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Autore Discussione: EUGENIO SCALFARI.  (Letto 318365 volte)
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« Risposta #240 inserito:: Ottobre 17, 2010, 03:54:44 pm »

L'EDITORIALE

Le promesse bugiarde del ministro senza soldi

di EUGENIO SCALFARI

Il rappresentante italiano nella Banca centrale europea, Lorenzo Bini Smaghi, parlando giovedì scorso ad un convegno dell'Aspen è stato lapidario nel formulare la ricetta per uscire dalla stretta della crisi economica che turba con rinnovato vigore i mercati internazionali. Ha detto: "Il voto premia chi coniuga rigore e crescita". Monsieur de La Palisse non avrebbe potuto dir meglio. Anche il nostro ministro dell'Economia ha stilato la stessa ricetta rinviandone l'esecuzione al decreto "Milleproroghe" che sarà varato alla fine di dicembre. In quella sede  -  ha promesso per placare il crescente malumore dei suoi colleghi di governo  -  troverà i soldi che oggi non ci sono, avviando la fase 2 della politica economica.

La fase dello sviluppo affiancato appunto a quella del rigore. Ma ha anche avvertito che lo "sviluppismo" potrà aver luogo soltanto se l'Europa adotterà quella stessa linea e se gli Usa non aggraveranno ulteriormente la caduta del dollaro sul mercato dei cambi. Giuste riserve. Ma poiché sappiamo già che l'Europa non ha alcuna intenzione di percorrere la strada dello sviluppo per la semplice ragione che la Germania non ne ha alcuna intenzione anzi ha annunciato una politica addirittura opposta; e poiché la Fed americana dal canto suo ha come obiettivo dominante quello di portare il cambio del dollaro a 1,5 in termini di euro; tutto ciò significa che Tremonti non potrà mantenere gli impegni presi nel Consiglio dei ministri di tre giorni fa. Non ha soldi oggi e ne avrà ancora di meno a dicembre.

Alla fine dell'anno infatti, secondo i calcoli della Tesoreria, bisognerà far fronte a 5 miliardi di spese obbligatorie derivanti dal rifinanziamento della cassa integrazione, dalle missioni militari all'estero e da altre spese già impegnate. La sola riserva di cui dispone è la vendita delle frequenze digitali di proprietà dello Stato che varranno sì e no 3 miliardi. Si ritroverà dunque con un buco di 2 miliardi, un'Europa ancorata al rigore della Bundesbank e un dollaro in caduta libera. Le sue promesse dell'altro ieri hanno dunque credibilità zero, salvo forse qualche spicciolo destinato al federalismo che come pompa aspirante di risorse si rivelerà un pozzo senza fondo.

Il 2011 segnerà il culmine della crisi finanziaria e occupazionale: la Banca d'Italia del resto ha compiuto ieri un passo del tutto inusuale; il ministro dell'Economia aveva bollato con l'aggettivo "ansiogeni" i dati della disoccupazione forniti da Via Nazionale, ma la risposta è arrivata subito ed è stato il direttore generale della Banca, Saccomanni, a recapitarlo al mittente rivendicando l'assoluta esattezza del livello di disoccupazione che non è dell'8,5 come sostenuto dal Tesoro ma dell'11 per cento.

Questo è dunque lo stato dei fatti per quanto riguarda il nostro paese; ma per capir meglio quanto sta accadendo e quanto presumibilmente accadrà nei prossimi mesi bisogna allargare l'analisi al quadro internazionale.

*  *  *

Sembrava un fenomeno marginale la caduta del dollaro e lo sarebbe se non fosse il segnale di un generale disordine economico internazionale e di una crisi che minaccia al tempo stesso il livello dell'occupazione, la recessione della domanda e della produzione, il pericolo incombente d'una deflazione, una nuova crisi del mercato immobiliare americano, la fragilità dei debiti sovrani di molti paesi a cominciare da quello Usa. Infine la determinazione americana di svalutare il dollaro, le resistenze della Cina ad accettare una rivalutazione della propria moneta che penalizzerebbe le esportazioni e lo sviluppo della sua economia.

Ci sono alcune vittime di questo disordine: il Brasile, il Sudafrica, l'Africa povera e soprattutto l'Europa. La scena mondiale che si offre al nostro sguardo è dunque afflitta da problemi inquietanti che fanno prevedere un 2011 di difficoltà che continueranno molto probabilmente fino al 2013 e anche oltre.

La difficoltà numero uno si sta manifestando in America dove la ripresa della produzione dell'occupazione si è bloccata dopo timidi segnali positivi nel 2009. Difficoltà nel sistema bancario che si sperava fossero superate, stasi delle costruzioni, stasi dei consumi e degli investimenti. La perdita di popolarità del presidente Obama e del Partito democratico avrà una probabile sanzione nelle elezioni di medio termine che avranno luogo nelle prossime settimane e che rischiano di trasferire ai repubblicani la maggioranza del congresso. Ciò accrescerà le difficoltà di Obama a governare l'economia. Il debito pubblico Usa è altissimo e così pure il deficit della bilancia commerciale.

In queste condizioni la Fed ha deciso di immettere sul mercato una nuova iniezione di liquidità per rivitalizzare la domanda interna e sostenere le banche. Questa manovra avrà inizio il 3 novembre prossimo  -  così ha annunciato Bernanke, presidente della Fed  -  con l'acquisto di titoli di Stato, di obbligazioni e anche di titoli "tossici" che ancora affliggono i bilanci di alcune grandi banche.

Si ignora il quantitativo di questa operazione ma sarà certamente di notevole rilievo se vorrà avere qualche effetto sul mercato. L'acquisto di titoli avverrà con la stampa di nuova moneta e quindi con l'aumento del deficit pubblico. L'obiettivo non è soltanto quello di rivitalizzare la domanda interna ma anche di svalutare il dollaro che potrebbe presto raggiungere e superare la soglia di 1,5 in termini di euro. L'altro obiettivo è di arrivare ad un'inflazione del 2 per cento se non di più. Sembrerebbe, da questa molteplicità di fini, che le autorità monetarie americane puntino sull'inflazione per alleggerire il peso dell'enorme stock di debito pubblico. È una strada classica, una sorta di imposta regressiva che grava soprattutto sui redditi fissi, lavoratori pensionati e risparmiatori che hanno investito in titoli pubblici i loro risparmi. E se la strategia americana è questa, essa provocherà ripercussioni gravi in Europa.

Nel frattempo, per contrastare la discesa del dollaro, molte Banche centrali hanno deciso di comprare dollari e acquistare buoni del Tesoro americani. Sono dunque due le mani che acquistano Treasury Bond con obiettivi contrastanti: la Fed per immettere liquidità sul mercato e far scendere il cambio del dollaro; alcune Banche centrali straniere per impedire che il dollaro scenda. Il risultato è l'aumento di riserve in dollari in mano a Banche centrali a cominciare da quelle di Cina, Giappone e Emirati del Golfo: una sorta di deterrente che condiziona dall'esterno la politica economica americana.

*  *  *

Di fronte a questo scontro tra giganti che sconquassano i mercati inseguendo disegni che spesso non sono idonei a riportare ordine e sicurezza, una cosa è certa e avvalorata da tutte le inchieste fin qui effettuate: l'esito più drammatico della crisi è la distruzione mondiale di posti di lavoro. La crescita economica è molto fiacca, specie nei paesi dell'Occidente opulento, ma anche quando riprenderà con maggior vigore non creerà nuovi posti di lavoro. Sarà, come si dice nel gergo economico corrente, una crescita "jobless".

Il recente rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) è molto chiaro su questo punto. L'occupazione nelle economie avanzate riuscirà a tornare ai livelli pre-crisi non prima del 2015. La differenza tra i livelli del 2007 e quelli attuali in cifre assolute è di 14,3 milioni di posti di lavoro, mentre 8 milioni sono i posti di lavoro perduti nei paesi emergenti. La differenza totale dei posti di lavoro tra il livello del 2007 e quello del 2010 è dunque di oltre 22 milioni.

Il fenomeno si aggrava se si considera la disoccupazione di lungo periodo, dal minimo di un anno a cinque anni e all'uscita definitiva dal mercato del lavoro. Questo fenomeno penalizza in particolare le donne e il precariato giovanile. Nell'Unione europea, secondo il rapporto dell'Ilo, il tasso della disoccupazione di lungo periodo è del 37 per cento rispetto alla disoccupazione totale. La maglia nera spetta purtroppo all'Italia con il 46 per cento.

Questo fenomeno dipende in parte dalla delocalizzazione dell'industria manifatturiera verso paesi che hanno costi del lavoro molto più bassi dei nostri. Pensare di arginare questo fenomeno in un'economia globale è pura illusione. Mi sono sforzato più volte di segnalare questo problema che si può equilibrare non già impedendo le deroghe ai contratti nazionali vigenti ma recuperando una concertazione permanente tra parti sociali e governo che affronti i problemi della politica economica non abbandonandola nelle mani di un solo ministro con tentazioni dittatoriali. Vedo però che queste proposte non fanno strada. E' più populistico predicare interventi pubblici che impediscano la delocalizzazione, ipotesi peraltro irrealizzabile in un libero mercato. Proseguendo in questo modo avremo la botte vuota e la moglie astemia o se si vuole la beffa e il danno.

*  *  *

La politica della Bce e della Commissione di Bruxelles è stata finora sostanzialmente passiva di fronte alla crisi. All'inizio alcuni paesi minacciati dalla crisi finanziaria e bancaria intervennero con robusti sostegni di liquidità aggravando i loro deficit di bilancio. La Bce dal canto suo non lesinò liquidità al mercato e al sistema bancario e ridusse i tassi di interesse dopo lunghi indugi, mantenendoli tuttavia di un paio di punti al di sopra dei tassi americani. L'Italia fu risparmiata dalla crisi bancaria perché i nostri istituti di credito sono stati più prudenti negli impieghi in titoli esteri.

L'ora di abbinare rigore e crescita era quella, ma fu sprecata. L'Europa si limitò a galleggiare sul mare tempestoso nella convinzione che le acque tornassero rapidamente calme. Errore grave, di Bruxelles, di Francoforte e anche di Roma.

Adesso di fronte alle minacce d'una nuova crisi e di nuove strategie che richiederebbero da parte europea decisioni dinamiche e appropriate, la Germania e la sua Banca centrale hanno deciso di prendere in mano il timone e attuare una "exit strategy" di rigore ancor più severo: sanzioni automatiche per chi viola il patto di stabilità, diminuzione degli stock di debito pubblico che superino il 60 per cento del Pil (l'Italia è al 118), diminuzione della liquidità, divieto all'acquisto da parte della Bce di titoli di Stato di paesi membri in difficoltà.
Marciamo dunque dritti verso un aumento della disoccupazione e verso un mercato dominato dalla deflazione. Il che significa un aumento del peso reale del debito pubblico e degli oneri che questo comporta.

Il presidente del Consiglio pensa ai suoi problemi personali e aziendali, il ministro dell'Economia non ritiene di tassare i ricchi per alleviare il ceto medio. Perciò andremo a sbattere di brutto nei prossimi mesi. Non vorrei essere anch'io ansiogeno come Draghi, mi limito come Draghi a dire semplicemente la verità.

(17 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/17/news/ministro_senza_soldi-8141047/?ref=HREA-1
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« Risposta #241 inserito:: Ottobre 24, 2010, 03:44:40 pm »

Il guru del benessere

di Eugenio Scalfari

Quando si dice un uomo tutto d'un pezzo: il ministro Sacconi ha le sue convinzioni ma le appende all'attaccapanni quando va a negoziare

(22 ottobre 2010)

Il ministro del Lavoro e del Benessere, di cognome Sacconi (non ricordo il nome e non ho voglia di cercarlo) ha rilasciato domenica scorsa un'intervista a "Repubblica" che aveva come tema la manifestazione della Fiom che si era svolta il giorno prima a Roma in piazza San Giovanni.

L'intervista porta il titolo: "A Roma una minoranza radicale inadatta a governare" e contiene passi significativi a partire da quello riportato nel titolo.
C'è un punto nel quale Sacconi dice: "È stata una piazza politica, non sindacale; una piazza non affatto interessata a fare accordi, visto che ha considerato la Cisl e la Uil alla stregua di avversari".
L'intervistatore obietta: "Ammetterà che anche la manifestazione di Cisl e Uil la settimana scorsa non era all'insegna dell'unità sindacale". Risposta: "Quella di Cisl e Uil è stata una manifestazione serena e positiva".

Domanda: "Sta suggerendo una scissione nel Pd?".
Risposta: "Sono assolutamente certo che coloro che si sentono alternativi a quella piazza debbono ritrovarsi. Vedo un Pd incapace di sottrarsi ai radicalismi, da quello etico a quello sociale e a quello giustizialista. I veri moderatori e i veri riformisti dovrebbero stare insieme".

Domanda: "Lei si considera un ministro neutrale?".
Risposta: "Sono un ministro che ha le proprie convinzioni ma che negozia in modo aperto alla ricerca del massimo consenso possibile. In questi due anni abbiamo compiuto ogni atto con il consenso di tutti i sindacati, tranne la Cgil".

Mi scuso con i lettori se ho riportato alcuni brani di un testo che considero di grande importanza. Viene dal ministro del Benessere. Lasciamo stare il lavoro che di questi tempi non è molto popolare anche perché ce n'è sempre di meno in giro. Ma il Benessere, quello sì, eccome se c'è. In piazza San Giovanni in realtà di benessere ce n'era poco assai ed è proprio per questo che a Sacconi di quella piazza non gliene importa niente, non è di sua competenza. Lui sa dov'è il benessere, dove sta di casa. E le frequenta quelle case, eccome se le frequenta.

E poi, ricordiamolo, il suo passato parla eloquentemente e positivamente per lui. Fu nel Partito socialista ai tempi di Craxi. Poi è trasmigrato nella destra. Il percorso è coerente e infatti l'hanno seguito in parecchi. Più di recente ha trovato anche la fede religiosa. Chi cerca trova dice il proverbio.
Apprendo dall'intervista sopra ricordata che il ministro del Benessere ha le sue convinzioni. E ci mancherebbe che non le avesse! Però negozia con tutti e infatti - così dice - "non c'è stato un solo suo atto che non avesse il consenso di tutte le organizzazioni sociali". Tutte, onorevole ministro? "Tutte tranne la Cgil". Cioè il maggior sindacato italiano. Quindi il ministro del Benessere ha il consenso di una minoranza sindacale e non lo nega affatto, anzi lo afferma. Quando si dice un uomo tutto d'un pezzo: ha le sue convinzioni ma le appende all'attaccapanni quando va a negoziare. Cisl e Uil gli suggeriscono la strada e lui la segue. È dunque sommamente ingiusto lo slogan della Fiom che definisce Cisl e Uil "servi dei padroni e del governo". La realtà è completamente diversa: è il ministro del Benessere ad esser docile strumento di una minoranza del sindacalismo italiano.

Detto questo, mi piacerebbe conoscere quali sono le convinzioni che il ministro mette da parte quando va a negoziare con Cisl e Uil. Sono più moderate dei suoi interlocutori? O più radicali? Confinano con quelle della Santanchè o con quelle di Beppe Grillo? O magari con quelle di Verdini, che quanto a benessere se ne intende?
Credo di capire che Sacconi si è tormentato intimamente. Vorrebbe (lo dice nell'intervista) una società in cui non ci fossero né radicalismo sociale né radicalismo giustizialista né radicalismo etico. E chi non la vorrebbe una società così?

Però Sacconi è ingiusto con se stesso: la società in cui vive lui (e che ha dato la maggioranza al suo premier) non ha per fortuna nessuno di quei tre radicalismi, soprattutto quello etico. Anzi il radicalismo etico lo considera una bestemmia. Questo dovrebbe rassicurarlo. Balducci è radicale eticamente parlando? Scaloja? Cosentino?

 Cuffaro dei cannoli? Di Verdini abbiamo già detto ma l'elenco sarebbe molto più lungo.
Piuttosto, un alleato nel Pd Sacconi ce l'ha e si chiama Boccia. Questo Boccia ha detto che a piazza San Giovanni c'erano molti ex parlamentari con vitalizio e molti intellettuali abbienti. Questa gente che applaude alla Fiom e sfila con lei in corteo a Boccia gli fa schifo. Credo faccia schifo anche a Sacconi.

Io non sono andato al corteo della Fiom perché avevo impegni di lavoro, ma ci sarei andato con piacere sebbene sia un ex parlamentare con vitalizio (c'è una legge in proposito di cui ho chiesto da tempo l'abolizione) e sebbene io abbia un discreto patrimonio che mi dà un discreto benessere (perciò Sacconi è il mio ministro). Voglio solo ricordare a Boccia che uno dei leader della rivoluzione dell'Ottantanove fu il marchese di La Fayette, che aveva combattuto accanto a Washington per la rivoluzione americana e poi rientrato in Francia fu il primo comandante della Guardia Nazionale. Un altro dei leader dell'Ottantanove fu il conte Riquetti de Mirabeau. Un altro ancora fu Filippo ?galité, duca d'Orléans e principe del sangue.
La Fiom dell'epoca (cioè i sanculotti) non avevano allora diritti sindacali ma presero la Bastiglia perché difendevano diritti civili di libertà.
Queste cose le sanno tutti credo e spero nel Pd. Boccia forse ha sbagliato partito.

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http://espresso.repubblica.it/dettaglio/il-guru-del-benessere/2136833/18/1
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« Risposta #242 inserito:: Ottobre 25, 2010, 09:06:51 am »

L'EDITORIALE

Il sasso istituzionale e lo tsunami politico

di EUGENIO SCALFARI

NON È soltanto un sasso nello stagno la lettera inviata da Giorgio Napolitano al presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Il Capo dello Stato si è limitato ad attirare l'attenzione del Parlamento e della pubblica opinione su un solo aspetto della legge sull'immunità delle massime cariche istituzionali presentata dal ministro Alfano, ma la logica che ha motivato i suoi rilievi fa parte d'una cultura istituzionale che inquadra una visione complessiva del bene comune e delle regole che ne rendono possibile la realizzazione. La legge Alfano è invece uno dei tasselli della costituzione materiale che Berlusconi e i suoi accoliti hanno in mente da tempo di mettere al posto della Carta vigente. Napolitano, definendo un articolo della legge Alfano "irragionevole e manifestamente contrario all'attuale articolo 90 della Costituzione", ha di fatto interrotto quel percorso obbligando la maggioranza a rimetterci le mani. Solo questo, ma ora quel sasso nello stagno si è trasformato in un maremoto politico che non riguarda il Quirinale ma Palazzo Chigi e il Parlamento.
L'articolo 90 stabilisce l'immunità del Presidente della Repubblica per quanto riguarda eventuali illeciti che possa commettere nell'ambito delle sue funzioni, con l'eccezione di due sole ipotesi: tradimento della Repubblica e atti contro la Costituzione per i quali il "plenum" del Parlamento può con un voto a maggioranza qualificata tradurlo dinanzi alla Corte che si autocostituisce in Alta Corte di giustizia.

Per illeciti che non riguardano la sua funzione il Capo dello Stato può invece essere inquisito e giudicato dai tribunali ordinari. Napolitano ha rivendicato questa immunità e soltanto questa, niente di più e niente di meno.
Stupisce che l'editorialista del Corriere della Sera Massimo Franco abbia avanzato il dubbio di irritualità sulla lettera di Napolitano. Le leggi di riforma costituzionale secondo la prassi debbono esser promulgate dopo la doppia lettura prevista dall'articolo 138 e la firma di promulgazione è considerata un atto dovuto. Ma nel caso specifico era stata creata una situazione di dipendenza del Capo dello Stato dal Parlamento che imponeva al Quirinale di rilevarne la stridente contraddizione ordinamentale. Irrituale è dunque quella norma contestata della legge Alfano, non certo la lettera del Presidente.
Si vedrà ora in che modo la questione sarà risolta dal Parlamento, a cominciare dal Senato. Ma l'intervento del Quirinale, al di là del tema specifico, ne ha aperti altri.
Alcuni di carattere costituzionale che Napolitano non ha sollevato ma che tuttavia emergono chiaramente; altri di carattere politico che esulano dalla competenza del Quirinale ma che tuttavia sono ora sotto gli occhi dei partiti e della pubblica opinione.

I temi costituzionali sono due. Il primo, messo in rilievo dall'ex presidente della Corte, Valerio Onida, sta nel fatto che la legge Alfano colloca il Presidente del Consiglio sullo stesso piano del Presidente della Repubblica dal punto di vista del delicatissimo tema delle immunità, con la differenza che il primo è indicato nella scheda delle elezioni politiche sulla quale il "popolo sovrano" appone il proprio voto, mentre il secondo viene eletto dal Parlamento. Si crea in questo modo un sistema duale al vertice dello Stato nettamente sbilanciato a favore dell'inquilino di Palazzo Chigi che può vantare la sua investitura popolare declassando il Capo dello Stato ad un ruolo puramente notarile senz'altra prerogativa che quella di certificare l'autenticità degli atti sottoposti alla sua firma.
L'altro tema consiste nella differenza tra il concetto di immunità e quello di impunità (l'ha sottolineato anche Luca Ricolfi sulla Stampa). L'immunità sospende la procedibilità del titolare di una carica istituzionale nel periodo in cui esercita le sue funzioni e limitatamente ai reati che può aver commesso relativi a quelle funzioni.
L'impunità invece copre anche illeciti che non riguardano le funzioni ed è ripetitiva se la stessa persona passa dalla carica che ricopre ad altra egualmente "immune" raffigurando in tal modo un salvacondotto valido per molti e molti anni. Come non vedere dietro una siffatta normativa far capolino la maschera di Silvio Berlusconi? È accettabile un salvacondotto di questo genere, per di più in presenza di una legge elettorale come quella attuale che affida alla sua discrezione la scelta dei candidati con un meccanismo elettorale che assegna alla coalizione vincente anche per un solo voto un premio nazionale per la Camera e premi regionali al Senato? Queste considerazioni debbono esser state ben presenti al Presidente della Camera. Fini ha infatti dichiarato ieri sera che l'immunità prevista dalla legge Alfano non può essere reiterabile.

* * *
È evidente che lo scontro tra queste opposte visioni istituzionali avrà conseguenze politiche che sono già visibili. Bene ha fatto il Quirinale a sottolineare ieri che i rilievi del Presidente riguardano specifici aspetti della legge Alfano mentre lo scontro politico e le sue conseguenze sono del tutto estranee alla competenza del Capo dello Stato. All'attenzione delle forze politiche c'è ora con rinnovato vigore un dilemma fondamentale: lo stato di diritto o il comando di una persona, il popolo sovrano e i suoi rappresentanti liberamente scelti o la cricca e la casta che pensa per tutti e provvede per sé? Questa è la posta ed è inutile e deviante anteporre i problemi del paese a questi che sembrano invece temi da intellettualoidi e da politicanti autoreferenti. I problemi del paese ci sono ben presenti e ne parliamo di continuo; sono quelli del fisco, dei rapporti tra le forze sociali, del lavoro, dei rifiuti di Napoli, della corruzione, delle infrastrutture, della crescita economica, dell'Università e della ricerca. Li ha risolti da solo Berlusconi? Li ha risolti da solo Tremonti? Li ha risolti da solo Bertolaso?
O dobbiamo sperare in una Madonna pellegrina e lacrimante? Come mai dopo tanti anni di governo quei problemi sono diventati voragine? Parlare di essi derubricando quello che tutti li ha determinati e ne subordina la soluzione a quel Salvacondotto che è la sola cosa che importa, è un depistaggio in piena regola e come tale va definito.

* * *
Le conseguenze politiche riguardano soprattutto l'opposizione, quella di sinistra, quella di centro e quella finiana.
È evidente e non da ora che la posta in gioco è la Costituzione. Ma ora, con l'arrivo al pettine di tutti i nodi irrisolti, la partita è giunta alla sua svolta che implica un'emergenza oggettiva. L'emergenza soggettiva era quella predicata anzitempo, una sorta di "al lupo al lupo" quando il lupo era ancora sulla montagna. Adesso il lupo è sceso in pianura, pronto a divorare le pecore se pecore resteranno. Per questo dico che adesso l'emergenza è oggettiva e questo impone alcune riflessioni.
1. Per cambiare la legge elettorale ci vuole uno schieramento che unisca tutto il centro e tutta la sinistra.
2. Se si va alle elezioni con questa legge ci vuole egualmente uno schieramento elettorale che unisca tutto il centro (finiani compresi) e tutta la sinistra, altrimenti mancherebbero i numeri per essere competitivi con l'avversario.
3. Una cordata di quest'ampiezza avrà bisogno d'un leader che copra con la sua autorevolezza tutto l'arco delle forze alleate e possa rappresentare il minimo comun denominatore che non è poi tanto minimo: combattere mafie e corporazioni, rilanciare la crescita senza abbassare la guardia sulla finanza pubblica, garantire i diritti e far rispettare i doveri, tutelare i ceti deboli, i poveri, la pari dignità delle persone e le pari opportunità nel lavoro e nell'istruzione, dare alle forze sociali il ruolo che loro spetta a fronte dei sacrifici che la modernizzazione e la globalizzazione impongono. Vi sembra molto "minimo" questo denominatore?
4. Se questo progetto è accettato (ed è l'unico che può evitare una vittoria del berlusconismo per i prossimi nove anni) esso comporta che non vi siano veti da parte di nessuno e contro nessuno. È una sorta di lodo cui tutta l'opposizione è chiamata. Poi, passata la stretta tra Scilla e Cariddi, ognuno riprenderà la propria navigazione e il denominatore minimo cederà il passo ai denominatori massimi che ciascuna forza politica ha il diritto di proporsi e di proporre in libera competizione.
Ma oggi non siamo di fronte a una libera competizione, siamo di fronte appunto ad una concezione radicalmente diversa della democrazia e dello Stato. Questo è il salto. Chi non lo fa si perde e perde il paese.

(24 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/10/24/news/il_sasso_istituzionale_e_lo_tsunami_politico-8379767/?ref=HREC1-2
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« Risposta #243 inserito:: Ottobre 31, 2010, 10:29:25 pm »

L'EDITORIALE

Il bunga bunga che segna la fine di un regno

di EUGENIO SCALFARI

Le recenti cronache dell'Italia berlusconiana che raccontano l'ennesimo scandalo ormai generalmente etichettato "bunga bunga" mi hanno lasciato al tempo stesso indifferente e stupefatto.
L'indifferenza deriva dal fatto che conosco da trent'anni Silvio Berlusconi e sono da tempo arrivato alla conclusione che il nostro presidente del Consiglio rappresenta per molti aspetti il prototipo dei vizi italiani, latenti nel carattere nazionale insieme alle virtù che certamente non mancano. Siamo laboriosi, pazienti, adattabili, ospitali.
Ma anche furbi, vittimisti, millantatori, anarcoidi, insofferenti di regole, commedianti. Egoismo e generosità si fronteggiano e così pure trasformismo e coerenza, disprezzo delle istituzioni e sentimenti di patriottismo.
Berlusconi possiede l'indubbia e perversa capacità di aver evocato gli istinti peggiori del paese. I vizi latenti sono emersi in superficie ed hanno inquinato l'intera società nazionale ricacciando nel fondo la nostra parte migliore.
È stato messo in moto un vero e proprio processo di diseducazione di massa che dura da trent'anni avvalendosi delle moderne tecnologie della comunicazione e deturpando la mentalità delle persone e il funzionamento delle istituzioni.

Lo scandalo "bunga bunga" non è che l'ennesima conferma di questa pedagogia al rovescio. Perciò non ha ai miei occhi nulla di sorprendente.

Da quando avviò la sua attività immobiliare con denari di misteriosa provenienza, a quando con l'appoggio di Craxi costruì il suo impero televisivo ignorando le ripetute sentenze della Corte costituzionale, a quando organizzò il partito-azienda sulle ceneri della Prima Repubblica logorata dalla corruzione diventata sistema di governo.
A sua volta, su quelle ceneri, il berlusconismo è diventato sistema o regime che dir si voglia: un potere che aveva promesso di modernizzare il paese, sburocratizzarlo, far funzionare liberamente il mercato, diminuire equamente il peso fiscale, sbaraccare le confraternite e rifondare lo Stato.

Il programma era ambizioso ma fu attuato in minima parte negli otto anni di governo della destra ai quali di fatto se ne debbono aggiungere i due dell'ultimo governo Prodi durante i quali il peso dell'opposizione sul paese fu preponderante.
Ma non solo il programma rimase di fatto lettera morta, accadde di peggio. Accadde che il programma fu contraddetto. Il sistema-regime è stato tutto fuorché una modernizzazione liberale, tutto fuorché una visione coerente del bene comune.

Per dieci anni l'istituzione "governo" ha perseguito il solo scopo di difendere la persona di Berlusconi dalle misure di giustizia per i molti reati commessi da lui e dalle sue aziende prima e durante il suo ingresso in politica. Nel frattempo l'istituzione "Parlamento" è stata asservita al potere esecutivo mentre il potere giudiziario è stato quotidianamente bombardato di insulti, pressioni e minacce che si sono anche abbattute sulla Corte costituzionale, sul Csm, sulle Autorità di garanzia e sul Capo dello Stato.
Il "Capo" e i suoi vassalli hanno tentato e tentano di costruire una costituzione materiale incardinata sul presupposto che il Capo deriva la sua autorità dal voto del popolo ed è pertanto sovra-ordinato rispetto ad ogni potere di controllo e di garanzia.

Questa situazione ha avuto il sostegno di quell'Italia che la diseducazione di massa aveva privato d'ogni discernimento critico e che vedeva nel Capo l'esempio da imitare e sostenere.
Il cortocircuito che questa situazione ha determinato nel carattere di una certa Italia ha fatto sì che Berlusconi esibisca i propri vizi, la propria ricchezza, la sistematica violazione delle regole istituzionali e perfino del buongusto e della buona educazione come altrettanti pregi.
Non passa giorno che non si vanti di quei comportamenti, di quella ricchezza, del numero delle sue ville, del suo amore per le donne giovani e belle, dei festini che organizza "per rilassarsi", degli insulti e delle minacce che lancia a chi non inalbera la sua bandiera. E non c'è giorno in cui quell'Italia da lui evocata e imposta non lo ricopra di applausi e non gli rinnovi la sua fiducia.

Lo scandalo "bunga bunga" è stato l'ennesima riprova di tutto questo. La magistratura sta indagando sugli aspetti tuttora oscuri di questa incredibile vicenda della quale tuttavia due punti risultano ormai chiari e ammessi dallo stesso Berlusconi: la sua telefonata al capo gabinetto del Questore di Milano nella quale chiedeva il pronto rilascio della minorenne marocchina sua amica nelle mani "sicure" di un'altra sua amica da lui fatta inserire da Formigoni nel Consiglio della Regione lombarda, e l'informazione da lui data alla Questura che la minorenne in questione era la nipote del presidente egiziano Mubarak.
Queste circostanze ormai acclarate superano ogni immaginazione e troverebbero adeguato posto nell'ultimo romanzo di Umberto Eco dove il protagonista ricalca per alcuni aspetti "mister B" per le sue capacità d'inventare il non inventabile facendolo diventare realtà.
La cosa sorprendente e stupefacente non è nella pervicacia con la quale Berlusconi resta aggrappato alla sua poltrona e neppure la solidarietà di tutto il gruppo dirigente del suo partito e della sua Corte, che fa quadrato attorno a lui ben sapendo che la sua uscita di scena sarebbe la rovina per tutti loro. La cosa sorprendente è che  -  sia pure con segnali di logoramento e di sfaldamento  -  ci sia ancora quella certa Italia il cui consenso nei suoi confronti resiste di fronte alla grottesca evidenza di quanto accade. Questo è l'aspetto sorprendente, anzi sconvolgente, che ci dà la misura del male che è stato iniettato e coltivato nelle vene della società e questo è il lascito, il solo lascito, di Silvio Berlusconi.
Sua moglie Veronica, in una lettera pubblicata un anno e mezzo fa, lo scolpì in poche righe, stigmatizzò l'uso che il marito faceva del potere e delle istituzioni, i criteri di reclutamento della "sua" classe politica imbottita di "veline" e di attricette che avevano "ceduto i loro corpi al drago" e concluse scrivendo: "Mio marito è ammalato e i suoi amici dovrebbero aiutarlo a curarsi seriamente".
Quello che sta accadendo lo dimostra e lo conferma: quest'uomo è gravemente ammalato, l'attrazione verso donne giovani e giovanissime è diventata una dipendenza che gli altera la mente e manda a pezzi i suoi freni inibitori.
Dovrebbe esser seguito da medici e da psico-terapeuti che lo aiutassero a riprendersi; ma sembra di capire che sia seguito da persone reclutate con tutt'altro criterio: quello di immortalare le apparenze della sua giovinezza in tutti i sensi. Ma così non fanno che aggravare il male.

* * *

È ormai evidente agli italiani normali e normalmente raziocinanti, il cui numero sta fortunatamente aumentando, che questa situazione non può continuare. In qualunque altro paese dell'Occidente democratico sarebbe terminata da un pezzo per decisione dello stesso interessato e del gruppo dirigente che lo attornia. Ma qui le cose vanno in un altro modo e sappiamo perché. Tra lui e i suoi accoliti, uomini e donne che siano, esistono vincoli che non si possono sciogliere perché ciascuno di loro (quelli che contano veramente) ha le sue carte sul Capo e lui ha le sue carte su tutti gli altri. Così per Previti, così per Dell'Utri, così per Scajola, così per Verdini, così per Brambilla ed altri ancora.
A questo punto tocca a tutti coloro che ritengono necessario ed urgente porre fine al "bunga bunga" politico, costituzionale e istituzionale, staccare la spina.
Presentare una mozione di sfiducia che vada da Bersani a Fini e da Casini a Di Pietro, che abbia la funzione che in Germania si chiamerebbe "sfiducia costruttiva". Esponga cioè il programma che quell'arco di forze vuole attuare subito dopo che la sfiducia sia stata approvata e che si può riassumere così:

1. Indicare al Presidente della Repubblica l'esistenza di una maggioranza alternativa che gli consenta di nominare un nuovo governo, come la Costituzione prevede.

2. Elencare alcuni temi programmatici a cominciare dal restauro costituzionale, indispensabile dopo la devastazione compiuta in questi anni e, a seguire, alcune urgenti misure economiche e sociali, un federalismo serio che rafforzi l'unità nazionale e la modernizzazione della società articolandola secondo un disegno federale, una riforma della giustizia che sia utile ai cittadini, una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di eleggere i propri rappresentanti nei vari modi con i quali quest'obiettivo può essere realizzato.
Uno sbocco di questo genere sarebbe estremamente positivo per il paese e dovrebbe essere guidato da qui alla fine naturale della legislatura da un "Mister X" che abbia le caratteristiche e la competenza necessaria al recupero dei valori etici e politici che la Costituzione contiene nella sua prima parte, ammodernandola nella seconda in conformità alle esigenze che una società moderna richiede.
Noi riteniamo che questo percorso vada intrapreso al più presto anche per riconciliare con le istituzioni un paese stanco e disilluso dal tristissimo spettacolo che è sotto gli occhi di tutti.
Non si tratta di utilizzare lo scandalo della minorenne marocchina strumentalizzandolo per fini politici. Si tratta invece di metter fine ad una rovinosa gestione governativa del "non fare" e del "malfare", che non è riuscito ad aprire un cantiere, a sostenere i consumi e il potere d'acquisto, a recuperare un centesimo di avanzo nel bilancio delle partite correnti, ad invertire il trend negativo dell'occupazione, a fare un solo passo avanti nella buona riforma della giustizia e del federalismo.
Infine a smantellare la "cricca" che da quindici anni non fa che rafforzarsi prendendo in giro i gonzi con il racconto d'una improbabile favola a lieto fine.
La storia italiana ha visto più volte analoghe "cricche" al vertice del paese. Quando ciò è accaduto, la favola è sempre terminata male o malissimo. L'esperienza dovrebbe aiutarci ad interrompere questo percorso in fondo al quale c'è inevitabilmente la rovina sociale e il degrado morale.

(31 ottobre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #244 inserito:: Novembre 05, 2010, 04:18:21 pm »

Ma chi è il protagonista di Eco?

di Eugenio Scalfari

Il romanzo 'Il Cimitero di Praga' parla di tale Simone Simonini, e l'autore giura che si tratta di personaggio di fantasia.
Forse invece è esistito veramente e ha avuto una discendenza. Che ci ricorda molto qualcuno

(04 novembre 2010)

Il mio caro amico Umberto Eco ha scritto un libro di grande fascinazione che ha già avuto tutte le recensioni che meritava e che avrà il successo che tutti i suoi romanzi hanno avuto, dal "Nome della rosa" in poi. Al protagonista ha dato il nome di Simone Simonini, un lestofante, una carogna di tre cotte, un falsario di documenti e quant'altro si possa immaginare. L'autore ha precisato che si tratta di un personaggio di fantasia, mentre tutti gli altri nominati nel racconto e gli avvenimenti sono rigorosamente storici. L'azione si svolge sul finire del XIX secolo principalmente a Parigi. Vi divertirete molto a leggerlo e troverete anche qualche assonanza con il malaffare e la malavita del nostro presente. Per pura curiosità ho fatto qualche ricerca (non sto a dire come e dove) ed ho appurato fatti che non mi aspettavo, della cui certezza sono assolutamente sicuro.

Il primo fatto è questo: Simone Simonini non è un personaggio di fantasia inventato da un romanziere dotato di grandissima immaginazione, ma è anche lui un personaggio storico. Forse Eco dice di averlo inventato per ragioni di comprensibile riserbo, ma non è così, ha realmente vissuto nell'epoca e nei luoghi raccontati nel romanzo. Le mie ricerche non erano comunque su suoi misfatti ma sulla sua eventuale discendenza. In effetti una discendenza ci fu ed è arrivata fino alla quinta generazione. Un suo pro-pro-pronipote è ancora vivo, ha raggiunto un'età ragguardevole, risulta in buona salute ed abita in un paradiso fiscale. Anzi, possiede molte residenze e lussuose abitazioni in vari paradisi fiscali: Caraibi, Tangeri, Abu Dhabi, Liechtenstein, San Marino, Hong Kong, Beirut, Montecarlo. Gli affari gli sono sempre andati bene, ha naso, esperienza e spregiudicatezza quanto basta per far prosperare il suo patrimonio. Soprattutto ha scoperto il metodo: bisogna stringere amicizia con uomini politici potenti, associarli ai propri affari e condividere con loro i profitti che ne risultano. Lui ci mette il talento e loro ci mettono il potere politico di cui dispongono. Loro gli danno un bene pubblico e lui lo trasforma in bene privato. Va a gonfie vele.

Si racconta che il Simonini V (ha un altro nome perché quello del trisavolo era troppo sputtanato, ma non lo rivelerò) fu un ragazzo molto precoce e cominciò a raggranellare i primi spiccioli vendendo i temi a scuola. Rimase celebre il caso d'un esame svoltosi in una scuola di Amsterdam dove a quell'epoca Simonini V abitava. Filtrò la notizia che l'argomento del tema avrebbe riguardato gli animali e lui preparò uno svolgimento concentrato sulla figura del cane, la sua storia, le sue attitudini, i suoi rapporti con l'uomo. Ne scrisse diverse versioni e le vendette. Il giorno degli esami però il tema assegnato aveva come specifico argomento il gatto. Simonini V suggerì agli studenti che avevano comprato il suo tema di anteporre quest'inizio: "Il gatto è un felino interessantissimo comparso sulla terra alcuni millenni fa. Il suo nemico storico è il cane". A questo punto continuate pure con la descrizione del cane che già avete in mano. Questo fu il suggerimento e tutto andò benissimo. Passarono gli anni e Simonini V divenne un importante imprenditore immobiliare. Le ragioni della sua fortuna consistettero soprattutto nell'invenzione della cosiddetta "leva esterna" (Leverage buy out). La sua invenzione era molto semplice: proporre agli amministratori dei paradisi fiscali dove viveva di aiutarlo a costruire abitazioni su aree agricole trasformandole in aree edificabili da lui già acquistate a bassissimo prezzo. Quasi sempre quelle proposte venivano accettate e ricompensate con il 30 per cento del profitto. Per costruire però ci volevano capitali che Simonini V otteneva da amici banchieri che gli accordavano i crediti necessari nonostante che lui risultasse nullatenente e quindi non desse alcuna garanzia reale. Ad affare concluso il banchiere riceveva il 20 per cento del profitto. A Simonini V restava il 50 per cento di tutto l'affare. Tasse non ne pagava perché la società costruttrice figurava posseduta da una quarantina di altre società intestate ad invalidi ospitati in case di riposo e del tutto ignari che la loro firma su appositi documenti desse loro la proprietà delle aziende e a Simonini la delega irrevocabile ad amministrarle.

Diventò molto ricco con queste ed altre trovate ma non si accontentò. Prestò ingenti somme ai governi che amministravano quei paesi ed ottenne anche pubbliche cariche sempre più elevate fino a quando diventò capo del governo di tutte quelle località spostandosi continuamente dall'una all'altra. Andava anche in visita di Stato in altri paesi scegliendo con cura quelli governati da dittatori con i quali poteva trattare gli affari pubblici come se fossero affari privati, cosa che sarebbe stata molto più difficile fare in paesi sottoposti a regole e controlli democratici.

Anche con queste alleanze fece buonissimi affari ma invecchiando quel tipo di vita era diventato troppo faticoso, perciò si fermò e scoprì che esistevano modi molto più gradevoli di vivere oltre alla passione per la ricchezza. Scoprì che il riposo del guerriero poteva essere allietato dalle donne e in quel modo organizzò la sua vita. I miei informatori mi dicono che ormai anche questi suoi passatempi sono terminati per ragioni di età. Simonini V si dedica a opere di beneficenza e in particolare ai carcerati e alle carcerate che con la sua autorevolezza fa liberare e che ospita nelle sue numerose case. Il suo principale consigliere è un sacerdote novantenne che fa anche lui opere di bene che Simonini V finanzia. Il suo più vivo desiderio sarebbe ora quello di essere nominato beato da vivo. Il suo amico sacerdote ha buoni rapporti in Vaticano e si sta adoperando per ottenere quella nomina.
Queste caro Umberto Eco, sono le notizie che volevo tu sapessi. È possibile che tu sia interessato a svilupparle con la tua fantasia e farne un nuovo romanzo.

   
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« Risposta #245 inserito:: Novembre 07, 2010, 07:07:15 pm »

L'EDITORIALE

L'ultima partita a scacchi del Cavaliere

di EUGENIO SCALFARI
 
MA ADESSO che succede? Questa domanda se la rimpallano tutti, è addirittura diventata una domanda da bar, perfino tra persone che di solito non si occupano di politica e discutono semmai, ai bar dello sport, sulla formazione delle squadre e di Totti o di Cassano. Segno che qualche cosa di nuovo è accaduto, qualche cosa che è fuoriuscita dalla bolla del politichese ed ha raggiunto l'uomo comune, cioè la pancia del Paese.

A conferma di quanto scrivo ci sono i più recenti sondaggi sugli umori del "popolo sovrano": il livello delle astensioni, quelli che non hanno alcuna intenzione di votare, oscilla tra il 15 e il 20 per cento come è sempre stato. Aumenta invece il numero degli indecisi che viaggia al di sopra del 30 per cento. Gli indecisi sono appunto quelli che ti chiedono: "E adesso che succede?".

La domanda viene da sinistra, dal centro, da destra. Soprattutto da destra, dove è sempre più diffusa la sensazione che il ciclo berlusconiano sia concluso. È un ciclo che dura da almeno 25 anni, perciò è sbagliato pensare che sia cominciato nel '94, con il primo governo del Cavaliere. È cominciato molto prima, quando ebbe inizio l'ascesa televisiva della Fininvest e l'incubazione del berlusconismo nelle vene della nazione. Naturalmente anche altri fatti concorsero a cambiare radicalmente il profilo antropologico degli italiani: il ristagno dell'economia, la caduta della competitività nell'industria pubblica e privata, la corruzione diventata sistema di governo, il crescente distacco tra Nord e Sud, l'implosione del comunismo e la caduta del Muro di Berlino.

In una società frastornata da questi traumi e dai conseguenti disagi, il berlusconismo arrivò con un'irruenza imprevista guidando quella mutazione antropologica che ha assunto le dimensioni d'una vera e propria metamorfosi. Scomparvero le classi tradizionali, crollò il modello Iri, la grande industria si ridusse a pochissime nicchie senza più forza propulsiva, aumentarono le diseguaglianze. Tra i ricchissimi e i poveri si frappose un ceto medio gelatinoso con una tendenza all'impoverimento, dominato dalla paura di retrocedere e bisognoso di appoggiarsi alla speranza del miracolo e a qualcuno che su quella speranza costruisse il suo mito. Appoggiati cioè alla favola che ogni sera veniva messa in onda sugli schermi della televisione.

Quel ciclo è finito lasciando un paese pieno di guai materiali e di rovine morali, al punto che la parola "morale" è ormai oggetto di lazzi e sberleffi. Ogni discorso pubblico, da qualunque parte provenga, comincia sempre con la frase: "Non farò del moralismo", o con l'insulto: "Sei un moralista". Se si vuole una misura del degrado, sta tutta nell'impronunciabilità di quella parola. E adesso che succede?

* * *

Il cambiamento morale, culturale ed economico passa - piaccia o non piaccia - per l'imbuto della politica e si svolge intorno a due nomi, al massimo tre: Berlusconi, Fini, Bossi. Sullo sfondo naturalmente c'è tutta l'opposizione da Casini fino a Di Pietro. Senza l'opposizione nulla si potrà fare ma il suo comportamento è obbligato. Vendola per il momento sta fuori dal perimetro della partita, come pure i vari Chiamparino e Renzi. Entreranno semmai in campo quando si andrà a votare perché nell'agone parlamentare, dove per ora la partita si svolge, loro non ci sono.

Berlusconi è finito, la coscienza nazionale che si sta lentamente risvegliando gli ha già notificato il cartellino giallo, ma il rosso dell'espulsione immediata ancora no; quindi è ancora in campo e giocherà molto duro proprio perché è consapevole che sarà fuori nei prossimi match.

Se volessimo adottare a mo' d'esempio il gioco degli scacchi, direi che lui è il re che lotta per evitare lo scacco matto, Fini è la regina avversaria che può muovere in molte direzioni, Bossi gioca con una torre in difesa del re. Alfieri e cavalli distribuiteli come vi pare tra gli altri comprimari della partita, tenendo presente che molti di quei pezzi sono stati eliminati dalla scacchiera.

Berlusconi tenta di riagganciare Fini proponendogli un patto di legislatura. Se Fini accettasse, Casini dovrebbe seguirlo perché da solo al centro non ha prospettive. Ma io credo che Fini non accetterà e la ragione è semplice: se rientrasse nell'alleanza lascerebbe al suo avversario due anni di tempo, spunterebbero altri delfini e soprattutto, con questa legge elettorale, nel 2013 Berlusconi potrebbe ancora sperare di scalare il Quirinale. Allora il cartellino rosso non verrebbe mai più.

Fini parlerà oggi a Perugia. Per quello che penso io, e per ciò che abbiamo appreso ieri dalle parole durissime di Italo Bocchino, direi che tra lui e il presidente del Consiglio non c'è più terreno comune. Il nuovo partito finiano voterà i provvedimenti che riterrà utili al Paese e voterà contro per quelli che riterrà dannosi e quando venisse posto il problema della fiducia i finiani decideranno sul merito del provvedimento e non della fiducia. Questo io penso che Fini debba fare e credo che lo farà. Ma potrebbe anche cedere alle lusinghe e alla pressione di quelli dei suoi che non vogliono rompere. Se questo dovesse avvenire, Fini entrerà in un tritacarne e nel 2013 ne uscirà ridotto a una polpetta.

Bossi. Poiché gioca con una torre, può andare soltanto in verticale o in orizzontale sulla scacchiera. Tradotto in termini politici: può sopportare a tempo indefinito che Fini faccia cuocere Berlusconi a fuoco lento e insieme con lui anche la Lega oppure può esser lui a staccare la spina tra gennaio e febbraio. La mia sensazione è che staccherà la spina o obbligherà Berlusconi a farlo. A quel punto (cioè tra tre mesi) che succede?

* * *

A quel punto il gioco si sposta nella mani del presidente della Repubblica che ha un diritto-dovere: prima di sciogliere le Camere deve verificare se esista una maggioranza alternativa.
Si può star certi che Napolitano quella verifica la farà, crollasse il mondo. Ma esiste una maggioranza alternativa? C'è sicuramente alla Camera se Fini è pronto a dar vita insieme a Casini ad un governo che comprenda ovviamente anche il Pd e l'Italia dei valori. Al Senato questo schieramento non raggiunge la maggioranza ma è più che probabile che parecchi senatori del Pdl passino al centro di Fini-Casini. Questo sarà il punto più difficile della verifica di Napolitano. Molto dipenderà da chi sarà la persona incaricata di sondare i vari gruppi e gruppetti di Palazzo Madama. L'altra volta il sondaggio lo fece Marini e rispose negativamente, la maggioranza alternativa non c'era. Questa volta l'incaricato della verifica dovrebbe essere una personalità del centrodestra che riscuota anche la fiducia di Fini-Casini e dell'opposizione di sinistra affinché il Quirinale e le parti in causa siano sicuri dell'obiettività della verifica.

Se la risposta sarà negativa Napolitano dovrà sciogliere le Camere, se sarà positiva si farà il nuovo governo con il centro e la sinistra.
Domenica scorsa scrissi che il presidente di questo governo avrebbe dovuto essere una personalità al di sopra delle parti e dotata del massimo di autorevolezza e lo chiamai "Mister X".
Ma potrebbe anche essere una personalità di centrodestra autorevole e accettata da tutti. Noi possiamo fare previsioni ma ad un certo punto dobbiamo fermarci quando entrano in gioco le prerogative del Capo dello Stato e qui siamo arrivati a quel punto e infatti ci fermiamo.

* * *

Possiamo però ipotizzare che quel nuovo governo si faccia e la legislatura non venga sciolta. Per quanto tempo? Con quale programma? Walter Veltroni, nella sua intervista a "Repubblica" di qualche giorno fa, ha ricordato il governo Ciampi quando in piena Tangentopoli il presidente Oscar Luigi Scalfaro incaricò il Governatore della Banca d'Italia di guidare la legislatura fuori dalle secche morali e politiche nelle quali era incappata.

Il ricordo è pertinente, l'emergenza che stiamo attraversando è anche maggiore di quella di allora per la semplice ragione che allora al governo c'era una uomo di notevoli capacità, Giuliano Amato, il quale fu il primo a indicare Ciampi al Capo dello Stato. Oggi a Palazzo Chigi c'è un populista di pessimo conio che per di più da qualche tempo sembra anche piuttosto frastornato di testa. L'ultima uscita sugli omosessuali, se si pensa ai casi specifici, lo dimostra con evidenza.

Un Ciampi è molto difficile trovarlo ma non impossibile. Oppure, come s'è detto, un personaggio del centrodestra che dia garanzie a tutti. È evidente che il Presidente della Repubblica ha l'interesse, anzi l'obbligo costituzionale di fare un governo senza limiti di tempo. L'ipotesi di un Ministero di cento giorni è fuori dal quadro. Quindi il programma. Non può che essere una nuova legge elettorale, un federalismo che rafforzi e non indebolisca l'unità nazionale, una gestione intelligentemente rigorosa della pubblica finanza, una nuova struttura del welfare che tuteli tutti i lavoratori e i giovani e le famiglie in particolare.

Poi, quando si andrà alle elezioni politiche, avremo un centrodestra repubblicano e costituzionale il quale si opporrà ad un centrosinistra riformatore. Il primo batterà sul binomio libertà-eguaglianza e il secondo sul binomio eguaglianza-libertà. La fraternità va bene per tutti e due. Mi direte che questi sono sogni. Rispondo anzitutto che un po' di sogno ci vuole.
E poi rispondo che una nazione è sempre lo specchio della sua classe dirigente. Se il presidente del Consiglio e i ministri si comportano sulla base d'una visione etico-politica del bene comune, anche la nazione non considererà più la morale come una parolaccia.

Post scriptum. Molti lettori mi chiedono che cosa penso di Lupi e di Ghedini che molti di loro hanno visto nei vari salotti televisivi. Che cosa penso di loro e del racconto che fanno di quanto avviene. Io penso così: Ghedini è l'avvocato del presidente del Consiglio, Lupi è un esponente di primo piano del Pdl ed in più è anche un militante cattolico della cattolicissima Comunione e Liberazione.

Ghedini è diventato patetico nelle sue performance televisive. Ripete costantemente: "Non è vero" anche quando gli leggono un verbale firmato dal questore o da un magistrato inquirente. Sull'aspetto morale delle azioni del suo cliente si limita a dire: "Non è reato". Del resto è lui l'inventore dell'"utilizzatore finale" una frase che da anni è entrata nel gergo comune.

Il caso di Lupi è più complesso per via della sua militanza cattolica e della sua fede che lui dichiara (e noi gli crediamo) intensa e attuata nella pratica della sua vita.
La sua narrazione dei fatti non differisce da quella di Ghedini e fin qui problema loro, anche se contrasta vistosamente con la realtà documentata. Ma ad un cattolico è lecito chiedere anche un giudizio morale. Ebbene, Lupi si rifiuta di darlo. Pubblicamente. Sostiene che il problema non è quello. Il problema non è morale ma di efficienza e lui sostiene che l'efficienza (di Berlusconi) c'è e questo basta perché la morale non ha ingresso nella politica.

Questo non lo diceva neppure Machiavelli che da buon fiorentino era un anti-papista per eccellenza. Non lo diceva neppure il cardinale Mazarino. Lupi invece lo dice: l'efficienza per lui cattolico fa premio sulla morale. Mi pare il massimo. In realtà sia Lupi sia Ghedini sanno che quando Berlusconi uscirà di scena anche loro usciranno è dunque in gioco la loro sopravvivenza come uomini di potere. Perciò sono pronti a dire che l'asino vola e che Berlusconi riceve le "escort" perché ha buon cuore. La sopravvivenza è la sopravvivenza. La morale l'hanno smarrita da tempo, ma io ho scritto qualche anno fa un libro intitolato "Alla ricerca della morale perduta" perciò li perdono sperando che la ritrovino.

(07 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #246 inserito:: Novembre 12, 2010, 04:43:27 pm »

Scalfari tra ricordi e umorismo

“Berlusconi? Nome troppo lungo”

Primo incontro all’Università per il fondatore di Repubblica. “De Benedetti più a sinistra di me e di Ezio Mauro, dobbiamo moderarlo” ha detto il grande giornalista che poi ha annunciato: “Sto scrivendo un libro sulla malinconia”.

Incontro sulla Costituzione con 300 docenti universitari

di MARCO SEVERO



Il primo applauso, già nell’aria, arriva poco dopo le 11: “I cognomi lunghi si rivelarono una sciagura per il formato ridotto di Repubblica, Berlusconi per esempio divenne una maledizione”. Boato. Esordisce sul filo dell’ironia Eugenio Scalfari, “fondatore di una delle principali testate italiane” come lo definisce subito uno speaker. Alle 10.30, mezz’ora prima del suo arrivo, l’aula dei Filosofi in via dell’Università è piena. Studenti, professori, cittadini restano in piedi ad ascoltarlo. Alla parola Berlusconi non si tengono, anche i moderatori sorridono.

Dopo 35 anni Scalfari torna a Parma per una due giorni nella “capitale vera e compiaciuta”, come definisce la città in un’intervista a parma.repubblica.it (LEGGI). In attesa dell’incontro di giovedì, 11 novembre alle 17.30 all’Università in diretta video sul nostro sito, il fondatore del gruppo Espresso accetta così l’invito dell’editrice Mup per la rassegna Inchiostri d’autore. L’appuntamento è dedicato agli universitari, ma nell’aula dei Filofosi è ampia la forbice generazionale. Ventenni e sessantenni si metteranno in coda, alla fine, per l’autografo. Quattro i moderatori di Scalfari: il direttore della Gazzetta di Parma Giuliano Molossi, il direttore Mup Maurizio Dodi insieme a Franco Mosconi e all’assessore Lorenzo Lasagna. Più lo speaker iniziale. La traccia della conversazione è l’ultimo romanzo del giornalista, ‘Per l’alto mare aperto’. Il fondatore “di una delle principali testate” è però difficile da ingabbiare in uno schema. Lo intuisce bene Molossi, che parte con una domanda presto scavalcata: “Lei è nato nel 1924 – dice il direttore della Gazzetta – quali sono i suoi ricordi giovanili?”.

Solo un’ora dopo Scalfari risponderà. “Le avevo chiesto dei ricordi” farà notare Molossi. E l’intervistato: “Ah”. Quindi ecco l’aneddotto più esilarante, tragico ma narrato con naturale umorismo: “Il vice segretario del Partito fascista Scorza, un picchiatore lucchese, mi sollevò per i bavero – riferisce l’intervistato - e mi espulse dai Guf guastandomi la mia bella divisa e le mostrine azzurre sulle spalle, che tanto piacevano alle ragazze”. Sul giornale dei giovani mussolinani il futuro padre di Repubblica aveva criticato l’ortodossia del partito. “Questo Scorza mi prese allora per il collo e poi mi rimise per terra”. Tre giorni dopo la rivincita: “Insieme ad alcuni amici fondammo un’associazione clandestina, un gruppo antifascista”. Applauso.

E’ in realtà un’altalena tra memoria e riflessione il discorso di Scalfari. Il pendolo della sua oratoria è preciso, non sgarra. Anche quando pare svariare, come col racconto “del mio gatto che dorme sulla pancia del cane”, Scalfari fa ordine nelle cose. Ogni tassello trova la sua collocazione: “Scusate, ho 87 anni e a volte perdo il filo” si schernisce e intanto dà la notizia: “Sto scrivendo un nuovo libro – annuncia – parlerà della malinconia”. Battimano. E poi ancora entusiasmo quando ricorda la differenza tra la filosofia di Repubblica e quella del Corriere della Sera: “Noi partimmo dal presupposto che l’obiettività non esiste, il Corriere invece sostiene d’essere al di sopra delle parti. Ma quando De Bortoli dice che i commenti sono altra cosa rispetto ai fatti dice una baggianata”. Idem su Sergio Romano: “L’altro giorno ho letto un suo articolo, nel quale si sosteneva che le ultime vicende rischiano di oscurare il bene fatto da Berlusconi. Stavo pensando di rispondere con un mio articolo – sorride Scalfari - per dire che Romano non capisce niente”.

Il finale è per Carlo De Benedetti, editore del gruppo Espresso: “Lui è molto più a sinistra di me e di Ezio Mauro – spiega Scalfari – al punto che spesso dobbiamo moderarlo”. Così sulla tassazione patrimoniale: “De Benedetti sostiene che occorra un’aliquota sulle ricchezze e che nell’attuale difficile congiuntura economica il Governo non abbia messo le mani nel portafogli dei più benestanti, mentre lui contribuirebbe di buon grado ad accrescere il reddito dei più poveri. A un editore così – conlcude – gli prepari la brandina ai piedi del letto e te lo porti in casa”. Poi via, dopo gli autografi, per una Marlboro in strada aspettando il taxi.

(10 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #247 inserito:: Novembre 19, 2010, 09:42:48 am »

L'opinione

Ma che fa l'uomo del fare?

di Eugenio Scalfari

Silvio dice di lavorare dalle 7 della mattina alle due di notte (poi si svaga...). Ma si occupa solo dei problemi suoi e delle sue aziende e di tenere compatta la cricca degli amici

(19 novembre 2010)

Silvio Berlusconi e Umberto Bossi Silvio Berlusconi e Umberto BossiIl ribaltone non si può fare. Se una delle Camere vota una mozione di sfiducia venga sciolta e l'altra se invece voterà in favore del governo resti in carica. Un governo diverso dall'attuale che porti avanti la legislatura sarebbe un tradimento. Tali questioni sono comunque astruse, la gente non le capisce e dietro a esse c'è un gioco di palazzo per far fuori Berlusconi senza andare alla via maestra che è quella delle elezioni".
Queste affermazioni non le fanno soltanto il Presidente del Consiglio e i suoi ministri attaccati al potere come l'ostrica allo scoglio, ma le scrivono anche giornali e giornalisti cosiddetti imparziali e cosiddetti al di sopra delle parti. Sono questioni alle quali la gente (ma meglio sarebbe dire il popolo sovrano) non si appassiona, sono effettivamente astruse e di tecnica costituzionale.

La gente vorrebbe che si parlasse di altro e cioè di quelli che vengono definiti i veri problemi del paese: la disoccupazione, il costo della vita, il precariato, l'avvenire dei giovani, i consumi, le imprese in difficoltà, le tasse che aumentano invece di diminuire. Debbo dire: la gente ha perfettamente ragione ma non mi sembra che dei problemi che più le stanno a cuore non si parli. Se ne parla, eccome. Se ne parla tutti i giorni sui giornali, nelle trasmissioni televisive (quelle non asservite al potere), ne parla di continuo l'opposizione. Ma è anche vero (e questo molti tendono a dimenticarlo) che se questi problemi sono tuttora drammaticamente aperti la responsabilità incombe sul governo che nulla ha fatto per affrontarli e risolverli.
Il problema del governo è dunque preliminare rispetto agli altri. La macchina propagandistica guidata da Berlusconi lo definisce (e lui così si autodefinisce) "l'uomo del fare". Lavora dalle sette della mattina alle due di notte. Qualche volta sente il bisogno di rilassarsi (è lui che lo dice) e invita a cena una camionata di belle ragazze, racconta barzellette, ci fa un paio di balli e le rimanda a casa con qualche regalino di cortesia.

Bene. Lui lo dice e noi gli crediamo, sebbene qualche prova del contrario non manchi. Noi gli crediamo ma, domando io: che lavoro fa dalle sette del mattino alle due di notte se quei famosi problemi che interessano la gente sono ancora tutti lì, aperti, irrisolti e semmai aggravati?

Nel 1994 - ve lo ricordate? - fece un contratto con gli italiani. Nel salotto televisivo di Bruno Vespa, che aveva fornito scrivania, lavagna e gesso affinché il contratto fosse stipulato sotto gli occhi di milioni di spettatori, Berlusconi fece appunto l'elenco di quei problemi e soprattuto l'elenco delle opere pubbliche necessarie per modernizzare il paese. Poi aggiunse: se questo contratto non sarà adempiuto io darò le dimissioni, lo giuro sui miei figli.
Governò per pochi mesi perché la Lega fece un gigantesco ribaltone (adesso ha cambiato idea ma allora lo fece). Nel 2001 tornò al potere con una formidabile maggioranza e governò per cinque anni. Poi fu per la seconda volta battuto da Prodi, ma tornò di nuovo in sella nel 2008 e governa da due anni e mezzo. Però quei famosi problemi sono ancora tutti lì. Come mai? Sicché ripeto la domanda: che lavoro fa il nostro beneamato capo del governo dalle sette della mattina alle due della notte?

Io credo di sapere che cosa fa (barzellette e cene rilassanti a parte). Si occupa dei suoi problemi personali e di quelli delle sue aziende e si occupa di blindare il suo potere ed anzi rafforzarlo in tutti i campi, da quello della sua influenza sulle banche, sul sistema finanziario ma soprattuto sui "media" con speciale attenzione alla televisione. Deve inoltre tener compatta la cricca dei suoi più stretti amici, cosa nient'affatto semplice perché si tratta di voraci ed ambiziosissimi compagni di merende.
Quindi lavora molto. Naturalmente per sé. Per la gente e per i problemi della gente c'è poco spazio ma lui sa come tener la gente contenta, non ci vuole molto, gli italiani sono assai adattabili ed anche molto ingenui. Se trovano uno che ci sa fare gli vanno appresso. Se qualcuno scaltro di lingua gli propone di vendergli il Colosseo, la gente si lascia infinocchiare.

La gente imita chi la guida, vi ricordate Pinocchio alle prese con il gatto e la volpe? È un gran libro il Pinocchio di Collodi. È la metafora di una triste realtà. Il burattino di legno è la metafora della gente. Il gatto e la volpe sono la metafora del potere. Voi mi direte: i politici sono tutti eguali, non è solo Berlusconi ad infinocchiarci, i suoi avversari sono come lui. Personalmente non penso che siano come lui. Certo però come infinocchiatore e pifferaio lui è il più bravo di tutti perciò lui è il più pericoloso di tutti.

Secondo me è venuto il momento di mandarlo a casa. Lui ne ha venti di case. Come avrà fatto ad averne tante? Anche questa è una domanda che dovrebbe essergli fatta. La magistratura gliel'ha fatta molte volte ma lui non ha mai risposto perché - dalle sette della mattina alle due di notte - lavora anche per impedire che i processi a suo carico si svolgano e col passar del tempo cadano in prescrizione.

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« Risposta #248 inserito:: Novembre 21, 2010, 11:49:36 am »

L'EDITORIALE

L'insostenibile leggerezza della manovra di Tremonti

di EUGENIO SCALFARI

SE IL 14 dicembre ci sarà la crisi di governo e che cosa accadrà dopo è ancora terreno incognito, non lo sanno né Fini né Casini né Bersani né Veltroni né Vendola e non lo sanno neppure Berlusconi e Bossi. Un tempo si diceva che il futuro è sulle ginocchia di Giove e questa è appunto la situazione attuale, solo che non si sa chi sia Giove e ci sono anche forti dubbi sulla sua esistenza.

Ma in attesa che si sollevino le nebbie su quanto accadrà tra una ventina di giorni, parliamo di questioni più certe e più concrete che interessano da vicino quella moltitudine di italiani che debbono tutti i giorni guadagnarsi una vita decente e spesso non ci riescono. Parliamo delle risorse che non si trovano, del lavoro che scarseggia, dei salari e delle pensioni che scendono al di sotto dei livelli di sussistenza; parliamo delle tasse e del potere d'acquisto, delle diseguaglianze paurose, di giovani che a trent'anni cercano ancora un lavoro e anzi non lo cercano più. Parliamo della legge di stabilità finanziaria all'esame del Parlamento. Anzi cominciamo proprio di lì: la legge di stabilità 2011 che porta il sigillo di Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, anzi dittatore dell'Economia e possibile successore del Cavaliere.

* * *

Il presidente della Repubblica ha ottenuto, con l'accordo dei presidenti delle Camere, che le forze politiche si impegnino ad approvare la legge finanziaria entro il 10 dicembre rinviando al 13 l'esame della crisi
politica e al 14 la votazione delle mozioni di fiducia e sfiducia nei due rami del Parlamento. La stessa questione si era presentata sedici anni fa, nel novembre del 1994, all'epoca del primo governo Berlusconi messo in crisi dalla Lega e il presidente Oscar Luigi Scalfaro l'aveva risolta nello stesso modo. Sembra preistoria, ma i problemi erano i medesimi allora ed oggi. Che cosa ha spinto lo Scalfaro di allora e il Napolitano di oggi ad entrare a gamba tesa nella zona riservata al Parlamento e ai partiti? Non certo la bontà d'una legge, sul cui merito essi non hanno alcun titolo per intervenire, ma il fondato timore che una crisi di governo eccitasse la speculazione e provocasse una crisi finanziaria e valutaria di tale gravità da scardinare l'economia italiana la cui fragilità era evidente allora e lo è ancor di più oggi.

Sedici anni fa c'era ancora la lira, moneta debole e sballottata da continue svalutazioni; oggi c'è l'euro e da questo punto di vista la situazione è certamente migliore nonostante che anche l'euro ondeggi sull'ottovolante di una depressione mondiale che è la più grave dal 1929 ai giorni nostri. Ma la fragilità della nostra economia reale è nel frattempo aumentata: abbiamo perso competitività, siamo agli ultimi posti nella crescita, ai primi posti nell'evasione fiscale e nel debito pubblico, la domanda interna registra un diagramma piatto, la disoccupazione effettiva è arrivata all'11 per cento, quella giovanile al 20 con punte oltre il 30 nel Mezzogiorno. Una speculazione agguerrita potrebbe utilizzare una crisi di governo di difficile soluzione come un trampolino di lancio ideale per travolgere i titoli di Stato italiani e metterci nella condizione della Grecia, dell'Irlanda e del Portogallo.

Questa è stata la preoccupazione che ha travagliato il Capo dello Stato e lo ha indotto ad intervenire. Il suo intervento ha avuto successo, la crisi politica è stata rinviata di un mese, nel frattempo la legge Tremonti procede speditamente e senza intoppi. Ma c'è un risvolto negativo: la legge Tremonti è una cattiva soluzione della situazione finanziaria ed economica del paese. Anzi: non è affatto una soluzione. Non risolve nulla, semmai aggrava. Non elimina gli sprechi perché i tagli lineari abbassano indiscriminatamente le spese correnti e quelle destinate agli investimenti con effetti deflazionistici sull'intera situazione. Non migliora le prestazioni dei servizi pubblici, anzi le rende ancora più fatiscenti. Non rilancia le infrastrutture, anzi le deprime ulteriormente. Non stimola le imprese. Rinvia a tempo indefinito la riforma fiscale. Fa lievitare le imposte locali. Non aiuta la competitività e l'innovazione. Accresce le diseguaglianze. Mortifica la ricerca e la cultura.

Questa è la legge Tremonti. Il risvolto negativo della "moral suasion" del Capo dello Stato consiste nell'aver attenuato le critiche che questa pessima legge avrebbe meritato nella sede appropriata del dibattito parlamentare. Ha impedito, quella "moral suasion", che la speculazione si scatenasse e questo è un risultato prezioso; ma ha spianato la strada ad una politica economica che avrebbe dovuto mettere la crescita allo stesso livello di priorità dei saldi contabili ma non l'ha mai fatto da quando il ministro Tremonti guida il super ministero dell'Economia, cioè da quasi nove anni con il breve intervallo di due anni durante il travagliatissimo governo Prodi del 2006/2008.

* * *

Giulio Tremonti ha perfettamente ragione quando, a proposito della crisi irlandese, ha detto che l'Italia non è il problema ma è parte della soluzione del problema. Nel caso specifico le cose stanno così. Ha dimenticato però di dire che in altri casi l'Italia non è parte della soluzione del problema ma è il problema di cui l'Europa si deve far carico. Ne indico due di rilevantissime dimensioni. Il primo è quello della criminalità organizzata. Un aspetto riguarda l'ordine pubblico e non è di competenza del ministro dell'Economia, ma l'altro aspetto, di gran lunga più rilevante, lo riguarda invece direttamente e consiste nel riciclaggio dei fondi di origine mafiosa e nell'infiltrazione delle mafie nel tessuto economico nazionale ed europeo. Il contrasto dello Stato all'espandersi di questo fenomeno è stato finora debolissimo e inefficiente. Il secondo problema è il debito pubblico italiano che si è attestato al 118 per cento del Pil nel 2010 ed è previsto al 120 per cento nel 2011.

Il debito pubblico italiano fa parte integrante del debito pubblico dell'Unione europea, come tutti i debiti pubblici espressi in euro. La Germania e la Francia hanno fatto approvare in Commissione l'obbligo di rientro dei debiti eccedenti il 60 per cento del Pil entro due anni a partire dal 2012. Questa delibera della Commissione dovrà essere approvata dal Parlamento di Strasburgo. Potrà forse essere attenuata ma non di molto. Se fosse integralmente ratificata comporterebbe per noi una manovra nel 2012 di 45 miliardi solo per ottemperare a quell'obbligo e altrettanti per l'anno successivo. Se sarà attenuata dal Parlamento europeo potrebbe scendere a 30 miliardi, 60 nei due anni, ma non certo al di sotto. Credo di non dover spiegare che cosa rappresentino manovre di queste dimensioni per un paese già stremato da una stasi nella crescita che dura da vent'anni. In questi due casi specifici noi siamo il problema dell'Europa, ma il governo si è finora guardato bene dall'informarne il Parlamento e il paese.

Che il 14 dicembre ci sia la crisi del governo o non ci sia e che ad essa segua un governo alternativo o le elezioni è certamente importante. Resta però il fatto che - indipendentemente dalle vicende strettamente politiche - i due problemi sopraindicati pesano come macigni su tutti gli altri sopraelencati, quelli che riguardano le famiglie, i lavoratori, gli imprenditori, i consumatori, i giovani. Sarebbe necessario che l'opposizione sollevasse queste questioni di fondo e che il governo ne rispondesse al Parlamento e al paese. In fondo si tratta della nostra vita quotidiana. Vi sembra poco?

(21 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #249 inserito:: Novembre 28, 2010, 06:12:01 pm »

L'EDITORIALE

Un gruppo d'infiltrati a Palazzo Chigi

di EUGENIO SCALFARI

L'IDEA d'un complotto anti-italiano è stupefacente ma non è nuova.

Il più illustre predecessore fu Benito Mussolini che la lanciò nel 1935, all'epoca delle sanzioni che ci furono comminate dalla Società delle Nazioni per la nostra aggressione contro l'Abissinia. Motore del complotto era allora il blocco "demo-giudo-plutocratico" che secondo i fascisti dominava il mondo e voleva affondare l'Italia per impedirle di conquistare il "posto al sole" che ci spettava. Ma c'erano già stati altri precedenti altrettanto illustri: Vittorio Emanuele Orlando che aveva abbandonato il Congresso della pace di Versailles nel 1919 perché le potenze alleate non volevano riconoscerci l'Istria e, subito dopo, D'Annunzio a Fiume innalzando la bandiera della "vittoria tradita".

Tra le qualità e i vizi degli italiani uno dei tratti ricorrenti è quello del vittimismo. Silvio Berlusconi è un asso in materia.
Nel caso attuale mancano tuttavia del tutto gli appigli, sia pur pretestuosi, che giustifichino la tesi del complotto. Mettono insieme il crollo di Pompei, i rifiuti di Napoli, il processo alla Finmeccanica e le imminenti rivelazioni del sito WikiLeaks. Sembra il frutto d'un gruppo di matti che si sia infiltrato a Palazzo Chigi nella sala del Consiglio dei ministri o invece di una abilissima sceneggiata da usare per riguadagnare un consenso perduto e prepararsi alla campagna elettorale con un alibi che faccia presa appunto sul vittimismo nazionale.

Personalmente propendo per entrambe queste ipotesi: gli autori della sceneggiata sono abilissimi proprio perché sono matti, hanno perso il controllo delle proprie menti e affidano a comunicati ufficiali la loro impazzita creatività propagandistica.
Ma l'aspetto più stupefacente e inquietante non è che quel comunicato del governo sia scaturito dalla mente di Berlusconi e che il ministro degli Esteri, Franco Frattini, abbia accettato di farsene protagonista. L'aspetto stupefacente è che il comunicato sia stato diramato con la firma di Gianni Letta. Un uomo prudentissimo, consapevole del danno d'immagine e di sostanza che un documento di quel genere avrebbe causato al governo e al paese. Questo è veramente il segno che siamo alla frutta. In queste condizioni la permanenza di quel governo e di quel premier fa venire in mente la "nave dei folli" e costituisce il più preoccupante motivo d'insicurezza che pesa sul destino dell'Italia.

* * *

Il Presidente della Repubblica, sia venerdì sia di nuovo ieri, ha attirato l'attenzione delle forze politiche e della pubblica opinione sui pericoli che minacciano l'euro e la stessa Unione europea. La crisi irlandese non è affatto superata, si attende col fiato sospeso la riunione di domani dell'Ecofin e le reazioni dei mercati. La speculazione ha messo sotto tiro anche il Portogallo e la Spagna. I debiti sovrani di quei paesi sono sotto la lente delle agenzie di "rating" e così pure le banche di mezza Europa che hanno largamente investito in titoli spagnoli.

Il debito italiano parrebbe al sicuro e così pure il nostro sistema bancario, ma è comunque il debito più alto del mondo. Questa situazione giustifica ampiamente gli appelli al senso di responsabilità lanciati da Giorgio Napolitano.

Quegli appelli sono rivolti a tutte le forze politiche ma non indicano quale sia il percorso auspicabile da seguire né si può chiedere al Capo dello Stato di indicarlo. La più alta carica istituzionale non può gestire una crisi politica che s'incrocia con una crisi economica di questa fatta prima che essa sia stata formalmente aperta.

Conosciamo tuttavia i dati di fatto che possono guidare le decisioni di Napolitano quando sarà lui a doverle prendere.
Elenchiamoli quei dati di fatto.

1. Il 14 dicembre il Parlamento deciderà sulla fiducia al governo. Se le Camere voteranno in suo favore, Napolitano non avrà ragione di intervenire; si limiterà a vigilare stimolando il governo ad attuare una politica economica in sintonia con l'Europa e riforme equilibrate della giustizia e del federalismo.
Purtroppo non pare che quella della giustizia, che sarà presentata martedì prossimo al Consiglio dei ministri, abbia i requisiti di equilibrio che sarebbero necessari per riscuotere il consenso di un'ampia maggioranza. Il federalismo si trova purtroppo in analoghe condizioni.

2. Se il governo sarà sfiduciato anche in una sola Camera, Berlusconi dovrà dimettersi né il Capo dello Stato potrà rinviarlo in Parlamento per verificare quello che è già stato verificato. A quel punto il Quirinale dovrà accertare se esistono le condizioni per formare un nuovo governo.

3. L'appello alla gravità della situazione economica  -  se ha un senso e certamente ce l'ha  -  porta ad escludere che Napolitano sciolga le Camere se avrà la fondata speranza di poter insediare un nuovo governo capace di ottenere la fiducia del Parlamento.
La via delle elezioni significa nel caso migliore tre mesi di una barca con un timoniere azzoppato in un mare in tempesta; tre mesi di mercati sottoposti ad una speculazione micidiale.
Da questo punto di vista l'appello del Quirinale al senso di responsabilità sembra rivolto al fronte berlusconiano affinché accetti ed eventualmente appoggi il nuovo governo e al fronte opposto affinché si metta in grado di offrire una piattaforma il più possibile coesa.

4. Qualora il fronte delle opposizioni non sia in grado di esprimere una volontà all'altezza della situazione, si aprirebbe una subordinata: un governo di minoranza che si regga sull'astensione dei finiani e dei centristi ma abbia però al primo punto del programma la revisione sostanziale della legge elettorale oltre ovviamente ad una tenuta coerente della politica economica.

5. Se nessuna di queste ipotesi si verificasse e la sola via restasse quella dello scioglimento delle Camere, la nave Italia entrerebbe nella tempesta, che è appunto l'ipotesi che il Capo dello Stato, con ragione, teme di più. O almeno: così sembra a noi ragionando sui dati di fatto e sulla logica che ne consegue.

* * *

Ma quanto durerà la tempesta economica e con quali possibili sbocchi? Purtroppo durerà. Certamente per tutto il 2011, probabilmente ancora nel 2012 con effetti sperabilmente attenuati ma non ancora scomparsi nel 2013.
Almeno per quanto riguarda l'Italia il calendario è questo (ma il governo dava per tutto finito già nel 2009).
Queste previsioni poggiano purtroppo su un esame nient'affatto fantasioso ma realistico della nostra situazione economica. Siamo un paese a crescita zero da almeno dieci anni, con una disoccupazione media che, considerando anche la cassa integrazione in deroga, viaggia sopra al 10 per cento come media nazionale, con una media vicina al 20 nelle regioni meridionali.

La disoccupazione dei giovani nella media nazionale è al 20 per cento, nel Mezzogiorno al 30. Tra i giovani con lauree umanistiche e professionali il tasso nel Sud si colloca sul 50 e gli occupati di solito fanno i lavapiatti o i camerieri. Vivono a carico dei genitori e dei nonni, per cui la famiglia è diventata il principale ammortizzatore sociale esistente.

In questa situazione si colloca un debito pubblico che si trova al 118 per cento e raggiungerà il 120 l'anno prossimo con la prospettiva che l'Unione europea, sotto la spinta della Germania e della Francia, prescriva l'obbligo di rientrare entro il 2013 nel limite del 60 per cento rispetto al Pil.

Queste sono le dimensioni del problema che dovrà essere affrontato dall'Ecofin, dalla Commissione di Bruxelles e dalla Banca centrale europea entro il prossimo febbraio. Se fosse accettata la proposta della Commissione sul rientro del debito entro la soglia del 60 per cento, l'Italia dovrebbe compiere tra il 2011 e il 2013 una manovra complessiva che, per quanto riguarda il solo debito, ammonterebbe a 45 mila miliardi annui. Cifra stratosferica e sicuramente negoziabile. Ma di quanto negoziabile? La speranza è d'un rientro fino all'80 per cento del Pil o di una rateizzazione decennale. La previsione più probabile è quella di un accordo dell'ordine di 30 miliardi in tre anni o di 15 miliardi in dieci anni. Una parte di questa cifra può essere reperita dalla graduale diminuzione degli oneri che stiamo attualmente pagando sul debito. Il resto è un esborso netto che non può certo provenire da ulteriori aumenti del fabbisogno finanziario.

Tutto questo ragionamento significa che non ci sarà posto per provvedimenti di crescita perché, a legislazione vigente, mancano le risorse, la spesa corrente continua a crescere nonostante i tagli, le entrate diminuiscono a causa del rallentamento della produzione e dell'aumento dell'evasione.
Lo scenario è dunque quello di una deflazione allarmante. A meno che l'Unione europea non decida di far crescere l'inflazione per diminuire il peso reale dei debiti.

Sarebbe una via di fuga che scaricherebbe il peso dell'imposta-inflazione sui redditi fissi. Ma c'è da escludere che la Germania accetti una politica di questo genere che penalizzerebbe le esportazioni.
Dunque deflazione per almeno tre anni, a meno che....
A meno che non si faccia una riforma fiscale che tassi il patrimonio in favore dei redditi medio-bassi, dei consumi, del lavoro e delle imprese. Basta enumerare queste necessità per capire che non è certo un governo Berlusconi- Tremonti a poter effettuare scelte di questo tipo.

* * *

La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha fatto parlare di sé la scorsa settimana con la proposta di un federalismo a doppia velocità: subito nelle regioni più ricche a cominciare dalla Lombardia, dal Veneto e dal Piemonte, rinviandolo invece per le regioni povere. Questa proposta è stata lanciata in un'assemblea di industriali a Milano e ripetuta dalla Marcegaglia a Treviso e diffusa ampiamente dai giornali e dalle televisioni. Gli industriali delle zone interessate hanno applaudito con ovazioni da stadio il loro presidente.

Ebbene, a nostro avviso, si tratta d'una proposta totalmente sbagliata che avrebbe nefasti effetti politici, sociali ed economici.
Politici. Si statuisce di fatto una secessione lenta della Padania dal resto del paese provocando nel sud reazioni politiche e sociali di dimensioni non valutabili. Il Sud vedrebbe sancita la sua condizione di territorio assistito con fondi provenienti dallo Stato, cioè dai contribuenti di tutto il resto d'Italia: una regressione non tollerabile e fonte di reazioni molto accese.
Economici. La spaccatura in due del mercato con tutto quello di imprevedibile che ne consegue a cominciare da un sistema bancario sottoposto ad una torsione radicale nella raccolta dei depositi e nel loro impiego "territoriale".
Sociali. La fine d'ogni coesione e di ogni omogeneità contrattuale.
La stessa Marcegaglia ha successivamente tentato di limitare la sua proposta alla sburocratizzazione del Nord.

Proposta più accettabile che però può per essere effettuata senza bisogno di tirare in ballo il federalismo. Uno Stato federale non può che estendersi all'intero territorio nazionale. Federare solo le regioni ricche tra loro è una contraddizione in termini. Significa semplicemente affidare ad esse l'egemonia economica e politica degradando le regioni povere ad un rango coloniale. L'India fu decolonizzata dall'Inghilterra nel 1945. Degradare a rango di colonia l'Italia peninsulare da Firenze in giù nel 2010 significa camminare con i paraocchi come i cavalli.
 

(28 novembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #250 inserito:: Dicembre 05, 2010, 12:15:44 am »

Ma Silvio Mara o non Mara?

di Eugenio Scalfari

Il ministro Carfagna prima esce e poi rientra nei ranghi.

E chiude la vicenda così: "Il presidente Berlusconi ha sempre considerato moltissimo le donne"

(03 dicembre 2010)

Fisicamente è bella, testa sveglia e di buon consiglio. Il mestiere di ministro l'ha imparato rapidamente. Carattere forte, niente da dire. Berlusconi? Lo adora. Lei lo dice e non c'è ragione di non crederle. Vuole bene anche a Bocchino, ma non andrebbe mai con Fini. Invece con La Russa ci sta. Perché? Perché sì, La Russa ha il suo che, Verdini invece no. Letta è un vice-padre. Gentiluomo vaticano. I fatti sono fatti. La lunga rottura tra Silvio e Veronica cominciò proprio da Mara, ricordate? Roba di tre anni fa ma sembra un secolo. Una sera, in un locale dove venivano distribuiti premi, Berlusconi faceva la ruota in un crocchio di belle ragazze e aveva per ognuna una frase gentile, un'adulazione garbata. Ma con Mara disse di più. Disse: "Se non fossi già sposato me la sposerei". Una battuta, ma talmente insolita per uno come lui che Veronica aggrottò la fronte quando le fu riferita. E poco dopo sparò la famosa lettera contro le Veline.

Tutto cominciò da Mara, dicono infatti i cultori del genere, gli esperti in velinologia. Non è esattamente così, ma certo quella di Mara fu la goccia che fece traboccare il vaso di Veronica. Silvio l'ha amata, Veronica? Anche qui bisogna ricorrere agli esperti e il responso è questo: Silvio, come tutti i libertini, ama l'amore, ama le donne come genere, non conosce l'amore romantico che si fissa su una persona o almeno su una tipologia. Chi ama l'amore trascorre rapidamente da una all'altra, non ha un tipo preferito: bruna o bionda, piccola o di alta statura, timida o sfacciata, novizia o "escort" e "in Ispania son già milletré, la passion predominante è la giovin principiante". Noemi Letizia non ha niente in comune con Ruby e nessuna di loro con Veronica, ma bisogna dire che con Veronica la passione ci fu e durò per anni, da metà degli Ottanta ai primi Novanta, con tanto di figli e di matrimonio post-divorzio.
Poi le cose cambiarono e lui si ammalò. Così scrisse Veronica e c'è da crederle. Quel tipo di male ha una lunga incubazione, poi scoppia tra i sessanta e i settant'anni e allora sono guai. Mara però brilla di suo. Fa bene perfino il ministro, ma non è la sola. Gelmini è alle prese con un ministero molto più impegnativo, con portafoglio. Mara invece no, il portafoglio non ce l'ha. Prestigiacomo invece sì, Brambilla no, Santanché nemmeno. Finora. Mussolini niente. Forse per questo è arrabbiata, costretta a baciare sulla bocca Cosentino. Bacio secco oppure umido? Se ne discute nei palazzi, chi ha stomaco forte. Comunque.

Carfagna ad un certo momento rompe. Sui rifiuti di Napoli. Nel momento peggiore della crisi del berlusconismo.

Quando basta un peso da un milligrammo per far pendere la bilancia da una parte o dall'altra e Mara, ancorché molto smilza, una cinquantina di chili li pesa tutti. E poi gli argomenti: la legalità, gli appalti, una regione e una città sfigurate, mamme urlanti, bambini con la mascherina su naso e bocca, fiamme puzzolenti, liquidi tossici, la denuncia televisiva di Roberto Saviano, l'Italia perbene e Bella ciao. A quel punto arriva Carfagna. Come Luisa Sanfelice? Come Eleonora Fonseca Pimentel? I Giacobini del Novantanove? Una rottura, e con quale dignità! Voterà la fiducia a Berlusconi il 14 dicembre ma contemporaneamente annuncia che si dimetterà dal governo, dal partito e dal Parlamento per ragioni di coerenza e di dignità. A meno che il presidente del Consiglio non cambi amicizie politiche in Campania. Niente più Cosentino, tutto il potere al presidente della Regione, Caldoro. Un piano serio per l'eliminazione dei rifiuti. Lei comunque non seguirà l'amico Bocchino, farà politica con Micciché nel neo-partito del Sud.

Con Micciché? Bisogna ricorrere di nuovo agli esperti che a quel nome storcono il naso. Uscire dal Pdl per andare con Micciché sa già di mezzo passo indietro perché Micciché non è mai uscito dal berlusconismo. Gioca la sua parte in commedia ed è tuttora - salvo errore - sottosegretario. Si prepara una candidatura Carfagna a sindaco di Napoli, intestata a Micciché ma accettata da Berlusconi? Il Capo smentisce, Carfagna pure.

Incontra La Russa e poi Letta. Esce il decreto: Caldoro sarà commissario ai rifiuti e agli appalti. Mara ha ottenuto quel che voleva.

L'ultimo incontro con Silvio e tutto va a posto. Ma il Quirinale si accorge d'un particolare che Carfagna, nella fretta di rientrare nei ranghi, non aveva visto: Caldoro deciderà gli appalti insieme a Cosentino e ai suoi uomini insediati nelle province di Napoli e di Salerno.
Il Quirinale rinvia il decreto e chiede modifiche. Le ottiene. Carfagna era già nei ranghi da tre giorni.

Il resto è tutto da vedere. Brambilla e Santanché - dicono gli esperti - non sono contente di questo finale. Gelmini ha altro cui pensare e poi - dicono gli esperti - le due sono grandissime amiche. Prestigiacomo? Mezza fuori e mezza dentro, con i tempi che corrono una situazione ideale. L'ultima frase di Mara a chiusura della vicenda: "Il presidente Berlusconi ha sempre considerato moltissimo le donne".

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« Risposta #251 inserito:: Dicembre 05, 2010, 11:42:25 am »

IL COMMENTO

Le esequie scomposte di un potere defunto

di EUGENIO SCALFARI


IL MIO tema di oggi è la crisi economica e finanziaria in Europa e in Italia e le sue ripercussioni sulla nostra crisi politica. Ma prima...
C'è sempre un "ma prima" di cui ci si deve occupare in questo Paese, perché siamo diventati un Paese imprevedibile e ogni giorno che passa lo diventiamo di più. I problemi di fondo sono sempre quelli perché nessuno si è dato la pena di risolverli, ma le increspature di superficie si sono ormai trasformate in ondate di tali dimensioni da aggiungere peso a peso rendendo l'orizzonte sempre più fosco ed incerto.

Perciò ecco il "ma prima" di oggi: il partito di Berlusconi se ne frega delle prerogative del Quirinale. L'aveva già detto e ripetuto il "boss" in varie occasioni in modo esplicito, ai tempi del caso Englaro e ai tempi del lodo Alfano; ma il "me ne frego" di marca fascista e squadrista non era ancora stato usato. Adesso anche quel tabù è stato infranto da Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, pluri-inquisito per reati comuni di associazione per delinquere, riciclaggio, falso in bilancio e bancarotta. Un elenco che basterebbe ad imporre le sue dimissioni da ogni incarico politico, ma il "boss" è con lui e tanto basta.

Verdini ha fatto le sue scuse al Capo dello Stato con questa spiegazione: il suo "me ne frego" era politico e non istituzionale. Una canzone che cantavano i fascisti di Salò diceva: "Ce ne freghiamo noi della galera". Verdini probabilmente
se ne frega della galera politicamente, ma istituzionalmente no. Ammirabile sottigliezza.

Mettiamo insieme questo rigurgito squadrista con i fondati sospetti di profitti privati che il "premier" avrebbe ricevuto dal suo sodale Putin piegando l'Eni a patti scellerati con Gazprom, con le intemperanze sessuali che lo rendono incapace di guidare un Paese nella tempesta d'una crisi di inconsueta vastità e durata e con lo sfaldamento in atto di quel che rimane della sua maggioranza ed avremo un cocktail esplosivo. "Nave senza nocchiero in gran tempesta" scriveva il poeta ed aggiungeva "non donna di province ma bordello". Chi potrebbe dir meglio?

In questi frangenti Gianni Letta continua a tentare improbabili mediazioni. Casini dal canto suo rilancia il nome di Letta come possibile ed accettabile successore del "boss" a palazzo Chigi. Si tratta d'una proposta provocatoria perché Berlusconi non prevede in nessun caso successori a se stesso e men che meno Letta che disse all'attuale ambasciatore americano a Roma che Berlusconi era ammalato e in condizioni fisiche che non gli consentivano di governare. Letta ha smentito ma l'ambasciatore Thorne no perché il dispaccio che riferisce queste confidenze è firmato da lui.

Le ultime notizie di provenienza berlusconiana ci informano che il premier si aggrappa ora alle agenzie di rating che - - secondo lui - abbasserebbero le loro valutazioni del nostro debito pubblico nel caso che il governo fosse messo in crisi. La verità è che la persona più inadatta a padroneggiare la crisi è proprio lui, come si vede da quando la crisi è nata e il governo ha negato perfino che esistesse. Chi sostiene che i veri problemi sono altri dice cosa giusta ma dimentica di aggiungere che l'allontanamento di Berlusconi è un preliminare in mancanza del quale i problemi veri non potranno mai essere risolti, come dieci anni di governo ampiamente dimostrano.

* * *

La crisi economica dell'Europa è semplice da spiegare ma difficile da curare: per cominciare vorrei fare chiarezza su un punto: le oscillazioni dell'euro nei confronti del dollaro non sono una causa di quanto avviene né sono l'obiettivo della speculazione. Quando l'euro fu creato dieci anni fa la sua parità fu fissata a 1,17 dollari per euro. Dopo poco scese sotto la parità arrivando a 78 centesimi di dollaro. Poi risalì e ridiscese varie volte. Appena sei mesi fa rimase per qualche settimana a 1,22, poi risalì fino a 1,50, adesso oscilla intorno a 1,30 ma nessuna di queste oscillazioni ha creato panico e contromisure. Il basso livello del cambio, semmai, incoraggia le esportazioni delle merci e servizi di tutta la zona euro verso l'area del dollaro. In particolare per il nostro turismo il cambio basso è una manna.
La speculazione dunque non ha il cambio dell'euro come obiettivo. Il vero obiettivo è il debito sovrano degli Stati periferici dell'eurozona, Grecia, Irlanda, Portogallo, anche Belgio. Forse Spagna e forse anche Italia, qualora le regole europee sul rientro del debito entro il livello del 60 per cento rispetto al Pil sarà severamente rigido come la Germania vorrebbe.

Quindi al centro della speculazione c'è il problema dei debiti sovrani. Nei giorni scorsi la Banca centrale europea è intervenuta sul mercato a sostegno dei Paesi più esposti agli attacchi.
Ci sono vari modi di attaccare i debiti sovrani. Un modo è di vendere titoli pubblici di quei Paesi per far crescere lo "spread" rispetto ai "bund" tedeschi. Un altro modo è quello di acquistare i "bund" tedeschi. Un altro ancora è di vendere i titoli delle principali banche del Paese attaccato.
Il fine della speculazione sta nel lucro che si ricava da queste oscillazioni. Vogliono anche, gli speculatori, attraverso queste destabilizzazioni far saltare l'intero sistema dell'euro? Non penso che l'obiettivo sia questo. La speculazione sa che le sarebbe contrapposta una difesa difficilmente superabile. La disarticolazione della struttura dell'euro potrebbe però esser frutto di errori compiuti dalle autorità europee, dalla loro incapacità di dar vita ad un governo europeo dotato di poteri economici incisivi, dalla tentazione della Germania di arroccarsi su un super-euro lasciando alla deriva chi non ce la fa a seguirla.

Questi errori sono possibili, alcuni sono già stati commessi e poi riparati. Perciò la vigilanza e l'iniziativa degli Stati membri per procedere nel modo giusto dovrebbe essere massima. La presenza di Berlusconi non è un elemento di sicurezza. Se fosse sostituito da Tremonti o da Mario Monti o da Mario Draghi, in Europa non ci sarebbe alcuna preoccupazione. Quanto ai personaggi soprannominati le loro visioni sono diverse e in qualche caso dissimili, ma tutti e tre hanno una solida esperienza in quelle delicatissime materie.
I mercati dal canto loro continuerebbero a registrare lo scontro tra speculatori e debiti sovrani e questo è quanto.

* * *

La Banca centrale europea, imitando su scala ridotta la Federal Reserve americana, ha acquistato nei giorni scorsi titoli di debiti sovrani in difficoltà con operazioni sul mercato aperto eseguite direttamente o tramite le banche centrali che fanno parte del sistema. Questi acquisti producono anche effetti collaterali oltre all'effetto principale di sostenere le banche sotto attacco e di far diminuire lo "spread" rispetto ai "bund" tedeschi.
Uno degli effetti collaterali è quello di fare aumentare la liquidità, ma la Bce - a differenza della Fed americana - non desidera aumentare la liquidità complessiva e quindi sterilizza l'aumento di liquidità stringendo altri canali. Per esempio vendendo titoli di debiti sovrani forti o valute conservate nelle sue riserve.
La verità è che la Fed sta adottando consapevolmente una politica inflazionistica sperando di far ripartire la ripresa economica e l'occupazione; il rientro del debito pubblico americano è rinviato a ripresa consolidata. Viceversa la Bce ha scelto una politica di deflazione morbida e per questa ragione non vuole che la liquidità complessiva del sistema europeo aumenti e sterilizza gli effetti della difesa dei debiti sovrani pericolanti.
Questo panorama è molto chiaro e funziona sul breve periodo. Ma non affronta i problemi che abbiamo davanti e che stanno arrivando al pettine tutti insieme.

Il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha fornito alcune cifre molto significative in una sua comunicazione alla Facoltà di Economia di Ancona il 5 novembre scorso. Quelle cifre unite a i suoi commenti gettano luce proprio sui problemi che dovranno essere affrontati da subito.

* * *

"Secondo le stime del Fondo monetario internazionale la quota dell'eurozona nel Pil mondiale era pari al 18 per cento nel 2000. Nel 2015 scenderà al 13 per cento. Nello stesso periodo la quota dei Paesi emergenti asiatici raddoppierà dal 15 al 29 per cento". Questi dati descrivono a sufficienza il mutamento radicale dello scenario mondiale. La nostra economia, aggiunge Draghi, ne ha risentito molto più di altre. "Essa manifesta un'incapacità a crescere con tassi sostenuti. L'ultima recessione ha fatto diminuire il Pil italiano di 7 punti".
Sette punti, tanto per esser chiari, equivalgono a 120 miliardi di euro. "La crescita del prodotto per abitante in Italia si va riducendo da tre decenni. Siamo passati da un aumento annuo del 3,4 per cento negli anni Settanta a 2,5 negli anni Ottanta e all'1,4 negli anni Novanta. Nell'ultimo decennio 2000-2010 la crescita è stata zero".
Queste cifre riguardano i flussi di reddito, ma se spostiamo l'analisi dal reddito alla ricchezza patrimoniale, cioè al risparmio accumulato e investito in vari modi, la situazione appare capovolta. Scrive Draghi: "Secondo i dati dell'Ocse nel 2007, prima della recessione globale, l'Italia presentava pro capite il Pil più basso tra i Paesi del G7, pari al 69 per cento di quello degli Usa, ma la ricchezza pro capite delle famiglie italiane era l'88 per cento di quella delle famiglie americane e un valore superiore a quella della Francia, Germania, Giappone e Canada".

Il suggerimento implicito di queste cifre ci porta ad una conclusione da noi più volte suggerita ma mai adottata: i mezzi per stimolare la crescita esistono solo che si voglia trasformare una quota delle imposte sui redditi medio-bassi al patrimonio delle categorie sociali medio-alte.

La redistribuzione vista come fonte di maggior domanda e quindi di crescita del sistema-paese.
Per finire, Draghi propone l'istituzione di un fondo sovrano tra i Paesi dell'euro, che si alimenti con un'imposta sulle transazioni finanziarie e consenta di far rientrare i debiti entro il livello desiderato del 60 per cento. Analoghe proposte sono state formulate nei mesi scorsi da Vincenzo Visco e Mario Monti.
Vi sembra che il governo Berlusconi abbia la voglia, la fantasia e la volontà di adottare politiche economiche come quelle sopra indicate? Vi pare che Verdini, Matteoli, La Russa, Scajola, Romani, Alfano, siano in grado di pensarle? Forse Santanché, Brambilla, Gelmini? Magari Carfagna? O la Mussolini, detta la baciona per via del bacio dato a Cosentino.
Robe e nomi da coprirsi il viso per la vergogna.

Post scriptum. Ho letto ieri un articolo sul "Foglio" di Pietrangelo Buttafuoco, penna sottile e talento indipendente. Il titolo: "Meglio fottere che comandare". Buttafuoco dà una sua lettura - sboccata ma interessante - del berlusconismo. Lo cito perché non solo è acuto ma esilarante e qualche risata è pur necessaria per alleggerire la cupezza del clima.

"In quel grazioso palazzo, ossia Grazioli, le nubi delle accuse di corruzione, mafia, falso in bilancio, conflitto di interessi e perfino seduzione di minorenni, in un brevilineo come lui si diradano, anzi evaporano in virtù della sua euforia genitale. Al dottor Berlusconi piace la gnocca, solo la gnocca. Il dottor Berlusconi fa festini che sono il rimosso di tutti quelli che gli stanno intorno, compresi gli schiavi, i servi, i cortigiani e i ruffiani. Compresi poi gli italiani, perfettamente inutili da governare ma che alla fine hanno un preciso istinto per immedesimarsi con chi, sollevandoli dall'incombenza, copula in loro vece. L'italiano medio si immedesima col dottor Berlusconi in ragione del rimosso dei rimossi: ognuno, vincendo all'Enalotto, farebbe come fa lui nell'agio del suo smagliante patrimonio".
Secondo me questo è uno splendido "coccodrillo" di un potere defunto.

(05 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/politica/2010/12/05/news/le_esequie_scomposte_di_un_potere_defunto-9850384/?ref=HRER1-1
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« Risposta #252 inserito:: Dicembre 12, 2010, 04:28:26 pm »

L'EDITORIALE

Il governo galleggiante dei consensi comprati
Bossi ha la golden share del centrodestra e staccherà la spina se diminuirà il peso della Lega.

È vergognoso e inaccettabile che un uomo politico metta in vendita il consenso o provi ad acquistarlo

di EUGENIO SCALFARI


CI SONO alcuni fatti che tengono banco in questa giornata che precede di 72 ore la conta del 14 dicembre (se conta ci sarà).
Li enumero: il calcio-mercato e l'intervento della Procura di Roma che ha aperto un'inchiesta per reato di scambio di voti; la piazza di San Giovanni dove il Pd ha chiamato a raccolta i suoi militanti; la lettera diramata dalle cosiddette colombe del Pdl e dei finiani affinché "in extremis" si trovi un accordo tra i due partiti che eviti lo scontro sulla fiducia. Ma infine e soprattutto che cosa accadrà dal giorno dopo in poi, quando, superata in qualche modo quella scadenza, bisognerà affrontare il tema della strategia per quanto riguarda la coesione sociale, la tenuta finanziaria del debito e la crescita economica.

I protagonisti sono numerosi. Fin troppo numerosi e portatori di variabili che rendono difficile la quadra, per esprimersi nel lessico di Umberto Bossi. Facciamone i nomi: Berlusconi innanzitutto, Fini, Casini, Bersani (per dire il Partito democratico), Bossi. Al di fuori e al di sopra di questi giocatori in campo c'è Giorgio Napolitano, arbitro e tutore delle regole costituzionali. La funzione dell'arbitro non è mai marginale, ma può diventare assai più importante e addirittura decisiva quando la partita sia piena di brutti falli e di giocatori che mirino più alla rissa che al buon gioco. Ciò detto, dedico qualche parola alla questione morale.

Può sembrare una questione teorica ed in parte lo è, ma è anche un punto di
riferimento per tutte le persone alle quali sta a cuore la dignità del proprio Paese e di se stesse. Queste persone sono molte e di varia cultura e orientamento politico. Ci sono i laici e i cattolici, i giovani e gli anziani, i lavoratori e gli imprenditori, i moderati e i progressisti. La questione morale si pone perché molti, moltissimi cittadini di questo Paese sentono chiaramente che la morale è stata ed è apertamente calpestata. Quando le istituzioni che dovrebbero realizzare, ciascuna nel settore di sua competenza, il bene comune vengono invece piegate a favorire l'utile di chi ne determina l'attività, lì, in quel luogo e in quel momento la morale viene messa sotto i piedi.

Conosco l'obiezione a questa tesi: la politica ha una sua autonomia, Machiavelli insegna. Politica e morale sono due categorie mentali diverse, talvolta perfino contrapposte e comunque autonome l'una dall'altra. Personalmente concordo con la tesi dell'autonomia salvo che su un punto decisivo: i fini della politica debbono essere morali perché perseguono il bene di tutti. L'autonomia della politica riguarda soltanto i mezzi ma anche qui con un limite: i mezzi non possono mai essere contraddittori rispetto ai fini. Qualche esempio pratico. Se una pubblica istituzione viene usata per sistemarvi i parenti e gli amici di chi la dirige, questo mezzo contraddice palesemente la finalità. Se un uomo politico convince un suo collega a cambiar partito, la sua opera di convincimento è pienamente accettabile, ma se compra il consenso o lo mette in vendita, questa è una prassi vergognosa e inaccettabile. La questione morale e il rapporto tra morale e politica è tutto qui. I cittadini elettori possono trovare in questo semplice criterio lo strumento per utilizzare correttamente il loro voto sovrano.

* * *

La piazza di San Giovanni ieri era imponente. Il Partito democratico c'è, è una realtà politica, ha i suoi quadri centrali e locali, i suoi militanti, il suo programma riformatore. Non debbono piacere a tutti, anche all'interno ci sono critiche, a volte ben motivate altre volte demagogiche. Quelle demagogiche fanno chiasso e fanno spettacolo, ma servono solo a disgregare e non a migliorare. Comunque il partito c'è e gli ultimi sondaggi lo danno in recupero di consensi. Recupero modesto. Il bacino potenziale del Pd è stimato al 42 per cento dell'elettorato ma il consenso attuale è appena sopra al 25. Si vede a occhio che il primo compito di chi lo dirige è di recuperare quella zona di indecisi che potrebbero votarlo. Nei prossimi mesi (o settimane?) su questo terreno si misurerà la capacità del gruppo dirigente che dovrebbe muoversi compattamente e non in ordine sparso. Ci sono troppi galli nel pollaio democratico, in certe condizioni l'abbondanza dei galli può essere una risorsa, ma coi tempi che corrono non lo è. Galli e galletti dovrebbero fare squadra. La responsabilità è di ciascuno di loro e in prima istanza del segretario del partito.

* * *

Le colombe moderate del Pdl e di Futuro e Libertà vorrebbero una riconciliazione. I leader delle due formazioni si dicono in principio d'accordo, ma divergono sulle condizioni. Ciascuno pone le proprie. Fini è pronto all'accordo se tutta la sua gente ma anche i suoi alleati (Casini, Rutelli) rientreranno nell'alleanza di centrodestra in posizioni determinanti. Non più un'alleanza con due gambe (Berlusconi e Bossi) ma con quattro. Berlusconi fino all'altro ieri ha temporeggiato ma ieri è intervenuto approvando il documento delle colombe e promettendo una navigazione nuova dedicata alle riforme economiche e istituzionali. Perfino con un ritocchino alla legge elettorale.

Nel tardo pomeriggio è arrivata però la risposta di Fini, che sembra chiudere definitivamente ogni spiraglio alla trattativa. Evidentemente le promesse berlusconiane non sono più credibili, e il passaggio sulla votazione di sfiducia avrà comunque luogo. La lettera dei moderati era piuttosto un trappolone del Cavaliere, la favola sempre attuale del lupo e di Cappuccetto Rosso: il lupo travestito da vecchia nonna benevola, con le sembianze del premier, e Cappuccetto (ma non rosso) con le sembianze del presidente della Camera. Ma Fini non c'è cascato. Bisognerà vedere, adesso, in che modo si comporterà la Lega dopo il 14.

Bossi ha in mano la "golden share" del centrodestra. Dopo il voto di martedì prossimo, quale che ne sia l'esito, con una differenza di un paio di voti o per l'uno o per l'altro, il Senatur valuterà se il peso della Lega resta determinante nell'alleanza di centrodestra, oppure risulta diminuito. Se quest'ultima fosse la sua valutazione, il Carroccio staccherebbe rapidamente la spina. In queste condizioni, la funzione dell'arbitro può diventare decisiva. Il problema di Napolitano non è tanto quello delle riforme, giustizia, Senato federale o altre consimili, pur certamente importanti. Il Capo dello Stato ha già indicato l'assoluta priorità della situazione economica. La prima sua mossa fu quella di congelare la crisi politica per rendere possibile l'approvazione della Legge di Stabilità finanziaria.

Questo risultato, ormai raggiunto, non ha tuttavia esaurito il tema. I turbamenti prevedibili sul mercato finanziario, e la posizione della Germania e della Francia su regole più severe per quanto riguarda i debiti sovrani, rendono indispensabile un governo che abbia piena credibilità rispetto alle autorità monetarie europee e alle istituzioni sovra-nazionali. Un governo galleggiante, presieduto da chi ha già perso gran parte della sua credibilità internazionale, non è l'ideale per attuare una strategia oggettivamente difficile: coniugare crescita e rigore finanziario, far rientrare il debito nei parametri europei, destreggiarsi rispetto alle richieste della Merkel e di Sarkozy per politiche economiche più stringenti che rafforzino l'euro e, non ultimo, recuperare una coesione sociale che sembra aver toccato il livello peggiore da molti anni.

È questo il governo che può affrontare problemi di questa portata? Non dimentichiamo che il sogno di Berlusconi, nonostante tutto, resta quello di trasportare tra due anni Arcore e Palazzo Grazioli al Quirinale. A questo punto credo davvero indispensabile un dibattito sulla questione morale; relatori Verdini, Dell'Utri e Bondi, moderatore il cardinale Bertone. Magari a casa di Vespa dove pare si mangi benissimo. Mi piacerebbe essere invitato.
 

(12 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #253 inserito:: Dicembre 19, 2010, 06:45:22 pm »

IL COMMENTO

Nove banche vogliono dividere l'euro in due

di EUGENIO SCALFARI


Le opinioni sull'andamento dei mercati finanziari e in particolare sull'euro e sui debiti sovrani europei sono incerte e contraddittorie. Sia quelle delle autorità internazionali, sia quelle dei governi, sia infine quelle degli economisti e dei banchieri. In alcuni casi queste diversità sono dovute ad una scarsa conoscenza dei meccanismi operativi della speculazione e degli obiettivi che essa si propone. Ed anche dalla sua struttura. In generale si ritiene che il nocciolo duro della speculazione sia composto dagli "hedge funds" i fondi dedicati ad impieghi rischiosi che quando centrano l'obiettivo procurano elevati rendimenti in tempi di bassi tassi di interesse.

È vero, gli "hedge funds" sono un'ingente massa di manovra ma non rappresentano il cervello della speculazione. Il cervello sta al vertice del sistema bancario internazionale e vede insieme sia le grandi banche di credito sia le grandi banche d'affari americane, inglesi, svizzere, tedesche. Le piazze dalle quali si irradiano gli impulsi speculativi sono quelle di New York, Londra, Parigi, Francoforte, Tokyo, Hong Kong. Il New York Times ha descritto pochi giorni fa il funzionamento di questa "Cupola" ed ha anche indicato le banche che la compongono: J. P. Morgan, Bank of America, Goldman Sachs, Ubs, Credit Suisse, Barclays, Citigroup ed altre per un totale di nove. Ma ciascuna di esse possiede una quantità di partecipazioni e diramazioni in tutto il mondo e capitali immensi a disposizione.

In un giorno fisso della settimana i capi delle
nove banche principali si riuniscono in un club riservato, esaminano gli ultimi dati sull'occupazione, sui mutui immobiliari, sulla produzione manifatturiera, sui tassi di cambio delle principali valute (dollaro, euro, yen, yuan), sugli "spread" tra i principali debiti sovrani, sulle materie prime. L'esame dura un'ora o poco più. Poi tirano le somme e decidono come muoversi sui mercati oppure non muoversi e restare in attesa.

Nell'esame di tanto in tanto rientrano anche questioni politiche quando sono tali da influenzare l'andamento dei mercati, ma secondo gli informatori del New York Times la politica entra di rado nelle valutazioni della Cupola, salvo per ovvie ragioni quella americana e quella cinese.

Si fa un gran parlare, nella Comunità degli affari e nelle forze politiche, della necessità di liberalizzare i mercati e di mantenere viva la libera concorrenza in tutte le sue forme; perciò fa una certa sensazione apprendere che, nonostante le apparenze, i liberi mercati sono in realtà guidati da un vero e proprio comitato d'affari dotato di risorse pressoché illimitate e della potenza politica ed economica che ne deriva. Ma anche questo è un segreto di Pulcinella.

Di comitato d'affari parlò per primo Carlo Marx negli anni Quaranta dell'Ottocento e se ne è continuato a parlare negli ambienti della sinistra internazionale. Questa volta però chi ne parla e ne fornisce i nomi è uno dei grandi giornali americani, di intonazione liberale e democratica ma non certo ideologicamente socialista. Del resto persino in Italia esiste un comitato del genere che sta a mezza strada tra la politica e gli affari e ha la sua base nelle partecipazioni intrecciate tra i vari membri che lo compongono. È un comitato che ha di mira soprattutto la stabilità dei poteri forti, con scarsa vocazione e scarse connessioni con la speculazione internazionale. La nostra piccola Cupola è piuttosto provinciale e si dipana tra Milano, Trieste, Torino. E naturalmente Roma.

 * * *
Ma torniamo agli obiettivi della speculazione internazionale, soprattutto per quanto riguarda i mercati europei, i debiti sovrani europei e la moneta comune. Ho scritto in un articolo di qualche giorno fa che il tasso di cambio dell'euro non è l'obiettivo primario della speculazione. Il suo obiettivo primario sono i debiti sovrani più sensibili e i tassi differenziali di ciascuno di loro rispetto al "bund" tedesco. Per dirla con chiarezza: la speculazione ha come mira principale quella di aumentare la differenza tra i tassi dei Paesi europei deboli e il "bund". L'avversario che ha il compito di contrastarla è la Banca centrale europea, che tra i vari compiti non scritti nel suo statuto ma non per questo inesistenti ha anche quello di limitare lo "spread" tra i vari membri dell'eurozona.

Quei differenziali hanno alcune cause che ne determinano le dinamiche. In alcuni casi le finanze pubbliche di quel paese sono dissestate, in altri sono dissestate le banche, in altri ancora è in crisi l'economia reale, oppure tutti questi elementi insieme. La speculazione segue queste diverse realtà e le amplifica picchiando al momento opportuno. Poi si ritira quando la Bce entra in gioco e porta a casa cospicui profitti che costituiscono ulteriori munizioni per ricominciare il gioco. L'obiettivo finale è quello di dividere l'Europa monetaria in due: una zona forte con la Germania al centro e con l'euro come moneta comune; una zona debole con una moneta che potrebbe essere denominata euro-sud e che può oscillare rispetto all'euro.

Qualora un progetto del genere si verificasse, si aprirebbe per la speculazione un nuovo terreno di gioco di amplissime dimensioni e di facili profitti. Non sarà però facile arrivare a tanto, le difese ci sono e le ragioni per combattere quel progetto anche. Personalmente penso che l'eurozona resisterà, ma penso anche che la speculazione continuerà la sua guerriglia dalla quale comunque ricava lauti profitti. Quella spina nel fianco durerà fino a quando i debiti sovrani non saranno stati ridotti, fino a quando le economie dei Paesi membri non saranno così disomogenee e fino a quando l'Europa non avrà un suo governo e una sua unitaria politica fiscale.
"It's a Long Way to Tipperary..."

 * * *
È logico che in Italia ci si domandi: il nostro Paese è anch'esso nel mirino della speculazione? Sapremo difenderci? Ci costerà? La politica è uno degli elementi di questa partita? Finora l'Italia, cioè il debito sovrano italiano, non sono stati un bersaglio diretto. Abbiamo subito in due o tre recenti occasioni, delle schegge di rimbalzo da colpi lanciati contro altri obiettivi: Grecia, Irlanda, Portogallo, Belgio, Spagna. Noi di rimbalzo, appunto.

Quanto alla politica italiana, non sembra che quei nove signori che si riuniscono nel loro club di Manhattan se ne siano occupati granché se non per riderci su. Che a Palazzo Chigi ci sia Berlusconi oppure Letta oppure Tremonti oppure Casini non sembra che possa innescare ondate speculative. Sarebbe diverso se ci fossero elezioni: una campagna elettorale dura dai due a tre mesi, durante i quali c'è soltanto un governo in carica per l'ordinaria amministrazione. Una situazione del genere lascerebbe pascoli abbondanti alla speculazione.

Ma all'infuori di questa ipotesi - che tuttavia potrebbe verificarsi tra qualche mese - i cambiamenti di governo in un ventaglio che va dal centrodestra al Partito democratico non pesa un euro nelle valutazioni degli speculatori. Pesa invece la mancata crescita economica, la bassissima competitività, il deficit, l'elevata pressione fiscale, l'enorme debito pubblico, la coesione sociale sfarinata.

Tutti questi elementi esistenti da tempo e mai scalfiti da una politica riformatrice che non c'è mai stata negli ultimi dieci anni, sono bombe a orologeria che non sarà facile disinnescare con un governo come quello esistente. Se la raccogliticcia maggioranza di tre voti diventasse di dieci o di quindici, la situazione non cambierebbe in nulla come in nulla sarebbe cambiata se la sfiducia fosse passata salvo il fatto, politicamente e moralmente essenziale d'esserci liberati da Berlusconi.

Dal punto di vista della speculazione la questione è invece irrilevante; lo era un mese fa e lo è adesso. La speculazione è cinica, il comitato d'affari è cinico. Noi siamo una preda potenziale molto ghiotta e stiamo immobili ad aspettare che il club di Manhattan decida di saltarci addosso. Questa è la situazione, che meriterebbe d'essere corretta in fretta. Non saranno certo Scilipoti e Moffa e neppure i reverendi cardinali e vescovi di Santa Madre Chiesa a risolvere la questione. Preghino per l'Italia i principi della Chiesa se vogliono, e si occupino delle anime. Per tutto il resto sono soltanto un ingombro e quando l'attacco speculativo verrà non saranno certo loro a poterci aiutare.

(19 dicembre 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #254 inserito:: Dicembre 22, 2010, 10:41:30 pm »

Facebook e la fine di un'epoca

di Eugenio Scalfari

Il linguaggio imposto e voluto dai social network è il segnale che siamo entrati in una nuova era. Dove ormai si parla inglese

(20 dicembre 2010)

Siamo abituati fin dai tempi della scuola a dividere le varie epoche prendendo come spartiacque tra l'una e l'altra un fatto fortemente simbolico, dal quale derivarono mutamenti radicali sia nella vita politica sia nei modi di pensare, nella diversa dislocazione del potere e della ricchezza, insomma nel cambiamento di tutti gli equilibri preesistenti. Così c'è stato insegnato e così crediamo che sia avvenuto in passato e che avverrà di nuovo in futuro.

La fine dell'Impero romano è segnata convenzionalmente nell'anno 476 che coincide con la discesa in Italia delle tribù gotiche guidate da Odoacre. L'inizio della civiltà moderna è datato 1492 e coincide con la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo che, in realtà, per alcuni mesi non seppe affatto d'averla scoperta ritenendo invece d'aver messo piede in un arcipelago che preannunciava il continente delle Indie e della Cina. La fine della civiltà egiziana si colloca con la conquista da parte di Alessandro il Grande, ma prima ancora con la conquista del Peloponneso da parte dei Dori venuti dal nord, che segnerebbe la fine della grande civiltà cretese-minoica.

Le date, naturalmente, servono soltanto a periodizzare questo ciclico appassire di un'egemonia politica e culturale e la sua trasformazione in un'altra egemonia con caratteristiche profondamente diverse: processi molto complessi che spesso producono anche trasformazioni nel linguaggio; processi che si protraggono per molti anni e talvolta per secoli prima che la nuova egemonia emerga compiutamente, con le sue istituzioni, la sua cultura, il suo linguaggio.

Ma qual è il segnale più visibile e più sconvolgente che avvisa le popolazioni residenti nei luoghi coinvolti da quei processi storici, che un salto si è verificato, una discontinuità si è prodotta, un'epoca è definitivamente tramontata ed un'epoca nuova si è visibilmente insediata sulle sue rovine? Una vittoria militare (e rispettivamente una sconfitta)? Una rivoluzione sociale e politica? Una scoperta scientifica e tecnologica? L'apparire di una nuova religione?
Queste domande sono affascinanti, ti obbligano a rifletterci su, a documentarti meglio, ad indagare con maggiore curiosità. Personalmente la mia curiosità si è concentrata da parecchio tempo per trovare risposte plausibili. Vado per esclusione. Direi che vittorie e sconfitte militari non sono segnali sufficienti per indicare il passaggio di un'epoca. Scoperte geografiche, forse. Il nostro pianeta ormai è stato interamente esplorato, ma quando ancora una parte di esso era noto solo alle popolazioni autoctone, la fine della separazione tra un popolo e un altro, tra un continente ed un altro, furono eventi di grande importanza ma non necessariamente tali da segnare un passaggio di epoca. La scoperta dell'Australia per esempio, quella dei grandi arcipelaghi del Pacifico, quella dei Poli nord e sud non cambiarono alcun equilibrio nel mondo.

Certo avrebbero grandi effetti scoperte astronomiche capaci di rivelarci l'esistenza della vita in altri pianeti e in altre costellazioni, ma gli atterraggi sulla luna non hanno comportato alcuna modificazione nella nostra vita.

Considerando queste ed altre analoghe circostanze, sono arrivato alla conclusione che il segnale più visibile ed anche più significativo di un passaggio d'epoca sia il mutamento del linguaggio. Sappiamo che il linguaggio ha molto a che fare con il pensiero, si stimolano a vicenda perché il pensiero produce linguaggio e il linguaggio articola il pensiero. Sono, sia l'uno che l'altro, due manifestazioni mentali che interagiscono sviluppandosi reciprocamente e determinando processi mentali evolutivi che non avvengono in altre specie sprovviste sia di linguaggio sia di pensieri.

Un altro fattore di enorme mutamento è quello delle modificazioni climatiche, ma si tratta di un fattore di tali dimensioni da sorpassare di gran lunga i mutamenti di un'epoca: rientra piuttosto nella categoria delle grandi catastrofi naturali. Lì non è in questione una civiltà ma addirittura l'avvicendarsi delle specie che abitano il pianeta. Il fattore climatico agisce e registra mutamenti stellari, trasformazioni atmosferiche, mutamenti dei fotoni e di altre componenti chimiche. Insomma è fuori dal nostro discorso sui cicli delle civiltà umane e dei mutamenti culturali che avvicendano un'epoca ad un'altra.

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