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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 318954 volte)
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« Risposta #645 inserito:: Novembre 07, 2016, 04:52:18 pm »

SCALFARI: GRILLO È IL NEMICO

Renzi deve e può fermare i grillini, il vero pericolo

Di GIUSEPPE TURANI | 06/11/2016

 “Il vero e terribile avversario di Renzi e della sua politica in Italia e in Europa è il Movimento 5 Stelle. Con la legge elettorale attuale i grillini (che non amano sentirsi chiamati così) avrebbero la quasi certezza di vincere al ballottaggio ed anche di essere decisivi per la vittoria del No referendario. Il Movimento 5 Stelle non ha certo la forza esplosiva di un Donald Trump, soprattutto perché l'Italia non è l'America. Ma un grillino alla guida dell'Italia possiamo immaginare come si comporterebbe nel nostro Paese, in Europa e in tutti i Paesi extraeuropei, cioè nel mondo intero?

A due mesi dalle elezioni a sindaca di Roma abbiamo visto che cosa ha fatto la Raggi: nulla, non ha fatto nulla salvo aver disdetto le olimpiadi ed avere anche sospeso la costruzione di un settore essenziale della metropolitana. Forse quelle sospensioni avevano qualche giustificazione ma la vera ragione è che se avesse accettato le olimpiadi la Raggi non era in grado di iniziare da subito le opere preliminari e di programmare poi gli impianti necessari ai vari sport olimpici.

Questo è accaduto alla sindaca di Roma con il sostegno di tutti i cinquestellati. Rispetto a questo esempio su scala nazionale e internazionale è immaginabile quale sarebbe la fine dell'Italia."

Dopo il suo confronto televisivo con Di Battista dei Cinque stelle sui social network molti lo avevano trattato da vecchio rimbambito, senza apprezzare che invece era stato uno dei primi personaggi importanti a spiegare chiaramente che roba era, e è, il movimento di Grillo: un partito comico posseduto da un comico che fa una politica comica.

Nell’editoriale di oggi su “Repubblica” fa un ulteriore passo in avanti. Soddisfatto perché il Pd si appresta a cambiare la legge elettorale (suo vecchio pallino), non esita a indicare Renzi come il possibile, e auspicabile, salvatore dell’Italia da una possibile sciagura a Cinque stelle.

E spiega chiaramente come oggi il pericolo in Italia sia non la fantomatica “deriva autoritaria” renziana quanto l’esistenza di un movimento come quello di Grillo, una raccolta di insoddisfatti con il solo progetto di distruggere tutto. Ma anche incapaci di tutto.

Tutto ciò è molto interessante. Si pensi, ad esempio, che Bersani, non pago della figuraccia fatta a suo tempo con i Cinque stelle in diretta streaming, è ancora lì che sogna e indica un possibile futuro di governo con i grillini.

Fra i grandi vecchi della vita pubblica italiana, questa è la verità, Scalfari si rivela ancora come il più sveglio e il più attento.

Grande. Alla faccia di quelli che lo volevano a casa con il plaid sulle ginocchia.

Da - http://www.uominiebusiness.it/default.aspx?c=635&a=24710&tag=06-11-2016-ScalfariGrillo%C3%A8ilnemico#.WB7506JwjFQ.facebook


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« Risposta #646 inserito:: Novembre 08, 2016, 11:12:32 pm »

Renzi scongiuri il rischio di un Trump italiano

Di EUGENIO SCALFARI
06 novembre 2016

OGNI Paese ha i suoi guai, ma quello di Donald Trump è un guaio mortale, soprattutto per l’Occidente. Mentre scrivo i sondaggi sono oscillanti, siamo appena a due giorni dalle elezioni americane e i due candidati sono testa a testa, alcuni sondaggisti danno come vincente Hillary ma con un distacco di pochissimi punti da Trump. Tutto può quindi accadere perché gli indecisi sono molti e possono cambiare opinione fino alle ultime ore che li dividono dalle urne. Una delle carte vincenti per Hillary è l’impegno che Barack Obama ha messo da tempo e in particolare per la Clinton. Se Hillary ce la farà, la sua politica sociale, economica, internazionale sarà una sorta di prosecuzione di quella del suo predecessore. Certo non ha lo smalto di Obama ma sarà pur sempre la prima donna alla Casa Bianca e questa è una non trascurabile novità.

L’America di Trump sarà non tanto conservatrice; di Amministrazioni conservatrici ce ne sono state alcune di grande rispetto, ma quella di Mister Donald è quasi una rivoluzione: è xenofoba, antidemocratica, militarista, alleata di tutte le autocrazie esistenti nel mondo, alleata di Putin, vista con simpatia dalla Cina, dalla Turchia e da tutti quei movimenti populistici che da questa alleanza escono rafforzati e più che mai contro l’Europa e contro la moneta unica. Insomma una situazione catastrofica nelle mani di un personaggio politicamente impreparato e razzista.

In Italia, secondo le rilevazioni d'una agenzia specializzata in questo tipo di ricerche, il 21 per cento, cioè un quinto dei nostri elettori, si è dichiarato in favore di Trump e non è certo una cifra da poco. Berlusconi è contro, ma Salvini no e questo dovrebbe costituire un'incompatibilità all'alleanza elettorale tra quei due partiti. Altri simpatizzanti per Trump ci sono in Egitto, negli Emirati del Golfo e in Turchia. Trump è insomma una mina vagante che l'America rischia di regalare al mondo intero oltre che a se stessa.

***

Il secondo tema è invece positivo: la Corte di giustizia di Londra ha dichiarato illegittimo il referendum che ha approvato l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, il cosiddetto Brexit, senza il voto del Parlamento, Camera dei lord compresa. Tutt'al più si tratterebbe di un referendum consultivo secondo la Corte, ma privo di poteri decisionali. Perciò, dice con apposita sentenza la Corte, occorre che il Parlamento sia immediatamente convocato per un voto decisionale a meno che sia proposto un appello alla Corte di Giustizia Suprema, il cui giudizio sarebbe risolutivo. Nel frattempo la sterlina è balzata in alto dell'1,7 per cento nei confronti del dollaro e un vento di ottimismo si è immediatamente diffuso nel Parlamento europeo e in tutte le istituzioni dell'Ue. Ma sarà favorevole se appellata, la Corte Suprema inglese?

In attesa fioriscono altre possibili soluzioni a favore di chi è contro il Brexit. Per esempio c'è chi teorizza che una discussione del referendum sia soggetta al beneplacito della regina Elisabetta, senza il quale il referendum sarebbe invalido. La Corona, in una materia che incide sulla politica estera e su quella della Difesa, ha l'appannaggio che in un caso del genere potrebbe perfino sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni. La Corona cioè avrebbe un proprio potere autonomo rispetto ad un referendum che incide sulla sovranità della Monarchia.

Nel mondo finanziario europeo questa decisione sta producendo effetti positivi tra gli investitori; l'eventuale rientro del Regno Unito nell'Ue, sarebbe un evento con un'influenza positiva politica ed economica. Si spera comunque che la decisione finale avvenga con la massima possibile velocità. E se lo augurano soprattutto la Germania e l'Italia per ragioni diverse ma convergenti.

***

Ed ora siamo all'Italia e a Matteo Renzi. Anche lui e quindi noi tutti, contrari o favorevoli o oggettivamente neutrali, deve affrontare una serie di difficoltà la prima delle quali è il terremoto. Non è soltanto un'emergenza e non riguarda soltanto una parte dell'Italia centrale che ne è stata colpita in questi ultimi due mesi. Il terremoto riguarda l'Italia intera, dalla Sicilia fino all'Emilia e al Friuli ed ha un nome: ricostruzione antisismica ovunque.

Affrontare l'emergenza è una necessità immediata sapendo però che serve la ricostruzione antisismica che deve accompagnarla e proseguire ad emergenza temporaneamente passata. Si tratta di stanziare decine e decine di miliardi e di promuovere una politica economica keynesiana alla quale anche l'Europa deve contribuire sia con proprie risorse destinate alle aree depresse e colpite da un sisma che si ripeterà di continuo e sia consentendo all'Italia quella politica keynesiana che è inevitabilmente fondata sul debito.

C'è un aspetto positivo in quella politica: la creazione di posti di lavoro direttamente da parte dello Stato e di enti pubblici ma anche da parte di imprese private con appalti sorvegliati che impediscano eventuali reati di corruzione come spesso è avvenuto.

Ed ora una seconda difficoltà che è invece tutta politica e riguarda il No e il Sì al referendum del 4 dicembre prossimo. Non ha certo il peso delle elezioni americane né del Brexit, ma in qualche modo riguarda la sopravvivenza politica di Renzi se il No avrà la maggioranza oppure il suo rafforzamento e quello del suo governo se vincerà il Sì con ripercussioni non trascurabili sulla stessa Europa.

Il comitato dei Cinque che lo stesso Renzi ha nominato affinché studi un progetto di cambiamento della legge elettorale vigente ha terminato i suoi lavori e stilato una proposta che Renzi ha fatto propria. Il progetto del comitato, a quanto sappiamo, propone l'abolizione del ballottaggio, l'abolizione delle preferenze, il voto popolare in collegi sufficientemente ampi con alleanze e quindi apparentamenti omologhi in tutto il Paese.

Si tratta d'una proposta perfetta, elaborata dai Cinque rappresentativi del vertice del Pd e in particolare da Gianni Cuperlo, rappresentativo dei dissidenti che vogliono tuttavia lavorare lealmente al rafforzamento d'un partito di centrosinistra moderno e democratico, senza alcun rischio di autoritarismo.

Ci auguriamo che Renzi annunci questo progetto pubblicamente anche in Parlamento avvertendo che dovrà essere a suo tempo approvato formalmente dalla direzione del Pd. Insomma un annuncio decisamente personale, ma in realtà essenziale per chi dirige partito e governo e punta a un Pd compatto salvo qualche eventuale e personale eccezione.

***

Il vero e terribile avversario di Renzi e della sua politica in Italia e in Europa è il Movimento 5 Stelle. Con la legge elettorale attuale i grillini (che non amano sentirsi chiamati così) avrebbero la quasi certezza di vincere al ballottaggio ed anche di essere decisivi per la vittoria del No referendario. Il Movimento 5 Stelle non ha certo la forza esplosiva di un Donald Trump, soprattutto perché l'Italia non è l'America. Ma un grillino alla guida dell'Italia possiamo immaginare come si comporterebbe nel nostro Paese, in Europa e in tutti i Paesi extraeuropei, cioè nel mondo intero?

A due mesi dalle elezioni a sindaca di Roma abbiamo visto che cosa ha fatto la Raggi: nulla, non ha fatto nulla salvo aver disdetto le olimpiadi ed avere anche sospeso la costruzione di un settore essenziale della metropolitana. Forse quelle sospensioni avevano qualche giustificazione ma la vera ragione è che se avesse accettato le olimpiadi la Raggi non era in grado di iniziare da subito le opere preliminari e di programmare poi gli impianti necessari ai vari sport olimpici.

Questo è accaduto alla sindaca di Roma con il sostegno di tutti i cinquestellati. Rispetto a questo esempio su scala nazionale e internazionale è immaginabile quale sarebbe la fine dell'Italia.

In queste condizioni e in queste prospettive Renzi ha non solo la facoltà ma l'obbligo
di fare proprie le conclusioni del comitato da lui nominato. Non ci sono alternative. Non si può correre il rischio di causare la trasformazione d'un teatro dell'Opera in un teatro di burattini con un burattinaio ventriloquo che li muove con i fili e gli presta la voce.
 
© Riproduzione riservata 06 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/11/06/news/renzi_scongiuri_il_rischio_di_un_trump_italiano-151422020/?ref=HRER2-1
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« Risposta #647 inserito:: Novembre 11, 2016, 06:05:40 pm »

Il Papa a Repubblica: "Trump? Non giudico. Mi interessa soltanto se fa soffrire i poveri"
Nell'incontro con Eugenio Scalfari il pontefice esorta i cattolici a un nuovo impegno in politica: "Non per il potere ma per abbattere muri e diseguaglianze"

Di EUGENIO SCALFARI
11 novembre 2016

SCRIVO questo articolo il giorno successivo all'imprevista vittoria elettorale di Donald Trump su Hillary Clinton. E' un grande evento avvenuto in un grande Paese democratico con procedure democratiche, il che significa che la maggioranza degli elettori ha scelto un nuovo Presidente come successore di Barack Obama. Non si poteva fare una scelta politica così diversa. Tanto più che Obama per un mese si è prodigato in tutte le principali zone degli Stati Uniti in favore del Partito democratico da lui rilanciato fin dalla sua prima campagna elettorale che lo condusse alla Casa Bianca. Trump non ha alcun carisma e alcuna competenza politica. La leadership gliel'hanno data gli elettori, mentre Obama fu lui a convincere gli americani e l'intero mondo occidentale. La differenza è dunque totale.

Quanto a noi europei e italiani la vittoria di Trump è catastrofica. Trump è l'angelo bianco, discute contro gli establishment di tutti gli Stati americani, contro tutti gli immigrati e le loro famiglie e rafforza tutti i movimenti in Europa che si oppongono ai Vip e alle classi dirigenti dei loro paesi, rafforza Grillo, rafforza la Le Pen, la Lega di Salvini e i partiti che hanno determinato il Brexit e i movimenti che da destra e da sinistra insidiano la Cancelliera Angela Merkel. In Italia dovrebbe favorire il No al referendum voluto da Renzi poiché una crisi italiana giova alla posizione internazionale che Trump sostiene. Più confusione c'è altrove e meglio è per lui che deve imporre al mondo intero una nuova strategia di conflitti e di alleanze.

In Italia questo rischio potrebbe perfino aumentare i Sì ma al tempo stesso rafforza i No che metterebbero il nostro governo in crisi con ulteriori difficoltà a risolverla. Una crisi italiana metterebbe in difficoltà anche la moneta comune poiché il nostro movimentismo a cominciare da Grillo è decisamente favorevole a tornare a una moneta locale mettendo l'Eurozona sotto attacco anche da parte dei Paesi che non vi sono mai entrati come Polonia e gli altri dell'Est della Ue.

Questa mia breve premessa era necessaria. Il nostro giornale ha già raccontato e analizzato tutti i nuovi aspetti della situazione che si è creata con la vittoria di Trump e mi pareva opportuno farne anch'io un esame ma molto breve. Il vero tema di questo articolo infatti non riguarda la vicenda americana ma un invito da me da tempo desiderato per un incontro con papa Francesco. Avevo avuto con Lui la settimana scorsa una lunga telefonata perché Sua Santità voleva discutere con me la visita che avrebbe fatto tre giorni dopo in Svezia con i rappresentanti mondiali della religione luterana e della riforma dalla quale è nata mezzo millennio fa.
Ho già riferito di questa conversazione solo per dire che ho l'onore di ricevere frequenti telefonate da papa Francesco ma non ci vediamo di persona da oltre un anno e quindi il suo invito mi ha fatto felice. Ci siamo incontrati lunedì 7 e siamo stati insieme oltre un'ora. Due giorni prima e cioè sabato 5 il Papa aveva incontrato i rappresentanti del Movimento popolare. Si tratta di un movimento che conta centinaia di migliaia di aderenti nei principali Paesi dove la presenza cristiana è molto diffusa. Il discorso di papa Francesco a questi volontari della fede occupa sei pagine dell'Osservatore Romano. Naturalmente quando due giorni dopo ha incontrato me avevo già letto il testo integrale di quel discorso. Più volte ho scritto che Francesco è un rivoluzionario ma questa volta altroché rivoluzione...

Ed ora vediamo come e perché.

***

Ci siamo abbracciati dopo tanto tempo. "La vedo bene" mi ha detto.

Anche Lei sta benissimo nonostante i continui strapazzi della sua vita.
"E' il Signore che decide".

E "sora nostra morte corporale".
"Sì, corporale".

Era la conversazione che cominciava per entrare subito nel profondo.

Santità - gli ho chiesto - cosa pensa di Donald Trump?
"Io non do giudizi sulle persone e sugli uomini politici, voglio solo capire quali sono le sofferenze che il loro modo di procedere causa ai poveri e agli esclusi".

Qual è allora in questo momento tanto agitato la sua preoccupazione principale?
"Quella dei profughi e degli immigrati. In piccola parte cristiani ma questo non cambia la situazione per quanto ci riguarda, la loro sofferenza e il loro disagio; le cause sono molte e noi facciamo il possibile per farle rimuovere. Purtroppo molte volte sono soltanto provvedimenti avversati dalle popolazioni che temono di vedersi sottrarre il lavoro e ridurre i salari. Il denaro è contro i poveri oltreché contro gli immigrati e i rifugiati, ma ci sono anche i poveri dei Paesi ricchi i quali temono l'accoglienza dei loro simili provenienti da Paesi poveri.
E' un circolo perverso e deve essere interrotto. Dobbiamo abbattere i muri che dividono: tentare di accrescere il benessere e renderlo più diffuso, ma per raggiungere questo risultato dobbiamo abbattere quei muri e costruire ponti che consentono di far diminuire le diseguaglianze e accrescono la libertà e i diritti. Maggiori diritti e maggiore libertà".

Ho chiesto a papa Francesco se le ragioni che costringono la gente ad emigrare si esauriranno prima o poi. E' difficile capire perché l'uomo, una famiglia, e intere comunità e popoli vogliono abbandonare la propria terra, i luoghi dove sono nati, il loro linguaggio.

Lei, Santità, attraverso quei ponti da costruire favorirà il riaggregarsi di quei disperati ma le diseguaglianze sono nate in Paesi ricchi. Ci sono leggi che tendono a diminuirne la portata ma non hanno molto effetto. Non avrà mai fine questo fenomeno?
"Lei ha parlato e scritto più volte su questo problema. Uno dei fenomeni che le diseguaglianze incoraggiano è il movimento di molti popoli da un paese ad un altro, da un continente ad un altro. Dopo due, tre, quattro generazioni, quei popoli si integrano e la loro diversità tende a scomparire del tutto".

Io lo chiamo un meticciato universale nel senso positivo del termine.
"Bravo, è la parola giusta. Non so se sarà universale ma sarà comunque più diffuso di oggi. Quello che noi vogliamo è la lotta contro le diseguaglianze, questo è il male maggiore che esiste nel mondo. E' il danaro che le crea ed è contro quei provvedimenti che tendono a livellare il benessere e favorire quindi l'eguaglianza".

Lei mi disse qualche tempo fa che il precetto "Ama il prossimo tuo come te stesso" doveva cambiare, dati i tempi bui che stiamo attraversando, e diventare "più di te stesso". Lei dunque vagheggia una società dominata dall'eguaglianza. Questo, come Lei sa, è il programma del socialismo marxiano e poi del comunismo. Lei pensa dunque una società del tipo marxiano?
"Più volte è stato detto e la mia risposta è sempre stata che, semmai, sono i comunisti che la pensano come i cristiani. Cristo ha parlato di una società dove i poveri, i deboli, gli esclusi, siano loro a decidere. Non i demagoghi, non i barabba, ma il popolo, i poveri, che abbiano fede nel Dio trascendente oppure no, sono loro che dobbiamo aiutare per ottenere l'eguaglianza e la libertà".

Santità. io ho sempre pensato e scritto che Lei è un rivoluzionario ed anche un profeta. Ma mi sembra di capire oggi che Lei auspica che il Movimento dei popolari e soprattutto il popolo dei poveri entrino direttamente nella politica vera e propria.
"Sì, è così. Non nel cosiddetto politichese, le beghe per il potere, l'egoismo, la demagogia, il danaro, ma la politica alta, creativa, le grandi visioni. Quello che nell'opera sua scrisse Aristotele".
Ho visto che nel suo discorso ai "movimenti popolari" di sabato scorso Lei ha citato il Ku Klux Klan come un movimento vergognoso e così pure quello di segno opposto ma analogo delle Pantere nere. Ma ha citato come ammirevole Martin Luther King. E' un profeta anche lui, che fa senso per quel che diceva nella libera America?
"Sì, l'ho citato perché lo ammiro".

Ho letto quella citazione; penso che sia opportuno ricordarlo anche a chi legge questo nostro incontro.
"Quando ti elevi a livello dell'amore, della sua grande bellezza e potere, l'unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate in quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema: odio per odio intensifica solo l'esistenza dell'odio e del male nell'universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci e io restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all'infinito. Da qualche parte qualcuno deve avere un po' di buonsenso e quella è la persona forte, capace di spezzare la catena dell'odio, la catena del male".

Ed ora torniamo alla politica e al suo desiderio che siano i poveri e gli esclusi a trasformare quella politica in una democratica volontà di realizzare gli ideali e la volontà dei movimenti popolari. Lei ha caldeggiato quell'interesse per la politica perché è Cristo che la vuole. "I ricchi dovranno passare per la cruna dell'ago". Cristo la vuole non perché è anche figlio di Dio ma soprattutto perché è figlio dell'uomo. Ma uno scontro comunque ci sarà, è in gioco il potere e il potere, Lei stesso lo ha detto, comporta guerra. Dunque i movimenti popolari dovranno sostenere una guerra, sia pure politica, senza armi e senza spargimento di sangue?
"Non ho mai pensato a guerra ed armi. Il sangue sì, può essere sparso, ma saranno eventualmente i cristiani ad essere martirizzati come sta avvenendo in quasi tutto il mondo ad opera dei fondamentalisti e terroristi dell'Isis i carnefici. Quelli sono orribili e i cristiani ne sono le vittime".

Ma lei, Santo Padre, sa bene che molti Paesi reagiscono anche con le armi per sconfiggere l'Isis. Del resto le armi le usarono anche gli ebrei contro gli arabi ma perfino tra di loro.
"Ebbene, non è questo tipo di conflitti che i movimenti popolari cristiani portano avanti. Noi cristiani siamo sempre stati martiri, eppure la nostra fede nel corso dei secoli ha conquistato gran parte del mondo. Certo ci sono state guerre sostenute dalla Chiesa contro altre religioni e ci sono state perfino guerre dentro la nostra religione. La più crudele fu la strage di San Bartolomeo e purtroppo molte altre analoghe. Ma avvenivano quando le varie religioni e la nostra, come e a volte più delle altre, anteponevano il potere temporale alla fede e alla misericordia".

Lei però, Santità, incita adesso i movimenti popolari ad entrare in politica. Chi entra in politica si scontra inevitabilmente con gli avversari. Guerra pacifica, ma comunque di conflitto si tratta e la storia ci dice che nei conflitti è in gioco la conquista del potere. Senza il potere non si vince.
"Ora lei dimentica che esiste anche l'amore. Spesso l'amore convince e quindi vince anche quanti siamo ora. I cattolici sono un miliardo e mezzo, i protestanti delle varie confessioni ottocento milioni; gli ortodossi sono trecentomila, poi ci sono le altre confessioni come anglicani, valdesi, coopti. Tutti loro compresi, i cristiani raggiungono i due miliardi e mezzo di credenti e forse più. Ci sono volute armi e guerre? No. Martiri? Sì, e molti".

E così avete conquistato il potere.
"Abbiamo diffuso la fede prendendo esempio da Gesù Cristo. Lui fu il martire dei martiri e gettò all'umanità il seme della fede. Ma io mi guardo bene dal chiedere il martirio a chi si cimenterà ad una politica orientata verso i poveri, per l'eguaglianza e la libertà. Questa politica è cosa diversa dalla fede e sono molti i poveri che non hanno fede. Hanno però bisogni urgenti e vitali e noi dobbiamo sostenerli come sosterremo tutti gli altri. Come potremo e come sapremo".

Mentre l'ascolto, sempre più mi confermo di ciò che provo per Lei: di un pontificato come il suo ce ne sono stati pochi. Del resto Lei ha parecchi avversari dentro la sua Chiesa.
"Avversari non direi. La fede ci unifica tutti. Naturalmente ciascuno di noi individui vede le stesse cose in modo diverso; il quadro oggettivamente è il medesimo ma soggettivamente è diverso. Ce lo siamo detto più volte, lei ed io".

Santità l'ho trattenuta forse troppo tempo ed ora la lascio. A quel punto ci siamo salutati con un abbraccio pieno d'affetto. Io gli ho detto di riposarsi ogni tanto e lui mi ha risposto: anche lei deve riposarsi perché un non credente come lei deve essere più lontano possibile da "morte corporale". Era il 7 novembre.

© Riproduzione riservata
11 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/vaticano/2016/11/11/news/intervista_del_papa_a_repubblica_abbattere_i_muri_che_dividono_bisogna_costruire_ponti_-151774646/?ref=HREA-1
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« Risposta #648 inserito:: Novembre 14, 2016, 05:54:31 pm »

Nei tempi bui del populismo Renzi deve accelerare sulla riforma
"Non sono né di sentimenti renziani né antirenziani, ma se il premier fosse costretto alle dimissioni a causa di un No vincente, si aprirebbe un periodo di estrema difficoltà per il nostro Paese con una netta diminuzione della governabilità e una instabilità in Europa"


Di EUGENIO SCALFARI
13 novembre 2016

LA CAMPAGNA referendaria che avrà il suo gran finale il 4 dicembre è stata resa ancor più agitata dalla vittoria di Donald Trump e dalle sue ripercussioni in Europa e in Italia. Trump nel suo primo discorso dopo la vittoria ha rivendicato alcuni problemi dominati dal capovolgimento di politiche fin qui elaborate e attuate da otto anni, e cioè due mandati di Barack Obama: quello della sanità, quello del petrolio e dell'acciaio, quello dell'immigrazione e soprattutto il fatto che lui, Donald Trump, non ha un partito, ha un suo programma ed è a quel programma che hanno aderito i repubblicani. Quel programma capovolge quello precedente di Obama, e riguarda le scelte della politica interna e di quella internazionale.
 
Sappiamo bene qual è il senso di quel discorso: la politica internazionale riguarda i suoi rapporti con Putin, con gli autori del Brexit e con i movimenti populisti presenti in quasi tutti i Paesi europei sotto varie forme. Nella politica economica indica come obiettivi totalmente diversi da quelli precedenti la piena occupazione degli operai e dei contadini, il rilancio della politica petrolifera e di quella siderurgica, la creazione di nuovi posti di lavoro naturalmente riservati ai cittadini americani. Nel suo discorso ha rivendicato che queste sono politiche da lui decise perché è lui che ha assunto la responsabilità del comando. Naturalmente con procedure democratiche previste ed attuate anche dai suoi avversari.
 
Questo significa che la sua presenza al vertice come anche la sconfitta della Clinton sono state raggiunte con le procedure liberali dell'elezione presidenziale. Ha aggiunto che la sua politica riguarda tutti e non soltanto le categorie e gli Stati che si sono dichiarati a lui favorevoli.
 
Per quanto riguarda infine i movimenti populisti europei, Trump sarà in buoni rapporti personali con alcuni di loro ma non sarà certo lui che li piloterà; sono conseguenze del suo ingresso alla Casa Bianca; vede quelle conseguenze con simpatia ma rispetta la loro autonomia. Per quanto riguarda la sua America, sarà vicino a tutti, l'ha ripetuto più volte e così sarà vicino ai movimenti europei che dalla nuova America saranno incoraggiati nelle nazioni dell'Europa.
 
L'Italia è uno dei Paesi in cui la vittoria di Trump ha avuto conseguenze positive: sulla Lega di Salvini, su Meloni, e soprattutto su Grillo. In diverso modo anche su Berlusconi. Anche lui, ai suoi tempi, ha governato senza un partito: Forza Italia fu formata dai funzionari di Publitalia ai suoi ordini. Gli unici e ascoltati consiglieri sono Gianni Letta e Fedele Confalonieri. In molte cose Berlusconi somiglia a Trump, fatte le debite proporzioni tra chi è al vertice dell'America e chi per circa vent'anni è stato non il solo ma tra i più importanti leader italiani.

I grillini, come si è già detto, sono molto vicini alle posizioni di Trump ma tra loro c'è una profonda differenza: Trump oltre ad essere molto ricco in proprio ha anche contatti stretti con i maggiori banchieri e imprese finanziarie di Wall Street; i grillini invece non hanno nessun contatto col mondo degli affari e le sole risorse provengono dagli stipendi parlamentari. Questo merito va loro riconosciuto.

***

Uno dei motivi per i quali Trump ha ottenuto la sua vittoria è stato l'attacco all'establishment americano da parte dei disoccupati, dei sottopagati, delle periferie sociali che ci sono in tutti i Paesi. La sconfitta elettorale di quella classe dirigente dà luogo ad un intervallo (molto breve) dopo il quale una nuova classe dirigente prende il potere. Naturalmente il fatto che le masse rabbiose abbiano manifestato anche i motivi della loro sofferenza provoca nella nuova classe dirigente politiche che tengano conto dei disagi esistenti e quindi siano orientate soprattutto a attenuarli o addirittura ad abolirli. La classe dirigente c'è sempre dopo brevissimi periodi di intervallo, ma cambia la linea politica del Paese, una volta vanno al potere i conservatori, un'altra volta i progressisti e riformisti. Poco tempo fa c'è stato su questo giornale un dibattito sull'argomento. Alcuni, tra i quali io stesso, sostenevano che l'oligarchia fosse la forma inevitabile della democrazia: comandano in pochi e adottano una politica che soddisfa i molti che li hanno votati. Questa è la democrazia oligarchica, altre forme democratiche non esistono, esistono però altri regimi e cioè la dittatura e l'anarchia.
 
Nella storia del Novecento i dittatori sono stati la conseguenza inevitabile di fasi di grande confusione politica. Così avvenne in Italia con Mussolini, in Germania con Hitler, in Spagna con Francisco Franco e in Russia con Lenin e poi Stalin. Inutile dire che le dittature sono state un periodo terribile nella storia delle nazioni, hanno alimentato guerre interne ed esterne per il mantenimento del potere. Richiamo qui questo dibattito perché un Paese democratico e che tale voglia restare è guidato inevitabilmente da una classe dirigente la quale accetta di essere criticata ma assume la responsabilità di governare in un sistema democratico.

***
 
Conviene a questo punto tornare alla situazione italiana. C'è un establishment intorno a lui? Questo establishment è molto ristretto e il potere renziano, sia come presidenza del Consiglio e sia come segreteria del partito di maggioranza, è alla vigilia di una crisi che porterà un nuovo gruppo dirigente, oppure Renzi è un innovatore che ha certamente commesso errori ma governa soltanto da tre anni? Tra gli italiani c'è una massa crescente che manifesta la sua rabbia sociale e c'è anche una dissidenza, sia pure molto limitata numericamente, all'interno del suo partito. Si sta dunque prefigurando un'ipotesi di crisi ed una vittoria del No referendario?
 
In questo momento i sondaggisti danno i No in maggioranza; il Sì starebbe diminuendo il distacco ma il nuovo vertice americano può avere l'effetto in Italia di un aumento dei No e non più per dissenso politico soltanto, ma anche per quella rabbia sociale che non accetta d'esser governata contro i suoi bisogni.
 
Renzi finora ha volutamente ignorato il legame tra il referendum costituzionale e la legge elettorale. Ad un certo punto si è reso conto che quello era il punto delicato del problema e ha nominato un comitato di cinque membri rappresentativi di varie posizioni ma comunque interessati ad elaborare una riforma elettorale adeguata.
 
I cinque membri hanno funzioni di notevole importanza: due sono i presidenti dei gruppi parlamentari di Camera e Senato, uno è il vicesegretario del premier, un altro è il presidente del partito del Pd e un altro ancora proviene dalle fila dei dissidenti. Si chiama Gianni Cuperlo che non è propriamente un antirenziano.
 
Hanno lavorato per quasi un mese e dopo lunghe discussioni hanno raggiunto un progetto comune. Il progetto, avendo ormai raggiunto l'approvazione di tutti i membri del comitato, è stato sottoposto a Renzi e da lui approvato. Ne dette notizia qualche giorno fa nel corso di un discorso comiziale in favore dei Sì referendari, leggendo anche il comunicato che i cinque avevano stilato. Dopo quella sua pubblica adesione alla riforma elettorale proposta dai Cinque non ne ha più parlato. Sembrerebbe a questo punto che la sua adesione ci sia stata ma poi l'ha mandata in soffitta. È un grave errore al quale ci auguriamo ponga riparo al più presto. Il rafforzamento dei populismi e del grillismo in particolare richiede che la riforma elettorale venga molto spesso illustrata rinnovando il più frequentemente possibile la volontà del governo di effettuarla.
 
Personalmente non sono né di sentimenti renziani né antirenziani, ma mi rendo conto che se il premier fosse costretto alle dimissioni a causa di un No vincente, si aprirebbe un periodo di estrema difficoltà per il nostro Paese con una netta diminuzione della governabilità e una instabilità in Europa. Il rischio del ballottaggio nelle elezioni italiane darebbe una molto probabile vittoria al Movimento Cinquestelle. Potete immaginare l'ipotesi di un grillino che debba governare l'Italia intera e rappresentarci in Europa e nel resto del mondo. È un'ipotesi da incubo, ecco perché la legge elettorale va cambiata, il ballottaggio abolito oppure attuato non tra liste uniche bensì tra liste apparentate.
 Renzi conosce certamente la legge De Gasperi del 1953 e gli apparentamenti della Dc con altre liste e un sistema elettorale proporzionale. La Dc non si presentò mai sola alle elezioni con alleati che di tanto in tanto cambiavano. Fu alleata con tutti, prima con i cosiddetti partiti minori e laici, poi con i socialisti guidati da Nenni e De Martino ed infine con i comunisti di Berlinguer, pochi giorni prima del rapimento e poi dell'uccisione di Aldo Moro, il principale regista di questi mutamenti. Renzi conosce bene questa storia ed io forse un po' meglio di lui perché l'ho direttamente vissuta. Perciò si sbrighi sul ballottaggio, sul sistema proporzionale e sugli apparentamenti con altre forze politiche affini alle posizioni del Pd. Con i tempi bui di un demagogo alla Casa Bianca gli errori non corretti immediatamente possono diventare incubi. Nella vita ed anche nella politica l'incubo è quanto di peggio possa accadere.
 
© Riproduzione riservata 13 novembre 2016

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« Risposta #649 inserito:: Dicembre 01, 2016, 08:46:25 pm »

Il Quirinale tra Waterloo e Ventotene

"Renzi ha legato al risultato referendario il suo destino politico. Questo è un errore e l'ha detto anche il Presidente Sergio Mattarella. Sostenere una riforma desiderata è legittimo, trasformarla in un'ordalia non va affatto bene. Ma ormai è tardi per correggere l'errore"

Di EUGENIO SCALFARI
01 dicembre 2016

SIAMO ormai al gran finale, fra tre giorni chi vuole andrà a votare il referendum costituzionale e tra quattro giorni ne conosceremo l'esito.

Intanto gli appelli per il Sì e per il No si succedono senza sosta, a cominciare da Renzi, dall'intera classe dirigente del Pd e, sulla sponda opposta, uomini di sicuro prestigio costituzionale e politico, tra i quali mi permetto di nominare l'amico Gustavo Zagrebelsky, per non parlare della dissidenza interna dei democratici, con i nomi di Bersani e di D'Alema, alcuni dei quali in posizione pre-scissionistica.

Tra gli appelli di vari gruppi di opinione ne voglio segnalare uno che mi ha profondamente commosso per la mia storia personale ed è quello dell'ex partito repubblicano di Ugo La Malfa, dove trovo le firme di Gustavo Visentini, figlio di Bruno, Adolfo Battaglia, Giuseppe Galasso, Piero Craveri ed altri, che chiedono di votare Sì.

Segnalo anche "L'Amaca" di Michele Serra sul numero di martedì scorso del nostro giornale, che è un vero capolavoro di ironia politica. Ricorda ai democratici di avanguardia che voteranno No di essere talmente d'avanguardia da aver perso di vista il grosso dell'esercito del No composto da quanto avanza del berlusconismo, dalla Lega ormai sulle posizioni nazionaliste e xenofobe dei populismi europei e infine il grosso di quell'esercito formato dai grillini 5 stellati. Questo è l'esercito del No. Caro Zagrebelsky, sei con una pessima compagnia e dovresti forse riflettere un momento, anche se so che non lo farai.

Segnalo infine, sempre su Repubblica di martedì, l'intervista a Arturo Parisi, che inventò l'Ulivo insieme a Romano Prodi e vinse le elezioni che dettero vita a quel governo (con Ciampi ministro del Tesoro), forse il migliore degli ultimi venticinque anni, che fece dell'Italia uno degli Stati europei fondatori dell'Euro. Del resto mentre sto scrivendo giunge la notizia che Romano Prodi ha deciso di votare Sì. È una decisione estremamente importante venendo da una delle personalità più autorevoli della nostra Repubblica e della nostra democrazia. Anche Parisi spiega per quale motivo, sia pure con rabbia, voterà Sì. Merita d'esser ricordato. Illustra le ragioni pro e contro che dentro di lui si equivalgono ma c'è poi una ragione politica che determina il suo Sì, in mancanza del quale rischia di affondare l'Italia e viene inferta una grave ferita anche all'Europa.
Amici che votate No, c'è tra le tante una ragione profondamente ideale, un valore concreto che vi ricordo: il Manifesto scritto a Ventotene, dove erano al confino fascista, da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni: gli Stati uniti di Europa. La bandiera di Ventotene la porterete tra la gente di Brunetta, di Salvini e di Grillo? Ci avete pensato e avete deciso di chiudere gli occhi e di marciare al buio verso il nulla con l'unica intenzione di mandare Renzi in soffitta?

Ormai non è più questo il problema. Personalmente sono stato e tuttora sono molto critico su alcuni aspetti di Renzi e l'ho scritto infinite volte ma, lo ripeto, il problema non è più questo. Vediamo dunque qual è.

***

Che Renzi sostenga il referendum costituzionale, da lui iscritto nella sua tabella di marcia tra i primi obiettivi da realizzare, dipende anche dall'indicazione che ebbe in questo senso dal Presidente Napolitano quando fu rieletto Capo dello Stato e poco dopo affidò a Renzi il compito di formare un nuovo governo dopo le dimissioni di Enrico Letta. Qui c'è una ferita ancora aperta ma non è questo il momento di ricordarlo.

Qualcuno sostiene che un governo non ha il potere costituzionale di promuovere un referendum, ma se vengono raccolte firme in numero sufficiente e la Corte di Cassazione le ritiene valide il referendum si fa. Renzi ha legato al risultato referendario il suo destino politico. Questo è un errore, non va affatto bene e l'ha detto anche, con altre parole ma con questo stesso significato il Presidente Sergio Mattarella. Sostenere una riforma desiderata è legittimo, trasformarla in un'ordalia non va affatto bene. Ma ormai è tardi per correggere l'errore.

La politica è sempre molto complessa, sicché potrebbe anche darsi che Renzi sapesse di commettere un errore ma volesse farlo. Perché? Perché se vincessero i Sì lui ne uscirebbe rafforzato, ma se perdessero lui potrebbe usare la sconfitta per anticipare le elezioni all'inizio dell'anno prossimo, convinto che comunque le vincerà. È un calcolo politico come un altro. Attenzione però: a Waterloo Napoleone era sicuro di vincere perché a metà della battaglia sarebbe arrivato sul fianco destro del fronte il generale Grouchy con le truppe di rinforzo. Invece arrivò il feldmaresciallo tedesco Blücher che prese Napoleone alle spalle e la battaglia finì con la ben nota storica sconfitta.

Comunque questa volta non spetta a Renzi decidere ma al Presidente Mattarella per il quale, come del resto è ampiamente previsto dalla prassi costituzionale, se perdono o se vincono i Sì o i No, l'esito del referendum non ha alcuna conseguenza politica sul governo in carica. Mattarella in questi giorni l'ha detto più volte: dal 5 dicembre Renzi sarà a rapporto dal Capo dello Stato per elencare i problemi che si pongono con la massima urgenza nel campo economico e finanziario, sul terreno europeo ed anche sulla legge elettorale che dovrà essere comunque riscritta. Da lavorare ce n'è un bel po', bisogna farlo rapidamente e bene in Italia e in Europa.

***

La legge elettorale ha già un progetto da attuare, redatto dal piccolo comitato dei Cinque da Renzi a suo tempo nominato e del quale in linea di massima ha accettato le proposte: niente più preferenze, niente più ballottaggio tra i primi due partiti, voto nei collegi, ballottaggio non più tra liste uniche ma tra coalizioni effettuate dopo il primo voto, sistema di voto proporzionale. Questi sono i capisaldi. La natura della coalizione è un tema politicamente essenziale. Un partito nato come centro-sinistra deve mantenere e addirittura rinforzare questa sua natura; soltanto se questa operazione viene effettuata in modo significativo, allora si possono cercare anche appoggi e fiancheggiamenti nell'ambito di forze moderate.

Poi c'è il problema della politica economica e i punti di riferimento sono Draghi, la politica degli investimenti, la gestione del debito pubblico e la crescita sorretta da una visione keynesiana entro i limiti delle regole europee.

Infine - e appunto - c'è la politica europea: la bandiera di Ventotene va alzata e perseguita al massimo perché è indispensabile in una società globale che sta unificando il mondo con rapporti tra i vari Stati continentali. Questa politica comporta una lotta contro i nazionalismi, i populismi xenofobi, il capitalismo quando è un elemento dell'egoismo economico. Il capitale è una forza fondamentale della storia moderna e può essere una forza positiva o sfruttatrice. Lo dimostrò Marx alla metà dell'Ottocento: riconosceva la forza positiva del capitalismo che era in quel momento il motore della rivoluzione industriale e al tempo stesso delle libertà borghesi, premessa della rivoluzione proletaria. Ecco perché l'Europa federalista è indispensabile e deve essere il principale obiettivo della sinistra moderna.

Buona domenica cari lettori e carissima Italia.

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01 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/referendum-costituzionale2016/2016/12/01/news/quirinale_waterloo_ventotene-153192555/?ref=HRER2-1
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« Risposta #650 inserito:: Dicembre 08, 2016, 06:53:05 pm »

Referendum, votiamo per l'Italia e per l'Europa. E Prodi spiega il suo Sì
La crisi italiana aggiunge una sorta di disfacimento all'analoga crisi europea. Il peggio si aggiunge al peggio

Di EUGENIO SCALFARI
04 dicembre 2016

L'articolo di Mario Calabresi e quello di Stefano Folli usciti su questo giornale inquadrano perfettamente la crisi che l'Italia sta attraversando, una crisi epocale che ha colpito perfino l'America con la vittoria di Donald Trump e che colpisce in modo particolare l'Europa (e l'Italia), un continente che stenta terribilmente a unificarsi, anzi sta disgregando il poco che aveva creato, ogni giorno di più.

La crisi italiana aggiunge una sorta di disfacimento all'analoga crisi europea, il peggio si aggiunge al peggio. Il tutto è esploso con questo referendum che abbiamo tra i piedi.

Mi permetto di ricordare il calendario: è sabato il giorno in cui sto scrivendo e i miei 25 lettori mi leggeranno domani mentre stanno votando o hanno già votato. Ovviamente né io né i miei lettori conosciamo i due elementi che connotano il referendum: l'affollamento ai seggi e l'esito dello scontro tra il Sì e il No. L'affluenza è importante quasi quanto l'esito, quindi se andranno alle urne in pochi, per esempio un 30 per cento degli aventi diritto al voto, l'esito sarà scarsamente influente. Personalmente non ritengo che andranno in pochi, ma non credo neppure che saranno moltissimi. Vedremo nella notte di domenica (oggi per voi che leggete) e all'alba di lunedì. Nel frattempo possiamo analizzare alcuni aspetti che caratterizzano i votanti delle due parti. Attenzione: quando si vota per il Parlamento il popolo dei votanti dà la delega a rappresentarlo ai deputati e senatori (fin quando il Senato esisterà). Quindi si votano i partiti e i movimenti, i programmi da essi presentati e anche le ideologie che ne costituiscono la base culturale, gli ideali, i valori.

Il voto referendario ha una natura del tutto diversa: i cittadini sono chiamati a rispondere a un quesito che è stato posto da un numero consistente di altri cittadini. La risposta a un quesito, il Sì o il No, decide. Cioè nel caso referendario il popolo è direttamente sovrano, senza delegare ad altri la propria sovranità.

Il quesito che oggi stiamo votando si riassume nell'abolizione del bicameralismo perfetto e quindi nell'instaurazione di un regime monocamerale. Una sola Camera decide, l'altra, cioè il Senato, esiste ancora ma con compiti del tutto diversi e comunque secondari.

Se vogliamo prenderci la briga di vedere com'è la situazione nel Paese dove è nata storicamente la democrazia e cioè l'Inghilterra, vediamo che la camera dei Comuni detiene interamente il potere legislativo mentre la camera dei Lord non ha potere alcuno, emette soltanto pareri; è nominata dalla Corona (in teoria) e cioè dal Premier che propone i nomi e il Re o la Regina appongono la loro firma.

Questo è il sistema del Paese che è stato la culla della democrazia, ma è anche lo stato dei fatti in tutti i Paesi importanti d'Europa: in Francia, in Germania, in Spagna, ovunque. In Italia non è stato mai così, sebbene all'Assemblea costituente che chiuse i suoi lavori nel 1947 molti fossero favorevoli a una sola Camera, a cominciare dal Partito comunista. Oggi il tema è stato riproposto da Renzi ed è su questo che i cittadini sono chiamati a rispondere direttamente.

Si può dissentire se il quesito referendario sia stato scritto bene o male (secondo me è scritto male e i nuovi compiti attribuiti al Senato non credo siano quelli giusti) ma comunque il nocciolo è la scelta del monocamerale.

Sono tanti anni che il tema è all'ordine dell'attenzione politica, sono state installate varie commissioni bicamerali, alcune delle quali arrivarono anche a concludere ma all'ultimo momento una delle parti buttò tutto in aria (lo fece Berlusconi quando tutto sembrava concluso). Renzi c'è infine riuscito a farlo, questo merito gli va riconosciuto. Il demerito che l'accompagna e che non riguarda lui soltanto, ma anche le altre parti politiche a cominciare soprattutto dai 5 Stelle, è stato quello di aver trasformato il referendum in un'ordalia pro Renzi o contro di lui. Avete deformato il tema ed avete sbagliato a farlo.

***

I No hanno due motivazioni diverse che in certi casi si sommano tra loro, in altri restano distinte. C'è chi vota No perché ritiene che in tal modo il Paese cambierà e c'è chi vota esclusivamente per rabbia sociale, è disoccupato o rischia di diventarlo o si sente escluso dal successo e ne soffre psicologicamente. Tutti quelli che votano No se ne infischiano che la compagnia in cui si trovano sia ampiamente differenziata: c'è Forza Italia di Berlusconi, c'è la Lega di Salvini, ci sono i 5 Stelle di Grillo e ci sono anche le schegge della sinistra-sinistrese, insieme ad un pizzico di anarchici. Ma i No lucidamente consapevoli hanno motivazioni che non sono ispirate da rabbia sociale. Non gli piace la scrittura della riforma costituzionale ma soprattutto non gli piace l'abolizione del bicameralismo che secondo loro diminuisce pericolosamente il potere legislativo. In aggiunta si ritiene che Renzi abbia una vocazione autoritaria che sarebbe accentuata dal monocameralismo. L'esponente principale di chi vota No in piena coscienza è Gustavo Zagrebelsky e, se gli obiettate che votando No si muove in pessima compagnia, ti risponde che in un referendum la compagnia conta pochissimo e a referendum avvenuto la compagnia, buona o cattiva che fosse, non esiste più. Rimane il risultato ed è quello sul quale si deve lavorare. Lui ci lavora. Con chi? Non lo sa, non ha un partito ma ha un'autorevolezza.

È vero, lo conosco bene e siamo stati buoni amici. Spero che continueremo ad esserlo, ma la speranza (o presunzione) che lavorerà con successo per trarre dall'esito referendario tutte le conseguenze politicamente positive dimostra in lui l'esistenza di un Io alquanto esuberante.

Conosco molto bene che cos'è un Io esuberante perché ce l'ho anch'io, ma ne sono consapevole e tengo il mio Io al guinzaglio; molti non ne sono consapevoli e questo è pericoloso se hanno un ruolo importante da sostenere. Ci sono molti altri casi d'un Io esuberante ma non sto qui per fare ritratti e a parlare dell'Io troppo marcato. Da tre anni in qua dovrei mettere Matteo Renzi in testa a tutti. Del resto i protagonisti della politica hanno tutti, salvo eccezioni, un Io marcato: è un fatto naturale. Il problema è di sapere se lo mettono al servizio del bene comune. Loro sono convinti di impersonare il bene comune. Ecco perché non dovrebbero mai essere soli al comando. Debbono essere leader d'un duetto dirigente, all'interno del quale c'è sempre una libera discussione.

In tutti i regimi politici i pochi guidano i molti e se volete l'esempio più classico pensate al Senato romano, almeno fino a Giulio Cesare, che non a caso fu ucciso in Senato e dal gruppo più repubblicano. Alcuni di loro di Cesare erano amici stretti, Bruto lui lo considerava un figlio. Con Cesare era difficile discutere insieme del bene comune. Questo è il punto. Volete comandare? Dovete avere intorno a voi una classe dirigente (io la chiamo oligarchia) altrimenti precipiterete nella dittatura. L'oligarchia è il contrario della dittatura, l'ho scritto varie volte e ne ho fornito vari esempi storici. Perciò non mi ripeterò.

***

Una personalità politica di rilievo nazionale e internazionale, Romano Prodi, ha annunciato mercoledì scorso che voterà Sì e ce ne ha anche spiegato il perché. Questa discesa in campo di un personaggio che può essere definito una "riserva della Repubblica" ha sicuramente mosso le acque ed ha convinto un numero rilevante di cittadini a votare Sì superando non lievi perplessità. La sua spiegazione è questa: ci sono motivazioni a favore ed altre contro la legge contenuta nel referendum, ma Prodi voterà Sì perché - motivazioni sulla legge a parte - votare Sì significa impedire che il Paese si disgreghi. Si aprirebbe una lunga crisi e affiancherebbe quella europea. Ecco perché il Sì invece del No.

Alcuni, che per mestiere cercano la pagliuzza nel fienile, si sono domandati a che cosa mira Prodi se il Sì avrà la meglio. Pensa forse a candidarsi come successore di Renzi a Palazzo Chigi?

Prodi non pensa affatto a questo. Se vincerà il No tornerà a fare il semplice cittadino perché non ha l'abitudine di discutere con chi ha cavalcato un cavallo diverso. Se vincerà il Sì cercherà con i suoi suggerimenti critici di migliorare gli interventi, le leggi, i programmi in corso e quelli che il prossimo futuro comporterà. In Italia e in Europa. Per quanto riguarda Renzi, Prodi sostiene che non deve in nessun caso dimettersi. Lo so perché siamo molto amici Romano ed io ed abbiamo sempre avuto comuni opinioni, sia quando era presidente dell'Iri sia quando fondò l'Ulivo insieme ad Arturo Parisi e a Walter Veltroni, che combatté quella battaglia creativa e nel governo che ne risultò fu il vicepresidente del Consiglio.

È qui doveroso ricordare che Veltroni, chiusa la stagione prodiana, fu uno dei fondatori del Pd che era nato dall'Ulivo e a lui fu dato il compito di organizzarlo e guidarlo alle imminenti elezioni. Fu lui a chiamarlo partito riformatore e il programma fu da lui delineato al Lingotto di Torino e confermato all'unanimità dalla direzione del partito. Alle elezioni aveva ottenuto il 34 per cento, cifra eguale a quella del Partito comunista quando raggiunse il suo massimo all'epoca di Berlinguer.

A quel partito bisognerebbe tornare con i debiti aggiornamenti soprattutto in chiave europea e Renzi, a mio avviso, può e deve farlo in ogni caso, sia se vincerà sia se perderà il referendum. Così la pensa anche il presidente Mattarella e così dovrebbe pensare anche la dissidenza interna del Pd a cominciare da Bersani. Cuperlo insegna.

Ora aspettiamo i risultati. Una nuova fase si apre. Speriamo che sia appunto una fase di riforme positive e speriamo che l'Italia si dia carico di se stessa e anche dell'Europa, senza la quale non si sopravvive in una società globale dove contano soltanto gli Stati continentali. Gli altri - l'ho scritto più volte - usano scialuppe di salvataggio che spesso affondano nei mari tempestosi.

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04 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/referendum-costituzionale2016/2016/12/04/news/referendum_italia_europa-153389360/?ref=fbpr
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« Risposta #651 inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:15:33 pm »

Per essere uno statista Renzi studi Garibaldi e Cavour Per essere uno statista Renzi studi Garibaldi e Cavour
"Caro Matteo non devi occuparti del tuo partito e delle elezioni che vorresti al più presto. Devi occuparti del bene del nostro Paese"

Di EUGENIO SCALFARI
11 dicembre 2016

CI SONO molte cose da decidere in Italia, come pure in Europa e nel mondo intero. Oggi però a noi interessa soprattutto il nostro Paese. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha chiuso ieri sera le sue consultazioni incontrando la delegazione del Pd e deciderà oggi. Designerà la persona scelta a guidare il governo. Fino a quando? Non si sa. Mattarella, se potesse, vorrebbe che la legislatura durasse fino al suo termine che scade nel 2018, ma questo non dipende da lui. Si aggiunga che quasi tutte le forze politiche vogliono dar seguito anticipato al rinnovo del Parlamento, alcune con la riforma della legge elettorale, ed altre con l'attuale estesa al Senato di nuovo pienamente in vita.

Questa è la situazione che il presidente Mattarella dovrà tener presente nella scelta del nome, in particolare quello desiderato e a lui indicato dal Pd che, con la sua coalizione, ancora detiene la maggioranza assoluta alla Camera e una quasi maggioranza assoluta anche al risorto Senato, requisito che sembra esistere sempreché il partito di Renzi sia compatto e raggruppato come di fatto non è. Attualmente è diviso in sette o otto correnti, diverse tra loro e da Renzi che in teoria dovrebbe capeggiare il Pd del quale è tuttora il leader.

Per compiere un'analisi obiettiva della situazione racconterò brevemente come mi sono comportato io, non da giornalista ma come semplice cittadino ed elettore; può servire a comprendere i voti incassati dal Pd.

In tutto tredici milioni (il famoso 40 per cento che ha votato Sì) e di riflesso i diciannove, cioè il 60 per cento che ha votato No.

Francamente non credo affatto che quel 40 per cento sia interamente renziano. Io per esempio ho deciso di votare Sì seguendo la decisione di Romano Prodi e le sue motivazioni: "Ho molte obiezioni nei confronti della legge sulla riforma costituzionale e altrettante in suo favore; alla fine un esame della situazione politica mi porta a votare Sì. Il nostro Paese deve rafforzare la propria stabilità per contribuire alla stabilità europea. Stabilità e governabilità in Italia e in Europa. Se vincesse il No nel nostro referendum non avremo né l'una né l'altra".

Così disse Prodi una settimana prima del voto e così decisi anch'io. Quello che è oggi sotto i nostri occhi ce lo conferma ed è proprio per questo che il presidente Mattarella dovrebbe cercare di convincere Renzi ad un reincarico per un governo nella pienezza delle sue funzioni.

***

Renzi pensa al suo interesse, è normale, pensiamo tutti al nostro. Ma un uomo politico e di governo dovrebbe pensare anche, ed anzi "in primis", al bene comune che non sempre coincide con il bene proprio, anzi quasi mai.

Renzi infatti desidera che Mattarella nomini l'attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e/o il nostro ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, per un governo cosiddetto di scopo. Lo scopo sarebbe quello desiderato da Renzi, cioè dal "suo" partito, pronto ad affrontare la campagna elettorale con modalità scelte dal "suo" governo dopo le decisioni che saranno comunicate dalla Corte costituzionale.

(Mi permetto di aprire una parentesi a questo proposito. La Corte ha già preso le sue decisioni, tuttavia resteranno segrete al pubblico fino al 24 gennaio prossimo. La Corte è ben consapevole che operando in questo modo paralizza ancora per un mese e mezzo la vita politica del Paese e dei cittadini. Perché lo fa? Perché è la Corte il numero uno dell'Italia? A me non pare un comportamento corretto ma sbagliato. Il numero uno è il presidente della Repubblica, anche in materia costituzionale. La Corte è un contropotere, come lo è in tutte le occasioni il potere giudiziario. Se e quando il potere giudiziario si surroga alla presidenza compie un errore marchiano e già chiarito da Charles-Louis de Secondat, Baron de La Brède et de Montesquieu nel libro fondamentale intitolato l'Esprit des Lois, ai tempi dell'Illuminismo).

È probabile che Mattarella dopo aver tentato di convincere lo stesso Renzi a proseguire lui la legislatura, designi Gentiloni e/o Padoan per un governo renziano; probabile ma non sicuro. La visione del bene comune di Mattarella non sembra coincidere con quella di Renzi, ma in questo caso non tocca al premier decidere ma al Presidente. Renzi, se chiamato, accetterà il reincarico o lo rifiuterà?

Mi permetterò ora di dargli la mia opinione.

***

Papa Francesco, nella ricorrenza dell'Assunzione al cielo di Maria madre di Gesù, ha messo in rilievo che l'anno 2016 è stato "disastroso" per i diritti umani. "Non solo ne sono stati ricusati molti ma quelli esistenti sono stati in gran parte annullati. Nuovi genocidi si sono verificati e le diseguaglianze si sono terribilmente accresciute. Bisogna fare l'opposto ed è questo il bene del prossimo che deve impegnare ciascuno di noi".

Su un piano del tutto diverso è intervenuto Le Monde nel suo editoriale con la prima pagina intitolata così: Brexit, Trump, Renzi...pourquoi les Bourses continuent de grimper. Ed ecco il seguito: "Da alcune settimane gli investitori sono euforici. Dimenticano le loro paure del Brexit, di Trump e di un No al referendum di Renzi. Eppure ci sono numerosi rischi politici ed economici in Europa come negli Stati Uniti".

Non ci potevano essere due angolazioni più diverse di guardare la situazione attuale, ma entrambe coincidono nel misurare l'intensità dei mali che affliggono il mondo intero e in particolare l'Occidente e il Medio Oriente che ne è la proiezione.

Caro Matteo Renzi se vuoi dare una buona prova della tua personalità non devi occuparti del tuo partito e delle elezioni che vorresti avvenissero al più presto. Devi occuparti del bene del nostro Paese. Devi accentuare se non addirittura sostenere il tuo governo e condurlo fino alla fine della legislatura avendo come solidale punto di riferimento il presidente della Repubblica. Devi sviluppare la crescita economica e sociale, devi riconoscere nuovi diritti, l'hai già fatto meritatamente con le Unioni civili ma molti altri ce ne sono. Devi combattere le diseguaglianze, devi farti carico della ricostruzione antisismica delle zone più strutturalmente fragili della catena appenninica. Devi operare in Europa come e più di quanto hai già fatto per gli emigranti, per una sorta di Fbi europea. Devi mantenere ed accentuare il tuo ruolo europeo, con la Merkel e con Draghi come punti di riferimento.

Sono i requisiti non solo di un leader politico ma di uno statista. Se lo capirai e tenterai di promuoverti a quel ruolo, ce la farai. Così io credo.

Questa è la scelta che ti aspetta nelle prossime ore se non vuoi che questo Paese, questa cultura, questo ruolo di primazia sia conquistato da Grillo e da Salvini ormai appaiati.

Nel 2018 la legislatura sarà terminata ma i compiti di uno statista no. Fammi sognare che tra alcuni giorni somiglierai in vesti moderne a quello che furono un secolo e mezzo fa Cavour e Garibaldi: la guida politica e lo spirito rivoluzionario.

Sono sogni, non è vero? Sogni miei e mi piace sperare che possano avverarsi. In fondo anche i No referendari volevano un cambiamento. Con Grillo e Salvini? Per l'Italia purtroppo è avvenuto, spesso ci scordiamo delle pessime esperienze vissute. La storia dovrebbe insegnarlo, soprattutto ai giovani: essi hanno votato il No in massa. Ora dovrebbero rileggersi alcuni classici della nostra storia politica e sociale fino in fondo. Il No vuole un vero cambiamento in avanti o all'indietro? Ricordatevi l'antica Internazionale: "Sulla libera bandiera /batte il Sol dell'Avvenir".

È assai singolare che sia un vegliardo come io sono a concepire l'Avvenire. Spetta a voi giovani costruire l'Avvenire. Il tempo corre, datevi da fare per l'Italia e per l'Europa, di entrambe siete cittadini e volete forse affidarvi a quelli che dall'Europa vogliono uscire? È questo l'Avvenire?

Cari giovani e caro Renzi, l'Avvenire è nelle vostre coscienze, non certo in quelle di Grillo e di Salvini. Siamo a un giro di boa. Spero che la Crociera la vinca il migliore.

© Riproduzione riservata 11 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/11/news/per_essere_uno_statista_renzi_studi_garibaldi_e_cavour-153864060/?ref=HRER2-1
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« Risposta #652 inserito:: Dicembre 20, 2016, 06:25:49 pm »

Gentiloni non seguirà il percorso segnato da Renzi
L'attuale presidente del Consiglio ha dichiarato che il suo governo cesserà di esistere quando gli sarà stata tolta la fiducia. E chi può toglierla se non Matteo, e con quali esiti sulla campagna elettorale?

Di EUGENIO SCALFARI
18 dicembre 2016

PRIMA che l’incarico di formare un nuovo governo fosse conferito dal presidente della Repubblica a Paolo Gentiloni, io scrissi che Matteo Renzi avrebbe dovuto esser lui a proseguire. Il referendum sulla riforma costituzionale vinto dai No con una affluenza record non imponeva le dimissioni al governo in carica, potendo senz’altro continuare. Il presidente Sergio Mattarella fece infatti pressioni in questo senso proprio per consentire stabilità e governabilità fino alla fine della legislatura nel 2018. Scrissi anche che Renzi avrebbe dovuto trasformarsi da leader politico a statista, due dizioni profondamente diverse tra loro e scrissi anche che avrebbe dovuto tener presenti gli esempi di Camillo Benso conte di Cavour e di Garibaldi, di spirito rivoluzionario dotati.

Questi due esempi mi furono contestati da molti critici: come si poteva avvicinare a Renzi nomi come quei due, protagonisti del Risorgimento? Con critiche a mio avviso profondamente sbagliate: gli esempi del passato fanno parte del presente e di un passato culturale indispensabile alla politica. Non a caso Mazzini aveva studiato Marx e Cavour aveva letto con attenzione Machiavelli e Guicciardini. A me non dispiace affatto esser criticato e spesso lo merito, ma mi piace anche rispondere quando penso d’aver ragione.

Renzi comunque non accettò l’offerta del presidente della Repubblica. E propose a sua volta un governo presieduto da Gentiloni che avrebbe del resto seguito i suoi suggerimenti nella formazione del Ministero, il che in gran parte avvenne. Quanto a Renzi, si sarebbe dedicato al partito del quale è tuttora segretario. Un partito che nel voto referendario ha ricevuto il 40 per cento, una cifra importante e compatta, mentre i No non hanno un Capo che li guidi, in gran parte sono voti di grillini e di intellettuali e di giovani e di lavoratori disoccupati e animati da rabbia sociale. L’obiettivo di Renzi è di arrivare allo scioglimento delle Camere entro giugno senza più ballottaggio ma con un sistema proporzionale e premio di maggioranza. Naturalmente Gentiloni lo seguirà e ne avrà meritata ricompensa, così come l’avranno Boschi e Lotti. Gentiloni lo seguirà nell’attuazione di questo disegno? E Grillo sarà messo fuori causa dalle grane di questi giorni?

***

Gentiloni probabilmente non lo seguirà e tanto meno il presidente Mattarella che detesta di dover sciogliere le Camere molto prima della scadenza della legislatura. Del resto, su questo punto sono d’accordo il presidente del Senato, Pietro Grasso, la presidentessa della Camera Laura Boldrini, il presidente emerito Giorgio Napolitano e forse a titolo personale il presidente della Corte Costituzionale. Per quanto riguarda l’Europa, Renzi non gode più di buona stampa a Bruxelles. Questo non se lo merita. Per rafforzare l’Europa ha fatto molto, è stato l’aspetto più meritorio della sua politica, ma probabilmente è proprio questa la ragione della sua impopolarità a Bruxelles. Il rafforzamento dell’Europa disturba i nazionalismi degli stati confederati che non vogliono affatto la perdita del potere: il nazionalismo francese, quello spagnolo, quello olandese, quello belga, per non parlare della Germania ancora impigliata nelle elezioni politiche.

Purtroppo, a questa meritevole politica europea, Renzi non ha aggiunto purtroppo un’altrettanto meritevole politica economica e sociale in Italia. Del resto è proprio questa difettosa politica economica ad avere scatenato la rabbia sociale manifestata con i No referendari. Il 60 per cento degli italiani aveva questo in corpo contro il 40 per cento dei Sì, ma quel 40 non è affatto di Renzi. A guardar bene i voti renzisti si aggirano sul 25, massimo 30 per cento. E il Pd non è affatto compatto, la dissidenza interna è molto critica e non lo seguirà, D’Alema non lo seguirà, Franceschini non lo seguirà. Ed infine Gentiloni non lo seguirà. Non a caso, l’attuale presidente del Consiglio ha in varie sedi dichiarato che il suo governo cesserà di esistere quando gli sarà stata tolta la fiducia. E chi può toglierla se non Renzi? Con il suo 30 per cento? Si può tollerare questo sforzo? Con quali effetti sulla sua campagna elettorale?

L’esame di questa situazione ci fa pensare che Gentiloni porterà il suo governo fino al 2018 in pieno accordo con Mattarella. Poi si vedrà. Ci sono personalità di buon conio da sperimentare a sinistra, cominciando dall’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia e non è il solo. Caro Matteo, se avessi tenuto a mente Cavour e Garibaldi forse non saresti a questo punto. Mi rammarico per te e per l’Italia.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/18/news/gentiloni_non_seguira_il_percorso_segnato_da_renzi-154348075/?ref=HRER2-2
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« Risposta #653 inserito:: Dicembre 24, 2016, 08:44:39 pm »

Dalla guerra all'Isis al senso del Natale cristiano

Di EUGENIO SCALFARI
24 dicembre 2016

SI sperava almeno in questa settimana di riposo se non di festa che allentasse la tensione in Italia e in Europa e invece è di nuovo salita alle stelle con l'attentato di Berlino e le fosche prospettive che si sono profilate.
 
La guerra contro il Califfato sembra essersi aggravata anziché sopita. Quella guerra che si può definire ufficiale e quella terroristica, l'una rinvia all'altra. A Sirte, a Misurata, a Mosul, a Raqqa, si contrastano truppe vere e proprie e l'Occidente per di più effettua anche una guerra aerea molto intensa. Le truppe che affrontano le milizie del Califfato sono irachene, curde, siriane, turche. Sono tutt'altro che affiatate, danno un pugno alle milizie Isis e contemporaneamente ai loro alleati diminuendo in tal modo la loro efficienza.
 
L'altro fronte di questo scontro ormai globale è ancora più insidioso: aggressioni e terrorismo che appare di sorpresa e dovunque: in Francia, Belgio, Germania, Usa, India, Indonesia, Filippine. La risposta è diversa da Paese a Paese. Le ragioni derivano dalla quantità delle comunità islamiche, dal loro livello d'integrazione e dalla capacità dei servizi di sicurezza, delle varie intelligence e soprattutto dai capi di polizia. Ma esiste anche un altro livello, forse il più pericoloso: le periferie, le banlieue.
 
Le periferie sono in parte costituite dalla seconda e terza generazione di immigrati, molto più reattiva dei padri e dei nonni che erano arrivati in Europa con la gioia d'esser riusciti a fuggire dai loro Paesi d'origine, devastati dalla miseria e dalla brutalità dei loro califfi, dittatori feroci e sanguinari.

Ma oltre a questa massa d'immigrati infastiditi anziché integrati, nelle periferie esistono anche comunità di poveri, di disoccupati, di esclusi che insorgono contro una classe dirigente, contro la borghesia, contro i ceti medi; insomma una lotta di classe molto più incattivita d'un tempo, con l'esempio del terrorismo che è invogliante per la massa di incattiviti. Il Califfato non ha alcun rapporto organizzativo con le periferie, salvo alcuni giovani che da lì provengono ed hanno preso l'iniziativa di andare per qualche tempo nei territori controllati dall'Isis, frequentare i campi d'addestramento lì predisposti per poi rimpatriare e costruire un rapporto dirigenziale nei confronti dei loro compagni rimasti nelle banlieue. Questa è la drammatica situazione in cui gran parte del mondo si trova e in particolare l'Europa che peraltro è preda di tensioni di tutt'altro tipo, politiche, economiche, sociali, all'interno dei vari Stati membri della Ue e/o di quegli Stati tra loro.

Una situazione di questa crescente gravità non si era mai vista. Probabilmente deriva dalla società globale che ha una decina d'anni e aumenta a vista d'occhio. Non è affatto facile porre termine alla guerra col Califfato. A mio avviso ci sono soltanto due modi: si può arrivare perfino ad un negoziato con i Capi dell'Isis ed offrire di riconoscerlo come uno Stato vero e proprio, con i suoi confini territoriali, il suo governo, la sua neutralità, una sua economia, avendo come corrispettivo la fine del terrorismo.

In teoria una scelta di questo genere sarebbe una soluzione di grande interesse, ma dovrebbe esser offerta da tutte le potenze mondiali, cosa assolutamente impossibile.

L'altra soluzione è di cambiare strategia, anzi di adottare una strategia che finora non esiste affatto. Potrebbe essere questa: combattere il Califfato con una vera e propria guerra territoriale di tutte le Potenze con una forma militare costituita, con un proprio Comando, proprie truppe, propri mezzi di guerra, sul genere della Nato ma più allargata agli Stati interessati. Anche questa però è una soluzione più teorica che realistica. È immaginabile una Nato formata da tutte le Nazioni europee, dagli Usa, dalla Russia, da tutti gli Stati del Medio Oriente musulmano? No, non lo è. Purtroppo però non ci sono altre alternative e la realtà è dunque che la situazione resti quella attuale, magari rafforzando quel nucleo che l'Occidente ha messo in gioco ma che, così com'è, risulta molto inefficace.

***

A prescindere da questo che resta però il problema numero uno, per quanto ci riguarda i temi sono la nostra politica interna, la politica economica, la nostra politica europea; i seguiti dello scontro referendario tra i Sì e i No, l'attuale governo Gentiloni, l'alternativa elettorale a breve termine, voluta dalla maggioranza delle forze politiche ma con finalità diverse e contrastanti tra loro. La vuole Renzi ed una parte (ma solo una parte) del suo partito, la vuole la Lega, il Movimento 5 Stelle. Più incerte sono le forze della destra berlusconiana. Le Autorità dello Stato sono sostanzialmente contrarie, a cominciare dal presidente della Repubblica. Mattarella ha manifestato più volte la sua contrarietà allo scioglimento delle Camere che comunque non può esser fatto senza una nuova legge elettorale che dovrebbe essere approvata dal Parlamento. Altrettanto contraria sembrerebbe la Corte costituzionale. Quanto al governo Gentiloni deve anch'esso essere consultato perché ha qualcosa da dire in proposito.

Si tratta dunque d'un percorso non facile. Personalmente ritengo che il presidente Mattarella abbia tante ragioni: si vada avanti fino al termine della legislatura nel 2018.

***
Avremmo terminato la rassegna di quanto ci sta accadendo intorno e potremmo dunque augurare un futuro moderatamente migliore, ma quest'articolo esce alla vigilia del Natale cristiano e questa ricorrenza non può essere sottovalutata. Non è soltanto la nascita d'una religione, che tuttavia conta oltre due miliardi di fedeli o sedicenti tali. È la nascita d'un pensiero che ha avuto riflessi di grande importanza sulla politica, sui rapporti con altre religioni, a cominciare dai monoteismi come i musulmani e gli ebrei e il cui temporalismo ha avuto importanti connessioni con la politica, specialmente in Europa ma non soltanto. Ma qui non è questo aspetto che vogliamo esaminare, bensì brevemente affrontare il senso, il significato della trascendenza, una concezione al di sopra dell'individuo e addirittura della società moderna. Contiene - la trascendenza - un potere per conquistare il quale si combatte con tutti i mezzi a disposizione diventando una figura vittoriosa oppure sconfitta e vittima delle altre forze che vi si oppongono e che, a loro volta, occuperanno il suo posto e dovranno difenderlo da chi ambisce a sostituirlo. La trascendenza insomma è la forma che domina il mondo e infatti gli sta al di sopra. È Dio, comunque lo si concepisca.

Sono andato a rileggermi i quattro Vangeli sinottici del Nuovo Testamento, che costituiscono la sostanza della vita di Gesù Cristo. Di lui non abbiamo alcun segnale, alcun segno tangibile che lo metta storicamente a contatto con il suo presente e il suo futuro, ma non è stato inventato. È esistito. Avrà pensato come i Vangeli gli attribuiscono? Questo non possiamo saperlo. Tuttavia i Vangeli sono credibili, gli apostoli che li hanno ispirati sono credibilissimi, storicamente operanti nella società dell'epoca, in Galilea e in Giudea e anche in Asia Minore, in Egitto, ad Atene e in tutta la Grecia ed infine a Roma, allora centro del mondo.

I Vangeli sinottici, cioè quelli riconosciuti dalle Autorità successive alla prima generazione cristiana, sono quattro. In ordine di tempo furono scritti quello di Matteo, poi di Marco, poi di Luca e infine Giovanni. I primi tre raccontano la vita di Gesù di Nazareth, che poi fu chiamato Cristo. La raccontano non con la formula della biografia, ma scegliendo i momenti a loro parere significativi. A volte quelle citazioni sono le stesse in tutte le tre memorie, altre volte no. Matteo racconta soprattutto i miracoli, Marco i tratti più salienti della predicazione, Luca si occupa anche degli apostoli, chi erano, che cosa facevano prima di incontrare il Signore e che cosa fecero dopo. Insomma mettendo insieme i tre Vangeli si conosce, ma molto parzialmente, la vita di Gesù che diventano una biografia di fatti rilevanti dai discorsi di Cafarnao al tempio di Gerusalemme e a quello della Montagna ed infine l'Ultima Cena, il tradimento di Giuda, il Getsemani, Ponzio Pilato, il martirio di Cristo, la crocifissione, la morte e la resurrezione.

Alcuni di questi evangelisti furono ispirati da Pietro. Poi venne Paolo che fu il vero costruttore di quella religione senza aver mai conosciuto Gesù. Ma...

Ma c'è il Vangelo di Giovanni da esaminare. Differisce dagli altri in modo molto significativo, anche perché Giovanni, allora giovanissimo, era stato un devoto di Giovanni Battista che l'aveva nominato suo segretario. Poi Giovanni incontrò Gesù e se ne innamorò spiritualmente, incoraggiato anche dal Battista che credeva in Gesù come il vero Messia, del quale il Battista si riteneva l'anticipazione.

Giovanni l'apostolo diventò anche il preferito da Gesù. Evidentemente aveva, malgrado la giovanissima età, profondità propria tant'è che fu il solo degli apostoli che scrisse un Vangelo e poi, più tardi, anche l'Apocalisse che anzi fu la sua opera principale. Ma lo fu anche il Vangelo, del quale voglio qui citare il Prologo.

Dice così:
"In principio era il Verbo
E il Verbo era presso Dio,
E il Verbo era Dio,
Questo era in principio presso Dio.
E senza il verbo non fu nulla.
Quanto fu era la vita
E la vita era la luce degli uomini
E la luce splende nelle tenebre
E le tenebre non hanno potuto sopraffarla.
E il verbo s'è fatto carne
E dimorò tra noi
E contemplammo la sua gloria
Gloria che ha da suo Padre
Come Figlio unico
Pieno di grazia e di verità
Nessuno ha mai visto Dio:
Il Dio unigenito
Che è nel seno del Padre
Lui lo ha fatto conoscere".

La trascendenza insomma significa che nessun individuo può vivere senza sognarla e nel proprio ambito di vita averne una scintilla dentro di lui.

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Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/24/news/isis_natale-154778093/?ref=fbpr
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« Risposta #654 inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:05:48 pm »

Il mito dell'Europa nel labirinto e il futuro del governo

Di EUGENIO SCALFARI
31 dicembre 2016

SPESSO mi chiedo dove e come è nato l’Occidente, la sua cultura, la sua potenza ed anche le sue debolezze; ma non so rispondere. Senza dubbio è nato in Europa ma quando e come? La storia e perfino la preistoria non lo dicono; le religioni neppure. Il mito forse. Sì, il mito lo dice.

Queste cose pensavo mentre stavo leggendo un libro sulla mitologia; ce ne sono molti e mi hanno sempre attirato. Colgono il profondo dell’animo nostro e lo mettono in luce, come le sue contraddizioni che cambiano sempre ma sempre ci sono, si scontrano ma non si spengono, fanno parte della nostra specie di uomini che guardano se stessi mentre operano, giudicano se stessi e così nasce l’Io e con esso il desiderio del potere, la sua trascendenza.

Il libro di mitologia che meglio affronta questo tema l’ha scritto pochi mesi fa Paola Mastrocola. Si intitola L’amore prima di noi. Prima di affrontare i problemi reali che dobbiamo risolvere, voglio soffermarmi sul loro aspetto mitico. Poi scenderemo a quelli reali. Dalle stelle alla terra. C’è sempre il filo di Arianna che può farci uscire dal labirinto nel quale oggi il mondo si trova.

«Un giorno Zeus guardava il mondo sotto di sé. Il suo sguardo si era posato per caso su una fanciulla che si chiamava Europa perché aveva gli occhi grandi. Rimase incantato a guardarla. Poco dopo sulla spiaggia della costa fenicia comparve un toro straordinariamente bianco».

«Le ragazze che danzavano sulla spiaggia furono curiose di quel toro straordinariamente bianco. Erano estremamente incuriosite. Il toro si fermò a grande a distanza e continuò a guardare soprattutto Europa dagli occhi grandi. Fu lei ad avvicinarsi. Il toro aspettava e lei arrivò vicina e lo carezzò. Per gioco gli montò sul dorso e lui partì. Entrò in mare al galoppo, superò le onde in un attimo, prese il largo mentre Europa, avvinghiata alle sue corna chiedeva aiuto. Le compagne guardavano mute ma non potevano far nulla. Il toro era ormai in mare aperto, s’involava spariva e riemergeva.

Zeus ebbe da Europa tre figli e le lasciò una lancia che non sbagliava il bersaglio. Uno di loro si chiamò Minosse, che fece costruire nel suo regno il labirinto. L’Europa di allora si chiamò Europa, colei che ha gli occhi grandi. Così da una fanciulla d’Oriente nacque l’Occidente».
Questo è tutto. Ce n’è abbastanza per riflettere.
***
A me piacerebbe che sul significato di questa scena mitologica riflettessero le persone d’autorità investite, a cominciare dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente della Corte costituzionale Paolo Grossi, il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, il capo del partito di maggioranza Matteo Renzi ed anche, a suo modo, Silvio Berlusconi. Di altri non parlo, pensano ad esistere e seguono soltanto questa necessità.

L’Italia e chi la rappresenta in Europa e nel mondo provengono in qualche modo dal figlio che lo Zeus mitologico lasciò ad Europa e da questo non possiamo prescindere. Come pure dobbiamo capire qual è il filo di Arianna per uscire dal labirinto in cui l’Italia e l’Europa si trovano. Temo per esempio che Renzi abbia sbagliato a respingere la proposta di Mattarella a tenere in vita il suo governo e far nascere in sua vece un governo burattino del quale vuole essere il burattinaio. Così pure credo che sarebbe molto opportuno se Gentiloni tagliasse i fili del burattinaio e avesse il governo che pensa e durasse fino alla fine della legislatura. Temo anche che la diffidenza interna del Pd continui a fare il gioco dei tanti galli che si disputano la sola gallina del pollaio invece di volare alto insieme al segretario. Temo infine che, tranne Mattarella, nessuno abbia capito quali sono i reali interessi del Paese e dell’Europa della quale facciamo parte integrante.

La sinistra, non soltanto quella italiana, dovrebbe porsi due fondamentali obiettivi: modernizzare il proprio modo d’essere aggiornandolo secondo i nuovi bisogni della società e conquistare un ruolo di governo sia in Italia sia in Europa. La guerra nel pollaio è miserevole, dividersi in correnti è altrettanto miserevole, ma purtroppo continuano tutti, dal segretario Renzi fino all’ultimo militante del partito. Questi fin qui esposti sono temi essenziali, ma non sono i soli. Ci sono le riforme e la politica sociale, c’è la legge elettorale e i problemi nati dal bicameralismo ridiventato perfetto con le esigenze che porta con sé. Ne abbiamo più volte parlato da queste pagine ma vale la pena di riparlarne ancora in un mondo che ormai cambia con molta velocità, in una società globale che cambia anch’essa a dir poco ogni mese se non addirittura ogni giorno. Dunque esaminiamoli questi aspetti della situazione e ciò che compete a chi è chiamato a risolverli.

La politica sociale d’una sinistra moderna ha due compiti principali: aumentare la produttività ed abolire o almeno diminuire le diseguaglianze. La discussione non è quella attualmente in corso di accrescere le imposte oppure le spese o viceversa; imposte e spese sono certamente strumenti necessari ma l’obiettivo principale è la diseguaglianza che significa sostanzialmente una costante e crescente differenza tra ricchi e poveri.

Questa differenza fa sì che il numero dei ricchi diminuisca ma la ricchezza di ciascuno di loro aumenti mentre specularmente il numero dei poveri e dei meno abbienti aumenta insieme alla loro povertà soprattutto per quanto riguarda il cosiddetto ceto medio. Non esiste quasi più il ceto medio e chi ancora ne fa parte ha il timore di diventare proletariato, questa è la situazione, uno dei fattori d’una dilagante rabbia sociale che alligna in tutti i Paesi del mondo a cominciare dagli Stati Uniti d’America, dove il fenomeno ha determinato la vittoria di Donald Trump, e così pure in Inghilterra e minaccia in Germania la cancelliera Angela Merkel e spiega anche la vera causa della nascita del Movimento 5 Stelle in Italia. La diseguaglianza, è questo che dobbiamo combattere. Per quanto riguarda la produttività anche i lavoratori debbono contribuire ma marginalmente. Sono soprattutto gli imprenditori che debbono perfezionare i loro investimenti ma debbono anche inventare nuovi prodotti da offrire ai consumatori. La domanda di consumi dipende da molti fattori ma principalmente da nuovi prodotti offerti. Si veda il fenomeno che la storia dell’industria ci offrì nei primi anni del Novecento: il motore a scoppio e l’automobile. Le prime automobili furono un prodotto di lusso riservato ai ricchi. Comunque un nuovo prodotto che gradualmente sostituì le carrozze trainate da cavalli o da muli. Ma poi accanto alle auto di lusso di grande cilindrata usate anche per le gare sportive, nacque ad un certo punto l’automobile piccola, alla portata dei ceti medi e questa fu l’auto di massa che ebbe una grande diffusione. Nelle città diventò anche la seconda automobile dei ricchi per circolare e posteggiare con maggiore facilità. Adesso sta addirittura nascendo un’auto senza pilota, che marcia da sola e da sola posteggia. L’autista guida accendendo il computer, che poi pensa a tutto il resto.

Questo è il vero aumento della produttività di cui viene anche a godere il salario dei lavoratori dipendenti e di conseguenza anche i consumatori.

Noi qui in Italia facciamo assai poco in questa direzione perché la maggior parte degli imprenditori, se il loro profitto aumenta, invece di riconvertirlo in buona parte, lo tengono per sé e lo investono nella finanza invece che nell’industria. Qui dovrebbero intervenire le imposte o le tasse per punire questo comportamento dei capi delle imprese, ma abbiamo visto ben poco di questa politica fiscale.

Dovremo ora parlare della legge elettorale dopo il No referendario che ripristinando il Senato deve necessariamente esser rifatta dal Parlamento su proposta del governo e/o dai partiti. Ci sono due alternative: una legge sostanzialmente maggioritaria come era l’Italicum, con premio alto, il 40 per cento, oppure una legge proporzionale senza ballottaggio ma eventualmente con un premio di maggioranza per il partito con maggiori voti degli altri. Oppure una via di mezzo tra queste due ipotesi.

Personalmente ritengo che una legge proporzionale con o senza premio sia migliore della maggioritaria. Si obietta (Renzi soprattutto) che la proporzionale frantuma il Parlamento e in tal modo indebolisce la governabilità. Questa obiezione è fondata ma il modo di superarla è la coalizione tra due o più partiti. Molte volte ho richiamato a questo proposito la storia della Democrazia cristiana da Alcide De Gasperi fino alla morte di Aldo Moro. Vigeva la proporzionale e non c’era alcun premio, e le coalizioni si formavano dopo le elezioni. Si rilegga quella legge. Tra l’altro essa può essere entro certi limiti modificata adottando un voto di collegio o uninominale, ma la base di fondo è in ogni caso proporzionale.

È vero che questo tipo di legge alimenterebbe le correnti dentro i partiti, soprattutto in quelli maggiori, ma questo avviene anche adesso, perfino nel movimento grillino. Ormai le correnti ci sono anche lì sebbene sia un movimento di proprietà di Grillo e di Casaleggio.

Questo è comunque il mio parere che ovviamente non conta niente in materie di questo genere. E poiché siamo alla conclusione mi permetterò di fare a Renzi una proposta personale alla quale so già che dirà di no (forse sarebbe stato meglio per lui se mi avesse ascoltato a suo tempo): non chiedere le elezioni entro giugno, anzi non le chiedere affatto e lascia che Gentiloni arrivi al termine della legislatura. Tu nel frattempo ti dedichi al tuo partito, alla sinistra in Italia e in Europa e nei momenti liberi che certo avrai porta i figli a scuola e occupati della famiglia. Leggi libri utili e belli e attendi fino al 2018. A quel punto ti presenti alle elezioni e cerchi di vincerle, tu e il tuo partito. Avrai un lungo avvenire politico davanti. Sei un uomo di talento e di capacità decisionali ed anche di carisma politico. L’Italia e l’Europa ne sarebbero avvantaggiate sia adesso senza di te sia dopo insieme a te. Grazie.
 
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31 dicembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/politica/2016/12/31/news/il_mito_dell_europa_nel_labirinto_e_il_futuro_del_governo-155152924/?ref=HRER2-1
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« Risposta #655 inserito:: Gennaio 17, 2017, 05:41:44 pm »

Lo scudo di Draghi è il ministro del Tesoro europeo
Il presidente Bce vede lucidamente i pericoli di un'Europa di governicchi in una società globale. Un solo ministro del Tesoro dell'Eurozona sarebbe un passo importante verso la federazione

Di EUGENIO SCALFARI
15 gennaio 2017

L'euro è sotto attacco. Non soltanto del populismo che alligna in Europa sempre di più, ma anche di alcune banche d'affari ed enti speculativi ed anche di economisti, studiosi attenti alle tendenze finanziarie e monetarie nonché, beninteso, agli interessi privati ed anche pubblici che non pensano all'interesse comune europeo ma ad una forza nazionalistica sempre più rigorosa in una confederazione che rifiuta di costruire un continente federale.

Se prendiamo come esempio il più grande e importante degli Stati federali, gli Stati Uniti d'America, il dollaro non è mai stato in discussione. Dopo la fine dell'ultima guerra mondiale un dibattito ci fu su due tematiche in qualche modo connesse tra loro: quale doveva essere il rapporto tra il dollaro e l'oro, che naturalmente avrebbe influito su tutte le altre monete, e l'opportunità o meno di mantenere il dollaro come principale strumento internazionale, agganciandone il tasso di cambio ad un "pool" di monete di altri Stati di grande importanza politica, economica, territoriale, in possesso di materie prime; insomma un'anticipazione di una società globale che vide la luce quarant'anni dopo sotto la spinta delle nuove tecnologie ed anche dell'immenso esercito dei popoli poveri che fuggono la miseria e le sanguinarie dittature che li opprimono rendendo necessaria la fuga verso altri continenti più ricchi e meno sanguinari. Insomma più civili, ancorché non sempre (anzi quasi mai) favorevoli all'invasione degli emigrati.

La conferenza si svolse a Bretton Woods su un sistema monetario da costruire e ferma restando l'importanza del dollaro come strumento operativo; l'ipotesi sostenuta principalmente da John Maynard Keynes era una moneta contabile unica il cui tasso di cambio veniva fissato dalla media tra i tassi delle monete dei principali Paesi del mondo. Quella moneta il cui nome sarebbe stato Bancor avrebbe rappresentato una sorta di ancoraggio di tutti i Paesi aderenti a questa sorta di club, le cui rispettive monete non potevano, anzi non dovevano allontanarsi dai tassi stabiliti una volta per tutte tra ciascuna di loro e il Bancor, potendo tuttavia oscillare entro una fascia del 4 o del 6 per cento senza subire alcuna penalità sulle rispettive economie.

Qualche cosa di simile era avvenuta tra le varie monete europee e fu definita una sorta di clearing multilaterale, con oscillazioni consentite entro il 6 per cento e con l'obbligo di saldare ogni mese i debiti eventuali al suddetto club chiamato Ecu. Il pagamento avveniva in dollari. Questo clearing multilaterale durò fino al 1997 quando i Paesi europei (non tutti ma i principali) decisero di adottare la moneta unica, cioè l'euro. I Paesi membri dell'Unione europea, politica ed economica, erano 28 fino a quando il Regno Unito di Gran Bretagna ne è uscito e dunque gli Stati sono diventati 27, dei quali 19, i principali, hanno aderito all'euro. Tra di essi il principale è la Germania non soltanto per la sua struttura economica e per la consistenza della sua popolazione, ma anche perché l'euro, di fatto, non è che il cambiamento di nome del marco tedesco che era la moneta di riferimento sulla quale furono fissati i vari cambi con le altre monete. Queste sono le premesse storiche della crisi monetaria attuale. Una crisi, o meglio una crescente sfiducia nella moneta comune, nasce naturalmente da ragioni politiche ed anche da malanni economici e sociali che ciascuno dei 19 Paesi europei sta attraversando. Ritirarsi dall'euro, magari soltanto per qualche anno, consentirebbe soprattutto di essere sottratti a quella sorta di protettorato tedesco che stabilisce la politica economica e le regole che gli Stati debbono rispettare, i sistemi di controllo e le relative penalizzazioni nei casi di inadempienza. Ma sarebbe anche la fine di un sogno che non è un'utopia ma deve, dovrebbe, diventare una realtà e cioè gli Stati Uniti d'Europa, senza la quale (l'ho scritto infinite volte ma l'ascolto dei vari governi è nullo su questo tema) le nazioni europee in una società sempre più globale diventeranno scialuppe di salvataggio o gommoni o gondole per turisti che vengono a godersi le tante bellezze d'arte e di panorama dei vari Paesi europei che in una storia di almeno tremila anni sono stati la culla della civiltà del mondo ad occidente della Cina, dell'India e dell'Africa centrale.

***

C'è una sola eccezione al nazionalismo e al populismo che hanno impedito al sogno di Ventotene di diventare realtà, ed è la Banca centrale europea e il suo presidente Mario Draghi. È italiano e prima di essere prescelto per dirigere l'Istituto che ha sede a Francoforte è stato governatore della Banca d'Italia, ma la sua nazionalità originaria non ha minimamente influenzato il suo lavoro; l'Italia è una componente importante dell'Unione europea e come tale interessa la Bce non meno ma nemmeno più degli altri Paesi europei.

La Bce fu concepita nel 1997. Era evidente che una confederazione che aveva deciso di chiamarsi Unione senza ancora esserlo, aveva bisogno di trasformare l'Ecu, cioè il clearing multilaterale, in una Banca centrale; ma in realtà quella decisione fu presa da Mitterrand e da Kohl come contrappeso politico all'unificazione della Germania Est (filosovietica) con la Germania Ovest, ovviamente europeista. La Francia e tutti i Paesi dell'Unione temevano molto un'eventuale tendenza filosovietica della Germania, della quale c'erano già stati alcuni preoccupanti segnali. La creazione d'una Banca centrale e d'una reale unione europea furono il prezzo che la Germania dovette accettare per poter portare fin quasi all'Elba i propri confini e per annettersi milioni di persone di lingua tedesca ampiamente addestrate alla vita e al lavoro industriale: una ricchezza e un aumento di popolazione che fece della Germania il primo paese d'Europa.

La Francia mitterrandiana non era certo (e tuttora non è) protesa verso un'Europa federale; la "grandeur" francese è sempre stata un ostacolo alla federazione; ma un'Europa nell'orbita sovietica sarebbe stata un pericolo e una diminuzione del potere politico della Francia e Mitterrand agì di conseguenza.

Va anche aggiunto che timori analoghi aveva anche il cancelliere tedesco: Kohl era europeista, il suo partito democristiano, la Cdu, non era affatto propenso ad eventuali politiche di apertura verso l'Est, alla quale guardavano invece con simpatia il partito socialdemocratico e soprattutto le sue frange di sinistra comunista. Kohl perciò si schierò con Mitterrand e fu anche confermato in questo atteggiamento dall'immediata adesione dell'Italia di Prodi e soprattutto di Ciampi che era allora il ministro del Tesoro e fu quello che trattò con Kohl sulle modalità e il tasso di cambio tra la lira e il nascente euro. Questa è la storia dell'euro, che soppiantò le altre monete dei diciannove Paesi europei ed ebbe ovviamente una Banca centrale della quale le Banche centrali nazionali costituiscono il suo consiglio.

La Bce è la sola istituzione europea sostanzialmente indipendente rispetto alle altre. È vero che i suoi azionisti sono i 19 Paesi che aderiscono alla moneta euro, ma è anche vero che non si tratta di un vero e proprio consiglio di amministrazione. Draghi non ha sopra o accanto a sé un solo ministro del Tesoro, ma ne ha 19, il che in una materia squisitamente tecnica significa nessuno.

Eppure è proprio Draghi ad avere chiesto con insistenza che sia creato un ministro del Tesoro unico dell'Eurozona. È vero che spetterebbe al Consiglio dei capi di governo dell'Eurozona sceglierlo e nominarlo, ma qui la loro area di guida e di controllo cessa, la Banca centrale può rispondere ad uno ma non a diciannove. Eppure quell'uno, che ridurrebbe in qualche modo il potere di Draghi sulla politica monetaria dell'Eurozona e non soltanto, è proprio lui che lo vuole, appoggiato in questo anche da Renzi quando era capo del governo. Come mai?

La riposta è semplice: Draghi è un favorevole assertore dell'Europa federale e non soltanto confederata, e sa che un solo ministro del Tesoro dell'Eurozona sarebbe un passo importante verso la federazione europea. Draghi vede lucidamente i pericoli di un'Europa di governicchi in una società globale, non sente ovviamente sentimenti nazionalistici ed è perciò il più franco e sincero sostenitore degli Stati Uniti d'Europa. Purtroppo con pochi alleati. L'Italia di Renzi lo è stata e anche quella di Gentiloni lo è e lo è stata quella di Napolitano, di Ciampi, di Prodi. Fine: non lo è Grillo, non lo è Salvini. Berlusconi lo è a mezza bocca, in realtà del tema Europa non gliene importa niente. Se la sinistra italiana prendesse sul serio questo tema come dovrebbe, sarebbe una forza politica non trascurabile, ma è occupata soltanto dalle sue beghe interne di partito; è europeista ma non ha mai mosso un dito per dimostrarlo. Non così il suo leader: Renzi in Europa ha dato il meglio di sé e se avesse agito con altrettanta lucidità sul piano italiano non si sarebbe cacciato nel mare di guai che sta e stiamo attraversando.

È incredibile come in tre anni sia venuto meno un leader che sembrava poter governare con carisma e con efficacia (che è più importante del carisma). Ce la farà a riprender quota? Avrebbe fatto meglio a proseguire il suo governo e, visto che rifiutò l'offerta in quel senso del presidente Mattarella, farebbe bene ad occuparsi del partito, dell'Europa ed attendere che Gentiloni conduca il governo fino alla fine naturale della legislatura; a quel punto potrebbe ripresentarsi al Paese con una legge elettorale appropriata.

Pubblichiamo qui a fianco una sua ampia intervista con Ezio Mauro. È interessante, le domande di Ezio sono tutte appropriate come sempre. Le risposte di Renzi altrettanto precise; a sentirlo parla del futuro suo e di quello del Paese. Si tira un respiro di sollievo, ma sul tema delle elezioni subito, e con quale legge elettorale, c'è il silenzio pressoché assoluto. E quindi altrettanto assoluto è il mio giudizio sulla sua figura di statista. A me sembra piuttosto essere un perfetto giocatore di roulette. Spero ovviamente di sbagliare: non tanto nell'interesse di Renzi ma in quello del Paese.
 
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15 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/15/news/ue_draghi_ministro_tesoro-156044213/?ref=HRER2-1
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« Risposta #656 inserito:: Gennaio 23, 2017, 11:27:50 am »

La forza dell'Io sul percorso di Donald Trump e Matteo Renzi
Le due figure più interessanti e più attuali per noi cittadini italiani ed europei sono il neopresidente Usa e l'ex premier italiano

Di EUGENIO SCALFARI
22 gennaio 2017

DA MOLTI anni della mia lunga vita ho trovato il tempo, nonostante le tante attività pratiche del giornalismo e dell'editoria, di studiare due elementi essenziali che distinguono la nostra specie da quella animale da cui proveniamo: l'Io che la fa da padrone con Narciso, l'amore di sé, che accompagna l'Io e lo rafforza aumentandone la superbia e il desiderio del potere. L'altro elemento sono le contraddizioni altrettanto essenziali che in qualche modo accrescono la ricchezza dell'Io ma contemporaneamente lo indeboliscono rendendolo più fragile anche perché ne individuano la propensione verso il potere e il comando.

Le contraddizioni sono nascoste nel profondo del Sé, dove nascono gli istinti, cioè nel profondo di noi stessi e sono cosa diversa dall'Io. Freud, Jung ed anche Spinoza prima e Nietzsche dopo studiarono contemporaneamente gli istinti, il Sé, l'Io. Sdoppiarono quest'ultimo affiancandogli il Super-Io, una sorta di guardiano per conto della società nella quale ogni individuo, cioè ciascuno di noi, vive, a cominciare dalla famiglia e allargandosi all'amicizia verso gli altri, verso la propria comunità, verso la propria Nazione, verso i poveri e anche verso i ricchi e i potenti, verso il prossimo anche se lontano. Non a caso una delle regole principali del cristianesimo è "ama il prossimo tuo come te stesso", riconoscendo la legittimità dell'amore verso di sé ma nella stessa misura verso gli altri.

Questi elementi hanno fatto e fanno la storia della nostra vita la quale, dominata da questi istinti, si estende ad altri due che possono sembrare contraddittori e invece non lo sono affatto: il destino e il caso. Il primo altro non è che il carattere di ciascuno di noi che si forma dal lascito dei genitori, dall'amore in cui quel lascito è nato, dall'educazione impartita anche con l'esempio, dal genere di cultura del luogo e della società in cui viviamo. Il destino riflette insieme il carattere delle persone.

Il caso invece è una sorta di legge di probabilità: gli incontri che fai, le guerre che ti coinvolgono, l'amicizia e l'inimicizia, la gelosia, l'invidia. Il caso non è contraddittorio rispetto al destino, lo completa e lo mette alla prova. Non si dovrebbe modificare il carattere per gli eventi suscitati dal caso. Ne volete un esempio letterario che ci fu offerto dal Manzoni dei Promessi Sposi? È la conversione dell'Innominato che era stato per molti anni la fonte del male e improvvisamente diventò fonte del bene dopo aver rapito Lucia per favorire un altro nobilastro come don Rodrigo, ma si commosse e si pentì trasformando il suo carattere e quindi il suo destino.

Credo d'aver enumerato le passioni e le caratteristiche che determinano la vita di ciascuno. Salvo un punto che condividiamo con gran parte degli animali dai quali la nostra specie discende e cioè l'istinto fondamentale che domina tutti gli altri ed è presente in quasi tutti gli individui: l'istinto di sopravvivenza, che si divide in due sentimenti, la sopravvivenza di se stessi e quella della specie animale da cui proveniamo. Noi siamo una specie socievole, se fossimo soli a vivere su questo pianeta non reggeremmo alla solitudine. Perciò siamo socievoli e la nostra sopravvivenza si estende agli altri esseri e perfino agli animali domestici. L'intensità di questa sopravvivenza è tuttavia non determinabile: a volte è molto avvertita, altre volte poco o niente. E questa è la vera distanza tra il bene e il male, tra la guerra e la pace. La vita è un'avventura, determinata da tutti gli elementi più emeriti. Cerchiamo ora di vedere quale tipo di vita stiamo vivendo.

***

Le due figure più interessanti e più attuali per noi cittadini italiani ed europei sono Donald Trump e Matteo Renzi. Non si somigliano affatto, almeno in apparenza, ma a guardar bene qualche tratto analogo in entrambi c'è. Del resto è vero che ciascuno di noi differisce dagli altri ma è altrettanto vero che apparteniamo alla medesima specie. La vera differenza tra i due sta nel diverso raggio d'azione: Trump si rivolge agli americani nella sua qualità di presidente degli Stati Uniti d'America, la più grande potenza del mondo. Renzi è invece il leader del Partito democratico italiano, un partito che ha il proprio influsso sul governo Gentiloni e come tale ha anche una funzione indiretta sull'Europa. Molto indiretta ed anche di rilievo assai limitato. È vero che l'Italia è uno dei Paesi fondatori dell'Unione europea, con origini lontane che risalgono alla Comunità del carbone e dell'acciaio e ai trattati firmati a Roma dai fondatori d'un primo nucleo verso un'Europa federale, con organi sovrani e regole e strumenti comuni. È ovvio che il potere di Trump e quello di Renzi, che peraltro è stato presidente del Consiglio per quasi tre anni e come tale esercitò poteri sovrani condivisi con i 27 Paesi che fanno parte dell'Ue e con gli altri 18 che fanno parte dell'eurozona, non sono equiparabili, ma in ogni caso a noi cittadini italo-europei interessano entrambi e quindi cerchiamo di capire le loro funzioni, le loro facoltà, la nostra considerazione per l'uno e per l'altro cominciando dal presidente degli Usa che ha appena giurato con un discorso davanti al Congresso americano durato appena venti minuti ma non per questo meno significativo.

Trump si è di fatto definito un populista. Non ha un partito, i repubblicani lo hanno appoggiato elettoralmente ma lui non è repubblicano. Lui è lui, si sente il capo degli americani, cioè crede di rappresentare la grande maggioranza del suo popolo, al quale propone una politica di protezionismo economico, di chiusura alla immigrazione, di politica imperialista che si sceglie secondo i suoi interessi gli interlocutori e gli avversari. Per ora l'interlocutore principale è Putin. Attenzione: interlocutore, non alleato. L'avversario è invece la Cina, un Paese territorialmente enorme, ostile, che finora ha investito cifre imponenti in titoli del debito pubblico americano, il che la rende al tempo stesso importante e fragile nei confronti dell'America, sul cui territorio ha numerose comunità molto attive che Trump considera sgradite perché tolgono lavoro agli americani.

A guardar bene Trump coltiva una tendenza di tipo dittatoriale: un capo e l'America, nessun partito, uno staff personale composto da uomini di finanza e da alcuni militari che hanno il solo pregio di un'amicizia personale con lui. Lui è contro l'establishment americano e questo evidentemente piace agli americani. Il populismo di Trump va incontro al populismo di un ceto medio in tragica decadenza ed anche ai giovani. Non sopportano una classe dirigente. Questo corrisponde a ciò che sta accadendo in gran parte del mondo, alle prese con la società globale, con l'emigrazione di interi popoli, dalla quale i cittadini dell'impero vogliono proteggersi delegando questa funzione a chi si propone come loro portavoce. La dittatura populista non pesa. Noi ne abbiamo un esempio relativamente recente con Mussolini. Neanche lui aveva un partito. Aveva origini socialiste ma rivoluzionarie. Poi, nello spazio di pochi anni diventò dittatoriale e della dittatura fece un regime. Con una cultura però che andò addirittura a ripescare l'Impero di Roma di duemila anni fa. Questa fu la genialità di Mussolini che arrivò ad assumere come simbolo storico i fasci romani, il Colosseo e le mura dell'antica Roma. Lui e il popolo, le adunate oceaniche.

Trump vede questa strada ma senza cultura il suo è un comando solitario, la cultura non ce l'ha e non la può avere perché l'America è nata dall'immigrazione: inglesi, francesi, irlandesi, italiani, messicani, caraibici, ebrei. Questi popoli hanno fondato l'America distruggendo gli aborigeni e chiudendone i residui nei territori designati dallo Stato.

Questo è Trump e una parte minoritaria dell'America di oggi. Le dittature sono sempre minoritarie. Se sanno interpretare i malanni e le debolezze del Paese diventano forti e durevoli almeno per un paio di generazioni. Altrimenti durano pochi anni perdendo progressivamente forza fino a scomparire. Da come ha esordito, Trump non sembra un leader duraturo. Il mondo è diventato un grosso punto dubitativo.

***

Ed ora il Renzi di oggi. Continua ad essere il leader del Pd con la carica, mai lasciata anche quand'era capo del governo, di segretario del partito. Forse farà le primarie, ma gli iscritti sono ridotti a meno di 400 mila, una misura minima. In compenso quelli che al referendum hanno votato Sì sono stati il 40 per cento dei votanti, l'affluenza fu altissima, i No hanno incassato il 60 per cento. Il 40 per cento dei Sì non sono tutti renziani, comunque è un voto molto rilevante. L'intenzione di Renzi è di votare a giugno oppure, mal che vada, ad ottobre. Dopo quella data si entra nel 2018 anno in cui termina la legislatura ed allora tanto vale attendere la fine col governo Gentiloni. È ciò che Mattarella vorrebbe ed anche il presidente del Senato. Tra pochi giorni si conoscerà la sentenza della Corte costituzionale sulla legge elettorale. L'ipotesi più diffusa è l'abbandono del ballottaggio, un impianto proporzionale per entrambe le Camere ed un premio di seggi al primo arrivato con lista singola o anche con una coalizione.

Se questa ipotesi sarà effettivamente quella adottata è molto probabile che il Pd ottenga il premio maggiore e sia al Senato la più forte minoranza. Quindi la lista unica o una coalizione consente al Pd di estendersi a sinistra con Pisapia, il sindaco di Cagliari, i transfughi dai 5 Stelle, Pizzarotti in testa e forse anche Laura Boldrini. Questo è l'indispensabile impianto elettorale. I moderati di Parisi non voterebbero per quella lista ma sarebbero pronti a convergere su un'alleanza post-elettorale che al Senato sarebbe molto opportuna.

Uno schieramento di questo genere taglierebbe fuori Grillo eliminando finalmente il sistema tripolare che è quanto di peggio per una democrazia e questo sarebbe il risultato più importante dal punto di vista elettorale. Ma al servizio di quale politica? Renzi finora è stato molto avaro di dichiarazioni pragmatiche che riguardano le emergenze nazionali, la politica economica e fiscale, l'atteggiamento verso l'Europa. E riguardano anche, ovviamente, un atteggiamento definitivo verso la dissidenza interna del Pd.

Partiamo da quest'ultima questione che coinvolge il senso di responsabilità di entrambe le parti. A nostro avviso l'iniziativa deve partire da Renzi perché tocca a lui distribuire le carte del gioco. Dovrebbe coinvolgere i dissidenti, a cominciare da Bersani, affidando a lui e a quelli che lo fiancheggiano crescenti incarichi di lavoro. Due soprattutto: lavorare nei circoli per reclutare ed educare politicamente una nuova e giovane classe dirigente del partito, soprattutto territoriale e rappresentativa di quella cultura liberal-socialista che il Pd veltroniano ereditò dal Partito d'azione con lo slogan Giustizia e Libertà. E poi lavorare insieme a lui in Europa e nel Partito socialista europeo avendo già a disposizione, dal punto di vista istituzionale, Tajani da pochi giorni eletto alla presidenza del Parlamento avendo già Mogherini come autorità europea di politica estera ed anche il capogruppo del Partito socialista europeo.

Qual è l'obiettivo da raggiungere nell'Europa di oggi? Dovrebbe essere quello d'una stretta alleanza con Angela Merkel dandole il contributo elettorale da parte dei deputati socialisti italiani che metterebbero in tal modo in causa la scelta degli eurodeputati socialisti tedeschi nonché quelli spagnoli e quelli greci. Nel Partito socialista europeo gli italiani sono i più numerosi. L'attuale dissidenza interna al Pd dovrebbe essere incaricata di affiancare Renzi nella sua azione europea ed europeista nell'appoggiare Merkel a condizione che, una volta vinte le elezioni, si dichiari favorevole agli Stati Uniti d'Europa, senza di che le singole nazioni, ancorché confederate, sarebbero prive di peso in una società sempre più globale, con problemi estremamente impegnativi per piccole nazioni, Germania compresa, che non diano vita ad un'Unione federata. I compiti principali di detta Unione e dell'Italia dentro di essa sono essenzialmente tre:

1. La lotta decisiva contro l'Isis in Libia, in Iraq, in Siria e in particolare a Mosul e a Raqqa.

2. La politica economica di crescita, il ministro del Tesoro unico dell'eurozona, eletto dai 19 Paesi interessati e non nella Commissione di Bruxelles. L'alleanza con Draghi, politica oltreché economica perché Draghi pensa soprattutto all'Europa federata, ad un'Unione bancaria europea, ad una politica di bilancio sovrana europea con relativa emissione di eurobond, ed ad un aumento della produttività sia da parte dei lavoratori sia da parte degli imprenditori.

3. Una politica fiscale che combatta soprattutto le disuguaglianze e il mercato nero, puntando sull'abolizione di un'ampia quota dal cuneo fiscale, non inferiore al 25 per cento del totale, che aumenterebbe considerevolmente la domanda dei consumatori, gli investimenti delle imprese e le esportazioni. Cioè un mercato finanziario ed economico sia pubblico sia privato, una crescita dell'interscambio europeo con la Germania al centro e il socialismo liberale italiano strettamente al suo fianco.

A questo punto nella nuova legislatura toccherà a Renzi tornare al vertice del governo italiano condividendo da quella posizione sia la battaglia di crescita economica e culturale italiana, sia quella europea. Uno Stato europeo di dimensioni continentali ma aperto, al contrario della demagogia del mercato americano chiuso.

Ricordo, con Renzi, che siamo noi europei ad aver costruito l'America. La nostra è e deve essere una democrazia

Liberalsocialista ed abbiamo secoli di storia in proposito. Abbiamo creato noi le banche, le lettere di credito, l'impero marittimo di Venezia e di Genova e prima ancora di Amalfi e di Pisa, di Taranto, di Siracusa, di Zara, di Bisanzio. Questo, mi auguro, dovrebbe essere il nostro futuro.

© Riproduzione riservata 22 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/22/news/la_forza_dell_io_sul_percorso_di_donald_e_di_matteo-156594941/?ref=HRER2-1
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« Risposta #657 inserito:: Gennaio 29, 2017, 08:58:00 pm »

La sentenza della Corte, Gentiloni e i criteri di Mattarella
La Corte Costituzionale (ansa)

Di EUGENIO SCALFARI
29 gennaio 2017

LA sentenza della Corte costituzionale ha suscitato una notevole sorpresa. È rimasto un punto soprattutto: è vietato che si facciano coalizioni tra diverse liste. Si potranno certamente fare dopo il voto ma prima no. Francamente non so se la Corte abbia rispettato il suo ruolo o sia andata oltre. Ai tempi di De Gasperi le coalizioni erano costituzionalmente praticate ed anzi erano rappresentative della vera democrazia: l’elettorato sapeva prima del voto quale fosse l’orientamento della coalizione. Anche a quei tempi e cioè nei primi anni Cinquanta, le alleanze tra partiti erano liberamente stipulate. Nel 1953 De Gasperi realizzò una coalizione che, oltre alla Dc comprendeva anche i cosiddetti partiti minori, partiti laici dai liberali ai socialdemocratici ai repubblicani. Dai sondaggi la Dc avrebbe annoverato circa il 40 per cento, i minori erano stimati al 10 per cento complessivamente. Se l’insieme della coalizione avesse ottenuto il 50 per cento più un voto avrebbe incassato un premio del 65 per cento per assicurare la governabilità. Se avesse avuto soltanto il 49,99 il premio non sarebbe stato concesso. Questo era il meccanismo elettorale. Naturalmente le alleanze tra partiti o movimenti potevano avvenire una sola volta ma con una doppia funzione: la vittoria oltre il 50 assicurava il premio di governabilità, la vittoria sotto il 50 attribuiva i seggi secondo le reali forze ottenute dagli elettori.

Il vantaggio era soprattutto per fare chiarezza nel corpo elettorale. Il voto effettivo dette all’intera coalizione oltre il 49 per cento, di cui il 40 ai Dc e il resto ripartito tra i laici. Ma nonostante questo parziale insuccesso, il successo di fatto ci fu perché con il 49 per cento complessivo la coalizione tenne banco fino al 1962 poiché le altre forze erano molto diverse tra loro e non alleate: da un lato c’era la sinistra riformista e socialista che aveva rotto il patto d’unità d’azione con il Pci (il quale ovviamente aveva votato contro la Dc); a destra c’era invece l’onorevole Covelli che capitanava conservatori e monarchici. L’obiettiva coincidenza tra il voto contrario dell’estrema destra e quello altrettanto contrario tra le varie forme di sinistra sconfisse la coalizione guidata dalla Democrazia cristiana ma non riuscì ad impedirle di governare insieme ai suoi alleati fino al 1962 quando l’onorevole Fanfani presiedette un governo che fu il primo del centrosinistra: il Partito socialista appoggiava il governo ma non ne faceva parte.

Le convergenze parallele durarono poco più di un anno, poi cedettero il posto ad un nuovo governo formato da Aldo Moro e dai socialisti del quale Pietro Nenni fu vicepresidente, Emilio Colombo ministro del Tesoro, Antonio Giolitti del Bilancio. Per bilanciare questo ingresso Moro aveva a suo tempo favorito la nomina di Antonio Segni alla presidenza della Repubblica dove durò non molto poiché un suo malore non gli consentì di proseguire ed a lui subentrò il socialdemocratico Giuseppe Saragat. Nel decennio precedente il governo presieduto da De Gasperi aveva governato con la proporzionale dominata dalla Dc. Il modello proporzionale caratterizzò dunque tutta la Prima Repubblica senza premi di sorta ma semplicemente per il fatto che i comunisti erano nel ghetto politico del loro accordo con Mosca e il resto dell’opposizione era frammentata fra piccole formazioni di estrema destra. La Dc guidò dal ’48 in poi con diverse alleanze: prima i minori laici, poi i socialisti del Psi, infine perfino con il Pci di Enrico Berlinguer il quale non entrò nel governo ma lo appoggiò soprattutto quando le Brigate rosse cominciarono il loro percorso e continuò anche dopo il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, e si estinse poco dopo.
***
La sentenza della Corte costituzionale ha cancellato il ballottaggio ma questa è in realtà la sola anche se molto importante decisione.

Ci sono alcune forze politiche che vogliono votare immediatamente. Sono soprattutto i grillini che non amano esser chiamati così per non sembrare un partito succube di un personaggio il quale tuttavia, insieme al Casaleggio jr, è il proprietario del partito. Dico proprietario in senso tecnico e come tale riconosciuto dal suo stato maggiore che del resto si compone di pochi, anzi pochissimi, dirigenti, quattro o cinque che conoscono benissimo la realtà e ci si adattano. Vanno a caccia di voti e quindi di potere, sia pure subordinati alla coppia proprietaria. Di qui alcune diffidenze ed anche alcuni successi che recentemente sono avvenuti a Torino e a Roma. I grillini o cinquestellati che dir si voglia vogliono elezioni immediate. Non importa con quale legge elettorale e non importa se, dopo la sentenza della Corte, essa sia in armonia o meno con il Senato. L’esistenza dei cinquestellati configura un sistema tripolare dove è il terzo che detta la legge a meno che il primo non abbia raggiunto il 40 per cento con relativo premio lasciato in piedi dalla sentenza della Corte. La stessa situazione è condivisa dalla Lega di Salvini la quale è antieuropea, antiimmigrati e dominante nei Comuni di gran parte dell’Italia settentrionale e governa due Regioni tra le più importanti del Paese: Lombardia e Veneto. Un’alleanza eventuale e naturalmente post-elettorale tra Salvini e Meloni con i cinquestellati è molto probabile ma neanche quella raggiungerebbe la maggioranza assoluta qualora si andasse immediatamente al voto. Quanto a Renzi e al suo partito la situazione è alquanto più complessa. Renzi vorrebbe votare a giugno o al più tardi ad ottobre e naturalmente auspica di farlo con il pieno accordo di Gentiloni. Al momento del voto il premier dovrebbe dare spontaneamente le dimissioni e tornare al servizio del suo partito e quindi di Renzi che potrebbe compensarlo in modo adeguato probabilmente affidandogli una carica importante in Europa o nel partito stesso in nome e con l’appoggio del quale ha governato.

Che tutto ciò accada è possibile ma non sicurissimo. Gentiloni sta esercitando il suo ruolo in modo molto scrupoloso. Va dovunque, nei paesi colpiti e devastati dal terremoto e dalle valanghe, in Europa dalle autorità che la guidano con la Commissione di Bruxelles, si incontra con il premier greco, con quello spagnolo, con quello francese. In questi giorni ha visto a lungo Merkel e si trovano assai d’accordo. Più volte lo stesso Gentiloni ha detto che lui sta pensando alle cose da fare e lascia agli altri le manovre e le strategie che le ispirano. Lui non pensa alle strategie ma fa il presidente del Consiglio e naturalmente adotta le direttive del presidente della Repubblica il quale, pur limitandosi alle prerogative che la sua carica gli riconosce, ha di mira la fine della legislatura nel 2018, essendo pienamente consapevole che elezioni fatte prima lascerebbero il Paese in uno stato di molto discutibile governabilità. Che gli piaccia o no, Gentiloni sta in qualche modo adottando i criteri di Sergio Mattarella. Non è ancora chiaro se se ne andrà quando Renzi glielo chiederà, è probabile ma incerto; molti sostengono che l’incertezza è assoluta. Si vedrà entro le prossime settimane.

A parte la riforma elettorale esistono molte altre questioni politiche, economiche, sociali, sindacali. Esiste il tema dei terremotati. Esistono poi questioni fiscali di non lieve entità per quanto riguarda la crescita del debito e dello spread.

Esiste anche un recente intervento di papa Francesco sul tema della unità cristiana e del Dio unico che dovrebbe affratellare la Chiesa cattolica con i cristiani non cattolici cercandone l’unità e l’affratellamento con ebrei e musulmani nel nome del Dio unico.

Mi permetto di fare un’aggiunta personale che citai in un mio libro una decina di anni fa e che è sempre più attuale.

Si narrava, anzi lo narra lui stesso, che Denis Diderot il pomeriggio verso le cinque andava a sedersi su una panchina nei giardini del Palace Royal e pensava alle cento cose che gli venivano in mente. I pensieri si alternavano l’uno all’altro e lui non riusciva a capirne il perché. Nel frattempo vedeva in fondo ai cancelli d’ingresso nel giardino molte ragazze di vita (così si diceva allora) che agganciavano i clienti casuali e stavano con loro per una mezz’ora, poi tornavano e ne agganciavano altri e questo spettacolo durava più o meno tutto il pomeriggio. Diderot guardava questo traffico e raccontandolo agli amici collaboratori con l’Encyclopédie disse con aria al tempo stesso ironica e sconsolata: «Mes pensée sont mes putains ». Capita anche a me di avere pensieri che vanno e vengono come le puttane ed anche a me capita d’essere allegro o sconsolato. Anzi di spirito malinconico. Mi vengono in mente le canzoni del Cavalcanti alla sua bella e le Lezioni americane del carissimo Italo Calvino. E La casa dei doganieri di Eugenio Montale ed infine l’Alcyone di Gabriele D’Annunzio. Malinconico, ma in buona compagnia.

Ora, tornando all’attualità, dirò soltanto quel che penso delle future elezioni e di ciò che ruota intorno a questo tema.

Grillo vuole subito le elezioni e Matteo Salvini (con la Meloni) altrettanto. E la legge elettorale? Per Grillo l’obiettivo sono elezioni immediate. E va bene anche la legge prodotta dalla Consulta. Il Senato ha un suo assetto in piena disarmonia con la Camera dei deputati? E chissenefrega. Grillo e la Lega se ne infischiano. Semmai si alleeranno dopo affinché rimanga un sistema triplice che favorisce chi è l’ultimo arrivato che poi può diventare il primo. Nel tripolare è il terzo che ha sempre la meglio. Torino insegna. Grillo poi è un caso eccezionale, in parte analogo a quello di Donald Trump. Sono non solo i capipopolo ma (nel caso di Trump) anche i capi del governo, all’interno del quale fanno quel che vogliono. Capipopolo e capi di governo. Possono cambiare la politica del governo purché restino capipopolo. Questo è il punto. Ma a Grillo non serve neppure questo, perché lui è pure sì capopolo, ma soprattutto è proprietario del movimento. È lui che decide come si è visto in Europa con Farage. Non si era mai visto un caso simile né in Italia né nel mondo occidentale. Esiste nell’Africa centrale, in tutta la fascia che va dall’Atlantico all’oceano Indiano. Lì il potere è in mano ai capitribù che comandano, fanno soldi e ammazzano gli oppositori. Il caso di Grillo per fortuna non è affatto sanguinario anzi è gentile, gli altri dirigenti sono pochi e sono lieti di partecipare al potere.

Draghi è stato insignito del premo Cavour. Il discorso del presidente della Bce è diventato estremamente importante perché non parlava come presidente della Bce ma come italiano e cavouriano. Quindi liberale in patria.

Draghi ha messo l’accento sulla produttività e in piccola parte la si deve anche ai lavoratori dipendenti ma soprattutto agli imprenditori i quali debbono aggiornare i metodi di produzione sia tecnicamente e sia come politica economica, bancaria, sociale. Debbono offrire nuovi prodotti o migliorare profondamente quelli già esistenti e debbono soprattutto puntare sulla maggiore domanda dei consumatori e sulla migliore offerta degli imprenditori con particolare attenzione alle diseguaglianze che dominano in tutto l’Occidente ma in particolare nel nostro Paese. In passato, personalmente, ho anch’io affrontato questo problema raccomandando un forte taglio del cuneo fiscale, di almeno il 25 per cento ma anche più basso intorno al 15 con l’impegno del governo di applicarne un ulteriore aumento anno per anno. Draghi non ha usato la parola cuneo fiscale ma qualche cosa di simile, soprattutto con la sua insistenza sulla lotta contro le diseguaglianze e contro il lavoro nero. Per quanto riguarda l’Europa ricordiamo che Draghi ha sempre voluto un ministro del Tesoro unico e raccomanda ora all’Italia una presenza europea sulla disciplina delle quote di immigrazione. Che sia soprattutto attuata congiuntamente da Italia, Grecia, Spagna, Francia e Germania. In particolare la Germania la quale, qualora Merkel riuscisse a vincere le elezioni, dovrebbe farsi carico di un’Europa che punti finalmente e veramente su una federazione. Draghi ovviamente non è stato così esplicito ma il succo del suo discorso è quello poiché anche lui ha sempre puntato su un continente sovrano, indispensabile in una società globale.

Vengo ora a papa Francesco che ha parlato lungamente di San Paolo e della seconda Lettera ai Corinzi. Citando le seguenti frasi scritte in quella lettera: “L’amore di Cristo ci spinge verso la riconciliazione. Non si tratta del nostro amore per Cristo ma dell’amore che Cristo ha per noi. La parola di Dio ci incoraggia a trarre forza dalla memoria, a ricordare il bene ricevuto dal Signore; ma ci chiede ancora di lasciarci alle spalle il passato per seguire Gesù nell’oggi e vivere una vita nuova in lui”. San Paolo sottolinea in quella lettera che i cristiani non debbono mai basarsi sulle mode del momento ma cercare la via pensando sempre alla riconciliazione di tutte le religioni a cominciare da quelle cristiane ma anche a quella ebraica e a quella musulmana. Integrazione e mai divisione: questo è quanto Francesco esorta, e in tutti i modi pratica nella sua vita.

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29 gennaio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/01/29/news/la_sentenza_della_corte_gentiloni_e_i_criteri_di_mattarella-157112161/?ref=HRER2-1
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« Risposta #658 inserito:: Febbraio 07, 2017, 04:01:17 pm »

L'Europa sta sotto i piedi di Angela Merkel ma nel cuore di Draghi
La cancelliera tedesca ha sdoganato l'Ue a due velocità. Sulla scena c'è un secondo attore, il presidente della Bce. A fine febbraio i due si vedranno a Berlino

Di EUGENIO SCALFARI
05 febbraio 2017

C'È una miriade di fatti che ingombrano gli schermi televisivi, le pagine dei giornali e perfino i siti web. Ne volete un sommario esempio per quanto riguarda l'informazione del nostro Paese? Raggi, sindaca di Roma di marca grillina, i sondaggi sull'andamento delle maggiori forze politiche italiane, l'accordo fra l'Italia e il governo libico di Tripoli sul tema degli immigrati, la probabilità che sia molto diminuita l'ipotesi di elezioni entro giugno e che Renzi abbia in proposito cambiato idea. E poi Trump. Il nuovo presidente degli Stati Uniti è l'uomo-chiave del momento per due ragioni: la prima è che siede sul palco più alto dell'impero più forte del mondo; la seconda è che Trump cambia idea almeno una volta al giorno e a volte ancor più frequentemente: su Putin, sulla Cina, sull'Europa, sulla Corea del Nord (quella che fa esperimenti sulla bomba a idrogeno e dovrebbe essere fermata), su Israele, sull'Australia, sulla Nato e via discorrendo. Se continua così nessuno darà più peso alle sue decisioni e la sola cosa che continuerà a contare saranno le chiusure di Borsa a Wall Street. Del resto anche in Inghilterra, anzi nel Regno Unito che non è mai stato così disunito, quella che conta è la City e, per tutt'altra ragione, la National Gallery. Della Brexit tra poco nessuno parlerà più.

L'elenco, come vedete, è piuttosto lungo e sicuramente incompleto, ma ometto volutamente i fatti veramente importanti che riguardano l'intero mondo occidentale, Italia ovviamente compresa.

Ho scelto i fatti al plurale ma in realtà è un fatto unico, che ha due attori principali e una folla di spettatori coinvolti da quanto vedono recitare sulla scena e che li riguarda direttamente.

Il fatto dominante è quanto è stato annunciato dalla cancelliera tedesca Angela Merkel al vertice che si è concluso venerdì scorso a Malta: alla prossima riunione di vertice europeo che avrà luogo a Roma nelle prossime settimane per celebrare i Trattati che istituirono la Comunità europea del carbone e dell'acciaio e che successivamente diventò Unione politica ed economica, Merkel proporrà un'Europa a due velocità.

La prima velocità riguarda tutti gli Stati dell'eurozona (diciannove) che sono in grado di marciare verso un'economia dinamica, in costante aumento di produttività, di scambi, di piena occupazione, di propensione verso un potere federale con organi politici appropriati. Il centro di questo sistema ad alta velocità sarà ristretto; di fatto (Merkel non l'ha detto ma è evidente nelle sue parole) avrà il suo perno nella Germania e nei suoi più stretti alleati: l'Olanda, i Paesi del Nord Europa e - per ragioni strettamente politiche - la Francia. Gli altri procederanno come potranno. Se si metteranno al passo potranno sempre entrare nel club dell'alta velocità. Se in teoria al passo giusto ci si metteranno tutti i 19 della moneta unica, sarebbe un club in grado di dar vita agli Stati Uniti d'Europa o a qualcosa di molto simile. Altrimenti sarà un piccolo ma potente cuore e cervello d'Europa che parla e pensa in tedesco, ma niente di più.

Ma c'è un secondo attore in questa che mi viene voglia di definire la commedia degli inganni e si chiama Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea il cui incarico scadrà nel 2019 ed ha dunque tutto il tempo necessario per operare, anche se sta coprendo il dissenso che c'è sempre stato tra lui e il governatore della Bundesbank, che è la Banca centrale tedesca e fa parte ovviamente del Consiglio della Banca centrale europea ma è costantemente all'opposizione. Su che cosa? Sul fatto che Draghi - confortato dall'appoggio del direttorio della Bce e dall'ampia maggioranza delle Banche centrali nazionali che fanno parte del consiglio - dispone d'una salda maggioranza sulla sua politica monetaria ed economica espansiva.

Come si comporterà adesso Draghi di fronte alla proposta di Merkel sulla doppia velocità? Si adeguerà? La contrasterà? Con quale tipo di operazioni?

***

Personalmente sono molto amico di Draghi, fin da quando era uno dei prediletti collaboratori del più importante personaggio della politica italiana, dopo tredici anni di governo della Banca d'Italia: Ciampi, dopo aver guidato la nostra Banca centrale in tempi assai calamitosi, fu in qualche modo obbligato a governare il Paese, politicamente ed economicamente, da primo ministro d'un governo provvisorio, poi da ministro del Tesoro del governo Prodi, e infine da presidente della Repubblica. In tutti questi ruoli, ma soprattutto nell'ultimo, dette il meglio di sé e Draghi collaborò strettamente con lui, specie nei contatti preliminari che poi condussero il ministro del Tesoro Ciampi a negoziare l'ingresso dell'Italia nella moneta unica, sulla quale erano già d'accordo la Germania di Khol e la Francia di Mitterrand.

Da quei tempi Draghi ed io siamo buoni amici e parliamo spesso delle sue posizioni in quanto capo della Bce ma soltanto quando lui ne ha parlato pubblicamente. È per dire che non ho mai avuto notizie da parte sua, che sarebbe una scorrettezza in una delle persone più attente a non commetterne mai. Però pubblicamente si espone senza alcun timore. Dispone dello statuto della Bce, redatto da tutti i Paesi dell'eurozona che ne sono azionisti in proporzione alla consistenza delle proprie economie. Quello statuto e la maggioranza del Consiglio sono gli organi che sostengono Draghi e la sua indipendenza. I suoi rapporti con Merkel sono stati sempre buoni, se non addirittura ottimi sebbene in molte occasioni siano stati anche contrastati dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble (un "rigorista" per cultura propria ma anche molto legato ai circoli del capitalismo tedesco) e dalle misure che la Cancelliera dovrebbe prendere convincendo altre Autorità europee a farle proprie.

Merkel, specie in vista delle prossime elezioni, deve usare ancora di più le opinioni di Schäuble e finché si può deve tentare di convincere anche Draghi, ma lui si troverà di fronte a una situazione molto difficile. Sarà un incontro-scontro avvincente ed è già cominciato. Con due pubblici interventi di Draghi: uno rivolto alla politica economica italiana in occasione del premio che gli è stato conferito in una celebrazione del conte Camillo Benso di Cavour, che nel 1861 proclamò lo Stato d'Italia, reso possibile dall'alleanza di Cavour con Napoleone III che sfociò nella guerra d'indipendenza del 1859, vinta dai francesi e dagli italiani e nell'assegnazione della Lombardia e poi del Veneto al regno piemontese.

Dall'altra parte ci fu l'impresa di Garibaldi e dei Mille che conquistarono il Mezzogiorno e la cui iniziativa fu nascostamente appoggiata da Cavour.

Il Regno d'Italia ebbe vita da questi due eventi e il perno che lo rese possibile fu appunto manovrato da Cavour. Per celebrare quegli avvenimenti non ci poteva essere scelta migliore che quella di Draghi il quale, nel corso di quella celebrazione, è stato per la prima volta non solo in veste di capo della Bce. Ha dedicato il suo discorso storicamente a Cavour e subito dopo alla politica economica del nostro Paese. Gli ho già dedicato una parte del mio articolo di domenica scorsa. Draghi ha parlato della produttività come elemento indispensabile dell'imprenditoria italiana, sia pubblica e sia privata, e della lotta contro le diseguaglianze sociali ed economiche che debbono essere fortemente diminuite con una politica fiscale adeguata che comprenda anche la battaglia contro l'evasione fiscale e il lavoro nero su cui contano le lobby clientelari e perfino mafiose.

Pochi giorni dopo - e siamo al presente - Draghi ha dedicato un suo intervento a tutti i Paesi dell'eurozona. Praticamente è stata una risposta preventiva alla politica della doppia velocità che Merkel ha preannunciato a Malta e che avverrà tra poco a Roma.

Che cosa ha detto Draghi? Poche cose, ma fondamentali. Ha detto che la Germania non è lontana dall'aver raggiunto il tasso del 2 per cento d'inflazione che è quello base previsto dallo statuto della Bce. Il raggiungimento di quel tasso è la positiva conseguenza della politica economica del governo tedesco ed anche della politica di "quantitative easing" della Banca centrale, praticata verso tutti i Paesi dell'eurozona, Germania naturalmente compresa.

Nel secondo intervento di pochissimi giorni fa Draghi si è rivolto a tutti i Paesi dell'eurozona. Ha spiegato con piena soddisfazione i risultati raggiunti dalla Germania e invece ancora lontani per gran parte dei Paesi dell'eurozona, soprattutto quelli meridionali come la Grecia, l'Italia, la Spagna, la Francia, il Portogallo. Cioè la costiera mediterranea che, oltretutto, è al centro delle migrazioni sia dai Balcani sia dal Nord Africa.

Ai Paesi dell'eurozona che si trovano davanti al fenomeno delle migrazioni di massa e a devastanti fenomeni naturali (i terremoti in Italia) e sono di fronte a politiche economiche insufficienti, Draghi ha raccomandato di rilanciare quelle politiche ed ha anche assicurato che il "quantitative easing" della Bce continuerà verso ciascuno dei Paesi suddetti in ragione di quanto sta facendo. La politica di Draghi non ha nulla a che fare con quella di Schäuble e di Merkel che si identifica con il suo ministro delle Finanze. Draghi si incontrerà alla fine di febbraio a Berlino con Merkel e lì ci sarà il bilancio. Immagino i fiori e le rose profumate di quell'incontro sotto le quali la gentilezza cederà di fronte alla roccia con la quale Draghi espone le sue idee, i suoi impegni e i suoi doveri.

***

Dovrei ora parlare dei risultati statistici rilevati nei giorni scorsi dal nostro Ilvo Diamanti. Ne risulta una notevole confusione in tutti i partiti, a cominciare dai grillini, ma anche nel Pd. Il raffreddamento di Renzi verso le elezioni subito, i buoni risultati del governo Gentiloni. Mi sembrano dati positivi che possono essere ulteriormente accresciuti. Mi auguro tuttavia che Renzi condurrà nel suo partito una riforma efficace, soprattutto nei confronti dell'opposizione interna nella sua parte più saggia che secondo me è quella interpretata da Cuperlo ed anche, in modi diversi, da Bersani.

Renzi però farebbe un errore a concentrare il suo interesse soltanto su una riforma peraltro necessaria dei rapporti interni al suo partito. Questo lavoro deve essere, a mio avviso, la premessa necessaria per presentarsi lui dopo che la legislatura sarà terminata. Renzi ha carisma come pochi altri oggi; quel carisma però necessita della collaborazione più ampia nel partito per poter tornare al governo nel 2018 ed è sufficiente un solo punto di riforma della legge elettorale: affiancare alle eventuali liste uniche anche liste di coalizione. È con questa possibilità che si accoppiano democrazia, rappresentanza parlamentare, governabilità. Intanto formuliamo tutti, a cominciare come spero da Renzi, un ringraziamento al lavoro di Mattarella e di Gentiloni che stanno facendo il possibile per terminare un ciclo nel 2018 e riaprirne un altro ancor più efficace.

© Riproduzione riservata
05 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/05/news/europa_merkel_draghi-157598263/?ref=HRER2-1
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« Risposta #659 inserito:: Febbraio 21, 2017, 12:25:33 am »

C'è bisogno di valori, non potete distruggere un partito

Di EUGENIO SCALFARI
19 febbraio 2017

C'è bisogno di valori, non potete distruggere un partito C’È' UN PROBLEMA logico e filosofico che ha il suo punto centrale nella speranza. L'ha trattato la nostra collaboratrice Benedetta Tobagi citando un ebreo tedesco, George L. Mosse, che nacque nel 1918 e morì nel 1999. Lui credeva nella speranza come elemento fondamentale della vita e come conforto di fronte alla morte, la fede dell'Aldilà garantita da un Dio trascendente. Ma credeva anche nella politica, suscitata dall'Io, dalla ricerca del potere a tutti i livelli. Il potere coincide con la volontà di potenza studiata da Nietzsche, che può diventare un ideale condiviso dalla masse se i detentori del potere riescono a diffondere l'amor di Patria. Mosse chiamava l'amor di Patria la nazionalizzazione delle masse e tutti i fenomeni che a quell'amor di Patria somigliano, perfino il tifo sportivo per una squadra o per un campione.

C'è una quantità di fenomeni che possono mobilitare le masse, dai più impegnativi ai più banali, ma non c'è dubbio che la nazionalizzazione delle masse intesa nel senso più vasto sia il concetto essenziale per chi, come Mosse, vede positivamente la vita e perfino la morte. Ma c'è anche un concetto opposto: quello che concepisce la disperazione come il sentimento dominante. Si spera ma alla fine ci si dispera. Machiavelli si domandava: "Come può l'uomo virtuoso sopravvivere in un mondo malvagio?".

Ma il medesimo Machiavelli indicava nel "Principe" il grande rimedio e dedicò infatti quel suo libro non già al Borgia di cui aveva raccontato tutte le malefatte, ma a Lorenzo il Magnifico che agì in tutta la sua breve vita per il bene del popolo, con gli interventi di governo, la bontà, la democrazia visti insieme pur avvertendo: "Chi vuol esser lieto sia/ del doman non v'è certezza".

L'incertezza, ecco la vera chiave della nostra esistenza. Il caso o il destino. Due concetti sulla cui antitesi o identità ha scritto più volte e di cui parla spesso in modi diversi Giacomo Leopardi nelle sue "Operette Morali". Leopardi era un nichilista, ma si elevò con i suoi Canti ad un livello tale da convivere con felicità-infelicità, "Alla fioca lucerna poetando".

Perché parlo di questi valori e disvalori, speranze e disperazione? Ne parlo perché la società globale, rinforzando sempre di più la forza della sua globalità, ha creato e sempre più diffonde un mondo nuovo che contiene un dato positivo ed uno negativo, la pace e la guerra, l'amore e l'odio, su scala universale. E la minuscola dimensione (ma per noi estremamente importante perché direttamente ci riguardano) di queste contraddizioni hanno ridotto la nostra politica ad un campo di battaglia che rischia di deformare la nostra già debole democrazia dove si confrontano progetti che ogni giorno cambiano, peggiorano i rapporti delle forze in campo, gli interessi, le alleanze. L'Europa soffre di analoghi malanni. La lucerna leopardiana è fioca, non è spenta: si alimenta dalla bellezza della speranza e dalla drammaticità della disperazione. Quanto alla vicenda politica la sua debolezza è terribilmente moderna. Che c'è di peggio della modernità? Di un Paese e di un continente che è stato per secoli il fulcro della civiltà nel mondo intero?
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In Italia le forze in gioco sono numerose. La prima è Grillo e i cinquestellati: vorrebbero il voto immediato, non importa con quale legge elettorale. Se si vota al più tardi a giugno resta un sistema tripolare che rappresenta la forza grillina indipendentemente dalle vicende della Raggi.

La seconda forza in gioco è il duo Mattarella-Gentiloni. Entrambi vorrebbero arrivare alla fine della legislatura e nell'anno che ancora resta vogliono portare a termine quelle riforme più che mai necessarie: l'Appenino terremotato, il rilancio del Pil, la lotta contro le diseguaglianze reddituali e patrimoniali, la questione libica e africana, i rapporti con la Germania e con la Commissione europea, l'appoggio a Draghi e da Draghi.

La terza di queste forze in gioco è Renzi, il Pd e la sinistra italiana. Come si vede ce n'è abbastanza.

Grillo: per rafforzare la nostra fragile democrazia occorre abolire il sistema tripolare. Si ottiene rinviando le elezioni al 2018 creando a quel punto un meccanismo che non solo non ceda altri voti a Grillo ma anzi li prenda da lui. Non è impossibile: bisogna togliergli voti sia a sinistra (pochi) sia al centro (molti) sia a destra (moltissimi). Non è impossibile anche se Grillo e i suoi possono allearsi con la Lega di Salvini. I due non sono in concorrenza, un'alleanza è possibile con le due liste distinte ma unite dalla stessa politica: togliere voti soprattutto a destra e comunque non cederli, utilizzare l'eventuale appoggio del populismo di Donald Trump. Salvini ci sta provando e con successo.

Ed ora veniamo a Renzi e alla sinistra italiana. Le voci che riguardano l'attuale segretario del Pd oscillano in continuazione. Un giorno si parla di un congresso rapido del Pd con il suo attuale segretario che si dimette ma trasformando la sua attuale segreteria in una "reggenza" fino all'esito congressuale. Un'eventuale reggenza renziana sembra tuttavia impossibile, un segretario dimissionario non può trasformarsi in reggente, non è mai accaduto in nessun Paese dell'Occidente.

Un altro giorno il congresso può essere lungo e il voto potrebbe avvenire ad ottobre o addirittura a dicembre. Ma in quel caso il presidente della Repubblica potrebbe affidare all'attuale presidente del Consiglio l'incarico dell'ordinaria amministrazione che potrebbe protrarsi per pochi mesi fino alla scadenza della legislatura.

Infine un altro giorno ancora, si attribuisce a Renzi il proposito di riformare il partito, con o senza congresso, preparandosi alle elezioni come leader del Pd, con la dissidenza interna riassorbita e quella esterna alleata, cambiando la legge elettorale con la possibilità di coalizioni con la sinistra esterna e con il centro moderato. In questo caso il sistema diventerebbe bipolare con un centrosinistra molto forte e i cinquestelle più Salvini. Bipolare, con maggior peso al centrosinistra rispetto al populismo antieuropeo del duo Grillo-Salvini. È auspicabile questo scenario? Ed è probabile la sua realizzazione oppure no?
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Questo tema riguarda soprattutto Renzi. Ha carisma? Sì, ce l'ha. Ha voglia di usarlo? Sì, ce l'ha ed è anche molto evidente. Ha la capacità di usarlo a favore del popolo italiano e dell'Europa? Sì e no. Non più di Gentiloni, ma neanche meno. I caratteri di questi due protagonisti sono molto diversi, ma le capacità si equivalgono.

La settimana scorsa su queste pagine ho dato un'immagine storica per rispondere a questa domanda: Renzi deve creare nel Pd una vecchia guardia e una giovane guardia. La prima si compone di quelli che nel Pd, con lui o contro di lui, hanno usato e possono ancor più usarla per dare al partito la loro esperienza già collaudata e ancor più negli anni nel frattempo trascorsi. La giovane guardia è fatta da trentenni o poco più, che devono rappresentare la generazione che tra dieci anni guiderà il partito.

Renzi e Gentiloni sono per età anagrafica a metà del percorso. Ma c'è un altro personaggio che sembra essere di nuovo in corsa ed è Walter Veltroni. Se bisognasse scommettere su uomini migliori per l'Italia e per l'Europa bisognerebbe puntare su Veltroni, su Draghi, su Renzi e su Gentiloni. Draghi ha una forza propria ed essenziale, europea e quindi anche italiana; Veltroni discende dalla Bolognina di Occhetto, dall'Ulivo di Prodi, e poi da se stesso quando fondò il Partito democratico dove utilizzò con successo la vecchia e la giovane guardia.

Insomma è un partito ricco di esperienze, capacità, carisma. Si mettano tutti d'accordo, facciano un'équipe che operi per l'Italia e per l'Europa: due patrie che s'identificano; senza l'una, l'altra crolla. Questo sì, va ad ogni costo evitato.

© Riproduzione riservata 19 febbraio 2017

Da - http://www.repubblica.it/politica/2017/02/19/news/c_e_bisogno_di_valori_non_potete_distruggere_un_partito-158655791/
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