicamente e dotato di grande estro musicale e pianistico. Suonava con la stessa passione e grande tecnica strumentale il pianoforte. L'avevo conosciuto casualmente ed ero stato affascinato dal suo ruolo di pianista. Alfredo lo conosceva e frequentava in quanto compagno comunista ed anche lui gradiva le sue suonate e fu lì il nostro primo incontro.

Capii subito che Alfredo era un comunista "sui generis", più di sinistra degli altri ma al tempo stesso democratico e costituzionale. Popolare. Amico del proletariato, ma contrario ad ogni rivoluzione che in nome dell'eguaglianza abbandoni la libertà dei singoli, del loro modo di pensare e di agire. Per lui il comunismo e l'eventuale sua rivoluzione potevano essere necessarie per completare le libertà borghesi con la libertà sostanziale del proletariato. Le libertà borghesi, cioè, erano indispensabili perché fanno competere e vanno scambiate per privilegi, ma dovevano essere comunque appaiate alla libertà proletaria e alla sua forza di accedere al potere. Un potere pieno ma democratico. Una democrazia che inventava la sua struttura iniziale: non erano i pochi che comandavano i molti, ma i molti che attraverso il potere ottenevano le finalità volute a favore del proletario, ma al tempo stesso tutelavano la libertà e la difesa dei propri legittimi interessi particolari, non di classe ma di persona e di famiglia.

Questa nel Pci era la tesi sostenuta da Pietro Ingrao e questa fu con chiarezza, ma anche con senso di appartenenza alla rivoluzione sovietica e alla sua potenza internazionale e quasi imperiale, la "doppiezza" di Togliatti, segretario (cioè capo) del Pci, ma anche membro del Comintern e poi del Cominform, organi internazionali del movimento comunista.

Togliatti era le due cose insieme. La sua doppiezza in quegli anni fu preziosa al Pci perché non lo chiuse nel ghetto di un partito che pensava e proponeva soltanto la rivoluzione. Del resto ripeteva quanto era stato stabilito al Congresso di Lione molti anni prima, dall'influenza del pensiero di Gramsci, e soprattutto quanto avevano detto e scritto Marx ed Engels nel 1948, quando le rivoluzioni borghesi scoppiarono nell'Europa intera contro le monarchie e i loro poteri assoluti. Insomma, un ritorno alla Rivoluzione francese dell'Ottantanove, poi sostituita dal "terrore" di Robespierre, dal potere assoluto del Direttorio e poi di Napoleone. Questa storia finisce con la restaurazione del potere monarchico assoluto che ritornò in pieno dopo il Congresso di Vienna gestito da Metternich.

"Marx - mi diceva Alfredo - non avrebbe mai voluto una rivoluzione comunista in Russia per il semplice fatto che la Russia non era una potenza industriale che produce oltre al profitto anche una massa di operai. Era invece un paese latifondista abitato soprattutto da contadini che non a caso alcuni grandi scrittori come Gogol chiamavano "anime morte". In Russia le liberà borghesi non esistevano, quindi non esisteva la democrazia e non poteva evolversi con il comunismo marxista".

Così la pensava Reichlin e così la pensava Togliatti, ancor più in questa direzione si svolgeva il pensiero e la posizione politica di Terracini. Diversa era quella di Amendola, il più democratico di tutti in Italia, ma il più leninista e poi staliniano in Urss. Amendola cioè estremizzava la sua democrazia italiana compensandola con il suo stalinismo russofobo.

Alfredo era seguace della doppiezza di Togliatti e del popolarismo di Ingrao. Conoscendo i miei sentimenti verso il movimento di "Giustizia e Libertà" derivanti dal Partito d'Azione, mi esortava a votare comunista ora che il Partito d'Azione di fatto non esisteva più, anche se la sua cultura politica era molto diffusa. Di fatto io votavo per il Partito repubblicano finché Ugo La Malfa ne fu il capo, ma quando morì cominciai a votare comunista. Questo coincise con l'emergere di Berlinguer e dei suoi primi strappi contro il potere sovietico.

Ricordo ancora una cena a casa di Alfredo, una casa della cooperativa dei giornalisti, in una serata quasi estiva. Alfredo, che era un bel giovane alto, snello e forte, aveva da poco sposato Luciana Castellina, fisicamente bellissima e politicamente molto impegnata nelle associazioni universitarie di sinistra e poi nel Pci come partito rivoluzionario. Lei altre domande non se le poneva, rivoluzionaria, punto e basta. Infatti col passar degli anni ci fu una rottura e i rivoluzionari a cominciare da Luciana uscirono clamorosamente dal partito e ruppero anche con Ingrao che entro certi limiti era con loro, e fondarono Il manifesto.

Tutto questo accadde dopo. La cena di cui parlo avvenne molto prima, esattamente nel giugno del 1957. Aggiungo che l'Espresso era già nato nell'ottobre del 1955 e nel gennaio del '56 fece la sua comparsa il Partito radicale, fondato dal gruppo dirigente dell'Espresso e del Mondo di Mario Pannunzio. Di quel partito io ero stato nominato vicesegretario.

Queste le premesse che determinarono la nostra cena cui ho accennato. Era molto ristretta e, come mi aveva avvertito Alfredo, riservata. C'erano i padroni di casa (soprannominati da tempo "i due belli") c'era Togliatti con la sua compagna Nilde Iotti e io con mia moglie Simonetta.

A tavola su domanda di Luciana che voleva sentire da Togliatti come e dove aveva trascorso gli anni di guerra, Togliatti rispose: a Mosca in un albergo. E da quel momento parlò e raccontò quei tre terribili anni, tra il 1939 e il '42 con le truppe tedesche a quaranta chilometri da Mosca, circondata con soltanto pochissimi varchi lungo il fiume. Ogni tanto gli facevamo qualche domanda e lui rispondeva, chiariva, completava. Insomma un racconto affascinante, personalizzato da un protagonista politico che lo stesso Stalin trattava per quello che era. Poi su sollecitazione di Alfredo, raccontò anche quando era uno dei comandanti degli armati comunisti a Barcellona durante la guerra di Spagna e ricordò, con un certo imbarazzo, la strage degli anarchici i cui volontari erano anch'essi a Barcellona per arginare le truppe di Franco che assediavano la città. I comunisti e gli anarchici convissero per qualche tempo ma poi scoppiò una vera guerra interna e gli uomini guidati da Togliatti, quando lui era tornato a Mosca, fecero strage degli avversari.

Alla fine, dopo aver brindato e mangiato il tradizionale dolce "montebianco" (lo ricordo ancora) ci trasferimmo nel piccolo salotto con le signore in un lato e i tre uomini dall'altro.

Io su indicazione di Alfredo sedetti in poltrona, lui su una sedia e Togliatti per parlarmi vicinissimo sedette su un pouf, posizionandolo quasi attaccato alla poltrona. Lì compresi finalmente la ragione di quella cena, quando Togliatti mi domandò che cosa fosse e che cosa si proponesse di fare il nostro Partito radicale. Debbo dire che mi sentii assai lusingato da questo suo interesse e risposi: eravamo dei liberali di sinistra, alcuni di noi volevano aprire verso i socialisti, altri, la maggioranza, si consideravano alleati di Ugo La Malfa e dei suoi repubblicani.

"Ho capito - commentò Togliatti - siete una specie di succursale intellettuale dei contadini romagnoli gestiti da La Malfa. L'alleanza con i socialisti è un po' più anomala". Ma lei, gli dissi io, non è favorevole a questa spinta più a sinistra? "Certo certo", rispose lui. "Forse non hai capito bene", interloquì Alfredo. "A noi interessa che i radicali operino in quanto tali e La Malfa va benissimo come punto di congiunzione. I socialisti di Nenni hanno molto più seguito popolare e con essi non potete fare un'alleanza ma di fatto finirete dentro quel partito senza alcuna funzione autonoma da manifestare. Che vantaggio c'è non solo per voi ma per il Paese?". Intervenne Togliatti: "I socialisti sono nostri alleati, certamente rappresentano, sia pure in modo alquanto diverso, una sinistra marxista e nei momenti fondamentali siamo uniti a tutti gli effetti. Ma un partito liberale di sinistra in Italia non c'è e soltanto il vostro per piccolo che sia marca e sottolinea una posizione che interpreta la parte migliore della classe borghese, quelle famose libertà borghesi che in Italia già ci sono ma sono ancora deboli e fragili.

Chi è in grado di rafforzarle non tanto con i numeri degli elettori ma con il sostegno intellettuale e politico dei valori delle libertà borghesi è il benvenuto anche per noi. Spero di essermi spiegato ". Chiarissimo, risposi io. E la conversazione finì lì.

Di racconti analoghi ne potrei fare molti. Dirò soltanto che quando Berlinguer scomparve, gli subentrò Natta (e Tortorella) ma Natta durò poco e il Pci dovette porsi il problema del nuovo segretario. Era già nata Repubblica e io sostenni che a quel posto andasse Reichlin. Il quale mi telefonò per dirmi che stavo sbagliando. Lui sapeva già che il congresso votava Occhetto e che probabilmente lui avrebbe cambiato il nome del partito. Farà senz'altro bene, mi disse Alfredo, ma lui, Alfredo, non l'avrebbe mai fatto ancorché fosse persuaso che quella era la soluzione necessaria. Quindi la facesse qualcun altro ma lui quell'iniziativa non l'avrebbe mai presa pure approvandola.

Questo è stato Alfredo. Un politico bravo ed efficiente ma soprattutto un custode di valori e ideali a favore dei poveri, dei deboli, degli esclusi. La politica è stata la sua passione ma con difficoltà ad effettuare interventi a favore dei suoi ideali. A me talvolta ricorda in questi ultimi tempi papa Francesco e gliel'ho detto. "Ma che sei matto? " mi ha risposto Alfredo. Questo avvenne un paio di volte durante la cena dei cretini. Lì ci incontrammo l'ultima volta un mese e mezzo fa. Poi si ammalò e adesso ci ha lasciato soli, almeno me.

© Riproduzione riservata
23 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/cultura/2017/03/23/news/il_mio_grande_amico_reichlin_e_le_nostre_cene_dei_cretini-161179504/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
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« Risposta #663 inserito:: Aprile 03, 2017, 08:52:23 pm »


La missione di Gentiloni e la divina modernità di Francesco

Il pontefice non cessa di stupirci. Con le sue parole che confermano, insieme all'immutabile ed anzi crescente fede in Dio, il suo approccio ad un Dio unico che è il tutto

Di EUGENIO SCALFARI
02 aprile 2017


NON CI SONO molte novità nella politica italiana ed europea rispetto alla scorsa settimana. Resta una gran confusione e una rabbia sociale profonda, largamente vistosa e diversamente motivata in tutto l'Occidente, cioè in America oltreché in Europa. In Usa la popolarità di Donald Trump è scesa dal 70 al 40 per cento. Il Venezuela è addirittura sull'orlo della guerra civile. In Messico la resistenza contro il muro di Trump cresce giorno dopo giorno.

Noi italiani non stiamo meglio degli altri. La rabbia c'è anche da noi, ma il sentimento dominante è l'indifferenza. Il 40 per cento del corpo elettorale non voterà, il che significa un 20 per cento in più dell'astensione normale. Ma a questa cifra aggiungete un altro 20 per cento di chi vota per i Cinque Stelle, che seguono quel movimento solo perché non sanno per chi altri votare, ma l'astensione mi sembra una scorrettezza istituzionale.

Questa situazione è ormai vecchia di almeno quattro anni, ma se ad essa aggiungiamo i vent'anni dominati dal berlusconismo, arriviamo a un quarto di secolo d'un Paese dove la democrazia è diventata una farsa. Anche la Prima Repubblica aveva i suoi malanni, ma non erano così acuti ed erano beneficiati da elementi di progresso. Soprattutto il sistema era sostanzialmente bipolare e le elezioni avvenivano sempre con il sistema proporzionale.

Si parla oggi contro quel sistema come se fosse il culmine di una sciagura, ma non è affatto così. La proporzionalità è il sistema più consono alla democrazia. Certo obbliga ad alleanze tra un partito principale ed altri minori per contrastare un altro partito maggiore ed altri minori: blocchi contrapposti, questo non è tripolarismo.

È possibile che il Movimento Cinque Stelle rappresenti anch'esso una visione politica e consenta quindi alleanze con altri gruppi? Allo stato dei fatti no, non è possibile perché i grillini non vogliono e non sono in grado di proporre alleanze. Ne deduco che la nostra democrazia è profondamente ammalata di tripolarità per la semplice ragione che la tripolarità è incompatibile con il cosiddetto popolo sovrano, che esiste soltanto se è uniforme nei suoi obiettivi. Se è segmentato in cento o mille posizioni non è sovrano, è una poltiglia politica che anticipa lo sbocco alla dittatura.

In Italia, allo stato delle cose, esiste come elemento positivo soltanto il governo Gentiloni. Formalmente è un governo del Pd, ma sostanzialmente gode di un'autonomia che sarebbe tanto più proficua se il partito che lo sostiene non fosse capitanato da un leader che vuole tornare a guidare il Paese appena possibile. Questo crea una duplicità impropria tra il governo del Pd e il leader di quel partito. Direi che si tratta di un'assoluta rivalità che infatti trucidò (questo è il verbo più appropriato) il governo di Enrico Letta, che era uno dei capitani del Pd. Renzi però aveva conquistato la leadership del partito. Pazientò tre mesi e poi fece fuori Letta. Vedete come tutto torna.

Oggi la situazione è pressoché analoga: Renzi ha favorito la nascita del governo Gentiloni per riprender fiato dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Adesso che il fiato l'ha ripreso e il partito è di nuovo nelle sue mani Gentiloni dovrebbe esser pronto a cedere il posto quando Renzi deciderà, ma sarebbe un tragico errore perché se Gentiloni accetta di esser un burattino nelle mani di un burattinaio, il suo sarebbe un governo fittizio. Ma non mi pare che Gentiloni abbia accettato questo ruolo. E noi, popolo sovrano, che cosa dobbiamo volere? Se vogliamo essere popolo sovrano dobbiamo volere che chi ha il compito costituzionale governi. Possono ed anzi debbono esserci partiti all'opposizione del governo, questo è logico. Ma non il burattinaio che tiene i fili.

Gentiloni non accetta e questo è positivo purché governi con efficienza e purché abbia la maggioranza dei voti. Quando verrà a mancare, chieda la fiducia del Parlamento sapendo che tutti i partiti d'opposizione voteranno contro o si asterranno. Che faranno i renzisti in quel caso? Si asterranno anche loro o addirittura voteranno contro?

Ovviamente Gentiloni in quel caso cadrà ma il renzismo altrettanto perché il popolo sovrano non consentirebbe una barbarie di quella fatta.

Perciò Gentiloni governi con la massima efficienza e la massima indipendenza fino al termine della legislatura. A quel punto i giochi si riapriranno in un modo istituzionalmente corretto e ciascuno è libero di giocare la sua partita con una legge elettorale che non può che essere sostanzialmente proporzionale.

***

Questa premessa politica era dovuta, ma il tema che in questo momento voglio trattare è di tutt'altra natura. Riguarda papa Francesco che non cessa di stupirci. In questi giorni ha affrontato argomenti e ha pronunciato parole che confermano, insieme all'immutabile ed anzi crescente fede in Dio, il suo approccio ad un Dio unico che è il tutto. Un Dio che ha una sua natura della quale noi, sue creature, scopriamo sempre nuovi aspetti contrastanti con quelli finora noti. Li scopriamo, anzi è Francesco che li scopre o li modernizza perché è il Dio in cui crede che lo ispira a scoprirli, oppure è la sua autonomia individuale che lo mette in grado di aggiornare la Chiesa che gli è stata affidata o infine li scopre perché il Creatore è multiforme e siamo noi che ne inventiamo alcuni aspetti di quella multiformità? Da non credente quale sono, ma proprio per ciò affascinato da questo Papa rivoluzionario, propendo per una continua attività pastorale di Francesco che ci descrive un Creatore del quale le sue creature ne intravvedono le sembianze man mano che il tempo passa e cambia gli uomini, li riporta all'antico visto con occhi moderni o al moderno con occhi antichi o nella visione di un mondo nuovo. Ricordo che una volta, un paio d'anni fa quando cominciai a frequentarlo, gli dissi: "Ma il Tempo non è Dio?". E lui mi rispose: "Non ha un nome. Lei lo può chiamare Tempo, ma che cosa cambia?". "Cambia - risposi - perché il Tempo è dentro di noi e quindi è immanente e non trascendente". "Anche Dio è dentro di noi. Una scintilla divina è in ciascuno di noi. Da questo punto di vista dovremmo dire che Dio è immanente? Dio, dice la Bibbia e la catechesi, ci creò a sua immagine e somiglianza. Noi siamo le sue creature e come tali dotate anche di libero arbitrio. Sta dunque a noi di scegliere tra quello che consideriamo il Bene e quello che sappiamo essere il Male. Le creature sono libere. Se seguono il Male la loro anima si autoannulla. Il demonio fa parte del libero arbitrio. Tra i tanti poteri e i tanti limiti, le creature sono libere di autoannullarsi. Questa è la profonda differenza tra la creatura umana e le altre. La creatura umana vede se stessa mentre pensa, opera, fa il bene altrui e quindi il proprio, oppure il male altrui e quindi sempre anche il proprio. Questo è il libero arbitrio".

Mentre papa Francesco parlava e le sue parole le ricordo adesso che le ricostruisco, mi viene in mente un libro scritto alla fine del Cinquecento da Étienne de la Boétie, che morì tra le braccia di Montaigne e scrisse un libro fondamentale intitolato Discorso sulla servitù volontaria e là constatò con queste parole: "Come è possibile che tanti uomini non sopportino un tiranno che non ha forza se non quella che essi gli danno? Siate risoluti a non servire più e sarete liberi". E allora - dice Francesco: "Scegliete il bene del prossimo che è anche il vostro ed allora la vostra anima sarà benvoluta da Dio che vi ha creato a sua immagine e somiglianza". Étienne non era un credente anche se politicamente stava con i cattolici e non con gli ugonotti, ma questa è la politica e non religione. Esortava alla libertà. È divina la libertà? Io credo di sì, la libertà è un salto dell'uomo che esce dall'animalesco e vede se stesso. Credente o non credente, questo tipo di libertà è divino. Facciamone buon uso.

***

Sua Santità sta preparando il nono incontro mondiale delle famiglie cattoliche che avrà luogo a Dublino nell'agosto dell'anno prossimo. Nella lettera che ha scritto al cardinale Farrell che è il prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, dice le seguenti parole: "L'amore di Dio è il suo "Sì" a tutta la creazione e al cuore di essa che è l'uomo. E l'impegno di Dio è per un'umanità tanto spesso ferita, maltrattata e dominata dalla mancanza d'amore. La famiglia pertanto è il "Sì' del Dio Amore. Senza l'amore non si può vivere come figli di Dio, come coniugi, genitori e fratelli. Ogni giorno facciamo esperienza di fragilità e debolezza e per questo tutti abbiamo bisogno d'una rinnovata natura che plasmi il desiderio di formarci, di educarci ed essere educati, di aiutare ed essere aiutati e di integrare tutti gli uomini di buona volontà. Sogno dunque una Chiesa che annunci Dio Amore che è la Misericordia".

Ma poi, nella Messa a Santa Marta di giovedì scorso, Francesco parla di Dio da un'altra angolazione: parla di un Dio deluso. Ma può essere deluso Dio? Il Papa cita un passo dal libro dell'Esodo e ricorda la captività di quel popolo in Egitto e poi il suo ritorno nella terra promessa varcando a piedi il Mar Rosso e la legge di Dio dettata a Mosè ma il popolo che lo segue a fatica si stanca e fabbrica un vitello d'oro che è il suo nuovo dio. La conclusione di Francesco è questa: "Dimenticare Dio che ci ha creato, ci ha fatto crescere, ci ha accompagnato nella vita, questa è la delusione di Dio di fronte a quanto è accaduto. Ma la sorpresa sarà che Lui sempre ci aspetta come il padre del figliol prodigo che lo vide venire da lontano perché lo aspettava".

In questi stessi giorni il cardinale Scola, che ha accompagnato il Papa nel giorno passato a Milano tra un milione e mezzo di persone, ha scritto che viviamo in una società post-moderna e post-cristiana e che questo è il lavoro del Papa: di adeguare la Chiesa alla modernità rinnovando la fede in un Dio creatore operante nella modernità per saldarla con una fede che adotta un linguaggio moderno entrando in tal modo nei cuori e stringendoli al Bene.

L'ho detto e scritto già molte volte: dopo Agostino d'Ippona, un Papa così non s'era mai visto.

© Riproduzione riservata
02 aprile 2017

http://www.repubblica.it/politica/2017/04/02/news/la_missione_di_gentiloni_e_la_divina_modernita_di_francesco-161977382/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-L
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« Risposta #664 inserito:: Aprile 16, 2017, 06:06:40 pm »

Questa Pasqua anche per gli atei si chiama Francesco
Il Papa ha creato una nuova definizione del Dio unico: il Dio Amore

Di EUGENIO SCALFARI
16 aprile 2017

LA PASQUA cristiana, anzi soprattutto cattolica, dovrebbe essere ricordata dai mezzi di informazione di tutti i Paesi nei quali quella religione è storicamente la principale. Se si considerano anche le varie sette più o meno scismatiche ma sempre nate tutte da un tronco comune, il solo tema che si impone su tutti gli altri è questo della Pasqua. Sempre che sia affrontato criticamente.

L’aspetto critico si esercita anzitutto sulla geografia religiosa poiché la religione cattolico- cristiana è nata in Palestina. Da lì si è variamente diffusa sulle coste mediterranee ma poi è Carlo Magno — e con lui tutte le grandi famiglie regnanti dell’epoca — che ha fatto di quella religione l’elemento unificante dell’Europa e dell’Occidente. In molte terre d’Oriente il cristianesimo non esisteva se non come un’eco remota; le religioni erano diverse, spesso erano dei “totem”, talvolta delle filosofie in vario modo mitizzate. Le linee d’incontro-scontro seguivano più o meno l’area dell’impero creato da Alessandro Magno alcuni secoli prima. Lì il cristianesimo era noto, lì il vecchio Padre di Mosè e del Sinai si scontrava con le mitiche divinità tribali, sulla linea di confine del Caspio e dell’Eufrate. L’uomo moderno prende corpo nella mitologia di Esiodo e poi nella grande famiglia degli Olimpici. Quella è la prima religione che la civiltà ellenica consegnò nei secoli a quella romana.

A partire da Costantino e poi sempre di più nacque la religione di Gesù Cristo e dei suoi apostoli. Secoli dopo sulle stesse terre sacre di Gerusalemme emerse Maometto il profeta che predicò Allah come Dio e Abramo come capostipite di una gente. Quella figura è il punto di storica congiunzione tra il popolo ebraico e quello cristiano.

Tre religioni sono a questo punto esplose e hanno non più famiglie di dèi ma ciascuna un proprio Dio che in realtà è l’unico delle tre religioni monoteistiche che papa Francesco vuole riunificare nella fratellanza. E unificare protestanti, anglicani, ortodossi, luterani, valdesi.

In questa geografia quanto mai dinamica si innesta un tema molto moderno; geograficamente riguarda soltanto l’Occidente, ma vedremo che in altre forme anche l’Oriente ne è percorso e turbato. Si chiama ateismo religioso e indifferenza e/o anticlericalismo.

È un fenomeno che coincide con l’epoca della modernità. Lo si può chiamare, come abbiamo già detto, in vari modi, ma la sua vera diversità sta nelle sue mitologie originarie. Questo è veramente il nodo del problema, mai così attuale come in questa domenica di Pasqua del 2017. Con papa Francesco all’opera, il Califfato islamico in guerra con l’Islam e con l’Occidente, cristiano o non cristiano che sia; la Turchia che conduce un triplo gioco; Donald Trump che ha (lucidamente o casualmente?) compiuto un giro di boa ed ora ha imboccato una strada in cui né noi né lui conosciamo i possibili sviluppi. E infine la Francia, la Germania e l’Italia che vivono nell’attesa di pochi giorni (Francia) e di pochi mesi (Germania, Italia) di campagne elettorali decisive.

Di questi aspetti della questione dobbiamo discutere, storicamente, filosoficamente, socialmente, politicamente. Dovrei aggiungere religiosamente, ma mi sembra inutile visto che uno degli attori di queste vicende è Francesco, Papa e Vescovo di Roma.

Ha dato al nostro giornale pochi giorni fa una lunga intervista al collega Rodari sul suo incontro con i carcerati. Ha ricevuto mercoledì il nostro editore Carlo De Benedetti con il nostro direttore Mario Calabresi che gli hanno offerto un’opera d’arte di raro pregio in segno di attenzione. Da parte mia mi onora da tre anni in qua della sua amicizia pur sapendo (ed anzi proprio per questo) che io non credo in Dio. Dunque è Francesco il protagonista di questa Pasqua che riguarda e coinvolge anche Lui.

***

L’Occidente, specialmente in Europa ma non soltanto, è fortemente lacerato. Non da pochi anni ma da un secolo, il ventesimo che non è stato affatto un secolo breve come molti pensatori hanno sentenziato, ma al contrario particolarmente lungo. Anzi: Ottocento e Novecento, dal punto di vista del pensiero e delle azioni che ne conseguono fanno tutt’uno. Il 1848 fu una seconda grande Rivoluzione, dopo la prima Rivoluzione moderna del 1789. La terza avvenne a Pietroburgo e in tutta l’immensa Russia nel 1917 e ripresentò il Manifesto di Marx e di Engels di settant’anni prima. Lenin, dopo il viaggio in treno dalla Francia alla Finlandia e di lì nella capitale dove il partito bolscevico prese la guida politica invadendo il “Palazzo d’Inverno”, imprigionò lo Zar e la sua famiglia, si ritirò dalla guerra fin lì combattuta contro la Germania.

Tre grandi Rivoluzioni politiche, ma anche ideologiche: visioni del mondo che col tempo vengono attuate. Queste tre Rivoluzioni hanno attuato la modernità, ma il seme che ha fruttificato diventando col tempo un albero e poi una foresta, fu gettato nella terra d’Europa molto prima. La storia che ha inizio nel mondo di allora è datata 1492 con la scoperta dell’America ma in realtà il seme fu gettato a terra affinché fruttificasse agli inizi del Rinascimento italiano con una rivoluzione che in quel caso non cominciò con un movimento politico e popolare ma con una profonda e graduale trasformazione artistica e religiosa.

La modernità nacque in Italia e in campo artistico Giotto fu il primo nella pittura mentre il grande maestro culturale, religioso e perfino politico fu Dante. Dopo di lui come poeta e politico venne Petrarca e poi Boccaccio. Pittura ed arti figurative culminarono con Michelangelo, Leonardo, Raffaello, Mantegna. Ma il vero inizio della modernità in tutta Europa è segnato da Michel de Montaigne e nel campo religioso da Lutero e la sua Riforma con le 95 tesi affisse sulle porte delle chiese luterane. In quell’epoca stessa nacque l’Ordine dei Gesuiti, voluto da Ignazio di Loyola.

Questo nel pensiero, nella scienza, nel costume, nelle arti è il seme della modernità. Non avviene certo solo in Italia e anzi, politicamente parlando, perde ogni suo potere. Tuttavia il Rinascimento è totalmente italiano e segna la graduale uscita dal Medioevo. Questa è la modernità. Sarà forse un caso (la storia ne abbonda) ma il 23 aprile dello stesso anno morirono insieme, senza essersi mai conosciuti) Miguel de Cervantes e William Shakespeare. Anche qui due nomi sovrastano tutti gli altri: Don Chisciotte della Mancia e Amleto. Pochi nomi ai quali vanno aggiunti quello di Machiavelli, di Galileo e di Giambattista Vico. La modernità raggiunge il culmine ma non accade che il culmine sia presto abbandonato e ne cominci la decadenza. Al contrario il culmine dura a lungo: cominciò col Rinascimento del Quattrocento e durò fino all’Illuminismo del Settecento: tre secoli nei quali la trasformazione resta al suo massimo livello, soggetta tuttavia a lotte continue e guerre armate per la conquista del potere e del suo rafforzamento. Guerre continue, eserciti e bande mercenarie sulle terre e sui mari il cui centro non è più soltanto il Mediterraneo ma l’Atlantico, i galeoni spagnoli, le flotte inglesi e francesi, i corsari, i pirati, la conquista europea del continente americano, del Sud e del Nord.

Nel campo del pensiero comincia quel movimento che fu chiamato Illuminismo, con Diderot, Voltaire, Rousseau, d’Holbach e l’Encyclopédie in Francia, e Adam Smith, Hume, Ricardo in Inghilterra. Goethe fu al centro, portò avanti l’Illuminismo con Cartesio da un lato e Kant dall’altro. Poi a metà strada il Romanticismo che saldò il secolo illuminista con l’Ottocento.
Papa Francesco tutte queste storie le conosce, che io sappia fanno parte della sua cultura giovanile, del suo noviziato e poi della sua missione nell’ambito della Compagnia gesuita e infine come Vescovo in permanente missione. Un giorno ricordo d’avergli chiesto se aveva visto il film Mission. Mi sembra di ricordare che l’avesse visto e ne avesse tratto una serie di riflessioni che comunque collimano con la funzione del suo successivo pontificato.

L’idea e il programma che quell’idea comporta è quella da lui predicata ogni giorno e più volte al giorno e si concreta nei seguenti temi: Gesù e i suoi apostoli dopo la crocifissione e il Resurrexit si sono identificati con il sostegno dei poveri, degli esclusi, dei deboli. Interi popoli sono condizionati da queste situazioni. A Lui non importa chi abbia una fede religiosa oppure nessuna. Meritano comunque il sostegno fisico e spirituale della Chiesa Missionaria, la sola in cui ha riposto tutta la sua energia, il suo appoggio e la sua identificazione.

Recentemente ha addirittura creato una nuova definizione del Dio unico che è la “novella” di sua Santità: lo chiama Dio Amore. Non s’era mai sentita questa definizione; gli attributi consueti li conosciamo da tempo e descrivono soprattutto la potenza del Creatore: Onnisciente, Onnipotente, Onnipresente, Eterno. Ama tutto il creato e l’uomo in particolare, che fu creato a sua immagine e somiglianza. L’Amore è uno degli infiniti modi con i quali Dio si manifesta, ma non è il solo. L’amore è un flusso reciproco tra Dio e l’umanità.

Francesco introduce un mutamento apparentemente marginale ma in realtà estremamente profondo: il Dio Amore è un flusso di sentimenti tra il Creatore e le creature. È quella scintilla di Divino che c’è in tutte le anime; l’immanenza di una divinità trascendente che dovrebbe indurre Francesco a beatificare Spinoza e la sua descrizione che parlò dell’immanenza del trascendente. O beatificare Pascal che seguì lo Spinoza e anche Giansenio. Atti di questa importanza sarebbero un passo decisivo verso i laici, gli atei, gli indifferenti che abbondano ormai nella società e la alimentano verso il progresso del mondo moderno. Se Francesco vuole rafforzare la Chiesa Missionaria, credo sia questa la strada da perseguire. Il Dio Amore che altro può fare se non equiparare se stesso alle anime da lui create? Non è su questa strada che le religioni possano affratellarsi con conseguenze anche politiche, facendo vincere il binomio “Amore e Pace” su quello opposto e finora sempre vincente di “Potere e Guerra”?

La modernità è l’estremo confronto tra queste due soluzioni. In una società moderna e globale questi due binomi sono decisivi su come si atteggerà il mondo intero, quello dei ricchi e quello dei poveri, quello dei forti e quello dei deboli, che deve trasformarsi (questo è il nostro auspicio e quello di Francesco) in un potere benevolo e in un odio per il sopruso, la menzogna, la scelta consapevole del male.
Il male fa parte del libero arbitrio, della libertà insidiata e asservita al Demonio del quale spesso accarezziamo la coda.

Dunque, carissimo Francesco, il Creatore ha creato anche il Demonio, come è scritto nel libro sapienziale di Giobbe e in quello dell’Ecclesiaste. Gli atei hanno nella mente che il vero Creatore sia il Caos, nel quale l’energia liberata dalla morte affluisce e dal quale nascono incessantemente nuove forme che hanno in sé una scintilla di caos, cioè le contraddizioni che ogni creatura contiene e l’Io che porta dentro di sé. Se si spengono le contraddizioni c’è il regno dell’Amore, se non si vincono resta l’odio caotico che spegne la Vita.
© Riproduzione riservata 16 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/16/news/questa_pasqua_anche_per_gli_atei_si_chiama_francesco-163117335/?ref=RHPPLF-BL-I0-C8-P1-S2.2-T1
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« Risposta #665 inserito:: Aprile 18, 2017, 08:40:56 am »

Scalfari, "Piero Ottone, la nostra vecchia amicizia divenuta sempre più forte nonostante il Corriere

Di EUGENIO SCALFARI
18 aprile 2017

PIERO Ottone negli ultimi mesi e soprattutto negli ultimi giorni aveva voglia di andarsene dalla vita e alla fine se ne è andato. In certi casi la morte è una liberazione e questo è stata per lui. Non credo avesse un male preciso, un dolore che lo tormentasse, ma una crescente stanchezza di vivere e un'attesa crescente di "Sora nostra morte corporale". E così è avvenuto. Siamo stati grandi amici e di questa amicizia ho ancora freschi ricordi. Uno soprattutto che produsse una svolta nella sua vita. Lo ricordo benissimo perché riguarda personalmente anche me. Quando decidemmo, Carlo Caracciolo ed io, di fondare Repubblica Piero era già da anni direttore del Corriere della Sera. L'aveva voluto Giulia Maria Crespi che possedeva in quell'epoca un terzo delle azioni del Corriere. Un altro terzo l'aveva un suo parente affine (cioè non consanguineo) e un altro ancora Gianni Agnelli.

La Crespi non era certo di sinistra, anzi era una conservatrice, ma molto liberale e aveva capito che Ottone era appunto un liberale di prima scelta, perciò chiamò Piero: perché giudicava che il movimento sessantottino aveva cambiato profondamente i giovani e quindi doveva essere trattato con il dovuto riguardo. Piero corrispose pienamente a questa strategia editoriale della Crespi e accettò l'incarico. Il primo e più rilevante cambiamento riguardò l'atteggiamento del Corriere verso i comunisti. Fino a quel momento il giornale milanese parlava di loro non come avversari politici ma come gente che non ha diritto di occuparsi di politica. Come se fossero come belve di un giardino zoologico da chiudere in gabbia.

La grande riforma di Ottone fu proprio questa. "I comunisti non sono animali, non hanno la coda. Noi li avversiamo politicamente ma nulla di più. Hanno doveri e diritti come tutti gli altri". Quest'atteggiamento scontentò parecchi lettori tradizionali del Corriere ma procurò molti lettori nuovi e la vendita complessiva aumentò. Anche noi, che pubblicavamo da molti anni il settimanale l'Espresso manifestammo pubblicamente la nostra approvazione e la nostra amicizia aumentò.

La fondazione di Repubblica però creò una inevitabile concorrenza, anche perché io avevo pubblicamente manifestato l'obiettivo estremamente ambizioso di raggiungere e possibilmente superare entro quattro o cinque anni il Corriere. In un'epoca in cui le vendite del Corriere erano mediamente di 700mila copie e in certe occasioni arrivavano addirittura ad un milione. Si trattava dunque d'un programma difficilmente realizzabile. Piero comunque mi telefonò facendomi molti auguri ed entrambi ci confermammo che la nostra amicizia non sarebbe minimamente cambiata. Le vendite di Repubblica arrivarono a 70mila copie ma lì si fermarono per due anni; i nostri sforzi di superare quella quota non ebbero alcun effetto.

Ogni tanto con Piero ci incontravamo quando andavo a Milano e i rapporti tra noi non cambiavano. In un incontro Piero mi disse: "Mi permetto di dirti che l'obiettivo che ti eri proposto di arrivare al nostro livello di vendite non lo raggiungerai. Il suggerimento che ti do è quello di chiudere Repubblica. Puoi dire che hai fatto un esperimento e che adesso ci vuoi pensar sopra per fare delle modifiche di carattere strategico-editoriale e poi si vedrà. Questo mi pare un modo elegante di uscire da un esperimento che eventualmente potrai in futuro ritentare". Forse hai ragione, gli risposi, ma voglio aspettare ancora qualche mese. A fine anno se sarò ancora a questo livello di vendite seguirò il tuo consiglio. Ebbene, le cose andarono diversamente. Cominciò la mattanza delle Brigate rosse, di fronte alle quali Repubblica prese un atteggiamento durissimo. Il partito comunista di Berlinguer, che nel frattempo aveva decisamente rotto con la Mosca stalinista, si alleò con la Dc contro le Br e noi diventammo il giornale di quell'alleanza. Il Corriere fu molto più cauto e nel frattempo avvenne addirittura un cambio della proprietà: di fatto il proprietario divenne, tramite un prestanome, il Banco Ambrosiano il cui direttore era un affiliato della P2, una loggia massonica di corrotti e di mascalzoni. Il Corriere cominciò a perder quote di vendita e noi a guadagnarne. Ma indipendentemente da questo fenomeno, quando Ottone si accorse della P2 decise immediatamente di dimettersi dal Corriere. La Mondadori, che aveva il 50 per cento delle azioni di Repubblica ed era quindi un nostro socio con una forte amicizia personale che ci legava da entrambe le parti, offrì a Ottone una posizione molto importante nel suo consiglio d'amministrazione e Piero venne quindi anche con noi e ci dette non solo il suo lavoro di amministratore d'un azionariato comune ma anche quello di giornalista sul nostro giornale. Tutto proseguì fino a qualche tempo fa, quando il desiderio di morire e la fatica insopportabile di vivere presero il sopravvento.

Provo profondo dolore per la sua dipartita.
© Riproduzione riservata 18 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/cultura/2017/04/18/news/la_nostra_vecchia_amicizia_divenuta_sempre_piu_forte_nonostante_il_corriere_-163242451/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #666 inserito:: Aprile 28, 2017, 12:37:18 pm »

Quanto vale Parigi per l'Europa e i compiti di Renzi
"Il mondo è in guerra e che si tratta di un conflitto estremamente contagioso perché si estende all'intero pianeta, cambiando spesso natura e protagonisti"

Di EUGENIO SCALFARI
23 aprile 2017

IL TERRORISMO in Francia ha cambiato natura in vista delle elezioni presidenziali. Non si dirige più contro i cittadini senza nome e neppure contro i più importanti candidati che sono scortati a vista dalla polizia, ma direttamente contro i poliziotti e non con la tecnica dei kamikaze che fanno esplodere se stessi in un negozio, un bar, un teatro, un luogo affollato qualsiasi, ma direttamente contro le forze di sicurezza con kalashnikov nella speranza, dopo avere ammazzato qualcuno, di fuggire e dileguarsi. Insomma una vera e propria guerriglia che rischia di ripetersi almeno fino al ballottaggio e al definitivo insediamento presidenziale.

La ragione di questa guerriglia è evidente: influire sull’elezione del nuovo capo dello Stato. Ma chi è dei quattro maggiori candidati in lizza al primo turno e dei due che col ballottaggio chiudono la partita, quello favorito? I pareri dei commentatori esperti in materia sono diversi. Il nome che ottiene maggiore attenzione è quello di Marine Le Pen che riscuote tuttavia pareri discordi. Alcuni sostengono che è lei la più favorita da quanto è avvenuto e probabilmente ancora avverrà. Altri affermano esattamente il contrario ed entrambi questi pareri sono ben motivati. Ma chi ha ragione? Le Pen è, come ho già segnalato, l’oggetto numero uno dell’attenzione di questi giorni e lo sarà anche se supererà il primo turno e parteciperà al ballottaggio. Ma se invece non riuscirà, come si comporteranno i guerriglieri? Chi favoriranno? E soprattutto: prendono ordini dall'Isis oppure agiscono per conto proprio?

Conosco abbastanza la Francia e Parigi in particolare. Ci fu un periodo della mia vita professionale durante il quale avevo deciso di fare un giornale che rappresentasse l'Europa che volevamo unita e federata. Bisognava che l'opinione pubblica europeista avesse un suo giornale e questo era il progetto al quale lavorai, d'accordo con El País, spagnolo, il Nouvel Observateur francese, l’Independent inglese e la Süddeutsche Zeitung, tedesca. Ci lavorammo per tre anni dal 1985 in poi. Eravamo ormai pronti alla pubblicazione quando scoppiò la cosiddetta guerra di Segrate tra il nostro gruppo e quello di Berlusconi e questo impedì di attuare la nostra iniziativa franco-europeista. Qualche anno prima era scoppiata in Italia la guerra con le Brigate Rosse che culminò col rapimento e poi l'uccisione di Aldo Moro. Bisogna aver conosciuto bene quella guerra per capire quanto sta accadendo in Europa e in Francia in particolare dopo l'ultimo attentato di qualche giorno fa.

Le Br erano nate per screditare l'establishment politico, giudiziario, bancario italiano, soprattutto della Dc e di un Partito comunista che si stava imborghesendo dopo la rottura con Mosca da parte di Berlinguer. I brigatisti erano dei giovani rivoluzionari che miravano a terrorizzare e anche uccidere uomini politici, giudici, professionisti, militari di alto grado, nei più vari modi: sulla porta di casa, invadendone gli uffici e in tanti altri modi. E combattevano anche nelle strade, nel triangolo tra Milano, Torino, Genova ed anche nel Veneto, in Emilia, in Romagna. Naturalmente erano sostenuti e in parte anche finanziati dai servizi di sicurezza sovietici e in contatto con gruppi simili a loro esistenti in alcuni altri Paesi europei in particolare nella Germania ovest. Ma il vero nucleo di comando era italiano con poche influenze esterne. Agiva seguendo una propria idea: riportare il comunismo ad essere se stesso e la classe operaia a insorgere contro i padroni. Quello era il progetto, che anticipò di molto il rapimento di Moro e proseguì anche dopo ma alla fine si spense.

Ricordando quei fatti e quegli anni ho la sensazione di quanto sta accadendo: i giovani agiscono con una propria visione. L'Isis si attribuisce quegli attentati ma in realtà le cellule periferiche agiscono per proprio conto, si alleano tra loro, vogliono cambiare il mondo ma non so fino a che punto siano mosse dalle religioni. È un fenomeno che l'Isis si attribuisce ma non è in grado di organizzare. Lo incoraggia ma non lo guida. Al Qaeda era diversa, c'era un capo vero, Bin Laden, i suoi luogotenenti e esecutori. Il nemico principale erano gli Stati Uniti. A quell'epoca del resto la società globale non esisteva. Al Qaeda e il suo capo volevano riformare la religione islamica. Bin Laden a volte appariva in televisione dopo avere prodotto nella villa-rifugio in cui viveva sui monti afgani una sorta di dvd che veniva inviato ad una televisione araba che poi lo diffondeva anche in America e in Europa. Lui vi appariva vestito in abito religioso, una sorta di profeta che interpretava il Maometto della guerra, profeta di un Allah che non era certo il Cristo dell'Amore pensato da Paolo e da Giovanni Evangelista secoli prima. Del resto anche il Dio di Mosè era un Dio guerresco e così pure Giuseppe e i suoi fratelli dovevano invocare un Dio della guerra che li liberasse dai loro nemici e dalla loro schiavitù. Anche Saul e Davide combattevano. Il Dio ebraico era tutt'altro che amoroso: era duro a volte con i nemici del suo popolo e altre volte con gli stessi suoi seguaci per mettere alla prova la loro fedeltà. Adamo fu questo più di tutti e con lui tutti i suoi discendenti tra i quali anche noi. Ho meditato di dover vivere su una terra che nulla ha a che fare col giardino terrestre dove Adamo ed Eva erano stati creati e da cui furono scacciati per avere ceduto al demonio.

Dicevamo dunque, per chiudere questa lunga analisi della guerra con le feroci periferie del mondo e con la rabbia che le anima, che il mondo è in guerra e che si tratta di un conflitto estremamente contagioso perché si estende all'intero pianeta, cambiando spesso natura e protagonisti. Che cosa ha a che fare la guerra di Siria con le religioni? E la diffusione dittatoriale nella Turchia di Erdogan? E il sentimento di voler vincere nelle imminenti elezioni francesi? Questi esempi potrebbero applicarsi al mondo intero dove prevalgono odio e rabbia anziché amore e misericordia. Per nostra fortuna c'è papa Francesco che non a caso ha scelto quel nome.

***

Abbiamo anche un'altra preoccupazione del tutto diversa e con un altro nome: si chiama Matteo Renzi. Forse vi stupirà che io lo consideri positivamente non tanto per l'Italia quanto per l'Europa se capirà che è la sorte del nostro continente il suo compito principale. A me sembra che ne sia consapevole e lo esorto ad esserlo fino in fondo, come credo sia già avvenuto, sempre che vinca le primarie del prossimo 30 aprile e sempre che le elezioni francesi vedano la sconfitta di Marine Le Pen e la vittoria di Emmanuel Macron. Solo in quel caso Matteo Renzi avrà modo di lavorare positivamente in Europa. L'obiettivo è una trasformazione da Confederazione di 27 Stati in una Federazione di tipo americano, con un presidente che abbia poteri di governo, controllati da un Parlamento bicamerale, con reciproco potere di veto per imporre la necessità di una soluzione concordata.

Il compito di Renzi è stato da lui stesso accennato ma, non appena il congresso del Pd si concluderà con la sua probabile riconferma a segretario del partito, lo dovrebbe portare ad assumere le seguenti posizioni:

1. Far terminare il governo Gentiloni soltanto alla fine della legislatura che avrà luogo nel 2018.

2. Partecipare ovviamente alle elezioni politiche alla testa del Pd ma lasciare ad un'altra personalità proveniente dal suo partito sempre che esso abbia la maggioranza necessaria per dar vita ad un suo governo da solo o con eventuali alleanze compatibili.

3. Proporre ai 27 Stati di promuovere l'elezione di un presidente dell'Europa con gli stessi poteri del presidente degli Stati Uniti d'America, sia per i 27 Paesi che fanno parte dell'Unione politica ed economica, sia per quelli tra i 27 che non hanno voluto avere la moneta comune che però, in uno Stato federale, sarebbero indotti ad accettarla come propria.

4. Dotare il nuovo Stato federale di una Costituzione che era già stata studiata e approvata parecchi anni fa da un'apposita Commissione presieduta da Giscard d'Estaing e da Giuliano Amato, ma poi battuta da un referendum indetto dalla Francia e dall'Olanda ed infine trasformata nel Trattato di Lisbona che non prevede tuttavia la Federazione ma soltanto alcuni diritti e doveri dei singoli cittadini europei, sempre che i suggerimenti siano approvati dai 27 Paesi dell'Unione e dal Parlamento europeo. Insomma un Trattato puramente consultivo e non deliberante. Tutto ciò va evidentemente superato da una vera e propria Costituente la cui esistenza dovrà ovviamente essere votata insieme alla elezione del presidente, dopodiché un'apposita Commissione dovrà lavorare alla Costituzione da preparare in tempi brevi. Così avvenne in Italia nelle elezioni del 1946 che proclamarono la Repubblica e composero la Costituente che si mise immediatamente al lavoro per produrre la Carta poi firmata e attuata nel 1947 dopo un anno e mezzo di lavoro. Non dimentichiamoci tuttavia che la Repubblica italiana era stata proclamata da pochissimo tempo ma lo Stato italiano, sia pure monarchico, esisteva da ottant'anni mentre l'Unione europea trasformata in una federazione esisterebbe solo in quel momento. Il lavoro di una nuova Costituzione richiederà dunque alcuni anni. Diciamone due che mi sembrano più che sufficienti e quindi dovrebbe entrare in funzione intorno al 2021 o al 2022 al massimo.

Tutto ciò avviene in un'epoca dove la società globale esiste pienamente e dove quelli che contano sono Stati tutti di dimensione continentale a cominciare dagli Stati Uniti d'America e poi Cina, India, Brasile, Sudafrica, Australia, Canada. Se l'Europa non arriverà in tempo utile a questo livello sarà una catastrofe per le nazioni che appartengono all'Unione conservando ed anzi probabilmente accentuando ciascuna il proprio sovranismo. Ecco dove le personalità dotate di intuito, fede nell'Europa unita e possibilmente un certo carisma sull'opinione pubblica dovrebbero unirsi e lavorare insieme ripartendosi le opportune competenze. In Italia queste persone sono almeno quattro: Renzi, Prodi, Veltroni, Draghi. Ma occorre che ve ne siano almeno altrettante in ciascuno dei 27 Paesi e soprattutto nei 19 che hanno già moneta comune. Purtroppo manca un personaggio come fu Carlo Azeglio Ciampi il quale, sia da governatore della Banca d'Italia per tredici anni, sia per le cariche politiche che poi ricoprì da quella di presidente del Consiglio a quella finale di presidente della Repubblica, ebbe sempre l'idea di un'Europa unita con un unico governo ed un unico presidente, conservando gli altri Paesi la propria autonomia amministrativa soggetta comunque al governo federale e al suo Parlamento.

Personalmente credo che il contributo maggiore a questa scelta debba venire dalla Germania. Con le prossime elezioni speriamo vinca Merkel e speriamo soprattutto che, una volta vittoriosa, si aggreghi all'idea di un'elezione del presidente europeo non con i compiti di quello attuale che è soltanto il portaparola dei 27 Stati nazionali, ma che sia il presidente di un unico Stato che comprende l'Europa intera. Se questo avverrà avremo salvato quella che è stata per cinque secoli a partire dal Rinascimento la casa madre dell'impero d'Occidente perché oggi in qualche modo tornerebbe ad esserlo. Ma se ciò non avvenisse almeno entro due o tre anni, le singole nazioni (l'ho già scritto infinite volte ma lo ripeto) saranno scialuppe affondabili in mari tempestosi. Dunque al lavoro cari amici e mettetecela tutta.

© Riproduzione riservata 23 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/23/news/quanto_vale_parigi_per_l_europa_e_i_compiti_di_renzi-163677593/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #667 inserito:: Aprile 30, 2017, 12:38:49 pm »

Dalle elezioni all'Europa: cinque scelte che Renzi deve fare
Dovrà rinnovare la struttura del partito e occuparsi a fondo dell'Europa, ma non sono impegni che una sola persona può affrontare.
E realizzare tutto con il solito giglio magico è da escludere

Di EUGENIO SCALFARI
30 aprile 2017

"AL CENTRO delle dieci parole c'è quella di non uccidere. Questo è il comando del Dio unico che tutti noi dobbiamo venerare": così ha detto papa Francesco nella riunione religiosa che si è svolta venerdì al Cairo. Le religioni d'Oriente c'erano tutte, quella islamica, quella dell'ortodossia greca, quella cristiana-copta: i tre monoteismi rappresentati dai loro più alti dirigenti. Tutti hanno parlato, ma il Dio unico solo Francesco l'ha nuovamente ricordato. È molto singolare che il Creatore non solo del nostro pianeta ma dell'intero Universo sia unico, ma la molteplicità delle religioni fatica a concepire un'unica e comune divinità: è questa la forza rivoluzionaria di Francesco. Il Dio unico affratella le religioni, è l'elemento che trascende e al tempo stesso una sua scintilla, è dentro l'anima di tutti i viventi e di quelli umani in particolare. Una trascendenza immanente, che Francesco predica in tutte le circostanze. Sulla base di quella sua sconvolgente predicazione, rinnovata al Cairo, ho scritto qualche giorno fa che dovrebbe beatificare Pascal e Spinoza che tre secoli fa sostennero l'immanenza del Trascendente e per questo furono e tuttora sono scomunicati e ignorati. Queste due beatificazioni sarebbero il vero incontro con la modernità laica che Francesco persegue in nome di quanto fu precettato dal Vaticano II. Il cardinale Martini nell'ultimo colloquio che ebbi con lui pochi mesi prima della sua morte fu molto favorevole a quelle beatificazioni.

Papa Bergoglio ha sempre avuto molta amicizia e stima con Martini. Spero che quanto ho riferito su quelle beatificazioni da Martini ampiamente condivise persuada anche lui ad agire al più presto. Infine, nel suo discorso al Cairo, Francesco ha detto: "No all'odio ma pace con Dio". Questa è la più alta sconfessione del Califfato terrorista che stimola le più turpi violenze in nome di Allah. Lo trasforma e lo deturpa come un Dio proprio che ispira delitti, violenze e suicidi volontari. Di fronte a questo orrore l'Islam coranico dovrebbe reagire promuovendo una assemblea di tutte le rappresentanze mondiali di quella religione. Al Cairo questa netta condanna del Califfato c'è stata, ma non basta, ci vuole una riunione mondiale di una religione che conta più di un miliardo di fedeli. La condanna del Califfato terrorista dovrebbe provenire da quella riunione. È vero che le vere religioni non predicano l'odio ma il pentimento e il perdono, sempre che sia il Califfato a manifestare l'orrore verso se stesso e verso il male che ha diffuso in tutto il mondo.

Questo deve accadere e speriamo che accada se il Dio unico non si ritira dietro le nuvole come si disse abbia fatto ai tempi della shoah, come lo giustificarono i pontefici. È possibile pensare una cosa simile? Che il Creatore sia impotente nei casi estremi quando un gruppo di uomini sceglie consapevolmente la via del male? In realtà l'odio, la guerra, l'orrore, fanno parte della vita tutte le volte che l'uomo regredisce verso l'animalesco dal quale proviene. Temo che questo accada molto spesso. Non odio, ma lotta per far trionfare la pace, la fratellanza e l'amore verso il prossimo e verso la parte migliore di te stesso. Dobbiamo essere assai vigili affinché non si regredisca verso l'animalesco ma anzi che si avanzi verso il bene e l'amore. Verso il Dio Amore che Francesco sta predicando.

***

Oggi, domenica 30 aprile, chi vuole può votare alle "primarie" del Partito democratico per scegliere chi dev'essere il segretario del Pd. I candidati sono tre: Renzi, Orlando, Emiliano. Si prevede un milione di voti; e i tre candidati sperano in due o trecentomila in più. La cifra ottimale dovrebbe essere di due milioni, una sorta di entusiasmo che francamente non c'è.

Chi vincerà? Non c'è dubbio, vincerà Renzi che pensa d'incassare il 60 per cento dei voti. È probabile che sia così, anche se sarebbe meglio una sua vittoria un po' più modesta affinché non si monti la testa. Comunque il segretario sarà lui questo è certo.

A quel punto dovrà prendere alcune decisioni urgenti. Direi cinque: se vuole andare al voto al più presto oppure attendere che scada la legislatura, cioè nella primavera del 2018; se vuole riavere la carica di presidente del Consiglio oppure no; se accetterà una alleanza con tutta la sinistra dissidente, come propone Pisapia, l'ex sindaco di Milano; se vuole dedicare la massima attenzione al rafforzamento dell'Europa; infine come e quando pensare ad una nuova legge elettorale.

Ho avuto mercoledì una lunga conversazione telefonica con lui ed ho appreso che ha deciso di non andare al voto anticipato ma soltanto quando la legislatura sarà regolarmente terminata. Gentiloni ha dunque davanti a sé un intero anno di lavoro, ed è molto opportuno soprattutto per quanto riguarda l'economia, l'occupazione, l'assistenza sociale.

Quanto all'Europa, il rapporto di Renzi con quel tema sembra molto intenso ed anzi probabilmente il principale, ma proprio per questo deve tornare alla presidenza del Consiglio perché solo con quella carica può affrontare la sfida europea. Purtroppo ha ragione. Dico purtroppo perché governare l'Italia, rinnovare la struttura del partito e occuparsi a fondo dell'Europa non sono impegni che una sola persona può affrontare. Bisognerà dunque che abbia uno staff numeroso e competente. Fare tutto da solo o con il solito giglio magico è da escludere.

Per quanto riguarda le elezioni del 2018 (sperando che nel frattempo non cambi idea e non ritorni alle elezioni anticipate) si pone il problema delle alleanze e quindi anche quello della nuova legge elettorale sia alla Camera sia al Senato.

Pisapia ha lanciato il tema di ricostituire un'alleanza con tutta la sinistra dissidente. Una lista di coalizione con tutti i vari gruppi che sono in varie occasioni usciti dal Pd. Ognuno ha costituito una formazione propria spappolando in questo modo l'intera sinistra. Pisapia vuole anzitutto che i gruppi dissidenti costruiscano una formazione unica che proponga un'alleanza elettorale con il Pd renziano, concordando con Renzi i temi essenziali sui quali restare uniti in Parlamento ma conservando la propria autonomia e la propria libertà. Insomma mantenendo al tempo stesso alleanza e indipendenza. Questo è il progetto di Pisapia ma non sappiamo ancora se sarà approvato da tutta la dissidenza. Ma quanto a Renzi ha già risposto: Pisapia entri addirittura nel Pd e porti anche qualche suo amico fedele e adatto alla bisogna. Altre alleanze Renzi non intende fare. Il Pd secondo lui è un partito di sinistra moderna e non ha bisogno di alleanze che possono soltanto recare disturbo. Dunque una sinistra moderna ed europeista. Questo vuole Renzi. Ma che cos'è una sinistra moderna?

***

Una sinistra moderna in una Nazione, l'Italia, che fa parte di un'Europa confederata di 27 Paesi, 19 dei quali hanno scelto la moneta comune, deve avere una politica economica post-keynesiana. Cioè: deve accrescere la produttività delle imprese pubbliche e private, stimolando nuovi investimenti e nuova domanda. Gli investimenti debbono costruire nuovi processi produttivi, nuovi prodotti, nuovi traffici commerciali con l'estero, maggiore crescita del prodotto interno lordo (Pil).

Questa è la produttività. Gli attori finanziari e fiscali sono lo Stato e il Fisco da un lato, le banche dall'altro, tenendo naturalmente ben presenti le regole dell'Europa e della sua Commissione.

La crescita del Pil si fonda in parte sull'aumento della produttività, ma soprattutto sulla politica fiscale: sostenere il ceto medio-basso, stimolare l'aumento dei consumi, opere pubbliche numerose e diffuse specie nelle zone più povere del Paese.

La politica post-keynesiana significa indebitarsi per finanziare domanda e lavoro. A questo punto dobbiamo ricordare la politica espansiva della Bce e del suo presidente Mario Draghi. La sua politica monetaria sta dando un forte sostegno ai Paesi più deboli dell'Eurozona e l'Italia è uno di questi, forse il principale. Draghi ha acquistato e continua ad acquistare titoli di Stato sul mercato secondario, obbligazioni pubbliche o di aziende private, preferibilmente di medie dimensioni. La sua politica continuerà fino al 2018, contribuendo così ad un'uscita dalla depressione economica. In parte questa politica sta ottenendo risultati importanti: nelle ultime settimane l'Italia ha raggiunto un tasso d'inflazione di circa un punto e mezzo per cento; potrebbe ed anzi dovrebbe arrivare al 2 per cento e questo renderebbe più forte l'intervento delle banche sul finanziamento delle imprese. C'è anche una politica di tassi bancari stimolanti verso impieghi produttivi e c'è una Unione bancaria europea per smaltire le "sofferenze" bancarie.

La sinistra deve sostenere queste politiche ma occuparsi anche di altri temi sociali. Deve consentire sgravi fiscali alle fasce meno abbienti del reddito e caricare sui ceti più abbienti il peso fiscale derivante da questa politica sociale. Insomma diminuire le disuguaglianze. Il sistema più adatto da questo punto di vista è il cuneo fiscale. L'ho già suggerito molte volte e mi pare che da qualche settimana questa ipotesi sia stata presa in considerazione dal ministro delle Finanze Padoan. Bisognerebbe che il taglio del cuneo fiscale fosse di almeno 10 o meglio 15 punti. Andrebbe a carico dell'Inps che in casi estremi è finanziato dallo Stato, ma in buona parte dallo stesso Inps che ha una gestione complessivamente attiva del suo bilancio. Un taglio rilevante del cuneo è un tipico intervento di marca keynesiana: aiuta i lavoratori e soprattutto le imprese e questo è una finalità tipica di sinistra.

Ma il tema principale, proprio per la sinistra moderna, è l'Europa. È incredibile però quanto poco si interessino dell'Europa i dissidenti dal Pd. La loro attuale attenzione è interamente quella dei loro rapporti con Renzi. Nei loro dibattiti e proposte non c'è una sola parola che riguardi l'Europa: non c'è alcuna attenzione al ministro unico delle Finanze, alla politica delle immigrazioni, alla formazione di una Fbi europea e tanto meno sull'idea renziana di promuovere l'elezione di un Presidente europeo votato da tutti i cittadini del continente insieme ad una Costituente che prepari la struttura federale già indicata nel suddetto referendum. Se questa è la nostra sinistra dissidente si capisce il motivo per cui Renzi, che per fortuna questi temi li conosce e li sostiene, abbia rifiutato quell'alleanza. Una sinistra di quel genere si occupa soltanto di se stessa e quindi purtroppo risulta del tutto inutile.

© Riproduzione riservata 30 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/30/news/dalle_elezioni_all_europa_cinque_scelte_che_renzi_deve_fare-164243739/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T2
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« Risposta #668 inserito:: Maggio 01, 2017, 05:02:42 pm »

Dalle elezioni all'Europa: cinque scelte che Renzi deve fare

Dovrà rinnovare la struttura del partito e occuparsi a fondo dell'Europa, ma non sono impegni che una sola persona può affrontare.
E realizzare tutto con il solito giglio magico è da escludere

Di EUGENIO SCALFARI
30 aprile 2017

"AL CENTRO delle dieci parole c'è quella di non uccidere. Questo è il comando del Dio unico che tutti noi dobbiamo venerare": così ha detto papa Francesco nella riunione religiosa che si è svolta venerdì al Cairo. Le religioni d'Oriente c'erano tutte, quella islamica, quella dell'ortodossia greca, quella cristiana-copta: i tre monoteismi rappresentati dai loro più alti dirigenti. Tutti hanno parlato, ma il Dio unico solo Francesco l'ha nuovamente ricordato. È molto singolare che il Creatore non solo del nostro pianeta ma dell'intero Universo sia unico, ma la molteplicità delle religioni fatica a concepire un'unica e comune divinità: è questa la forza rivoluzionaria di Francesco. Il Dio unico affratella le religioni, è l'elemento che trascende e al tempo stesso una sua scintilla, è dentro l'anima di tutti i viventi e di quelli umani in particolare. Una trascendenza immanente, che Francesco predica in tutte le circostanze. Sulla base di quella sua sconvolgente predicazione, rinnovata al Cairo, ho scritto qualche giorno fa che dovrebbe beatificare Pascal e Spinoza che tre secoli fa sostennero l'immanenza del Trascendente e per questo furono e tuttora sono scomunicati e ignorati. Queste due beatificazioni sarebbero il vero incontro con la modernità laica che Francesco persegue in nome di quanto fu precettato dal Vaticano II. Il cardinale Martini nell'ultimo colloquio che ebbi con lui pochi mesi prima della sua morte fu molto favorevole a quelle beatificazioni.

Papa Bergoglio ha sempre avuto molta amicizia e stima con Martini. Spero che quanto ho riferito su quelle beatificazioni da Martini ampiamente condivise persuada anche lui ad agire al più presto. Infine, nel suo discorso al Cairo, Francesco ha detto: "No all'odio ma pace con Dio". Questa è la più alta sconfessione del Califfato terrorista che stimola le più turpi violenze in nome di Allah. Lo trasforma e lo deturpa come un Dio proprio che ispira delitti, violenze e suicidi volontari. Di fronte a questo orrore l'Islam coranico dovrebbe reagire promuovendo una assemblea di tutte le rappresentanze mondiali di quella religione. Al Cairo questa netta condanna del Califfato c'è stata, ma non basta, ci vuole una riunione mondiale di una religione che conta più di un miliardo di fedeli. La condanna del Califfato terrorista dovrebbe provenire da quella riunione. È vero che le vere religioni non predicano l'odio ma il pentimento e il perdono, sempre che sia il Califfato a manifestare l'orrore verso se stesso e verso il male che ha diffuso in tutto il mondo.

Questo deve accadere e speriamo che accada se il Dio unico non si ritira dietro le nuvole come si disse abbia fatto ai tempi della shoah, come lo giustificarono i pontefici. È possibile pensare una cosa simile? Che il Creatore sia impotente nei casi estremi quando un gruppo di uomini sceglie consapevolmente la via del male? In realtà l'odio, la guerra, l'orrore, fanno parte della vita tutte le volte che l'uomo regredisce verso l'animalesco dal quale proviene. Temo che questo accada molto spesso. Non odio, ma lotta per far trionfare la pace, la fratellanza e l'amore verso il prossimo e verso la parte migliore di te stesso. Dobbiamo essere assai vigili affinché non si regredisca verso l'animalesco ma anzi che si avanzi verso il bene e l'amore. Verso il Dio Amore che Francesco sta predicando.

***

Oggi, domenica 30 aprile, chi vuole può votare alle "primarie" del Partito democratico per scegliere chi dev'essere il segretario del Pd. I candidati sono tre: Renzi, Orlando, Emiliano. Si prevede un milione di voti; e i tre candidati sperano in due o trecentomila in più. La cifra ottimale dovrebbe essere di due milioni, una sorta di entusiasmo che francamente non c'è.

Chi vincerà? Non c'è dubbio, vincerà Renzi che pensa d'incassare il 60 per cento dei voti. È probabile che sia così, anche se sarebbe meglio una sua vittoria un po' più modesta affinché non si monti la testa. Comunque il segretario sarà lui questo è certo.

A quel punto dovrà prendere alcune decisioni urgenti. Direi cinque: se vuole andare al voto al più presto oppure attendere che scada la legislatura, cioè nella primavera del 2018; se vuole riavere la carica di presidente del Consiglio oppure no; se accetterà una alleanza con tutta la sinistra dissidente, come propone Pisapia, l'ex sindaco di Milano; se vuole dedicare la massima attenzione al rafforzamento dell'Europa; infine come e quando pensare ad una nuova legge elettorale.

Ho avuto mercoledì una lunga conversazione telefonica con lui ed ho appreso che ha deciso di non andare al voto anticipato ma soltanto quando la legislatura sarà regolarmente terminata. Gentiloni ha dunque davanti a sé un intero anno di lavoro, ed è molto opportuno soprattutto per quanto riguarda l'economia, l'occupazione, l'assistenza sociale.

Quanto all'Europa, il rapporto di Renzi con quel tema sembra molto intenso ed anzi probabilmente il principale, ma proprio per questo deve tornare alla presidenza del Consiglio perché solo con quella carica può affrontare la sfida europea. Purtroppo ha ragione. Dico purtroppo perché governare l'Italia, rinnovare la struttura del partito e occuparsi a fondo dell'Europa non sono impegni che una sola persona può affrontare. Bisognerà dunque che abbia uno staff numeroso e competente. Fare tutto da solo o con il solito giglio magico è da escludere.

Per quanto riguarda le elezioni del 2018 (sperando che nel frattempo non cambi idea e non ritorni alle elezioni anticipate) si pone il problema delle alleanze e quindi anche quello della nuova legge elettorale sia alla Camera sia al Senato.

Pisapia ha lanciato il tema di ricostituire un'alleanza con tutta la sinistra dissidente. Una lista di coalizione con tutti i vari gruppi che sono in varie occasioni usciti dal Pd. Ognuno ha costituito una formazione propria spappolando in questo modo l'intera sinistra. Pisapia vuole anzitutto che i gruppi dissidenti costruiscano una formazione unica che proponga un'alleanza elettorale con il Pd renziano, concordando con Renzi i temi essenziali sui quali restare uniti in Parlamento ma conservando la propria autonomia e la propria libertà. Insomma mantenendo al tempo stesso alleanza e indipendenza. Questo è il progetto di Pisapia ma non sappiamo ancora se sarà approvato da tutta la dissidenza. Ma quanto a Renzi ha già risposto: Pisapia entri addirittura nel Pd e porti anche qualche suo amico fedele e adatto alla bisogna. Altre alleanze Renzi non intende fare. Il Pd secondo lui è un partito di sinistra moderna e non ha bisogno di alleanze che possono soltanto recare disturbo. Dunque una sinistra moderna ed europeista. Questo vuole Renzi. Ma che cos'è una sinistra moderna?

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Una sinistra moderna in una Nazione, l'Italia, che fa parte di un'Europa confederata di 27 Paesi, 19 dei quali hanno scelto la moneta comune, deve avere una politica economica post-keynesiana. Cioè: deve accrescere la produttività delle imprese pubbliche e private, stimolando nuovi investimenti e nuova domanda. Gli investimenti debbono costruire nuovi processi produttivi, nuovi prodotti, nuovi traffici commerciali con l'estero, maggiore crescita del prodotto interno lordo (Pil).

Questa è la produttività. Gli attori finanziari e fiscali sono lo Stato e il Fisco da un lato, le banche dall'altro, tenendo naturalmente ben presenti le regole dell'Europa e della sua Commissione.

La crescita del Pil si fonda in parte sull'aumento della produttività, ma soprattutto sulla politica fiscale: sostenere il ceto medio-basso, stimolare l'aumento dei consumi, opere pubbliche numerose e diffuse specie nelle zone più povere del Paese.

La politica post-keynesiana significa indebitarsi per finanziare domanda e lavoro. A questo punto dobbiamo ricordare la politica espansiva della Bce e del suo presidente Mario Draghi. La sua politica monetaria sta dando un forte sostegno ai Paesi più deboli dell'Eurozona e l'Italia è uno di questi, forse il principale. Draghi ha acquistato e continua ad acquistare titoli di Stato sul mercato secondario, obbligazioni pubbliche o di aziende private, preferibilmente di medie dimensioni. La sua politica continuerà fino al 2018, contribuendo così ad un'uscita dalla depressione economica. In parte questa politica sta ottenendo risultati importanti: nelle ultime settimane l'Italia ha raggiunto un tasso d'inflazione di circa un punto e mezzo per cento; potrebbe ed anzi dovrebbe arrivare al 2 per cento e questo renderebbe più forte l'intervento delle banche sul finanziamento delle imprese. C'è anche una politica di tassi bancari stimolanti verso impieghi produttivi e c'è una Unione bancaria europea per smaltire le "sofferenze" bancarie.

La sinistra deve sostenere queste politiche ma occuparsi anche di altri temi sociali. Deve consentire sgravi fiscali alle fasce meno abbienti del reddito e caricare sui ceti più abbienti il peso fiscale derivante da questa politica sociale. Insomma diminuire le disuguaglianze. Il sistema più adatto da questo punto di vista è il cuneo fiscale. L'ho già suggerito molte volte e mi pare che da qualche settimana questa ipotesi sia stata presa in considerazione dal ministro delle Finanze Padoan. Bisognerebbe che il taglio del cuneo fiscale fosse di almeno 10 o meglio 15 punti. Andrebbe a carico dell'Inps che in casi estremi è finanziato dallo Stato, ma in buona parte dallo stesso Inps che ha una gestione complessivamente attiva del suo bilancio. Un taglio rilevante del cuneo è un tipico intervento di marca keynesiana: aiuta i lavoratori e soprattutto le imprese e questo è una finalità tipica di sinistra.

Ma il tema principale, proprio per la sinistra moderna, è l'Europa. È incredibile però quanto poco si interessino dell'Europa i dissidenti dal Pd. La loro attuale attenzione è interamente quella dei loro rapporti con Renzi. Nei loro dibattiti e proposte non c'è una sola parola che riguardi l'Europa: non c'è alcuna attenzione al ministro unico delle Finanze, alla politica delle immigrazioni, alla formazione di una Fbi europea e tanto meno sull'idea renziana di promuovere l'elezione di un Presidente europeo votato da tutti i cittadini del continente insieme ad una Costituente che prepari la struttura federale già indicata nel suddetto referendum. Se questa è la nostra sinistra dissidente si capisce il motivo per cui Renzi, che per fortuna questi temi li conosce e li sostiene, abbia rifiutato quell'alleanza. Una sinistra di quel genere si occupa soltanto di se stessa e quindi purtroppo risulta del tutto inutile.

© Riproduzione riservata 30 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/04/30/news/dalle_elezioni_all_europa_cinque_scelte_che_renzi_deve_fare-164243739/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P3-S1.8-T2
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« Risposta #669 inserito:: Maggio 08, 2017, 08:50:05 pm »

Il futuro della sinistra e perché Renzi non vuole le elezioni
Il segretario del Pd potrebbe rilanciare la proposta di un presidente europeo eletto dai cittadini, un’idea condivisa anche da Tusk

Di EUGENIO SCALFARI
07 maggio 2017

HO PENSATO e scritto più volte che è necessario sapere in che cosa consiste una sinistra moderna e perfino una sinistra rivoluzionaria. Credo di averlo finalmente capito e comincio questo articolo chiarendo questo punto fondamentale.

«Dobbiamo anzitutto ricordare che nessuno di noi è un’isola, un Io autonomo e indipendente dagli altri e che possiamo costruire il futuro solo insieme senza escludere nessuno. Anche le scienze ci indicano oggi una comprensione della realtà dove ogni cosa esiste in collegamento, in interazione continua con le altre. Basta un solo uomo perché ci sia speranza e quell’uomo puoi essere tu. Poi c’è un altro “tu” e ancora un altro “tu” ed allora diventiamo “noi”. Quando c’è il “noi” allora comincia la rivoluzione.

Che cos’è la rivoluzione? È un movimento che parte dal cuore per ascoltare il grido dei piccoli, dei poveri, di chi teme il futuro, il grido silenzioso della nostra casa comune, della Terra contaminata e malata. È in chi ha bisogno dell’altro. Quanto più sei potente, quanto più le tue azioni hanno un impatto sulla gente, tanto più sei chiamato ad essere umile perché altrimenti il potere ti rovina. Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei politici, dei grandi leader e delle grandi aziende. La loro responsabilità è enorme ma il futuro è soprattutto nelle mani delle persone che riconoscono l’altro come un “tu” e se stesso come parte di un “noi”. Anche i bisogni ma degli altri ed è questa la rivoluzione».

Secondo me così si configura la sinistra moderna ed è opportuno chiarire che le parole sopra trascritte le ha dette papa Francesco il 26 aprile scorso parlando alle tre del mattino in un videomessaggio all’incontro internazionale intitolato Il futuro sei tu, a Vancouver. Non si poteva dir meglio sia ai poveri derelitti sia ai potenti, ai ricchi e ai leader politici.
***
Di leader politici ce ne sono pochi, anzi ce n’è uno soltanto ed è Matteo Renzi. Può piacere o non piacere, ma questo aspetto sentimentale dice poco. Per giudicarlo occorre valutare che cosa sta facendo e che cosa si propone per il futuro, per se stesso e per il Partito di cui è tornato ad essere il segretario dopo le “primarie” del 30 aprile. Anzitutto per quanto riguarda le prossime elezioni politiche, la natura del partito che di nuovo dirige, il governo sostenuto dal suo partito, il rapporto con l’Europa.

Una cosa sembra certa: non ha alcuna intenzione di andare al voto anticipato. Molti osservatori si dicono certi che voglia andare al voto ad ottobre se non addirittura prima. Sbagliano. Sarebbe un macroscopico errore se lo facesse: dovrebbe mettere in crisi il governo Gentiloni che è fin dall’inizio sostenuto e addirittura formato dal Pd e si scontrerebbe anche con il presidente Mattarella. Perché? Le elezioni saranno in ogni caso difficili, ma se venissero anticipate il Pd andrebbe sicuramente incontro ad una sconfitta.

Renzi ha molti difetti, ma non è uno sciocco e quindi il voto anticipato non ci sarà fino a quando la legislatura non sarà legalmente terminata e le Camere legalmente sciolte da Mattarella, come la Costituzione prevede. Quindi si voterà tra aprile e maggio del 2018. A quel punto Renzi con il partito da lui guidato affronteranno le urne.

In questo momento i sondaggi registrano un fatto nuovo: i democratici hanno superato i Cinquestelle. Le cifre oscillano tra un minimo dello 0,2 punti al 2 per cento, un minimo e un massimo ma comunque un sorpasso del Pd verso Grillo. Scegliamo una cifra media: un sorpasso dell’1 per cento. Così si registra oggi. Nei prossimi mesi tutto può cambiare ma non dipende soltanto da noi ma anche da ciò che accadrà in Europa e specialmente in Francia e in Germania. Questa sera sapremo se in Francia avrà vinto Macron. È molto probabile che sarà così. In questo caso Macron avrà tutto l’interesse di far blocco con l’Italia e quindi con Renzi. Ripercussioni negative ci saranno su Salvini se Le Pen sarà sconfitta e se si dimetterà come è molto probabile. In tal caso la Lega perderà molti voti e soprattutto terminerà definitivamente la sua eventuale alleanza con Berlusconi. Il Cavaliere ha già altri progetti in testa, ma l’esito delle elezioni francesi li confermeranno.

Quanto all’Europa, sia la Francia sia l’Italia punteranno al cambiamento della politica economica europea dal rigore tedesco alla crescita. Questo è anche il parere di Draghi che punta sull’aumento della produttività ed anche sul rilancio degli investimenti e della domanda.

È difficile prevedere la politica di Merkel, ma si profila un cambiamento nella politica tedesca: i socialisti guidati da Schulz si sono abbastanza rafforzati ma non al punto di prendere il posto di Merkel. Con tutta probabilità si formerà di nuovo la grande coalizione tra Cdu e socialisti, i quali tuttavia faranno sostituire alla politica economica del rigore quella della crescita. Questo punto è fondamentale; tra l’altro muteranno anche i sondaggi elettorali sia di Macron sia di Renzi e altrettanto ma nel senso contrario quelli che riguardano la Lega. Insomma c’è in prospettiva un forte cambiamento politico per il quale pagheranno il costo i Cinquestelle e la Lega.

Infine una legge elettorale che preveda un ballottaggio di collegi uninominali non farebbe che aumentare la tendenza verso un’affluenza maggiore e un ulteriore decadimento del grillismo. Per tutte queste ragioni Renzi non ha alcun interesse ad un voto anticipato perché, da quel che si vede, il tempo lavora per lui.

C’è infine un’ultima ragione. Il presidente europeo Tusk, per ora nominato dal Parlamento su proposta dei ventisette Paesi membri dell’Unione, ha improvvisamente lanciato l’idea di un Presidente eletto dal popolo europeo con funzioni di carattere federale. Lui scade tra un anno, la sua proposta quindi non è di carattere personale ma strettamente europeista. Una proposta analoga l’ha anche suggerita Renzi qualche settimana fa, ma dopo l’iniziativa di Tusk è probabile che Renzi la rilanci ancora. Sarebbe il segno tangibile di una politica che riprende il Manifesto di Ventotene e darebbe immediatamente il senso europeista dell’Italia renziana.

Spero presto in questa probabile novità. Se si verificherà avremo conseguenze positive per il nostro Paese.

Gentiloni sta lavorando molto bene sui temi del lavoro, della cosiddetta manovrina per prepararsi alla legge di stabilità dell’anno in corso e sulla politica estera, a cominciare dall’incontro internazionale che avverrà a Taormina con la partecipazione di Donald Trump. Avrà ancora un anno di lavoro il governo Gentiloni e quindi tutto il tempo per migliorare la situazione interna del Paese.

Ma intanto sta cambiando anche il Pd nella sua interna struttura. Stanno aprendo a nuove collaborazioni e a nuovi apparati, a cominciare da una presenza attiva come vicesegretario del partito di Martina e al coinvolgimento operativo dei due candidati alle primarie.

Qualcuno ha proposto un colpo di scena: alla presidenza del Pd Walter Veltroni. Non so se accetterebbe ma comunque sarebbe un’ottima mossa se Renzi gliela offrisse. Un Pisapia nel governo, per esempio al posto di Martina o in un’altra posizione proposta da Gentiloni. Andrebbe benissimo un Pisapia ministro, la proposta dell’ex sindaco di Milano di un’alleanza tra la sinistra dei dissidenti e il Pd sembra del tutto naufragata e Pisapia dovrebbe trarne le debite conseguenze.

Qualcuno dei miei lettori ha la sensazione
che io sia diventato renziano. È possibile, il tempo corre e cambia i pensieri e soprattutto la natura dei fatti.

Posso rispondere con una battuta: se fosse Renzi a pensare come me? Una battuta o un’ipotesi? Si vedrà dai fatti, che sono la vera realtà.

© Riproduzione riservata 07 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/07/news/il_futuro_della_sinistra_e_perche_renzi_non_vuole_le_elezioni-164813180/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #670 inserito:: Maggio 21, 2017, 06:12:28 pm »

Qualche idea per Renzi da mettere nell'Europa di Macron

Di EUGENIO SCALFARI
21 maggio 2017

NEL nostro mondo attuale ci sono due centri operativi che poco hanno a che fare col passato prossimo. Forse qualche rapporto con quello remoto, ma questo tuttalpiù è storia, non analisi politica.

Di questi due centri uno è negativo e fa capo a Donald Trump; riguarda il mondo intero perché Trump è il presidente degli Stati Uniti d’America che sono ancora il più grande impero politico e militare dell’intero pianeta, anche dal punto di vista dell’economia con il dollaro che consente e facilita gli scambi mondiali.

L’altro centro, questo positivo, ci conduce ad Emmanuel Macron, presidente della Francia da pochi giorni ma già operativo con stupefacente velocità e con conseguenze largamente positive per la Francia ma anche in generale per l’Europa.

Noi italiani registriamo gli effetti negativi del primo e quelli positivi del secondo e cerchiamo (dovremmo cercare) di limitare le conseguenze negative di Trump e di utilizzare quelle positive di Macron.

Paolo Gentiloni, capo del governo in carica, oltre ad essere preso dai problemi interni riguardanti il lavoro, i ceti più poveri e derelitti, le zone economiche devastate dai terremoti, il Mezzogiorno, i populismi di vario genere, si occupa anche di conoscere e farsi conoscere dai vari capi di governo in Europa e nel mondo, ha già incontrato Merkel, Macron, Trump, Putin, i capi delle istituzioni europee, il rais egiziano, la leader dell’Inghilterra, i leader cinesi e insomma mezzo mondo.

Occorre ricordare che Gentiloni ha dimostrato di essere un lavoratore indefesso. Il suo governo da questo punto di vista è uno dei migliori che l’Italia abbia avuto dopo quello di Prodi del 1996. Purtroppo l’Italia che Gentiloni sta governando da pochi mesi è ancora pervasa dalle conseguenze della lunga crisi economica iniziata nel 2006 e tuttora in corso visto che si è trattato d’un disastro economico altrettanto grave come quello americano e poi europeo entrato ormai nella storia e iniziato nel 1929. Non bastano certo pochi mesi per uscire da quella situazione anche se alcuni rimedi e riforme furono effettuati dai governi di Monti, di Enrico Letta e poi da Renzi prima della sconfitta referendaria del 4 dicembre dell’anno scorso. Gentiloni potrà fare molto di più se gli verrà assicurata, come si spera, la continuità del suo operato fino alla fine della legislatura nel 2018.

Non dimentichiamo che uno dei punti della massima importanza che il governo italiano dovrà risolvere al più presto riguarda il contenimento dell’immigrazione. A questo proposito ci risulta che ci siano stati effetti positivi nell’incontro tra Gentiloni e Trump per quanto riguarda l’eventuale dislocazione di un contingente militare italiano nei Paesi del Centro Africa da dove proviene gran parte dell’immigrazione. Naturalmente Trump si guarda bene da assumere impegni di tipo militare che non sarebbero comunque consoni alla posizione americana verso l’Africa, ma sembra abbia prospettato la possibilità di aiutare lo sforzo italo-europeo con investimenti che finanzino almeno in parte quell’operazione.

E veniamo all’Europa dopo la vittoria di Macron.
***
Il primo effetto, che oltre alla Francia riguarda anche noi, è stata la secca sconfitta di Le Pen; una sconfitta bruciante che equivale ad un 3 a 0 di un confronto calcistico. Lei aveva detto che in questo caso avrebbe abbandonato la politica lasciando il suo partito nelle mani di sua nipote. Come si vede si tratta di un partito di tipo monarchico dove le successioni vengono stabilite attraverso le parentele, ma la nipote non ha accettato ed è lei che se n’è andata a fare la bella vita al di fuori della politica. Le Pen non pare che ne sia stata particolarmente addolorata, anzi vuole riprendere il suo lavoro politico e cambiare profondamente il partito che è stato sconfitto. Quale tipo di cambiamento voglia fare è assolutamente ignoto e praticamente difficile da prevedere. Ce lo diranno i fatti.

Nel frattempo Macron ha nominato il primo ministro del suo governo nella persona di Philippe che proviene dalla destra francese. La scelta degli altri ministri, avvenuta d’accordo con Philippe, ha seguito alcune linee molto chiare. I problemi dell’economia sono stati affidati a ministri esperti di quelle materie o addirittura operativi in privato e quindi provenienti da fondi di investimento, banche, imprese industriali e capacità finanziarie.
Affidata l’economia francese alla destra liberal- liberista, Macron ha affrontato il problema dei poveri e degli esclusi ed anche lì ha fatto delle ragionevoli scelte utilizzando la cultura social-riformista di persone esperte di questa materia e della cultura sociale che l’accompagna, e quindi educatori, insegnanti delle Scuole dello Stato e insegnanti di varie e prestigiose università. Poi c’erano da designare i candidati del movimento di Macron per le future elezioni parlamentari ed anche lì si è fatta varia cernita delle provenienze politiche, ideologiche, culturali dei vari prescelti. Macron si augura di ottenere un’ampia maggioranza e probabilmente sarà così.

Nel frattempo però, oltre che a mettere in moto problemi che riguardano la governance macroniana, il nuovo personaggio europeo doveva occuparsi immediatamente di ricostruire quello che è stato per molti anni il motore dell’Unione: il tacito ma ben noto accordo franco-tedesco che di fatto guida la politica europea per quel tanto che essa è concentrata nelle istituzioni dell’Unione ed anche ben presente nelle aule parlamentari. Merkel ha accolto la visita di Macron e la ricostruzione del tandem tra le due nazioni più importanti del nostro continente, per la storia e per l’attuale potere di ciascuna delle due. Naturalmente quello della Germania è, almeno dal punto di vista economico, ben più elevato di quello della Francia, ma in ogni caso una Germania isolata non può far molto e quindi il tandem è stato ricostituito immediatamente e ne sentiremo le ripercussioni al più presto. Non possono che essere positive per Paesi come l’Italia perché, a parte l’europeismo sperabilmente sincero ed intenso di Macron, la Francia chiede ed anzi finirà con l’imporre la politica di crescita economica. Del resto Merkel è disposta a consentire la crescita, ne ha parlato varie volte anche col suo ministro delle Finanze il quale mette qualche limite ma non si oppone purché sia una crescita ben diretta e in proporzioni accettabili, ferme restando comunque le regole della Commissione di Bruxelles.

Naturalmente il motore franco-tedesco serve ma ha poco a che vedere con un europeismo che voglia arrivare in un tempo relativamente breve al rafforzamento dell’Unione europea, ad una diminuzione graduale del sovranismo dei 27 Paesi ed alla formazione di istituzioni che puntano agli Stati uniti d’Europa. La prima riguarda la politica dell’immigrazione, la seconda l’istituzione di un unico ministro delle Finanze dell’eurozona di cui si parla da tempo e sembra essere stato finalmente accettato ma le cui pratiche fondative non sono ancora pronte; la terza è la fondazione di una Fbi e di un ministro dell’Interno europeo che coordini tutto ciò che riguarda problemi dell’ordine pubblico connessi ancora una volta con le periferie dei singoli Stati e il trattamento delle accoglienze ai rifugiati.

Infine c’è un tema che Renzi a suo tempo sollevò e che dovrebbe riprendere proprio adesso dopo la vittoria di Macron. È l’idea di un referendum popolare di tutti i cittadini europei indipendentemente dalle nazioni cui appartengono per la scelta di un Presidente che non sia un semplice portavoce dei 27 Stati confederati. La sua elezione dovrebbe essere accompagnata da quella di un gruppo di una settantina di membri di una costituente che abbia il compito di presentare entro un paio d’anni una nuova Costituzione che diventi la fondazione ufficiale dello Stato Europa.

Personalmente non so se questa idea piacerà a Macron ma Renzi l’ha lanciata, se ne faccia dunque non voglio dire un’arma ma uno strumento che lo distingua e dia all’Italia una funzione conducente che può provocare dissensi ma certamente va nella strada dell’europeismo di cui Macron ha fatto la sua bandiera e che non può certo rifiutarsi di esaminare positivamente.

Di questioni in ballo, come si vede, ce ne sono già molte e per quanto ci riguarda le abbiamo più volte indicate. Ora, dopo la vittoria di Macron, tutte hanno acquistato una attualità che in qualche modo si era perduta. Per quanto riguarda l’Italia ed anche l’Europa abbiamo due nomi che possono contare molto in questa dinamica europeista. Non parliamo di Gentiloni perché di lui abbiamo già detto e riconfermiamo che il suo buon governo deve poter durare per tutta la legislatura affinché abbia il tempo di fare quel che può e deve fare. Gli altri nomi sono Renzi e Draghi. Secondo me il secondo è ancora più importante del primo, sebbene lavori in un ambito molto specifico anche se fondamentale per quanto riguarda l’economia, anzi la politica economica e monetaria di tutta l’Europa che ha adottato la moneta unica. La prima questione che dobbiamo tener ben presente è che un’Europa federale, quando si realizzerà e nella speranza che prima o poi questo avvenga, non può che avere un’unica moneta. Attualmente 19 sono i Paesi dell’euro e 8 sono i Paesi che hanno la propria moneta. È evidente che in uno Stato federale non esiste altro che una moneta e perciò gli 8 se vogliono restare nell’Unione debbono accettare l’euro altrimenti resteranno fuori anche se legati all’Unione da patti di libero scambio e di unità bancaria e potranno, se vorranno, optare anche in un secondo tempo per la moneta dell’euro. Questo tema dobbiamo però averlo ben presente perché sarebbe assurdo pensare che la Virginia ha una moneta, la California un’altra e la Florida un’altra ancora e così via, tante monete diverse in uno Stato come quello americano? È evidente. Su questo bisogna lavorare e Draghi lo sa molto bene. Infatti ormai parla quasi sempre in chiave europeista. C’è solo un punto che ci permettiamo di raccomandargli: la sua politica monetaria espansiva terminerà con tutta probabilità l’anno venturo ma per quanto riguarda l’Italia gli suggeriamo molta attenzione: la diminuzione del sostegno monetario la faccia anche per noi naturalmente ma con la necessaria gradualità perché l’Italia è ancora economicamente molto fragile e sarà bene tenerne conto gradualizzando quel minore sostegno monetario che è nell’ordine dei fatti.

Infine ancora una parola per quanto riguarda Renzi e la legge elettorale. Tutti i progetti fin qui apparsi dalle varie forze politiche, Partito democratico compreso, mi sembrano incongruenti e comunque su quella base non si arriverà a nessun accordo. Ho più volte ricordato quale fu la storia elettorale della Democrazia cristiana. Durò quarant’anni e fu basata esclusivamente sulla proporzionale ma anche sulle alleanze, queste alleanze spesso venivano effettuate con la presentazione di liste di coalizione specie quando i partiti con i quali si alleava erano abbastanza forti da non aver bisogno di liste comuni.

La situazione attuale italiana è tripolare: una destra, un centrosinistra e il Movimento 5 Stelle che non può allearsi con nessuno, in parte perché non lo vuole ma soprattutto perché se si alleasse il primo risultato sarebbe quello di sfasciarsi. Per gli altri due però non vale questo problema e quindi Berlusconi ha come alleati naturali Salvini e Meloni e Renzi ha come alleati naturali la sinistra democratica che è uscita dal partito e si raccoglie, almeno in parte, attorno a Pisapia. Un’alleanza con Pisapia sarebbe estremamente opportuna ma non l’inclusione in un’unica lista bensì la coalizione tra le due liste che incoraggerebbe di molto una sinistra popolare che ancora vive nell’astensione e nell’incertezza. Avrebbe probabilmente un risultato molto importante. Così pure lo avrebbe (e sarebbe perfettamente compatibile con l’alleanza a sinistra) un’alleanza al centro con un movimento come quello di Parisi, un partito come quello di Alfano, e molti altri centristi che stanno sia alla Camera che in Senato. Dopo di che un impianto del genere consente un proporzionale senza sbavature e una probabilità notevole di vittoria per quanto riguarda il Pd visto che Grillo non può allearsi con nessuno e Berlusconi dovrebbe digerire un osso duro come quello di Salvini che, specie dopo la disfatta di Le Pen, finisce a ridosso di Putin. Vi sembra possibile un Berlusconi alleato con l’alleato di Putin? Sarebbe lo sfascio di Forza Italia.

Renzi si dia dunque da fare, di lavoro ne ha un bel po’ e speriamo che ci metta la forza e l’entusiasmo necessari. Nel mio precedente intervento la settimana scorsa gli avevo anche indicato alcuni “cavalli di razza” che avrebbero dato al partito una visibilità culturale di primissimo ordine. Avevo fatto anche alcuni nomi e non desidero ripeterli
ma Renzi sa benissimo quali sono. Se riesce a non cedere al suo caratteraccio di capobastone, tenga conto che quei nomi avrebbero un effetto estremamente interessante sulla pubblica opinione ancora in gran parte indecisa tra il voto e l’astensione. E buona fatica per chi se la merita.

© Riproduzione riservata 21 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/21/news/qualche_idea_per_renzi_da_mettere_nell_europa_di_macron-165975770/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #671 inserito:: Maggio 21, 2017, 06:14:14 pm »

Il commissario Calabresi e quella firma del 1971
Era un periodo molto agitato della vita italiana, politica, economica e sociale: l’inizio di queste tristi e lunghe vicende cominciò con la strage di piazza Fontana a Milano

Di EUGENIO SCALFARI
20 maggio 2017

AGLI attacchi che da qualche tempo si moltiplicano nei miei confronti da parte di Vittorio Feltri sul suo giornale che si chiama " Libero" non ho mai risposto. Si tratta di puro teppismo giornalistico che non merita né querele per diffamazione né calunnie; forse ci sarebbero gli estremi ma è tempo perso per la magistratura e per l'offeso di rivalersi contro questo ciarpame. Nessuna somiglianza con il "Foglio" di Claudio Cerasa: sarebbe come mettere sullo stesso piano un buon giornalismo polemico con il teppismo e quindi due cose del tutto differenti.

Ieri però mi ha chiamato in causa, a due giorni dal 45esimo anniversario della morte del commissario Calabresi, ricordando il manifesto pubblicato dall'Espresso nel 1971. Nel caso in questione sento il dovere di ricordare il tema e di aggiungere qualcosa che fino ad oggi era rimasto un fatto privato, non per rispondere a lui ma per chiarire una vicenda che coinvolse in qualche modo l'Italia democratica (e anche quella antidemocratica).

Era un periodo molto agitato della vita italiana. Quella politica, quella economica, quella sociale. Eravamo nella seconda metà degli anni Sessanta e quell'agitazione, cambiando spesso segno e misura, durò fino alla metà degli anni Ottanta, culminando con il rapimento e poi l'uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse nel 1978.

L'inizio di queste tristi e lunghe vicende cominciò con la strage di piazza Fontana a Milano, quando una bomba piazzata all'interno della Banca dell'Agricoltura uccise 17 persone e provocò il ferimento di molte decine di impiegati e di clienti. Era il 12 dicembre del 1969. La magistratura aprì immediatamente un'inchiesta e un'analoga indagine fu portata avanti dalla polizia. Tra gli investigatori c'era il commissario Luigi Calabresi, noto per la sua efficienza nel mantenimento dell'ordine pubblico e per la sua attenzione a non turbare ed anzi possibilmente a tranquillizzare i vari ceti che operavano nella città: il proletariato delle fabbriche, la borghesia delle professioni, degli affari, delle banche, e infine l'immigrazione dalle campagne meridionali che in quegli anni ancora continuava creando frizioni evidenti. Calabresi era molto attento a gestire un ordine pubblico che fosse in qualche modo al servizio dei vari ceti, distribuiti anche territorialmente in zone diverse. Quando si aprì il problema della strage in piazza Fontana Calabresi tentò in tutti i modi e avvalendosi anche dei vari "confidenti" della polizia di trovare una traccia criminale, gli autori di quell'accaduto che non aveva precedenti. Questa indagine dette pochissimi frutti, anzi quasi nessuno, tant'è che polizia e magistratura si orientarono in un certo senso ideologicamente: da un lato aprirono indagini verso gruppi ben noti di neofascisti, ma dall'altro puntarono sugli anarchici di cui c'era abbondanza anche perché si distinguevano nettamente in due parti non contrapposte ma profondamente diverse: una che non disdegnava di praticare violenza e l'altra che si limitava a predicare le tesi politiche dell'anarchia.

Tuttavia la parte violenta degli anarchici non aveva mai infierito contro la popolazione anonima, com'era accaduto alla Banca dell'Agricoltura. I suoi obiettivi semmai erano persone molto potenti. Così agivano certi anarchici non solo in Italia ma anche in Europa e in altri paesi: il regicidio. E così era stato ucciso Umberto I re d'Italia e qualche anno dopo a Sarajevo uno dei nipoti dell'imperatore d'Austria scatenando in quel caso addirittura la prima guerra mondiale 1914-18.

Niente di simile a piazza Fontana. Lì si era colpita proprio la popolazione civile il che dimostrava un puro desiderio di spargere sangue per aumentare la tensione sociale.

Furono arrestati parecchi anarchici tra i quali un ferroviere che si chiamava Giuseppe Pinelli. Lui la violenza non l'aveva mai praticata ed anzi l'aveva esclusa dalle sue idee. Predicava l'anarchia e la predicava con grande efficacia tanto che era diventato uno dei dirigenti o per lo meno una personalità a cui tutti gli altri guardavano, anche molti che anarchici non erano ma facevano parte di schieramenti politici di sinistra. L'arresto era comprensibile ma non dette alcun risultato, anzi ne dette uno sommamente tragico per le persone coinvolte a cominciare dallo stesso Pinelli. Era stato fermato e trattenuto per tre giorni nella Questura che aveva la sua sede in via Fatebenefratelli. L'interrogatorio al quale era presente anche Calabresi fu molto duro anche se nelle testimonianze emerse che il commissario non praticò mai la violenza. Non si arrivava però ad alcun risultato perché Pinelli negava di aver commesso o organizzato o comunque simpatizzato verso le bombe di piazza Fontana; al contrario condannava quel tipo di azione che aveva privato della vita molte persone, appunto impiegati o clienti, di cui si ignoravano le idee politiche e persino lo stato sociale. L'interrogatorio comunque continuava perché in questi casi uno degli elementi che può cogliere qualche notizia dall'interrogato si sposa con la stanchezza e mentre i poliziotti si avvicendavano ed erano quindi freschi e riposati Pinelli era ormai straziato da ore e ore di interrogatorio.

Ad un certo punto Calabresi fu chiamato dal Questore il quale aveva urgente bisogno di parlargli e lo aspettava nel suo studio. Il commissario andò nella stanza del Questore mentre l'interrogatorio continuò senza di lui. Ad un certo punto Pinelli cadde dalla finestra della stanza situata al quarto piano e morì prima di arrivare in ospedale. La Polizia parlò di suicidio, la piazza di omicidio, la magistratura stabilì che era caduto per un malore. Naturalmente l'effetto sulla cittadinanza di quanto era accaduto fu enorme e ancora più enorme fu quello esercitato sulla politica e in particolare su quella di sinistra: i comunisti, i socialisti, il partito d'azione, i repubblicani, insomma la sinistra e il centro sinistra. Venne l'idea di fare una grande manifestazione popolare per le strade della città, ma le strade erano state ovviamente tutte bloccate e impedite dalla polizia e quindi una manifestazione del genere era improponibile. Si passò allora all'idea di stilare un documento di denuncia e di farlo circolare su tutti i giornali e le agenzie di informazione. Più avanti, era ormai il 1971 e si stava tenendo il processo per la morte di Pinelli, fu stilato un testo, fu discusso da un gruppo del quale anch'io facevo parte (ero deputato alla Camera dal 1968 e lo rimasi fino al '72) e nel finale di quel documento c'era scritto che in attesa della fine del lavoro della magistratura, il primo atto di riparazione morale avrebbe dovuto essere l'allontanamento del commissario Calabresi dalla sua sede di lavoro. Non ricordo più tutte le firme ma ricordo che erano alcune centinaia di persone tra le quali Rossana Rossanda, Umberto Eco, e gli esponenti intellettuali di tutti quei settori che ho sopra ricordato.

Passarono alcune settimane. Calabresi non fu trasferito né lo voleva e cominciò una campagna sempre più violenta contro di lui, che culminò con il suo omicidio. In quel periodo cercai un colloquio con Calabresi, ma non riuscii a parlargli. Era stremato dalla situazione e non sovrapponeva al suo lavoro altri incontri inutili. Cercandolo ebbi modo di parlare brevemente con la moglie, molto più giovane di lui, la signora Gemma, la quale mi colpì per la sua gentilezza. Il commissario fu ucciso l'anno dopo, il 17 maggio del 1972, a soli 35 anni.

Ma la storia non finisce qui. Esattamente dieci anni fa, era il 16 maggio del 2007, ho rivisto la signora Gemma. L'allora sindaco di Roma Walter Veltroni aveva deciso di intitolare una via all'interno di Villa Torlonia a Luigi Calabresi. Decisi di partecipare e solo quando la cerimonia si fu conclusa la avvicinai, le chiesi se potevo abbracciarla e lei accettò, poi le dissi che ero andato lì per fare pace con la storia. Allora parlammo brevemente dei fatti del passato, del manifesto e delle firme, le dissi che quella firma era stata un errore. Lei accettò le mie scuse e si commosse.

Per il resto parlammo del lavoro del figlio Mario che allora era corrispondente di Repubblica da New York e che ora, da oltre un anno, dirige questo giornale.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/05/20/news/il_commissario_calabresi_e_quella_firma_del_1971-165894165/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #672 inserito:: Giugno 04, 2017, 11:59:48 am »

Legge elettorale, la riforma che mette la camicia di forza al Senato

Di EUGENIO SCALFARI
04 giugno 2017

I POLITICI che guidano i partiti, gli studiosi che ne osservano le mosse con attenzione e i giornalisti che riferiscono al pubblico ciò che accade sono in queste ore più che mai attenti alla legge elettorale in discussione, che dovrebbe essere approvata, dopo l’accettazione o l’abolizione di qualche centinaio di emendamenti (tutti di scarso rilievo) entro un mese. Parliamo naturalmente dell’Italia. Ci sarebbero altre questioni internazionali di grande interesse, ma oggi ne faremo a meno in questa sede.

Sulla legge elettorale i pareri tra i politici e chi li esamina sono diversi. I politici delle tre principali formazioni operanti in Parlamento e cioè il Pd, Forza Italia con Salvini e Meloni, il Movimento 5 Stelle, sono per il cosiddetto modello tedesco che ha come base il criterio proporzionale. Gli osservatori sono alquanto critici sul proporzionale e preferirebbero il maggioritario. Il dibattito è in pieno svolgimento ma corre un rischio: non è affatto chiaro, per la pubblica opinione che segue quanto sta avvenendo politicamente, in che cosa consista la differenza. Proporzionale o maggioritario: che cosa vuol dire in concreto? E poi c’è un altro problema, ancor più rilevante: il modello tedesco, comunque rammendato, riguarda la Camera o il Senato? Comincio a rispondere a questa seconda domanda.

La legge in corso di discussione riguarda entrambe le Camere le quali, a questo punto, avrebbero una sola differenza tra loro: l’età degli elettori chiamati a votare: alla Camera si vota dai 18 anni, al Senato dai 25. La differenza è di 7 anni, quindi il numero degli elettori è minore al Senato e anche il numero dei senatori è minore. Questa dell’età è una differenza che c’è sempre stata, ma ci sono state finora anche altre diversità notevoli nelle rispettive leggi elettorali. Questa volta invece non ce ne sarà nessuna.

La prima (e molto grave) considerazione su questo punto è la seguente: il referendum del 4 dicembre scorso prevedeva un sistema monocamerale. Il Senato esisteva ancora ma con dei compiti in gran parte dedicati alle Regioni e alle loro competenze. I senatori erano scelti tra i consiglieri regionali con il voto di ciascuna Regione. Era previsto che andassero in Senato per un paio di giorni alla settimana e poi rientrassero nelle Regioni di provenienza riassumendo il compito regionale.

Tutti ovviamente ricordiamo che il suddetto referendum, voluto da Renzi e dal suo partito, fu contraddistinto da un’affluenza eccezionale che superò il 65 per cento dell’elettorato e fu vinto dai “No” col 60 per cento dei voti contro i “Sì” (renziani) che non superarono il 40 per cento. Una sconfitta sonora che ha influito sui fatti politici successivi sui quali ora ci intratterremo.

Ma il punto grave, anzi gravissimo, è il seguente: la legge elettorale in discussione attualmente regola sia la Camera sia il Senato, il quale dopo il referendum suddetto ha riconquistato la sua sovranità. Ne deduco che il Senato dopo l’applicazione del modello tedesco sarà identico o con piccolissime differenze alla Camera, quindi un duplicato, salvo l’età degli elettori e degli eletti. Il risultato del referendum del 4 dicembre verrebbe perciò superato: avremmo due Camere con simili meccanismi di formazione. È costituzionale questa situazione? Qualora la Corte fosse investita del problema, quale sarebbe il suo giudizio? E quale quello del presidente della Repubblica sull’intera legge visto che a lui spetta, una volta che il Parlamento abbia varato la legge elettorale, di firmarla oppure di rinviarla alle Camere?

Ci sono molti altri temi italiani da discutere ma questo intanto l’abbiamo posto per primo perché è di grandissimo peso.

***

Un’altra questione cui abbiamo già accennato nelle righe iniziali di questo articolo e che dobbiamo adesso esaminare è la differenza tra un sistema elettorale proporzionale e uno maggioritario. Molti osservatori preferiscono il maggioritario, ma che cosa significano quelle due parole? Il significato del proporzionale è chiaro: gli elettori danno il voto a un candidato o a un partito che presenta dei candidati e quelli vengono eletti proporzionalmente.

Questo è il proporzionale, ma il maggioritario che cos’è? La risposta più elementare: viene eletto chi prende più voti in un collegio o si conferisce un premio in seggi a chi ha superato un certo limite. La legge attuale ancora in vigore per la Camera attribuisce questo premio a chi superi il 40 per cento dei voti espressi e ottiene in quel caso il 55 per cento dei seggi della Camera. Il modello tedesco non prevede nulla di simile e ha altri modi per premiare, il più evidente dei quali riguarda i poteri del leader del partito vittorioso, che diventa Cancelliere. Così si chiama il primo ministro e i suoi poteri sono pressoché totali, perfino dal punto di vista costituzionale. Il presidente della Repubblica, eletto dalla Camera, è un personaggio onorabile e puramente rappresentativo che può soltanto suggerire talvolta al Cancelliere un qualche intervento e nulla più.

Da questo punto di vista il maggioritario non è possibile in Italia perché i poteri del nostro presidente del Consiglio sono indicati dalla Costituzione e sono alquanto limitati da un presidente della Repubblica che non è affatto un burattino. Del resto basta ricordare i nomi di quelli che hanno occupato quella carica fin dall’inizio della nostra storia repubblicana: Einaudi, Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Cossiga, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Mattarella. Vi sembrano nomi da poco la cui influenza è stata sulla vita del Paese pressoché nulla, oppure nomi determinanti taluni nel male ma la maggior parte per fortuna nel bene dell’Italia?

Quindi il modello tedesco non è attuabile nella sua essenza, impone alla nostra classe politica di prevedere delle alleanze a elezioni avvenute. Questo rende ancor più difficile la situazione perché non si tratta di alleanze che si trasformano in coalizioni e come tali vanno al voto, bensì di operazioni successive al voto anche se fin d’ora gli interessati ne stanno discutendo tra loro. E chi ne sta discutendo? Ovviamente Renzi con Berlusconi. Lo scrivono e lo dicono tutti i giornali e le televisioni; prove naturalmente non ce ne sono o meglio trafilano attraverso amicizie comuni e bene informate, ma comunque la realtà impone questo tipo di alleanze. Il Movimento 5 Stelle resterà inevitabilmente da solo perché se facesse un’alleanza con un’altra importante forza politica si dissolverebbe entro pochi giorni. È un movimento, quello 5 Stelle, che è nato per esser solo e da solo può conseguire un risultato ma non in compagnia: essendo votato da elettori con sentimenti di sinistra o di destra o di centro o di totale indifferenza ma necessità di esprimerla, l’accordo con un’altra forza politica ben determinata come collocazione farebbe saltare in aria il grillismo.

Perciò al Pd, per conquistare un’alleanza importante che superi in questo modo il proporzionalismo e acquisti quel tanto necessario di maggioritario, non resta altro che Berlusconi. Un Berlusconi però senza Salvini perché Salvini sarebbe indigeribile per il Partito democratico. Già Berlusconi crea qualche difficoltà agli stomaci ma superabile perché è la sola via d’uscita per riconquistare il maggioritario in un sistema totalmente proporzionale.

***

Questo tema si potrebbe però risolvere in un altro modo, molto più democraticamente accettabile. Ed è il seguente con una brevissima premessa: il Partito democratico è sempre stato chiamato e si è così anche definito di centrosinistra. Non di sinistra. Due parole alle quali Walter Veltroni che lo fondò dopo l’Ulivo ne aggiunse un’altra: riformatore. Quindi un partito di sinistra che cerca di raccogliere i voti della sinistra combinandoli insieme ai voti di centro che hanno un carattere più moderato. Ma riformatore è anche il centro. Queste cose bisognerebbe rileggerle in Democrazia e libertà di Tocqueville. Lì si apprenderebbero molte cose estremamente moderne e utili per quello che sta accadendo qui da noi ma che in parte (in gran parte) è accaduto anche con la vittoria di Macron in Francia. Se andassimo a guardare la struttura del suo governo e la sua composizione, ci accorgeremmo che Macron ha messo insieme dalla destra alla sinistra, passando per vie e comunità intermedie, un governo molto moderno che si dovrà occupare di ricchi e di poveri, di tasse e di spese, di disuguaglianze da colmare, di capitalismo da vivacizzare e di occasioni di lavoro crescente. Il tutto sotto la bandiera tricolore e quella a stelle dell’Europa, perché Macron vuole rafforzare l’Europa. Se avessimo un Macron italiano! Personalmente ho sperato per qualche tempo che lo fosse Renzi, ma ne sono stato purtroppo deluso. Renzi vuole comandare da solo. Macron non comanda da solo anche perché non è il primo ministro ma il presidente della Repubblica. Ha poteri propri: la politica estera e la difesa. E si vale di esperti di grandissimo livello. Per il resto ha un governo che è appunto composto da tutte le forze costituzionali che abbracciano l’intero quadro della classe dirigente del Paese.

La situazione in Italia è molto diversa e purtroppo, come abbiamo già visto, le alleanze fatte dopo le elezioni porteranno molte coalizioni e non sappiamo quanto dureranno. Se fossero state fatte prima (e sarebbe ancora possibile introdurle nella legge in discussione), la situazione sarebbe decisamente diversa. Renzi dovrebbe allearsi con un Pisapia e tutta quella sinistra che lo seguirà (i cui elettori saranno probabilmente molto più numerosi di quanto si pensi) e aggiungere a questa di sinistra un’alleanza al centro con Alfano e Parisi: insomma il centro moderato che è perfettamente consono a un partito che non a caso si definisce riformatore di centrosinistra. Questo dovrebbe essere l’obiettivo. Temo che non ce la faremo a vederlo.

Caro Matteo, dei libri che ti ho consigliato temo che tu non ne abbia letto una riga perché sei molto occupato in altre cose. Ma dovresti fare uno sforzo almeno per il Tocqueville che ho sopra ricordato. Quello sembra scritto per te. Fai questo sforzo nel tuo interesse che sarebbe, se fosse ben considerato da te medesimo, anche l’interesse del Paese e soprattutto non ti mettere in testa di far fuori Gentiloni a ottobre, questo sarebbe un altro drammatico errore.

© Riproduzione riservata 04 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/04/news/legge_elettorale_la_riforma_che_mette_la_camicia_di_forza_al_senato-167193566/?ref=RHPPLF-BH-I0-C4-P4-S1.4-T1
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« Risposta #673 inserito:: Giugno 19, 2017, 05:31:42 pm »

Prodi, Renzi, Pisapia e una certa idea di sinistra
Quasi certamente sarà il segretario Pd ad andare al voto, ma con quale legge elettorale? E con quali alleati per avere una solida rappresentanza nelle due Camere che hanno pari sovranità politica?

Di EUGENIO SCALFARI
18 giugno 2017

Il mondo sta cambiando e l’Europa e l’Italia cambiano anch’esse. Questa mutazione ci stupisce: che dobbiamo fare? Assistere passivamente? Reagire? Ma come? Combattendo contro oppure appoggiando il cambiamento e portandolo avanti fino a quando diventi una vera e propria rivoluzione? Una rivoluzione, quando eventualmente scoppiasse, sarebbe mondiale perché viviamo in una società globalizzata. Ogni Paese, ogni Stato, ogni continente reagirebbe a suo modo secondo gli interessi, i valori, i sentimenti delle persone, dei popoli, delle plebi.

È questo fenomeno che si sta per la prima volta verificando? Io non credo: il mondo cambia continuamente e quelli che lo vivono pensano che una grande novità si stia verificando, ma non è così. Tutto si muove di continuo, attimo per attimo, dentro e fuori di noi. Spesso i mutamenti ci sembrano impercettibili e infatti lo sono, ma col passare del tempo diventano massa. Questo ci spaventa e ci mobilita. Insomma ci scuote. Vogliamo dargli un nome? È la vita. Diversa ma estremamente simile per ciascuno di noi.

Noi non distinguiamo una formica dall’altra. Ma a me capita spesso che se incontro un gruppo di cinesi mi sembrano l’uno identico all’altro e se dall’alto di un aereo vediamo a terra un gruppo di persone, ci fanno lo stesso effetto delle formiche. In conclusione: tutto è relativo, ciascuno ha una sua verità assoluta, ma è assoluta solo per lui. Einstein scoprì la relatività delle onde e delle particelle elementari e di quanto venne dopo, ma questa appunto è la vita. La relatività di Einstein è, almeno per ora, la legge del creato.

Questa premessa era introduttiva della politica: anche quella sta cambiando in tutto il mondo, ma a me oggi interessa occuparmi di ciò che avviene in Italia. Naturalmente come la vedo io. La politica infatti è il tema principale d’una collettività, ma tutti quelli che se ne occupano portano in campo il proprio Io. E poiché noi siamo fatti in modo che una parte di noi porta se stesso all’opera, dobbiamo rivelarci agli altri prima di raccontare ciò che avviene intorno a noi e di darne un giudizio di valore.

Dunque presento ciò che siamo e pensiamo, anche se gran parte dei nostri amici e lettori lo sa da tempo. Noi apparteniamo a quella scuola politica dei fratelli Rosselli che lanciò come bandiera di raccolta il motto “Giustizia e Libertà”. Su quello slogan nacque il Partito d’Azione ed anche le brigate partigiane che quello slogan lo diffusero.

A sua volta la Rivoluzione francese del 1789 inventò la bandiera dei tre colori che significavano “libertà, eguaglianza, fraternità”. Da noi la gioventù mazziniana inalberò anch’essa il tricolore (con il verde al posto del blu). Il Partito d’Azione ebbe breve e sfortunata vita e si divise nel 1948, ma la sua cultura politica è rimasta ed è la nostra e dei nostri giornali: liberal-socialismo o liberal-democrazia, due dizioni diverse che significano la stessa cosa. Potremmo anche dire “sinistra liberale”. È sempre la stessa cosa. Vale per l’Italia ed anche per l’Europa.

Ancora non sappiamo se Macron sia un liberal-socialista europeista, ma è molto probabile che lo sia. Anche noi siamo profondamente europeisti; non a caso i tre fautori del Manifesto di Ventotene precedettero il Partito d’Azione ma poi fecero anch’essi proprio lo slogan di “Giustizia e Libertà”. Speriamo che Macron stia dalla stessa parte. La Francia è la Francia e la Marsigliese non è un inno soltanto francese ma anche europeo, come e più dell’Internazionale.

Con queste idee che ci animano, in Italia non possiamo che essere vicini al Partito democratico. Fu fondato da Veltroni il 14 ottobre del 2007; il programma fu da lui esposto al Lingotto di Torino il 27 giugno e le elezioni si fecero il 13 e 14 aprile del 2008. Ottenne quasi il 35 per cento dei voti, pari al massimo raggiunto da Berlinguer. Poi accaddero una serie di fatti e si succedettero vari governi, tecnici o tecnico-politici: il governo Monti, il governo di Enrico Letta, il governo Renzi ed anche quello tuttora in carica votato da Renzi ma presieduto da Gentiloni. Andrà avanti fino alla fine della Legislatura e si voterà di nuovo nell’aprile del 2018.

Quasi certamente sarà Renzi ad andare al voto, ma con quale legge elettorale? E con quali alleati per avere una solida rappresentanza nelle due Camere che hanno pari sovranità politica? Finora Renzi ha molto oscillato, anche perché per cambiare la legge elettorale ci voleva l’accordo generale dei quattro partiti (o movimenti che dir si voglia): il Pd renziano, la Lega di Salvini, Forza Italia di Berlusconi e il M5S di Grillo, Casaleggio, Di Maio e compagnia.

Inizialmente la legge era quella che imitava la legge tedesca, ma improvvisamente Grillo ha fatto saltare il banco e tutto è tornato a zero. Tre giorni fa Renzi ha incontrato Romano Prodi che si è posto come federatore tra Renzi e la sinistra dissidente che è uscita dal partito e dalla maggioranza. Questa sinistra sarà in questi giorni convocata da Pisapia e si vedrà se aderirà alle proposte conciliative di Prodi (e quindi di Renzi).

Se andasse in porto non sarà però sotto forma di rientro nel Pd, ma di alleanza con esso. In questo caso l’operazione sarebbe pienamente riuscita. La approverà anche Napolitano con una sinistra distinta ma alleata che probabilmente raccoglierebbe un 10 per cento del corpo elettorale votante. Renzi punta al 30. Se così andassero le cose il centrosinistra andrebbe vicino al 40 e forse lo sorpasserebbe con il centro guidato da Alfano e Parisi. I veri sconfitti sarebbero in tal caso Grillo e Salvini, con un Berlusconi amichevolmente autonomo.

La nostra valutazione di Renzi l’abbiamo già fatta molte volte, ma non è sempre la stessa. In certe occasioni i suoi errori sono marchiani, specie in politica economica quando prende la mano a Padoan ed opera senza di lui. E non parliamo del suo rapporto con la sinistra dissidente e con alcune personalità che hanno grandi meriti nella vita italiana e che lui ha sempre volutamente ignorato.

Altre volte invece la valutazione è stata positiva. Quando si è occupato di rafforzare l’Europa indicando quali erano le finalità europeiste. Dovrebbe puntare molto su Macron, ma lì interviene probabilmente una rivalità personalistica che non coincide con il vero interesse franco-italiano che dovrebbe esprimersi con un legame politico e personale tra i due personaggi che si propongono la costruzione della vera Europa. Comunque, se l’iniziativa di Prodi con Pisapia andasse a buon fine, probabilmente le doti di Renzi vincerebbero le sue debolezze e darebbero al nostro liberal-socialismo lo slancio economico e politico per l’Italia e l’Europa.

Il mio carissimo amico Ezio Mauro ha scritto giovedì scorso un articolo con una parte del quale chiudo questo mio articolo. «È ben chiaro che l’Italia dei piccoli paesi e delle lunghe periferie, sotto i colpi della crisi riscopre antiche paure, un inedito egoismo del welfare, una nuovissima gelosia del lavoro, uno smarrimento identitario sconosciuto. A tutto questo bisogna rispondere ma dentro un sentimento di comunità, su una scala europea, nella fiducia di una tradizione occidentale di inclusione responsabile e di apertura culturale».

Se così non è viene fuori un’idea balorda dell’Italia: paese di singoli arrabbiati con chi ha vinto e con chi ha perso, per l’invidia del successo, la noncuranza del sapere, il fastidio della responsabilità generale. Ma fuori (questo forse non lo sanno) c’è il mondo.

© Riproduzione riservata 18 giugno 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/06/18/news/prodi_renzi_pisapia_e_una_certa_idea_di_sinistra-168404315/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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« Risposta #674 inserito:: Luglio 02, 2017, 05:06:31 pm »

Come vorrei che Matteo e Giuliano fossero presi da incantamento
"Non c'è granché di nuovo in questo Insieme, ma molto di vecchio, quello sì.

Pisapia è stato un ottimo sindaco di Milano di sinistra, votato anche da personaggi come Giulia Maria Crespi e dalla famiglia cattolica dei Bassetti.
Non fece mai l'interesse dei padroni ma quello della città. Renzi l'avrebbe desiderato tra i suoi nuovi sostenitori ma lui non c'è andato"

Di EUGENIO SCALFARI
02 luglio 2017

OGGI parlerò ancora della sinistra. L'ho fatto anche la settimana scorsa auspicando che superasse le divisioni interne e si occupasse principalmente dell'Europa, ma le cose non sono affatto andate così. Si trattava di elezioni comunali e la sinistra non si è affatto unificata. Qua e là un nome l'ha unita quando il candidato era di simpatia e antica notorietà (vedi il caso di Palermo) ma il vero crollo è stato l'affluenza, specie nel centro- nord.

Si trattava comunque di elezioni comunali. Oggi il problema è del tutto diverso: il Campo progressista immaginato da Pisapia si è riunito in piazza Santi Apostoli a Roma insieme a tutte le altre sigle, da Bersani a D'Alema, da Fassina a Civati, da Gotor a Cuperlo con l'obiettivo di stare insieme. Hanno parlato in molti, provenienti in gran parte da specifici settori e attività: lavoratori, giornalisti della vecchia Unità, rappresentanti dei Verdi e gli amici del centro di Tabacci.

Tra i discorsi più importanti c'è stato quello del costituzionalista Onida che ha richiamato principalmente al rispetto della Carta. Naturalmente un discorso importante è stato quello di Bersani.

Renzi è stato pochissimo nominato. Il finale come previsto è stato di Pisapia il quale dopo aver ringraziato tutti quelli che lo avevano preceduto ha detto la sua. Ha segnalato molti dei guai che affliggono il nostro Paese.

Un lungo elenco al quale si impegnava a porre rimedio: la povertà, la disuguaglianza, la precarietà del lavoro, l'immigrazione, la necessità dell'acqua pubblica. Ha anche detto che l'Europa è un tema importantissimo e che la sinistra dovrà impegnarsi per diminuire i movimenti sovranisti e rafforzare le strutture europee.

Non è, la sua, una lotta contro Renzi; ci sarà, non c'è dubbio, ma non è quello l'obiettivo principale per la semplice ragione che il Pd non è più un partito di sinistra. Non lo si può definire neppure di destra; forse è di centro, ma che cos'è il centro? C'è Alfano nel centro, c'è Casini, c'è Parisi, c'è Toti. Renzi non è di centro. Renzi è Renzi, non ha un programma, non ha una linea, ha soltanto la brama del potere.

Questo pensano Pisapia e i suoi amici. Quindi la sinistra non c'è. Bisogna ricostruirla e se ci riusciranno rappresenterà il popolo lavoratore, i vecchi e i giovani, il Sud e il Nord, i poveri e gli intellettuali. Insomma l'Italia civile. Certo, la nuova sinistra sarà progressista ed europeista. E che cosa farà per l'Europa? Troppo presto per parlarne in concreto. Si vedrà.

Intanto costruiamo la nostra forza. Insieme. Questo non è un auspicio ma addirittura lo slogan d'un programma, così hanno detto Pisapia e tutti gli altri: INSIEME.

Questo è accaduto ieri. Vi piace? Vi convince? Oppure non vi riguarda? Pensate che la sinistra non conti più niente nel mondo? Conta semmai la destra, liberisti o professionisti o indifferenti o grillini o leghisti. Oppure pensate a voi stessi nei modi più vari e vi infastidisce la politica?

***

Domenica scorsa ho scritto sull'Espresso un articolo intitolato: "Inferno e Paradiso dentro il nostro Io". Ne riporto qui una breve citazione che può essere molto appropriata al nostro tema di oggi.

"Noi in qualche modo apparteniamo al genere animalesco, ma ne siamo usciti e formiamo una specie a parte: la più speciale delle nostre facoltà è che ora siamo in grado di osservare noi stessi mentre viviamo e operiamo. Il nostro Io convive con un Altro se stesso che si auto osserva e spesso i due sono contrapposti: l'Io che osserva se stesso può non piacersi e può influire e modificare i comportamenti dell'Io operante. L'Io dunque è duplice, ma spesso quello giudicante viene messo a tacere dal se stesso operativo. Questo è il vero e affascinante tema: due Io distanti tra loro e spesso contrapposti. È affascinante anche studiare quelle contrapposizioni. Il sentimento più interessante è l'Amore, per gli altri e per se stessi. In quel caso l'Amore diventa Potere. Al centro c'è sempre l'Io dalle molte forme. L'Io contiene la vita che è Inferno e Paradiso mescolati insieme. La morte placa e spegne il fuoco".

Dunque è l'Io dei protagonisti da studiare attentamente per capire che cosa sta accadendo e ciò che accadrà entrando nella storia. *** L'amore a sinistra opera per occupare uno spazio vuoto. Ma lo spazio vuoto non è mai esistito. L'ha detto Galileo e infine in modo definitivo Einstein e la fisica dei "quanti". Lo spazio vuoto non esiste neppure in politica. Si modificano le forze attrattive, questo sì.

La sinistra di Pisapia è una forza attrattiva? Come quella che ebbe a suo tempo Togliatti? E dopo di lui, con modalità assai diverse, Enrico Berlinguer? E dopo di loro Walter Veltroni?

No, la sinistra di Pisapia potrà difficilmente riempire un vuoto. Non ha miti, non ha ideologie. D'Alema la pensa come Civati? Gotor come Fassina? Pisapia come Camusso?

Si vedrà. Il loro Io giudicante non è affatto d'accordo con quello operativo. Il quale però lo fa tacere con un solo argomento: stiamo tutti insieme per mettere Renzi fuori gioco. Accetteremmo Franceschini, se venisse. E Zingaretti, perché no. E naturalmente il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando.

Le prospettive del futuro, come sembra dai primi sondaggi, assegnano a questa sinistra fino a un possibile 10 per cento. Del resto l'affluenza declina per tutti, anche per Grillo, anche per Berlusconi. Ma soprattutto per Renzi. Questo è il progetto.

Ebbene, non c'è granché di nuovo in questo Insieme, ma molto di vecchio, quello sì. Pisapia è stato un ottimo sindaco di Milano di sinistra, votato anche da personaggi come Giulia Maria Crespi e dalla famiglia cattolica dei Bassetti. Non fece mai l'interesse dei padroni ma quello della città. Renzi l'avrebbe desiderato tra i suoi nuovi sostenitori ma lui non c'è andato. *** E Renzi? Finalmente si è convinto che la legislatura deve seguire il suo corso fino all'aprile del 2018. Allora sì, si voterà. Con quale legge elettorale? Ancora non lo sa. Alcuni suggeriscono il maggioritario, magari alla francese, col ballottaggio tra coalizioni.

Non sarebbe affatto male, ma quanto conta oggi il partito di Renzi? L'ultimo sondaggio di Ilvo Diamanti gli assegna il 26 per cento, soprattutto se Franceschini tornasse saldamente con lui ottenendo però un riconoscimento concreto nel nuovo governo. Idem, a mio avviso, Zingaretti. Insomma non più un giglio magico di lottiano e boschiano sapore, ma una classe dirigente che dovrebbe avere Minniti come spina dorsale.
Ma questa riforma dovrebbe anche avere il conforto concreto di personaggi del calibro di Prodi, Veltroni, Enrico Letta ed anche Monti e Alfano e Parisi. Insomma una classe dirigente di stampo europeo che appoggi in tutti i modi la politica europeista di Mario Draghi.

Questa è una classe dirigente, di vecchia e nuovissima sinistra. Questo marchio ricorda che cosa fu la politica del Partito comunista italiano ai tempi di Togliatti, con una classe dirigente formata da Longo, Amendola, Ingrao, Berlinguer, Tortorella, Scoccimarro, Terracini, Reichlin, Napolitano. Discutevano, spesso dissentivano e infine trovavano un accordo e il partito guadagnava prestigio e forza.

Il materiale umano c'è, specie se consideriamo anche Gentiloni e Padoan. Renzi se la sente? Oppure ragiona ancora come l'unico gallo d'un pollaio senza galline?

Anche qui tutto dipende dall'Io. Se quello che giudica se stesso avrà la meglio la situazione migliorerà, altrimenti dominerà la logica di Pontassieve e sarà peggio per tutti. Pensate un po': vincerà Berlusconi e torneremo indietro di vent'anni.

Allora è meglio salvarsi l'anima e puntare sull'Ulivo di Romano Prodi. Di più non so dire. Mi viene in mente un sonetto dantesco che suona così: "Guido, i' vorrei / che tu e Lapo ed io / fossimo presi per incantamento / e messi in un vasel, ch'ad ogni vento / per mare andasse al voler vostro e mio".

Questo sonetto ha un seguito ma credo che basti così.

© Riproduzione riservata 02 luglio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/07/02/news/come_vorrei_che_matteo_e_giuliano_fossero_presi_da_incantamento-169735452/?ref=RHPPRB-BH-I0-C4-P1-S1.4-T1
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