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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 318074 volte)
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« Risposta #405 inserito:: Febbraio 10, 2013, 04:29:47 pm »

Il buono, il brutto, il bello e il cattivo

di EUGENIO SCALFARI


MENTRE cominciavo a scrivere queste note mi sono arrivate due notizie: la prima è una dichiarazione effettuata da un gruppo di candidati nelle liste civiche di Monti che fa capo a Lorenzo Dellai, ex presidente della Provincia autonoma di Trento, che suggerisce agli elettori di votare Ambrosoli alla presidenza della Regione Lombardia anziché il candidato montiano Albertini; uno stesso suggerimento era già stato dato da Ilaria Borletti Buitoni, capolista montiano in Lombardia per la Camera dei deputati. La seconda notizia è che Monti ha da parte sua espresso un parere contrario rilanciando la candidatura di Albertini alla Regione, anche se non ha alcuna possibilità di riuscita e giova soltanto alla eventuale vittoria di Maroni.

Non è un bell'esempio di coerenza con gli interessi generali della democrazia e del paese.
Ma veniamo ora ad un quadro più generale della situazione.

Mancano 14 giorni al voto e la gente si è stufata della politica e di questa campagna elettorale. Lo leggo su molti giornali, ma è proprio così?

A me non pare. Gli ascolti dei dibattiti televisivi sono alti; piazze e teatri dove parlano i protagonisti politici sono pieni; slogan, proposte, invettive, programmi, si incrociano; gli aspiranti a governare elencano i provvedimenti che intendono prendere nei primi cento giorni di governo. Le tifoserie sono mobilitate. Le persone che si incontrano si scambiano tra loro la domanda: come pensi che andrà a finire?

E poi ci sono gli arrabbiati.
La rabbia sociale non è un fenomeno soltanto italiano, c'è in tutta Europa, la rabbia, perché l'intero continente è in recessione, la recessione impone sacrifici, i sacrifici provocano sofferenza e rabbia, gli arrabbiati cercano i colpevoli, ma i colpevoli sono tanti e ciascuno sceglie il suo bersaglio.

Vi sembra che tutti questi fenomeni diano un quadro di indifferenza? Gli indecisi sono ancora molti ma negli ultimi sondaggi risultano in diminuzione. L'astensionismo è valutato tra il 20 e il 25 per cento, più o meno come da molti anni in qua. Quindi non è vero che la gente si è stufata. è vero invece che questa campagna elettorale è tra le più agitate e confuse dell'Italia repubblicana.

La conclusione è questa: il bipolarismo semplifica, il multipolarismo complica e la gente si disorienta. Non è indifferenza ma disorientamento, perciò la gente cerca a suo modo di semplificare. Il populismo è certamente una semplificazione. Avreste mai pensato un anno fa che sommando insieme Berlusconi e Grillo si arrivasse almeno al 40 per cento dei consensi registrati dagli ultimi sondaggi? Se non addirittura al 50?

Berlusconi ormai promette la luna a ruota libera; Grillo lancia il suo "vaffa" in tutte le direzioni, sui partiti, sulla politica, sull'Europa, sullo "spread", sull'euro. Se sapesse che Aristotele enunciò la primazia della politica su tutte le altre attività dello spirito, il "vaffa" colpirebbe sicuramente anche lui.

È possibile che metà degli elettori possano affidarsi a questi Dulcamara? È una semplificazione del tipo "fai da te"; gli schieramenti in campo sono troppi, le differenze tra loro sono sofisticate, il "fai da te" sceglie i due populismi che, ovviamente, sono contrapposti tra loro.

Aggiungeteci la Lega che ha un solo obiettivo: conquistare la regione Lombardia e contrapporre la macro-Regione padana al resto d'Italia. Piemonte-Lombardia-Veneto detteranno legge al governo nazionale, quale che sia il suo colore.

Ma aggiungeteci anche Ingroia che guida una lista molto minoritaria ma che può essere determinante in alcune Regioni, tra le quali la Lombardia, la Sicilia, la Campania. Determinante non per vincere ma per far vincere Berlusconi e la Lega. Analoga in quelle Regioni è la posizione di Monti. A chi contesta ad Ingroia questo gioco a perdere per far vincere il peggiore, la risposta l'ha data Marco Travaglio venerdì scorso a "Otto e mezzo": il risultato sarà un Parlamento ingovernabile e quindi una legislatura che durerà pochi mesi. Poi si tornerà a votare; forse allora saranno nate una nuova sinistra e una nuova destra, formate tutte e due da gente nuova, anzi nuovissima, alla politica.

Dopo 70 giorni di campagna elettorale che sta per chiudersi, queste belle menti auspicano altri cinque mesi di paese ingovernato e altri tre mesi di campagna elettorale. L'Italia resterà dunque senza guida fino al prossimo ottobre con la prospettiva che nasca a quel punto una maggioranza Ingroia-Grillo. Nel frattempo il mercato avrà messo in mutande la nostra economia e quello che avanza di industria e occupazione. Complimenti di tutto cuore.

* * *
Per completare lo scenario che sta davanti ai nostri occhi bisogna ora spostarsi dall'Italia all'Europa di cui siamo parte integrante. Ci sono stati in questi giorni due fatti nuovi: il Consiglio dei primi ministri dei 27 Paesi aderenti all'Unione europea e il Consiglio d'amministrazione della Banca centrale (Bce).

Il Consiglio dei ministri e la Commissione si sono incontrati a Bruxelles e hanno discusso per 25 ore di seguito, senza dormire e mangiando qualche panino. Anche lì c'era molta confusione, ciascuno aveva i propri interessi da difendere, magari a scapito dell'interesse generale europeo. Alla fine è stato trovato un compromesso che si può riassumere così: gli interessi dei singoli Paesi membri sono stati tutti parzialmente soddisfatti e, infatti, le decisioni sono state votate all'unanimità come è previsto poiché ciascun Paese ha un diritto di veto e l'unanimità è quindi indispensabile.

Ma sono stati pagati due prezzi molto alti per ottenere questo risultato: il bilancio europeo, che avrebbe dovuto essere largamente aumentato, è stato invece tagliato rispetto al bilancio in vigore da sette anni.

Il Parlamento europeo, anch'esso quasi all'unanimità, si è però opposto a questo taglio e ha messo il veto a quel compromesso. La questione è dunque aperta ed è della massima importanza. Basteranno due cifre per dare l'idea concreta del problema: il bilancio federale degli Usa rappresenta il 22 per cento del Pil americano, il bilancio dell'Unione europea rappresenta invece l'1 per cento del Pil dei Paesi confederati.

Il secondo prezzo pagato a Bruxelles riguarda la politica di crescita economica, per altro da tutti auspicata a parole però, perché non un centesimo, non un provvedimento, non un'idea che rilanci la creatività è stata messa sul tavolo, se non la raccomandazione ad accrescere la flessibilità dei sistemi economici.

Monti è tornato a casa con un piccolo tesoretto di quasi quattro miliardi di euro. Non è molto ma nemmeno poco. Sul resto nulla poteva fare da solo e nulla ha fatto.

* * *

Mentre queste cose accadevano a Bruxelles, a Francoforte Mario Draghi ha messo a fuoco una questione della massima importanza. Riguarda il tasso di cambio euro-dollaro che ormai da molti mesi si è apprezzato a favore dell'euro toccando il suo massimo di 1,36 dollari per euro giovedì scorso. Ma il giorno dopo è intervenuto Draghi ricordando che la Bce non può intervenire sul mercato dei cambi perché il suo statuto non lo prevede. La Bce ha due soli compiti: garantire la stabilità dei prezzi e assicurare al sistema bancario la necessaria liquidità.

L'apprezzamento dell'euro nei confronti del dollaro  -  ha detto Draghi  -  è un fatto positivo in questa fase di crisi economica perché è il segno che molti investitori acquistano euro dimostrando con ciò di avere fiducia nella moneta europea piuttosto che in altre valute. Tuttavia  -  ha proseguito  -  un eccessivo apprezzamento dell'euro potrebbe abbassare il tasso di inflazione al di sotto dell'attuale livello del 2 per cento che è ritenuto ottimale per la stabilità dei prezzi. Se da questo livello si dovesse scendere nei prossimi mesi verso l'1 per cento, ci si avvierebbe verso una fase di deflazione con un mutamento negativo nella stabilità dei prezzi. In questo caso, intervenire sul cambio estero rientrerebbe nei compiti statutari della Bce che è pronta a farvi fronte.

Risultato: dopo quell'intervento puramente verbale, venerdì il cambio è sceso all'1,33 rispetto al dollaro. Draghi ha confermato così la sua capacità tattica e strategica per salvaguardare il sistema dal punto di vista della politica monetaria, tenendo aperta la porta ai governi affinché prendano le necessarie decisioni per rilanciare l'economia reale. Purtroppo alla sagacia di Draghi non fa riscontro una altrettanto viva sensibilità dei governi per l'interesse generale dell'Europa.

* * *

Mi permetto di suggerire ai lettori il film dedicato a Lincoln: racconta come e con quali prezzi la confederazione degli Stati Uniti d'America diventò uno Stato federale. Per realizzare quest'obiettivo, senza il quale la storia del mondo sarebbe stata completamente diversa, fu necessaria una guerra civile durata quattro anni con seicentomila morti, più della somma dei morti americani nelle due guerre mondiali del Novecento. E, come non bastasse, anche l'assassinio dello stesso Lincoln tre giorni dopo la vittoria e la firma della pace.
L'Europa ha già pagato un prezzo altissimo di sangue, versato in secoli di guerre tra gli Stati europei. L'ultima di esse ha fatto addirittura 41 milioni di morti tra militari, civili e genocidi orrendi. Da questo punto di vista abbiamo larghissimamente pagato e infatti da allora l'Europa ha trascorso quasi 70 anni in pace. Ma l'Europa federale ancora non è nata.

Non abbiamo molto tempo per farla nascere; l'economia globale prevede confronti tra continenti. L'Europa ha più di mezzo miliardo di abitanti, possiede un'antica ricchezza, un'alta vocazione tecnologica e scientifica, è bagnata da tre mari e confina con l'Asia e con l'Africa. Ha una forza potenziale enorme, l'Europa, ma diventerà del tutto irrilevante se continuerà ad essere sgovernata da una confederazione di Stati con una moneta comune usata da poco più della metà di essi.

Abbiamo a disposizione non più di una decina di anni di tempo per arrivare a quel risultato e, poiché si tratta d'un percorso fitto di ostacoli, occorre intraprenderlo da subito. Non è un obiettivo che viene dopo gli interessi nazionali perché è esso stesso un interesse nazionale e non può essere accantonato o timidamente sostenuto. L'Europa deve diventare uno Stato con il suo bilancio, un suo governo, un suo Parlamento, una sua Banca centrale. Per ora ci sono soltanto timidi abbozzi dai quali emerge soltanto un Consiglio intergovernativo che decide solo all'unanimità o con maggioranze altissime dell'80 per cento. Se resteremo in queste condizioni, tra dieci anni saremo solo una memoria nella storia culturale del pianeta. E nulla più.

P. S. È stato detto tutto il dicibile sulla proposta berlusconiana di abolire l'Imu sulla prima casa rimborsandone entro un mese l'ammontare pagato dai contribuenti. Ma non è stato ancora ricordato un punto di fondo: l'Imu varata nel dicembre 2011 è un'imposta patrimoniale progressiva: i proprietari d'una casa di lusso, con più elevata rendita catastale, situata in quartieri di prestigio, hanno pagato con aliquote progressive. Su 3,9 miliardi di gettito l'abolizione prospettata da Berlusconi sarebbe un grosso regalo ai proprietari di reddito medio alto e altissimo e un'elemosina di pochi spiccioli alla massa dei contribuenti. L'imposta progressiva una volta abolita si trasforma in un beneficio "regressivo" che premia pochi ricchi e fa elemosina a molti poveri. Questo è il vero e maggior difetto della velleitaria proposta berlusconiana.

(10 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/02/10/news/il_buono_il_brutto_il_bello_e_il_cattivo-52312214/?ref=HREA-1
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« Risposta #406 inserito:: Febbraio 17, 2013, 09:27:52 pm »

Riuscirà a guarire la Chiesa ferita?

di EUGENIO SCALFARI


Torno oggi ad esaminare la rinuncia (o abdicazione) del Papa. Non perché non vi siano altri fatti di grande importanza come la corruzione sempre più diffusa nel corpo ammalato del nostro Paese o le elezioni politiche ormai incombenti o la recessione che morde con denti sempre più acuminati e infine l'Europa e il drammatico oblio della sua costruzione di Stato federale senza il quale tutti gli Stati nazionali che la compongono finirebbero nella totale irrilevanza.

Ma la rinuncia di Benedetto XVI questi fatti li supera tutti perché segna una svolta decisiva nell'essenza della massima religione dell'Occidente e le infligge una ferita dalla quale è molto difficile che possa riaversi.

Le conseguenze saranno enormi nella storia delle idee, dell'etica, della politica, della convivenza sociale e riguarderanno sia i credenti sia i non credenti.

La decisione di papa Ratzinger è stata giudicata in vario modo e con vari aggettivi: rivoluzionaria, epocale, storica, eccezionale nella sua grandezza, ma anche conforme a quanto previsto dal canone ecclesiastico e comunque liberamente decisa nell'interesse della Chiesa.

Vedo che ora si discute molto sul dogma dell'infallibilità del Pontefice ed anche dell'opportunità sostenuta da alcuni ma avversata da altri di porre un termine obbligatorio, come già vige per i cardinali e per i vescovi, oppure di mantenerlo come opzione.

Discussioni, tutte, interessanti ma irrilevanti. Resta, ed è ovvio che così avvenga, la diversa visione tra credenti e non credenti con una zona grigia interposta tra gli uni e gli altri di quelli che relegano la loro fede in una zona marginale della mente.

Ho letto con interesse la lettera inviata al nostro direttore da Julián Carrón, presidente di Comunione e Liberazione. Stando alle sue parole l'evento è certamente eccezionale e accrescerà moltissimo il prestigio della Chiesa, il suo messaggio ecumenico e la forza della fede nel mondo. Benedetto XVI è stato sicuramente ispirato dallo Spirito Santo, tutto il popolo di Dio l'ha compreso e si è stretto ancor più attorno a lui. Questa, scrive Carrón, è la verità; tutte le altre sono interpretazioni.

Purtroppo per lui, anche questa di Carrón è un'interpretazione, come pure è un'interpretazione il fatto che la decisione del Papa sia stata da lui presa in piena libertà, come il canone prescrive.

Che cosa vuol dire "in piena libertà"? Non esiste alcuna magistratura che possa riscontrare l'esistenza di questo elemento e infatti non si tratta di dimissioni che possono essere accettate o respinte. Chi può dire se le divisioni all'interno della Curia e il devastante fenomeno della pedofilia o la fragilità del corpo e dell'anima di Joseph Ratzinger non abbiano condizionato la sua libertà?

Carrón afferma che lo Spirito Santo è quello che determina la scelta dei cardinali e non abbandona l'anima e l'intelletto del Capo della Chiesa.

Questa è la verità della Chiesa che si scontra tuttavia con moltissimi Pontefici che dettero di sé esempio devastante di cupidigia del potere, fornicazione, simonia. Dovremmo allora pensare che anche le loro malefatte furono volute nell'alto dei cieli affinché provocassero un risveglio delle coscienze e in tal modo contribuissero al bene della Chiesa? Del resto, questo singolare rapporto che congiunge il bene con il male lo troviamo anche nel tradimento di Giuda da fedele discepolo ad abietto denunciatore del suo Maestro.

Ma non era previsto e deciso - nell'alto dei cieli - che Gesù fosse tradito e poi suppliziato e crocifisso? Se tutto è stato disegnato e se l'esercizio del libero arbitrio mette chi lo esercita fuori dal popolo di Dio qualora quella libertà sia trasgressiva, allora la colpevolezza diventa impossibile da concepire.

Mi viene in mente quel sonetto del Belli dove un ebreo respinge l'accusa di deicidio lanciata dai cristiani contro il suo popolo, con questi versi: "Se Cristo era venuto pè morì / quarcheduno l'aveva da ammazzà".
Se tutto è disegnato la scelta non è mai libera a meno che non vi sia trasgressione.

***

Nel mio articolo di martedì scorso posi il problema dello scontro tra la Chiesa-istituzione e la pastoralità della Chiesa povera e missionaria.

L'istituzione - così ho scritto - doveva fornire alla pastoralità i mezzi per esercitare pienamente il suo mandato d'amore del prossimo.

È accaduto invece che la storia della Chiesa sia stata quella dell'istituzione che soffoca la pastoralità, cioè della gerarchia che reclama la sua "temporalità" subordinando la pastoralità.

Conosco la risposta di molti storici: l'istituzione avrà pure compiuto o consentito molti peccati ma senza di essa il Cristianesimo non sarebbe durato due millenni, si sarebbe rapidamente disperso in tante sette e infine avrebbe cessato di esistere. E poi non fu Cristo a dire a Simone: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa? È vero, così recitano le Scritture del Nuovo Testamento.

Ci sono tuttavia due altre religioni monoteiste completamente prive di gerarchia, che sono durate fino ad oggi e dureranno ancora: l'Ebraismo ha già tremila anni di storia e non ha gerarchia né sacerdozio, i rabbini sono soltanto maestri della legge. La medesima struttura ha l'Islam. Non ha sacerdoti ma solo dottori del Corano e Imam che insegnano nelle università islamiche. L'Islam ha una storia di millecinquecento anni e durerà ancora, nel bene e nel male.

Dunque non è l'istituzione la custodia della religione. Lo stesso Benedetto XVI se l'è lasciato sfuggire quando, parlando ai fedeli mercoledì scorso e ai preti romani giovedì ha detto che la sua rinuncia è dovuta anche alle divisioni e agli scandali che hanno turbato la Curia ammettendo che questi accadimenti hanno imbrattato il volto della Chiesa e che lui non ha avuto la forza di fare le pur necessarie riforme, augurandosi che sarà il suo successore a compiere ciò che egli lascia incompiuto.

***

La Curia ha sempre adottato il metodo della cooptazione e ha sempre tentato di far trionfare al Conclave uno dei suoi. Spesso è riuscita nel suo intento, talvolta no, ma in ogni caso la dialettica tra Curia e Papa si è manifestata determinando anche rotture traumatiche.

In tempi a noi vicini ce n'è stata una soltanto, quella di papa Giovanni.

Alla morte di Pio XII la Curia, che era ancor più conservatrice del Papa, puntò sull'arcivescovo di Genova, Giuseppe Siri, mentre settori più progressisti del Sacro Collegio preferivano Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna.

Alla fine fu scelto Roncalli, patriarca di Venezia. Fu scelto perché era vecchio e malandato in salute, sarebbe durato poco e non avrebbe comunque messo in discussione i poteri e le strutture curiali a quell'epoca guidate dai cardinali Canali, Pizzardo, Micara e Ottaviani.

Roncalli durò poco, ma determinò un terremoto: dopo meno di novant'anni dal Vaticano I indisse il Concilio ecumenico Vaticano II al quale dette il compito di rinnovare la liturgia e la teologia e di confrontarsi con il mondo moderno. Una rivoluzione.

Wojtyla ereditò questo lascito ma delegò la Curia ad occuparsene. Lui aveva ben altri problemi: la lotta contro il comunismo che soffocava la libertà e i diritti della Chiesa, e poi gli ideali della pastoralità anticapitalistica concentrati nella sua predicazione. Fu ferito in un attentato, viaggiò nel mondo, sconfessò la teologia della liberazione ma chiamò attorno a sé i giovani, i poveri, gli esclusi. Trionfò in America Latina e in Africa, riconobbe gli ebrei come fratelli maggiori.

Era un grande attore papa Wojtyla e morì da grande attore, atrocemente sulla scena fino all'ultimo respiro.

***

Joseph Ratzinger, non dimentichiamolo, era uno dei principali esponenti della Curia quando Wojtyla morì.

Assunse con impeto la guida del Sacro Collegio, officiò la messa di apertura del Conclave e fu il solo destinatario d'una trentina di suffragi alla prima votazione. Nel frattempo il cardinal Martini comunicò ai suoi sostenitori di non votarlo, il suo Parkinson era già molto avanzato e non gli avrebbe consentito di sostenere il ruolo pontificale. Suggerì anche che concentrassero i loro voti su Ratzinger per scongiurare un'ipotesi di Camillo Ruini sul soglio pontificio. Così avvenne, alla seconda votazione Ratzinger superò i cinquanta suffragi, la terza fu fumata bianca.

Ma otto anni dopo è arrivata l'epocale abdicazione. Sono stati otto anni di vera e propria rissa all'interno della Curia, con il Papa che tentava di dare pienezza al suo ruolo di governo non solo religioso ma temporale, senza tuttavia riuscirvi; tensioni crescenti tra Sodano, Bertone, Ruini e poi Bagnasco; scoppio dello scandalo della pedofilia; crollo delle vocazioni soprattutto in Europa; pressioni in tutti i settori e soprattutto sulle strutture e sulle organizzazioni tradizionali da parte delle Comunità: Comunione e Liberazione, Sant'Egidio, Opus Dei, focolarini, salesiani, gesuiti, una fenomenologia del tutto nuova, già presente ai tempi di Giovanni Paolo II ma al culmine con Benedetto XVI.

Infine il processo di secolarizzazione di tutto l'Occidente e in particolare in Europa e nel Nord America.

Nessuno di questi problemi è stato risolto da Benedetto ed è questa la vera ragione che l'ha indotto alla sua clamorosa rinuncia.

Questa decisione ha rotto la sacralità, ha messo a nudo la natura lobbistica della gerarchia, ha indebolito il ruolo del Papa innalzando quello della Chiesa conciliare. Il Concilio sarà d'ora in poi un'istanza suprema, il colloquio con la modernità risveglierà probabilmente una Chiesa minoritaria e depositaria di un'etica meno ingessata dai dogmi.

La Curia dovrà essere inevitabilmente riformata. Ci vorrebbe un Gregorio VII per riuscirci e forse lo troveranno. Lo scontro è ancora e sempre tra il popolo di Dio e la gerarchia. Ma chi c'è dietro Dio? La risposta (blasfema?) dei non credenti è che dietro Dio ci siamo noi uomini che l'abbiamo inventato come esorcismo contro la morte. Ma è un esorcismo che comporta comunque un altissimo senso di responsabilità individuale. Da questo punto di vista la predicazione di Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe e Maria, è un lascito prezioso cui attingere.

(17 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/esteri/2013/02/17/news/chiesa_ferita-52826660/?ref=HREC1-1
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« Risposta #407 inserito:: Febbraio 20, 2013, 11:16:29 pm »

 
Opinioni

Avanguardia da vagone letto

di Eugenio Scalfari

C'è chi sostiene che il Gruppo 63 era il vuoto assoluto. E chi invece ricorda come (dopo) i suoi artefici abbiano prodotto opere memorabili.
Ma quella rivoluzione oggi è come un trifoglio rinsecchito tra le pagine di un vecchio album

(14 febbraio 2013)

Esattamente mezzo secolo è passato dalla fondazione del Gruppo 63, la neo-avanguardia che affermò la sua presenza e la sua "poetica" (cioè il suo canone di scrittura) per cinque anni e poi fu cancellato dal Sessantotto che, nel bene e nel male, era molto più strutturato e lasciò tracce ben più visibili del suo passaggio.
Sul "Venerdì" di "Repubblica" Umberto Eco ha recentemente raccontato la nascita di quel Gruppo del quale anche lui fece parte e ne fu anzi tra i fondatori insieme ad Antonio Porta, Edoardo Sanguineti, Alberto Arbasino, Angelo Guglielmi, Alfredo Giuliani, Nanni Balestrini e molti altri. Tutti uomini. Di donne non c'è traccia, erano semmai impegnate alla rinascita del movimento femminista che poi confluì nel Sessantotto mantenendo tuttavia una netta distinzione tra il movimento studentesco e il femminismo che fu in realtà il solo vero lascito di quella rivoluzione.

UNA DONNA CHE EBBE rapporti polemici col Gruppo 63 però ci fu e ancora lo ricorda: Maria Luisa Spaziani che, intervistata da Antonio Gnoli su "Repubblica", ripete la sua totale condanna letteraria di quella "avanguardia in vagone letto" (così fu battezzata dai suoi critici e dette il titolo a un articolo di Sandro Viola che pubblicammo sull'"Espresso"): «Volevano solo far rumore, il resto era vuoto assoluto», dice a Gnoli la Spaziani.

Eco, che dà invece un giudizio positivo sull'azione di rottura culturale del Gruppo, arriva però alla stessa conclusione con parole ancor più dirette: «Eravamo sperimentalisti e volevamo soprattutto fare casino. Su questo punto eravamo tutti d'accordo, sul resto (cioè sul lavoro letterario) ognuno andò per la sua strada».
Va ricordato, per meglio inquadrare le gesta di quella neo-avanguardia, che essa coincise temporalmente con il movimento dei "figli dei fiori" che prosperò soprattutto nei campus universitari della California e di New York e con Mary Quant e la sua minigonna nelle strade di Londra e si diffuse di lì in tutto il mondo insieme ai jeans e alle donne in pantaloni.

LA NOSTRA NEO-AVANGUARDIA invece non ebbe alcun risvolto apprezzabile per quanto riguarda il costume; le sue rotture furono soltanto culturali ma, casino a parte per usare le parole di Eco, il solo risultato fu quello di sottolineare la crisi del romanzo che rivendicarono come loro merito mentre, a parer nostro, misero in evidenza un fatto già accaduto da tempo per effetto di tutt'altre cause.

Il Gruppo 63 era alquanto snobistico e molto egotico. Prese di mira quasi tutti i romanzieri di allora, specialmente Carlo Cassola e Giorgio Bassani ma anche Riccardo Bacchelli e i poeti "laureati". Perplessi ma fondamentalmente critici nei confronti di Alberto Moravia e di Pier Paolo Pasolini, dei loro contemporanei salvarono soltanto Carlo Emilio Gadda.

Non produssero opere e del resto la loro "filosofia" o poetica che dir si voglia, aveva promulgato canoni che rendevano di fatto impossibili opere compiute: predicavano che le parole avevano un senso solo in quanto singole parole e se fossero servite a costruire frasi quel senso sarebbe andato perduto.
Avevano, coerentemente con quel presupposto, abolito la punteggiatura, non c'era punto, non c'era virgola, non c'era capoverso o capitolo. Spazi bianchi, quelli sì, ma non per marcare un ritmo, una metrica, ma per disegnare sulla pagina una geometria fatta di parole anziché di linee, di cerchi, di triangoli.

L'assertore di questa poetica senza opere fu Balestrini. Gli altri, come ricorda Eco, andarono per la loro strada e di opere ne fecero, eccome!
A mezzo secolo da allora il Gruppo 63 è come un trifoglio rinsecchito tra le pagine d'un vecchio album. Nostalgia di giovinezze lontane e preavviso - questo sì - di ben più drammatiche rotture.

 
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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/avanguardia-da-vagone-letto/2200486/18
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« Risposta #408 inserito:: Febbraio 20, 2013, 11:17:10 pm »

Anche Gesù era un narcisista

di Eugenio Scalfari

L'amore di sé viene spesso demonizzato. Invece è indispensabile per vivere con fiducia, per progettare il futuro e ricordare il passato.
E alcuni grandi uomini della storia ne sono la prova

(07 febbraio 2013)


La letteratura di marca freudiana ha come personaggio principale delle sue analisi terapeutiche la figura mitologica di Narciso. Anche le grandi opere narrative ne fanno quasi sempre la figura centrale; pensate al Julien Sorel del "Rosso e Nero" di Stendhal, pensate alla "Recherche" proustiana e in tempi a noi più vicini ai personaggi in gran parte autobiografici dei romanzi di Roth e di Saul Bellow.

Ma il primo che teorizzò il dominio sull'anima umana dell'amore di sé fu il duca de La Rochefoucauld nelle sue Massime. Lo chiamava "amour propre" distinguendolo dall' "amour pour les autres" e ne enumerava i pregi e i difetti.

GLI ANALISTI FREUDIANI tendono invece a identificarlo in un disturbo psichico e hanno orientato la loro terapia a farlo emergere a livello della coscienza sperando che la consapevolezza del narcisismo nel soggetto analizzato riesca a limitarne i danni se non addirittura a eliminarlo. Questa posizione è comprensibile poiché chi si rivolge alla terapia psicoanalitica è normalmente una persona disturbata e spesso il disturbo che lo affligge è proprio il narcisismo che ha oltrepassato la soglia fisiologica diventando patologia. Si aggiunga che gran parte delle persone non sa o comunque nega risolutamente che la sua psiche sia affetta di narcisismo; nel linguaggio corrente quella parola ha un senso peggiorativo perché è sinonimo di egoismo e le persone non ammettono mai di essere egoiste, cioè di privilegiare l'io all'amore per gli altri. Su questo tema insomma quasi nessuno dice la verità salvo che sul lettino dell'analista.

L'argomento è diventato di stretta attualità da quando la pubblicistica ha scoperto che le società moderne hanno l'egoismo come caratteristica principale. In realtà hanno scoperto l'acqua calda: tutte le persone, tutte le società, tutte le corporazioni, tutte le nazioni, insomma tutti i soggetti individuali o collettivi sono egoisti, privilegiano su tutti gli altri l'amore di sé quale che sia la loro condizione sociale, sicché Narciso è la figura mitologica fondamentale, la vera e propria icona da sempre, da quando la scimmia si sollevò da terra su due gambe e il suo cervello cominciò a pensare e il suo linguaggio a pronunciare la parola "io". Non a caso l'assunto principale della filosofia di Nietzsche si esprime con la frase che ciascun individuo è il centro del mondo. Non si ritiene ma realmente è il centro del mondo poiché non può guardare il mondo, cioè tutte le cose e le persone che lo circondano, se non dal proprio punto di vista. Perciò è lui il centro e tutto il resto non è che una circonferenza o se volete la sua periferia.

HO LETTO NEI GIORNI SCORSI sulle pagine culturali di "Repubblica" un interessante articolo di Massimo Recalcati che ha proprio Narciso come tema portante. Sostiene l'importanza di guardarsi allo specchio (ma naturalmente in senso metaforico): solo guardandosi allo specchio ci si vede e ci si innamora di sé. Narciso infatti si guardava nelle acque di un lago e si innamorò a tal punto di quella sua figura che alla fine cadde nel lago e morì.

Mi par di capire che Recalcati consideri negativamente l'innamoramento di sé. Se questo è il suo pensiero e il suo giudizio, debbo dire che sbaglia e di grosso: ciascuno di noi vive in propria compagnia ventiquattr'ore su ventiquattro e guai se non amasse se stesso. La sua vita diventerebbe un inferno e non durerebbe a lungo. Chi vive a disagio con se stesso e si disistima cade quasi sempre in stati di depressione che sovente si trasformano in psicopatia e talvolta inducono al suicidio.

LA FIDUCIA IN SE' e quindi l' "amour propre" è un requisito fondamentale e deriva direttamente dall'istinto di sopravvivenza che è il fondamento di tutti gli esseri viventi, dagli animali ai vegetali. L'amore di sé e la fiducia che ne deriva sono la condizione necessaria per vivere e sopravvivere, per progettare il futuro, per ricordare il passato e celebrarlo. Il primo racconto che fonda la letteratura occidentale è l'Iliade e che cos'altro è quel poema se non l'epica degli eroi? E che cosa sono gli eroi se non dei narcisi che si specchiano nelle proprie imprese, nelle proprie vittorie, nel proprio coraggio? Narciso tuttavia non è un dio, non ha un seggio in Olimpo. Nel politeismo ellenico non esiste un dio Narciso come non esiste in nessun'altra religione. Salvo una: quella che ha come punto di riferimento essenziale anzi esclusivo Gesù Cristo figlio di Dio, che assume natura umana per assicurare la salvezza delle creature.

Il miracolo che Cristo dovrebbe compiere sarebbe quello di abolire l'egoismo. In realtà si tratta d'un tragitto amoroso al termine del quale ci sarà l'amore di tutto il mondo cristiano per Cristo Salvatore. Non suoni blasfemo se dico che Gesù di Nazareth figlio dell'uomo fu un caso stupefacente e, questo sì, miracoloso di narcisismo ottenuto attraverso il suo sacrificio e l'immenso amore che tutti i cristiani indirizzarono e indirizzano verso la sua figura.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/anche-gesu-era-un-narcisista/2199470/18
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« Risposta #409 inserito:: Febbraio 24, 2013, 04:12:05 pm »

Tramonta un sistema di patacche e bugie

di EUGENIO SCALFARI

DA QUESTA mattina fino a domani alle ore 15 finalmente si vota e sapremo fino a che punto i sondaggi hanno previsto giusto. Per quel poco che se ne sa Grillo viene dato in forte crescita  e la grande manifestazione di venerdì sera in piazza San Giovanni potrebbe farlo rafforzare ulteriormente portandolo a superare il Pdl (ma non la  coalizione di centrodestra, Lega compresa). È un pericolo?

Certo non infonde allegria sapere che un elettore su cinque o addirittura su quattro dia il suo suffragio a chi ipotizza l'uscita dell'Italia dall'euro, la cancellazione di tutti i debiti, lavoro e tutela per tutti senza indicare nessuna copertura finanziaria. Se queste ipotesi dovessero realizzarsi la speculazione internazionale giocherebbe a palla con la lira, col tasso di interesse, col sistema bancario, con gli investimenti, con l'occupazione e l'Unione europea ci imporrebbe un commissariamento che ci obblighi al rispetto del pareggio fiscale, pena l'intervento della Corte europea che commina in questi casi elevatissime sanzioni.

Ma non credo che andrà così, per due ragioni: la prima è che Grillo non avrà la maggioranza dei seggi anzi ne sarà molto lontano; la seconda che un conto è quello che le sue concioni esaltate e demagogiche declamano e un conto saranno i parlamentari eletti nelle sue liste. Di politica quei deputati e senatori ne sanno poco o niente del tutto. Nel Sessantotto lo slogan era "l'immaginazione al potere", oggi si potrebbe dire l'inesperienza al potere.

È molto peggio perché l'inesperienza politica non è un pregio. Governare un paese non è certo facile ma è facilissimo sgovernarlo. Berlusconi l'ha sgovernato (non solo per inesperienza); il grillismo lo sgovernerebbe se avesse il potere. Il grillismo in Parlamento può essere una remora utile se la rabbia approderà ad una ragionevole proposta. È possibile che questo accada almeno per una parte degli eletti.

Certo se sommiamo i voti previsti per Grillo e quelli per il centrodestra berlusconiano-leghista, potremmo avere quasi la metà degli elettori che rappresentano una zavorra molta pesante. Governare bene in un Parlamento con quel sacco di pietre addosso sarà un'impresa. Va tuttavia ricordato che, nonostante le sue molteplici nefandezze, la legge elettorale detta "porcata" nelle condizioni date offre un vantaggio: alla Camera chi vincerà avrà il 55 per cento dei seggi; il sacco di pietre sarà, in queste condizioni, più facile da sopportare.

Ci sarà comunque un uso e un abuso del "filibustering", cioè dell'ostruzionismo con l'obiettivo di tornare a votare al più presto. Ma non credo che possa durare a lungo. Molti parlamentari del centrodestra non hanno alcun interesse ad un "filibustering" sistematico e ad una legislatura breve e molti grillini-brava gente (cioè la maggioranza di quel movimento) si domanderanno dove li sta conducendo il loro inamovibile leader. Perciò non credo che il peggio accadrà.

Quel peggio  -  cioè nuove elezioni a breve scadenza  -  è una previsione di alcuni sondaggisti che fanno capo a centri finanziari internazionali: Jp Morgan, Mediobanca, Standard & Poor's, Deutsche Bank, Goldman Sachs. Si capisce perché quelle previsioni pessimistiche sulla nostra tenuta politica e sociale incontrino il favore della finanza americana e delle sue derivazioni europee: hanno interesse a disarticolare l'Eurozona trasformando l'Europa in una grande area di libero scambio e impedendo che possa diventare uno Stato federale.

Noi crediamo e speriamo invece che la grande maggioranza degli italiani comprenda la sostanza di quanto sta avvenendo e confidiamo che da queste elezioni esca un Parlamento responsabile e un governo stabile se, come sembra, sarà il centrosinistra a vincere alla Camera e a stipulare un accordo con Monti che metta in sicurezza anche il Senato.

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Alcuni osservatori ed economisti hanno osservato che l'espressione "spending review", fino a pochi giorni fa usata ripetutamente nel lessico della campagna elettorale, è improvvisamente caduta in desuetudine. E se ne sono domandati il perché senza tuttavia trovare una convincente risposta. Eppure sembrava un termine molto chiaro per indicare la strada maestra da seguire nel prossimo futuro: per diminuire la pressione fiscale venendo incontro al desiderio, anzi alla rabbia d'un popolo tormentato dai sacrifici non c'è altra via che tagliare la spesa. Si taglino dunque gli sprechi, si tagli il superfluo e si avranno le risorse per diminuire le tasse rilanciando i consumi e l'occupazione. A dirla così sembra l'uovo di Colombo, lo predica anche Draghi, lo fece una decina di anni fa la Germania socialdemocratica e poi conservatrice da Schroeder a Kohl. Non lo deve fare anche l'Italia?

Certo, la logica porterebbe a questo programma, lapalissiano per eccellenza. Ma c'è qualcosa di sbagliato, come spesso accadeva a Monsieur de La Palice: tagliare il grasso è semplice e quasi sempre salutare, ma quando si interviene su un corpo scheletrico, su un organismo logorato da una lunga anoressia, allora l'operazione diventa estremamente difficile e probabilmente dannosa all'organismo che con quei tagli dovrebbe riconquistare la salute, perché non si taglia più il grasso che non c'è ma l'osso, si disarticola lo scheletro ed è difficilissimo ed estremamente rischioso procedere in questo modo.

Tagliare l'osso significa nel caso nostro che ogni taglio di spesa, anche quando si tratta di sprechi, comporta ulteriori perdite di occupazione, licenziamenti, rescissioni contrattuali, liquidazione di aziende e di enti: ospedali, tribunali, scuole, università, Province. Se sono inutili è certamente una modernizzazione eliminarli, ma chi ci lavorava fino a quel momento finisce sulla strada. Esistono le necessarie tutele? Oggi no ma si potrebbe crearle poiché i tagli creano comunque economie e quindi risorse aggiuntive. Forse con quelle risorse (che tuttavia non saranno disponibili subito) le necessarie tutele potrebbero essere create ma in tal caso resterà poco o nulla per alleggerire le tasse e dunque: tagli di spesa, adeguamento (futuribile) delle tutele sociali per chi è rimasto senza lavoro, ma tasse come prima. Non mi sembra un gran risultato.

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Diverso è il caso di una modifica delle priorità nella spesa corrente. Per esempio il taglio di aerei ed elicotteri destinati alle Forze armate, quelle sì, sono risorse che si ottengono senza costo. Un altro intervento possibile sarebbe la cartolarizzazione di beni patrimoniali di proprietà pubblica che garantisca un'emissione di titoli pubblici "di scopo", da destinare al pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese.

Bersani ha proposto questa operazione ma limitandola ad una prova di 15 miliardi. È troppo poco, si può tranquillamente arrivare a 50 miliardi su un debito totale stimato 170. Un'operazione di questa dimensione che abbia come garanzia beni fondatamente vendibili sul mercato darebbe luogo ad una iniezione di denaro alle imprese creditrici con un salto di qualità molto notevole.
C'è un'altra operazione che il centrosinistra ha previsto e che sarebbe un altro contributo importante ai fini della crescita economica fin qui trascurata: la rimodulazione dell'Imu abolendo quell'imposta per tutti coloro che hanno pagato meno di 500 euro sulla prima casa. Si tratta di molte decine di migliaia di persone il cui piccolo contributo ha rappresentato il 20 per cento del gettito complessivo di quella imposta; l'altro 80 per cento di quei 4 miliardi complessivi l'hanno pagato contribuenti ovviamente più agiati. Ricordo ancora una volta che l'Imu è un'imposta immobiliare progressiva; la sua abolizione promessa da Berlusconi produrrebbe dunque un beneficio "regressivo" a favore dei più agiati e non dei più poveri.

Infine sarebbe di grande sollievo sociale e un notevole contributo alla crescita e all'occupazione un taglio del cuneo fiscale (lo fece nel suo governo Romano Prodi) che avvicini il costo del lavoro alla retribuzione netta in busta paga. Non si tratta di un taglio di imposta ma di contributi sociali pagati in gran parte dalle aziende ma anche dai lavoratori. L'Inps può manovrare sulle varie voci di contributi che compongono il suo bilancio per assorbire il taglio del cuneo fiscale che riguarda il lavoro dipendente. Tutte queste misure che figurano nel programma del centrosinistra dovrebbero essere accompagnate per coerenza ed efficacia economica da un aumento della produttività, realizzabile dalla revisione dei contratti che privilegino quelli aziendali purché i relativi accordi siano discussi e approvati con la partecipazione dei lavoratori dipendenti. Questi ed altri analoghi sono i modi appropriati per evitare che con tagli di spesa indifferenziati l'anoressia del sistema aumenti anziché diminuire.

Si tenga infine presente che sgravi di imposta per rilanciare i consumi possono riservare sorprese negative: secondo recenti indagini la massa dei consumatori è molto più propensa ad utilizzare eventuali sgravi per ripagare debiti o per accantonare risparmi anziché rilanciare i consumi. Perciò attenzione.

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Qualcuno si è chiesto: fa ridere di più Berlusconi o Grillo? Rispondo: nessuno dei due.
Qualcun altro si è chiesto: chi di quei due può fare più danno all'Italia? Rispondo: Berlusconi.
Altri infine hanno posto la domanda: di chi è la colpa? Ha risposto Claudio Bisio, l'attor comico per eccellenza. Ha detto: la colpa è degli italiani che li votano.

Ora aggiungo anch'io una domanda: ma perché tanti italiani li votano? Ho risposto già molte volte ma lo faccio ancora, "repetita iuvant": gli italiani non hanno mai avuto uno Stato fino a 150 anni fa. Prima di allora e per molti secoli furono dominati da Goti, Longobardi, Franchi, imperatori tedeschi, Papi e poi Normanni, Svevi, Spagna, Francia, Austria. Infine, quando tutto sembrava bene avviato, il Piemonte invase il Sud che Garibaldi aveva liberato, così lo visse il Mezzogiorno durante la terribile guerra del brigantaggio alla quale però parteciparono borbonici e sanfedisti.
Conclusione: gli italiani non hanno mai amato lo Stato, lo considerano un corpo estraneo se non addirittura un nemico. Perciò non vogliono regole. Sono furbi o gonzi come capita dovunque e a ciascuno, ma più furbi e più gonzi degli altri. L'asino che vola affascina i gonzi anche se non l'hanno mai visto volare. Per i furbi vale soprattutto il voto di scambio e lo praticano su larghissima scala, non tanto contro danari ma contro favori. Mafia e camorra hanno vissuto e vivono sul voto di scambio, ma anche le clientele, le confraternite, le corporazioni prosperano e crescono sul voto di scambio. Perciò ci vuole un cambiamento. La rabbia da sola porta inevitabilmente alla dittatura, dopo i sanculotti c'è sempre un Robespierre e dopo ancora un Napoleone.

Cambiamento non è rivoluzione ma riformismo radicale. Prodi ci provò e Veltroni anche; adesso ci proveranno Bersani e Vendola. Napolitano ci mancherà ma nominare il nuovo governo spetterà ancora a lui e questo ci dà sicurezza per la lucidità e l'imparzialità delle sue scelte e la fermezza della loro esecuzione.

(24 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #410 inserito:: Marzo 03, 2013, 05:25:08 pm »

Difficilissimo uscire dalla tempesta perfetta

di EUGENIO SCALFARI


Il nostro Presidente della Repubblica ha fatto molto bene a redarguire il leader dei socialdemocratici tedeschi per le sue dichiarazioni sulle elezioni italiane. Aveva detto che gli elettori avevano privilegiato due "clown", due pagliacci. Era una mancanza di rispetto nei confronti del nostro Paese e Napolitano gli ha risposto con fermezza e dignità. Perfino Grillo l'ha pubblicamente riconosciuto scrivendo sul suo blog "ho trovato finalmente il mio presidente". Bene, ma purtroppo che una metà degli elettori italiani abbia votato per due comici è la pura verità.

Sono due comici assai diversi tra loro, uno mescola alla buffoneria anche il disprezzo dell'etica pubblica e spesso sconfina nella criminalità; l'altro ha in mente la palingenesi cioè il mutamento totale della struttura istituzionale del nostro Paese e fa dell'etica pubblica la leva per arrivare al suo obiettivo, ma per reclutare il consenso necessario usa l'arte del buffone. L'ha detto con piena cognizione di causa Dario Fo che di buffoneria se ne intende, è il suo pane quotidiano: "Parliamo di buffoneria shakespeariana" (ricordate Yorick quando incontra Amleto che torna dall'Inghilterra e si accinge a vendicare suo padre?).

Molti dei nostri lettori mi hanno chiesto se mi aspettavo che Grillo arrivasse al 25 per cento dei voti. Sì, me lo aspettavo e l'ho anche scritto due settimane prima del voto. Ho scritto che il Movimento cinque stelle (che allora era stimato tra il 17 e il 19 per cento) avrebbe superato il 21-22 e anche più.

Perciò non mi ha affatto sorpreso il successo di Grillo. Invece mi ha sorpreso il successo di Berlusconi e la perdita di voti del centrosinistra; mi ha sorpreso la sconfitta in Campania, in Puglia e soprattutto in Lombardia.

Pensavo che il Pd si attestasse sul 30 per cento e con Vendola arrivasse al 33-34, con sei o sette punti di vantaggio rispetto allo schieramento di destra. E speravo che il voto disgiunto facesse vincere Ambrosoli in Lombardia.

Neanche questo è accaduto. La Lega ha perso un terzo dei suoi voti ma in Lombardia ha superato - pur arretrando - il centrosinistra. I voti persi dalla Lega sono andati a Grillo. Il grosso del ceto medio lombardo - salvo a Milano città - non voterà mai a sinistra, quello è un confine invalicabile. La sinistra di governo è composta da bolscevichi; turandosi il naso la maggioranza degli artigiani, delle piccole e medie imprese e delle partite Iva vota qualunque cosa ma non per i bolscevichi.

Spiace ricordarlo ma perfino Luigi Albertini vide il Mussolini del 1920 come un fenomeno da incoraggiare per ripulire l'Italia dalla sinistra e con il suo giornale lo incoraggiò molto, fino al delitto Matteotti e fino a quando quel Mussolini gli tolse la guida del Corriere della Sera.
La borghesia lombarda è un fenomeno molto complesso e assai difficile da capire.

Riassumiamo. In cifre assolute il centrosinistra ha perso tre milioni e mezzo di voti, Berlusconi ne ha persi quasi sei; Grillo ha raggiunto otto milioni e mezzo.

Bersani-Vendola hanno 340 deputati alla Camera avendo superato il centrodestra con lo 0,4 per cento. Il Senato è ingovernabile.
Quanto a Monti, il suo 10 per cento per metà gli viene da Fini (ormai scomparso dal Parlamento) e da Casini rimasto in brache di tela.
Per l'altra metà gli viene da conservatori perbene che non amano i buffoni.

Purtroppo per lui e per la democrazia italiana, il Monti politico è stato un disastro. Ha salvato l'Italia dal baratro ma l'ha messa a bollire a fuoco non tanto lento. Il popolo sovrano la sua agenda l'ha fatta a pezzi, ma l'Europa no. Questo non è un dettaglio. I buffoni (shakespeariani o no) l'hanno dimenticato. Hanno dimenticato che l'Italia non sta nella luna ma in Europa; hanno dimenticato che lo spread non è una malattia ma un termometro che misura la febbre. Possiamo buttarlo quel termometro ma la febbre resta, anzi sta aumentando. I buffoni promettono ma non manterranno perché non hanno i mezzi né le risorse. Gli elettori che li hanno votati non lo sapevano?

* * *

Circa un terzo dei voti di Grillo proviene da quei tre milioni e mezzo persi dal centrosinistra. Perché l'hanno fatto? Molti di loro hanno scritto al nostro giornale spiegando i loro comportamenti così: volevano dare una scossa al Pd, volevano che il suo spirito cambiasse, che il partito si rinnovasse da cima a fondo, ascoltasse la società, la rabbia dei giovani, la sfiducia e l'indifferenza dei lavoratori. In parte questo effetto l'hanno provocato, ma facendo pagare al Paese una situazione di ingovernabilità quale mai c'era stata dal 1947 in poi.

C'erano altri modi per provocare quella desiderata e desiderabile trasformazione? Uno sicuramente: potevano chiedere la convocazione immediata del congresso del partito e delle primarie che ne rappresentano il punto centrale; potevano - usando il web - autoconvocarsi e deliberare. Certo, ci volevano impegno e fatica. Invece hanno scelto la scorciatoia del voto a Grillo. E adesso che faranno? Come voteranno tra pochi mesi, perché così andrà inevitabilmente a finire? Se resta il "porcellum" Grillo probabilmente avrà la maggioranza assoluta oppure l'avrà Berlusconi con la conseguenza della perdita d'ogni credibilità del nostro Paese rispetto all'Europa.

Quando si vota con la pancia e si imboccano le scorciatoie accade quasi sempre il peggio e noi siamo nel peggio, più vicini allo sfascio che ad una palingenesi creativa.

Alcuni grandi imprenditori del Nord fanno anch'essi tifo per Grillo e sperano che conquisti la maggioranza assoluta. Personalmente non mi stupisce.

Perfino la Goldman Sachs sembra soddisfatta del risultato elettorale italiano.

Domandatevi il perché di questo consenso: un crollo politico italiano disarticolerebbe l'Europa e l'euro.
Ripeto: l'Italia non sta nella luna ma in Europa. L'Europa va costruita e noi siamo, dovremmo essere, uno degli attori di prima fila di questa costruzione. Ma siamo passati da Altiero Spinelli, da De Gasperi, da Prodi, da Ciampi, da Padoa Schioppa, a Grillo e a Casaleggio. Shakespeariani forse ma comunque buffoni.
Non si va molto lontano su questa strada.

* * *

Per fortuna c'è Napolitano, ma ancora per poco, il suo mandato scade il 15 maggio ma fin dal 15 aprile il "plenum" del nuovo Parlamento comincerà a votare per eleggere il suo successore. Nel frattempo spetta a lui la nomina d'un nuovo governo che possa disporre d'una solida maggioranza parlamentare.

Il 15 marzo si riuniranno le nuove Camere. Dovranno innanzitutto proclamare gli eletti e poi costituire i gruppi parlamentari, eleggere i presidenti delle due assemblee, i vicepresidenti, i questori, le Commissioni.
Solo a quel punto, che comunque sarà molto meno facile da raggiungere visto che il Senato è privo di maggioranza, Giorgio Napolitano inizierà le consultazioni.

Prassi vorrebbe che dia a Bersani l'incarico di verificare se può realizzare al Senato una maggioranza solida sulla base d'un programma che metta al primo posto la riforma elettorale e una politica economica ed europea che punti sulla crescita, fermo restando il pareggio del bilancio e il rispetto del fiscal compact che è una legge europea già ratificata dal Parlamento italiano.

Riuscirà Bersani a portare a casa questo risultato che per legittima decisione dei Pd ha come unico destinatario il Movimento cinque stelle?
A meno che Grillo e Casaleggio capovolgano la loro strategia, la risposta è negativa.

A quel punto Napolitano avrà la sola strada di nominare un governo tecnico e politicamente neutrale con lo stesso programma affidato ma non realizzato da Bersani: legge elettorale, politica economica di crescita nel quadro degli impegni europei. Il governo del Presidente illustrerà quel programma e chiederà il voto a chi ci sta.

Questo è il quadro che ci aspetta. Poi si passerà all'elezione del nuovo Presidente della Repubblica e anche questa non sarà una facile impresa.

Essendo stato tra i primi, molti mesi fa, a proporre una riconferma di Napolitano e avendogli poi promesso di non ripetere mai più quella proposta, mantengo con rammarico la parola data; ma un punto deve tuttavia essere chiarito. Napolitano ha correttamente osservato che la Costituzione non prevede una prorogatio del capo dello Stato. Non esclude la rielezione per sette anni ma Napolitano ha ricordato che nel 2020 di anni ne avrebbe 95, perciò l'anagrafe esclude questa ipotesi e conferma la sua decisione di passare la mano.

Tutto esatto salvo che il Presidente in carica può dimettersi in qualsiasi momento del suo settennato. L'ha fatto il Papa, mettendo a rischio lo Spirito Santo che l'aveva scelto al momento del Conclave. Molto più agevolmente può dunque farlo un capo di Stato quando il Paese sia uscito dalla tempesta perfetta nella quale si trova. Ciò detto, poiché il Presidente non vuole, nessuno lo tenga per la giacca e noi meno che mai.

(03 marzo 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #411 inserito:: Marzo 10, 2013, 11:19:44 am »

Il rebus che il Colle dovrà risolvere


di EUGENIO SCALFARI

IN QUESTI giorni di fitta nebbia politica la domanda che domina tutte le altre riguarda Giorgio Napolitano. Le ipotesi sono molte e contraddittorie poiché per saperlo bisognerebbe entrare nella testa del Capo dello Stato, e dunque soltanto la logica può suggerire la risposta. Napolitano, nel suo recente incontro con la Merkel, ha rassicurato la Cancelliera dicendo che l'Italia avrà sempre un governo in grado di governare. Sembra un'affermazione ovvia, ma non lo è. Significa che il Presidente, cui spetta di nominare il premier, non farà salti nel buio e non nominerà un governo che non abbia una maggioranza parlamentare. Perciò da qui bisogna partire per svolgere correttamente la nostra analisi logica.

Il 19 marzo, dopo che le Camere avranno costituto i gruppi parlamentari, le commissioni previste dai regolamenti e le rispettive presidenze, inizieranno le consultazioni al Quirinale, dopo di che Napolitano incaricherà Bersani, leader del centrosinistra che ha la maggioranza assoluta alla Camera e la maggioranza relativa al Senato.

Non sarà un incarico "esplorativo" che in certe occasioni viene affidato al presidente del Senato o ad altra personalità istituzionale. Sarà un incarico di "scopo": deve verificare se attorno al suo nome e al suo programma sarà possibile formare una maggioranza. Se il risultato sarà positivo Bersani otterrà la nomina, se sarà negativo no, nominare un governo
minoritario sarebbe quel salto nel buio che Napolitano ha escluso.

Che cosa accadrà a quel punto, quando il calendario segnerà più o meno la fine di marzo? Teniamo presente che il 15 aprile il "plenum" del Parlamento si riunisce per eleggere il nuovo Capo dello Stato e quello attuale decade da ogni funzione anche se fino al 15 maggio resta titolare del ruolo. Titolare ma ingessato a tutti gli effetti.

Dal 26-27 marzo al 15 aprile a Napolitano restano dunque una ventina di giorni. In quel limitato spazio di tempo dovrebbe perciò nominare un governo con un premier che non sarà più Bersani, capace di realizzare quella maggioranza che il leader del centrosinistra non ha ottenuto ma che tuttavia dovrebbe esser gradito anche al centrosinistra senza il quale nessuna maggioranza si può formare.
Questo è il problema che Napolitano dovrebbe risolvere nella ventina di giorni a sua disposizione. A questo punto l'analisi si sposta dall'attuale Capo dello Stato alle forze politiche che siedono in Parlamento.

* * *

Movimento 5 Stelle. L'obiettivo che si propone è ormai chiarissimo (salvo il colpo di scena di una rivolta degli eletti rispetto alle indicazioni dei due proprietari del movimento stesso). Vuole la palingenesi politica, cioè il rovesciamento della Repubblica parlamentare nella sua architettura modellata dalla Costituzione. Nel caso specifico palingenesi significa puntare sul "tanto peggio tanto meglio". Perciò il folto battaglione dei parlamentari 5 Stelle dirà di no ad ogni governo che non sia il suo; ma con il 25 per cento di seggi un governo 5 Stelle è impossibile, a parte le reazioni dell'Europa e dei mercati.
Potrebbe accettare un governo guidato e composto da persone affidabili dal suo punto di vista? Un governo del tipo di quello immaginato da Santoro? Cioè del tutto svincolato dagli impegni europei?
Non credo che il Pd lo voterebbe ma soprattutto non credo che Napolitano lo nominerebbe, non sarebbe nemmeno un salto nel buio ma un suicidio vero e proprio.

Allora, per completare la nostra analisi, resta soltanto l'ipotesi d'un governo istituzionale o del Presidente come si usa chiamare nel lessico corrente. Molti pensano che sia questa l'ipotesi di Napolitano.

* * *

Una siffatta soluzione - che per le ragioni già esposte esclude l'approvazione delle 5 Stelle - dovrebbe ottenere la fiducia del centrosinistra, di "Scelta civica" e del Pdl perché in mancanza di quest'ultimo la maggioranza al Senato non c'è.

L'accordo del centrosinistra con il Pdl è del tutto improbabile, configurerebbe una spaccatura della coalizione ed anche dello stesso Pd. Ma è anche improbabile dal punto di vista di Napolitano.
Berlusconi è stato proprio in questi giorni condannato ad un anno di reclusione per violazione di segreto istruttorio; ma queste sono quisquilie, ben altro lo aspetta. Il 23 marzo la Corte d'appello di Milano emetterà sentenza di secondo grado nel processo sui diritti cinematografici Mediaset (false fatturazioni, falso in bilancio, costituzione di fondi neri all'estero, frode fiscale). Potrà emendare o annullare o confermare la sentenza di primo grado che ha condannato Berlusconi a 4 anni di reclusione.

A fine mese arriverà anche la sentenza del processo Ruby (concussione e prostituzione minorile). Nel frattempo si profila un rinvio a giudizio della Procura di Napoli che indaga sulla corruzione e il voto di scambio (De Gregorio, Lavitola e compari). Il tutto è anche complicato dalla vertenza al calor bianco tra Berlusconi e i suoi legati da un lato e i tribunali dall'altro provocata dalla presunta impossibilità di Berlusconi a partecipare ai processi che lo riguardano.

Si può lontanamente immaginare che Napolitano faccia un governo istituzionale "baciato" dalla fiducia di un centrodestra guidato da Berlusconi? Certamente no anche perché sarebbe inutile dato che il Pd esclude quest'ipotesi già da un pezzo.

Ci sono però due subordinate. La prima è che il Pdl esploda in mille pezzi e una parte di essi confluisca con "Scelta civica" che diventerebbe in tal modo determinante per raggiungere la maggioranza in Senato insieme al Pd. Una seconda ipotesi è che il Pdl decida di dare il benservito a Berlusconi; un benservito vero e non soltanto apparente.
Questa seconda ipotesi mi sembra da escludere. La prima invece è possibile. Soltanto a quel punto un governo sarebbe possibile e potrebbe anche avere lunga durata sempre che fosse accettabile. Ma presieduto da chi e composto come?

Personalmente penso che un governo di tal genere debba affrontare i marosi d'una recessione sempre più acuta ed essere pienamente credibile in Europa, ma non possa avere carattere istituzionale, non possa essere un governo d'un Presidente uscente ma debba essere nominato dal nuovo inquilino del Quirinale.
Dopo aver tentato le soluzioni in suo possesso, a Napolitano resterebbe la sola via di lasciare Monti a Palazzo Chigi per l'ordinaria amministrazione che tra l'altro dovrà essere scavalcata almeno su un punto necessario e urgentissimo affinché il "credit crunch" non porti la nostra economia a completa rovina: il pagamento di 50 miliardi da parte del Tesoro alle imprese creditrici.
Il governatore Visco ha lanciato due giorni fa il suo allarme, le rappresentanze delle imprese invocano un'immediata iniezione di liquidità. Tecnicamente ci sono vari modi per renderla possibile, a cominciare dalla cartolarizzazione di beni dello Stato appetibili e vendibili, che servano da garanzia ad obbligazioni scontabili dalle banche e/o dalla Bce direttamente.
Francamente non vedo altre soluzioni per impedire che il "tanto peggio tanto meglio" distrugga lo Stato e le istituzioni repubblicane.

Naturalmente il futuro governo, cioè il primo nella nuova legislatura, dovrà mettere mano come prima misura alla modifica della legge elettorale puntando sui collegi uninominali a doppio turno e ai costi della politica utilizzando gran parte dell'agenda Bersani che merita d'essere tradotta in altrettanti provvedimenti legislativi.
Per il presidenzialismo bisogna fare un discorso a parte. Rappresenta un mutamento radicale della nostra architettura repubblicana, che non può esser certo realizzato come un qualsiasi emendamento di quelli previsti dall'articolo 138, ma neppure con una legge costituzionale. La Corte la invaliderebbe perché contraria allo spirito della costituzione vigente che, non a caso, esclude la possibilità di abolire la Repubblica.
Un presidenzialismo modifica a tal punto quell'architettura da rendere indispensabile la completa riscrittura della Costituzione. La può fare soltanto una nuova Assemblea costituente. Si può anche imboccare quella via ma un'altra strada non c'è.

* * *

Mentre in Italia accadono questi eventi che tutti ci riguardano, dopodomani si radunerà il Conclave per l'elezione del nuovo Pontefice: curioso destino questo mutamento di scenari che avvengono contemporaneamente in due potenze conviventi e distinte: lo Stato e la Chiesa.
Domenica prossima il Conclave sarà probabilmente già concluso e il nuovo Papa avrà già preso possesso del soglio petrino. Qui possiamo soltanto ricordare due verità, già ampiamente esaminate nei giorni scorsi dal nostro giornale.

La prima: le dimissioni di Benedetto XVI hanno testimoniato che il Papa non è il Vicario di Cristo in terra ma un uomo investito dell'altissima funzione di guidare una comunità di credenti che si estende su tutto il pianeta in convivenza con altre religioni o filosofie religiose.
La seconda: Ratzinger ha constatato di non avere più le forze fisiche e mentali per rinnovare la Chiesa come è necessario ed ha anche ricordato che il volto attuale della Chiesa è stato imbrattato e va dunque ricostruito dalle fondamenta.

Il Conclave si apre dunque in presenza di questi problemi. La Curia farà di tutto per pilotarlo in modo da evitare che quel rinnovamento si compia. Punterà su un Papa "curiale" e verticista, si chiami Pio XIII o addirittura Gregorio riferendosi a quell'Ildebrando da Soana che fu il vero costruttore del regno assoluto del Papa.

Oppure, se il bisogno di rinnovamento prevarrà, potrà chiamarsi Giovanni XXIV o Francesco. Sarebbe il primo con questo nome e c'è tra i papabili anche un cardinale cappuccino, Patrick O'Malley che ha tutte le caratteristiche pastorali delle quali la Chiesa sembra avere urgente bisogno. Da non credente interessato mi auguro che la scelta sia quella che sembra la più idonea a suscitare un vento di spiritualità necessario a migliorare la società e ciascuno di noi, credenti o non credenti.
 

(10 marzo 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #412 inserito:: Marzo 14, 2013, 11:24:29 pm »

Opinione

Popoli dalla memoria corta

Eugenio Scalfari

(28 febbraio 2013)

In molti miei scritti, motivati dall'attualità elettorale, ho cercato di definire i pericoli che i movimenti ispirati dal populismo possono creare alla democrazia, cioè alla libertà degli individui di esprimere le proprie idee e di partecipare alla loro realizzazione. Ho anche aggiunto che il populismo, quando penetra e affascina una parte rilevante del popolo, finisce per sboccare in forme dittatoriali o comunque autoritarie che sopprimono o deformano la democrazia. Infine ho constatato, ripercorrendo alcune situazioni storiche esemplari, che questi processi si sono verificati con frequenza nell'Europa moderna.

PER QUANTO RIGUARDA L'ITALIA casi del genere sono stati molto frequenti. Si tratta di una caratteristica derivante in gran parte dalla storia di un paese che per secoli e secoli è stato conquistato, invaso, distrutto, ma anche ricostruito da potenze esterne; di fatto una sorta di colonia, dopo aver a sua volta dato vita a uno dei più grandi imperi della storia del mondo e a una cultura che ha promosso le arti e le lettere in tutta l'Europa.

Un destino dunque molto ricco di contraddizioni, con una costante però che cominciò dalla fine della civiltà romana: il servaggio e la mescolanza delle etnie. Si avvicendarono sulla Penisola o su parti di essa Arabi, Normanni, Svevi, Bizantini, Unni, Goti, Visigoti, Longobardi, Franchi e poi la Francia, la Spagna, l'Impero, l'Austria. Il centro geografico del nostro paese fu sede del potere temporale dei Papi e questo fu un altro fattore che impedì l'unificazione politica di quella che fin dal XIII secolo la letteratura chiamò Italia ma che si realizzò come tale soltanto dal 1861, quando già tutti gli altri paesi d'Europa avevano da almeno quattro secoli (ma alcuni molto di più) la loro piena unità politica.

Questi elementi dominanti nella nostra storia, che hanno ritardato la nascita dell'unità, hanno inevitabilmente alimentato sentimenti di indifferenza, timore, odio verso il potere alla cui gestione il popolo (o plebe come si diceva) non ha mai partecipato. Ma neppure le esili minoranze elitarie vi partecipavano se non a titolo di cortigianerie subalterne e ossequienti al potere di turno.

Di qui nasce la tendenza al trasformismo, al populismo, a una condizione servile e al tempo stesso fenomeni diffusi di brigantaggio, rivolte violente quanto effimere, odio contro le regole, rivalità locali, faide tra famiglie e collettività, organizzazioni segrete, mafie e altre formazioni analoghe che imponevano proprie regole e proprie strutture di dominio.

Fu una storia, la nostra, nel corso della quale abbondano le dittature, interrotte da rivolte vandeane, domate da altre dittature. La democrazia, quando con grave ritardo si affermò finalmente anche da noi, fu fragile e precaria. La sua storia ha proceduto a balzelloni e ancora in tempi recenti è sempre stata agitata e spesso insidiata da tentazioni demagogiche e plebiscitarie.

Ma i rischi che gli eccessi di violenza e di demagogia sbocchino nelle dittature non sono stati vizi soltanto italici ma fenomeni universali. Il caso più esemplare di tutti fu fornito dalla Rivoluzione francese. Più esemplare perché quella fu la rivoluzione per eccellenza, che ha plasmato da oltre due secoli la storia di tutto l'Occidente.

Durò oltre cent'anni quella rivoluzione se si includono i suoi esordi culturali ed economici e i suoi postumi. Alla metà del Settecento l'Illuminismo rinnovò alle radici il pensiero e pose le premesse di un radicale mutamento politico ed economico. Nel 1789 scoppia una rivoluzione liberal-democratica che istituisce una monarchia costituzionale e poi una repubblica con tipologie borghesi. Ma appena due anni dopo, a Parigi, la demagogia mobilita la piazza; la violenza diventa sistematica con connotati anarcoidi, fino a quando sbocca nella dittatura di Robespierre e del Terrore. A quello robespierrista subentra dopo altri due anni la dittatura e il terrorismo reazionario del Termidoro e dopo cinque anni la dittatura militare di Napoleone che dura vent'anni, dopo i quali subentra la restaurazione della vecchia monarchia. E poi, in veloce sequenza, la monarchia borghese, la rivoluzione del Quarantotto, il secondo Impero, la guerra perduta con la Germania, la Comune di Parigi.

QUESTA E' LA SEQUENZA , che impegnò l'Europa intera e ne marcò la storia. Quel che venne dopo alternò fasi di libertà a regimi totalitari, guerre e genocidi. Ne siamo usciti finalmente da settant'anni, ma debolezze e deformazioni non sono del tutto sparite. I popoli hanno memoria corta e le classi dirigenti sono quelle che i popoli si meritano. Speriamo nel meglio ma non dimentichiamoci il peggio che l'ha preceduto.

da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/popoli-dalla-memoria-corta/2201430/18
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« Risposta #413 inserito:: Marzo 15, 2013, 06:31:29 pm »

Un prete di strada

di EUGENIO SCALFARI

PAPA Wojtyla fu ricordato e venerato dai fedeli per aver detto, a conclusione del suo primo discorso pronunciato dal balcone del palazzo apostolico pochi minuti dopo la sua elezione: "Se sbaglio, mi corrigerete". Il nuovo pontefice Jorge Mario Bergoglio resterà nella memoria collettiva per due frasi dette in analoga circostanza: "Mi hanno trovato alla fine del mondo" e poi "ho perdonato i miei carissimi cardinali per avermi eletto".

Gli era già capitato nel Conclave di otto anni fa d'esser stato scelto per contrastare Ratzinger. Senza la sua presenza l'ex papa sarebbe stato eletto al secondo scrutinio, invece ce ne vollero quattro e fu lo stesso Bergoglio e suggerire ai suoi elettori di votare Ratzinger per evitare che spuntasse il cardinal Ruini. Analogo suggerimento aveva dato ai suoi elettori Carlo Maria Martini.
 L'elezione di Bergoglio è stata vista da molti osservatori come la continuazione del pontificato di Benedetto XVI. C'è una parte di verità in questo modo di giudicare l'esito del Conclave: senza l'abdicazione del suo predecessore e la denuncia del malgoverno della Curia oggi non avremmo papa Francesco; ma la sostanza dell'evento non è questa, anzi è il suo contrario: papa Francesco è esattamente l'opposto di Benedetto per almeno quattro ragioni.

La prima è la scelta del nome, la seconda l'insistenza del nuovo Pontefice sulla sua funzione di Vescovo di Roma, la terza sulla pastoralità come rivendicata missione, la quarta la sua provenienza dalla "fine del mondo". Esaminiamole con attenzione queste ragioni perché saranno loro a definire la figura di papa Bergoglio e a determinarne le decisioni.

* * *
In un articolo pubblicato da Repubblica il 12 febbraio scorso, all'indomani delle dimissioni di Benedetto XVI, e poi in un altro articolo di domenica scorsa, avevo già posto la questione del nome che il futuro papa avrebbe potuto scegliere secondo l'esito del Conclave e la figura dell'eletto.

Avevo scritto: "Se la vittoria andrà ad un papa curiale e verticista il nome prescelto potrà essere quello di Pio XIII, ma se invece prevarrà un disegno di rinnovamento, potrà chiamarsi Giovanni XXIV o meglio ancora Francesco, un nome mai usato finora in duemila anni di storia della Chiesa".
Il nome del fondatore dell'Ordine francescano scelto da un gesuita, sembra una contraddizione in termini invece non lo è, anche Carlo Maria Martini era gesuita e molti furono i membri della compagnia di Gesù a condividere le tesi della teologia della liberazione che portò addirittura in politica i diritti dei deboli, dei poveri e degli esclusi. Il gesuita Bergoglio non era un teologo e non lo è mai stato, ma era un "prete di strada" e lo è stato fino a pochi giorni fa, un prete itinerante, quasi mai vestito con l'abito talare e spesso senza neppure col clergyman; abitava in un appartamento modesto, si postava in tram o in treno, ha studiato e lavorato come un giovane qualsiasi, il padre era un ferroviere, veniva dal Piemonte. Questa è la sua storia, molto più vicina a quella del santo di Assisi che ad Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù.

* * *
Francesco I ha molto insistito sulla sua titolarità della diocesi di Roma. Nel discorso d'investitura dal balcone del palazzo papale non si è mai designato come Pontefice ma sempre come Vescovo. Quest'aspetto è della massima importanza. Il papa è stato finora considerato come il Vicario di Cristo in terra ed infatti quando parla ex cathedra su questioni di fede la sua parola è infallibile come decretò il Concilio Vaticano I del 1868. Questo punto è ancora l'ostacolo che ha impedito l'unificazione tra i cattolici da una parte e gli anglicani e gli ortodossi dall'altra.

Queste confessioni cristiane sarebbero pronte a riconoscere la supremazia del Vescovo di Roma come primus inter pares ma non quella di Vicario di Cristo in terra. Si tratterebbe d'un mutamento epocale perché l'ordinamento verticista della Chiesa tende a trasformasi in un ordinamento "orizzontale"; diminuirebbe il potere del papa e della curia, aumenterebbe quello dei Concili e dei Sinodi, cioè dei vescovi.

Questo è il vero punto centrale che ha raccolto intorno al "prete di strada" di Buenos Aires la grande maggioranza dei cardinali sotto le volte della Sistina e fu anche il fulcro del pensiero di Carlo Maria Martini e la ragione della sua amicizia con Bergoglio. E questa fu anche, cinquant'anni fa, l'apertura del Vaticano II verso il futuro. La pastoralità e l'evangelizzazione escono rafforzate da questa visione d'una Chiesa affidata ai vescovi e ai preti con cura d'anime e quindi apostolica, militante e missionaria. Anche il ruolo dei laici e dei diaconi ne esce rafforzato, con una serie di conseguenze a grappolo: il celibato dei preti, il ruolo delle donne nella Chiesa, l'ecumenismo verso le varie confessioni cristiane e le altre religioni monoteiste - l'ebraismo e l'Islam - i contatti con i non credenti.

Infine, il problema dei "principi non negoziabili". Fu il cavallo di battaglia del post-temporalismo ed anche di Benedetto XVI che non a caso fece del relativismo illuminista l'avversario principale della sua visione teologica e politica. Per il "prete di strada" che ha preso il nome del santo che parlava con i poveri, con i fiori, con gli uccelli, con i lupi e con "sorella morte corporale" non possono esistere principi non negoziabili se non quelli dell'amore del prossimo e della carità.

* * *
Infine: c'è un Papa che viene dalla "fine del mondo", non è italiano anche se lo sono le sue origini familiari, non è europeo. È la prima volta che ciò accade ma in realtà la provenienza dall'America Latina corrisponde alla centralità del mondo cattolico. L'Europa è ormai completamente secolarizzata, per la Chiesa può essere terra di missione e di evangelizzazione, ma con scarse probabilità di successo: chi si distacca da un credo monoteistico è molto difficile che vi rientri.
Non a caso il cattolicesimo prospera in Sud America e nelle comunità africane. Terre di poveri e di esclusi.

Questa è la missione. Probabilmente Francesco utilizzerà soprattutto i Sinodi, i Concistori e le Conferenze episcopali come strumenti per rinnovare il quadro della cattolicità apostolica. La politica politichese interesserà sempre meno la Santa Sede e meno che mai quella italiana. L'importanza delle Conferenze episcopali sarà sempre più connessa alla spiritualità e alla pastoralità e molto meno alla temporalità. E poiché la Cei è la sola il cui presidente viene nominato dal Papa anziché dai vescovi, è assai probabile che dall'imminente nomina esca un nome che interpreti questi elementi di novità. Ho cercato di indicare quelli che a me sembrano i contenuti più probabili del nuovo pontificato, che interessano i credenti, i fedeli di altre confessioni e religioni e i non credenti che dell'amore del prossimo e delle anime pellegrine fanno gran conto.

(15 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/esteri/2013/03/15/news/prete_strada-54593668/?ref=HRER3-1
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« Risposta #414 inserito:: Marzo 17, 2013, 11:31:42 am »

Quei segnali in arrivo dai 5Stelle

di EUGENIO SCALFARI

DA MOLTI anni non mettevo più piede a Montecitorio, è passato tanto tempo da quando nel 1968 entrai in quel palazzo da deputato e prima e dopo più volte da giornalista.
Ancora ricordo l'incontro che feci in Transatlantico con Giorgio Amendola. Mi accolse con affetto, ci conoscevamo bene fin dai tempi dei convegni organizzati dal "Mondo".
Mi diede il benvenuto, "c'è bisogno di facce nuove", mi disse ma poi aggiunse: "Resterai deluso perché qui noi costruiamo castelli di sabbia, neppure bagnata".
Non era una prospettiva incoraggiante costruire castelli con la sabbia secca, eppure in quelle stanze, in quei corridoi, in quell'aula c'erano i rappresentanti del popolo sovrano e questo mi dava orgoglio e speranza. Ieri ci sono tornato. Volevo respirare l'aria che tira nel momento in cui le facce nuove e giovani sono il settanta per cento dei deputati e le donne poco meno della metà. M'è sembrato che la curiosità fosse il sentimento dominante che animava tutti, insieme ad un certo imbarazzo sul contegno da assumere verso gli altri, i giornalisti anzitutto, ma anche i funzionari della Camera e i commessi nella loro divisa.

Curiosità, imbarazzo, timidezza. Distinguere tra quei giovani i grillini di 5Stelle non era affatto facile. Di loro si parla come "marziani", ma marziani sembravano quasi tutti.
Sono andato in sala di lettura a sfogliare i giornali e lì si è avvicinato uno di quei giovani. "Volevo salutarla - mi ha detto  -  Lei ci tratta molto male nei suoi articoli ma io mi sono formato leggendola fin da quando ero al liceo, mio padre portava Repubblica a casa e me la dava. Leggi con attenzione  -  mi diceva  -  leggi le pagine della cultura e dell'economia, ti aiuteranno a capire qual è il mondo in cui dovrai vivere e lavorare".

L'ho ringraziato invitandolo a sedersi. Ha voglia di scambiare qualche parola con me? Spero che non le crei problemi. "Nessun problema, anche se la mia posizione politica è quella del nostro Movimento, perciò lei la conosce già". Infatti, non ho domande politiche da farle, vorrei invece capire quali sono i suoi sentimenti ora che è arrivato fin qui. Lei guarda con interesse il lavoro che l'aspetta? "Sì, certamente, siamo qui per questo". Pensa che durerà a lungo oppure si augura nuove elezioni che forse vi darebbero più forza di oggi?
"Credo che ci siano molte cose utili da fare, soprattutto per quanto riguarda la moralità pubblica, il lavoro precario e il sistema fiscale. Queste riforme non possono aspettare, la gente ci ha votato per realizzarle. Quando saranno state fatte si tornerà al voto".

Non potrete farle da soli le riforme che avete in programma. "Certo, ma non saremo noi a cercare gli altri, sarà il popolo ad imporle". Siete contro l'Europa? "Siamo europeisti ma vogliamo un'Europa dei popoli non della burocrazia e dei ricchi". Lei parla un linguaggio di sinistra. Posso chiederle chi ha votato cinque anni fa? "Non ho votato". Non ha mai votato prima che nascesse il grillismo? "Non lo chiami così. Dieci anni fa votai per Berlusconi ma presto mi sono accorto di aver sbagliato". Non mi sembra che la lettura dei miei articoli abbia avuto molto effetto su di lei. "Non è così, capii alcune cose che mi sono rimaste bene fisse nella mente: l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la libertà di ciascuno, i diritti di cittadinanza. Le 5Stelle vogliono queste cose, i partiti esistenti le vogliono a parole ma non le hanno tradotte in fatti, perciò con loro non collaboreremo, ma accetteremo i loro voti se ce li daranno". Non importa da dove verranno? "No, non importa". Qual è stato il suo lavoro finora? "Ho fatto volontariato per servizi all'estero dove ci sono i caschi blu dell'Onu.
Sono stato in Libano e anche in Kenya". Ed ora è un cittadino di 5Stelle. "Già e mi sembra molto coerente col mio lavoro". Non ha figli? "No, non ancora". Un personaggio storico che sente vicino? "Direi Papa Giovanni ma adesso la saluto, sento suonare il campanello, si vota". Lei è credente? "Lo sono a modo mio" e se ne andò correndo verso l'ingresso dell'aula.

***

Poche ore dopo le due Assemblee parlamentari hanno eletto i loro Presidenti, Laura Boldrini alla Camera e Pietro Grasso al Senato. Bello il discorso di insediamento della Boldrini, bellissimo quello di Grasso, la cui elezione è stata tanto più importante perché resa più solida dall'apporto di dodici voti provenienti dai neo-senatori del Movimento 5Stelle.
Era un fatto atteso da alcuni e del tutto imprevisto da molti altri. Non è la rottura del gruppo grillino ma il segnale di una sua evoluzione che potrebbe rendere costruttivamente utile l'inserimento di quel gruppo nelle istituzioni.

Pierluigi Bersani ha avuto l'intuizione di candidare alla presidenza delle due assemblee parlamentari due personaggi del tutto nuovi alla politica e il Partito democratico, anch'esso fortemente rinnovato nella sua rappresentanza, ha risposto con apprezzabile compattezza. Questo risultato non risolve il problema del governo ma segna comunque una tappa essenziale verso una discontinuità che sia creativa e serva ad un cambiamento profondo dell'etica pubblica e della solidarietà sociale.

Nel suo discorso subito dopo l'elezione Pietro Grasso ha ricordato alcuni nomi di riferimento: Aldo Moro, del cui rapimento ricorreva ieri la data; il suo punto di riferimento nel palazzo di giustizia di Palermo, Antonino Caponnetto; la moglie di uno degli agenti di scorta caduti con Falcone nella strage di Capaci ed ha inviato il saluto di tutto il Senato a Papa Francesco che appena poche ore prima aveva evocato una Chiesa povera a servizio dei poveri. A ciascuno di quei nomi l'intera assemblea ha tributato in piedi lunghi e intensi applausi.
Purtroppo c'era nell'aula un settore dell'emiciclo semivuoto e non è stato bello vedere quelle assenze.

L'ultimo e forse e più prolungato applauso è stato per Giorgio Napolitano, la cui presenza istituzionale in questa vicenda è stata decisiva. Senza il suo intervento che ha fermato l'iniziativa di Mario Monti di candidarsi al Senato abbandonando il governo in un momento di particolare delicatezza economica e sociale, non potremmo celebrare oggi il risultato positivo che si è verificato.

***

Può darsi che ora dopo le consultazioni che avverranno al Quirinale a partire dal 20 prossimo, un governo Bersani possa formarsi con la solidità necessaria, ma può darsi anche di no, nel qual caso spetterà al Capo dello Stato nominare un nuovo governo che possa riscuotere un ampio e solido consenso parlamentare.

Credo che non debba esser composto da professionisti della politica ma da persone tratte dalla società civile con le necessarie competenze che ogni governo richiede: economiche, giuridiche, culturali.

Nel frattempo i partiti debbono profondamente trasformarsi diventando o ri-diventando strutture di servizio della società, canali di comunicazione tra i cittadini e le istituzioni, tra i legittimi interessi particolari e quello generale del quale tutte le istituzioni a cominciare dallo Stato debbono essere portatrici.

Elezioni ravvicinate non sono un bene per questo Paese; comporterebbero un prolungato periodo di incertezza che aggraverebbe oltremodo la nostra posizione in Europa con le relative conseguenze sulla nostra già disastrata economia. Un governo solido è dunque estremamente auspicabile e spetta soprattutto al centrosinistra renderlo possibile.

(17 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/17/news/segnali_cinque_stelle-54726364/?ref=fbpr
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« Risposta #415 inserito:: Marzo 19, 2013, 05:55:23 pm »

Opinioni

E Casaleggio distrugge l'Universo

di Eugenio Scalfari

«Un mio amico mi ha raccontato il suo pranzo insieme al guru del M5S. Che passava il suo tempo con un videogioco il cui scopo era polverizzare  le galassie usando gas e altri elementi...»

(19 marzo 2013)

Un mio amico di cui non farò il nome ha avuto occasione di pranzare recentemente con Casaleggio. Non capita a tutti, il socio di Beppe Grillo fa vita ritirata, frequenta soltanto le sue vecchie conoscenze e qualcuno degli attivisti più fedeli del Movimento 5 Stelle.

Il racconto di questo pranzo è abbastanza sconvolgente ed è il seguente. Dopo alcune parole di reciproca cortesia i due commensali sono stati serviti e hanno cominciato a mangiare. Il mio amico poneva a Casaleggio domande politiche facilmente immaginabili: che cosa sono le 5 Stelle, che cosa vogliono veramente, come e dove pensano di trovare le risorse necessarie per finanziare i loro progetti, qual è la loro posizione rispetto all'Europa e all'euro e anche di fronte alle altre forze politiche con le quali dovranno ormai convivere in Parlamento.

Il suo commensale rispondeva con poche parole ma tra una portata e l'altra guardava il suo modernissimo telefonino seguendo su di esso un programma di videogiochi; raramente il suo sguardo si posava sul suo interlocutore.

Il mio amico, non riuscendo a ottenere risposte esaurienti, adottò il metodo di rispondersi da solo con un punto interrogativo per consentire a Casaleggio di esprimere il suo pensiero con un sì o con un no. A un certo punto il mio amico gli disse: «Dove vi siederete alla Camera e al Senato?». La risposta fu: «Lo decideranno i funzionari del Parlamento». L'altro suggerì: «Potreste imitare i montagnardi francesi che nell'aula della Convenzione del 1792 scelsero tutti i seggi più alti da destra al centro e a sinistra, due o tre file al di sopra di tutti che abbracciavano però l'emiciclo; che gliene pare?». «Certo è un'idea», gli rispose Casaleggio senza staccare lo sguardo dal videogioco che attirava tutta la sua attenzione.

A questo punto il suo interlocutore per uscire da un crescente disagio che stava diventando irritazione, gli chiese che cosa fosse quel videogioco che lui stava guardando con tanto interesse. «Deve essere una cosa di estrema importanza per lei. Mi permette di guardarlo anch'io e mi spiega di che cosa si tratta?». La risposta fu finalmente cordiale: «Venga pure accanto e me e le spiego la natura del gioco. Il tema è quello della distruzione dell'Universo. Venga a vedere».

Infatti. E' un gioco americano che insegna ai giocatori come si può ottenere la distruzione delle singole stelle, dei loro pianeti, delle costellazioni e delle galassie usando alcuni gas, alcune particelle elementari e alcuni campi magnetici. I giocatori usano la tastiera del telefonino nella quale ciascun numero corrisponde ai gas e agli altri elementi presenti nell'Universo per distruggere di volta in volta alcune delle sue parti i cui residui sprofondano nei buchi neri. Vince chi realizza la distruzione totale nel minor tempo possibile.

Questo è quanto capì il mio amico aggiungendo al racconto che mi stava facendo alcune sue riflessioni. «Forse è quel gioco la ragione per la quale hanno chiamato 5 Stelle il loro movimento; vogliono distruggere tutto in Italia e in Europa salvo cinque cose. Ma non si sa quali siano». «L'hai chiesto a Casaleggio?». «Sì, gliel'ho chiesto ma mi ha risposto no, non è da quel gioco che nasce il nome del loro Movimento». «E qual è allora?». «E chi lo sa, lui non me l'ha detto». «Lo rivedrai?». «Non credo, non debbo avergli fatto buona impressione». «Ma è lui che ti voleva incontrare?». «No, ero io».

Il mio amico si occupa di elettronica, produce programmi e studia strumenti sofisticati, ma videogiochi finora no. Adesso penso che estenderà anche a quelli i suoi interessi; m'ha detto che vuole inventare un gioco in cui dall'Universo distrutto e dai buchi neri si possano far emergere altri Universi. Forse Casaleggio diventerà suo cliente o suo suggeritore.

Dio ce la mandi buona, ma con tutta sincerità temo il peggio se avremo nella stanza dei bottoni un governo che avrà come ideologia un videogioco di quel genere.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/e-casaleggio-distrugge-luniverso/2202584/18
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« Risposta #416 inserito:: Marzo 24, 2013, 05:48:00 pm »

Il Padre che non c'è e il Paese impaurito

di EUGENIO SCALFARI


Qualcuno s'incomincia ad accorgere che è venuta meno la figura del padre e che questa lacuna di paternità è una delle cause non marginali della perdita d'identità e della nevrosi diffusa che da molti anni affligge il nostro Paese e non soltanto. Se il padre ha dimissionato non ci saranno più neppure i figli, i fratelli, i cugini; mancano i punti di riferimento. La stessa salutare dialettica tra le generazioni viene meno e si trasforma in una lotta per il potere tra vecchi e giovani.

La gerarchia familiare aveva il compito di trasmettere l'identità, la memoria storica e il sapere orale. Ebbene, questo mondo è affondato ma poiché la natura non sopporta il vuoto, al posto del padre, della madre, dei fratelli, si è insediata la cultura del branco.

Si credeva che l'indebolimento dei vincoli parentali fosse una conquista della modernità, affrancata una volta per tutte dai legami del sangue e della tribalità; si pensava che l'individuo, liberato dai ruoli e dalle usanze ripetitive della gerarchizzazione, recuperasse la sua responsabilità, la sua libertà e la pienezza della propria realizzazione. Ma queste acquisizioni si sono verificate soltanto in piccola parte. Nella maggioranza dei casi l'individuo, abbandonato alla sua solitudine, non ha trovato altro rimedio che quello di confondersi nel branco, cioè in un soggetto anonimo e indifferenziato, sorretto soltanto da motivazioni emozionali quali l'individuazione di un branco nemico, la pratica anche esteriore di segnali distintivi, la volontà di potenza del gruppo, la scelta di un capo cui delegare tutti i poteri di decisione. Il branco è un prodotto della modernità e al tempo stesso è lo sbocco più arcaico che mai si potesse immaginare.
 
Esso contiene una socialità negativa e distruttiva, si basa sull'ideologia del più forte e su valori elementari di violenza, gregarismo, feticismo. Gli "ultrà" delle curve sud ne sono l'esemplificazione più frequente e più primitiva.

L'affievolimento e poi la scomparsa della figura paterna hanno molte cause.

Le più evidenti sono di natura economica, ma non sono le sole e neppure le più essenziali.
Alla base di questa vera e propria rivoluzione istituzionale c'è da un lato l'emancipazione della donna, dall'altro la perdita della trascendenza, due elementi fondanti della modernità e della laicizzazione. Da questo punto di vista la scomparsa del padre sarebbe un fatto positivo e non reversibile, almeno nelle sue forme arcaiche basate sul comando e sull'autorità esercitata per diritto divino.

Ma una società non può vivere senza modelli che le consentano di rispecchiarsi e di conservare memoria di sé.
Il disagio che ha pervaso la società occidentale deriva appunto dall'assenza di rispecchiamento e di memoria. La stessa decadenza delle classi dirigenti ha la sua causa nel deperimento dei modelli paterni. Non a caso venivano chiamati "padri fondatori" coloro che stabilivano le regole della convivenza sociale e politica.

Venuti meno quei modelli la società ha perso la capacità di darsi regole condivise; si parla di continuo della loro necessità, ma nessuno è più in grado di produrle poiché a nessuno viene riconosciuta un'autorità fondativa che superi gli interessi settoriali e s'imponga in nome dell'interesse generale.

Una società senza padri è dunque destinata a una continua e progressiva parcellizzazione che ne paralizza il funzionamento e rende impossibile la produzione di regole democraticamente accettate.

Gli individui non sono in grado di uscire da questa disagiata condizione che, esaltando gli interessi settoriali e gli egoismi di gruppo, si allontana sempre di più dalla auctoritas produttrice di norme generali. Il malessere cresce ed è comunemente avvertito sicché, proprio nella fase in cui la figura paterna ha ceduto il campo, risorge il bisogno di recuperare almeno alcune delle funzioni ad essa affidate; anzitutto quella di indicare le regole basilari del comportamento, di amministrare la giustizia sulla base di quelle regole, di praticare la caritas e la pietas, due attributi tipici della figura paterna e dell'autorità fondativa.

Ma soprattutto la nostalgia del padre è motivata dal bisogno di sicurezza psicologica che egli diffonde. Senza di lui il mondo diventa insicuro per i figli orfani e non preparati a surrogarlo. Questa è diventata infatti la nostra società malgrado le sue mirabili acquisizioni tecnologiche che anzi per tanti aspetti esaltano paura e tristezza: un luogo insicuro, labile, inutilmente motorio, privo di credenze ma ingombro di superstizioni.

Ovviamente non si nasce padri, lo si diventa col vivere e attraverso il vivere. Lo si diventa quando si riesce a comprendere l'Altro superando le ristrettezze nelle quali l'Io inevitabilmente ci racchiude.

I figli sono fisiologicamente i portatori dell'Io; i padri, quelli veri, superano quella costruzione difensiva e vivono per i figli costruendo le condizioni del loro futuro. È superfluo avvertire che in un tempo come il nostro, che ha vissuto nell'emancipazione della donna la sua più grande rivoluzione, la funzione paternale non è legata al sesso.

Ci sono state e sempre più ci saranno donne in grado come e più degli uomini di darsi carico dell'altrui.
In realtà la donna si è sempre data carico dell'altrui, molto più dell'uomo, ma questo avveniva nella sfera del privato. Proprio per il fatto di essere stata confinata in quella sfera da una società governata dagli uomini, il darsi carico da parte della donna difficilmente poteva uscire dall'ambito familiare. Le capacità affettive della donna costituiscono una delle risorse essenziali della carità volontaria che sta diventando uno dei fenomeni più rilevanti e più positivi della società moderna e del moderno umanesimo. Ecco perché la auctoritas paterna, con il suo corredo di giustizia, comprensione, regole condivise, carità e pietas non sarà appannaggio soltanto maschile in un mondo dove i limiti del sesso sono stati infine dissolti in una più ampia concezione della humanitas.

                                                                       * * *

Il nostro Parlamento dovrà eleggere tra poco un nuovo presidente della Repubblica, la persona cioè che ha il compito di rappresentare la nazione.

Nessuno ignora quanto questa carica sia ambita per i poteri che contiene e per l'immagine che conferisce. E nessuno ignora che attorno ad essa si accenderanno contrasti e vivaci ambizioni. Il Parlamento tuttavia tenga presente che il presidente di una Repubblica dev'essere soprattutto e preliminarmente un pater patriae. Si potrà discutere se debba provenire dalla sinistra o dalla destra, dalla cultura cattolica o da quella laica e se debba essere uomo o donna. Ma su un punto non si deve  -  non si dovrebbe  -  discutere: il Presidente deve incarnare quella figura paterna che rassicuri la comunità e la indirizzi a superare gli egoismi del presente in nome dell'altruismo del futuro. Il laico Benedetto Croce invocò, all'inizio dei lavori della Costituente, il "Veni Creator Spiritus". Quella stessa invocazione sia tenuta a mente dai nostri parlamentari quando sceglieranno la persona che dovrà rappresentare e traghettare il Paese nel suo difficoltoso procedere nel nuovo secolo.

                                                                           * * *

Il testo che avete fin qui letto non l'ho scritto ieri ma quindici anni fa, esattamente il 28 dicembre 1998 su questo giornale. Ho deciso di ripubblicarlo perché mi sembra che descriva l'attualità che stiamo vivendo in modo che meglio non avrei saputo fare.

Era allora presidente del Consiglio Massimo D'Alema e stava per scadere il mandato di Oscar Luigi Scalfaro da presidente della Repubblica. Nel maggio del 1999 fu eletto Carlo Azeglio Ciampi e nel maggio del 2006 Giorgio Napolitano, entrambi per nostra fortuna dotati di quel requisito di civica paternalità che sono auspicati nel testo che precede. Mi auguro che anche la scelta ormai prossima del nuovo inquilino del Quirinale abbia analoghe caratteristiche anche se non mi sembra un compito facile.

Prima che questa scelta abbia luogo dev'essere però formato un nuovo governo dotato di una nuova maggioranza. A tal fine il presidente Napolitano ha conferito venerdì un pre-incarico a Pierluigi Bersani. L'impresa sembra impossibile, ma non è così. È certamente difficilissima ma non impossibile.

Il percorso che Bersani dovrà seguire, concordato con Napolitano, si svolgerà su due piani. Il primo riguarda il programma di governo basato sugli otto punti già resi pubblici dall'incaricato; riguardano il taglio dei costi della politica, la diminuzione del numero dei parlamentari, la semplificazione degli apparati del Parlamento e soprattutto i provvedimenti necessari per la crescita economica, fermi restando gli impegni presi con l'Europa.
Il secondo riguarda le riforme istituzionali e costituzionali che, per la loro stessa natura, richiedono maggioranze più larghe.

Gli interlocutori di Bersani per realizzare la prima tappa del suo faticoso percorso sono il movimento montiano di Scelta civica ed anche  -  per alcuni specifici punti  -  il MoVimento 5 Stelle. Le modifiche istituzionali e costituzionali includono anche il Pdl e la Lega e comprendono al primo posto una nuova legge elettorale.
Vedremo entro mercoledì prossimo l'esito di questo complesso negoziato. Se sarà negativo, l'iniziativa tornerà al Quirinale che procederà ad un nuovo tentativo per la formazione d'un governo non più guidato da un uomo politico.

L'obiettivo comunque è quello di evitare elezioni a breve scadenza che sarebbero letali per la nostra economia e la nostra credibilità internazionale. Ma le cause di quanto sta avvenendo sono assai più profonde della crisi politica e perfino di quella economica. Hanno carattere sistemico ed è proprio questa la ragione che rende attuale quell'articolo di quindici anni fa che mi sono permesso di riproporre alla vostra attenzione.
 

(24 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/24/news/il_padre_che_non_c_e_il_paese_impaurito-55236667/?ref=HREA-1
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« Risposta #417 inserito:: Aprile 02, 2013, 12:26:25 pm »

Opinione

Perché 'Gaia' mi fa paura

di Eugenio Scalfari

Dal video di Casaleggio emerge un'ideologia distruttiva e antidemocratica. Sono davvero quelli gli obiettivi per l'Italia e per il mondo che indica il guru del M5S?

(29 marzo 2013)

Il personaggio principale della Teogonia di Esiodo si chiama Gea o Gaia e rappresenta la Terra madre che sta all'origine della cosmogonia mitologica. Nel racconto poetico di Esiodo Gaia si accoppia con il Cielo stellato che sta sopra di lei e l'abbraccia "in tutte le sue parti".
Da quell'accoppiamento nasce il mondo, gli dei, la vita in tutte le sue manifestazioni.

Dal mito alla scienza dei giorni nostri: nel 1969 lo scienziato inglese James Lovelock formulò l'ipotesi Gaia secondo la quale l'Universo è sorretto da una struttura macroscopica e microscopica di flussi gassosi, magnetici, atomici, atmosferici che hanno creato stelle, costellazioni, galassie, pianeti, in alcuni dei quali è nata anche la vita.

Perché cito Gaia e l'ipotesi di Lovelock? Perché la nostra collega Stefania Rossini ha scritto su "l'Espresso" della scorsa settimana un ampio articolo del quale i protagonisti sono Gianroberto Casaleggio e l'ipotesi Gaia. Casaleggio è titolare di un'impresa che edita inchieste, video e "animazioni" che hanno come tema il futuro della Terra. Scrivo Terra con la maiuscola perché quella evocata da Casaleggio è per l'appunto Gaia, la Terra madre di Esiodo e l'ipotesi Gaia di Lovelock.

Casaleggio è il guru del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo; non solo il guru ma anche, insieme a Grillo, il leader politico che ne tiene le fila, l'ideologo che ne indica gli obiettivi. Ma è anche il produttore dei documentari che si ispirano all'ipotesi Gaia di Lovelock.

Il principale di quei documentari ha anche una diffusione di massa e si chiama "Gaia, il futuro della politica". Lo si trova sulla rete Internet cliccando Google. Non conoscevo quel video che circola dal 2008 e ha raggiunto una dimensione di massa nel 2010. L'ho visto nei giorni scorsi ed è al tempo stesso ridicolo e terrorizzante. Prevede la terza guerra mondiale nel 2040, la distruzione di sei miliardi di persone, la vittoria e la sopravvivenza di un miliardo di "buoni" che ricostruiranno la società avendo la Rete come principale strumento di democrazia diretta.

Lascio i particolari a chi, non avendolo già visto, abbia voglia di documentarsi. Naturalmente il produttore Casaleggio premette al suo video una dichiarazione che esclude ogni sua partecipazione alle idee e al progetto di quel video. Una dichiarazione che riecheggia quelle scritte in calce a molti film che escludono "ogni riferimento a personaggi reali": in realtà in quel modo ne fanno intendere la coincidenza tra i loro protagonisti immaginari e quelli realmente esistenti evitando però conseguenze legali a loro carico.

L'articolo della Rossini su "l'Espresso" sintetizza il contenuto del video e quindi non sto a ripeterlo. Dal canto mio avevo raccontato due settimane fa uno strano pranzo di un mio amico (del quale non facevo e non faccio il nome) con Casaleggio nel corso del quale il guru delle 5 Stelle, mentre rispondeva con tacitiana brevità alle domande politiche del suo commensale, seguiva attentamente sul suo smartphone un videogioco intitolato "La distruzione dell'Universo".

Casaleggio è intervenuto su quel mio articolo chiedendomi sull'Ansa di dichiarare il nome del mio amico e di precisare quale fosse il video a cui mi riferivo. Questo suo intervento, a quanto so, ha provocato migliaia di commenti sui blog, a cominciare da quello di Grillo, su Facebook e sul sito dell'"Espresso" critici nei miei confronti e molto critici nei confronti di Casaleggio.

Voglio ora spiegare perché quel ridicolo video intitolato a Gaia mi ha anche terrorizzato oltreché divertito. O forse è meglio dire preoccupato. Mi ha preoccupato perché delinea un'ideologia terrificante, distruttiva, antidemocratica. Se è a quell'ideologia che si richiama il Movimento 5 Stelle o almeno una parte di esso e quindi se sono quelli gli obiettivi e i principi cui si ispira il leader politico di quel movimento, allora la democrazia italiana corre serissimi rischi.

 
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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perche-gaia-mi-fa-paura/2203626/18
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« Risposta #418 inserito:: Aprile 04, 2013, 11:50:27 pm »

Un incubo di meno

di EUGENIO SCALFARI

I GIORNALI di ieri titolavano tutti, in prima pagina e a piene colonne, sulle dimissioni del presidente della Repubblica dal suo incarico.
I più benevoli attribuivano questa ipotetica ma probabilissima decisione ad un alto senso di responsabilità: impossibile varare un governo con maggioranza precostituita; la sola strada per Napolitano era dunque quella di porre fine al suo mandato accorciando di una decina di giorni la nomina del suo successore che, avendo il potere di sciogliere le Camere, avrebbe potuto influire sull'atteggiamento dei partiti oppure per metter fine alla legislatura appena eletta e ridare la parola al popolo sovrano. Ma non mancavano i malevoli: Napolitano abbandonava il campo lasciando la patata bollente al suo successore.

Non so da dove venisse questa pseudo-notizia. So soltanto (e l'ho detto la sera di venerdì rispondendo ad una domanda della Gruber nella trasmissione "Otto e mezzo") che chi conosce il nostro Presidente e la sua storia era certo che non è uomo che si sottragga alle responsabilità anche quando comportano fatica e sofferenza. Napolitano sa benissimo che le sue dimissioni premature rispetto alla naturale scadenza del suo settennato, avrebbero gettato i mercati in grandissima confusione, avrebbero accresciuto la rissa tra i partiti e al loro interno, avrebbe annullato la credibilità internazionale del nostro Paese già abbastanza logorata dagli insuccessi politici che hanno fortemente indebolito l'immagine di Mario Monti. Nel suo recente viaggio a Berlino, il nostro capo dello Stato aveva rassicurato la cancelliera Angela Merkel sul fatto che l'Italia non sarebbe mai rimasta senza governo.

Le sue dimissioni avrebbero aperto un buco al Quirinale per almeno un mese senza che neppure si sapesse chi sarebbe stato il suo successore.
Un mese non è poca cosa, senza contare che il nuovo capo dello Stato avrebbe dovuto riaprire le consultazioni per nominare un nuovo governo e poi, forse, sciogliere le Camere e aprire una campagna elettorale: altri tre mesi (a dir poco) di ulteriore insicurezza.

È vero che questi ultimi passaggi (salvo quello dello scioglimento delle Camere che resta pur sempre deleterio) dovranno comunque esser compiuti; ma le dimissioni anticipate e il vuoto che avrebbero aperto non sarebbero certo state un buon viatico.

Per tutte queste ragioni, che mi rendono moderatamente ottimista, sono stato felice ieri quando alle ore 13.27 ho ascoltato le parole di Giorgio Napolitano confermare che avrebbe rispettato la scadenza naturale del suo mandato, avrebbe nel frattempo preso tutte le misure opportune per facilitare il compito del suo successore ed avrebbe stimolato, firmato e promulgato tutti i provvedimenti urgenti che l'economia del Paese richiede, a cominciare dal decreto sul pagamento dei debiti che la pubblica amministrazione ha nei confronti delle imprese fornitrici di beni e servizi. L'ho già detto più volte, ma lo ripeto ancora oggi: sarà molto difficile - purtroppo - trovare un successore dello stesso spessore e livello di questo, che cesserà dal suo ruolo il 15 maggio prossimo.

****
Un'altra strada avrebbe potuto seguire Napolitano, esclusa una volta per tutte quella delle sue dimissioni anticipate: avrebbe potuto nominare un nuovo governo senza politici di professione, un governo istituzionale che, una volta nominato, andasse in Parlamento a chiedere la fiducia e, qualora non l'avesse ottenuta, restasse comunque in carica per l'ordinaria amministrazione. Personalmente pensavo che questa sarebbe stata la via prescelta. Invece no.
Napolitano sperava di poterlo fare confidando che sia il Pd che il Pdl e forse perfino le 5Stelle facessero confluire i loro voti su un governo istituzionale che, ovviamente, non sarebbe stato il governissimo auspicato da Berlusconi.

Nel corso delle consultazioni-lampo seguite all'insuccesso del tentativo di Bersani, il Pd si è dichiarato disponibile a votare un governo istituzionale "di scopo" del genere di quello affidato nel 1993 da Scalfaro a Ciampi. Ma Grillo ha insultato (come sua turpiloquente abitudine) un'ipotesi di questo genere e Alfano, dopo aver ricevuto l'imbeccata dal suo padrone, ha detto che "il Pdl avrebbe appoggiato un nuovo governo purché fosse un governo politico con programma concertato dai partiti disposti a parteciparvi". Di fatto ha riproposto il governissimo che il Pd aveva già bocciato escludendolo dalle ipotesi negoziabili.

Avendo constatato che questo era l'insuperabile stallo, Napolitano ha scartato la nomina di un governo istituzionale lasciando in piedi il governo Monti. Ma c'è anche un'altra ragione, sia pure marginale: un governo istituzionale senza maggioranza e quindi degradato all'ordinaria amministrazione sarebbe stato una difficoltà aggiuntiva per il suo successore al Quirinale. Di qui la decisione di restare nel suo ruolo prolungando la permanenza di Monti a Palazzo Chigi e procedendo alla nomina di un comitato che metta in luce i punti programmatici sui quali ci sia la concordia delle forze politiche rappresentate in Parlamento, tale da facilitare il lavoro che attende il suo successore.

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Non si tratta affatto d'uno schiaffo ai partiti, che infatti saranno presenti nel suddetto comitato, di cui troverete i nomi nelle pagine del nostro giornale. Va detto che le agenzie di stampa estere stanno già registrando la soddisfazione delle autorità europee, a cominciare da Mario Draghi che si è già complimentato con il nostro Presidente, nonché di molti nomi significativi delle forze economiche e internazionali. Insomma un boomerang di ottimismo che - si spera - sarà registrato martedì alla riapertura dei mercati. Ci sarà anche, nel comitato suddetto, il ministro Moavero per la sua competenza negli affari europei, e molte altre eccellenze del diritto e dell'economia.
Ho già detto che non si tratta affatto d'uno schiaffo ai partiti i quali però i loro problemi li hanno al proprio interno. Ed è questo che dobbiamo ora esaminare per completare il quadro. Cominciando con il Pdl.

Se lo stato maggiore fosse composto da persone responsabili, inviterebbe Berlusconi a ritirarsi dalla politica, togliendo in questo modo l'impedimento principale ad un accordo programmatico con gli altri partiti, evitando anche che il loro capo sia politicamente eliminato per via giudiziaria.
Non parlo del processo Ruby ma di quello sui diritti cinematografici di Mediaset che è già in fase di Corte d'Appello, la cui sentenza si avrà entro il prossimo maggio.

In prima istanza l'imputato è già stato condannato a quattro anni di reclusione e all'interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.
Ove la Corte confermasse questa sentenza, il problema non si porrebbe più, per non parlare di Napoli dove la Procura, che aveva chiesto ma non ottenuto la procedura immediata, ha chiesto pochi giorni fa il rinvio a giudizio per via ordinaria. Se sarà concesso dal Gup, è un'altra tegola ancor più contundente che si prepara.

Purtroppo, il pacifico ritiro in pensione del Cavaliere non si verificherà perché lui non è il capo ma il padrone del suo partito, ed anche della Lega, ed è supportato da dieci milioni di elettori che sperano e credono ancora che Berlusconi gli regalerà un asino con le ali.
Un Ippogrifo asinario. È la quinta volta che glielo promette e la colpa che gli impedisce un così meraviglioso regalo è dei magistrati e dei comunisti.
Gli allocchi ci sono in tutto il mondo e non soltanto in Italia. Ma da noi purtroppo ce ne sono molti di più che altrove. Siamo fatti così e forse un po' di alloccaggine c'è in ciascuno di noi. Pazienza.

Nel Pd la situazione è alquanto diversa ma qualche sintomo di tensione c'è anche lì, alimentato da alcuni giornali e televisioni che hanno un (incomprensibile) interesse a tenerlo vivo. Il Pd è diviso in molte correnti. Un tempo non c'erano, adesso ci sono e comunque esiste un "apparato" numeroso ma non molto rappresentativo degli elettori che sono anche per il Pd una decina di milioni. (Prima di queste elezioni erano circa quattordici e quelli del Pdl più di sedici). Renzi aspetta il suo momento ed ha certamente una sua capacità di richiamo. Cambierebbe alquanto i connotati del partito, ma un cambiamento ci vuole, come no?

Su posizioni fortemente diverse c'è Fabrizio Barca, attualmente ministro della Coesione nel governo Monti. Se domandi a Fabrizio che cosa vorrebbe fare quando questo governo avrà cessato di esistere, ti risponde che gli piacerebbe occuparsi del partito, al quale non è neppure iscritto ma verso il quale sente una profonda vocazione. Per fare che cosa? Per cambiarlo, naturalmente. Non nella linea ma nella struttura.
Come Renzi? No, in tutt'altro modo. Barca non vuole essere più ministro e tantomeno aspirante alla presidenza del Consiglio.
Vuole occuparsi del partito e cambiarlo, punto e basta. Sono in vista nuvole per Bersani? Nella fase attuale non sembra. Se ne parlerà al congresso quando scadrà da segretario. Fino ad allora il partito sembra compatto ed è bene che tale rimanga.

Il movimento montiano di Scelta civica. Di fatto è diventato quantité négligeable. Ci sono i sopravvissuti del Udc e Montezemolo con i suoi circoli sul territorio. Hanno preso, i montiani, 3 milioni di voti che in gran parte erano quelli dell'Udc e di Fini. La prossima volta ne prenderanno probabilmente meno salvo una eventuale implosione del Pdl che in parte (modesta) potrebbero approdare a Scelta civica.

Ma poi, last but not least, ci sono Grillo, Casaleggio e i loro otto milioni di elettori e gli eletti.
Non si può dire che Grillo sia un incidente di percorso, gli allocchi ci sono anche trai suoi (parecchi) ma ci sono anche quelli che vogliono rifare l'architettura della Repubblica. Come? Non è chiaro. Su base referendaria? Sì, ma fatta in Rete. In che modo? Non è chiaro neppure questo salvo su un punto: per ora dalla Rete (dal suo blog) parla soltanto Grillo, Casaleggio e i loro amici certificati; col passare del tempo le maglie della Rete saranno allargate (adelante, Pedro, cum judicio).

Gli eletti sono per ora alquanto smarriti, naturalmente col tempo matureranno. Io li considero i nuovi barbari nel senso greco del termine: parlano un linguaggio diverso dal nostro. Chi parla un altro linguaggio ha anche un diverso pensiero e una diversa visione della società.
Quale? Neanche loro lo sanno, si formerà passo dopo passo; oppure impareranno il nostro linguaggio e contribuiranno a cambiare senza distruggerla la nostra visione del bene comune.

Questo è stato il coraggioso tentativo di Bersani. Sicuramente prematuro, ma la strada è quella, insegnar loro il nostro linguaggio e accogliere i contributi da loro proposti. E chi ha più filo da tessere faccia la tela.

(31 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/31/news/scalfari_pasqua-55682244/?ref=HREA-1
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« Risposta #419 inserito:: Aprile 07, 2013, 06:26:02 pm »

   
Inventarsi un presidente e inventarsi un governo

di EUGENIO SCALFARI


POCHI punti che è bene chiarire subito a titolo preliminare.

1. Napolitano ha accelerato, non ritardato, il percorso che porta verso uno sbocco costituzionale. Per sua volontà, prontamente recepita dalla presidente della Camera, le votazioni per il nuovo inquilino del Quirinale cominceranno il 18 aprile, undici giorni da oggi. Senza questa decisione le votazioni sarebbero cominciate verso la fine del mese.

2. Il comitato di consulenza nominato dal Presidente ha soltanto l'incarico di preparare un memorandum che delinei alcune soluzioni per i più urgenti problemi costituzionali, istituzionali, economici, sociali. Dovrà consegnare quel documento non oltre il 16 aprile. Se il Presidente ne riterrà congruo il contenuto, lo consegnerà al suo successore il quale potrà metterne a frutto le proposte oppure cestinarle a suo piacimento.

3. Il Ragioniere generale dello Stato e i suoi più stretti collaboratori, da quando nacque il governo Monti nel novembre 2011 fino ad oggi hanno fatto tutto quanto potevano per bloccare o rallentare provvedimenti destinati alla crescita dell'economia, fino al decreto  -  finalmente varato in queste ore  -  sul pagamento dei debiti della pubblica amministrazione alle imprese fornitrici.

L'obiettivo della Ragioniera generale è stato di mantener ferma la politica di Tremonti del "nulla fare e nulla muovere". Il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha cercato di superare quegli ostacoli ma senza riuscirvi. È dovuto intervenire direttamente Napolitano e la questione, del massimo rilievo per l'economia italiana, è stata finalmente risolta.

4. Matteo Renzi accusa la politica in genere e il segretario del suo partito in particolare, di perdere un tempo prezioso. E di allontanare quello che secondo lui è il solo sbocco possibile ed urgente e cioè lo scioglimento delle Camere appena elette e, per quanto riguarda il Pd, nuove primarie per designare il candidato premier. Non ha detto però, il sindaco di Firenze, con quale legge elettorale si dovrebbe votare. Sempre con il "Porcellum" così com'è? E non ha detto neppure chi sarebbe il responsabile del tempo perduto.

Forse allude a Bersani? Ma dimentica che Bersani non ha alcun potere di perdere o di guadagnar tempo: lo scioglimento delle Camere auspicato al più presto da Renzi (e da Berlusconi) è nelle mani del prossimo Capo dello Stato, per la nomina del quale  -  come indicato al punto 1  -  Napolitano ha accorciato e non rallentato il tempo.

5. La maggior parte degli osservatori stranieri e delle autorità internazionali ritiene che nuove elezioni in Italia sarebbero esiziali per l'economia italiana e di conseguenza per quella europea e americana.
Napolitano ed anche Bersani la pensano allo stesso modo. Renzi invece ritiene che elezioni a breve siano la sola e vera soluzione. Lascio ai lettori di giudicare chi sia nel vero e chi nel falso.

* * *

Per il resto, la situazione politica è nel buio pesto. Tre partiti hanno ottenuto consensi più o meno di un terzo ciascuno. Il residuo 10 per cento è andato ai montiani.

Rispetto alle passate elezioni politiche il partito di Berlusconi ha perso 6 milioni di voti, la Lega si è dimezzata, il Pd ha perso 3 milioni e mezzo. I montiani hanno guadagnato il 2 per cento rispetto all'Udc e al partito di Fini che avevano l'8 e ora sono scomparsi. Il movimento di Grillo ha ottenuto 8 milioni di voti, nel 2008 non esisteva.

Il voto è sempre più mobile "qual piuma al vento. Muta d'accento e di pensier". Il populismo è aumentato; sommati insieme il Pdl, la Lega e il Movimento 5 Stelle si arriva ad oltre la metà dei voti espressi, raccolti con populismo di vari colori ma di identica tonalità.

Il tasto sul quale l'attuale populismo martella è quello della legalità violata. Il fatto che Berlusconi usi anche lui quel tema è sorprendente.

Grillo lo si può capire; non si capisce però il motivo per cui non cerca il modo corretto di favorire il ripristino della legalità. Da solo, con il 25 per cento dei consensi, non ce la può fare, ma vuole impedire qualunque collaborazione con le altre forze politiche. Questa posizione priva di logica viene però imposta agli eletti, pena la loro espulsione dal movimento.

Chi predica ad ogni piè sospinto moralità e legalità dovrebbe stare molto attento ai significati di queste affermazioni e di queste icone e dovrebbe ripassarsi con spirito critico alcuni precedenti storici.

Robespierre e Saint-Just predicando una astratta e assoluta moralità e interpretando a loro modo la legalità distrussero la democrazia costituzionale dell'Ottantanove trasformandola in una dittatura basata sui tribunali rivoluzionari, sul terrore e sulla ghigliottina. Stalin fece altrettanto su scala enormemente più vasta, accusando i suoi avversari di ruberia, complotto, tradimento del socialismo. Hitler usò altri argomenti: secondo lui la legalità e la moralità la violavano gli ebrei, gli zingari e altre pericolose minoranze da sterminare.

Ovviamente questi precedenti storici hanno tutt'altra dimensione rispetto a quanto accade oggi in Italia, ma la dinamica è quella di estirpare il riformismo democratico e procedere verso sistemi con forti connotazioni dittatoriali. Berlusconi da un lato, Grillo e Casaleggio dall'altro, sono proprietari in senso tecnico oltre che pratico dei rispettivi partiti e dettano legge ai loro aderenti secondo la formula "con me o contro di me".
Grillo vuole l'abolizione dell'articolo della nostra Costituzione che garantisce la libertà degli eletti dal popolo "senza vincolo di mandato".

Berlusconi non ha bisogno di questo perché il partito è suo e senza di lui non vivrebbe. La libertà di scelta dei singoli parlamentari  -  semmai  -  gli è servita per comprarne alcuni a suon di milioni.

Comunque: le quattro forze politiche che rappresentano la totalità dell'attuale Parlamento non riescono a trovare una formula che dia vita ad una solida maggioranza. Ognuna gioca da sola, magari corteggia le altre (salvo Grillo che si ritiene autosufficiente e condanna i suoi eletti allo zitellaggio obbligatorio) a patto che si pieghi ai suoi disegni.

Questo è lo stallo, finora insuperabile. La gente, i cittadini, sono furibondi e disperati; delle forze politiche e delle istituzioni se ne infischiano, le disprezzano e le ritengono irrilevanti, ma reclamano provvedimenti di salvataggio economico e sociale che soltanto un governo sostenuto da una solida maggioranza potrebbe decidere, fermo restando che l'Italia non è un'isola migrabonda ma fa parte dell'Europa nel quadro d'una economia globale dove le merci, i capitali, le persone si muovono secondo le convenienze.
Questa realtà gran parte delle persone la dimentica. I furbi ci speculano sopra e si arricchiscono; i gonzi la subiscono protestando e soffrendo. Molti non votano alle elezioni lasciando mano libera ai furbi; gli altri votano in modo tale da aver determinato lo stallo suddetto.

Capisco che il quadro non è confortante, ma è colpa di ciascuno di noi e su quella colpa occorrerebbe riflettere con spirito critico.

* * *

Il futuro Presidente della Repubblica dovrà anzitutto fare le sue consultazioni e poi nominare un governo che abbia solida maggioranza.
Un governo di scopo, con pochi obiettivi istituzionali ed economici da realizzare.
 
Walter Veltroni ha ricordato in alcune interviste recenti come esempio da imitare il governo Ciampi nominato da Scalfaro. La nomina  -  va ricordato  -  venne proposta da Giuliano Amato che in quel momento era proprio lui alla guida del governo ma riteneva opportuno cederla a persona più adeguata alle circostanze che anche allora erano di stallo e di gravi pericoli economici.

Scalfaro accettò il consiglio ma volle che fosse lo stesso Amato a proporlo a Ciampi in un incontro a tre, così avvenne e così quel governo che giustamente viene indicato come esempio, fu installato.
 
Purtroppo una persona come Ciampi oggi non c'è.
 
Bisognerebbe inventarla, ma non è affatto facile. Una cosa però mi sembra certa: non c'è spazio per un governo guidato da un dirigente di partito. Da questo punto di vista non condivido la tenacia con la quale Bersani ripropone la sua candidatura (e ancor meno quella di Renzi a sostituirlo nella stessa impresa).
 
Bersani è stato molto coraggioso nel tentare un governo di cambiamento ed ha spiazzato molti portando alla guida delle Camere personaggi fuori dai partiti e provenienti da altre esperienze civili. Ma ora il suo tentativo di ottenere una seconda investitura non è a mio avviso realizzabile e sarebbe destinato ad un fallimento.
 
Quand'anche riuscisse ad ottenere la fiducia con l'aiuto di qualche voto fluttuante, non durerebbe che poche settimane e comunque non sarebbe in grado di recuperare la credibilità necessaria per rassicurare l'Europa e i mercati.
 
Il futuro Capo dello Stato dovrà dunque inventarsi un governo di tipo nuovo, che rappresenti la società civile ma i cui componenti e chi lo guida abbiano non solo competenze e moralità ma anche fiuto politico.
 
Non sarà una scelta facile e il nuovo Presidente dovrà seguire quel governo da lui inventato passo dopo passo, accreditarlo in patria e all'estero, vigilare che gli scopi assegnatigli siano raggiunti presto e bene a cominciare dalla riforma del Senato e soprattutto da una nuova legge elettorale (forse il "Mattarellum" che si può ripristinare con un solo articolo che dichiari abolita la legge attuale e faccia rivivere quella precedente?).
 
Purtroppo per noi, oltre a non avere un Ciampi a disposizione, non abbiamo neppure un Napolitano e questo è ora il vuoto e l'incognita più disperante. La ricerca comincerà tra undici giorni e speriamo sia proficua, sebbene i nomi attualmente in circolazione siano in gran parte inadatti e di pura fantasia per quanto riguarda quel tipo di responsabilità. L'identikit ideale per il Quirinale oscilla tra le figure di Einaudi, Pertini, Ciampi, Napolitano. Io un nome in testa ce l'avrei ma non ho alcun titolo per proporlo e quindi non lo dico.

Post scriptum. Il suicidio di un'intera famiglia a Civitanova Marche per disperazione dovuta alla povertà senza uscita, colpisce il cuore di tutta la nazione e reclama con la massima urgenza e il massimo impegno la solidarietà sociale, pubblica e privata, necessaria per arrestare una china divenuta tragica. Forse siamo usciti dal baratro economico ma certamente siamo entrati in un baratro sociale. Bisogna uscirne a tutti i costi, pena il disfacimento del Paese. Ogni altra questione diventa a questo punto subordinata.

(07 aprile 2013) © Riproduzione riservata

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