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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 317986 volte)
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« Risposta #450 inserito:: Agosto 19, 2013, 07:32:23 pm »


Epifani e Barca per rifare il nuovo Pd

di EUGENIO SCALFARI


È difficile pensare che questo governo stia per cadere. Molti lo temono, alcuni se lo augurano e pongono come data limite il febbraio-marzo del 2014; ma ragionano male scambiando le loro incertezze, le loro paure, le loro speranze per dati di realtà.

Il dato di realtà è che il governo durerà fino alla primavera del 2015, dopo il semestre di presidenza europea che spetta all'Italia e quindi a Enrico Letta.

Questo dato di realtà è sostenuto da molti elementi, il primo dei quali proviene dal documento che Giorgio Napolitano ha diffuso martedì. Non starò a commentarne il contenuto che è già stato analizzato da tutti i giornali e dal nostro in particolare con il commento di Massimo Giannini. Mi limito qui a segnalare due punti essenziali. Il primo riguarda la procedura prevista dalla legge per la domanda di grazia: occorre sia presentata dal condannato di sentenza definitiva o da un suo familiare di primo grado e comporta una serie di accertamenti che riguardano il ravvedimento del condannato stesso e soprattutto l'accettazione della sua colpevolezza che è implicita nel fatto stesso di chiedere la grazia.

Si tratta insomma di un atto di umiliazione che la richiesta di grazia comporta e che - nel caso del personaggio Berlusconi - avrebbe una risonanza mondiale. È pensabile che lo compia? I suoi avvocati, a cominciare da Coppi, premono per il sì, ma chi conosce il personaggio scommette piuttosto sul suo no.

Significherebbe infatti la smentita d'una vita intera, dominata dall'egolatria e dalla spregiudicatezza; insomma la definitiva uscita di scena poiché - come scrive Napolitano nel suddetto documento - essa comporta anche la definitiva rinuncia agli attacchi eversivi che Berlusconi e i suoi seguaci lanciano da vent'anni contro la magistratura.

Tiriamo dunque le somme su questo tema: se Berlusconi chiederà la grazia - indipendentemente dal fatto che la ottenga oppure no - si metterà fuori dalla politica; se non la chiede, a metà ottobre la sentenza sarà eseguita ai domiciliari o alla rieducazione connessa all'assistenza sociale.

Restano tre ulteriori elementi legati a questo tema: l'eventuale provvedimento di grazia non concerne le penalità accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici; la legge Severino che dispone l'ineleggibilità di un condannato a cariche parlamentari; il voto che sarà dato a settembre sulla ratifica della sentenza della Cassazione, voto che avrà comunque vasta maggioranza al Senato quand'anche i senatori del Pdl votino contro.

In sostanza: Silvio Berlusconi è già definitivamente fuori dalla partita politica.

* * *

Ma al di là del tema che abbiamo fin qui esaminato il documento di Napolitano ne contiene un altro che riguarda il governo Letta. Napolitano ricorda la stretta connessione esistente tra la sua decisione di accettare la rielezione al Quirinale con la nascita d'un governo e di una maggioranza di assoluta necessità e priva di alternative, cui avrebbe affidato il compito di agire per portare il paese fuori dalla recessione, di sviluppare il ruolo dell'Italia in Europa avendo come obiettivo quello di orientare concretamente le autorità europee verso la crescita economica e l'occupazione; infine di perseguire la nascita di un'Europa federale tuttora inesistente.

Napolitano affidava anche al governo da lui nominato il compito di avviare alcune riforme costituzionali che aggiornassero la Costituzione non già nei principi intoccabili ma in alcuni settori non più adatti ai tempi molto mutati.

Per adempiere a queste incombenze tutt'altro che marginali il tempo previsto dal Presidente avrà termine con la fine della presidenza semestrale europea affidata all'Italia. Solo allora Napolitano prevede le dimissioni del governo e probabilmente (ma questa è una mia personale induzione) le proprie.

Fino a quel momento, cioè per i prossimi 18 mesi, il governo non si tocca e tanto meno la legislatura parlamentare. A meno che uno dei partiti che lo sostengono in Parlamento decida di staccare la spina. Il più indiziato da questo punto di vista è il Pdl. Lo può fare per soddisfare il suo (ex) Capo, ma lo può anche fare paralizzando l'azione di governo e quindi mettendo Letta nella condizione di esser lui a dimettersi per l'impossibilità di governare.

È probabile che avvenga questo tsunami? E che cosa farebbe in tal caso Napolitano?

* * *

Che parlamentari, ministri e dirigenti del Pdl solidarizzino con (l'ex) Capo nel momento in cui la sua uscita di scena sarà definitivamente avvenuta è possibile; lo stesso documento di Napolitano dimostra comprensione verso questa manifestazione "sentimentale" purché si astenga da giudizi vituperevoli nei confronti della magistratura e di altre istituzioni.

Ma che a quest'ultimo atto di addio facciano seguito le dimissioni aventiniane dei parlamentari del Pdl e/o dei ministri sembra estremamente improbabile. Il Capo sarà comunque fuori; il paragone con Grillo - che opera anche lui fuori dal Parlamento - è del tutto improprio perché il Pdl non è confrontabile col Movimento 5 Stelle, hanno tutti e due uno sfondo populista, ma il partito berlusconiano è un tessuto di interessi, di clientele, di affari tra politica ed economia dei quali i 5 Stelle ignorano perfino l'esistenza.

E allora? Che cosa farebbe un partito che provocasse una tempesta politica in una fase di tensione economica e sociale, assumendone la responsabilità e suscitando come tutti sappiamo un'esplicita ostilità da parte dell'Europa rispetto al ritorno (peraltro impossibile) dei berlusconiani al potere?

Questa via non solo è chiusa ma addirittura sbarrata. Il tema dei dirigenti del Pdl è un altro: avviare la costruzione d'un partito e la ricerca di un nuovo quadro dirigente. Casini si muove già in questa direzione e non è il solo, ma anche dentro al Pdl esistono candidati adatti alla guida di un partito moderato e alla nascita di una destra "europea". E non è affondando il governo Letta che questa strada è percorribile. Senza dire che Napolitano non scioglierà mai le Camere senza una nuova legge elettorale e senza aggiungere che quand'anche il Pdl andasse fuori di testa e affondasse il governo, Napolitano può benissimo nominare un Letta-bis che vada a cercare la fiducia in Parlamento.

Ma siamo seri: niente di questo accadrà.

* * *

È necessario a questo punto che l'attenzione si sposti sul Partito democratico. Qualcuno dice che è il solo partito esistente oggi in Italia. Per certi aspetti è vero e anche noi lo diciamo. Gli altri, partiti e movimenti che siano, hanno un padrone; alcuni poi sono talmente piccoli che il padrone proviene da un inesistente peso quantitativo.

Quindi il Pd. Doveva riformarsi e rinnovarsi. Qualcuno ci sta provando con idee, progetti, intenti estremamente diversi tra loro. Ho già scritto altre volte che le correnti sono molte ma ancor più le fazioni che coltivano le ambizioni dei capi più dei valori politici. Ma anche tralasciando questa distinzione che vige nella politica di tutti i tempi e in tutti i luoghi, i nomi in circolazione si escludono a vicenda: Cuperlo, Fassina, Onofri, Civati, senza dire di Vendola. Renzi forse ha più chance numeriche ma è difficile pensarlo come un segretario che potrà tentare l'avventura della "premiership" solo nella primavera del 2015.

In realtà restano due nomi con caratteristiche molto diverse ma in qualche modo complementari. Uno è Guglielmo Epifani, che non appartiene a correnti né vagheggia un futuro ma può rappresentare un partito che sostenga il governo e prenda nei suoi confronti le iniziative che gli competono per il fatto stesso di avere la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e quella relativa al Senato. Iniziative responsabili e non provocatorie che rafforzino l'azione di Letta e ridiano un ruolo attuale e sociale al Pd.

L'altro è Fabrizio Barca che lavora ad un futuro partito capace di rappresentare consapevolmente la sinistra riformatrice, la sinistra sociale, la sinistra di governo. Un partito che parte dalle ispirazioni del Veltroni del Lingotto ma non sia "liquido"; un partito che ascolti la società, che raccolga consensi non solo nei ceti urbani ma tra i lavoratori che nel partito attuale non sono affatto presenti. E che possa fin d'ora suggerire a Letta iniziative fattibili nei limiti delle possibilità. E giochi fino in fondo quel ruolo europeo che Letta - secondo Barca - sta degnamente rappresentando. A cominciare per esempio da una rete di asili che servirebbe non solo ad alleviare gli oneri delle madri lavoratrici ma susciterebbe un "indotto" di notevoli proporzioni. Un partito che incida sulle strutture della pubblica amministrazione ormai logore se non addirittura inesistenti.
Ecco perché Epifani e Barca - che lo sappiano o no - sono complementari. O almeno io come osservatore e cittadino interessato al buon funzionamento della polis per quel che vale la penso così.

Enrico Letta parlerà oggi al "meeting" di Rimini di Comunione e liberazione. Ascolteremo ciò che dirà e come risponderà alle domande. Immagino che saranno molte e anche cattive come accade in convegni aperti. Qualcosa mi dice che falchi e amazzoni ce ne saranno in abbondanza. Ma Letta è abituato a farsi sentire in Europa dove si è già guadagnato un'autorevolezza non inferiore e forse superiore a quella di Monti nei primi mesi del suo mandato.

Il Pd deve imprimere al governo la sua tonalità che finora è mancata. A cominciare dalla legge elettorale. A nuovi progetti per l'occupazione. Alla programmazione di nuovi strumenti dei fondi europei per investimenti e opere sociali. All'impiego già in corso dei 97 miliardi disponibili dalla Cassa depositi e prestiti. Ai pagamenti già in corso dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese e ai Comuni.
Lo spread continua a scendere. L'occupazione ancora non aumenta e quello è il punto da tener presente. Iniziativa, consapevolezza, responsabilità. Forse i tanti italiani colpiti da indifferenza e rabbia potrebbero tornare in linea. Questo - diciamolo - è l'obiettivo finale: che si sentano al tempo stesso più italiani e più europei.


(18 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/18/news/epifani_e_barca_nuovo_pd-64921742/?ref=HRER2-1
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« Risposta #451 inserito:: Agosto 25, 2013, 05:07:04 pm »

Discussione

Eugenio SCALFARI

'E io invece dico: bravo Letta'

«Non è vero che fa solo annunci: ha già messo in moto parecchie cose e ottenuto diversi risultati». Un articolo 'elogiativo' di Eugenio Scalfari sul nostro settimanale ha aperto il dibattito. Dite la vostra

(20 agosto 2013)


Pubblichiamo qui di seguito l'ultimo articolo di Eugenio Scalfari per 'l'Espresso', intitolato 'Altro che cosucce, Letta governa eccome'. Ai nostri lettori, come sempre, chiediamo di aggiungere la loro opinione in merito.

Tutti coloro che si occupano di politica e ne parlano e ne scrivono nei convegni di partito, sui giornali, dagli schermi delle televisioni, su un punto sono d'accordo: il governo Letta deve smettere di fare annunci e deve finalmente produrre fatti; magari piccoli fatti, cosucce – come dicono quanti (e sono parecchi) giudicano il governo e chi lo presiede come una zattera di fortuna che al massimo può tenere in vita per qualche settimana un paese allo stremo per poi finalmente cedere il posto a vascelli più consistenti e a capitani e timonieri più adatti alla bisogna.

SOTTOLINEO che su questa valutazione minimalista del governo in carica, sulla sua dimensione politica appropriata per "cosucce" e non altro e infine sulla sua prosopopea di vasti annunci di panna montata che si sgonfiano non appena arrivati in tavola, l'accordo è pressoché generale. Lo pensano in massa i "berluscones", lo pensano i montiani e i montezemoliani, lo pensano i grillini ed anche il 90 per cento dei democratici, militanti di un numero impressionante di fazioni o semplici elettori influenzati da dibattiti che hanno tutti la stessa impronta.

Le sole eccezioni a questa "communis opinio" che potrebbe perfino essere promossa a "vox Dei" sono: la Commissione di Bruxelles dell'Unione europea, il presidente della Bce Mario Draghi, il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco, il presidente americano Barack Obama, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il premier spagnolo Mariano Rajoy, il presidente francese François Hollande, il premier inglese David Cameron e - guarda caso - il presidente della nostra Repubblica Giorgio Napolitano. Per quel che vale, mi permetto di aggiungere il sottoscritto. La compagnia è buona, anzi eccellente, ma in patria il segno è inverso e la stima di cui gode Letta presso l'elettorato è ancora abbastanza elevata, il 45 per cento circa, ma il governo nel suo complesso supera di poco il 20. Giornali e televisioni ripetono il ritornello ogni giorno e ogni ora, i sacrifici di un'economia in crisi fanno il resto ed è di scarso conforto il fatto che siano sopportati da almeno tre quarti dell'Europa.

Ma questo modo di sentire e di dire corrisponde a verità? Questo è il punto chiave cui bisogna rispondere partendo da una premessa che molti tendono a dimenticare: il governo esiste da tre mesi, nominato da un Capo dello Stato che aveva già lasciato il suo mandato ed era stato indotto a reiterarlo nonostante una sua conclamata ritrosia. E' sostenuto in parlamento da tre partiti, due dei quali (i maggiori) hanno modi di pensare, comportamenti pubblici e privati, storie politiche e geografie private completamente diverse e anzi di segno opposto. Per di più uno dei due partiti in questione è di proprietà del suo "boss" mentre l'altro è di proprietà dei suoi militanti e dirigenti che purtroppo da parecchio tempo antepongono i propri interessi e le proprie personali visioni politiche a quelle del partito considerato nella sua interezza.

Ricordata questa premessa, peraltro assai importante, e quella del breve tempo fin qui trascorso, andiamo ai fatti. E' stato rinviato (ormai di fatto abolito) l'aumento di un punto dell'Iva che sarebbe dovuto scattare il primo luglio e che avrebbe prodotto un aggravio molto pesante del costo della vita che è già agli estremi della sopportabilità.

CONTEMPORANEAMENTE è stata sospesa la rata di pagamento dell'Imu e le rate successive; il nostro ministro del tesoro Fabrizio Saccomanni sta preparando la sostituzione dell'imposta con una diversa tassazione che colpirà principalmente le fasce sociali con più consistente capacità patrimoniale e reddituale, esentando o ribassando fortemente il prelievo sulla prima casa per i ceti non abbienti.

Se questi primi passi vi sembran pochi aggiungo che già da un mese la pubblica amministrazione ha pagato 16 miliardi alle imprese creditrici e si accinge a un nuovo versamento di 20 miliardi entro l'anno. Si tratta di liquidità preziosa per le imprese in una fase di stretta bancaria assai gravosa per un sistema industriale fortemente dipendente dal credito.

TRA LE "COSUCCE" che il governo sta preparando con la revisione costituzionale prevista (che non altera affatto le procedure dell'articolo 138 se non riducendo l'intervallo tra la doppia approvazione delle Camere) ci sono la riforma del Senato in senso federale, il taglio del numero dei parlamentari e l'abolizione delle province. Il "filibustering" dei grillini ha rinviato al prossimo settembre l'approvazione di questo disegno di legge facendo inutilmente perdere tempo prezioso, con l'avallo di molte e anche illustri firme le quali, nella loro larga maggioranza, hanno dato il proprio nome solo per motivi di intolleranza politica e non per la specifica questione concernente il 138, come si desume chiarissimamente dalle motivazioni pubblicate dalle firme più autorevoli.
Tra le altre "cosucce" c'è la pressione crescente che l'Italia sta esercitando su tutto lo scacchiere europeo per una politica di finanziamento dell'occupazione in genere e di quella giovanile in particolare. Infine l'Unione bancaria e forme di garanzia statale ai depositi fino a una quota di 90-100 mila euro a depositante.

Cento giorni, mentre i partiti si azzuffano all'interno e all'esterno. E' evidente che se il Pdl non accetterà la sentenza che riguarda Berlusconi e risponderà con atteggiamenti e iniziative eversive il governo non durerà. Ma la colpa e la responsabilità andrà data a chi avrà voluto questo risultato precipitando il Paese in un marasma senza alternative. Questa è la realtà e non quella che si racconta giornalmente.


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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-io-invece-dico-bravo-letta/2213319/18
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« Risposta #452 inserito:: Agosto 27, 2013, 11:28:56 pm »


Silvio il rais che porta al disastro il Paese

di EUGENIO SCALFARI


LA RIUNIONE ad Arcore di tutto lo stato maggiore berlusconiano, ministri compresi, è stata lunga e contrastata. Erano in tanti, ministri e non ministri. Non risulta invece la presenza di Gianni Letta, ormai in palese disgrazia agli occhi del capo.

Il giorno prima c'era stato un consiglio di famiglia, orientato alla moderazione per evitare contraccolpi sfavorevoli sulle aziende e sulle partecipazioni azionarie berlusconiane.

La conclusione è stata una fumata nera come il carbone, che avrà come risultato assai probabile la caduta del governo Letta.

Valuteremo tra poco le conseguenze di questo concertone dove tanti strumenti hanno suonato spartiti diversi tra loro e con diverse tonalità, unificati però dalla sudditanza al Capo-padrone al quale non esistono nel partito da lui fondato e da lui posseduto alternative praticabili.

A titolo di premessa facciamo intanto un'osservazione: nonostante i rischi concreti che il governo Letta non riesca a continuare il suo lavoro e crolli tutta l'architettura costruita da Napolitano per far uscire l'Italia dalla recessione, i mercati hanno tenuto, sia le Borse sia i rendimenti e gli "spread"; quando qualche seduta borsistica ha avuto esiti negativi le cause non sono state determinate da questioni italiane ma piuttosto da alcuni squilibri nelle economie dei paesi emergenti: Cina, India, Brasile, Indonesia. O con ulteriori difficoltà della Grecia.

Si direbbe che la situazione italiana sia considerata irrilevante o addirittura solida e capace di superare senza danni per l'Europa una tempesta politica. È così?

No, non è così. La verità è che l'Europa non crede possibile che la classe dirigente italiana sia talmente fragile da cedere agli eventuali colpi di testa d'un personaggio da tempo evitato e dileggiato da tutte le cancellerie europee.

Insomma l'Europa si fida. Ma se quella fiducia si manifestasse infondata, le ripercussioni purtroppo sarebbero inevitabili e molto pesanti. Non scordiamoci che l'ammontare del nostro debito pubblico è uno dei più alti del mondo e che in nostri titoli e quelli delle nostre banche che in larga misura li hanno in portafoglio, sono largamente diffusi nei sistemi bancari e nei fondi di investimento internazionali. E non ci scordiamo che lo stesso Mario Draghi cambierebbe atteggiamento e politica rispetto ad un'Italia senza più timone né timoniere.

***

Nel corso del vertice di villa San Martino i ministri hanno manifestato l'intenzione di non abbandonare il governo ponendo tuttavia due condizioni agli altri membri della maggioranza: l'abolizione totale e immediata dell'Imu e la permanenza di Berlusconi nel suo seggio di senatore. Soffermiamoci per ora su questa seconda condizione che coinvolge la legge Severino già da tempo oggetto di dibattito e di polemiche.

La tesi berlusconiana è l'inapplicabilità retroattiva della predetta legge, ma affinché questa tesi abbia successo occorre che nella Giunta per le elezioni ed eventualmente anche nell'Aula del Senato ci sia la maggioranza dei voti.

Il Pd, per bocca del suo segretario Guglielmo Epifani, ha già preventivamente rifiutato questa richiesta la quale comunque cozza contro la sua evidente irricevibilità. La Giunta e l'Aula non hanno alcun potere di ricorrere alla Consulta e stupisce che un presidente emerito come Capotosti attribuisca a questi organi parlamentari un potere "occasionalmente" giurisdizionale. Capotosti sa benissimo che il potere giurisdizionale ha come requisito fondamentale la terzietà che nel caso specifico mancherebbe del tutto se la maggioranza parlamentare avesse preventivamente concordato il suo voto favorevole. Il giudice "occasionale" avrebbe cioè manifestato il suo giudizio prima ancora di averlo espresso nella sede ufficiale. Capotosti può pensarla come crede ma non può commettere errori così marchiani. Senza dire che comunque è attesa nei prossimi giorni la delibera della Corte d'Appello di Milano sulla durata della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici prevista dalla Cassazione e non coperta neppure dalla eventuale grazia del Capo dello Stato qualora quella grazia fosse concessa dopo esser stata chiesta nelle forme di legge.

La posizione dei ministri del Pdl è dunque priva dei fondamenti necessari. Se vogliono far vivere il governo ci restino, altrimenti si dimettano.
Il resto sono chiacchiere inutili anzi inaccettabili.

***

Un'ultima premessa prima di valutare l'esito del vertice di Arcore: l'atteggiamento della pubblica opinione e in particolare dei dieci milioni che nello scorso febbraio hanno votato ancora per Berlusconi (il cui partito ne ha persi comunque sei milioni che hanno preferito astenersi).

I sondaggi, per quel che valgono, sono controversi. Dopo la sentenza di condanna definitiva secondo alcuni il Pdl sarebbe in leggera ripresa e supererebbe il Pd; secondo altri sarebbe invece in ulteriore caduta. Comunque i messaggi di Berlusconi sono ancora ascoltati da un 15-18 per cento di elettori. Non è molto, ma neanche poco se si considera che dopo sei elezioni (questa sarebbe la settima) il bilancio consuntivo dei risultati promessi è zero.

Qui subentra la diagnosi storica di Giovanni Orsina, autore di un libro di grande interesse intitolato "Il berlusconismo nella storia d'Italia".
È una diagnosi spietata, che del resto abbiamo più volte anticipato su queste pagine: un populismo congenito ad una parte rilevante di cittadini italiani, che per alcuni si tinge di moderatismo conservatore, per altri di "peronismo", per tutti di disprezzo e indifferenza nei confronti della politica, delle istituzioni, dello Stato. L'uomo della Provvidenza rappresenta una sorta di ciambella di salvataggio. "Ci pensi lui, purché lasci a noi la libertà di arrangiarci come meglio ci pare, salvo darci una mano nei momenti di bisogno". Ma se la mano non gliela dà, allora la colpa non è sua ma di chi glielo ha impedito: le istituzioni, lo Stato, la politica, le toghe rosse, i comunisti.

La diagnosi di Orsina è impietosa. Gli esempi punteggiano la storia di questo Paese e ne spiegano la fragilità democratica. L'opposizione purtroppo ci ha messo del suo. Si spera che, almeno in questo passaggio così difficile, ritrovi compattezza e quel senso di servizio che dovrebbe essere l'essenza d'una forza politica consapevole della sua funzione.

***

Abbiamo già visto che l'inapplicabilità della legge Severino voluta dai sudditi di Berlusconi non ha i presupposti giuridici prima ancora che politici. La richiesta tassativa di Alfano dell'abolizione dell'Imu manca dei presupposti economici.

Il progetto Letta-Saccomanni era un rinvio, già abbastanza oneroso, di quell'imposta ed una sua "rimodulazione" che favorisse i ceti più deboli dei proprietari di prima casa. Questo fu l'impegno assunto con queste precise parole dal presidente del Consiglio nel discorso sulla fiducia accordatagli dal Parlamento.

La richiesta di Alfano sovrappone all'impegno del governo un impegno preso dal Pdl con i suoi elettori lo scorso febbraio. Qual è l'ostacolo? La totale mancanza di copertura. Il rinvio e la rimodulazione costerebbero 4 miliardi e già trovarli sarebbe stato un problema, ma l'abolizione totale ne costerebbe più del doppio con effetti proiettati negli anni successivi, rendendo pertanto impossibile mantenere il deficit entro il 3 per cento e il pareggio del bilancio entro l'esercizio in corso.

Aggiungiamo che i veri beneficiari dell'abolizione dell'Imu sono i possessori di case di elevata consistenza patrimoniale. Se l'Imu fosse interamente abolita bisognerebbe infatti lasciare a terra tutti gli impegni per rilanciare l'occupazione, finanziare la Cassa integrazione in deroga, sostenere il precariato, la cultura, la scuola, i Comuni.

L'abolizione dell'Imu non mette cioè in pericolo soltanto gli impegni assunti con l'Europa, ma ha un contenuto socialmente regressivo che va respinto con assoluta decisione.

In queste condizioni il governo Letta è praticamente in crisi. Ma Letta non deve esser lui a dimettersi, debbono essere i ministri del Pdl ad andarsene. È facile prevedere che il Presidente della Repubblica rinvii Letta in Parlamento e, se sarà sfiduciato, ci sarà probabilmente un Letta-bis con un obiettivo teorico ed un altro politico; quello teorico è che si apra una "faglia" all'interno del Pdl e arrivino di lì i voti necessari ad avere in Senato una nuova anche se esile maggioranza.

L'obiettivo pratico è quello di un governo che riformi la legge elettorale sulla base dei rilievi già enunciati dalla Consulta: premio al 40 per cento e libertà di preferenza agli elettori.

A questo punto nasce il problema Grillo. Lui vuole andare al voto con la legge esistente sperando di vincere per poi rifare lui il Porcellum abolendo la libertà di mandato in modo da continuare a tener per la briglia i suoi parlamentari. Ma questa volta, se il Pd sarà compatto nella difesa dell'interesse generale e dello stato di diritto, è non solo auspicabile ma probabile che molti degli astenuti e degli elettori di sinistra emigrati nel febbraio scorso verso Grillo rientrino in linea nel Pd.

Questa è la posta in gioco. Il Paese è in gioco e la destra populista al comando del sire di Arcore se ne sta assumendo per la settima volta la responsabilità.

(25 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/25/news/silvio_il_rais_che_porta_al_disastro_il_paese-65245675/?ref=HREA-1
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« Risposta #453 inserito:: Settembre 03, 2013, 09:51:53 am »


Un nuovo partito per la destra italiana

di EUGENIO SCALFARI


Due notizie meritano una breve anteprima. La prima è la volatilità di Berlusconi che l'altro ieri ha dato per certa la caduta del governo Letta se gli sarà tolto lo scranno di senatore, ma ieri ha detto esattamente il contrario affermando l'incrollabile fiducia nel suddetto governo indipendentemente dalle sue vicende giudiziarie. La seconda notizia è la nomina di quattro senatori a vita da parte di Napolitano alle persone di Abbado, Piano, Rubbia ed Elena Cattaneo.

La volatilità mentale è a volte un dono di natura, altre volte è una sciagura. Quando può influire sui destini di un Paese può arrecare gravi danni e questo è il caso. Resta da capire se nel caso specifico si tratti d'un elemento caratteriale o d'un sopravvenuto disturbo mentale. L'unico rimedio è di non dargli alcuna importanza.

La scelta dei quattro senatori è in perfetta linea con i requisiti previsti dalla Costituzione. Le reazioni del centrodestra, dei giornali berlusconiani e della Lega sono state di motivare quella scelta con ragioni politiche volte a rafforzare al Senato il centrosinistra. La stessa reazione ha manifestato Travaglio. La comunanza non è casuale: si tratta di fango che imbratta le mani di chi lo maneggia.

Fine dell'anteprima.

In un mondo sempre più interdipendente gli elementi negativi e quelli positivi si intrecciano senza posa e il termometro che ne misura l'andamento ne registra ogni giorno l'intensità e le aspettative che ne derivano.

Nella settimana appena trascorsa l'alternarsi degli eventi e gli effetti che hanno prodotto hanno toccato il culmine della confusione tra timori e speranze, ottimismo e pessimismo. Pensate all'Egitto, ai venti di guerra in Siria che potrebbero incendiare tutto il Medio Oriente, ai sintomi di crisi nell'economia dei Paesi emergenti, ma anche alle buone notizie sulla ripresa dell'economia americana e ai segnali  -  timidi ma visibili  -  d'un miglioramento dell'economia europea.

I mercati, sempre molto sensibili a queste diverse sollecitazioni, hanno registrato fedelmente quanto accadeva. Alla fine il bilancio della settimana è moderatamente positivo anche se il circuito mediatico tende a mettere in evidenza le cattive notizie che producono più sensazione delle buone.

Per quanto riguarda l'Italia i temi che hanno tenuto banco sono stati: la sorte politica e giudiziaria di Berlusconi, le conseguenze sul suo partito e sul governo, la questione dell'Imu, dell'Iva, dei rapporti con l'Europa, le attese prevalenti dell'opinione pubblica. Senza dimenticare l'imminenza delle elezioni politiche tedesche che avranno influenza su tutto il continente e anche fuori di esso.

Dalla settimana che ora comincia le agenzie di sondaggio riprenderanno il loro lavoro ma fin d'ora sappiamo che l'opinione più diffusa, al di là delle diverse posizioni politiche, è in favore della stabilità. L'ipotesi di imminenti elezioni politiche o di crisi di governo prive di alternative credibili, creano timore e rifiuto. Questo sentimento è comune al 70-80 per cento dei cittadini e rappresenta quindi una condizione che determina l'intera nostra situazione politica ed economica.

La cosiddetta abolizione dell'Imu è un effetto di quella condizione determinante. La stabilità ne è uscita rafforzata ed è destinata a reggere nonostante le bizze, le rivalità e la faziosità del piccolo mondo politico che stenta a recuperare consapevolezza e dignità di comportamenti.

* * *
Berlusconi si sente perso e fa di tutto per non abbandonare il proscenio dove da vent'anni e più recita la parte del protagonista. Voleva e vuole dominare il governo, logorarlo, ricattandolo e ingraziandosi il favore del pubblico con proposte che possono riscuotere favore popolare. L'abolizione dell'Imu era una di queste. In realtà a lui e ai suoi fedeli importa assai poco dell'Imu. Del resto fu lui a introdurre l'Ici, poi ad abolirla, poi a ripresentarla sotto altra forma. Ma oggi lo slogan di abolirla definitivamente gli avrebbe fatto gioco, era il modo per puntellare la sua presenza sul proscenio nonostante la sentenza di condanna definitiva. "Se io resto l'Imu sarà cancellata": questo è stato lo spot dell'ultimo mese. Adesso questo spot è caduto e resta in piedi la sola questione che veramente interessa il protagonista: non uscire di scena. Si direbbe che, risolta la questione Imu, il re è nudo. Inutile dire che quel nudo offende al tempo stesso la morale e l'estetica, non dei moralisti e giustizialisti ma dei milioni di persone perbene che hanno assistito con indignazione e disgusto alla corruzione dilagante, al prevalere degli interessi privati, al degrado della società e della dignità del Paese.

Il re è nudo e un regime è finito. Questo tema diventerà in un prossimo futuro dominante per tutti i moderati italiani che dovranno trovare nuove forme di rappresentanza, lontane dal populismo e dall'uomo della Provvidenza. È un tema che non interessa soltanto i moderati ma anche la sinistra democratica e riformatrice. Va dunque discusso con consapevole responsabilità.

Il tema dell'Imu merita tuttavia ancora qualche parola per chiarirne la portata che a mio avviso non è stata spiegata secondo realtà.

Nel suo discorso di investitura di qualche mese fa in Parlamento Enrico Letta aveva detto che l'Imu sarebbe stata "rimodulata". In che modo? Sostituendola con un'altra imposta comunale sugli immobili, come esiste in tutti i Paesi europei.

Ci volevano alcuni mesi di tempo per effettuare questa rimodulazione; nel frattempo il pagamento delle rate dell'Imu sarebbe stato sospeso. Così è ora avvenuto. L'Imu 2012 (già pagata) non è stata rimborsata come aveva promesso Berlusconi, ma la prima rata 2013 è stata cancellata con decreto e una copertura certa e approvata dalla Ragioneria dello Stato. L'abolizione del saldo è un impegno politico che prenderà forma di decreto a metà ottobre insieme alla legge finanziaria e al disegno della nuova "service tax" che sostituirà l'Imu rimodulandola.

Questo è avvenuto e avverrà e non si vede in che cosa tradisca gli impegni presi da Letta quando ottenne la fiducia. Le poche risorse disponibili potevano essere utilizzate per altri e più importanti scopi sociali? Credo di sì, ma il governo sarebbe stato battuto con lo spot sull'Imu e il re non sarebbe stato denudato di fronte alle sue private responsabilità. Senza governo è evidente che nessun'altra decisione poteva esser presa. Si sarebbe aperta quella crisi politica che il grosso dei cittadini non gradisce ed anzi rifiuta.

Infine: per quanto riguarda il saldo dell'Imu, la copertura nelle sue grandi linee c'è già, ma il decreto non c'è ancora ed è una delle necessarie astuzie della politica. Soltanto a metà ottobre Berlusconi sarà definitivamente decaduto dagli incarichi pubblici; se il suo partito e lui stesso perdessero la testa e i ministri si dimettessero dal governo, la rata dell'Imu dovrebbe essere pagata dai contribuenti, la rimodulazione non avverrebbe e l'intera responsabilità cadrebbe sulle spalle del Pdl.

Questa è la realtà di quanto è avvenuto. Restano ovviamente aperte le questioni delle risorse, dell'Iva, della crescita e dell'occupazione; questioni in parte di pertinenza europea ed in parte italiana. Le possibilità non mancano. Saranno indicate a fine ottobre con la legge finanziaria. Complessivamente occorrono circa 15 miliardi, fermo restando l'impegno a contenere il deficit entro il 3 per cento. Abbiamo più volte affrontato questa risolvibile questione. Tra due mesi dagli annunci si passerà ai fatti. Se così non fosse, allora sì, il governo verrebbe meno ai suoi scopi e non meriterebbe più la fiducia.

* * *

Nel frattempo  -  lo ripeto  -  i moderati debbono costruire una forma di rappresentanza politica che abbandoni totalmente il populismo e si configuri come una destra democratica ed europea rendendo possibile l'alternanza con una sinistra democratica e riformista. È interesse di tutti che questa trasformazione avvenga e non mancano nel Pdl persone che stanno già lavorando a quel progetto: Quagliariello, Lupi, Cicchitto e molti altri. Vanno incoraggiati, ma il loro compito è molto difficile; la sua riuscita presuppone infatti che in Italia esista una borghesia moderata che dia lo sfondo sociale ad una simile operazione.

Purtroppo in Italia una borghesia moderata non c'è, anzi  -  per essere ancora più chiari  -  in Italia non esiste una borghesia se con questa parola s'intende una classe generale che abbia al tempo stesso un ruolo economico, sociale, politico. E purtroppo non esiste più una classe operaia che sia anch'essa una classe generale con ruoli economici, sociali e politici.

Classe generale significa un ceto sociale che coltivi al tempo stesso i suoi propri interessi nel quadro dell'interesse di tutti. I partiti rappresentano (dovrebbero rappresentare) l'articolazione politica di queste classi che si contrappongono e si alternano nel governo del Paese, divise nelle rispettive visioni del bene comune ma accomunate dal rispetto della democrazia, dello Stato di diritto e dello spirito liberale che tutto consente a tutti nel rispetto dell'eguaglianza di fronte alle legge, delle pari opportunità e del principio di difendere la libertà altrui come la propria.

Sono principi elementari, affermati da molti a parole ma praticati da pochissimi nei fatti e questo è il vero male italiano. Ne ho molte volte esposto le cause originarie e non starò qui a ripetermi. Ma un fatto è certo: l'ultimo in ordine di tempo (con molti predecessori) a danneggiare gravemente questi principi e questi valori è stato Silvio Berlusconi. Il compito dei suoi successori è arduo ma necessario e se anche il risultato fosse parziale sarebbe pur sempre un avvio. Il tempo è venuto, hanno pochi mesi a disposizione. Perciò si muovano subito altrimenti si troveranno di fronte soltanto alle rovine prodotte dall'implosione del regime che hanno consentito a Berlusconi di costruire con la loro complicità.

(01 settembre 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #454 inserito:: Settembre 08, 2013, 04:22:00 pm »


Il legno storto che vorremmo raddrizzare

di EUGENIO SCALFARI


IL LEGNO con il quale siamo costruiti è storto, lo disse Kant e lo riprese Isaiah Berlin titolandoci un suo libro. Il legno è storto ma guai a tentare di raddrizzarlo perché è impossibile, bisognerebbe cambiare la natura stessa della nostra specie che sta a metà strada tra l'animale che vive di soli istinti e l'uomo animato da istinti ma anche da pensieri.

Di qui, da questa duplice natura di scimmia pensante nascono le nostre contraddizioni, le storture del nostro legno, ineliminabili perché connaturate, nostra disperazione e insieme nostra ricchezza. Le storture connaturate sono ineliminabili, ma spesso impongono una scelta e quindi una sfida perché ogni scelta comporta una sfida e noi, cittadini di questo mondo gremito di contraddizioni, viviamo a tal punto incalzati dalla necessità di scegliere che sempre più spesso precipitiamo nell'indifferenza, vedendo soltanto il nostro interesse immediato e particolare. Farò qui l'elenco di alcune di queste contraddizioni che ci riguardano da lontano, da vicino e da vicinissimo. Julia Kristeva, intervistata ieri da Franco Marcoaldi, ha ricordato che la radice dalla quale sono germinate negli ultimi due secoli sta nell'Illuminismo e nel suo confronto con la cultura dell'assoluto, il potere assoluto, la verità assoluta, cui l'Illuminismo oppone il soggetto individuale, la verità soggettiva e quindi relativa.

Di qui nascono le contraddizioni moderne, la prima delle quali, che ha dominato l'attualità dei giorni scorsi e di quelli che verranno, sta nel dramma siriano e nei due contrastanti modi di risolverlo.

Ovvero la punizione di Assad per le stragi delle quali è imputato e il pacifismo invocato e promosso da papa Francesco che ha toccato il culmine con la giornata di preghiera e digiuno in cui il capo della cristianità cattolica ha coinvolto le religioni di tutto il mondo e i laici non credenti che non condividono "la guerra che chiama la guerra".

Papa Francesco non ignora ed anzi censura con la massima severità le stragi di civili e di bambini innocenti, attribuite al regime siriano, addirittura con bombe al gas nervino vietato da convenzioni internazionali, ma esclude, il Papa, che la forza delle armi sia lo strumento idoneo; spera che la pressione del pacifismo da lui promosso induca le parti a cercare un compromesso e che il regime siriano dal canto suo cessi ogni repressione e convochi le parti in contrasto a discutere e a provare il passaggio dalla dittatura tribale ad un regime di libertà e di pacifica convivenza controllato da osservatori internazionali.

Se questa iniziativa avesse successo, le sue ripercussioni potrebbero servire di esempio per altri Paesi del Medio Oriente a cominciare dall'Iran, dall'Egitto, dall'ormai secolare conflitto tra Israele e Palestina, dal Kurdistan, dal Libano.

La visione del Papa è altissima e non utopica, potrebbe funzionare qui e ora, ma deve misurarsi con interessi di potere difficilmente permeabili.

Obama, che sogna anche lui la pacificazione del Medio Oriente e la convivenza pacifica dell'Occidente con l'Islam, ritiene però che per demolire le posizioni di potere tribale e fondamentalistico in Siria sia necessaria una prova di forza. La visione pacifista non è utopica ma è o può essere velleitaria. Perché il pacifismo abbia successo ci vorrebbe una mobilitazione tenace e duratura di tutte le piazze siriane, un rifiuto delle truppe di Assad a sparare sui cittadini dissidenti, un disarmo controllato bilaterale e totale, che lascerebbe però campo libero ai terroristi di Al Qaeda.

Insomma l'iniziativa "francescana" non basta, può contribuire ma va rafforzata da una punizione esemplare.
 Quanto all'Onu, essa non autorizza l'operazione di forza perché il veto russo e cinese blocca il Consiglio di sicurezza. Questa è un'altra intollerabile stortura: i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza non rappresentano più il mondo di oggi e si sono collocati al di sopra di ogni principio democratico. In un organo mondiale dove l'Europa, l'India, il Brasile, l'Africa non sono rappresentati e il diritto di veto supera ogni maggioranza alternativa, la stortura è evidente.

Come si vede, queste diverse posizioni sono molto difficilmente conciliabili. "Tra un giorno, una settimana, un mese" vedremo col fiato in gola che cosa accadrà. Se debbo esprimere un'opinione personale dico: non sono affatto indifferente, mi sento coinvolto nel dilemma, temo una guerra che chiama la guerra, ma credo anche che l'incolumità e i diritti dei cittadini siriani vadano difesi. Conclusione: non so scegliere tra Francesco e Obama.

***

Il tema siriano è al tempo stesso lontano e vicino, ma ce n'è un altro che è vicinissimo, è in casa nostra anche se le sue ripercussioni possono estendersi a tutta l'Europa.

Si chiama Berlusconi, la sua condanna, il suo partito, il governo Letta, il Partito democratico, il Movimento 5Stelle, la magistratura, il capo dello Stato. Insomma l'Italia e le sorti della democrazia italiana la cui fragilità sta attraversando una delle fasi più inquietanti della sua tormentata storia.

Se Berlusconi seguisse il consiglio che alcuni dei suoi collaboratori e familiari gli hanno dato e gli danno, dovrebbe dimettersi da senatore.

Guadagnerebbe un merito, agirebbe per il bene di un Paese che lui ha amato soltanto perché un vasto settore di opinione pubblica lo ha appoggiato e ancora l'appoggia da quasi vent'anni.

Le dimissioni da senatore e l'accettazione della condanna, l'abbandono della vita politica sarebbero il primo e solo merito, tutti gli altri vantati da lui e dai suoi fedeli sono assolute bugie. Questo però sarebbe un merito notevole e denso di conseguenze positive: renderebbe necessaria la costruzione di una destra moderata e liberale rafforzando la democrazia; assicurerebbe il percorso del governo per il tempo necessario per l'adempimento del compito ricevuto a suo tempo dal capo dello Stato che l'ha nominato e dal Parlamento che l'ha fiduciato.

Penso, ma ovviamente esprimo anche in questo caso un'opinione personale, che se a quel punto e nelle forme dovute chiedesse un provvedimento di clemenza, forse l'otterrebbe. Temo però che le cose non andranno in questo modo. Temo che i suoi legulei tentino di sollevare un processo di revisione della sentenza della Cassazione interpellando la Corte d'appello di Brescia.

Per guadagnare tempo, giorni o settimane o mesi qualora il ricorso fosse accettato.

C'è poi la tentazione della sinistra movimentista e para-grillina di buttar giù il governo e andare alle elezioni.

Perfino, come vorrebbe Grillo, col "Porcellum".

Tentazione molto pericolosa, che troverebbe però, come da lui più volte dichiarato, l'opposizione di Napolitano che non scioglierà mai le Camere se il "Porcellum" non sarà abolito e non prima comunque che sia approvata la legge finanziaria. Cioè non prima del febbraio-marzo 2014.

Se questo fosse l'esito, la "tentazione movimentista" avrebbe come risultato quello di riprecipitare l'Italia nel girone dei dannati, dei sorvegliati speciali, dei peccatori congeniti. Ho apprezzato i nobili intenti espressi dall'amico Vittorio Sermonti nella lettera aperta dai noi pubblicata, ma vedo anche lì una mancanza di realismo estremamente pericolosa. Se Berlusconi riuscisse a non andare in galera, dobbiamo rispondere nei prossimi giorni buttando giù il governo Letta. Questa è la tesi di Sermonti, che mi consentirà però di ricordare le vicende di Abelardo ed Eloisa che immagino lui conosca benissimo.

Questo discorso, inutile dirlo, vale anche per il Partito democratico nelle sue varie componenti, correnti, fazioni.

Il Congresso va certamente fatto, ma la questione preliminare è se l'appoggio al governo Letta si limiti a "qualche cosuccia" cui deve provvedere nel giro di pochi mesi, oppure alla durata almeno fino al semestre europeo con presidenza italiana, cioè il tempo minimo per la realizzazione degli obiettivi che gli sono stati affidati.

Se il Congresso non risolverà preliminarmente questo problema, sarà certo importante per ricostruire l'identità d'un partito ancora molto ammaccato e scegliere un leader che la impersoni nel quadro d'una nuova ed efficiente struttura organizzativa, ma affiderà al prescelto una cambiale in bianco su un tema che condiziona la posizione internazionale, sociale ed economica del Paese. Non mi sembra il momento delle cambiali in bianco quando si percorre un sentiero accidentato che attraversa precipizi nei quali si può cadere. Ci pensino bene le componenti, le correnti, le fazioni del Pd e chi le rappresenta. La scelta che sono chiamati a fare li rende corresponsabili di cambiali in bianco rilasciate senza aver chiarito la questione preliminare ed essenziale.

***

C'è un'ultima contraddizione, attuale ma storica perché vecchia di secoli: come mai gran parte degli italiani è politicamente indifferente e perché un quarto almeno dei non indifferenti vota da vent'anni per Berlusconi? La risposta l'abbiamo data già molte volte ma è bene ripeterla in un Paese di corta memoria: indifferenti o berlusconiani o grillini, odiano lo Stato, le istituzioni, la politica. Per secoli hanno visto la loro terra governata da Stati stranieri e tirannici, Signorie, altrettanto tiranniche, una borghesia inesistente, una cultura ristretta a ceti privilegiati, un'economia di rapina.

Di qui il ritrarsi nel proprio interesse particolare, il disprezzo dell'interesse pubblico, la fragilità d'ogni tentativo di modernizzazione affidato ad élite presto trasformatisi in caste.

Questa è stata la storia del Paese e di questa paghiamo il prezzo, sperando in una svolta che ci consenta di uscirne.

Talvolta queste svolte ci sono state, ma sono durate poco e il vecchio andazzo è ricominciato. Speriamo che il buon momento stia arrivando anche se i presagi sono ancora tempesta.


(08 settembre 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #455 inserito:: Settembre 13, 2013, 04:29:39 pm »

Opinione

Una scintilla per la nostra anima

di Eugenio Scalfari

È la quarta forza di questa travagliata fase d'epoca, quella della modernità, insieme a tecnologia, economia e scienza.

Un ente, un io, un soggetto che deve conoscere se stesso e ritrovare la luce che gli appartiene. Un compito difficile

(30 agosto 2013)

Viviamo la fase finale di un'epoca - quella della modernità - dominata dalla potenza di quattro forze: la tecnologia, l'economia, la scienza, l'anima.
La natura delle prime tre è evidente, sono le forze che in un brevissimo arco di tempo hanno compiuto un'accelerazione miracolosa cambiando gli assetti del mondo intero. Se paragoniamo questo XXI secolo appena cominciato con l'assetto sociale di tutto il pianeta agli inizi del XX, ci rendiamo conto che un mutamento così profondo nell'arco di tempo di cent'anni non si era mai verificato prima. E' aumentata l'interdipendenza tra le sue varie parti, l'intelligenza artificiale ha compiuto il miracolo di nascere e di assumere un ruolo di traino incomparabile quando i nostri nonni illuminavano le loro case con la luce a petrolio o le candele e viaggiavano a piedi o a cavallo o in carrozza.

Tecnologia, economia, scienza stanno divorando il tempo e lo spazio, il mondo è diventato più piccolo, si ragiona e si opera in tempo reale, il futuro ci piomba addosso con la forza della velocità d'una cascata immensa che ci sottrae la possibilità di programmarlo individualmente. La tecnologia può immaginare il futuribile, la mente senza l'ausilio e il dominio della tecnologia può soltanto sognare il futuro, con scarsissime probabilità che quel sogno si realizzi. Questo è il vero motivo della scomparsa delle ideologie, diventate a causa di questa spinta irresistibile oggetti d'antiquariato.

Ho detto che la quarta forza che domina la fase d'epoca che stiamo vivendo è l'anima, ma il suo dominio è del tutto diverso da quello esercitato dalle altre tre. L'anima è il centro dove si incrociano le sofferenze di quanto sta accadendo, della vertigine che ci circonda, del futuro che ci attraversa, dei sogni che non si realizzano. E' il crogiolo delle contraddizioni che non possono risolversi e sono infatti uno dei segni distintivi della contemporaneità.
L'anima è il pensiero creativo che ha messo in moto questa fase d'epoca. L'ha immaginata, l'ha voluta, l'ha cantata con la musica e la poesia, l'ha spiegata con la filosofia, sempre sperando che fosse portatrice di felicità. Invece ne ha perso il controllo rimanendone schiacciata.

Questa fase d'epoca è dunque il dramma dell'anima che ne è la protagonista. L'anima di ciascuno di noi, la nostra essenza che chiamiamo io e che si esprime con la parola, è tutt'altro che morta e tutt'altro che arresa. Combatte. Vorrebbe riappropriarsi di quanto è uscito dal suo pensiero. Il suo modo di combattere è quello di conoscere. Se stessa in particolare. E poi la potenza intrinseca delle forze che l'hanno espropriata. Vuole rimettere in trono la parola.
Ricordate come comincia il Vangelo di Giovanni? «In principio era il Verbo e il verbo era presso Dio ed era Dio il Verbo.
Le cose tutte furono fatte per mezzo di Lui e senza di Lui nulla fu fatto di quanto esiste».

Il Verbo, la parola. E' questa l'essenza dell'anima? L'evangelista Giovanni fa coincidere la parola con Dio, ma ci sono stati molti studiosi ed anche molti mistici cristiani e arabi che sostengono esattamente il contrario: Dio non si può esprimere, chiamare, invocare con la parola. E Dio, quanto a lui, non parla. Dio emette luce e una scintilla di quella luce è in ciascuno di noi. Dio - in questa visione che è al tempo stesso mistica e laica - è l'Essere. Se parlasse con noi sarebbe un Ente e non l'Essere.
L'anima è un ente, un soggetto, un io, che può riassumere il suo ruolo in questa agitata fase d'epoca conoscendo se stessa e ritrovando così quella scintilla di luce che le appartiene.
Non è certo un compito da poco, ma di questo si tratta.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/una-scintilla-per-la-nostra-anima/2214002/18
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« Risposta #456 inserito:: Settembre 15, 2013, 05:12:17 pm »


La verità, vi prego, sui confini dell'amore

di EUGENIO SCALFARI


TRA i tanti articoli che sono stati scritti sulla lettera a me diretta da papa Francesco ce n'è uno di Vito Mancuso pubblicato venerdì scorso sul

nostro giornale ("Il Papa, i non credenti e la risposta di Agostino"). Lo cito perché pone un problema che merita d'esser approfondito: chi sono i

non credenti, quelli che nel linguaggio corrente sono definiti atei?

Mancuso non è un ateo, anzi è un fine teologo credente, ma la sua è una fede molto particolare e la descrive così:

"Credo alla luce che è in me laddove splende nella mia anima ciò che non è costretto dallo spazio e risuona ciò che non è incalzato dal tempo.

Quella luce ci permette di superare noi stessi e liberarci dall'oscurità dell'ego, da quella bestia che certamente fa parte della condizione umana

ma non è né l'origine da cui veniamo né il fine verso cui andremo. La fede in Dio lega l'origine dell'uomo alla luce del Bene orientando l'uomo

verso la solidarietà e la giustizia".

Insomma Mancuso crede nel Pensiero che porta verso il Bene. Quel Pensiero è Dio e ci ispira solidarietà e giustizia.

Trovo suggestivo questo suo modo di pensare e di sentire. La fede infatti è un sentimento che proviene dall'interno dell'uomo, dal suo "sé" ed

erompe verso la mente dove hanno sede il pensiero e la ragione. Sono molte le persone che, rifiutando le Sacre Scritture, la dottrina della Chiesa e

la sua liturgia, credono "in qualche cosa" che in parte sta dentro di noi e in parte ne sta fuori. Per metà sono credenti, per un'altra metà non lo

sono.

La secolarizzazione della società moderna viaggia in gran parte su questa lunghezza d’onda. A me è capitato più volte di domandare ad amici ai quali

mi legano simpatia, frequentazione, comunità di progetti e di lavoro: tu credi? Molto spesso la risposta è affermativa, ma se ancora domando: in che

cosa? La risposta è appunto “in qualche cosa”. È un’ipotesi consolatoria, un aldilà incognito che comunque promette un proseguimento della vita

“fuori dallo spazio e dal tempo” come scrive Mancuso, oppure è un abbozzo di pensiero che non viene approfondito perché i bisogni e gli interessi

quotidiani, la concretezza dei fatti e degli incontri, incalzano e ingabbiano dentro lo spazio-tempo che non può essere facilmente accantonato?

La bestia pensante è esattamente questo: istinti animali che la mente riflessiva fa lievitare. L’essere sta, diceva Parmenide; l’essere diviene

diceva Eraclito; l’essere è formato dagli elementi della natura, diceva Empedocle. Qualche tempo dopo arrivò Platone e la sua pianura della verità,

i suoi archetipi, modelli trascendenti, punti di riferimento della bestia pensante.

Se bestia pensante non piace possiamo nobilitarla chiamandola “homo sapiens”, oppure darle un nome mitologico che la nobiliti ancora di più. Io lo

chiamo Eros, non il paggetto alato che accompagna Venere-Afrodite e lancia le frecce per infiammare i cuori, ma una forza originaria del cosmo,

signore di tutte le brame e di tutti i desideri. La nostra, prima ancora di essere una specie pensante, è una specie desiderante. Si obietterà che

tutte le specie viventi desiderano ed è vero, ma i desideri dell’animale sono coatti e ripetitivi, quelli della nostra specie sono invece evolutivi

e da un desiderio appagato ne nasce immediatamente un altro. Perciò noi siamo una specie desiderante perché desideriamo desiderare ed Eros è la

forza della vita e ne misura l’intensità.

***

C’è una poesia di Auden che ad un certo punto invoca: «La verità, vi prego, sull’amore»; ma delle varie specie d’amore parlano anche, e molto, La

Rochefoucauld, Pascal, Leopardi, Baudelaire, ciascuno a suo modo.

C’è primo tra i primi, l’amore per se stesso; La Rochefoucauld lo chiamò amor proprio, la mitologia lo chiamò Narciso, il giovane che rimirandosi

nelle acque d’un lago si innamorò di se stesso. L’amore per se stesso è il fondamento della nostra vita perché noi viviamo con noi stessi 24 ore su

24. Se ci odiassimo saremmo vittime di un disturbo mentale che potrebbe arrivare al “tedium vitae” e persino al suicidio. Ma se il narcisismo

oltrepassa la soglia fisiologica al punto di escludere ogni altra specie d’amore, allora diventa egolatria, auto-idolatria. È una patologia alquanto

diffusa e molto pericolosa per la società.

Poi c’è l’amore per l’altro, la coppia di innamorati, anche questo con molte sottospecie, il rispecchiamento reciproco, l’attrazione sessuale per

l’altro sesso oppure per lo stesso, l’amore platonico, l’amicizia amorosa, l’affinità elettiva.

Infine l’altra e grandiosa forma d’amore, quella per gli altri, visti come “prossimo”, cioè l’amore per la specie, la fratellanza dei sentimenti, la

famiglia. Ricordate il detto evangelico “Ama il prossimo tuo come te stesso”?

Dunque Gesù non escludeva l’amore per sé, e come avrebbe potuto escluderlo visto che era un uomo, fosse o non fosse il figlio di Dio? Il miracolo

che si proponeva di compiere era di parificare l’amore per il prossimo a quello verso se stesso, ma poi, quando pensò (o rivelò) d’essere figlio di

Dio, allora l’asticella del miracolo diventò molto più alta: non voleva soltanto elevare l’amore verso di sé e quello per il prossimo allo stesso

livello di intensità, ma pensò che dovesse abolire interamente l’amore proprio e concentrare sul prossimo tutto il sentimento amoroso di cui

ciascuno dispone.

Gli è riuscito questo miracolo? Direi di no, anzi dopo due millenni dalla sua venuta l’amor proprio è diventato più intenso e quello verso gli altri

è fortemente diminuito.

Se il mio dialogo con papa Francesco continuerà, come spero ardentemente che avvenga, questo credo che potrebbe essere il tema: far crescere l’amore

per gli altri almeno allo stesso livello dell’amor proprio. Gesù di Nazareth fu martirizzato e crocifisso per aver voluto testimoniare la scomparsa

dell’amore verso di sé. Volle cioè andare oltre la natura della bestia pensante che il Creatore aveva creato.

Il miracolo fallì, ma l’incitamento rimase e fu raccolto dai suoi discepoli, dai suoi apostoli, dai suoi fedeli ed anche dagli uomini di buona

volontà. Siano essi credenti nell’Abba, nel Dio mosaico, in Allah, o in “qualcosa” o atei ma consapevoli.

Per questo continuo a pensare che il vero culmine del Cristianesimo non sia la resurrezione di Cristo, ma la crocifissione di Gesù, non la conferma

dell’esistenza d’un aldilà ma l’esempio e l’incitamento all’amore del prossimo, alla giustizia e alla libertà responsabile nell’aldiquà.

***

Questo che segue è un post scriptum sulla politica, anche se aumenta la mia personale noia per la sua attuale ripetitività. Perciò sarò molto breve.

Berlusconi sembra aver perso — come si dice — la trebisonda; eppure il percorso che ha davanti a sé è molto chiaro: dovrebbe dimettersi da senatore

e, se desidera ottenere provvedimenti di clemenza dal Capo dello Stato, li chieda nelle forme previste dalla legge. A quel punto Napolitano valuterà

e deciderà come ritiene più opportuno. Non esistono altre vie e salvacondotti perché nella nostra Costituzione non esiste il “motu proprio” e

nessuno può inventarselo.

La legge Severino la si può valutare come si vuole, ma la sua applicazione dipende dal confronto delle diverse opinioni. I senatori del Pdl

voteranno compatti per il ricorso alla Consulta, il Pd e quelli che la pensano allo stesso suo modo voteranno contro. Poi si andrà in aula e il voto

sarà ripetuto, segreto o pubblico, si vedrà. Tutto questo è normale e proceduralmente corretto ma quale che sia il risultato arriverà circa negli

stessi giorni il pronunciamento della Corte d’Appello di Milano sulla durata della pena accessoria di interdizione dai pubblici uffici che completa

la sentenza definitiva della Cassazione. Quindi Berlusconi sarà comunque interdetto e i provvedimenti di pena accessoria non rientrano nell’

eventuale atto di clemenza che gli venisse concesso.

Parliamo ora del governo Letta. I ministri, a qualunque partito appartengano, quando sono nominati dal Capo dello Stato acquistano una figura

diversa da quella di uomini di partito poiché le istituzioni sono titolari dell’interesse generale mentre i partiti hanno ciascuno una propria

visione del bene comune.

Infine l’economia. Il timore d’una caduta del governo ha già fortemente danneggiato il nostro Paese. Il valore dei titoli del debito pubblico è

diminuito scendendo al di sotto di quello spagnolo. La recessione continua mentre il resto d’Europa sembra uscirne sia pure lentamente. Un

provvedimento importante sarebbe l’abbattimento del cuneo fiscale. Penso che Letta dovrebbe deciderlo subito. Non ha risorse sufficienti? Emetta

titoli pubblici e ne destini il ricavato a questo obiettivo. Sappiamo che il ministro Saccomanni sta studiando questo problema ed esaminando tutte

le possibili alternative, ma non c’è più tempo da perdere e la stessa Bce ci chiede di non guardare troppo meticolosamente il fabbisogno se lo si

destina alla crescita reale.

Così pure bisogna muoversi sulla riforma della legge elettorale e per l’abolizione del finanziamento dei partiti già prevista nel disegno di legge

all’esame del Parlamento. Se il Parlamento indugia ancora il governo ponga un limite di tempo ed emetta decreti sui quali porre la fiducia.

Questi sono i miei pensieri insieme a quello che ripeto ancora una volta: auspico per il bene del Paese e dell’Europa che Letta continui a

presiedere il governo fino al compimento del semestre europeo con presidenza italiana, cioè fino all’inizio del 2015. Se questo avverrà con il

dinamismo necessario, saremo anche noi fuori dal tunnel.

Quanto al Pd, sia compatto su questo obiettivo e nel frattempo ricostruisca la sua ammaccata identità di partito riformista della sinistra

democratica italiana ed europea.

Buona sera e buona fortuna.

(15 settembre 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #457 inserito:: Settembre 22, 2013, 11:01:48 pm »


Napolitano, Letta, Draghi: lo scudo Italia-Europa

di EUGENIO SCALFARI


PER cominciare prendo le mosse da due citazioni tratte dal “Diario” di Friedrich Hebbel: «La caparbietà è il più economico surrogato del carattere » e «la massa non fa progressi ».

Una gran parte dell’odierna situazione italiana è racchiusa in questi aforismi. La caparbietà di Berlusconi nel privilegiare se stesso, i propri interessi e la loro prevalenza rispetto ad ogni altro obiettivo fa premio su ogni altro aspetto del suo carattere, anzi è il suo carattere.
Quanto alle masse, esse mantengono la loro natura attraverso lo scorrere del tempo; nel caso specifico continuano ad essere affascinate e sedotte dalla demagogia, dalle promesse sempre riaffermate e mai mantenute, delle quali è intessuta la storia d’Italia nei decenni e addirittura nei secoli che stanno alle nostre spalle. Gli individui possono cambiare ed evolvere, le masse no; i loro comportamenti sono ripetitivi e i voti incassati dal Pdl e da Grillo ne sono la prova. Ancora una volta la demagogia seduce identificando in un singolo uomo la sorte di un intero Paese, mentre lo spirito critico che dovrebbe essere il lievito della democrazia si rintana nell’indifferenza e nel prevalere degli interessi particolari su quello generale.

Questi malanni non sono un’affezione soltanto italiana, se ne trovano tracce nel mondo intero, ma qui da noi hanno un’intensità e un’ampiezza molto più marcata che altrove, definiscono il carattere di un popolo e la fragilità delle sue istituzioni.

Queste comunque, per fragili e deformate che siano, sono i mattoni dei quali il cantiere Italia dispone. Chiunque voglia cimentarsi a costruire soluzioni appropriate alle difficoltà dei tempi che stiamo attraversando deve possedere la capacità di padroneggiare quel tipo di materiale di cui il cantiere dispone.
Il governo Letta, come il governo Monti, non sono stati una scelta ma il prodotto necessario d’una situazione priva di alternative. Adesso ancora una volta siamo di fronte ad una crisi che rimette in discussione e nega l’esistenza di quello stato di necessità; una crisi tutta nostra, innestata su una crisi più generale che sconvolge da sette anni l’Occidente del mondo. Riusciranno i nostri eroi? con quel che segue.
***
Il pregiudicato Silvio Berlusconi non si acconcia alla condanna che lo ha colpito e alle altre che si profilano all’orizzonte. Risponde attaccando e lo fa con la sua consueta abilità. Si presenta ancora una volta come il perseguitato, l’agnello sacrificale contro il quale si accaniscono le forze del male; promette benessere e libertà con gli stessi contenuti che da vent’anni ripete: meno tasse, più investimenti, più consumi, più lavoro, più mercato e meno Stato. Ha sempre perseguito questi obiettivi ma le forze del male gli hanno sempre impedito di realizzarli.

Le forze del male hanno nomi ben precisi: magistrati e comunisti. Sempre loro, da vent’anni.

Il governo Letta è diventato la proiezione politica di quelle forze. Lui e il partito di cui è il proprietario l’accettarono anzi lo vollero perché ne riconoscevano la necessità e soprattutto lo concepivano come un elemento di pacificazione a loro favore. Ma ora è emerso, con la condanna a lui inflitta dalla magistratura sua nemica, che quel governo necessario è diventato impossibile. A meno che non faccia atto di sottomissione ai suoi voleri, collabori alla sua difesa e al suo riscatto e soprattutto capovolga la sua politica e adotti quella da lui perseguita. Quella politica ci porterebbe fuori dall’euro? Pazienza. Fuori dall’Europa? Ancora pazienza. Forse sarebbe addirittura un vantaggio, potremmo tornare padroni della nostra moneta, padroni di stamparla, di svalutarne il cambio per incentivare le esportazioni, riguadagnando così una maggiore competitività. E dopo tre o quattro anni di questa cura, rientrare in Europa e nella moneta europea a bandiere spiegate.

Questo è l’obiettivo di fondo, ma non è detto che non si possa realizzare “senza spargimento di sangue”. Perciò, per ora, il governo Letta resti pure in vita ma ad una condizione: adotti quella politica. I cinque ministri del Pdl restino pure ai loro posti ma impongano al riluttante presidente del Consiglio il programma prescritto dal loro padrone. Se non lo faranno saranno sconfessati come traditori; se tenteranno di fare quanto possono ma senza risultati, allora il governo cadrà e si andrà a votare.

E se, per impedire ancora una volta un programma così popolare, le famose forze del male passeranno al contrattacco, il popolo si risvegli e si sollevi. Un titolo sul Foglio di ieri indica con obiettiva chiarezza questa situazione: “Come far convivere un Cav. condannato e un premier spendaccione”. Questo è l’evidente e l’esplicito programma di Forza Italia nelle prossime settimane. Il periodo di prova durerà al massimo fino a dicembre, poi la guerra esploderà nella sua imponenza.
***
Il Pd è sempre più alle prese con i suoi problemi interni: l’assemblea che doveva deliberare alcune modifiche di statuto e mettere il timbro sull’accordo tra le varie correnti già raggiunto, è saltata perché all’ultimo momento è mancato il numero legale. Ne è nata
una “cagnara” poco decorosa che Epifani ha tentato di superare ma con scarsi risultati. Queste continue schermaglie tolgono a quel partito la possibilità di risollevarsi e ristrutturarsi. Da elettore democratico Renzi non mi sembra molto adatto alla carica di segretario, ma se questa è l’opinione della maggioranza mi pare più che giusto che essa abbia modo di manifestarsi.

A parte queste osservazioni il Pd per quanto riguarda lo scenario nazionale, reagisce nel solo modo possibile: denuncia la manovra berlusconiana e il pericolo che essa rappresenta per il Paese ma, dal canto suo, si preoccupa anch’esso di tracciare un programma gradito agli elettori se e quando si dovesse andare al voto: non meno tasse ma distribuite in modo diverso, più progressivo sui redditi e sui patrimoni più alti, una redistribuzione del reddito che faccia diminuire le diseguaglianze e rilanci lavoro e produttività.

Questo è anche il programma di Letta ma la differenza è nei tempi di realizzazione. Letta procede con lentezza secondo il Pd. Deve accelerare il passo, rispettare gli impegni europei ma passare al trotto se non al galoppo, e se il Pdl lo impedisse, allora meglio andare alle urne.

La maggioranza dei simpatizzanti Pd è su queste posizioni e Renzi le cavalca con abilità. Vuole vincere il Congresso per attuarle e riesce ad avere l’appoggio non soltanto della parte più moderata del suo partito, ma anche di quella riformista e perfino della sinistra. È di questi giorno l’appoggio del sindaco di Milano, Pisapia, che fu candidato di Vendola.

Renzi è un torrente in piena. Ciriaco De Mita in una recente intervista al Corriere della Sera ha dato di Renzi una perfetta definizione: i torrenti nel nostro Paese hanno una forza che tutto travolge nelle stagioni in cui sono in piena; poi, quando arriva l’estate, vanno in secca. Renzi è in piena se si voterà nei prossimi mesi, ma se dovesse aspettare un paio di anni andrà in secca e la sua forza sarà molto diminuita. Diverso – ha detto De Mita – è l’andamento dei fiumi: procedono più lentamente con una velocità più o meno costante ma ampliando il loro letto sempre di più fino a quando sboccano al mare.

Fin qui De Mita. Ritengo molto appropriata la sua immagine, dove Renzi è il torrente e Letta il fiume. Capisco chi oggi sostiene il primo, purché non impedisca a Letta di fare il suo percorso nell’interesse del Paese. Ove questo accadesse lo fermino o saranno corresponsabili delle conseguenze.
***
Oggi si vota in Germania e Bernardo Valli da Berlino ci ragguaglia su queste pagine delle previsioni e poi dei risultati di quelle elezioni. Appare fin d’ora chiaro che la Merkel vincerà ma che i suoi alleati liberali non entreranno in Parlamento, sicché sembra inevitabile una coalizione con i socialdemocratici e i Verdi. Ma è probabile anche che entrino nel Bundestag l’Adf il partito anti-europeo.

Ne deriveranno conseguenze preoccupanti perché esso farà di tutto per ottenere dalla Corte costituzionale tedesca sentenze che impongano al governo la revisione dei trattati che vincolano la Germania all’Europa. Non credo che la Merkel ceda a quella pressione, ma questo è comunque un fatto di capitale importanza per l’evoluzione dell’Europa verso uno Stato federale senza il quale sarà difficile una politica di crescita economica e di solidarietà sociale nel Continente.

Perciò le elezioni di oggi sono estremamente rilevanti anche per noi. Letta lo sa bene e lo sa altrettanto bene Napolitano e anche Mario Draghi, presidente della Bce. Sono i nostri tre punti di forza, che hanno l’Europa come obiettivo preminente per l’avvenire di tutti.
Se questa realtà è chiara, occorre operare, ciascuno nell’ambito delle sue competenze, affinché si realizzi.

(22 settembre 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/22/news/napolitano_letta_draghi_lo_scudo_italia-europa_di_eugenio_scalfari-67005465/?ref=HRER1-1
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« Risposta #458 inserito:: Settembre 28, 2013, 04:32:47 pm »

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Opinione

Quelle élite che hanno aiutato B.

di Eugenio Scalfari


Il ventennio del Cavaliere è stato favorito anche da gruppi intellettuali che hanno scelto il favoreggiamento del senso comune. Non è una novità, in Italia: basti pensare a Longanesi e Prezzolini

(20 settembre 2013)

Di solito non leggo i libri che hanno come oggetto il personaggio Silvio Berlusconi e il berlusconismo.
Non li leggo per un peccato di superbia del quale sono consapevole: presumo cioè di sapere già abbastanza sul tema in questione, ho conosciuto il personaggio e l'ho frequentato quando eravamo concorrenti e poi durante la lunga lite sul controllo della Mondadori. Da quando nel '94 entrò in politica i nostri rapporti personali sono cessati, ma ne sapevo già molto e quel che è accaduto nei successivi vent'anni me l'ha confermato.
Il libro da poco uscito di Giovanni Orsina, dal titolo "Il berlusconismo nella storia d'Italia" l'ho invece letto. L'autore è ancora giovane, insegna alla Luiss, scrive sul "Foglio" e qualche suo articolo mi ha incuriosito.

La tesi di Orsina prende le mosse da due citazioni molto ben scelte: una di Vincenzo Cuoco tratta dalla sua classica opera sulla rivoluzione giacobina della Napoli del 1799 e l'altra di Carlo Levi tratta dal suo libro "Cristo si è fermato ad Eboli". Cuoco sosteneva che «la smania di voler tutto riformare porta seco la controrivoluzione» e che il popolo (in tutto il mondo) segue gli usurpatori perché essi si impadroniscono della "volontà generale" ma lasciano agli individui ampia libertà di risolvere a loro modo i loro interessi particolari. Levi partiva invece da un altro punto di vista che non si oppone alla tesi di Cuoco ma la completa aggiungendovi l'elemento della diseguaglianza che divide profondamente i ceti sociali tra ricchi e poveri, colti e analfabeti, inclusi ed esclusi dal progresso sociale e dai suoi benefici: «Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo; nessun messaggio umano o divino si è mai rivolto a questa povertà refrattaria».

Orsina parte da queste due visioni di Cuoco e di Levi, risale (nientemeno) alla "Repubblica" di Platone guidata dai filosofi e definisce il berlusconismo come l'esito sociale e politico di questi fattori combinati insieme. Esiste una terapia per curare un male così esteso e così ricorrente? Secondo Orsina in teoria esiste ma in pratica non ha funzionato. Lui la chiama terapia ortopedica che, attraverso opportune protesi sociali dovrebbe combattere le diseguaglianze segnalate da Levi e modernizzare le società arretrate instaurando finalmente una piena democrazia di eguaglianza e libertà. Il compito non può che essere affidato a una "élite" di modernizzatori, ma ci vuole tempo per ottenere qualche risultato, sicché l'élite finisce per trasformarsi in una vera e propria "casta" che penserà solo a mantenere il suo potere anziché proseguire nei suoi sforzi di modernizzazione. La democrazia ci sarà, ma solo per l'élite; tutti gli altri ne sono fuori e quindi contro.

La tesi non scopre nulla che non sia già stato detto e scritto, salvo una visione volutamente pessimistica che tradisce, magari inconsapevolmente l'intenzione di giustificare il berlusconismo e di mettere sul suo stesso livello l'élite modernizzatrice trasformatisi in casta. La conseguenza è che il cosiddetto populismo risulta essere il prodotto inevitabile di una situazione immobile e di una storia sostanzialmente ripetitiva. E' così?

In parte è così, in parte no. Anzitutto perché spesso i ceti esclusi, deboli, poveri, incolti, prendono coscienza delle cause della loro condizione e generano gli anticorpi che rendono possibile un'evoluzione positiva; in parte perché non sempre le élite modernizzatrici si trasformano in altrettante caste. La democrazia funziona nell'ambito delle élite, il contrasto tra le diverse concezioni del bene comune evita talvolta la formazione di caste, con i benefici che ciò comporta. Ovviamente sono processi lunghi che dipendono dalle sorprese che la storia ci riserva. Dipendono dalla differenza tra il senso comune e il buonsenso, dalla collocazione internazionale del paese di cui si discute, dalla geopolitica che determina i punti di partenza. Il berlusconismo è stato un elemento negativo che ha trovato élite modernizzatrici assai deboli che non hanno saputo contrastarlo con efficacia e gruppi intellettuali che non sono riusciti né a tonificare le élite né a evitare una sorta di favoreggiamento del senso comune contro il buonsenso. Questo favoreggiamento viene da molto lontano ma nella fase a noi più prossima ha come precursori Longanesi, Prezzolini e i loro numerosi successori.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/quelle-elite-che-hanno-aiutato-b/2214919/18
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« Risposta #459 inserito:: Ottobre 06, 2013, 07:32:33 pm »

Al Capone è all'angolo ma ancora può colpire

di EUGENIO SCALFARI


Il Caimano del regista Nanni Moretti aveva già previsto tutto con qualche anno d'anticipo sui politici e così pure la "ballata" di Roberto Benigni; l'ho ricordati nel mio articolo di domenica scorsa e li ricordo qui ancora una volta.
 
Ma l'attore Moretti che nell'ultima parte del film impersona il Caimano ha poco a che fare con Silvio Berlusconi: è un uomo lucido, severo, terribile e soprattutto coerente. Afferma davanti al Tribunale che lo condannerà, che l'uomo (lui) eletto dal popolo a grande maggioranza non può esser giudicato dalla magistratura e rafforza questa sua posizione anche dopo la condanna esortando il popolo alla rivolta senza mai costruire una qualsiasi alternativa e senza affidarsi al consiglio d'un amico o d'un consulente o d'un esperto.

Non ha dubbi, non ha incertezze, non ha ripensamenti, non ragiona con le viscere ma col cervello.

Il Berlusconi vero non è affatto così, anzi è l'opposto di così e lo si vede chiaramente con quella sorta di film dal vero che si è svolto mercoledì scorso sotto i nostri occhi.

Alle dieci del mattino esce da Palazzo Grazioli di fronte al compatto muro di telecamere e fotografi che lo aspettano al varco e va a Montecitorio dove è riunito il grosso dei dirigenti del partito e dei gruppi parlamentari. Li arringa, ribadisce la necessità di votare contro il governo Letta, non apre contraddittori e se ne va.

Palazzo Grazioli però è una porta aperta e i suoi consiglieri lo seguono e salgono fino al suo appartamento. Falchi e colombe fanno ressa, litigano tra loro, alcuni vengono chiamati nello studio dove sta il Capo, con l'ansia e l'angoscia che gli rodono il fegato e gli pesano sulle palpebre. Alfano, Lorenzin, Gelmini, Cicchitto, Sacconi, sostengono la fiducia al governo; Bondi, Santanché, Verdini, Brunetta, Carfagna, il contrario. Lui ascolta, si tormenta le dita, si passa le mani sul volto, si dimena sulla poltrona. Poi quasi li caccia coadiuvato dalla fidanzata. Soffre ed è evidente a tutti. Fa pena o almeno questo è il racconto che alcuni di loro fanno a chi li attende fuori. Un nuovo confronto è indetto a Montecitorio per il primo pomeriggio.

Intorno alle ore 14 la votazione sulla fiducia sta per cominciare. Letta ha già parlato ed è stato chiaro e deciso, ha esposto le linee del programma economico e di riforma della Costituzione, ha manifestato l'intenzione che il governo duri fino alla fine del 2014, appena terminata la presidenza semestrale del Consiglio europeo. Ma ha anche aggiunto che non vi saranno mai più leggi "ad personam" o "contra personam" riaffermando che le azioni di giustizia, quali che siano, riguardano fatti privati e non debbono avere alcuna conseguenza sul governo che deve soltanto occuparsi degli interessi generali del paese.

Intanto la discussione ferve sempre più accesa nella sala dove il gruppo dirigente del Pdl è riunito attorno al suo "boss". Ma il boss sempre più aggrondato, cupo, tormentato, sudato, che ha perso il piglio dell'Al Capone dei tempi d'oro che gli è stato abituale per trent'anni, ed ora sembra un Re Travicello, sbattuto tra le onde e gli alterchi che s'incrociano intorno a lui. E loro, quelli che disputano sul da fare, sul voto che tra poco ci sarà, sulle conseguenze che ne deriveranno, non si curano più di lui.

Gridano, qualcuno prende a spintoni qualcun altro, alcuni sospirano, altri addirittura piangono. Lui spesso chiude gli occhi che ormai sono diventati due fessure a causa dell'ennesimo lifting mal riuscito e della rabbiosa emozione che lo tormenta.

Ogni tanto un commesso bussa alla porta e avvisa che la "chiama" sta per cominciare. A quel punto lui si scuote, si alza e con voce decisa annuncia che si voterà la sfiducia.

Chi non se la sente resti fuori dall'aula o non voti, che al Senato equivale al voto contrario.

Quasi tutti sciamano, escono nella galleria dei "passi perduti", gremita di giornalisti, infine entrano in aula.

Bondi annuncia pubblicamente con piglio tracotante che il Pdl voterà "no" e così, nell'aula della Camera, fa Brunetta. Non ci sono sorprese in nessun settore delle due assemblee e sui banchi del governo.

Ma Alfano e Lupi sono rimasti dentro e Gasparri con loro.

Per l'ennesima volta gli espongono le ragioni che militano a favore del voto di fiducia. Lui continua a negarle e rifiutarle anche se il sudore riappare sulla sua fronte e le mani sono strette e quasi aggrovigliate l'una nell'altra. A un certo punto  -  la "chiama" è già cominciata  -  arriva affannato il vice di Schifani, presidente del gruppo parlamentare in Senato, e gli consegna un foglio di carta dove sono incollate le foto scattate da un fotografo in aula alle spalle di Quagliariello con sopra scritti i nomi dei senatori pidiellini pronti a varcare il Rubicone e a schierarsi a favore del governo Letta. Sono 23 ma si sa già che stanno per arrivare altre due adesioni ed altre ancora arriveranno. In quelle condizioni, scrive Schifani nel suo biglietto, lui non si sente di fare una dichiarazione di voto a nome di un gruppo ormai spaccato e chiede a Berlusconi di farla lui.

Risultato: il boss si avvia con passo alquanto incerto verso l'aula, va al suo seggio, gli viene data la parola e dice a bassa voce quello che abbiamo sentito in tivù e che tutti i giornali di giovedì hanno pubblicato: il Pdl voterà la fiducia ma insulta per l'ennesima volta la magistratura e il Pd. Luigi Zanda, immediatamente dopo di lui, rinvia all'ancora Cavaliere gli insulti ricevuti con parole dure e annuncia la fiducia a nome del partito da lui rappresentato.

Lo spettacolo, perché di questo si tratta, continua con le telecamere che dal loggione riservato alla stampa inquadrano ininterrottamente Berlusconi che si copre gli occhi con le mani e Letta che dopo quella dichiarazione rivolgendosi ad Alfano seduto accanto a lui gli dice "grande" alludendo ironicamente all'ex boss del centrodestra che ormai ha sancito la propria irrilevanza tentando però di coprire la spaccatura del suo partito.

* * *

Così più o meno sono andate le cose nella giornata-culmine della storia degli ultimi vent'anni. La fine di Berlusconi è anche quella del berlusconismo? Il rafforzamento del governo e la sua stabilità? La crescente forza attrattiva del Pd che sembrava perduta da un pezzo? Così sembrerebbe e così è sembrato quel pomeriggio di venerdì. Ma poi sono sorti alcuni dubbi non infondati che Letta e i suoi più stretti collaboratori stanno valutando e che in questi due giorni drammatici seguiti alla strage degli immigrati a Lampedusa, sono avvenuti sotto traccia anche se qualche indicazione è stata cautamente manifestata.

Se Berlusconi avesse la natura del Caimano recitato da Nanni Moretti, a questo punto non avrebbe avuto dubbi: avrebbe dato ad Alfano la guida del Pdl, si sarebbe dimesso da senatore e si occuperebbe soltanto delle questioni proprie e delle sue aziende. Il Caimano di Moretti fece l'opposto: chiamò il popolo alla rivolta, ma con coerenza, senza mai aver oscillato come il pendolo d'un orologio. Se avesse indicato la strada della conciliazione, l'avrebbe seguita con altrettanta coerenza.

Ma qui, nel Berlusconi vero, sono le viscere a parlare. E' bugiardo, segue gli umori, non ha alcuna visione del bene comune, odia lo Stato e le istituzioni, è un fantastico venditore di frottole, posseduto da un narcisismo finto spinto all'egolatria.

Perciò farà di tutto per vendere ad Alfano e ai suoi moderati un moderatismo di carta d'argento con dentro cioccolatini avvelenati. Tenterà di logorare il governo facendo leva sui ministri che l'hanno ancora nel cuore (Beatrice Lorenzin l'ha detto e ripetuto a "Porta a Porta" di Vespa). Non sarà più senatore ma sarà ancora e sempre presidente della coalizione, perfino se dovesse andare in galera. Impedirà - fingendosi definitivamente persuaso ad appoggiare il governo - che si formi un gruppo parlamentare fuori dal Pdl.

Metterà in disparte pitoni e pitonesse.

Accetterà che i giornali di famiglia siano diretti da persone gradite ad Alfano. Ma coverà la rabbia e la vendetta aspettando che possano manifestarsi con effetti efficaci. E fidando sulla sopravvivenza del berlusconismo in una parte comunque ragguardevole del corpo elettorale.

A queste evenienze occorre che tutti quelli che hanno una visione del bene comune, moderata o progressista che sia, guardino con la massima attenzione.

Il modo migliore sarebbe di far nascere nuovi gruppi parlamentari e un nuovo partito di centrodestra o di centro. E che insieme al Pd governi questa fase di necessità e approvi la legge elettorale proposta da Violante, fondata su criteri proporzionali con ballottaggio tra i primi due partiti o coalizioni che abbiano riscosso più voti.
Quest'ultimo risultato è essenziale, anche in assenza di gruppi elettorali che dividano in due il Pdl.

Il primo appuntamento sarà tra una ventina di giorni: il voto al Senato sulla decadenza di Berlusconi da senatore.

È un voto pieno di insidie. I pidielle voteranno in massa per Berlusconi, forse con qualche defezione ma poche. Il Pd in massa per la proposta approvata dalla Giunta. I grillini altrettanto. Quindi una maggioranza schiacciante sulla decadenza. Ma andrà veramente così? Pesa ancora il ricordo dei 101 voti contro Prodi di cui ancora si ignora la provenienza; in questo caso possono venire da grillini che li attribuiscano a dissidenti del Pd o da dissidenti del Pd che li attribuiscano ai grillini; o da tutti e due che fanno lo stesso gioco. Dunque molta attenzione.

Il serpente è tramortito ma ci mette poco a riaversi e mordere ancora.

Da – repubblica.it
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« Risposta #460 inserito:: Ottobre 14, 2013, 04:32:58 pm »

Scalfari e Cacciari, dialogo sulla democrazia "Non è solo una questione di voto"

Il filosofo e il fondatore di Repubblica hanno discusso dell'Europa e della qualita della sua democrazia.

L'ex sindaco di Venezia: "Dove il potere politico è debole cresce la forza della burocrazia".

Il giornalista: "Il Comune è il punto dove si realizza la partecipazione"


di GLORIA BAGNARIOL


MESTRE - "Europa e euro: dentro o fuori?" Questo il tema scelto per la quinta edizione di Repubblica delle Idee. che fra l'inaugurazione alla Fenice di Venezia e le giornate mestrine ha visto una grande partecipazione di pubblico in teatro ed anche sui social network, su Twitter l'hashtag #rep2013ve è statto fra i trend topic del week end. La risposta che si è venuta a creare attraverso gli incontri e le tavole rotonde dei primi due giorni che hanno ospitato imprenditori e politici locali, nazionali e europei è stata chiara: dentro. Anche le condizioni sono state condivise: è necessario un salto da un'unione meramente monetaria a una politica. Ma cosa significa? La risposta è stata affidata all'incontro conclusivo della manifestazione: il dialogo tra Eugenio Scalfari e Massimo Cacciari, nel quale si è indagata la qualità democratica di cui questa Europa ha bisogno. Per concludere che "la democrazia non è solo questione di voto".

"Pericle  -  spiega Eugenio Scalfari  -  è ancora raccontato nei libri di storia come il simbolo massimo della democrazia greca, madre di tutte le democrazie. C'era partecipazione nel popolo di Atene? Sicuramente no, e questo può bastare a dire che non c'era democrazia?". Bisogna quindi mettersi d'accordo sul senso del termine e, come chiarisce Massimo Cacciari: "Articolare il tipo di democrazia del quale abbiamo bisogno per poterne salvare l'idea". Partire dalla convinzione che la democrazia non si esaurisce nel voto, ma ha bisogno della partecipazione.

La storia degli Stati nazionali ha portato a una declinazione del concetto di democrazia che non può applicarsi tout court al Vecchio Continente che ha avuto un percorso evolutivo differente. Secondo Cacciari, con il quale Scalfari concorda, "L'Europa è policentrica per sua natura e non può essere ridotta a uno. Tutti coloro che ci hanno provato hanno fallito, ha fallito anche Napoleone". Il presupposto necessario è quindi realizzare il passaggio da confederazione a federazione: "Sganciarsi dall'idea di uno Stato centrale per poter ragionare seriamente e serenamente in termini federalistici".

Una federazione che abbia competenze determinate per poter risolvere le sfide di una società globale alle quali gli Stati-nazione non possono trovare da soli le risposte e che garantisca a livello locale il rapporto con il cittadino, necessario a garantire quella sovranità che ora sente di aver perduto. "Il Comune - sottolinea Scalfari - il municipio nelle metropoli, è il punto in cui si realizza al meglio la partecipazione, mano mano che si sale si può avere solo una democrazia indiretta".

Non bisogna quindi chiedersi se vogliamo l'Europa, ma quale Europa vogliamo e come poterla costruire, come la sua articolazione possa difendere quei valori che riconosciamo come fondanti. Repubblica delle idee ha scelto Venezia per parlarne proprio perché "questa terra - come ha detto il direttore Ezio Mauro - quando parla di Europa parla di se stessa". La quinta edizione termina quindi tra gli applausi del pubblico del Teatro Toniolo e con l'invito di Ezio Mauro a partecipare alle prossime tappe: "Abbiamo scelto questa notte dove andremo nel 2014, ma devo ancora avvertire il sindaco, quindi non posso dirlo".

(13 ottobre 2013) © Riproduzione riservata

da  - http://www.repubblica.it/la-repubblica-delle-idee/venezia-mestre2013/2013/10/13/news/scalfari_cacciari-68499370/
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« Risposta #461 inserito:: Novembre 01, 2013, 06:00:49 pm »

Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Qui si fa l’Europa o si muore

Eco ha ragione: l’identità europea si è deteriorata. Per ricrearla bisogna partire dalle istituzioni, non dal sentimento popolare
      
Nella “Bustina di Minerva” della scorsa settimana Umberto Eco mette sotto la sua lente d’ingrandimento il tema dell’identità europea, diventato di stringente attualità, e osserva che quell’identità si è assai deteriorata. Si potrebbe anzi dire, ed Eco infatti lo dice, che sia addirittura scomparsa sotto le ondate del razzismo e di un ritornante nazionalismo tanto più nefasto quanto più al di fuori e contro una positiva evoluzione che avrebbe dovuto portarci verso la nascita degli Stati Uniti d’Europa.

Eco ricorda che fin dagli albori dell’anno Mille gli studenti e i docenti si trasferivano da un’Università all’altra comunicando tra loro attraverso il latino che era rimasta la lingua franca comune a tutti quelli che appartenevano alla classe colta. Per tutti i successivi mille anni le classi colte e gli artisti continuarono a scambiarsi opinioni, opere, scoperte, trasferendosi anche fisicamente da un paese all’altro, trovando committenti dovunque e cordiale ospitalità. Per qualche secolo la lingua franca continuò a essere il latino, ma poi le si aggiunsero e infine la soppiantarono altri linguaggi, in parte derivanti dal celtico, in parte dallo stesso latino e dall’anglosassone. A un certo punto l’ostacolo linguistico fu superato dallo spagnolo, dal sassone, dal francese fino a quando - a partire dal Seicento - la lingua comune delle classi dirigenti divenne il francese, poi affiancato e infine soppiantato dall’inglese.

ECO RICORDA con nostalgia il “germanesimo” che si coglie in alcuni personaggi proustiani, anche mentre infuriavano guerre sanguinose tra i due paesi. Potrei aggiungere che perfino in tempi nazisti c’erano in Germania ufficiali e gerarchi del partito che adoravano l’arte italiana, la musica francese, i romanzi russi e lo sperimentalismo inglese. E perfino le grandi opere di autori di origine ebraica; ma poi, terminata la lettura o il concerto in questione, riprendevano freddamente a trucidare ebrei nei campi di sterminio e a lanciare bombe sulla popolazione civile di Londra e di Parigi. L’identità europea era dunque strettamente limitata alla classe colta e molto spesso dissociata nei comportamenti di quelle stesse persone. Comunque non fu mai un’identità politica: le nazioni europee, le loro classi dirigenti e i popoli si sono massacrati per 2 mila anni di seguito passando da una guerra all’altra con brevi pause che non furono mai una vera pace ma soltanto transitori armistizi. Bisogna arrivare al 1945 per trovare finalmente una pace che sembra ormai consolidata da un comune sentire di popoli e di classi dirigenti che hanno deposto le armi; una situazione del tutto nuova che dura ormai da quasi settant’anni e speriamo duri per sempre. Ma gli Stati Uniti d’Europa no, non sono ancora nati, c’è una confederazione guidata dai governi nazionali di 28 paesi, 17 dei quali hanno una moneta comune e cresceranno ancora di numero.

MA È ESATTO DIRE che l’identità europea è ancora lontana, i popoli non la sentono e anzi regrediscono verso il razzismo, il nazionalismo, l’anarchismo, i localismi, proprio nel momento in cui la società globale si afferma nell’economia in tutto il mondo e crescono Stati che rappresentano interi continenti: la Cina, l’India, il Brasile, l’Africa meridionale, l’Indonesia e - ovviamente - il Nord America. La cultura europea, anzi occidentale, è sempre più integrata, ma l’identità politica resta del tutto inesistente e quella economica procede con passi ancora molto stentati. Esiste una qualche soluzione a questo scottante problema? Per quanto mi riguarda ci ho pensato a lungo e sono arrivato alla conclusione che la costruzione di un’identità politica europea non si può raggiungere partendo dal sentimento popolare. Per questa strada non arriveremo mai a realizzare l’obiettivo che ci proponiamo, anzi andremo (stiamo andando) indietro.

DOBBIAMO PARTIRE DALL’ALTO. Dobbiamo operare sulle classi dirigenti affinché costruiscano vere e proprie istituzioni europee, con successive ma rapide cessioni di sovranità da parte delle istituzioni nazionali. Oggi la sola istituzione europea dotata di poteri autonomi è la Banca centrale (Bce) sebbene i suoi poteri siano ancora limitati e il suo direttorio sia ancora nominato sulla base di accordi tra i governi nazionali. Così non va, ci vogliono istituzioni schiettamente europee, forze politiche europee, un Capo della federazione eletto da tutti i cittadini europei e così un Parlamento con i poteri che attualmente hanno i Parlamenti nazionali.

Questa è la rivoluzione che deve accadere entro i prossimi dieci anni, ma è inutile illudersi che possa avvenire senza che si profili un’egemonia e una leadership politica. Democratica certamente, nel senso che l’egemonia e la leadership debbono risultare dal peso effettivo del paese che lo merita e deve essere contendibile in qualunque momento. Oggi il paese egemone c’è ed è la Germania. È egemone di fatto e vuole esserlo, ma non vuole assumersi la leadership, preferisce personaggi di modesta levatura e senza alcun potere effettivo; vuole insomma gestire l’Europa ma per interposte persone. Questa è l’egemonia peggiore perché non è contendibile e mantiene l’Europa a livello di confederazione.

Abramo Lincoln per superare una situazione analoga scatenò una guerra che fu poi battezzata col nome di guerra di secessione e costò all’America 600 mila morti, più del numero di americani morti nelle due guerre mondiali sommati insieme. In Europa non corriamo più questo pericolo perché “abbiamo già dato” massacrandoci tra noi per 2 mila anni dopo la “pax romana”. Ma dobbiamo insediare una leadership effettiva e continentale, oppure saremo irrilevanti in un mondo globale dove i continenti si confrontano tra loro.
31 ottobre 2013 © Riproduzione riservata

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2013/10/23/news/qui-si-fa-l-europa-o-si-muore-1.138714
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« Risposta #462 inserito:: Novembre 17, 2013, 06:17:22 pm »


Due giorni intensi che non potrò dimenticare

di EUGENIO SCALFARI
17 novembre 2013
La scissione del Pdl e la nascita di quella che noi chiamiamo la destra repubblicana rappresenta una novità di grandissimo rilievo nel panorama della politica non soltanto italiana ma anche europea.
 
Il governo Letta ne esce rafforzato perché scompare la presenza di Berlusconi e del berlusconismo dalla maggioranza. La prima conseguenza riguarda l'essenza stessa del governo Letta-Alfano. Finora infatti si trattava d'una situazione di necessità anche se, con l'ipocrisia che a volte è politicamente indispensabile, molti si ostinavano a chiamarlo di "grandi intese". Ma dopo la scissione Letta- Alfano consente anche quelle intese per realizzare le riforme e gli interventi che la crisi europea richiede.
 
I partiti che ora compongono la nuova maggioranza senza Berlusconi debbono tener conto di questa novità e comportarsi di conseguenza. Soprattutto il Pd che ora è la maggiore forza politica non solo alla Camera ma anche al Senato.

Non mi diffonderò più a lungo su questo tema del quale da tempo il nostro giornale auspicava la realizzazione. In un futuro ancora lontano anche in Italia una destra moderata e liberale disputerà il potere con una sinistra liberal-socialista; ma nel frattempo entrambe sono impegnate insieme per riformare lo Stato e l'assetto europeo all'insegna del lavoro e dello sviluppo economico.

* * *

Ora però il tema di questo articolo sarà un altro.

Accadono a volte per puro caso delle giornate particolarmente intense, punteggiate da incontri che ti emozionano e ti suscitano una scia di ricordi e di pensieri che dal passato si riflettono sul presente e disegnano un ancora incerto futuro.

A me è accaduto tra giovedì e venerdì, a Roma prima e poi a Milano.

A Roma giovedì mattina ero, insieme a molte altre persone, al Quirinale dove si è svolto l'incontro ufficiale, ma in parte anche riservato, tra il presidente Napolitano e papa Francesco. Non si è parlato certo di teologia, ma di politica, in pubblico e in privato.

Il Concordato - del quale Napolitano ha ricordato l'inserimento nella nostra Costituzione che fu opera dell'Assemblea Costituente con il voto favorevole della Dc e del Pci e quello contrario dei socialisti, del Partito d'azione e dei liberali - assicura la leale collaborazione tra lo Stato (laico per definizione) e la Chiesa cattolica nelle loro due distinte sfere della politica e della religione.

Questa situazione dura dal 1947 ma c'è da qualche mese un'importante novità: la Chiesa non prenderà più iniziative "parapolitiche" né tramite la Segreteria di Stato vaticana né attraverso la Conferenza episcopale italiana.

Di fatto questo non era mai accaduto per secoli e secoli, anche dopo la caduta del potere temporale verificatasi il 20 settembre del 1870 con la conquista di Roma da parte dei bersaglieri. Il potere temporale era rinato sotto altre spoglie.

Ora Francesco ha messo il fermo. La Chiesa predica il Vangelo ed esorta all'amore del prossimo; questo e solo questo è il suo compito, in Italia come nel resto del mondo. Un compito molto impegnativo che servirà (dovrebbe servire) anche alla politica per attuare con i propri strumenti la stessa visione: solidarietà, tutela dei diritti, rispetto dei doveri, libertà e giustizia.

La libertà riguarda anche la Chiesa di Francesco che ha teorizzato in varie occasioni la libertà di coscienza dei cristiani come di tutti gli altri uomini e la loro libera scelta tra quello che ciascuno di loro ritiene sia il Bene e quello che ritiene sia il Male. E portando avanti il Vaticano II ha deciso di dialogare con la cultura moderna.

Tutte queste questioni estremamente significative hanno echeggiato nelle sale del Quirinale e così si spiega l'amarissima constatazione di Napolitano che, di fronte a queste mete da perseguire, ha denunciato la situazione politica italiana, ammorbata da spirito di parte, interessi di gruppi e diffusione di veleni.

Ne abbiamo purtroppo conferma tutti i giorni e lì, nelle sale d'un palazzo che fu sede prima dei Papi, poi dei Re d'Italia e infine dei presidenti della Repubblica, erano presenti i vertici del governo, del Parlamento, dei partiti e delle gerarchie della Chiesa. Papa e Presidente hanno dato testimonianza del cammino ancora da compiere e della loro decisione di stimolarne con gli strumenti a loro disposizione il completamento.

Personalmente ne sono uscito assai confortato.

* * *

Milano è città assai diversa da Roma. Ci ho vissuto a lungo negli anni Cinquanta e poi l'ho sempre assiduamente frequentata. Ne fui consigliere comunale dal '60 al '63 e deputato dal '68 al '72; ma a Milano ci sono sempre state le redazioni dell'Espresso (dal 1955) e di Repubblica (dal 1976).

Venerdì scorso ho avuto modo d'incontrare nel corso di una cena in piedi una quantità di amici d'un tempo e di rievocare con loro la Milano di allora.

Qual era la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta? Quella della ricostruzione e poi del "miracolo italiano" nelle sue classi dirigenti politiche ed economiche? Chi erano gli esponenti di quei partiti, di quei sindacati, di quel capitalismo e di quella classe operaia? C'erano parecchi dei loro figli a quella cena dell'altro ieri: la figlia di Bruno Visentini, il figlio di Carlo Draghi, il figlio di Raffaele Mattioli, Maurizio, il figlio di La Malfa, la figlia di Aldo Crespi, la moglie e i figli di Franco Cingano. Io conoscevo i padri, ma poi ho incontrato anche loro e ne sono diventato amico. Sono i vantaggi, per mia fortuna, d'una lunga vita.

Adesso (lo dico tra parentesi) mi preparo a ritirarmi su una panchina del Pincio come mi ha consigliato Beppe Grillo, ma la data non l'ho ancora decisa e Grillo dovrà pazientare ancora un poco.

I cardini del capitalismo milanese d'allora, che forniva al paese gran parte della sua visione degli interessi ma anche dei valori d'una borghesia agiata e al tempo stesso colta, erano una singolare mescolanza d'imprenditori, banchieri e uomini politici e se dovessi indicarne il personaggio più rappresentativo di quella mescolanza farei il nome di Mattioli.

Era abruzzese di nascita, aveva esordito come segretario di Toeplitz; aveva assistito alla crisi bancaria del '32 e poi aveva preso il posto di amministratore delegato. Era stato il rifondatore della Comit (si chiamava così la Banca commerciale italiana) che era diventata con lui la più importante in Italia e una delle più importanti in Europa.

Ma Mattioli finanziava anche l'editore Riccardi che pubblicava in una splendida collana i classici della letteratura italiana; finanziava anche l'Istituto di studi storici fondato a Napoli da Benedetto Croce, dal quale uscirono personaggi come Omodeo, Calogero, Salvatorelli, Romeo, De Capraris.

Era amico di Sraffa, emigrato durante il fascismo a Cambridge e depositario per molti anni delle carte di Gramsci e del suo testamento.

La sera, terminato il lavoro, Mattioli teneva salotto nel suo studio alla Comit in piazza della Scala. Durava un paio d'ore e gli ospiti abituali erano Adolfo Tino che era stato uno dei dirigenti del Partito d'azione durante la Resistenza e che fu poi presidente di Mediobanca; Franco Cingano che era uno dei massimi dirigenti della Comit di cui poi diventò amministratore delegato; Leo Valiani. Ugo La Malfa e Bruno Visentini frequentavano il salotto Mattioli quando venivano da Roma a Milano e altrettanto faceva Elena Croce, figlia di don Benedetto, ed Elio Vittorini.

Mattioli a quell'epoca somigliava a Maurice Chevalier, l'attore francese. O almeno così pareva a me e un giorno glielo dissi. Lui si schermì ma da allora mi volle più bene di prima.

Ma in quegli stessi anni il capitalismo milanese era anche rappresentato da Leopoldo Pirelli, dai giovani membri della famiglia Bassetti, da Vincenzo Sozzani e soprattutto da Cuccia (Mediobanca) e Rondelli (Credito italiano).

Ricordo ancora che uno degli obiettivi di La Malfa, anzi il senso stesso della sua vita, era quello di cambiare la sinistra e il capitalismo. Li conosceva bene tutti e due, anzi era con un piede in una e un piede nell'altro. Lo stesso, nel suo medesimo Partito repubblicano, era l'obiettivo di Visentini e tutti e due videro con speranza e poi con giubilo l'arrivo di Berlinguer alla guida del Partito comunista.

Questo era allora il capitalismo, soprattutto nella sua proiezione bancaria ma non soltanto, e la sinistra riformatrice che aveva Gobetti e i fratelli Rosselli nel suo Dna ma si era anche nutrita del pensiero liberale di Croce e di Luigi Einaudi. Non dimentichiamoci che quest'ultimo fu il primo governatore della Banca d'Italia dopo la caduta del fascismo, poi ministro del Bilancio con De Gasperi e infine primo presidente della Repubblica.

Napolitano, militante e poi dirigente del Pci, deriva direttamente dalla cultura di Croce e di Einaudi. Adesso queste cose sembrano assurdità, ma allora la realtà era quella e fu quella a fare dell'Italia una democrazia e del capitalismo un sistema che apprezzava e sosteneva lo Stato sociale, il welfare e l'economia sociale di mercato.

Poi dalla fine dei Sessanta in giù, la situazione è cambiata, la partitocrazia ha occupato le istituzioni, una piccola parte della sinistra ha inclinato verso il terrorismo, mentre un'altra parte si è corrotta insieme al ventre molle della Dc e il capitalismo ha cambiato natura. Invece di costruire imprese, le ha dissanguate. Il capitalismo reale ha ceduto il posto alla finanza speculativa. I legami tra affari e politica non furono più culturali ma corruttivi e intanto il popolo sovrano diventava "gente", folla emotiva, materiale umano disponibile per i demagoghi e gli avventurieri.

Questo è purtroppo il paese. L'incontro con i discendenti del periodo migliore del Novecento mi ha al tempo stesso dato conforto e profonda tristezza, sperando che i figli emulino i padri ma disperando che riescano a educare la gente e farle riscoprire il popolo sovrano che è tutt'altra cosa.

Vorrei tanto che i giovani s'innamorassero di quest'idea ma se continuano a preferire l'avventura e gli avventurieri, allora non saremo più una nave ma una zattera con quel che ne segue.

* * *

Poi, prima di ripartire per Roma, la sera sono andato con mia moglie allo spettacolo di Nicoletta Braschi al teatro Parenti. Il programma era un testo di Samuel Beckett intitolato "Giorni felici". Nicoletta è una grande attrice di teatro, il testo da lei recitato è terribile ma splendido nella sua terribilità. Poi abbiamo cenato insieme a lei e a suo marito Roberto Benigni, con Franco Marcoaldi e Nadia Fusini.

Una volta scrissi che Benigni, quando Napolitano se ne andrà anche lui sulla panchina del Pincio come auspica Grillo, potrebbe benissimo andare al Quirinale.

Naturalmente era una battuta ma la cultura di Roberto e di Nicoletta è tremendamente seria e quello che pensa e come ama il nostro paese Benigni è esattamente quello che penso ed amo anch'io. Non siamo molti ma, come dice Beckett, la vita è fatta di poche cose. L'importante sarebbe di saperle scegliere e spero che questo avvenga.

Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/11/17/news/giorni_che_non_posso_dimenticare-71193754/?ref=HREC1-1
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« Risposta #463 inserito:: Novembre 23, 2013, 04:16:30 pm »

Eugenio Scalfari
Vetro soffiato

Fantasia e ragione al potere

Nella letteratura moderna non esistono più i generi. Un grande autore esplora sé e la vita intorno con il suo linguaggio
In una recensione molto pregevole di qualche giorno fa pubblicata dal “Corriere della Sera” sull’opera di Milan Kundera, Alessandro Piperno sottolinea l’aspetto secondo lui più importante e innovativo di quell’autore che è certamente uno dei maggiori scrittori contemporanei: il completo e definitivo superamento dei generi letterari.

Riprendo quest’osservazione di Piperno perché concordo interamente con lui: la cultura moderna, a cominciare da Diderot, non tiene più alcun conto della filosofia, della poesia, del racconto, del romanzo, dell’aforisma. Un autore può - se vuole - comporre un libro che si propone un tema e ruota intorno ad esso, l’approfondisce, lo racconta, lo esprime con un suo linguaggio che nelle stesse pagine spazia tra quelli che un tempo erano generi nettamente distinti l’uno dall’altro, con una loro metrica non soltanto lessicale ma espressiva, non soltanto di forma ma di sostanza. La filosofia rispettava sempre nei suoi trattati e manuali la coerenza della logica e i principi della non contraddizione limitandosi all’esame dei concetti e non dei fatti. La lirica e l’etica si esprimevano attraverso la poesia la quale quasi sempre rispettava la scansione sillabica dei versi e la loro rima. Il romanzo - come anche l’opera teatrale - era centrato su personaggi creati dalla fantasia o talvolta romanzati ma storicamente vissuti.

Ora non più. Ho fatto il nome di Diderot; la sua innovazione fu una rottura radicale col passato e basterebbe paragonare uno qualunque dei suoi dialoghi - “Le neveu de Rameau” oppure “Le rêve de d’Alembert” o “Jacques le fataliste” - con la “Princesse de Clèves” di Madame de La Fayette per coglierne le differenze.

Ma dopo Diderot il superamento dei generi letterari tradizionali fece molta strada. Direi che il culmine fu raggiunto dalla “Recherche” di Marcel Proust e, a breve distanza di tempo, dall’“Ulisse” di Joyce, dove l’alternarsi e il mescolarsi dei fatti raccontati in presa diretta e nei minimi dettagli con il flusso di coscienza che nel frattempo si svolge nella psiche del personaggio costituiscono un unico tessuto letterario.
Qualche anno prima Dostoevskij li aveva anticipati con le “Memorie dal sottosuolo”, “I Diavoli” e “I fratelli Karamazov”, e Tolstoj con “Guerra e pace”, “Anna Karenina” e “La morte di Ivan Il’ic”. Qualcuno andò addirittura ancora più oltre e fu Nietzsche con “Così parlò Zarathustra”, con la “Gaia scienza” e con “Ecce homo”.

Io però mi sono affezionato - se è lecito usare quest’attributo parlando delle proprie preferenze letterarie - a due autori che sono vissuti e hanno operato nei primi trent’anni del Novecento. Non si conoscevano tra loro, vivevano in luoghi assai lontani per l’epoca e non lessero mai i libri dell’altro. Sono Rainer Maria Rilke nei “Quaderni di Malte Laurids Brigge”, che a mio avviso è il più bel romanzo moderno che sia stato scritto; e Ferdinando Pessoa nel suo “Libro dell’inquietudine”, l’opera che lo impegnò per tutti i brevi anni della sua vita.

Una citazione che credo valga la pena di fare dai “Quaderni” di Rilke: «La donna era sprofondata tutta in sé, in avanti, nelle sue mani. Era all’angolo di Notre-Dame des Champs. Appena l’ebbi vista cominciai a camminare più piano. Quando i poveri pensano, non bisogna disturbarli. Può darsi che trovino. La strada era troppo vuota, il suo vuoto si annoiava e mi toglieva il passo sotto i piedi risuonando in esso, là e qua, come uno zoccolo. La donna si spaventò e si sollevò via da sé troppo presto, troppo rapida e il suo viso le rimase tra le mani. Potei vederlo posato là dentro, la sua forma vuota. Mi costò uno sforzo indescrivibile fermarmi alle mani, non guardare quanto s’era strappato da essa. Inorridivo nel vedere un viso dall’interno, ma ben altro terrore avrei provato davanti alla testa nuda, piagata, senza viso».

E ora Pessoa, che qui scrive in versi: «Mi sono moltiplicato per sentire, per sentirmi, ho dovuto sentire tutto, sono straripato, non ho fatto altro che traboccarmi, mi sono spogliato, mi sono dato, e in ogni angolo della mia anima c’è un altare a un dio differente. Passa tutto, tutte le cose in una sfilata attraverso di me e tutte le città del mondo mi rumoreggiano dentro». In questa rassegna di letteratura nuova che esplora al tempo stesso, nelle stesse pagine e nelle stesse righe il viaggio dentro di sé e quello nel mondo che da fuori ci circonda, ricordo il Montale degli “Ossi di seppia” e delle “Occasioni”, e Italo Calvino - a me carissimo - di “Palomar”, del “Visconte dimezzato” e delle “Lezioni americane”. Termino con brevi versi di Jorge Luis Borges: «Sono chi guarda le prore dal porto; sono i miei pochi libri, le mie poche incisioni dal tempo consunte; sono colui che invidia chi è già morto. Più strano essere l’uomo che ora intesse parole in una stanza di una casa». Questa è la grande letteratura moderna: fantasia e insieme ragione, contraddizioni irrisolte e irrisolvibili e tenace coerenza. Una persona che ha alla base le particelle elementari dell’essere e un pensiero capace di pensare se stesso nel suo corpo di animale, consapevole del passato, del futuro e della morte che contiene il senso del suo vissuto.

12 novembre 2013 © Riproduzione riservata
Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2013/11/07/news/fantasia-e-ragione-al-potere-1.140351
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« Risposta #464 inserito:: Novembre 25, 2013, 04:20:29 pm »

Il Cavaliere che fu e il Letta che sarà

di EUGENIO SCALFARI
24 novembre 2013

VOGLIAMO parlare dei mutamenti del clima che stanno devastando l’intero pianeta dalle Filippine alle terre di Sardegna, dal Pacifico allo scioglimento dei ghiacciai, degli uragani, dell’innalzamento del livello dei mari?

Vogliamo parlare dei Kennedy nella ricorrenza dell’uccisione a Dallas di John Fitzgerald e poi del fratello Bob che hanno avuto un ricordo inobliabile non solo in America ma nell’intero Occidente, relegando nell’oblio le loro inclinazioni di playboy scapestrati e perfino alcune imprudenti collusioni con la mafia di Chicago? Vogliamo parlare di papa Francesco e della Curia che gli si rivolta ora che tocca con mano il pericolo di essere detronizzata dal suo ruolo di guida politica della Chiesa e relegata al compito di fornire i servizi al popolo di Dio e ai vescovi con cura di anime?

Sono tutti temi di portata mondiale che dovrebbero impegnare l’attenzione dei governi e dei popoli se i popoli e i governi, specie nei Paesi di antica opulenza, non fossero alle prese con problemi di minore gittata ma d’assai più acuta urgenza ed emergenza: la crisi economica che ancora affligge l’Occidente, i populismi dilaganti, l’immigrazione dai Paesi poveri a quelli più agiati, l’Europa che non riesce a trasformarsi in uno Stato continentale e competitivo con quelli emergenti che la circondano e la schiacciano verso l’irrilevanza.

La nostra Italia in questo mare tempestoso si trova in una posizione del tutto singolare: è uno degli Stati fondatori della Comunità europea e dell’Unione che ne è seguita; è il secondo Paese industriale europeo dopo la Germania e prima della Francia; ma al tempo stesso la sua finanza pubblica è appesantita da un debito tra i maggiori del mondo, la sua competitività è tra le più basse, la sua classe dirigente tra le più scadenti e invise, la corruzione endemica è crescente, la sua politica stenta ad uscire dalle lotte intestine e a riscuotere un grado di consenso in mancanza del quale la democrazia decade e le divisioni gettano il Paese nell’incertezza e nella paura.

Questa situazione esiste ormai da anni e da anni siamo costretti ad occuparcene. Se parlassimo d’altro parrebbe a noi stessi una fuga in avanti o all’indietro per smarcarsi dal presente e quindi faremo ancora una volta il punto e daremo la nostra libera opinione su quanto sta accadendo a casa nostra. Non è un compito facile perché la confusione delle lingue le ha trasformate in una Torre di Babele. Bisogna dunque recuperare la chiarezza necessaria fugando il timore di servirsene contro l’ipocrisia delle lingue biforcute che, non a caso, sono quelle del serpente.
* * *
Berlusconi che ieri si è esibito in nuove dichiarazioni eversive, è ormai al punto terminale del suo ventennio. La sua decadenza è già avvenuta, si aspetta soltanto che il Senato ne prenda atto cosa che avverrà il 27 di questo mese. Ma se anche dovesse guadagnare qualche giorno, cosa che non sembra tecnicamente possibile, non accadrebbe nulla: c’è una sentenza definitiva che sarà comunque eseguita e lo porterà a scontare la pena che gli è stata comminata.

Nel frattempo è nata una nuova forza politica con una scissione del partito da lui fondato. Quella scissione è lui stesso che l’ha provocata cogliendo la sostanza dei fatti. La sua leadership unica e quindi dittatoriale all’interno del suo partito e la sua ricorrente tentazione di estenderla anche all’esterno era stata messa in crisi ma non dai suoi avversari politici e neppure dalla magistratura rossa di sua invenzione, bensì dal malcontento crescente che dilaga nel Paese e nel suo stesso partito.

Tutte le cose che hanno un inizio hanno anche una fine. Il problema è di saper predisporre una successione che abbia un progetto di futuro senza dimenticare l’esperienza positiva del passato. Ma se il passato è stato soltanto una dittatura personale, la successione evidentemente non esiste. Questo è quanto è avvenuto nel Pdl: i figli sono stati ripudiati e sono usciti sbattendo la porta.

Renderanno al padre gli onori dovuti votando contro la sua decadenza, ma si tratta di un atto formalmente dovuto che non modifica la situazione esistente. È nata la destra repubblicana, i moderati che si raggruppano fuori dal cerchio magico dell’egolatria d’un dittatore furbissimo nel saper vendere il suo prodotto fin quando quel prodotto ha i suoi potenziali compratori. Non ci sono più quei compratori e non c’è più neppure il prodotto da vendere.
Perciò questa storia è finita.
* * *
La nascita d’una nuova destra moderata ha avuto le sue logiche conseguenze sulla natura del governo Letta. Non sulla sua composizione perché i ministri in carica costituiscono parte integrante del nuovo partito; ma nella sua essenza sì, il governo è cambiato, se non altro su un punto fondamentale: non è più sostenuto da un partito che ha alla sua guida un pregiudicato.

Che la sinistra riformista fosse costretta ad allearsi col partito di Berlusconi suscitava, al di là dello stato di necessità da tutti riconosciuto, il mal di pancia di un’ampia fetta dei militanti e dei potenziali elettori del Pd. La nascita e il successo del Movimento 5 Stelle riflette anche quel mal di pancia. Lo sfrizzolamento delle correnti e gli interessi personali di alcuni dei loro esponenti nel Pd trova la sua motivazione giustificativa nel medesimo mal di pancia ma ora quella motivazione è caduta perché non c’è più Berlusconi dietro la nuova destra. Quindi lo sfrizzolamento non dovrebbe più esserci nel Pd. Infatti il correntificio di quel partito cerca ora nuove giustificazioni per sussistere, una delle quali è stata la fiducia data da Letta alla Cancellieri per scongiurare la sua uscita dal ministero e gli effetti negativi che sarebbero derivati da una sfiducia parlamentare: un rimpasto nel momento stesso in cui la maggioranza di sostegno del governo cambiava natura.
La Cancellieri, come tutti sanno e tutti hanno riconosciuto, non ha commesso alcun reato o almeno finora la Procura non l’ha trovato e non l’ha infatti registrata tra gli indagati. Ha però fatto, la Cancellieri, una telefonata o forse due inappropriate ad un ministro della Giustizia. In un’altra situazione era logico che fosse invitata (o costretta) a dimettersi. Nella situazione data è comprensibile che Letta la coprisse. Quando la nuova maggioranza sarà consolidata nella sua autonomia è opportuno che la Cancellieri si dimetta di sua iniziativa e sia sostituita con un altro ministro tecnico scelto al di fuori dei partiti. Allo stato delle cose la sua situazione è del resto del tutto simile a quella di Vendola e della sua telefonata sull’affare Ilva con i rappresentanti della proprietà Riva, ma nessun partito ha chiesto le dimissioni di Vendola dalla presidenza della Regione Puglia.
* * *
La permanenza del governo Letta fino al semestre di presidenza europea a noi assegnata che ci sarà dal giugno al dicembre dell’anno prossimo, è fondamentale perché la vera battaglia per l’uscita dalla crisi economica si combatte in Europa ed è già cominciata. Letta è quello che meglio può condurla con l’appoggio d’una maggioranza politica responsabile e quella, altrettanto indispensabile, del capo dello Stato.

Naturalmente questa battaglia europea dev’essere affiancata a interventi sull’economia italiana che, senza mettere in causa gli impegni europei, faccia il meglio possibile con le (poche) risorse a nostra disposizione. Nella legge di Stabilità qualche cosa si è fatto ma si poteva e ancora si può fare di più. Per esempio si possono rilanciare gli investimenti in infrastrutture con i miliardi disponibili delle erogazioni europee per le Regioni in difficoltà. Si può portare avanti il pagamento dei debiti alle aziende e ai Comuni creditori. Si può restringere la platea dei beneficiari delle detrazioni d’imposta, abbassando il livello del reddito cui la detrazione è consentita e dando di più ad un minor numero di beneficiari. Si può aumentare il taglio del cuneo fiscale a debito dell’Inps e colmare il buco intervenendo sulle aliquote contributive di alcune categorie che hanno maggiori potenzialità di reddito.

Analogo provvedimento si poteva (e si potrebbe ancora) prendere sul pagamento dell’Imu da parte di case il cui valore patrimoniale è più elevato. L’-I-mu fu un’imposta sulle case messa dal governo Monti con l’intento di trovare nuove risorse di tipo sostanzialmente patrimoniale e progressivo nell’ammontare dell’imposta. La sua abolizione fu decisa dal governo Letta con una finalità politica: togliere a Berlusconi la finta motivazione di mandare il governo all’aria per dissensi sull’economia e sulle tasse. Questa finalità è ora venuta meno. Certo il nuovo partito di Alfano non può, nella sua fase di nascita, accettare che l’Imu sia riproposta. È chiaro che non può, ma dovrebbe accettare che oltre alle seconde case paghino anche i proprietari di prime case che abbiano caratteristiche di elevata patrimonialità e quindi rendite catastali più alte. Bisogna certo aiutare la nuova destra ma anch’essa deve aiutare l’economia italiana e le fasce di lavoratori e di consumatori più disagiate.
* * *
La battaglia europea resta però quella fondamentale. Letta e Saccomanni l’hanno già iniziatao, questa settimana e la proseguiranno. Ma un altro che sta sempre più intervenendo su quel terreno è Mario Draghi con l’Unione bancaria da lui sostenuta a spada tratta insieme alla Commissione europea. La Bundesbank si oppone e anche la Merkel frena, ma difficilmente potrà resistere a lungo su quella posizione se si troverà di fronte un forte schieramento europeo del quale Letta rappresenta la nostra punta di diamante.

Mi confortano i giudizi dati in proposito da Asor Rosa sul “Manifesto”, da Reichlin su “l’Unità” e da Massimo Cacciari in una sua recente apparizione televisiva. Asor Rosa in particolare è da sempre un uomo della sinistra italiana, come Reichlin ed anche più a sinistra di lui ai tempi di Berlinguer. Tutti e due e Cacciari dicono la stessa cosa: l’interesse della sinistra per aprirsi una strada futura che non può essere altro che europea, consiste nel dare il proprio appoggio a Letta. Leggere queste affermazioni sul “Manifesto” e su “l’Unità” di fronte a giornali e trasmissioni televisive che si autodefiniscono democratiche tifando per Grillo, fa senso o almeno a me lo fa perché sono del loro stesso avviso.
Adesso Grillo cavalca lo sciopero dei lavoratori di Genova e vuole che si estenda a tutta Italia. Non solo lo sciopero ma anche i cortei di violenza e gli assalti alle sedi del Pd.

Rottamare tutto per ricostruire tutto e tenersi il “Porcellum” ma senza la libertà di mandato per i membri del Parlamento: ecco il caso tipico d’un rottamatore che sogna la dittatura personale. Spero che non abbia imitatori. Lui del resto non fa che imitare il Berlusconi che fu (ma che viva fino a cent’anni).

Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/11/24/news/il_cavaliere_che_fu_e_il_letta_che_sar-71790307/?ref=HREC1-1
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