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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 318108 volte)
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« Risposta #375 inserito:: Agosto 26, 2012, 05:25:59 pm »

L'EDITORIALE

L'Europa federale tra il sogno e la realtà

di EUGENIO SCALFARI

MARIO Monti sarà ancora operativo fino a gennaio, poi la campagna elettorale inevitabilmente lo congelerà. Quattro o cinque mesi, ma ricchi di eventi e di decisioni che possono avere effetti notevoli su quanto ne seguirà nella prossima legislatura.

La prima decisione da prendere riguarda il rapporto tra il governo, il mercato e la Banca centrale europea. Finora Monti ha battuto e ribattuto sul tasto che l'Italia ce la farà da sola a rimettersi in piedi, restando fedele al programma di rigore già in atto, procedendo con le riforme soprattutto per quanto riguarda la rapidità dei tempi della giustizia civile, la riqualificazione della spesa, l'evasione e infine il rifinanziamento, per quel che è possibile, dell'economia reale.

Questo orgoglio nazionale è stato un buon "incipit" per avviare il negoziato con la Bce e ottenere il suo intervento sul mercato dei titoli. Parliamoci chiaro: quell'intervento è indispensabile per difendere la moneta unica e garantire l'efficacia della politica monetaria, ma Draghi non darà mai inizio all'operazione da lui battezzata "non convenzionale" senza il via libera del fondo "salva Stati", cioè della Ue e del governo tedesco.

Si tratta dunque d'un passaggio obbligato. Il disegno di Monti sembra questo: formulare lui le condizioni del "memorandum" e sottoporlo al "salva Stati" per l'approvazione. Monti conosce benissimo quale sia la condizionalità che la Ue e la Bce ci chiedono in aggiunta a quanto già fatto. Non si tratta di ulteriori dosi di rigore ma di ulteriori riforme che stabilizzino il quadro finanziario e consentano perfino un inizio di ripresa produttiva (di cui nel "seminario" del Consiglio dei ministri di venerdì).

La partita è assai complicata e i giocatori al tavolo sono a dir poco quattro: Monti, Draghi, la Bundesbank, la cancelliera Merkel. Ciascuno di loro ha una sua strategia e le alleanze nel corso della partita saranno variabili. Se il risultato sarà positivo ci sarà un alleggerimento degli spread di Italia e Spagna, un costo minore dei rispettivi debiti sovrani e soprattutto un vincolo che il governo Monti trasmetterà ai governi che verranno dopo le elezioni; questo vincolo risulterà di altissimo valore per i mercati e di rafforzamento sia di Draghi sia della Merkel nella complessa partita che essi stanno giocando con i falchi della Bundesbank e con le forze politiche che li appoggiano.

Il 6 settembre il Consiglio direttivo della Bce prenderà le sue decisioni. Monti dal canto suo dovrà uscire allo scoperto nei giorni successivi. Entro settembre questo problema dovrà dunque essere definitivamente risolto.

* * *

Ma ce n'è un altro, di problema, ancora più grosso ed è quello dello sfondo politico e istituzionale in cui l'intervento "non convenzionale" della Bce si colloca: l'eventuale passaggio dalla confederazione dei governi europei alla nascita d'una Europa federata. Si chiama, con parole concrete, "cessione di sovranità" dei governi nazionali agli organi federali dell'Unione europea, sia quelli già esistenti che andrebbero comunque riformati, sia organi nuovi da creare se necessario a completamento delle strutture della Ue.

Ne abbiamo già parlato qualche settimana fa. Allora sembrava che la Merkel avesse puntato sulla nascita dell'Unione federale tutte le sue carte. Non era ancora chiara la posizione di Hollande ma si sperava che anche la Francia alla fine riconoscesse la necessità di questa soluzione in un mondo ormai globalizzato.

Ne riparliamo oggi perché nel frattempo si è verificato un fatto nuovo: il tema dell'Europa federale è uscito di scena, la Merkel non ne parla più, la questione della cessione di sovranità si limita ormai al fiscal compact e si attende la sentenza imminente della Corte costituzionale tedesca sui fondi "salva Stati", si dubita perfino della fattibilità di un'Unione bancaria e d'una vigilanza unica affidata non più alle Banche centrali nazionali ma alla Bce. Insomma una ritirata vera e propria da un progetto certamente assai complesso da realizzare in un continente diviso da lingue diverse e da secoli di guerre e di diverse etnie e tradizioni, ma assolutamente necessario per non far precipitare l'Europa in una totale irrilevanza politica. Come si spiega questa ritirata? E che cosa si può fare per rimettere in moto quel progetto?

* * *

La Merkel deve aver capito due cose che forse qualche mese fa aveva trascurato o sottovalutato. La prima: il grosso dell'opinione pubblica del suo Paese non vede affatto di buon occhio un'egemonia politica tedesca su un'Europa cui tutti gli Stati nazionali, Germania compresa, abbiano ceduto quote rilevanti di sovranità. I tedeschi preferiscono fare buoni affari e conservare una supremazia industriale e finanziaria sull'Europa, ma rifiutano di esercitare un'egemonia politica. Che implicherebbe notevoli responsabilità e cessioni di indipendenza nazionale.

La seconda questione è la resistenza al progetto federativo da parte di molti altri Paesi a cominciare dalla Francia e dai Paesi del Nord e dell'Est. Soprattutto quelli che sono fuori dall'Eurozona, Gran Bretagna e Polonia in testa.
Perciò, per dirla tutta, quel progetto sembra rientrato salvo alcune cessioni di sovranità che riguardano il bilancio europeo, la politica fiscale, la difesa della moneta comune. La quale tuttavia, se quello sfondo politico verrà a mancare, non avrà mai la forza d'una moneta di riserva.

Il venir meno di questo progetto allarga tuttavia probabili spazi di negoziato e consente iniziative altrimenti impensabili. Per esempio consentirebbe a Paesi interessati ad un'Europa federata di federarsi tra loro. Il "chi ci sta ci sta", minacciato tempo fa dalla Germania quando si parlava di due velocità monetarie, potrebbe essere ora capovolto parlando di cessioni di sovranità politiche.

Se l'Italia, la Spagna, il Portogallo, l'Irlanda, l'Austria, ma anche soltanto i primi tre, fondassero anzi rilanciassero un Club mediterraneo con proprie regole e istituzioni comuni che mantenesse la sua presenza nell'Unione europea e nell'Eurozona non più come singoli Stati ma come Club, il contraccolpo sarebbe forte se non addirittura fortissimo.

Proseguo nell'esempio. Se i Paesi del Club stabilissero rapporti di consultazione e amicizia economica e politica con altri Paesi mediterranei, Algeria, Marocco, Libia Egitto, Israele, Turchia, rapporti che già esistono ma che cambierebbero titolare: non più i singoli Paesi ma il Club in quanto tale?

Se analoghi accordi fossero stipulati con tutta l'area di lingua latina nel Centro e Sud America, e principalmente con Argentina, Brasile, Uruguay, Messico? Argentina e Brasile hanno già dichiarato di essere molto propensi a studiare e concordare rapporti di questo genere. Un Club mediterraneo non potrebbe prendere un'iniziativa in tale direzione?

Se gli interessi e la fantasia suggeriscono nuovi orizzonti, non è affatto escluso che la stessa Europa federale possa rimettersi in moto. A volte bisogna saper sognare per affrontare le più dure realtà.

* * *

C'è un ultimo aspetto del quale voglio far cenno a proposito di Europa federale. Qualora prima o poi ci si arrivasse sarebbero necessarie alcune importanti modifiche istituzionali e cioè:
1. Il Parlamento europeo dovrebbe essere eletto su basi europee e non nazionali.
2. I referendum su questioni pertinenti l'Europa dovrebbero anch'essi esser votati dal popolo europeo e non dai popoli dei singoli Stati.
3. La struttura internazionale dell'Unione federale dovrebbe avere carattere presidenzialista del tipo degli Stati Uniti d'America: un presidente eletto che nomina il governo federale; un Parlamento che controlla l'operato del governo, la nomina dei funzionari di importanza federale, le leggi che incidono sul bilancio, le spese, le entrate. Una Corte costituzionale a tutela della costituzione federale.
Quando lo Stato ha le dimensioni di un continente e per di più in un mondo ormai globale, la democrazia deve assicurare al tempo stesso rapidità di decisioni, visualizzazione del leader che rappresenta quel continente e partecipazione dei cittadini. Il fondamento di queste strutture poggia sulla divisione dei poteri.
Si tratta, con tutta evidenza, di obiettivi lontani, ma spetta alla pubblica opinione averli presenti, dibatterli preparandone il possibile avvento.

Post scriptum. L'articolo di venerdì scorso 1 del nostro direttore Ezio Mauro sul conflitto di attribuzioni sollevato dal Presidente della Repubblica tratta un tema che è stato ampiamente e liberamente esaminato con ricchezza di argomenti. Aderisco a quanto scritto da Mauro. Del resto lo ha detto lui stesso e lo ringrazio per questo: noi ci siamo scelti reciprocamente diciassette anni fa ed è stata una scelta della vita che quotidianamente si rinnova. Sul tema in questione null'altro c'è da dire salvo le notizie di cronaca e il verdetto di merito della Corte che commenteremo con libertà e rispetto verso quell'istituzione che garantisce la costituzionalità delle leggi e dei comportamenti.
 

(26 agosto 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/08/26/news/l_europa_federale_tra_il_sogno_e_la_realt-41490496/?ref=HREA-1
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« Risposta #376 inserito:: Settembre 03, 2012, 11:53:47 am »

IL DIALOGO

Il laico, il cardinale e il Paese senza etica

Dialogo su etica e fede tra un credente e un non credente. L'incontro con il cardinal Martini è avvenuto ieri nel corso del convegno organizzato dalla Comunità di S. Egidio: La pace è il nome di Dio. "Mi preoccupano molto la diffusione dello scetticismo, il disimpegno dai valori forti, la convinzione che nulla vi sia nella vita che valga la pena di realizzare se non il proprio piacere e la propria istantanea felicità. Non si vuole crescere, avere responsabilità"

di EUGENIO SCALFARI

LE SALE del palazzo della Cancelleria mantengono le promesse del loggiato ideato dal Bramante cinque secoli fa e dello scalone che vi conduce: il grande stile del Quattrocento italiano, nel quale l' armonia delle proporzioni si coniuga con la leggerezza aerea delle strutture, col travertino dei vestiboli, col fasto degli affreschi che coprono le pareti e la solenne severità dei soffitti e degli scanni dove sedettero per secoli i cancellieri della Segnatura Apostolica e i giudici dei Tribunali ecclesiastici.

Salgo quelle scale con il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, e con monsignor Paglia della comunità di Sant'Egidio che ha organizzato un convegno di quattro giorni all'insegna d' uno slogan che è anche una dichiarazione di fede, "La pace è il nome di Dio": tavole rotonde, dibattiti, incontri tra sacerdoti e intellettuali di tutto il mondo e di tutte le religioni, croci dorate sulle talari, tuniche ocra di monaci buddisti, copricapi variopinti e delle fogge più strane, preti, pastori, patriarchi, rabbini, musulmani, copti, 400 rappresentanti delle religioni, due o trecento tra dignitari di Curia, dirigenti di associazioni cattoliche, vescovi di diocesi da tutt'Italia.

Martini, mentre sale, è assediato da televisioni e fotografi e da colleghi di sacerdozio che gli si stringono intorno con affetto venato da un'ansia che non è difficile cogliere: quell'uomo, quel pastore di anime è una riserva per la Chiesa che attraversa una fase di transizione non facile e assai impegnativa.

Gli chiedo se, pur essendo cardinale di Santa Romana Chiesa, è ancora membro della Compagnia di Gesù. Mi risponde di no: un vescovo non può far parte di un ordine né esser sottoposto alla sua gerarchia. "Però - dice - chi è cresciuto nella Compagnia non ne dimentica lo spirito e la formazione mentale che lì acquisì nei primi anni del sacerdozio".

Siamo stati invitati, il cardinale ed io, a dar vita ad un "confronto sulla fede" con tutte le problematiche che possono esistere tra un eminente membro della gerarchia ecclesiastica e un laico non credente. Sarà l'ultima iniziativa del convegno, prima della sua conclusione.

Le sale sono colme, s'intravede dai finestroni il cielo terso dell'ottobre romano. Monsignor Paglia introduce il tema e i due interlocutori, restando inteso che a me toccherà il compito di porre le questioni e al mio porporato interlocutore di fornire le risposte.

Il confronto comincia alle 9 e mezzo e durerà due ore. Si concluderà con un lunghissimo applauso a Martini, ai temi discussi e alle conclusioni raggiunte.

Un confronto sulla fede tra noi due, cardinal Martini? Non le nascondo che il tema, definito in un modo così esplicito, mi turba. Lei ha tutta l'autorità oltre che l' abito che indossa per poterne parlare con cognizione e passione ed io non potrei far altro che testimoniare la mia non credenza. Arriveremo a parlarne ma non credo possa esser questo il centro del nostro incontro. Può essere invece - se lei è d' accordo - l' impegno morale e le opere che ne derivano. Lì ci può essere, io mi auguro che vi sia, un terreno di convergenza tra religiosi e non religiosi. Perciò le porrò una prima domanda quasi a guisa di introduzione: riguarda l' egoismo. Si ha la sensazione che l' egoismo degli individui e dei gruppi sociali abbia raggiunto nell' epoca nostra un livello molto elevato, mentre vediamo un declino dell'impegno morale, della comprensione e della solidarietà verso gli altri. Da che cosa dipende quest'indebolimento della moralità e questa prepotente diffusione dell' egoismo? E' un male del secolo? E quali ne sono le cause? Ecco la mia prima domanda all' arcivescovo di Milano, che siede sulla cattedra che fu di Ambrogio e di Carlo e Federico Borromeo.

MARTINI - Sono d'accordo con questa impostazione del nostro dialogo. Del resto le domande sulla fede non possono vederci contrapposti ma desiderosi entrambi di approfondire il tema perché quelle domande, quelle contraddizioni sono dentro ciascuno di noi. Ciascuno di noi è al tempo stesso credente e dubbioso, pieno di speranza e disperato, fiducioso in un aldilà e timoroso della morte. Ne parleremo, ma intanto lei mi chiede dell'egoismo. Vede, io non sono affatto certo che il livello dell'egoismo sia aumentato rispetto ai secoli passati. Certo ci sono segnali drammatici in questa direzione; penso alla crudeltà delle guerre tra diverse e intolleranti etnie, alle stragi che ne sono derivate; penso anche al dilagare della corruzione, alle mafie, all' ossessione di privilegiare su tutto il proprio avaro interesse calpestando quello degli altri e rifiutandogli ogni comprensione. Purtroppo questi fenomeni non sono esclusiva caratteristica della società moderna: li abbiamo in retaggio a cominciare da Caino. Ma accanto a questi aspetti che violano i valori più alti della dignità umana, altri ve ne sono che infondono fiducia e speranza: la partecipazione con la sofferenza delle vittime e la sensibilità verso gli sconfitti, per esempio, hanno raggiunto proprio in questo scorcio di secolo un' intensità mai vista prima e così pure la partecipazione di un numero imponente di giovani al volontariato, all' assistenza ai poveri, ai derelitti, ai vinti. Non si tratta di fatti isolati ma di fenomeni di massa perciò non mi sento di affermare che il livello dell'egoismo sia aumentato e quello della moralità sia in declino. Ma ho invece un' altra e profonda preoccupazione: nel nostro secolo ci sono state ideologie che hanno legittimato o tentato di legittimare l'egoismo, quello di gruppo, di etnia, di nazione; ideologie che hanno chiamato luce le tenebre e tenebre la luce. Questo io temo soprattutto: la legittimazione ideologica del male e questa sì, è una paurosa novità dell' epoca nostra.

Lei ha ragione, signor cardinale, l'egoismo è un istinto dal quale la nostra umana condizione non può prescindere; direi un istinto biologico mirato alla sopravvivenza di ciascun individuo. La stessa cosa io penso della moralità: anch'essa si fonda su un istinto che mira a tutelare la sopravvivenza della specie. Il conflitto tra queste due pulsioni è costante e avviene in ogni momento dentro di noi, a volte prevale l' uno, a volte l'altro...

MARTINI - Venne detto a Caino: "Il peccato sta alla tua porta, ma tu dominalo". Ma io non credo che si tratti soltanto di due istinti di natura biologica come lei sostiene.

Lei pone nel divino la spinta verso il bene, io ne ravviso l'origine nella stessa nostra natura umana.

MARTINI - La differenza c'è ed è radicale, ma mi lasci dire che mi conforta constatare che anche chi, come lei, non crede, sente tuttavia un così profondo radicamento del sentimento morale nella natura umana.

Lei parlava prima di ideologie legittimanti l'egoismo di gruppo, di etnia, di potenza e ricordava le sofferenze e i massacri che ne sono derivati. Quelle ideologie sono cadute, infrante dalla loro follia e dal loro porsi contro la natura stessa degli uomini. Ma al loro posto ne è cresciuta un'altra, più sottile, priva per fortuna degli esiti feroci di quelle crollate, ma non meno insidiosa e devastante per le coscienze. Parlo dell' utilitarismo che sta ormai dilagando su tutto il pianeta. Non pensa, signor cardinale, che anche questa vera e propria ideologia rappresenti un pericolo per il sentimento morale?

MARTINI - Infatti mi preoccupa molto. Anch'essa tende a legittimare l' egoismo degli individui a scapito della moralità solidale e chiama luce ciò che ai miei occhi è tenebra, come diceva Isaia. Essa di fatto codifica il diritto dei forti a prevalere sui deboli cioè l' opposto delle beatitudini evangeliche. Ma vede, c'è un'altra ideologia che mi preoccupa e che si va anch'essa diffondendo ed è uno scetticismo diffuso, un disimpegno dai valori forti, la convinzione che nulla vi sia nella vita che valga la pena di realizzare se non il proprio piacere e la propria istantanea felicità. Ci si disimpegna dal rischio e dalla responsabilità, non si vuole crescere, si vuole restare in un'infanzia non più innocente ma comunque non responsabile, si rinviano i matrimoni, la procreazione, la fatica, ci si rifiuta di darsi carico degli altri. Insomma si gioca, si coglie l'attimo e nient'altro.

Mi scusi, cardinal Martini. Lei descrive una società ludica e infantile che sfugge al senso di responsabilità e vede questa tendenza contemporanea come un fatto degenerativo. Sono anch' io della stessa opinione, ma lei attribuisce questa degenerazione allo scetticismo, quindi introduce nel nostro dibattito l' antica contrapposizione tra la fede da un lato e dall' altro l' atteggiamento critico che privilegia la ragione. Non dimentichi che ci sono scettici che hanno dimostrato un profondo impegno morale. Mi sta sulla punta della lingua il nome di Voltaire e la sua vita spesa nella difesa della tolleranza e dei deboli contro l' arbitrio dei potenti.

MARTINI - Non pensavo allo scetticismo nobile, filosofico, di anime forti. Pensavo piuttosto all' indifferenza verso  tutto ciò che non sia l'effimero piacere da cogliere giorno per giorno. Lei mi sta chiedendo in pratica a che punto è, dal nostro punto di vista, la disputa secolare tra la Chiesa e l'Illuminismo dal quale ha preso le mosse gran parte di quello che viene chiamato il pensiero moderno. Ebbene, certamente nel secolo scorso quella polemica raggiunse da entrambe le parti toni aspri ed eccessivi. Oggi la cultura post-moderna formula nei confronti dell'Illuminismo la stessa critica che la Chiesa gli rivolse fin dall'inizio: d' aver gettato il seme giacobino della concezione totalitaria della società.

E la Chiesa, monsignor cardinale, non ha imparato nulla da quel confronto?

MARTINI - Ha imparato, eccome. La Chiesa ha imparato il valore della libertà politica e non ne ha più paura. Anzi ne ha fatto la sua divisa. Le sembra poco?

Mi sembra moltissimo purché lo si riconosca. La ringrazio per averlo detto. Le pongo un'altra domanda, se permette: lei non pensa che ci sia qualche rapporto tra un certo ottundimento del senso morale e un evidente declino del sentimento religioso nel mondo?

MARTINI -L'argomento è complesso, cerchiamo di analizzarlo con chiarezza. A me non pare che ci sia un declino del sentimento religioso ma certamente c'è un indebolimento delle grandi religioni monoteistiche tradizionali. Affiorano e si diffondono altri tipi di religiosità, alcuni con una concezione molto vaga e indistinta del sacro, altri con una visione - come posso dire? - settaria e militante. La conseguenza è appunto un ottundimento dell'impegno e della responsabilità morale.

Lei pensa alle sette che si moltiplicano nelle società occidentali più tecnologicamente avanzate e pensa - mi par di capire - al fenomeno dei fondamentalisti.

MARTINI - Esattamente, è a questi due aspetti che penso.

Sono entrambe due devianze rispetto alla visione del sacro come è stato predicato e vissuto dalle grandi religioni monoteistiche e in particolare da quella cristiana. uole approfondire questi aspetti, signor cardinale? Perché queste due devianze incidono negativamente sull'impegno morale?

MARTINI - Vede, non sempre la religiosità coincide col bene. C'è una religiosità debole, vaga, quasi indistinta che tende a coincidere con il vitalismo. Direi con l'estasi, con l' ebbrezza. Lì allignano le sette. Le sette partono da un rifiuto della modernità ma non si propongono di operare per introdurre nella modernità elementi di correzione, bensì scelgono vie di fuga, sentieri che possono portare verso pratiche magiche e, a volte, in casi estremi e orribili, addirittura a pratiche di suicidio collettivo e ad altre consimili aberrazioni. L' altra devianza, come lei l'ha definita, è quella del fondamentalismo: la visione di un Dio talmente forte e violento da opporsi e schiacciare tutte le altre concezioni del sacro e del divino. Contro queste due distinte concezioni del sacro si pone la mitezza arcana del Cristo sulla croce. Essa si fa compagna di tutte le debolezze umane, di tutte le cadute, di tutte le contraddizioni e costruisce l'amore per l'altro, fosse pure il nemico, a partire dalla croce. Qui c'è il recupero dei valori di libertà, giustizia e fraternità e non esiste dunque alcuna contraddizione tra una forte identità cristiana e il pluralismo dell'ecumene.

Lei parla monsignore, me lo lasci dire, un linguaggio molto toccante. Evinco che l'immagine biblica del Dio degli eserciti è dunque interamente tramontata.

MARTINI - Erano eserciti angelici.

Le crociate, tutte le crociate, anche quelle che di tanto in tanto vengono indette ancora ai tempi nostri, non erano e non sono certo eserciti angelici...

MARTINI - La Chiesa di oggi non fa crociate. Semmai fa opere di missione, che sono tutt'altra cosa.

Lei parlava prima di difesa della vita, da non confondersi con i vitalismi di vario conio. Il tema della vita porta il nostro discorso su un terreno assai concreto, terreno di frontiera tra laici e cattolici: intendo tutta la questione dei rapporti sessuali in genere e di quelli della procreazione in particolare. Non vorrei discutere qui il tema dell'aborto, se ne è parlato tanto e ciascuna delle parti in contrasto è rimasta sulla propria opinione. Mi interessa piuttosto il suo parere sul controllo dell'esplosione demografica in atto in vaste aree del pianeta, che coincidono poi con le zone più povere e sottosviluppate. In quei paesi ostinarsi a non controllare le nascite non è tutela della vita ma semplicemente preparazione sicura di morte per i bambini messi al mondo in situazioni insostenibili.  Perché, malgrado l'evidenza dei fatti, la Chiesa insiste in un atteggiamento di condanna di ogni strategia di controllo delle nascite?

MARTINI - Lei ha ragione nell'indicare nell'esplosione demografica uno dei fenomeni più gravi che ci troviamo a dover fronteggiare, la Chiesa ne è perfettamente consapevole. Ma faccio due osservazioni: 1) il fenomeno avviene soprattutto in paesi poveri e poverissimi. In quei paesi la presenza e quindi l'influenza della Chiesa è minima. 2) Il problema del controllo delle nascite non ha rapporto con la religione ma con la cultura storicamente esistente in quelle zone. Detto questo, la Chiesa si è posta da tempo la questione della maternità e della paternità responsabile e della programmazione delle nascite. Certo, la Chiesa vuole che i metodi utilizzati siano conformi alla cultura dei luoghi e rispettosi della natura umana. Trovo francamente eccessivo far carico a noi dell'esplosione demografica; nei paesi di presenza cattolica importante le nascite sono semmai fin troppo rallentate, in Europa e in Italia in particolare.

Eminenza, come ci si sente ad esser pastore di anime in un paese dove i cattolici sono ormai una piccola minoranza? Forse in Italia i veri cattolici sono sempre stati una minoranza a dispetto della quasi totalità dei battezzati. Ma adesso il fatto è diventato palese e questo segna una differenza. Personalmente mi auguro che ciò migliorerà la qualità del cattolicesimo italiano. Qual è il suo parere?

MARTINI - E' vero, i cattolici impegnati sono sempre stati una minoranza ed è altrettanto vero che solo da poco i cattolici stessi se ne sono fatti consapevoli...

Lei dispone di qualche cifra, di qualche statistica?

MARTINI - Sì, ci sono molte ricerche in proposito. Vorrei utilizzare l'immagine d'un albero per farmi capire meglio. Un albero si compone di tante parti; diciamo la linfa, il midollo, la corteccia. La linfa sono i cattolici molto impegnati; secondo le cifre di cui dispongo rappresentano circa l' 8 per cento della popolazione. Il midollo dell' albero è costituito dai cattolici che frequentano regolarmente la messa e i sacramenti senza altri impegni particolari. Le varie rilevazioni oscillano da un minimo del 20 a un massimo del 40 per cento. Tutto il resto è la  corteccia: battezzati, con un minimo di educazione cattolica infantile e poi nessun altro contatto, anzi un allontanamento pressoché totale anche se non necessariamente ostile. Diciamo: indifferenza, estraneità. Non è facile amministrare pastoralmente una situazione così complessa. Lei dice che il fatto d' averne preso coscienza  ci migliorerà? Può darsi; uscire dall'indifferentismo anche in minor numero è comunque un progresso.

Nella sua ultima lettera pastorale di qualche mese fa e poi in successive pubbliche dichiarazioni lei formulò una critica molto severa al secessionismo di certi movimenti politici e affermò come un valore quello dell' unità nazionale. Vorrei chiederle: prese quella posizione per ragioni di opportunità politica o per considerazioni di indole morale?

MARTINI - La seconda ipotesi è quella giusta. Un vescovo non ha e non deve avere preferenze politiche, ma quando si rende conto che sono in gioco discriminazioni etnico-geografiche, che si alimenta l' esclusione degli altri dal benessere proprio, che si fa crescere un sentimento di superiorità e di disprezzo verso cittadini di altre regioni, lì allora siamo in presenza di quegli egoismi nefasti dei quali parlavamo all' inizio e lì è obbligo nostro di intervenire parlando alto e forte.

L'ultima domanda, signor cardinale. Voi dovrete ripresentare Dio alla società moderna se è vero, come molti di voi dicono, che è diventata terra di missione. Con quale immagine lo presenterete?

MARTINI - Con quella che ha sempre storicamente avuto e che non è né logora né inattuale; è anzi di grandissima modernità. Il divino si presenta nell'umiltà delle beatitudini: beati i poveri, beati i semplici, beati gli umili, beati i deboli e i sofferenti. Il divino ha anche il volto del santo di Assisi; il divino ci libera dall' angoscia della morte, infonde gioia nella vita e ci dà la certezza dell'aldilà. Noi ripresentiamo la mitezza di Gesù di Nazareth non in termini trionfanti e schiaccianti; Gesù non schiaccia nessuno, anzi è il Dio che si è fatto schiacciare per l'amore verso l'uomo. Ma vedo che ora faccio il pastore anche con lei, me ne scuso. Piuttosto lasci che per concludere il nostro incontro le ponga io due domande, spero che vorrà rispondermi. Prima domanda: siamo di fronte a grandi sfide ed è necessario che gli uomini di buona volontà le affrontino insieme anche partendo da culture e punti di vista diversi. Come possiamo capirci di più e aiutarci di più? Seconda domanda, questa molto personale: un laico non credente come lei, in che modo legge il senso globale della vita e dell'esserci?

Le sono molto grato per le domande che mi rivolge. Alla prima mi è facile rispondere che dobbiamo capirci meglio e di più. L'incontro di oggi può essere molto utile e non esito a dirle che personalmente ne esco più ricco e più consapevole. La seconda domanda mi obbligherebbe ad una lunga esposizione, troppo privata per interessare un pubblico così vasto e qualificato. Ma non voglio eluderla. Risponderò dunque su un solo punto ma che a me pare comunque quello centrale. Io considero la nostre specie come una delle tante del mondo animale perché noi siamo in tutto animali salvo che per una particolarità: noi guardiamo noi stessi dall'interno, possediamo una mente che riflette su se stessa ed abbiamo la consapevolezza di dover morire. L'insieme di queste facoltà si chiama coscienza ed essa è il nostro tratto distintivo, la nostra natura. Vede, cardinal Martini, io credo che, arrivato il momento della morte, null'altro vi sia, null'altro ci aspetti, ma questa convinzione non mi dà né disperazione né disimpegno. La consapevolezza del dover morire non è l' atto finale ma l'atto iniziale della vita di ciascuno, quello che condiziona tutto ciò che faremo poi. Noi sfidiamo la morte per tutta la vita ed è questo che ci spinge alle opere e all' impegno. Su questo terreno possiamo incontrarci, anzi ci siamo già incontrati.

MARTINI - Anch'io, voglio dirglielo, esco da questo incontro con più fiducia e maggiore speranza.

(L'articolo è apparso su Repubblica l'11 ottobre 1996)

(11 ottobre 1996) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/1996/10/11/news/il_laico_il_cardinale_e_il_paese_senza_etica-41738584/?ref=HRER3-1
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« Risposta #377 inserito:: Settembre 03, 2012, 11:55:23 am »

L'EDITORIALE

Mali antichi insidiano il nostro fragile paese

di EUGENIO SCALFARI


Ho ancora nel mio cuore e nei miei pensieri l'immagine di Carlo Maria Martini mentre il popolo sfila davanti al suo feretro e gremisce il Duomo e la grande piazza di Milano dove per tanti anni esercitò la sua missione di Vescovo. Se n'è andato un padre che poteva anche essere un Papa alla guida della Chiesa in tempi così procellosi?

No, non poteva essere un Papa e non era un padre. È stata una presenza ancora più toccante e inquietante: è stato un riformatore che si era posto il problema dell'incontro tra la Chiesa e la modernità, tra il dogma e la libertà, tra la fede e la conoscenza. "Non sono i peccatori che debbono riaccostarsi alla Chiesa ma è il pastore che deve cercare e ritrovare la pecora smarrita". Così diceva e così faceva.

È morto nel pomeriggio di venerdì, i medici l'avevano già sedato, ma la mattina di giovedì aveva ancora celebrato la messa e mormorato dentro di sé il Vangelo perché la voce era del tutto scomparsa, le mani non reggevano più neppure l'ostia e non deglutiva. Ma la mente era vigile, la fede intatta e lui sorretto davanti all'altare ne era la prova vivente.

Pochi giorni prima aveva risposto ad un suo confratello che gli chiedeva quale fosse lo stato della Chiesa: "C'è ancora una brace ardente nel braciere, ma lo strato di cenere che la ricopre ha un tale spessore che rischia di spegnerla del tutto. Perciò bisogna disperdere quella cenere perché il fuoco torni a riaccendersi".

Chi l'ha seguito condividendone la fede dovrà ora impegnarsi a disperdere quella cenere ma dubito molto che si riesca. Chi ne ha apprezzato il coraggio e la modernità di pensiero dovrà farne uso per evitare che la modernità si incanaglisca nello schiamazzo e si impantani negli egoismi e nella palude dell'indifferenza.
Questo è il tema che oggi voglio affrontare. Lo dedico a lui per la sua lotta contro tutte le simonie. Quella lotta è anche la nostra e la sua immagine ci incita a restarle fedele.

* * *

Noi viviamo in un Paese arrabbiato, in un continente arrabbiato, in un mondo arrabbiato. Questa situazione non è normale. La rabbia sociale è un elemento permanente in ogni epoca perché in ogni epoca ci sono ingiustizie, invidie, rancori. Ma non dovunque, non in tutto il pianeta contemporaneamente. Questo invece sta accadendo. C'è rabbia in Siria, in Iran, in Palestina, in tutto il continente africano dal nord al sud e dall'est all'ovest; c'è rabbia in Russia, in Ucraina, in Cina, in Giappone, nelle Filippine. E in tutti i Paesi di antica opulenza, oggi in crisi, in perdita di velocità e costretti a darsi carico delle rabbie altrui e delle proprie.

La rabbia sociale accresce gli egoismi e ottunde la consapevolezza. Chi odia è posseduto da nevrosi di gelosa invidia e da istinti distruttivi. Chi odia vuole distruggere. La rabbia divide e al tempo stesso unisce, gli individui arrabbiati diventano folla, la folla è una forza anonima sensibilissima alle emozioni che evocano i demagoghi.

La demagogia è il climax ideale di questa fase e di solito  -  così insegna la storia  -  non ha altro sbocco se non la perdita della libertà. I demagoghi lo sanno ma rimuovono questo pericolo confidando nel loro virtuosismo di trattenere le folle agganciate al loro precario carisma.

Rabbie sociali, folle emotive, demagoghi che cavalcano quelle emozioni e ne diventano le icone; poi quelle stesse folle applaudiranno e isseranno sulle loro spalle i dittatori che imbavaglieranno le loro bocche e li legheranno alla catena della servitù.

La storia è gremita di esempi, ma noi ne abbiamo avuti in casa di recenti. L'arma di cui si servono sia i demagoghi sia i dittatori, che spesso sono le stesse persone e coprono gli stessi interessi, è la semplificazione. Le folle non sopportano i ragionamenti complessi, vogliono risposte immediate, vogliono emozioni forti, vogliono il nemico da abbattere, il traditore da linciare, il bersaglio sul quale concentrare i colpi.

I Paesi di antica democrazia possiedono anticorpi robusti che riescono di solito a contenere e a vincere il virus demagogico. Ma noi italiani non viviamo in un Paese di antica e solida democrazia.

La democrazia ha come condizione preliminare l'esistenza dello Stato. L'Italia ha uno Stato, creato appena 150 anni fa, che la maggioranza degli italiani non ha mai amato. Non lo amò quando nacque, si ribellò contro di esso tutte le volte che poté. Il fascismo nacque da una ribellione contro lo Stato che nasceva da sinistra e fu utilizzata dalla destra. Ne venne fuori lo Stato totalitario, cioè la negazione della democrazia.

Poi la democrazia arrivò, frutto delle catastrofi della guerra, ma quanto fragile! Basta una spinta, basta un buon venditore di slogan, basta una dose di antipolitica per ammaccarla e mandarla in pezzi.

Il procuratore generale dell'antimafia ha detto l'altro giorno che "menti finissime sono al lavoro per colpire le Procure e il capo dello Stato". Può darsi che sia così, ma non credo ci vogliano menti finissime. In un Paese nel quale alligna la furbizia e il disprezzo delle regole, basta una ciurma di demagoghi da strapazzo per provocare un incendio. I piromani mandano a fuoco ogni estate decine di migliaia di ettari di bosco e ancora non si è capito il perché.

* * *

I focolai dell'incendio sono numerosi ma il più esteso deriva dal fatto che l'economia europea è da un anno in recessione e ci resterà per un altro anno ancora. Noi siamo purtroppo in testa a questa classifica per una ragione evidente: siamo in coda nel tasso di produttività, di crescita e di investimenti; per di più abbiamo accumulato uno dei debiti pubblici più grandi del mondo.

Responsabilità? Generali. La politica ne ha molte perché ha sempre preferito guardare all'oggi anziché al domani; una responsabilità non minore ce l'hanno il capitalismo italiano, le lobby, le clientele. Anche i sindacati, forse un po' meno di altri ma comunque non trascurabili: hanno difeso più il posto di lavoro che il lavoro, favorendo in questo modo l'ingessatura del sistema produttivo e rendendo difficile la mobilità sociale. Questo non è un errore da poco, caro Landini.

Adesso molti di questi nodi sono arrivati al pettine e i sacrifici sono diventati necessari. Ma i sacrifici non piacciono a nessuno e scatenano la rabbia sociale. "Vengono colpiti i soliti noti". In gran parte è vero ma bisognerebbe anche capire che mille euro tolti a 20 milioni di persone dovrebbero salire a duecentomila euro se le persone fossero soltanto centomila di numero. Gli evasori ovviamente sono infinitamente di più e per quanto li riguarda il problema è la loro rintracciabilità.
Comunque: i sacrifici non piacciono a nessuno ed è quindi normale che creino disagio, in certi casi anche molto acuto. Poi ci sono focolai di incendio più ristretti nella loro estensione ma molto più intensi.

* * *

Uno di questi è certamente l'Alcoa che gestisce le miniere sarde di carbone allo zolfo. Quelle miniere  -  lo ricorda Alessandro Penati su la Repubblica di ieri  -  furono aperte a metà dell'Ottocento. Poi furono chiuse perché il carbone di quella qualità non aveva mercato e la sua produzione era antieconomica. Ma poiché in quella zona della Sardegna non c'erano altre risorse per creare lavoro, la sequenza di aperture, chiusure e riaperture delle miniere fu continua ed è durata fino ad oggi passando dallo Stato all'Iri, all'Enel, all'Eni. Infine anche l'Eni chiuse perché il carbone allo zolfo non lo comprava nessuno.

Lo Stato però riuscì a vendere le miniere alla società canadese Alcoa che produce alluminio ed ha bisogno di carbone. Il costo di quello del Sulcis era fuori mercato e l'Alcoa accettò il contratto solo se lo Stato gli avesse fornito l'energia elettrica necessaria alla produzione di alluminio a prezzo sussidiato. Il contratto è durato 15 anni, il sussidio è stato pagato da ciascuno di noi nella bolletta dell'energia elettrica. Adesso è scaduto e lo Stato non lo ha rinnovato, per cui l'Alcoa se ne va salvo nuove trattative per nuove soluzioni.

La rabbia dei cinquecento minatori si è almeno in parte placata dopo l'annuncio dato dal ministro Passera a trecento metri di profondità e forse una soluzione sta per essere trovata.

È invece ancora in altissimo mare la questione dell'Ilva di Taranto. La riassumo con le parole del giovane attore Riondino che è uno degli esponenti nel movimento di protesta tarantino: "I lavoratori dell'Ilva, compreso l'indotto, sono diciottomila. Diciamo pure che considerando il sub-indotto arrivino a trentamila. Sono molti e la chiusura dell'azienda per loro è una catastrofe. Ma la popolazione di Taranto, compresi quei trentamila lavoratori, è di 186 mila abitanti, tutti quanti, bambini e neonati compresi, respirano polvere di carbone dalla mattina alla sera: un'incubazione che passa da una generazione all'altra e che mette Taranto al più alto livello di tumori delle vie respiratorie".

Questo è il problema. La rabbia dei lavoratori si somma a quella di tutti gli abitanti per due ragioni diverse anzi opposte: il lavoro e la salute. I sindacati e le parti politiche di riferimento vorrebbero conciliare le due cose, ma ci vuole molto tempo e moltissimi soldi che lo Stato non ha. E quindi la rabbia infuria.
Di esempi analoghi c'è una lista lunghissima. Ciascuno produce rabbia. I motivi, le cause, le responsabilità sono diversi, ma tutto si unifica. Agitate con energia e il cocktail è pronto.

* * *

Tanti fiumi più o meno fangosi si uniscono a valle in un solo grande fiume e un solo delta, ma quel delta diventa palude perché manca  -  vedi caso  -  la liquidità.

Nel caso specifico la liquidità è Draghi che dovrebbe darla e a quanto risulta sembra deciso a farlo. Darà battaglia il 6 prossimo al Consiglio direttivo della Bce e aspetterà il 12 la sentenza della Corte costituzionale tedesca sul fondo salva-Stati. Poi si muoverà. Forse, per superare l'opposizione della Bundesbank, chiederà l'ok dell'Ue e Monti dovrà fare in modo di farglielo avere impegnandosi ad un calendario rigoroso per attuare iniziative già approvate dal Parlamento che attendono però i decreti attuativi.

L'intervento di Draghi sarà della massima importanza per uscire dal pantano, mitigare le rabbie, depotenziare i demagoghi e consentire che Monti porti a termine il suo lavoro con l'appoggio indispensabile del presidente della Repubblica, senza il quale saremmo da un pezzo finiti nell'immondezzaio dell'Europa.

Ma è anche necessario uno sfondo politico per un'Europa politica. Ci sarà?

Il cardinale Martini si occupò anche di questo problema e lo espose con parole chiarissime dinanzi al Parlamento di Strasburgo dove fu invitato a parlare nel 1997. Trascrivo le sue parole a chiusura di questo articolo che ho a lui dedicato.
"L'Europa si trova dinanzi a un bivio decisivo della sua storia. Da un lato si apre la strada d'una più stretta integrazione politica che coinvolga i popoli europei e le loro istituzioni. Dall'altro ci può essere un arresto del processo di unificazione o una sua riduzione solo da alcuni aspetti economici e limitatamente ad alcuni Paesi".

Questo è il dilemma: la nascita d'una vera Europa in un mondo globale o la sua irrilevanza politica e storica. Gli italiani responsabili non possono essere indifferenti di fronte a questo dilemma.

(02 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/02/news/mali_antichi_insidiano_il_nostro_fragile_paese-41831471/?ref=HRER3-1
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« Risposta #378 inserito:: Settembre 10, 2012, 08:44:50 pm »

L'EDITORIALE

Per l'Europa o contro la scelta è  questa

di EUGENIO SCALFARI

Mario Monti è molto soddisfatto delle decisioni prese da Mario Draghi: le Borse europee sono state in netto rialzo dopo quelle decisioni, lo "spread" è in netto ribasso, la speculazione si è "accucciata". Ad un giornalista tedesco che gli domandava se l'euro avesse ancora un futuro il presidente della Bce ha risposto: "L'euro è irrinunciabile".

È vero, il piano d'azione deciso dall'Eurotower rappresenta una svolta epocale di questa crisi ed anche un rafforzamento significativo della Banca centrale, della sua indipendenza e dei suoi poteri. Ma, per quanto ci riguarda, è necessario un altro passo avanti del governo, del Parlamento e dei partiti: bisogna europeizzare l'Italia affinché l'Italia contribuisca efficacemente ad europeizzare l'Europa. L'ha detto con estrema chiarezza Giorgio Napolitano nel suo recente discorso di Venezia: l'Italia deve puntare sulla nascita d'uno Stato federale europeo e non può farlo se non europeizzando i propri comportamenti.

Monti ha già iniziato questo percorso ma ora si trova anche lui di fronte ad una svolta difficile: deve accettare le nuove "condizionalità", cioè ulteriori "compiti da fare a casa" ottenendo l'okay del fondo "salva Stati", senza il quale Draghi non renderà operativo il suo intervento per quando riguarda il nostro Paese.

Le Borse, l'abbiamo già detto, hanno festeggiato e lo "spread"
è calato di cento punti in pochissimi giorni, la speculazione è stata bloccata, ma questi positivi risultati non dureranno a lungo se l'intervento della Bce non diventerà operativo.

Tanto più se la Spagna, come è assai probabile, accetterà di chiedere l'okay del fondo "salva Stati". Se noi restassimo fermi nella nostra posizione di non chiedere quell'aiuto, la speculazione probabilmente lascerebbe in pace la Spagna e piomberebbe addosso a noi con rinnovato vigore.

Questo è dunque il passaggio che il nostro governo dovrebbe compiere e la maggioranza parlamentare che lo sostiene dovrebbe votare.

Per evitarlo senza conseguenze negative Monti ha in mente di creare un organo di controllo indipendente "in ambito parlamentare" che esamini quotidianamente tutti i provvedimenti in corso e dia il suo parere vincolante. In realtà questo organo esiste già in ambito parlamentare ed è il comitato di bilancio del quale è necessario il bollino di copertura prima che le commissioni competenti procedano sul merito. Fuori dall'ambito parlamentare ma nell'architettura costituzionale c'è poi la Corte dei conti. Non si vede dunque la novità della proposta allo studio.

***

In che cosa consiste il piano d'intervento della Bce è noto: acquisterà sul mercato secondario titoli pubblici con scadenze fino a tre anni, anche residuali rispetto alle date di emissione; la quantità degli acquisti sarà illimitata; la Bce non sarà un creditore privilegiato; nel frattempo il fondo "salva Stati" interverrà se necessario alle aste indette dal Tesoro italiano.

L'obiettivo è quello di far diminuire i tassi di interesse dei Paesi "aiutati" con l'obiettivo di armonizzare i tassi in tutta l'eurozona. Ma per ottenere questi risultati estremamente significativi i paesi interessati  -  e cioè Italia e Spagna  -  dovranno accettare ulteriori condizioni il cui adempimento sarà controllato dalla "troika" composta da Bce, Fondo monetario internazionale e Commissione di Bruxelles. Controlli trimestrali e risultati certificati dall'Eurostat.

Non è un commissariamento tipo Grecia, specialmente per quanto riguarda l'Italia che la maggior parte dei suoi "compiti a casa" li ha già fatti, ma certo è l'assunzione di ulteriori responsabilità. Mario Draghi ha fabbricato il "bazooka" per bloccare la speculazione e Mario Monti dovrà metterselo sulla spalla e farlo funzionare.
Non c'è molto tempo. Prima avverrà e meglio sarà per noi e per l'euro, cioè per l'Europa.

***

Non è detto che le "nuove condizioni" chieste dalla "troika" si concentrino su nuovi sacrifici, nuova fiscalità, nuovi tagli alla politica sociale. Da questo punto di vista infatti il governo Monti ha già fatto molto, a cominciare dalla riforma delle pensioni, da quella del lavoro, dalla lotta all'evasione, dalla riforma della sanità e da un inizio di riqualificazione della spesa. Il risultato è l'avanzo della spesa corrente che sfiora ormai il 4 per cento.

Se l'intervento della Bce farà diminuire il tasso di interesse, ogni punto in meno di quel tasso significherà una diminuzione di 16 miliardi annui nell'onere del Tesoro per il debito pubblico.

Con ogni probabilità le "nuove condizioni" riguardano dunque l'incremento della produttività, lo snellimento della pubblica amministrazione, una "spending review" più incisiva, una tassazione sulle rendite per eliminarle. Infine l'esecuzione rapida dei provvedimenti già approvati.

Le "nuove condizioni" hanno dunque un obiettivo che unisce il mantenimento del rigore e i presupposti della crescita. Se il nostro governo, dopo opportuni negoziati, arriverà all'accordo, entreremo in una fase nuova dove anche le istanze sociali potranno trovare più ampio accoglimento.
Ma le "nuove condizioni" hanno anche e inevitabilmente un risvolto politico: esse impegnano il nostro Paese fino a quando la crisi non sarà superata. Detto in modo ancora più chiaro, significa che il nuovo governo che si insedierà dopo le elezioni del 2013 avrà, per quanto riguarda l'economia nel suo complesso, la strada già tracciata. Alla pietanza in corso di cottura potrà aggiungere una manciata di basilico o di prezzemolo o di menta ma non molto di più.

Il rilancio contro la recessione vero e proprio sarà l'Europa tutta insieme a doverlo sostenere e un'Italia in regola potrà dare un contributo di grande importanza. Quando il nostro Presidente della Repubblica parla di europeizzare l'Italia ed europeizzare l'Europa è proprio questo che pensa e che esorta a fare. Ben per noi se seguiranno la sua esortazione.

***

Alcune forme d'opposizione hanno preso iniziative che si definiscono da sole. Roberto Maroni ha lanciato un referendum leghista che riserva l'uso dell'euro alle sole regioni virtuose (ovviamente del Nord). Le altre tornino alla liretta d'un tempo.

Antonio Di Pietro invece ha avuto un'altra pensata: raccogliere le firme e indire un referendum per l'abolizione dell'articolo 18 del codice del lavoro. Vendola si è associato. Acqua fresca per racimolare qualche voto vagante ma incitare le piccole imprese a scomparire nel sommerso.

Immaginiamo per amore d'ipotesi che i voti populisti di questo tipo si raccolgano insieme e mettano in imbarazzo la maggioranza parlamentare futura o addirittura la scavalchino come reagirebbero i mercati? E immaginiamo che quel bel ragazzo di Matteo Renzi, abilissimo nell'arrampicarsi sulla pertica dell'"outsider", sia lui a guidare un moncone dell'ex Pd insieme ad un moncone del Pdl e spetti a lui di rappresentarci in Europa. Il presidente della Bundesbank un'ipotesi del genere per buttare l'Italia fuori dall'euro se la sogna la notte.

***

Angela Merkel sta attraversando un passaggio molto stretto. I falchi della Bundesbank non si limitano a manifestare il loro dissenso dalla politica di Draghi votandogli contro nel Consiglio direttivo della Bce, ma lo attaccano ripetutamente e radicalmente sui giornali di mezzo mondo in compagnia dei liberali e della Csu bavarese e perfino di alcuni "colonnelli" del partito della Cancelliera. Gran parte dell'opinione pubblica tedesca è con loro, non vuole che la Germania ceda sovranità all'Europa spendacciona. Rifiuta l'Europa ed auspica che la Corte costituzionale di cui si attende il verdetto il 12 prossimo, dichiari incostituzionali i fondi "salva Stati".
Che cosa farà la Cancelliera nei prossimi giorni per bloccare quest'offensiva? Tra le varie ipotesi c'è quella che attribuisce alla Merkel l'intenzione di pretendere per il suo governo la supervisione sulle "nuove condizioni" da imporre ai Paesi che chiedano l'auto del "salva Stati", ma si tratta di un'ipotesi priva di senso: le "nuove condizioni"  -  se la Spagna e anche l'Italia decideranno di chiederle  -  prevedono il controllo della "troika" (Bce, Commissione Ue, Fmi). La Germania è ampiamente rappresentata in tutte e tre le istituzioni; inoltre la Bce è indipendente dai governi, sicché quest'ipotesi non sta in piedi.

In realtà la Merkel ha un'altra strada da seguire, che ha già imboccato da alcuni mesi senza però farne il centro della sua politica. Adesso è venuto il momento di porre come obiettivo primario la fondazione dello Stato federale europeo del quale la Germania non può che essere il perno di sostegno.

Ciò significa dare la priorità  -  almeno per quanto riguarda la politica economica e sociale  -  all'Europa rispetto agli Stati nazionali. Se sceglierà questa la strada, la prossima campagna elettorale tedesca si svolgerà all'insegna d'una scelta tra Europa e Germania.

Stando agli attuali sondaggi non c'è dubbio che l'opinione pubblica tedesca sceglierebbe la "nazionalità" e rifiuterebbe l'europeizzazione, ma un risultato del genere farebbe saltare l'intera costruzione europea a cominciare dalla moneta comune. Questa è una responsabilità che per ragioni se non altro storiche la Germania non può assumersi.

Infine: le previsioni dell'Ocse dicono che nei prossimi due trimestri il Pil tedesco sarà negativo, rispettivamente dello 0,2 e dello 0,8 per cento. Recessione dunque anche in quel paese fin qui considerato il motore del continente. Se la previsione sarà confermata la Germania avrà un disperato bisogno d'una politica di rilancio della domanda e degli investimenti, che è l'esatto contrario di quanto predicano gli avversari di Draghi
L'europeizzazione degli Stati nazionali è la sola strada pensabile e questa è la sfida che tutti ci coinvolge, Germania in testa. La Cancelliera ha la capacità politica di percorrerla ponendola fin d'ora al primo posto nell'ordine del giorno dell'Europa.

L'Italia non può che essere parte attiva di questa partita. Monti ha sempre sostenuto questo obiettivo, Napolitano altrettanto e non a caso l'ha richiamato nel suo discorso di Venezia e lo richiamerà ancora proprio oggi a Cernobbio. Noi abbiamo una campagna elettorale ormai imminente. Se le forze politiche la smetteranno di "pettinare le bambole" (come ha scritto Alfredo Reichlin sull'"Unità" di ieri) e capiranno che anche per noi è venuto il momento di porre la costruzione dell'Europa al centro della politica italiana, si sarà compiuto un passo avanti fondamentale. Oppure, nel caso contrario, un passo indietro drammatico perché il baratro in cui non siamo caduti è ancora lì, aperto e a poca distanza.
 

(09 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/09/news/per_l_europa_o_contro_la_scelta_questa-42199643/?ref=HREC1-3
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« Risposta #379 inserito:: Settembre 16, 2012, 04:26:51 pm »

Opinioni

Perché Martini non sarà santo

di Eugenio Scalfari

All'interno della Chiesa non aveva una sua corrente. La Curia e la segreteria vaticana lo vedevano come un disturbatore. Quindi ora le gerarchie cercheranno di 'annetterlo', ma di far dimenticare le sue tesi

(11 settembre 2012)

Il cardinale Martini, finalmente per lui, è andato in pace. Il popolo l'ha salutato con cordoglio e affettuoso rispetto; le autorità della Chiesa e quelle dello Stato gli hanno pubblicamente reso gli onori che meritava. Gli amici, cattolici e non cattolici, si sono stretti intorno alla sua memoria e al suo insegnamento. Ora è il momento delle interpretazioni. Confrontiamole.

ANZITUTTO LA GERARCHIA che amministra la Chiesa e di cui lui stesso ha fatto parte. Già vivo Martini è stato rispettato ma non amato dalla gerarchia, salvo poche eccezioni tra le quali segnalo quelle dei cardinali Silvestrini e Tettamanzi e di alcuni vescovi. Ma in Curia e nella segreteria vaticana era visto da alcuni come un disturbatore, comunque come un elemento estraneo. Il papa attuale ebbe motivi di riconoscenza perché alla terza votazione in Conclave fu la confluenza dei cardinali "martiniani" su Ratzinger a determinare la successiva fumata bianca. Ora che è morto, la gerarchia se lo annette con la consueta abilità.

Basta leggere le dichiarazioni del cardinal Forte che è uno dei pilastri dell'architettura ecclesiastica. La decisione di rifiutare l'accanimento terapeutico rinunciando all'alimentazione forzata? Una prassi riconosciuta e addirittura sostenuta dalla Chiesa. Paragonarla al caso Englaro? Chi lo fa non capisce la profonda differenza, fermo restando che Martini confermò a Forte, pochi giorni prima di render l'anima a Dio, che mai avrebbe preso decisioni che non fossero quelle dettate dal Signore alla sua coscienza. Il suo preteso "relativismo"? Una bestemmia solo a supporlo. La sua critica radicale alla Chiesa? Martini venerava papa Ratzinger e le sue critiche erano marginali e utilissime; di esse la gerarchia terrà adeguato conto.

Non so fino a che punto il cosiddetto popolo di Dio, cioè quello dei veri credenti e praticanti, concordi con l'interpretazione della gerarchia. Ma il popolo di Dio che conta non è la massa sparpagliata che si ritrova insieme alle messe domenicali. Nella Chiesa degli ultimi cinquant'anni il popolo di Dio si riconosce in alcune comunità organizzate e potenti, ciascuna delle quali ha un peso e i suoi punti di riferimento nell'architettura ecclesiale: Comunione e liberazione, Sant'Egidio, i Focolarini, l'Opus Dei, più alcuni Ordini della Chiesa regolare come i Salesiani, i Francescani e le loro varie famiglie, i Gesuiti. Una comunità martiniana non esiste e non credo esisterà.


La ragione è evidente: Martini era un riformatore, uno dei pochi nella Chiesa che venne rifondata dopo la scissione luterana. E' stato sepolto in Duomo accanto alla tomba di San Carlo Borromeo. L'accostamento è importante dal punto di vista della solennità; Carlo Borromeo fu uno dei pilastri della cattolicità nata dal Concilio di Trento e fu anche il pastore che invocò Dio per metter fine alla peste. Ma fu un contro-riformatore, cioè l'opposto di Martini.

QUALCHE ANTECEDENTE alle posizioni martiniane si può trovare nel modernismo che si manifestò ai primi del Novecento ed ebbe i suoi epigoni durante il pontificato di Pio XI che li liquidò definitivamente. Ma l'essenza del modernismo si riallacciava a Rosmini ed era soprattutto di carattere etico. L'etica è fondamentale anche per Martini, la lotta alle ipocrisie, alla casistica, alla temporalità del Papato: questi sono temi che accomunano Martini e i modernisti. Ma c'è in lui qualche cosa di diverso che va molto oltre: è il tema dell'incontro della Chiesa con la modernità che distingue Martini dagli altri ed è il suo grido d'allarme per le condizioni attuali della Chiesa.

Appena dieci giorni prima di morire, in un'intervista alla Bbc, Martini dice che «la brace della Chiesa, cioè lo spirito che deve pervaderla e la fede che deve alimentarla, sono ricoperte da uno strato di cenere il cui spessore è tale da spegnere quella brace. Il compito dei cristiani è di liberare il braciere da quella cenere per vedere di nuovo il fuoco della fede».

EPPOI VOLEVA CHE IL CONCILIO diventasse uno strumento di governo della Chiesa. La gerarchia amministra la gestione ordinaria attraverso le varie istituzioni, congregazioni, tribunali, ma l'essenza della religione, le questioni supreme, la convivenza tra il dogma e la modernità, siano appannaggio dei Concilii, da applicare a temi specifici, quello del celibato, il percorso della penitenza, la nomina dei Vescovi. Il papa è il vertice, ma il corpo della piramide sono gli episcopati e a loro compete la politica dell'ecumenismo, l'unità profonda delle religioni.

Dio non è soltanto cattolico e neppure soltanto cristiano; Dio è dovunque ed è di tutti. Queste sono bestemmie? Se lo sono per la gerarchia, allora Martini è stato un bestemmiatore. Se noi fossimo credenti lo vorremmo Beato, ma dubitiamo che il popolo di Dio riesca in questa iniziativa per la semplice ragione che nessuno la prenderà. Noi lo rimpiangiamo come maestro e amico, dal quale molto abbiamo imparato sul Figlio dell'uomo che per lui era il Figlio di Dio.


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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/perche-martini-non-sara-santo/2190589/18
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« Risposta #380 inserito:: Settembre 17, 2012, 10:54:50 am »


EDITORIALE
Chi guiderà tra sette mesi il governo e il Quirinale?

di EUGENIO SCALFARI

I MERCATI europei festeggiano gli ultimi eventi favorevoli alla tenuta dell'euro che pongono le premesse per un rilancio dell'economia reale, mentre sull'opposta sponda del Mediterraneo si è scatenata una vera e propria ondata di anti-americanismo quale non si vedeva da molto tempo.

Per ora assistiamo a due fenomeni che sembrano svolgersi su due diversi livelli, ma non è questa la realtà; i due livelli sono strettamente intrecciati l'uno con l'altro. Se l'ondata anti-americana non sarà al più presto contenuta il rischio è la sconfitta di Obama nelle presidenziali americane. Per l'economia europea sarebbe un colpo temibilissimo; mancano 50 giorni a quel voto che anche l'Europa attende col fiato sospeso.

Intanto i mercati privilegiano il bicchiere mezzo pieno e le ragioni non mancano: la Corte di Karlsruhe ha definito il fondo "salva-Stati" compatibile con la Costituzione tedesca; la Merkel ha dato a Draghi l'ok definitivo allo scudo anti-spread se sarà richiesto dalla Spagna e dall'Italia; le elezioni olandesi sono state vinte dai partiti europeisti; infine la Fed di Bernanke ha deciso di iniettare nell'economia Usa una marea di liquidità al ritmo di 40 miliardi di dollari al mese per un periodo di almeno due anni.

Le condizioni d'un rilancio generale contro la recessione e a favore di nuova e maggiore occupazione ci sono dunque tutte e il buon andamento delle aste italiane di questi ultimi giorni ne sono la più visibile manifestazione.
 
Gli effetti sull'economia reale tuttavia non saranno immediati ma dovrebbero manifestarsi fin dall'autunno del 2013.
C'è tuttavia un problema tutt'altro che marginale che ha fatto la sua comparsa in modo imprevisto: che ne sarà della politica di Monti e della sua posizione personale dopo le elezioni del 2013? I governi europei vorrebbero che restasse alla guida d'un nuovo governo ma quest'ipotesi si scontra ora con un quadro politico italiano a dir poco confuso nel quale tutte le prospettive che fino a poco tempo fa sembravano plausibili sono invece saltate, le alleanze previste si sono rotte, la polemica tra i partiti e anche all'interno di essi si è trasformata in una lotta di tutti contro tutti. Infine la nuova legge elettorale il cui varo era stato dato per imminente, è diventato una "araba fenice".
Dicevamo che i mercati festeggiano ed hanno buone ragioni per farlo, ma sulla politica italiana batte invece la campana a martello. Gli italiani voteranno per l'Europa o contro di essa? Questo è il punto al quale le forze politiche non hanno ancora risposto e che anzi, a guardarle da come si stanno comportando, sembrano ignorare o addirittura non capire.

                                                                 * * *

Il governo Monti adottò un anno fa una politica di rigore che, pur con molti errori ed eccessivi annunci non sempre seguiti dai fatti, evitò che il paese precipitasse nel baratro del default. Contemporaneamente ha guadagnato all'estero e in particolare in Europa una credibilità che da tempo i nostri governi avevano perduto. Questa credibilità ci consente di riprendere il nostro posto al tavolo europeo e di esercitare un ruolo non marginale nella costruzione di un'Europa politica e federata.

Ma non sono solo queste le novità introdotte dalla svolta "montiana". Ce n'è un'altra che potrebbe produrre un mutamento addirittura rivoluzionario nella storia dell'Italia repubblicana ed è il ruolo delle istituzioni nel quadro costituzionale e politico.

Noi ci siamo abituati a considerare le istituzioni come altrettanti snodi delle attività dei partiti. Non è così, o meglio non dovrebbe essere così poiché non è questo il ruolo delle istituzioni in uno Stato di diritto nella sua versione di democrazia parlamentare.

Le istituzioni sono titolari dell'interesse generale, ciascuna nell'ambito della propria competenza, e rappresentano lo Stato. Il governo-istituzione rappresenta il potere esecutivo dello Stato, il Parlamento ne rappresenta il potere legislativo e quello di controllo sull'operato dell'esecutivo e della pubblica amministrazione; la magistratura rappresenta il potere giudiziario che è un potere diffuso e non gerarchicamente organizzato e per questo motivo i suoi membri necessitano di rigorosi comportamenti e di organi di autocontrollo poiché ogni magistrato è titolare del potere di giurisdizione nell'ambito del suo ruolo e dalle regole previste per quel ruolo non può discostarsi.

Anche le "autorità" sono istituzioni che esercitano le proprie competenze in nome dello Stato e con spirito di "terzietà" che è lo strumento caratterizzante dell'interesse generale.

I partiti non sono titolari dell'interesse generale e non possono ovviamente aver caratteristiche di terzietà proprio perché sono "parti". Sono invece (o dovrebbero essere) portatori di una loro visione del bene comune. In libere elezioni le varie visioni si confrontano e, secondo le decisioni del popolo sovrano, ne emerge una maggioranza e un'opposizione. In Parlamento vengono discusse e approvate le leggi e ogni intervento del potere esecutivo che abbia valore erga omnes. È molto delicato il rapporto tra Parlamento e governo: sono due istituzioni e rappresentano poteri distinti, ma la prima è formata da persone alle quali il popolo ha affidato il compito di realizzare la visione del pubblico bene che ha ottenuto la maggioranza dei consensi. Il governo deve dunque operare nel quadro di quella visione per ottenere l'approvazione dei delegati del popolo ma il governo deve anche aver ben presente la totalità dei cittadini e quindi deve inquadrare la visione del bene comune della maggioranza nel quadro dell'interesse generale. Quando queste due diverse angolazioni non trovassero una sintesi il governo va in crisi oppure il Parlamento viene sciolto e si torna dinanzi al popolo sovrano.

All'indomani della fondazione dello Stato unitario centocinquanta anni fa questa delicatissima questione del rapporto tra i partiti e le istituzioni rappresentò uno dei problemi principali dei governi chiamati ad amministrare lo Stato. Uomini come Minghetti, Spaventa, Bonghi, Lanza, Zanardelli, ne discussero a lungo; magistrature speciali furono create a tutela della terzietà della pubblica amministrazione.

A guardar bene, la storia politica dell'Italia è stata scandita principalmente dal rapporto tra le istituzioni e la politica, tra l'interesse generale rappresentato dallo Stato e quello dei partiti e delle associazioni che ne rappresentano varie visioni e interpretazioni. Entrambe queste realtà costituiscono elementi essenziali della politica; compito dei partiti è di imprimere dinamismo allo Stato attraverso riforme che ne modernizzino il funzionamento e ne aggiornino gli obiettivi; compito delle istituzioni è di impedire che le leggi siano violate e che la distinzione dei poteri si indebolisca favorendo così interessi particolari a detrimento della generalità.
La novità che ha avuto Napolitano come autore e Monti come strumento di attuazione è stata esattamente questa: recuperare la terzietà delle istituzioni e ricondurre i partiti al loro compito che è quello di mettere le istituzioni a contatto con il popolo.

Non è stato e non è un compito facile; la crisi economica in corso e il quadro globale dell'economia hanno accelerato e drammatizzato questo percorso introducendovi un tema ulteriore: la necessaria costruzione di un'Europa federata con cessioni di sovranità dai governi nazionali a quello europeo. In prospettiva dovrà nascere uno Stato europeo con istituzioni europee e popolo europeo. Questo è l'obiettivo del prossimo futuro. Susciterà incomprensioni e resistenze che già sono all'opera. La strada è lunga, la crisi economica ne rende il percorso al tempo stesso più accidentato e più necessario. Tra sette mesi il governo Monti cesserà le sue attività e la legislatura sarà conclusa; negli stessi giorni il Capo dello Stato avrà concluso il suo settennato. Si tratta purtroppo di una coincidenza che rende molto visibile il vuoto al vertice delle istituzioni. Come sarà colmato quel vuoto? Chi ci rappresenterà in Europa? Chi troverà la sintesi tra il rigore economico e il rilancio dello sviluppo e dell'occupazione? Chi risolverà quella questione morale che non è soltanto la lotta alla corruzione e all'evasione ma anche il recupero dell'autonomia delle istituzioni dal predominio dei partiti?

Manderemo Grillo a rappresentarci in Europa? Di Pietro o Diliberto a tutelare la salute degli abitanti di Taranto che respirano da mezzo secolo polvere di carbone e contemporaneamente a mantenere al lavoro i 18mila operai dell'Ilva? Manderemo Renzi a discutere con Draghi e con la Merkel sul futuro dell'euro? Oppure riaffideremo ai vecchi partiti e alle vecchie oligarchie, che hanno fallito l'obiettivo di rinnovarsi e adeguarsi alle nuove mappe del futuro, il compito di riprendere i loro posti dopo una parentesi solo dall'emergenza (che peraltro dura tuttora)?

                                                                 * * *

I cittadini chiamati a votare nell'aprile dell'anno prossimo avranno dunque molte questioni da risolvere con il loro voto. Le seguenti:

1 - Vogliono una nuova Europa capace di avere un suo ruolo nel mondo globale dove si confrontano i continenti, le loro economie, le loro monete, le loro politiche? Oppure rifiutano queste prospettive e preferiscono invece tornare alla lira e all'Italietta dei Montecchi e Capuleti?

2 - Vogliono che la nuova Europa  -  e l'Italia che ne fa parte  -  abbiano una visione politica dominata dal liberismo economico oppure da un socialismo dirigista oppure da un liberalsocialismo riformista che unisca insieme la libertà di impresa e di mercato con l'equità sociale e la lotta contro le diseguaglianze?

3 - Vogliono che l'interesse generale prevalga sulle lobby e le clientele oppure lo considerano una parola vuota di fronte alla concretezza degli interessi particolari che antepongono il presente alla costruzione del futuro?
Il nuovo Parlamento rispecchierà le risposte che gli elettori avranno dato a queste domande sempre che la legge elettorale registri gli orientamenti degli elettori tutelando la libertà e la governabilità. Il tira e molla sulla predetta legge ha ormai raggiunto un livello non più oltre tollerabile e il Capo dello Stato ha ben ragione di elevare contro questo modo di procedere la sua più indignata protesta.

Spetterà comunque al presidente della Repubblica eletto dal nuovo Parlamento di nominare il nuovo governo tenendo ovviamente conto che esso dovrà ottenere la fiducia delle Camere.

Non vorremmo più vedere il nome dei leader sulle schede elettorali e neppure vorremmo vedere delegazioni di partiti nei governi. Tutto questo appartiene ad un passato che non deve più ritornare. Non si tratta di giovani o vecchi secondo l'anagrafe ma di giovani o vecchi secondo le idee, il talento, la preparazione e l'umanità. Il resto è fuffa demagogica, purtroppo in Italia ce n'è in abbondanza.

(16 settembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/16/news/chi_guider_tra_sette_mesi_il_governo_e_il_quirinale_-42623282/?ref=HREC1-7
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« Risposta #381 inserito:: Settembre 29, 2012, 10:55:29 am »

Opinioni

Governo batti due colpi

di Eugenio Scalfari

La Fiat che forse chiude gli impianti. E Mediaset che vuole La7. C'è un conflitto tra interesse pubblico e privato. E l'esecutivo ha più armi nel caso della tv che in quello dell'auto

(20 settembre 2012)

La Fiat (Marchionne) e Mediaset (Berlusconi) sono gli ultimi due casi di potenziali conflitti tra governo e imprese, tra interesse pubblico e interesse privato. Le dimensioni del conflitto e anche la sua natura sono molto diverse. L'intenzione di Marchionne di chiudere uno o due stabilimenti minaccia l'occupazione di alcune migliaia di lavoratori più quelli dell'indotto che vive attorno a quelle fabbriche e suona come campanello d'allarme per la scomparsa dell'industria automobilistica dal nostro paese.

Mediaset invece ha manifestato il desiderio di acquistare da Telecom l'emittente televisiva La7 e un gruppo di frequenze "multiplex". Quando quest'ipotesi diventasse realtà la posizione di Mediaset, già dominante nel settore privato dell'industria televisiva, diventerebbe monopolistica e dominante rispetto alla Rai. Qui per fortuna non sono in gioco posti di lavoro ma la pluralità dell'informazione che è cosa diversa ma altrettanto importante (forse addirittura più importante rispetto all'interesse generale).

LE FORZE POLITICHE e sindacali sono in allarme su entrambe queste questioni. Il governo sembra molto sensibilizzato sul problema Fiat e poco o niente su Mediaset. Ma si pone comunque per tutti e due questi conflitti tra interesse pubblico e privato una domanda fondamentale: quale potere ha il governo di intervenire sulle decisioni di un'impresa privata e con quali strumenti? La "Repubblica" ha affrontato le due questioni e quella Fiat in particolare. Luciano Gallino ha segnalato la responsabilità di Marchionne sulla mancanza di nuovi modelli capaci di risvegliare la domanda di auto e ha escluso che il governo possa assistere passivamente allo smantellamento della Fiat. Alessandro Penati ha invece sostenuto che Marchionne fa il suo mestiere, che i nuovi modelli non avrebbero alcun effetto in un momento di riduzione del reddito e di domanda calante e che il governo non ha alcuno strumento e alcun titolo per intervenire su imprese private.

Convinzioni analoghe potrebbero essere estese al conflitto tra interesse pubblico e quello privato di Mediaset. Per i miei gusti Penati è eccessivamente liberale ma nel caso Fiat ha purtroppo ragione: il governo non ha il potere di intervenire e non ne ha neppure i mezzi. Marchionne e anche i suoi azionisti di controllo - cioè il gruppo Agnelli-Elkann - debbono dare al più presto chiarimenti e rispondere alle domande che il governo gli porrà, ma sappiamo già quali saranno le riposte dell'amministratore delegato della Fiat: la riduzione della produzione è imposta dalla riduzione della domanda; se la domanda crolla la produzione si deve diminuire; se quel calo è temporaneo la manodopera esuberante sarà parcheggiata in cassa integrazione, le modalità e la dimensione dell'assistenza riguardano comunque lo Stato e non l'impresa. Ma se la contrazione della domanda è un fatto che l'impresa giudica permanente allora la chiusura di una o due fabbriche sarà inevitabile.

La Fiat è da tempo e sempre più un'impresa multinazionale. Perché per ridurre la produzione decide di chiudere impianti in Italia e non in altri paesi? Questi sono i termini di base del conflitto governo-Fiat. In un'economia globale, in un mercato libero come quello europeo la politica non ha strumenti per intervenire. Può solo richiamare l'azienda e i suoi azionisti alle loro responsabilità storiche ma, "moral suasion" a parte, non può far altro. Un tempo non era così. La Fiat si difese dalla concorrenza estera ottenendo per molti anni dazi e limitazioni all'entrata di automobili straniere in Italia soprattutto americane e giapponesi che avevano un costo di produzione molto più basso degli europei. Ma oggi quel tipo di difesa non esiste più. Aiuti dello Stato alle imprese sono vietati dai trattati europei. Il solo aspetto di competenza pubblica riguarda l'assistenza e la riqualificazione professionale dei lavoratori in esubero. Umanamente questa realtà è inaccettabile ma nel concreto le alternative sono pressoché inesistenti.

 DIVERSO E' IL CASO MEDIASET. Lì, qualora l'acquisto de La7 si verificasse, ci sarebbe una palese e devastante lesione del pluralismo in un settore estremamente delicato; in più esiste nel medesimo settore un'azienda legata allo Stato da un contratto di servizio pubblico, che risentirebbe anch'essa gli effetti di dover convivere con un concorrente proprietario di un numero di emittenti e di frequenze incomparabilmente più elevato.

I mezzi e le iniziative di cui dispone il governo sono numerosi a cominciare dalle famose aste delle frequenze tante volte annunciate e sempre rinviate. Qui non c'è "moral suasion", ma il dovere di contrastare un'operazione di turbativa della concorrenza, vietata dalla legislazione italiana ed europea.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/governo-batti-due-colpi/2191485/18/1
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« Risposta #382 inserito:: Ottobre 01, 2012, 09:39:39 am »

L'editoriale

Come arrivare al dopo Monti in buona salute

di EUGENIO SCALFARI

La dichiarazione di Monti sul dopo-Monti, fatta a New York e riconfermata a Roma dopo il suo rientro dall'assemblea dell'Onu, è esattamente quanto si aspettavano le Cancellerie dei paesi alleati, i mercati e soprattutto i cittadini responsabili del nostro paese. Monti non parteciperà alla campagna elettorale e non ha posto una sua candidatura ad alcuna specifica carica elettiva. Ha semplicemente detto che qualora dopo le elezioni che si svolgeranno nel prossimo aprile il Parlamento e le forze politiche che usciranno vittoriose da quella consultazione avranno bisogno dell'opera sua, lui sarà disponibile.

Qual è la vera novità di questa dichiarazione, fatta ora per allora? La novità sta tutta nel linguaggio che in casi come questo è al tempo stesso forma e sostanza: un linguaggio non politico ma istituzionale, così come è istituzionale la sede dalla quale Monti ha parlato. È da undici mesi il capo dell'Esecutivo e si è rivolto al futuro Parlamento e al futuro presidente della Repubblica. Saranno nel prossimo aprile queste istituzioni a valutare se ci sarà bisogno di lui.

Il prossimo governo sarà certamente politico, ma anche questo lo è perché anche questo vive sulla fiducia che il Parlamento gli esprime. È composto da tecnici, ma lo stesso Monti offrì ai politici di parteciparvi. La partecipazione non vi fu perché il Pd la rifiutò e bene fece mettendo in tal modo la "strana maggioranza" nella giusta dimensione richiesta
dall'emergenza. L'emergenza purtroppo continuerà anche nella prossima legislatura ma la maggioranza sarà quella che gli elettori avranno scelto. In questo senso il nuovo Parlamento potrà esprimere una maggioranza non più "strana" ma portatrice d'una visione coesa del bene comune.

È implicito che l'elemento di fondo di quel bene comune è costituito dagli impegni che lo Stato italiano  -  attenzione, lo Stato non solo il governo  -  ha preso nei confronti dell'Unione europea. Quegli impegni consentono una limitata ma importante discrezionalità; possono accentuare il tema dell'equità e dell'eguaglianza einaudiana delle condizioni di partenza tra i cittadini oppure affidarsi alla diseguaglianza come stimolo dell'efficienza. Spetta al popolo sovrano scegliere tra queste due diverse opzioni nei limiti, come già detto, della loro compatibilità con gli impegni verso l'Europa.

Monti sa bene che la nuova maggioranza non sarà più "strana" ma effettiva e coesa. Questo non significa che Monti sia disponibile per qualsiasi maggioranza, ma a quella sin d'ora schierata per un futuro Stato federale europeo con la sua moneta comune e con una Banca centrale che abbia i poteri di tutte le Banche centrali di uno Stato. Questa è la maggioranza alla quale il nostro premier ha offerto la sua disponibilità e la sua credibilità internazionale, che di quella disponibilità rappresenta il tassello più importante e difficilmente sostituibile.
* * *
Restano comunque cinque mesi di lavoro al governo attuale e alla maggioranza che lo sostiene. I problemi che attendono soluzione sono i seguenti:
1 - Una nuova legge elettorale.
2 - La legge contro la corruzione.
3 - Una legge costituzionale che riesamini il titolo V della Costituzione per quanto riguarda le competenze tra Stato e Regioni.
4 - Il taglio della spesa corrente e la riduzione delle accise e delle imposte sui lavoratori e sulle imprese, cioè una riqualificazione fiscale nell'ambito del poco tempo disponibile.
5 - Ammortizzatori sociali capaci di attenuare le rabbie accese dalle crisi aziendali.

Sono cinque tematiche da far tremare le vene e i polsi, ma non possono essere eluse perché costituiscono il nucleo centrale dell'emergenza. Accoppiano rigore e crescita. Puntano su un accordo con le parti sociali per l'aumento della produttività.
Il contratto dei chimici ha rappresentato una buona partenza ed è molto deludente che la Cgil, dopo essere stato firmato dal segretario della categoria, l'abbia disconosciuto come Confederazione. La Camusso conosce bene le condizioni in cui si trovano l'Italia, l'Europa, l'Occidente. Un contratto che aumenta le ore di lavoro e quindi il salario per i giovani e le diminuisce per gli anziani rappresenta un patto generazionale che non accresce il rigore ma l'equità. Questa è la strada alla quale non ci sono alternative e va seguita per i molti altri contratti in scadenza se non si vuole che non siano rinnovati, con quanto ne seguirebbe sul potere d'acquisto dei lavoratori.

Il governo può e deve arbitrare questi conflitti se le parti sono disponibili al negoziato. La logica può cambiare quando cambiano le condizioni; pretendere che il cambiamento avvenga prima significa abbaiare alla luna.
* * *
Nel nucleo dell'emergenza c'è anche un altro tema e questo è eminentemente tecnico: il governo dello "spread". La contraddizione, apparente, riguarda il diverso andamento delle aste e del mercato secondario. Le aste vanno bene anche quella dei Bpt a 5 e a 10 anni, il secondario invece va male e influisce negativamente sul tasso di interesse praticato dalle banche con la clientela. Dipende dal contagio che proviene dalla Grecia e soprattutto dalla Spagna la quale, nei prossimi giorni, dovrà decidere se ricorrere all'aiuto del fondo salva-Stati e all'intervento della Bce.

Questa decisione probabilmente verrà presa nella prossima settimana.

Che cosa faranno Monti e Grilli a quel punto? Due scuole di pensiero si confrontano in proposito: c'è chi pensa che l'intervento della Bce in Spagna scoraggi la speculazione e si ripercuota favorevolmente anche sul mercato italiano; ma c'è invece chi sostiene esattamente il contrario. Personalmente credo che questa seconda tesi sia la più probabile; la speculazione abbandonerà la Spagna e si riverserà sull'Italia. La logica porta a questo, la speculazione, cioè le grandi banche d'affari e i fondi che puntano sul rischio realizzano i loro profitti giorno per giorno. Se abbandonano la Spagna sotto il randello di Draghi, si riverseranno probabilmente sul mercato italiano fino a quando anche noi chiederemo l'intervento dell'Esm e della Bce. Ma in quell'intervallo di tempo balleremo la rumba e non sarà un bello spettacolo. Sicché, se s'ha da fare è meglio farlo il giorno dopo la Spagna. La questione è certamente opinabile, la logica no.
* * *
Restano alcuni problemi che si riassumono in tre nomi: Polverini, Formigoni, Renzi.

Polverini si è dimessa. Era ora. Adesso deve indicare la data delle elezioni che debbono avvenire entro tre mesi. Così recita la legge. L'interpretazione estensiva secondo la quale entro tre mesi deve essere indicata la data delle elezioni che non avrebbe alcun limite di tempo, è del tutto insostenibile anche se così fece Montino che subentrò a Marrazzo e fissò la data a parecchi mesi di distanza dalle dimissioni del governatore. Allora nessuno fiatò, ma è un caso che non può fare precedente. Se lo facesse potrebbe avvenire che il presidente dimissionario alla fine del terzo mese indica una data elettorale a un anno di distanza e governa da solo senza Consiglio regionale. È sostenibile un'ipotesi di questo genere? Evidentemente no. Le elezioni debbono essere fatte entro tre mesi dalle dimissioni del Consiglio e del presidente della giunta. Se la Polverini si rifiutasse di seguire questa procedura il governo può nominare un commissario che stabilisca la data elettorale nei tre mesi previsti dalla legge.

Il caso Formigoni è altrettanto chiaro: un governatore già indagato di gravi reati non può guidare una Regione come la Lombardia. I consiglieri d'opposizione dovrebbero dimettersi subito e creare i presupposti di una crisi e di nuove elezioni. Non si capisce che cosa aspettino. Il precedente del Lazio è un pessimo precedente e c'è da augurarsi che i partiti della sinistra a cominciare dal Pd non ripresentino alle prossime elezioni nessuno dei consiglieri uscenti.

Renzi. Per quanto riguarda il suo programma politico, per il poco che risulta dalle sue carte e dalle sue prolusioni, si tratta di un'agenda generica che enuncia temi senza svolgerli. I temi sono quelli che campeggiano da mesi sui giornali, le soluzioni però Renzi non le indica. Quindi il suo programma è carta straccia.

Una sola cosa è chiara: Renzi sa parlare e richiama molto abilmente l'attenzione sotto l'oculata gestione di Gori, ex dirigente di Fininvest. Renzi piace perché è giovane. È un requisito sufficiente? Politicamente è molto più di centrodestra che di centrosinistra. Se vincerà le primarie il Pd si sfascerà ma non perché se ne andrà D'Alema o Veltroni o Franceschini, ma perché se ne andranno tutti quelli che fin qui hanno votato Pd come partito riformista di centrosinistra.

Non a caso Berlusconi loda Renzi pubblicamente; non a caso i suoi sponsor sono orientati più a destra che a sinistra e non a caso lo stesso Renzi dice che queste due parole non hanno più senso. Hanno un senso, eccome. Nell'equilibrio tra i due fondamentali principi di libertà e di eguaglianza la sinistra sceglie l'eguaglianza nella libertà e la destra sceglie la libertà senza l'eguaglianza. Questa è la differenza e non è cosa da poco.

Io sono liberale di sinistra per mia formazione culturale. Ho votato per molti anni per il partito di Ugo La Malfa. Poi ho votato il Pci di Berlinguer, il Pds, i Ds e il Pd. Se i democratici andranno alle elezioni con Renzi candidato, io non voterò perché ci sarà stata una trasformazione antropologica nel Pd, analoga a quella che avvenne nel Partito socialista quando Craxi ne assunse la leadership, senza dire che Craxi aveva una visione politica mentre Renzi non pare che ne abbia alcuna salvo la rottamazione. Francamente è meno di niente.

(30 settembre 2012) © Riproduzione riservata

DA - http://www.repubblica.it/politica/2012/09/30/news/come_arrivare_al_dopo_monti_in_buona_salute-43558769/?ref=HREA-1
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« Risposta #383 inserito:: Ottobre 07, 2012, 03:57:23 pm »

IL COMMENTO

Il convitato di pietra al tavolo del dopo-voto

di EUGENIO SCALFARI


La legge elettorale ancora non c'è anche se se ne comincia a intravedere una possibile soluzione. Le primarie del Pd non sono ancora state effettuate e l'esito dello scontro tra Bersani, Renzi e Vendola è ancora incerto. Le sorti del Pdl sono appese al filo delle decisioni di Berlusconi; potrà rappresentare ancora un 15 per cento dei voti o implodere dissolvendosi come nebbia al sole. Il centro moderato per il quale lavora Casini è un'ipotesi che fatica a tradursi in realtà.

In un quadro così agitato aleggia l'immagine di Mario Monti, una sorta di convitato di pietra la cui figura è variamente interpretata dai protagonisti della scena politica e mediatica. Per alcuni è un salvatore della patria, per altri un demiurgo, per altri ancora un tecnocrate che ruberà il posto ai politici e per i più pessimisti un moderno Cesare che affonderà per sempre la democrazia parlamentare come fin qui l'abbiamo conosciuta.

A tutti questi elementi d'incertezza aggiungiamone un altro non da poco: al momento della scelta del nuovo governo e della nomina del futuro presidente del Consiglio non solo ci sarà un nuovo Parlamento ma anche un nuovo presidente della Repubblica. Napolitano finirà in maggio il suo settennato; chi ci sarà al suo posto?

Queste domande non preoccupano soltanto noi italiani ma anche  -  e forse ancora di più  -  i nostri alleati europei e tengono in fibrillazione i mercati.

L'Italia, con la sua buona o cattiva salute economica e politica, rappresenta un elemento determinante per la solidità della moneta comune e per l'evoluzione di tutto il continente dalla attuale confederazione alla federazione, cioè alla nascita di un vero e proprio Stato europeo.
Un'Italia risanata è indispensabile e preliminare ad un'Europa federale, un'Italia perennemente ammalata blocca invece qualunque speranza di futuro europeo.

Ho la sensazione che questo nostro peso sull'evoluzione politica del continente non sia ben chiaro ai cittadini che andranno alle urne nell'aprile del 2013; soprattutto che non sia ben chiaro alle forze politiche, preoccupate soltanto o principalmente delle loro fortune elettorali.

In realtà il senso del voto che il corpo elettorale sarà chiamato ad esprimere sarà in primo luogo a favore o contro l'Europa unita, a favore o contro della moneta europea, a favore o contro la cessione di sovranità dagli Stati nazionali al nascituro Stato federale europeo.

Naturalmente ci sono anche altri elementi che caratterizzeranno quel voto e riguardano il colore politico che assumerà la futura democrazia europea: se sarà più orientata verso l'equità e la socialità oppure verso il liberismo; se sarà riformatrice o conservatrice; se privilegerà l'eguaglianza nella libertà o la libertà senza l'eguaglianza. Questioni certamente della massima importanza, ma destinate ad alternarsi come sempre avviene nelle democrazie funzionanti. La prima e fondamentale questione da decidere però riguarda il futuro dell'Europa e il contributo che l'Italia può e deve dare alla costruzione di quel futuro. Le forze politiche e i cittadini elettori debbono farsi carico del fatto che questa scelta precede tutte le altre e che sarà questa la domanda numero uno alla quale le urne dovranno fornire la risposta.

* * *

Mario Monti è ben consapevole della necessità di questa scelta ed è per questo, per rassicurare i governi europei e i mercati, che si è dichiarato disponibile a servire il suo (il nostro) paese se questo sarà necessario e nel ruolo che sarà ritenuto opportuno. Le forze politiche hanno già dato le loro prime risposte, gli elettori le daranno tra sei mesi.
Noto tra parentesi che molti dicono e scrivono che bisogna sottrarsi all'influenza dei mercati. Dicono una banalità priva di senso. I mercati determinano il tasso di interesse oltre a molte altre grandezze. Il tasso dell'interesse è il regolatore del nostro andamento economico. Quindi liberarsi dal peso dei mercati è parlare a vuoto non conoscendo la realtà.

Chiudo la parentesi.

Alcune forze politiche sono decisamente contrarie sia all'Europa sia alla moneta comune. Grillo è contrario al 100 per cento, Di Pietro all'80 per cento, la Lega al 50 per cento.
Berlusconi va a corrente alternata: alcuni giorni parla contro l'euro, altre volte si esprime come Mario Draghi; oscilla tra Storace e Frattini; a volte vagheggia di andare in vacanza permanente ai Caraibi e altre volte di sedersi al Quirinale al posto di Napolitano. Insomma, è una carta coperta non per segreti calcoli ma per mutamenti di umore.

Casini e il centro moderato da lui vagheggiato sono favorevoli all'euro e all'Europa federata; il Pd anche, ma sia l'uno che l'altro danno grande importanza ai contenuti politici: Casini ritiene incompatibile il suo apporto ad un'Europa socialista, il Pd si ritiene incompatibile con un'Europa conservatrice.

Forse non hanno ancora messo a fuoco che nel corso dei prossimi cinquant'anni l'Europa potrà essere a volte guidata dai conservatori a volte dai liberali a volte dai socialisti, ma queste alternative avranno un senso se l'Europa esisterà come Stato. Altrimenti i singoli paesi (Germania in testa e figuriamoci noi) precipiteranno nella più totale irrilevanza. Di fronte alla competizione tra continenti gli staterelli europei non avranno alcuna voce in capitolo per quanto riguarda le scelte di fondo sui problemi della divisione internazionale del lavoro, delle politiche climatiche, dell'uso delle fonti di energia, dell'immigrazione, della bioetica, del commercio internazionale, delle politiche monetarie e valutarie.

Decideranno gli altri: gli Usa, la Cina, l'India, il Brasile, i paesi emergenti. Gli staterelli europei sono paesi di antica opulenza ma in declino; declino demografico anzitutto, ma presi isolatamente non avranno più la massa critica per discutere alla pari con le superpotenze e con le multinazionali. Saranno ammessi in anticamera ma non nella sala delle decisioni.

Queste verità vorrei che fossero capite, ma non mi faccio molte illusioni in merito.

* * *

Il nostro convitato di pietra può esser "richiamato in servizio" in vari ruoli se la nuova maggioranza emersa dalle elezioni lo vorrà.
Potrebbe essere eletto al Quirinale oppure gli potrebbe essere affidata la presidenza del Consiglio in un governo di ministri politici e tecnici, o infine gli potrebbe essere offerto il ministero dell'Economia e degli Affari europei. Sempre che dalle elezioni future emerga una nuova maggioranza. Per esempio Pd-Centro. Questa sarebbe la maggioranza ideale per proseguire il percorso verso la messa in sicurezza dell'euro e verso un'Europa federata.

Se una maggioranza del genere fosse numericamente insufficiente, bisognerebbe estenderla a quanto resterà del Pdl, ma questa estensione è del tutto improbabile. Personalmente la ritengo addirittura impossibile per il Pd: la "strana maggioranza" ha avuto un senso e continuerà ad averlo fino alla prossima scadenza elettorale, ma dopo non più, sarebbe considerata un tradimento per gli elettori del Pd e non posso immaginare che i dirigenti di quel partito abbiano nella mente e nel cuore (sì, in certi casi c'entra anche il cuore) di commetterlo.

Quanto al ruolo da offrire al convitato di pietra, la mia sensazione (posso certamente sbagliare ed essere smentito dall'andamento dei fatti) è che Monti rifiuterebbe sia la scelta del Quirinale, che comunque dipende dal voto del plenum parlamentare, sia quella del superministero economico. In realtà non resta che Palazzo Chigi da offrire all'attuale inquilino.

Ha scritto Giorgio Galli su Repubblica di giovedì scorso: "Il montismo rappresenta l'archetipo della politica come autorità, non come potere. L'idea cioè che la politica sia affare serio che dev'essere gestito da persone autorevoli per competenza e saggezza; un'idea certamente elitaria ma non antidemocratica solo se per democrazia non si intenda la politica che asseconda o provoca la sguaiataggine e la devastazione del costume e del discorso pubblico. Il montismo è il contrario del politico populista e carismatico, è la rivoluzionaria restaurazione dell'immagine della politica da tempo perduta, dell'idea che è bene essere governati da uno migliore di noi piuttosto che da uno come noi o peggiore di noi".

Non saprei dir meglio di Galli e perciò condivido quest'immagine del montismo, comprendo la difficoltà che la politica professionale la faccia propria, ma auspico che sappia superare i suoi pregiudizi e i suoi limitati interessi. Il suo vero rinnovamento sarebbe proprio questo.


(07 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/07/news/scalfari_7_ottobre-44023265/?ref=HREA-1
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« Risposta #384 inserito:: Ottobre 14, 2012, 04:11:08 pm »

IL COMMENTO

Il lascito di Napolitano per svegliare l'Italia

di EUGENIO SCALFARI

SECONDO alcuni (molti) l'Unione europea sta per affondare, questione di mesi se non addirittura di settimane. Secondo la giuria norvegese del premio l'Unione merita invece il Nobel per la pace, la guerra infatti è scomparsa dall'Europa ormai da sessant'anni, un periodo di pace così lungo non c'è mai stato nel nostro continente dai tempi di Ottaviano Augusto e scusate se è poco.

In realtà la gente di questa grande conquista che è la pace non se n'è neanche accorta. Probabilmente perché gran parte di quelli che avevano dieci anni nel 1939 sono morti e gli europei di oggi la guerra la conoscono soltanto attraverso i film e gli effetti speciali della televisione.

Dell'Europa però conosciamo bene i guai economici, i discordi interessi tra le nazioni e tra le classi sociali, la disperazione, il lavoro precario, le speranze perdute, le diseguaglianze crescenti, l'incertezza dei diritti, il malaffare dilagante, la politica sfiduciata, le istituzioni inquinate dalla corruzione. Il premio Nobel ad un'Unione europea che è vista e vissuta in questo modo da una parte cospicua e forse dalla maggioranza dei suoi abitanti, sembra dunque una presa in giro o una buffonata o un'ipocrisia. Eppure...

Eppure centinaia di migliaia di persone rischiano ogni anno la vita per arrivarci, per trovarvi un lavoro e metterci su casa e lasciano dietro di loro una tragica scia di morti pur di fuggire dall'inferno in cui vivono.

Scappano dall'Africa,
scappano dall'Oriente vicino e lontano, attraversano deserti, montagne, mari tempestosi pur di toccare terra sulle nostre coste. Sono già milioni e gli studiosi che esplorano il futuro ci dicono che tra cinquant'anni un terzo degli europei saranno colorati e alla fine del secolo la maggioranza sarà meticcia. Per loro l'Europa è la speranza anche se a molti europei d'oggi sembra piuttosto una terra di desolazione. La verità mai come in questo caso è relativa, ma una cosa è certa: qui da sessant'anni la guerra non c'è stata e i popoli europei vivono pacificamente tra loro, c'è libertà di movimento delle persone, libertà di scambio delle merci, libertà religiosa e politica. L'eguaglianza purtroppo no, è fortemente diminuita; i privilegi sono aumentati, la corruzione è più diffusa, l'egoismo domina la società portando con sé l'indifferenza verso il bene comune.

Ma questi lati oscuri che inquinano ed esasperano la vita pubblica del nostro continente non sono una fatalità alla quale è impossibile sfuggire; dipendono da una passività imputabile soltanto a noi stessi. L'Europa è stata la culla della democrazia e del diritto. È stata ed è ancora il continente più ricco del pianeta. Da un secolo in qua ha cominciato a vivere la sua decadenza, via via sempre più accelerata col passare degli anni. Ma se soltanto si svegliasse, se reagisse al declino, se riconquistasse fiducia in sé, se soprattutto capisse che il suo futuro dipende dal sentirsi nazione, nazione europea, popolo europeo, Stato europeo, democrazia europea; se questa rivoluzione avvenisse e fosse il coronamento dei sessant'anni di pace dopo mille anni di guerra durante i quali la pace fu soltanto una serie di brevi tregue per riprendere a scannarsi subito dopo; ebbene, se questo accadesse i nostri giovani potrebbero di nuovo sperare, ma non si aspettino che il dono gli cada dal cielo.

Noi adulti, noi anziani, noi vecchi che le guerre le abbiamo ben conosciute dobbiamo aprirgli la strada per quanto è possibile, dobbiamo mettere la nostra esperienza al loro servizio. Dobbiamo raccontargli il passato nel bene e nel male e spingerli a entrare nel futuro.
Il Nobel all'Unione europea è questo che deve significare: un augurio e un'esortazione. Voi giovani non lasciatela cadere.

* * *

Il primo dei Paesi fondatori che sarà chiamato a votare in Europa è ora il nostro. Negli scorsi mesi hanno votato la Spagna, la Grecia, la Francia, l'Olanda. Tra venti giorni voteranno gli Stati Uniti d'America: non è Europa ma è Occidente e dell'Occidente costituiscono ancora il perno dal quale dipende una parte non trascurabile del nostro destino. Il candidato "europeo" è Barack Obama, non c'è dubbio; ma non è certo una panacea, non ha fatto e non farà miracoli, tuttavia per l'Europa rappresenta il meglio (o il meno peggio) di quanto può accadere. Perciò speriamo che vinca e ottenga la riconferma alla Casa Bianca e la maggioranza democratica al Congresso.
Chi gli si oppone è il partito conservatore repubblicano, sostanzialmente isolazionista, ideologicamente liberista, assai poco cosmopolita e religiosamente fondamentalista. Da molto tempo le differenze tra i due partiti non erano così profonde. Profonde ma legittime in un Paese grande come un continente.

Ma l'aspetto più preoccupante è un altro: le grandi banche d'affari americane, quelle che dominano i mercati mondiali, sono tutte schierate contro Obama, con in testa la più influente di tutte, quella che conduce la danza ogni mattina, la Goldman Sachs con il seguito nella JP Morgan, Bank of America, City Group, Morgan Stanley e i grandi fondi d'investimento.

Questo formidabile schieramento di capitali e di talenti rappresenta il pilastro del capitalismo finanziario mondiale. Quattro anni fa sostenne Obama per riparare gli errori catastrofici di Bush; ora ha cambiato fronte perché Obama ha tentato di imporre regole severe ai mercati; c'è riuscito in piccola parte perché l'avversario è molto potente, ma ha deciso di riprovarci ancora e con maggiore energia. Perciò lo scontro questa volta sarà radicale.

Ci riguarda? Sì, ci riguarda molto da vicino perché questo capitalismo che ha notevoli alleanze in Europa vuole scardinare l'euro e con esso l'Europa stessa. Perciò le elezioni americane fanno parte della nostra partita e noi della loro.

* * *

Poi toccherà votare a noi italiani. Tra sei mesi. Le nuove Camere si riuniranno per eleggere i loro presidenti e il presidente della Repubblica che, per una sua definitiva e irrevocabile decisione non sarà Giorgio Napolitano. Molti di noi, ed io tra questi, hanno sperato che accettasse una riconferma la cui durata sarebbe comunque dipesa da lui, ma sarebbe stata opportuna per guidare la formazione del nuovo governo. A questo punto però non c'è che rassegnarsi alle sue decisioni; del resto non mancano validi candidati alla successione, anche se la sua esperienza, la sua moderazione e la sua fermezza non sono qualità facilmente rimpiazzabili.

Gli obiettivi sui quali Napolitano si è ora concentrato e che rappresentano il lascito più importante del suo settennato sono: la lotta contro la corruzione che ha pervaso la vita pubblica; il rinnovamento dei partiti e il recupero del loro ruolo di rappresentanza effettiva della sovranità popolare e di rigenerazione della democrazia parlamentare; la ferma determinazione di condurre fino in fondo il risanamento economico italiano, il rilancio urgente dello sviluppo, l'equità sociale e territoriale, la messa in sicurezza della moneta comune. Infine la nuova legge elettorale che ridia agli elettori la libertà di scelta dei loro rappresentanti e assicuri al tempo stesso rappresentatività e governabilità.

Non sono obiettivi facili anche perché non rientrano nella competenza operativa del presidente della Repubblica. Rientrano tuttavia in pieno nella sua competenza ordinamentale, poiché la Costituzione gli assegna di rappresentare la nazione, di tutelare il patto costituzionale, di difendere la struttura e lo spirito dello Stato di diritto e dei valori che vi presiedono. Il Presidente ha diritto di messaggio al Parlamento e al Paese. Non è lui che opera ma è lui che può e deve suggerire, ricordare, denunciare abusi e storture.

Non a caso la nascita del governo Monti e la sua tenuta sono state opera di Napolitano. Di questo tutti, compresi coloro che criticano la politica montiana, debbono dare atto e lo danno infatti (a parte Grillo e Di Pietro) se non altro ricordando il punto limite cui eravamo arrivati nell'autunno del 2011 sul piano della credibilità del nostro Paese di fronte al mondo e all'Europa.

Degli obiettivi che stanno a cuore a Napolitano il più urgente anche perché influisce su quasi tutti gli altri è la legge elettorale che è ancora in alto mare. I punti che sembrano acquisiti (anche se appena adesso arrivati all'esame del Senato e successivamente della Camera) sono due: il principio proporzionale corretto da un premio di governabilità e la restituzione agli elettori della scelta dei loro rappresentanti.

I punti controversi sono però parecchi: il sistema delle preferenze, voluto a tutti i costi dai centristi di Casini e il sistema dei collegi preferito dal Pd; l'ammontare del premio di governabilità sul quale il Pd gioca le sue carte mentre il centro e il Pdl sono assai più avari; l'ammissibilità al premio delle coalizioni o soltanto dei singoli partiti.

Sul nostro giornale in più occasioni (l'ultima ieri di Gianluigi Pellegrino) abbiamo motivato l'impraticabilità delle preferenze che esaltano il ruolo delle clientele, delle lobby e soprattutto della criminalità organizzata. I recenti episodi del Consiglio comunale di Reggio Calabria e del Consiglio regionale della Lombardia sono casi estremi ma purtroppo assai diffusi che le preferenze consentono e incoraggiano.

Quanto al premio di governabilità esso consente che la maggioranza parlamentare relativa possa governare con sicurezza; questa sicurezza è fondamentale per la solidità dei governi nei mari agitati attuali, ma va contemperata da un secondo e non trascurabile principio che è quello della rappresentatività.

Se un partito o una coalizione raccoglie il 30 per cento dei consensi e ottiene un premio del 20 per raggiungere la maggioranza assoluta, il sistema della rappresentatività viene stravolto tanto più tenendo presente che una quota rimarchevole di elettori non andrà a votare e dunque l'ammontare dei consensi rappresenta una quota minore rispetto alla totalità del corpo elettorale.
Il problema richiede saggezza da parte dei diversi interessati e un punto di mediazione che a noi sembra raggiungibile con il 15 per cento netto di premio (il 18 lordo). Probabilmente non basterà ad assicurare maggioranza assoluta ma questo in fin dei conti può essere un bene, saranno necessarie alleanze post-elettorali, la più appropriata delle quali è quella tra il centro e la sinistra democratica. Quest'ultima si va profilando con una coalizione che include Vendola ma sulla base di un patto proposto dal Pd in quanto partito di maggioranza della coalizione. Quel patto assicura la piena lealtà e il rispetto della traccia europea segnata da Monti e dagli impegni che l'Italia ha preso con le autorità europee; ma nel medesimo patto viene rilanciato il principio di equità sociale e territoriale e la creazione di nuovo lavoro. Il patto infine prevede e sottolinea la necessità d'un contributo italiano alla nascita dell'Europa federata che rappresenta l'obiettivo di fondo di tutta questa politica. Secondo le ultime notizie Vendola avrebbe aderito a questo patto e questo rappresenta un passo politico di notevole importanza. Se il popolo, se i giovani, se gli adulti, se tutti noi recupereremo fiducia e saggezza forse la luce in fondo al tunnel si farà vedere sul serio.

P. S. I bambini figli di coppie separate debbono essere cresciuti, educati e trattati con grande attenzione e affetto. Quanto è accaduto al bambino Lorenzo nei giorni scorsi non deve ripetersi mai più. La polizia, gli insegnanti e soprattutto i genitori se ne debbono fare carico e le leggi che disciplinano gli affidamenti senza ascoltare neppure a titolo puramente conoscitivo il parere del bambino da una certa età in su debbono essere riformate in modo appropriato. Quanto è accaduto in questo caso è vergognoso ivi compresa la denuncia della polizia per il reato di resistenza del nonno e della zia di Lorenzo. In casi analoghi dovrebbero resistere perfino i cittadini presenti. Non si tratta in quel modo un bambino "rapito" a scuola.

(14 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #385 inserito:: Ottobre 21, 2012, 11:39:00 am »

L'EDITORIALE

Come votare alle primarie e alle urne d'aprile

di EUGENIO SCALFARI


LA SETTIMANA che oggi si chiude è cominciata a Bruxelles, si è spostata a Roma tra Palazzo Chigi e il Senato, si chiude con le primarie del Partito democratico, precedute dal ritiro di Veltroni dalla carica parlamentare e da quello più "rabbioso" di D'Alema. Nel frattempo il berlusconismo continua a precipitare nel nulla, con gli ultimi sondaggi che danno il 5 per cento ad una lista guidata dal Silvio in versione Santanché. Enrico Mentana direbbe, come fa tutte le sere preannunciando i titoli del suo telegiornale, che c'è una mole di fatti drammaticamente interessanti, ma questa volta è proprio così.

Le conclusioni di Bruxelles penalizzano la Spagna: la Merkel ha dovuto accettare che la vigilanza della Bce su tutto il sistema bancario europeo abbia inizio alla fine del 2013 e sia compiuta nel 2014, ma ha sentenziato che nel frattempo non si estenderà alle banche spagnole. Ciò significa che il Tesoro spagnolo dovrà finanziare le proprie banche ormai prive di liquidità facendo aumentare il debito pubblico.

La domanda è questa: la Cancelliera tedesca esprime un'intenzione o ha il potere di trasformare l'intenzione in un precetto esecutivo? La risposta è no, per diventare esecutiva l'intenzione deve esser fatta propria dalla Commissione europea e questo finora non è avvenuto. L'Italia e la Francia non hanno alcun interesse a veder lievitare il debito di Madrid che è anche alla prese con le richieste di fondi dalla Catalogna e da altre regioni di
quel paese. La questione è quindi aperta e Monti e Hollande dovranno impegnarsi al più presto su questo terreno.

* * *

Monti dal canto suo ha ricevuto una pagella sostanzialmente positiva dalla Commissione per quanto riguarda la sua legge di stabilità, ma la medesima pagella è stata invece accolta con molte riserve dai partiti che lo sostengono in Parlamento.

Le critiche, specialmente del Pd, riguardano vari punti di notevole importanza: le detrazioni con un tetto troppo basso, l'aumento dell'1 per cento dell'Iva che annulla di fatto la diminuzione dell'Irpef, l'assenza di provvedimenti a favore dei redditi al di sotto degli ottomila euro. Il governo non si oppone a eventuali modifiche nel corso dell'iter parlamentare purché i saldi restino invariati. In questo caso la domanda riguarda le alternative di copertura: ci sono o non ci sono?

Le alternative ci sono: una maggiore incisività nella lotta contro l'evasione (anche la Commissione europea ci incita a procedere con più energia su questo punto); tagli più consistenti sulle spese correnti, sia quelle delle forze armate sia quella dei contributi alle imprese; il calo degli oneri sul debito pubblico che, a causa della discesa dello "spread", sono diminuiti di oltre cinque miliardi secondo le ultime stime.

Le cifre complessive di questi interventi sono molto consistenti; il recupero dell'evasione potrebbe fornire dieci miliardi in più del previsto, dei cinque miliardi ricavabili dal calo degli interessi abbiamo già detto; lo sfoltimento dei contributi alle imprese e la riduzione di spesa delle forze armate possono fornire economie fino ad almeno 50 miliardi.

Naturalmente la tempistica richiede parecchi mesi, ma siamo ad un totale realistico attorno ai 70 miliardi. C'è dunque spazio sia per cancellare l'aumento dell'Iva, sia per dare sollievo ai redditi di povertà, sia infine per ridurre il cuneo fiscale attuando per questa via un incoraggiamento alla crescita in attesa che la riforma delle pensioni e le liberalizzazioni entrino a regime.

A rinforzare questa politica economica in sostegno dell'economia reale si tenga presente la previsione (ufficiale) d'una diminuzione del fabbisogno di 40 miliardi nel 2013, con ripercussioni sull'andamento del debito nonché la cessione di alcuni "asset" alla Cassa depositi e prestiti per rendere finalmente esecutivi i crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione.

Cogliamo l'occasione di questo "panorama" per osservare che la diminuzione dello "spread" non è, come molti vorrebbero far credere, uno specchietto per allodole ma un fenomeno estremamente positivo per l'economia reale: riduce gli interessi sul debito pubblico e per conseguenza riduce anche l'interesse praticato dalle banche alla clientela e aumenta la propensione degli investitori esteri a sottoscrivere titoli e obbligazioni pubbliche sul mercato finanziario.

Ciampi a suo tempo stroncò la crisi finanziaria e valutaria che stava soffocando la nostra economia operando unicamente sull'altezza del tasso di interesse. Monti e Grilli stanno anch'essi procedendo su quel terreno che Ciampi aveva indicato. Le forze politiche che respingono come inefficace la cosiddetta agenda Monti guardino più a fondo a questi risultati prima di emettere giudizi temerari.

***

Nell'agenda così "questionata" c'era anche la lotta alla corruzione. Il ministro della Giustizia si è impegnato e ne è uscita una legge che ha ottenuto il voto favorevole del Senato e ora sarà discussa alla Camera dove il percorso è più incerto.

La Severino ha spiegato in un'ampia intervista al nostro giornale il perché della sua soddisfazione per quella legge, ha riconosciuto la validità di alcune critiche ma ha spiegato che le lacune evidenti del provvedimento in discussione non sono errori ma lacune volute che troveranno posto in un altro disegno di legge.

Questo è il pensiero della Severino ma, con tutto il rispetto per le opinioni del ministro, noi la pensiamo diversamente come ha scritto ieri Ezio Mauro.

È comprensibile il rinvio ad altro provvedimento (purché sia presto redatto e presto trasmesso al Parlamento) del ripristino del reato di falso in bilancio e di riciclaggio, ma non altrettanto per la riduzione della pena, e della prescrizione nel reato di concussione per induzione, spacchettato da quello per costrizione che si verifica molto più raramente.

La realtà è che quella norma avrà l'effetto di salvare molti concussori e di estinguere molti processi. Se entrerà in vigore costituirà anche un ostacolo alla sua successiva eventuale revisione avendo posto in essere un'attenuazione punitiva "pro reo" che sarà difficile capovolgere.

Almeno su questo punto, di estrema attualità, il governo dovrebbe emendare la legge o accettare eventuali emendamenti proposti dalle forze politiche più sensibili ai reati di cui si discute e sui quali c'è una profonda diversità tra i partiti dell'attuale maggioranza.

La neutralità del governo non può e non deve essere un limite alla sua azione su un terreno che investe in pieno non soltanto principi di moralità ma infligge anche pesanti danni all'economia e alla competitività dell'imprenditoria italiana.

Quest'ultima considerazione chiama in causa la produttività delle aziende, problema centrale della nostra crisi. Sembrava che le parti sociali stessero per raggiungere un accordo sul tema della contrattazione di secondo livello (aziendale) rispetto al contratto nazionale, ma poi tutto è saltato per iniziativa (corporativa e lobbistica) della Rete imprese e dell'Api e per l'opposizione della Cgil.

Il governo su questo punto è in regola: ha stanziato un miliardo e 600 milioni per detassare i salari se l'accordo ci sarà. Con tempi così grami opporsi all'accordo è un vero e proprio atto di autopunizione, sia da parte delle imprese sia del sindacato massimalista e populista in una fase storica che non consente errori così macroscopici.
Speriamo che le teste inutilmente calde si ravvedano, almeno di fronte al concreto rischio di essere abbandonate dai loro stessi seguaci.

***

Qualche parola per concludere questa rassegna, sullo stato dei partiti.

Il Pdl di fatto non c'è più. Il suo fondatore e capo non sa e non pensa. Ci vuole uno strappo, ha detto Giuliano Ferrara in un'intervista al nostro giornale. Ma non si capisce chi debba farlo e con quali obiettivi. Mantenere la Polverini ancora in circolazione non è cosa tollerabile: il ministro dell'Interno sa bene che la norma di legge in proposito è chiara: con un Consiglio regionale sciolto le elezioni debbono essere celebrate entro novanta giorni. O lo fa la Polverini o lo fa un commissario nominato dal Prefetto o dallo stesso ministro dell'Interno.
Perciò la Cancellieri deve muoversi; assistere passivamente allo sperpero continuo e illegittimo di denaro pubblico la renderebbe corresponsabile d'uno spettacolo vergognoso.

Formigoni, con tutte le nefandezze che ha sulle spalle, lo strappo l'ha fatto lui: vuole indire le elezioni da celebrarsi entro l'anno. Una volta tanto è uno strappo salutare. Il centrosinistra indichi un candidato adeguato. Si può. L'avvocato Ambrosoli sembra la persona giusta e non soltanto per l'onorato nome che porta.

Sulle primarie del Pd esprimo una mia personale opinione. Non voglio entrare nel dibattito su Renzi, ne ho già parlato altre volte e non aggiungo nulla al già detto. Ma una cosa sì, deve essere chiara perché non è un'opinione ma un fatto: chi ha messo concretamente in moto queste primarie democratiche, il cambiamento che ne deriva e la mobilitazione che si sta verificando attorno ad esse, è stato Pierluigi Bersani quando ha deciso di abolire l'articolo dello statuto del partito che prevedeva il segretario come unico candidato alle primarie di coalizione.
L'Assemblea del Pd ha approvato quasi all'unanimità che le primarie di coalizione fossero aperte a tutti. Bersani ha messo quindi in gioco se stesso con ripercussioni sia sui sondaggi che vedono il Pd in crescita, sia sugli altri partiti nessuno dei quali prevede le primarie.

La rottamazione fa parte d'un lessico più barbarico che democratico, ma ormai non è più quello il tema e lo stesso Renzi ha dovuto riconoscerlo.

Ora si discutono programmi, contenuti, visioni chiare del bene comune. Un partito di riformismo radicale come quello che Veltroni disegnò al Lingotto di cinque anni fa non può che privilegiare l'eguaglianza nella libertà e non la libertà senza l'eguaglianza.

Non può ignorare i vincoli che abbiamo assunto con l'Unione europea e deve battersi per un'Europa federata con le relative cessioni di sovranità da parte di tutti gli Stati nazionali che ne sono membri.

Voteremo in aprile per la democrazia italiana ed europea e per lo stesso obiettivo gli elettori del Pd voteranno il 25 novembre alle primarie.

Il sermone è stato un po' lungo, spero almeno che sia stato chiaro.
 

(21 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

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« Risposta #386 inserito:: Ottobre 26, 2012, 09:41:12 am »

Opinioni

Assassini con la tastiera

di Eugenio Scalfari

Una ragazza canadese spinta al suicidio da una persecuzione via Internet.

Il caso di Amanda Todd deve farci riflettere sulla dipendenza dalla Rete e sui suoi effetti psicologici. Che riguardano soprattutto i giovani

(18 ottobre 2012)

Amanda Todd, una giovane canadese di 15 anni, si è suicidata per una persecuzione messa in atto da un personaggio sconosciuto attraverso Internet, utilizzata per diffondere tra i suoi compagni di classe alcuni comportamenti "discutibili". L'intera vicenda è a dir poco sconvolgente.

Il personaggio sconosciuto contatta Amanda via Internet e dopo un breve corteggiamento a distanza la prega di consentirgli di fotografarla a seno nudo. Dopo qualche pudica resistenza Amanda accetta. Passa un anno, poi d'improvviso la ragazza si accorge che i suoi compagni di scuola la beffeggiano e la insultano; infine la informano d'aver ricevuto la foto in questione. Contemporaneamente la foto appare sul social network della scuola e sui siti di tutti gli studenti che la frequentano.

AMANDA CERCA DI DIFENDERSI ma viene sempre più respinta e insultata. A questo punto uno dei suoi compagni le confessa di essersi innamorato di lei e manifesta la sua indignazione per come viene trattata. Segue un breve periodo di corteggiamento fino a quando i due decidono di far sesso, ma quando lei esce dalla casa del suo "innamorato" trova davanti al portone una piccola folla che la insulta e la sbeffeggia; tra quei giovani c'è anche il suo innamorato che fa parte di quel coro di persecutori ed è lui infatti ad aver organizzato la trappola.

Amanda cade in una fortissima depressione, si droga per evadere da quell'incubo. Passano alcuni mesi, la ragazza si ricovera in una clinica per disintossicarsi, ma viene sempre più perseguitata. Tenta di suicidarsi ma viene ripresa in tempo. Il personaggio sconosciuto da cui è partita l'intera vicenda manda in rete l'etichetta del farmaco da lei usato per suicidarsi. Altra ondata di dichiarazioni sui blog dove, tra insulti e irrisioni le si consigliano farmaci e veleni più efficaci per darsi la morte. Dopodiché il suicidio che questa volta raggiunge l'effetto voluto.

Questa è la storia. Raccapricciante, tanto più che gli insegnanti di quella scuola dichiarano che gli studenti sono tutti giovani perbene, seri e studiosi e che non hanno commesso nulla di riprovevole nei confronti della vittima.

DUE PROBLEMI SI PONGONO a questo punto: il giudizio sulla condotta di quei ragazzi e sulla scuola e sulle famiglie che li hanno educati e - secondo - l'efferata potenza di Internet quando la tecnologia diventa strumento di vera e propria tortura. Il giudizio non può che essere estremamente negativo. Non sappiamo se le autorità scolastiche interverranno come dovrebbero; in realtà dovrebbe intervenire anche la magistratura e individuare l'identità del misterioso persecutore: si può essere un "serial killer" anche usando la tecnologia che protegge l'anonimato.

Ma c'è un terzo problema implicato in queste riflessioni ed è quello della dipendenza dalla rete e degli effetti che ne derivano sulla psicologia delle persone. La dipendenza è già da tempo oggetto di studi e di sondaggi da parte di istituti specializzati esistenti in tutto il mondo e specialmente nel Nord-America. Si ha dipendenza quando una persona passa mediamente otto ore al giorno cliccando e viaggiando sulla rete. I risultati delle numerose indagini effettuate danno cifre diverse da luogo a luogo ma alcuni dati ricorrono in tutte: i più coinvolti nella dipendenza sono i giovani tra i 14 e i 25 anni; la media dei vari test oscilla attorno all'8 per cento; tre quarti di questi "navigatori in rete" sono giovani e un quarto adulti al di sopra dei 25 anni. Gli effetti psicologici più ricorrenti sono il senso di solitudine, l'impossibilità di uscire dalla dipendenza, l'ottundimento della socievolezza fisica con altre persone, la decadenza culturale dei soggetti in questione.

Infine, ed è il segnale più preoccupante, l'aumento numerico delle persone affette da queste "disturbo mentale" da vent'anni a questa parte. La rete procura certamente molti e importanti vantaggi alla società moderna ma contiene anche terribili pericoli ai quali nessuno finora ha tentato di porre un serio riparo.

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da - http://espresso.repubblica.it/dettaglio/assassini-con-la-tastiera/2193225/18
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« Risposta #387 inserito:: Ottobre 29, 2012, 10:43:50 pm »

IL COMMENTO

Una follia eversiva destabilizza il paese

di EUGENIO SCALFARI


NON SO dire se si stia assistendo a un'opera comica o a un'opera tragica; certo vedere e ascoltare un personaggio che è stato protagonista della politica e del costume nell'Italia di questo ventennio completamente fuori di testa è allo stesso tempo grottesco e preoccupante.

Qualche giorno fa l'ex premier aveva dichiarato di rinunciare definitivamente alla candidatura alla premiership. Due giorni dopo sembrò averci ripensato: "Il popolo mi vuole" aveva detto sotto la spinta della Santanché (!) poi aveva di nuovo battuto in ritirata, la sua candidatura a Montecitorio restava un'opzione ma per Palazzo Chigi avrebbe corso il vincitore di improbabili primarie.

Infine il colpo di scena di sabato dopo la sentenza di Milano che lo condanna a quattro anni (tre condonati) e all'interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale. La conferenza stampa 2 durata quasi l'intero pomeriggio ha spaziato dall'attacco alla Germania a quello contro il governo Monti, poi una raffica di contumelie contro i magistrati comunisti e contro la Corte costituzionale di sapore decisamente eversivo, tirando in ballo lo stesso Capo dello Stato che ne ha scelti cinque (ovviamente proni ai suoi voleri). Infine la minaccia di staccare la spina al governo e andare alle elezioni in gennaio per sollevare il popolo dalle miserie in cui il governo dei tecnici l'ha precipitato, e di nuovo sullo sfondo la riconquista di Palazzo Chigi con l'aiuto della Lega e del bravo Maroni, con tanto di faretra piena di frecce da lanciare contro i nemici della patria che il nostro Silvio tanto ama.

Non c'è molto da commentare su una deriva populista ed eversiva di queste dimensioni. Solo Giuliano Ferrara riesce a intravedere in questa tragica pagliacciata qualcosa che rievochi la saga dei Nibelungi. Ma c'è di che riflettere sulle possibili conseguenze.

I mercati anzitutto. È difficile pensare che assistano a questo sconquasso mantenendo la calma. Magari sarà solo una sfuriata passeggera e la calma tornerà se il Pdl che è ancora maggioritario in Parlamento scaricasse il suo capo.

Ma esiste ancora quel partito? E sopporta senza emettere un fiato o muovere un dito una vicenda di questo genere?

Se i suoi seguaci non lo sconfesseranno i mercati ci martelleranno duramente e a lungo con conseguenze molto serie su un Paese già tormentato e rabbioso.

Qualche segnale politico arriverà oggi dalla Sicilia. Sia pure con tutte le singolarità di quella regione, il test siciliano avrà una portata nazionale sia per quanto riguarda i consensi alla lista di Grillo sia per la tenuta o lo sfascio del Pdl nello scontro tra il suo candidato e quello del Pd-Udc.

Alla fine bisognerà decidere, perché se da quella bocca continueranno ad uscire parole deliranti, se i mercati useranno il randello contro il debito italiano, se la Lega da un lato e Grillo dall'altro urleranno nei loro megafoni lo slogan del "Monti no", aspettare la fine naturale della legislatura fino al prossimo aprile diventerà impossibile.
Occorrerà naturalmente che il Parlamento approvi la legge di stabilità finanziaria, ma poi si porrà concretamente il tema dello scioglimento anticipato delle Camere per poter votare a febbraio.

In queste condizioni sembra molto difficile che si possa varare una nuova legge elettorale. Resterà l'orribile Porcellum ma i partiti che abbiano un senso di responsabilità potranno almeno introdurre le preferenze al posto delle liste bloccate restituendo agli elettori la facoltà di scegliere i loro candidati.

Se le cose andranno in questo modo, in mezzo a tanti aspetti negativi ce ne sarà almeno uno positivo e tutt'altro che marginale: l'avvio della nuova legislatura e la nomina del nuovo governo che tenga conto della volontà degli elettori, ed anche dell'interesse generale dello Stato, spetteranno a Giorgio Napolitano. Un timoniere lucido, una mano ferma e un'ancora solida sono indispensabili quando il mare è in tempesta.

(29 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/29/news/follia_eversiva-45477923/?ref=HREA-1
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« Risposta #388 inserito:: Novembre 11, 2012, 03:56:19 pm »

L'EDITORIALE

Quanto vale la luce in fondo al tunnel

di EUGENIO SCALFARI


La novità della giornata di ieri è una dichiarazione di Monti del tutto inattesa. Ha raccomandato di non perder tempo a discettare sulla futura "premiership" ma di discutere piuttosto sui contenuti e sulle riforme che si debbono ancora fare fino alle elezioni del prossimo aprile. Ancora una volta questa dichiarazione è in piena concordanza con quella di Mario Draghi nel discorso da lui pronunciato in occasione del compimento di un anno dalla sua nomina alla guida della Bce; anche Draghi ha battuto e ribattuto sul tasto delle riforme che sono a suo parere la sola via per rafforzare l'euro e portare fuori dalla crisi economica sia l'Europa sia l'intero Occidente.

La sortita di Monti è diretta ai partiti e all'intera classe dirigente italiana a cominciare dalle forze sociali. Ma a quali partiti in particolare si dirige il premier?
L'esortazione a non insistere sul tema della futura "premiership" riguarda soprattutto quelle parti politiche che fanno del Monti-bis un elemento primario della loro campagna elettorale: l'Udc di Casini, Montezemolo e tutti coloro che chiamano a raccolta i moderati.

Monti non ha alcun interesse a diventare l'icona dei moderati i quali, comunque andranno le elezioni di aprile, non possono certo aspirare alla maggioranza assoluta nel Parlamento e neppure ad essere il primo dei partiti votati.

La seconda raccomandazione che riguarda i contenuti è rivolta a tutte le forze politiche della strana maggioranza che tuttora sostiene il governo ma principalmente al Pd di Bersani
che  -  soprattutto nella sua ala vendoliana  -  si propone di smantellare la cosiddetta agenda Monti.

Questa intenzione è diventata la caratteristica principale di Vendola, di Fassina e della Camusso e viene sventolata sia nelle primarie del Pd sia nella campagna elettorale ormai in corso. Ma è pura demagogia.

Lo scrivo e lo ripeto ormai da tempo: l'agenda Monti coincide perlomeno al novanta per cento con gli impegni che l'Italia ha contratto con l'Europa e in alcuni casi (per esempio il pareggio del bilancio) sono entrati a far parte della nostra Costituzione. Smantellarli significherebbe uscire dall'euro e quindi dall'Europa. A sostenerlo c'è soltanto Grillo e, quand'è di cattivo umore, Silvio Berlusconi. Quindi in questo caso purissima demagogia pre-elettorale.

Monti ha dunque ragione, bisogna parlare di contenuti e di riforme ancora da fare o da completare e poi di quello che dovrà essere il programma del nuovo governo che uscirà dalle urne elettorali.

* * *

Monti continua a segnalare una luce in fondo al tunnel e lo prendono per matto. La sua mattana sarebbe infatti contraddetta sia dalle previsioni dell'Istat sul Pil sia da quelle analoghe della Commissione di Bruxelles. Eppure  -  oltreché da Monti  -  quella luce in fondo al tunnel la vedono anche Draghi e il Fondo monetario internazionale. Come si spiega questo così netto contrasto di opinioni?

A parte una legittima differenza di punti di vista sull'andamento delle cose, c'è una cifra condivisa da tutti gli interlocutori di questo dibattito: l'andamento del Pil in Italia.
Sarà del meno 2,4 o meno 2,3 quest'anno e meno 0,2 o addirittura in pareggio nel 2013. Il segno meno permane in tutti e due gli anni considerati ma tra l'uno e l'altro si registra un miglioramento di tre punti il che significa un aumento di circa 50 miliardi in cifre assolute. Non è molto ma neppure poco. Tre punti di Pil non sono una luce?

A me sembrano considerazioni elementari. Certo l'aumento del Pil non è il solo dato da considerare, bisogna infatti vedere da dove proviene. Un aumento degli investimenti? Un aumento delle esportazioni? Della produttività? Dei consumi? Dell'occupazione? Non farei molto affidamento sui consumi, potrà semmai essere un effetto non una causa. Lo stesso vale per l'occupazione. Allo stato dei fatti le cause del miglioramento possono provenire dagli investimenti, dalle esportazioni, dalla produttività. Ed anche dai tassi di interesse delle banche e da una ripresa del credito.

Tutti questi elementi sono comunque condizionati da un recupero della fiducia e questo è un fattore che coinvolge l'intera Europa e anche gli Usa. La fiducia può essere paragonata al respiro del corpo d'una persona: se i suoi organi sono in grado di funzionare ma quel corpo non respira, la persona muore. Respirare non è una condizione sufficiente ma necessaria.
La fiducia e quindi le aspettative sono la stessa cosa: insufficienti ma necessarie. La fiducia c'entra molto con la politica. Senza una buona politica la fiducia avrà molta difficoltà a manifestarsi.

* * *

Tra le tante cose buone (anche se impopolari per i sacrifici che hanno creato per molti) l'attuale governo ha compiuto numerosi errori. Politici.

Per esempio ha traccheggiato troppo a lungo sul tema degli esodati. Ha clamorosamente sbagliato quando tagliò i fondi per gli ammalati di Sla. Per l'accompagnamento degli invalidi.
Alla fine la copertura è stata trovata, ma perché non prima ma solo dopo aver suscitato l'indignazione dell'opinione pubblica? Ha sbagliato sul pagamento dei crediti verso la pubblica amministrazione che ancora tarda a venire e sarà solo parziale. Ha sbagliato sulla legge per la corruzione. Ha sbagliato sui tagli alla pubblica istruzione e per ambedue questi punti dovrebbe assolutamente rimediare.

La politica è un'attività molto complessa. Si impara con l'esperienza ma presuppone anche una vocazione caratteriale. È difficile che un governo politico come tutti i governi ma composto solo di tecnici abbia una vocazione politica della necessaria intensità. I ministri con quella vocazione sono pochissimi: Fabrizio Barca, Corrado Passera, Andrea Riccardi.
Anche il sottosegretario alla Presidenza Catricalà la vocazione ce l'ha ma di solito la mette al servizio d'una cattiva politica e questo è un guaio non da poco.

Monti quella vocazione ce l'ha ma le necessità di un'economia prossima al disastro come quella che ereditò un anno fa l'hanno inevitabilmente ingabbiata. Adesso può finalmente liberarla ed è tempo che lo faccia.

* * *

Molti elementi per una buona politica dipendono ora dalla legge elettorale. Su questa questione occorre ragionare con molta chiarezza.

L'Udc si è alleata con il Pdl e (perfino) con la Lega per uscire definitivamente dal Porcellum che avrebbe stritolato il Terzo Polo. Per Casini era dunque una questione di sopravvivenza e lo si può capire. Ma lui stesso era consapevole che, dopo questo primo passaggio, ce ne voleva un secondo che recuperasse la governabilità. Infatti è quanto dovrebbe avvenire nella definitiva e ultima riunione tra gli interessati prima del voto in aula.

Il compromesso consiste nel "premiolino" da attribuire alla coalizione che avrà più voti di tutte le altre, probabilmente il centrosinistra. Bersani vorrebbe un "premiolino" del 12 per cento, Casini e Pdl offrono l'8. Il compromesso sarà il 10 forse il Pdl non ci starà, ma Casini ci deve stare se la saggezza lo assisterà.

Col "premiolino" il centrosinistra, da Donadi a Vendola, può arrivare fino al 45 per cento, un consenso notevole che però non raggiunge la maggioranza assoluta per la quale, dopo le elezioni, il Centro si alleerà non come ruota di scorta ma come componente necessaria del futuro governo. Del resto che altro potrebbe fare? Si deve ancora risolvere il problema della scelta dei parlamentari, il tema non presenta difficoltà politiche ma tecniche. In un modo o nell'altro dovranno risolverlo.

A questo punto si porrà il problema del Monti-bis e dell'agenda Monti. Di quest'ultima abbiamo già detto. Il primo si pone in questo modo: se Bersani è disponibile a cedere il passo a Monti, va benissimo; se non lo è dovrebbe quantomeno offrire a Monti il ministero dell'Economia e degli Affari europei. Penso che lo farà e a quel punto la palla passerebbe all'attuale premier.

È un declassamento? Formalmente forse, ma nella sostanza no. Del resto c'è un precedente illustre: Ciampi, dopo essere stato premier nel 1993, portò il Paese alle elezioni.
Dopo qualche anno nacque il governo Prodi e a Ciampi fu offerto il ministero del Tesoro. Accettò e insieme portarono l'Italia nell'Eurozona nel momento stesso in cui nasceva la moneta comune. Fu la più grande delle riforme che sia stata fatta in Italia e in Europa. Alla caduta del governo Prodi, nel 1998, a Palazzo Chigi andò D'Alema che pose come condizione per accettare l'incarico la presenza di Ciampi che per la seconda volta accettò di servire il Paese. Poi, approvata la legge finanziaria, si dimise.
Nel 1999 fu eletto al Quirinale quasi all'unanimità.

Cito questo precedente perché Monti si è detto disponibile a servire ancora il Paese. Questo sarebbe un bel modo per darne un'altra dimostrazione.

Post scriptum. Qualche parola sulla signora Polverni e le elezioni alla Regione Lazio. Quello che sta accadendo è semplicemente vergognoso.

La legge regionale del Lazio, unica tra tutte le Regioni, stabilisce che la data delle elezioni sia fissata dal presidente uscente e debba essere indetta entro 90 giorni dalle dimissioni del suddetto presidente. Il tempo scorre ma la Polverini, interpretando a sua modo la norma, si rifiuta di rispettarla e vuole che si voti in aprile insieme alle Politiche. Nel frattempo l'intero Consiglio regionale è dimissionario ma i suoi membri continuano a percepire lo stipendio e la Polverini sforna ogni giorno provvedimenti a dir poco eccentrici, beneficia a destra e a manca, nomina persone amiche nelle aziende comunali, fonda nuove associazioni ed enti vari. Insomma prosegue lo sperpero che rese possibile il caso Fiorito e gli altri analoghi.

L'Avvocatura dello Stato, richiesta dal governo di un formale parere, lo ha dato ribadendo che le elezioni debbano avvenire entro il termine di 90 giorni dalle dimissioni del presidente ma la Polverini nel suo bunker in via della Pisana continua a dilapidare senza ritegno.

Il Movimento in difesa dei cittadini ha ricorso al Tar del Lazio affinché imponga all'Amazzone l'adempimento della norma. L'Amazzone dal canto suo ha arruolato in sua difesa un avvocato che è al tempo stesso segretario ministeriale di Catricalà che  -  vedi caso  -  sostiene l'"election day" con le elezioni regionali in aprile insieme alle politiche. Il segretario di Catricalà si è dimesso dalla carica ministeriale nel momento in cui accettava di difendere la Polverini.

Ma perché Catricalà (e l'avvocato dell'Amazzone) vogliono le elezioni in aprile anziché subito come la norma prevede? Il motivo è evidente: Berlusconi (e Gianni Letta di cui Catricalà è comprovato sodale) non vogliono che la sicura sconfitta del centrodestra avvenga prima delle Politiche. Si vìola una norma? E chi se ne frega, ben altre ne furono violate.

Il governo dovrebbe esprimersi. Eventuali economie connesse con l'"election day" in aprile non compensano la violazione di una norma così importante e sono ampiamente compensati in negativo dalla dissipazione di risorse in atto in via della Pisana.

Il ministro dell'Interno continua a dire che la competenza non è sua. Ciò non dovrebbe impedirle di proclamare chiaro e tondo che la norma è stata violata e va recuperata.

Il Tar ha esaminato il ricorso e farà sentenza martedì prossimo. È possibile che si lavi le mani come fece Ponzio Pilato. In quel caso la vergogna si estenderà anche ai giudici amministrativi e perfino  -  rincresce dirlo  -  alla signora Severino, sistematicamente prudente tutte le volte rischi di dispiacere a qualcuno ancora potente (vedi leggi sulla corruzione).

Questa non è economia, onorevole Monti, ma politica. Lei non ha dunque nessun vincolo salvo quello della sua coscienza. Confido che l'ascolti e la metta in atto.

(11 novembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/11/11/news/quanto_vale_la_luce_in_fondo_al_tunnel-46356420/?ref=HRER1-1
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« Risposta #389 inserito:: Novembre 26, 2012, 07:44:30 pm »

La dittatura dello spread è soltanto demagogia

di EUGENIO SCALFARI


L'Europa procede a singhiozzo o se volete col passo del gambero e questo è un guaio perché i mercati restano all'erta e la speculazione quando può colpisce. Per fortuna c'è Draghi che vigila ed è pronto ad intervenire.
In quest'alternarsi di giornate buie e meno buie sia le Borse sia lo "spread" si mantengono in un (precario) equilibrio. Galleggiano a livelli accettabili. Siamo ancora in mezzo al guado ma senza affondare.

I contraccolpi sul sociale sono tuttavia assai duri e se ne sentono gli effetti: la rabbia cresce, le piazze protestano, i governi sono in difficoltà, il malumore nei confronti dell'Europa aumenta di tono e questo è il rischio maggiore perché le aspettative non cambiano se la fiducia non le sostiene.

In questo quadro le elezioni tedesche che si svolgeranno nell'autunno 2013 pesano negativamente. La Merkel ne è condizionata e l'Europa ne risente pesantemente.

Anche l'attesa di quelle italiane rappresenta un problema. Chi verrà dopo Monti? Se ne parla da mesi e l'attesa suscita l'ansia di molte Cancellerie, dalla Germania alla Francia e perfino alla Casa Bianca. Il nostro attuale premier ha recuperato una credibilità internazionale che era andata totalmente perduta. Reggerà con i suoi successori senza di lui? Il nuovo Parlamento e il nuovo Capo dello Stato manterranno gli impegni presi con l'Europa? Questo è il tema che domina l'attualità europea e italiana.

Abbiamo più volte ricordato che l'Italia
ha un peso determinante sulla tenuta finanziaria e monetaria dell'intero continente, sui tassi d'interesse, sulla dinamica dei flussi commerciali e degli investimenti e sulla solidità dei sistemi bancari.

La risposta degli arrabbiati (che sono molti e non solo in Italia) è purtroppo inconsistente: i bisogni sociali non possono dipendere dai mercati - dicono - il lavoro non è una variabile dipendente, la dittatura dello "spread" è una menzogna che va denunciata, un totem che va abbattuto ristabilendo la verità. E' così?

No, non è così. Lo "spread" è semplicemente un numero differenziale rappresentativo della fiducia con la quale è misurato il valore dei titoli di Stato. Se le finanze pubbliche di quello Stato non sono in ordine la fiducia nei suoi titoli diminuisce e lo "spread" aumenta, gli investitori stranieri fuggono (anche quelli italiani), le banche che hanno quei titoli in portafoglio vedono diminuire la loro solidità, ma nella stessa difficoltà si trovano anche altre banche di altri paesi che hanno fatto credito alle nostre; i risparmiatori che hanno sottoscritto i titoli vedono a rischio una parte del loro patrimonio e di conseguenza contraggono la loro domanda di beni e di servizi. Gli investitori nazionali non investono e la disoccupazione aumenta.

È curioso che queste elementari verità debbano essere costantemente ricordate ed è curioso che una parte crescente di persone e di forze politiche continuino a predicare che bisogna liberarsi dalla dittatura dello "spread" e dei mercati. Perfino la Russia, perfino la Cina - paesi governati da regimi non democratici e non liberali - sentono il morso dello "spread" e hanno bisogno della fiducia internazionale. La crisi del rublo di qualche anno fa mise Putin a malpartito e lo obbligò a negoziare il sostegno della finanza americana; la crisi economica attuale ha spinto la Cina a sostenere la domanda interna frenando le esportazioni.

In un'economia globale questi fenomeni che testimoniano l'interdipendenza dell'economia dovrebbero essere compresi da tutti. È una sciagura che la demagogia continui ad offuscare la mente di tanti.

* * *

Ovviamente non è soltanto con il rigore economico che si curano questi malanni. Per paesi dissestati il rigore è una condizione necessaria ma assolutamente insufficiente. Purtroppo è molto difficile appaiare la terapia del rigore con quella dello sviluppo. La ragione è evidente: il rigore nell'Europa di oggi ha un campo d'esecuzione nazionale; lo sviluppo, cioè la crescita, dipende in larga misura dall'Europa. Se l'Europa, cioè le Autorità che la governano, non imbocca coraggiosamente la via dello sviluppo, esso non avrà luogo.

Ciò non significa che i singoli governi e le parti sociali del paese in questione non abbiano strumenti per agire, significa però che gli effetti di quegli strumenti sono limitati.

È chiaro però che in Italia quegli strumenti non sono stati finora usati. La responsabilità di questa grave omissione non è tanto colpa dell'attuale governo ma soprattutto delle parti sociali e in particolare della borghesia imprenditoriale.

Da vent'anni o forse trenta l'imprenditoria italiana ha cessato di espandersi. Si è specializzata, si è tecnologicamente ammodernata, si è anche dislocata e al tempo stesso si è contratta. La base occupazionale si è ristretta. La manifattura ha ceduto il campo alla finanza. Le grandi imprese si sono sfilate in gran parte dal mercato nazionale, le medie hanno dismesso una parte delle loro attività, le piccole non sono cresciute e i padroncini sono rimasti quelli che erano con l'aggiunta che la generazione dei fondatori ha passato la mano ai figli e ai nipoti con conseguenze negative come quasi sempre accade in questi casi. Soprattutto l'imprenditorialità italiana ha fatto difetto di invenzione di nuovi prodotti.

Il sindacato dal canto suo è decaduto dai tempi eroici. Vent'anni fa rappresentava ancora non solo i lavoratori occupati ma anche i disoccupati e le nuove leve dei giovani che arrivavano sul mercato. Oggi non è più così, complice la molteplicità dei contratti esistenti. Il sindacato operaio di oggi rappresenta i lavoratori con contratto a tempo indeterminato e i pensionati, il che significa che ogni lavoratore che va in pensione non sarà sostituito con quel tipo di contratto. Tra poco perciò i sindacati operai diventeranno di fatto sindacati dei pensionati. Non è una bella prospettiva.

Dispiace che la Cgil non si sia data carico del tema della produttività e ripeta sulle piazze le consuete giaculatorie contro i mercati e contro lo "spread". Se la Camusso non comprende la questione, la studi; se l'ha compresa non faccia demagogia; se è condizionata dalla Fiom abbia il coraggio di liberarsene e ne spieghi le ragioni.
Le parti sociali da molti anni hanno gravi responsabilità, Montezemolo e Marcegaglia inclusi.

* * *

In queste condizioni Napolitano ha ricordato che il nome di Mario Monti non è spendibile nelle prossime elezioni come leader di uno schieramento o addirittura di un partito. Sembra che Monti se ne sia adontato ma io non lo credo. Monti sa benissimo che un senatore a vita non si può presentare alle elezioni. Tecnicamente. Dovrebbe prima dimettersi da senatore a vita e non credo affatto che abbia questo in mente.

Napolitano ha ricordato questa situazione perché l'iniziativa di Montezemolo e la posizione di Casini, l'uso ripetuto cento volte del nome di Monti come il "conducator" del Centro moderato stavano diventando una sorta di "mantra" pre-elettorale.

Il compito di Monti e del suo governo avranno termine nel momento stesso in cui il nuovo Parlamento uscirà dalle urne e a sua volta scadrà il mandato settennale di Giorgio Napolitano (purtroppo, sottolineato).

Non cadranno però gli impegni che l'Italia ha assunto con l'Europa, quelli che a torto o a ragione si chiamano agenda Monti. Sarà invece non solo possibile ma necessario che al rigore adottato da Monti si affianchi finalmente il rilancio dello sviluppo, come del resto lo stesso Monti sta ora tentando di ottenere in Europa e con l'Europa.

Se la maggioranza che emergerà nel nuovo Parlamento riterrà di aver bisogno di Monti, lo inviterà, lo proporrà come "premier" o gli offrirà un ministero importante. Oppure lo eleggerà al Quirinale. Ma spetta alla nuova maggioranza prendere queste decisioni e non sarà più una maggioranza tripartita: il Pdl di fatto ha cessato di esistere proprio ieri, perché sembra ormai certo che Berlusconi si ripresenterà con una sua lista in contrasto con il suo partito.

Resteranno dunque in campo il centro e il centrosinistra. Monti non può essere il candidato né dell'uno né dell'altro, perderebbe in Italia la credibilità che ha così pienamente acquistato in Europa. Si tratta di questioni talmente evidenti che non ci sarebbe stato neppure il bisogno di ricordarle se i vari gruppi di centro non avessero continuato a spendere il nome di Monti logorandolo e rendendo necessario la precisazione di Napolitano durante il suo viaggio di Stato in Francia.

Va ricordato a questo proposito che erano 21 anni da quando un presidente della Repubblica italiana fu invitato a Parigi. Ora è finalmente avvenuto e il nostro Presidente è stato accolto dal suo omologo francese con solennità e cordialità. L'intesa tra Italia e Francia sui problemi europei è una forza nuova di grande importanza per il presente e per il futuro. Ne va dato atto a Napolitano e a Monti, ancora una volta uniti nel medesimo disegno.
Le elezioni politiche che ci attendono fra pochi mesi tengano conto di questi fatti e del quadro che hanno creato. Ne deve uscire un risultato di governabilità e chi otterrà maggiori consensi dovrà utilizzarli con coraggiosa saggezza.

Post scriptum. Oggi si vota per tutto il giorno alle primarie del Pd e del centrosinistra. Il nostro giornale ha sottolineato più volte la loro importanza e anche la loro unicità positiva nel panorama della democrazia italiana.
I candidati sono cinque e tutti meritevoli di attenzione sia pure con le molte differenze nei loro programmi. Non sta ad un giornale come il nostro schierarsi per l'uno o per l'altro. Ma un collaboratore può certamente farlo e anche dirlo. Io non sono di centro e neppure di sinistra. Perciò voterò un candidato di centrosinistra cioè Pierluigi Bersani. E non credo di sbagliare.

(25 novembre 2012) © Riproduzione riservata

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