LA-U dell'OLIVO
Novembre 22, 2024, 01:57:46 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 [2]
  Stampa  
Autore Discussione: Il NOSTRO MODO di PENSARE - L'Ulivastro, l'Ulivo Selvatico.  (Letto 10529 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #15 inserito:: Agosto 08, 2018, 09:39:58 am »

PERDERE LE ELEZIONI

Perdere le elezioni e continuare a pensare con la stessa logica che ce le ha fatte perdere, ha un solo significato: i nostri politici devono cambiare mestiere.

Il che è assurdo per una buona parte di loro, sarebbe uno spreco, sarebbe entrare nella stessa loro logica del “bisticcio” e dell’essere “contro”, che tanti danni ci ha procurato.

Quindi teniamoci i migliori tra loro, quelli che hanno capito e non hanno paura di ammetterlo, valutandoli da come, d’ora in poi, faranno politica di governo stando all'opposizione.

ggiannig
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #16 inserito:: Agosto 10, 2018, 05:41:11 pm »

Migranti, il divario tra percezione e realtà

Di Vittorio Pelligra
16 LUGLIO 2018

BY RICOSTRUIRESTATOEPARTITI

Provate a chiedervi se il numero degli omicidi in Italia, rispetto al 2000, è aumentato, diminuito o rimasto invariato. Ora, nel momento stesso in cui vi accingete a darvi una risposta, il vostro cervello ha già compiuto una serie di operazioni complesse, alcune consce e volontarie, ma la maggior parte, invece, inconsce e automatiche. Tra queste la più importante è quella di ripescare dalla memoria eventi connessi alla stima che ci viene chiesta di elaborare, ricordi, in questo caso di omicidi. Questi ricordi, elaborati poi in modo cosciente, costituiranno la base della nostra risposta.

Quanto siamo bravi a rispondere a simili domande? Quanto è calibrato il nostro giudizio? Pochissimo, a giudicare dai dati. L’84% degli italiani, per esempio, stando all’ultima rilevazione Ipsos Mori, pensa che il numero di omicidi sia cresciuto o certamente non diminuito. Il dato oggettivo rappresenta una diversa realtà; mostra infatti che gli omicidi nello stesso periodo si sono ridotti del 39 per cento. Vabbè, errare è umano del resto. In questo caso però parlare di “errore” sarebbe improprio. Se si trattasse di un errore, infatti, avremmo alcune persone portate a sovrastimare l’incidenza del fenomeno e altre a sottostimarlo e nei grandi numeri queste differenze tenderebbero a eliminarsi. Ciò di cui parliamo qui, invece, sono propriamente delle “distorsioni” (bias), e sono grandemente diffusi tra la popolazione di tutti Paesi studiati, proprio perché hanno a che fare con i nostri processi cognitivi. Riguardano principalmente temi “caldi” mediaticamente, come il suicidio, i rischi per la salute, le credenze religiose, la corruzione, l’immigrazione e altri, perché in questi casi l’esposizione mediatica rende più vivido il ricordo e quindi più veloce la sua disponibilità alla memoria che a sua volta ci porta, inconsciamente, a sovrastimarne il peso nella nostra personale ricostruzione del fenomeno. È importante sottolineare questa differenza tra “errori” e “distorsioni”, perché, a differenza dei primi, queste ultime tendono a essere sistematiche, vanno tutte nella stessa direzione; “sbagliamo”, cioè, tutti nello stesso modo. E se queste distorsioni sono sistematiche, vuol dire che sono prevedibili e quindi utilizzabili, sfruttabili, cavalcabili.

Un esempio istruttivo del disallineamento che si può produrre tra dati reali e percezioni distorte e dell’utilizzo politico che di quest’ultime può essere fatto, ci è stato dato nei giorni scorsi dalla polemica tra il presidente dell’Inps, Tito Boeri e il ministro degli Interni, Matteo Salvini. Boeri afferma nella sua relazione annuale che alla luce dei dati sulla struttura del nostro mercato del lavoro e delle dinamiche demografiche, il sistema pensionistico italiano rischia di andare in crisi senza l’apporto di nuovi lavoratori immigrati. Salvini gli risponde accusandolo di vivere su Marte. I dati di Boeri sono oggettivi e corretti, ma secondo la percezione dei cittadini e non solo di quelli che votano Salvini, di immigrati ce ne sono già anche troppi: gli ultimi dati Eurispes ci dicono che la maggioranza degli italiani pensa che siano tra il 16 e il 25% della popolazione totale, mentre in realtà sono l’8 per cento.

Questo è il punto cruciale allora: dobbiamo rassegnarci al fatto che il mondo dell’oggettività si debba trasferire su Marte? E chi vorrebbe vivere su questa “Terra”, dove la politica economica, migratoria, fiscale, si basa su percezioni distorte della realtà? Il National bureau of economic research ha appena pubblicato uno studio condotto da tre economisti di Harvard (Alesina, Miano, Stantcheva, 2018, Immigration and Redistribution, Nber) che può aiutarci a dare una risposta a questa domanda. Lo studio non solo mostra, come già affermato, che esiste una diffusa tendenza a sovrastimare l’incidenza degli immigrati nella popolazione, ma anche errori di valutazione sistematicamente distorti rispetto alla distanza culturale e religiosa, alla fragilità economica, al livello di studio, al livello di disoccupazione, all’accesso ai servizi pubblici.

Un’immagine, insomma, gravemente alterata della realtà che riflette però le convinzioni di larga parte della popolazione e in particolare di coloro che si definiscono di centro-destra, non sono laureati e lavorano in settori a bassa qualificazione e ad alta intensità di immigrazione (servizi alla persona, edilizia, etc.). Ma la conclusione più interessante della ricerca, e per certi versi più sconfortante, è ancora un’altra e riguarda il fatto che anche quando ai cittadini vengono fornite informazioni precise e affidabili circa il numero di immigrati, le loro caratteristiche religiose ed etniche e i loro sforzi lavorativi, che dovrebbero ridimensionare i preconcetti e mitigare le distorsioni, queste non cambiano ma, al contrario, si dimostrano impermeabili alla realtà. Un dato non proprio coerente con la retorica della post-ideologia. Questa immagine, per quanto falsata, conta, e molto, perché da essa scaturisce il consenso per alcune politiche invece che altre, in questo caso, per esempio, le politiche redistributive che vengono avversate proprio da quei cittadini poveri che più ne trarrebbero beneficio.

La politica della percezione rischia quindi di sfavorire proprio la sua base elettorale, il cui consenso viene abilmente veicolato e utilizzato. Ecco perché, quindi, è quanto mai necessario attivare anticorpi di serietà e responsabilità che ci aiutino a non far aumentare ulteriormente il divario tra percezione e realtà, a non farlo cavalcare per fini di consenso, affinché non si utilizzi per politiche partigiane la fragilità naturale dell’opinione pubblica, ma si possano basare le scelte politiche sulla migliore evidenza disponibile. O saremo tutti, prima o poi, costretti a emigrare su Marte.

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

Da - http://ricostruirestatoepartiti.altervista.org/migranti-il-divario-tra-percezione-e-realta-di-vittorio-pelligra/
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #17 inserito:: Settembre 08, 2018, 05:35:11 pm »

Piano Marshall per l'Africa la risposta dell’Europa

Nelle considerazioni espresse ieri al Sole 24 Ore, Papa Francesco ha messo l’accento sul dovere di noi europei di non tradire mai la speranza. La speranza di una vita migliore, la centralità della libertà e della dignità della persona, sono alla base della nostra identità europea. Le nostre radici cristiane ci hanno trasmesso un’incrollabile fiducia nell’uomo.
Il progetto europeo è nato per creare libertà e opportunità per le nuove generazioni. Senza lavoro e prospettive, non può esserci libertà e dignità e, dunque, la speranza di un futuro migliore.

Antonio Tajani

Un’Unione che dimentica questa missione perché sbilanciata sulla finanza e che arricchisce pochi e lascia indietro molti, allontana i cittadini dal progetto europeo.
Dobbiamo dare risposte ai 118 milioni di europei a rischio povertà e ai 20 milioni di disoccupati. La rivoluzione tecnologica, lo strapotere dei giganti del web, un mercato globale senza regole, i paradisi fiscali creano ingiustizie e alimentano la delocalizzazione, nell’impotenza di lavoratori e famiglie. Questo modello, dove un giovane su due in molte regioni europee non trova lavoro, va cambiato. Serve una vera economia sociale di mercato che distribuisca crescita e lavoro, per tutti.
La via da seguire non è quella di uno Stato onnipresente che soffoca, con tasse ed eccessi burocratici, la voglia di fare e di intraprendere. Dare speranza e dignità significa offrire la possibilità di realizzarsi nel lavoro.
Se penso all’Italia, sono preoccupato da misure come il reddito di cittadinanza, che tolgono dignità e ambizioni, e trasformano giovani e disoccupati in clientele politiche, in attesa della manna dello Stato.
L’Italia deve concentrare le poche risorse disponibili su lavoro e impresa, detassando i contratti d’inserimento nel mercato del lavoro per i giovani e per chi deve trovare un’altra attività dopo i 50 anni.
Per rilanciare gli investimenti al Sud, ho proposto un Fondo di 20 miliardi con risorse regionali Ue non spese, per mobilizzare 250 miliardi nei prossimi 5 anni. Consentirebbe più accesso al credito per le Pmi e lo sviluppo di infrastrutture di rete, creando fino a 500mila nuovi posti.
L’altra sfida per l’Unione è governare i flussi migratori senza rinnegare i nostri valori. Dobbiamo essere coscienti dei limiti della nostra capacità di accoglienza e integrazione; e dei rischi di rigetto da parte di un’opinione pubblica in crescente allarme. Da un lato, difendendo le nostre frontiere esterne, senza creare illusioni in chi non ha diritto di venire in Europa. Dall’altro, accogliendo chi scappa da guerre e persecuzioni, con una vera solidarietà tra gli Stati europei.
Non accogliere un cristiano che fugge dalla Siria, dall’Iraq o dall’Eritrea, non significa tutelare la propria identità. Al contrario, vuol dire negarla. Come ci ha ricordato il Santo Padre, la Croce è simbolo dell’accoglienza, del saper vedere il volto di Cristo in chi soffre o è perseguitato.
Naturalmente, come sostiene Papa Francesco, i migranti hanno il dovere di essere rispettosi di leggi e cultura di chi gli accoglie. Dove non lo fanno, creano allarme sociale e rifiuto dell’integrazione.
La via da seguire è quella indicata dal Parlamento europeo, con l’approvazione della riforma del regolamento di Dublino che prevede la ridistribuzione automatica dei richiedenti asilo in maniera equa tra tutti gli Stati membri.
Il Papa ha ragione a sottolineare il tema della speranza per le nuove generazioni africane. Davanti alle legittime aspirazioni a una vita dignitosa, l’Europa non può voltarsi dall’altra parte. Deve affrontare il problema alla radice.
Entro il 2050 in Africa vi saranno 2,5 miliardi di persone. Per dare loro la speranza di un futuro nella loro terra, ho proposto un Piano Marshall di 50 miliardi nel prossimo bilancio Ue. Le migliaia di disperati pronti a rischiare la vita nel deserto o nel mare, ci dicono che non vi è tempo da perdere.
A luglio mi sono recato in Niger con una delegazione di imprese e centri di ricerca europei pronti a investire e a realizzare partenariati in settori chiave, come agricoltura, acqua, energia, telecomunicazioni.
Ho toccato con mano la possibilità di dare risposte vere a problemi anche molto complessi. Grazie a investimenti Ue per oltre 1 miliardo abbiamo convinto le autorità del Niger a contrastare i trafficanti di uomini. Dal Niger passava il 90% di chi era diretto in Libia e in Italia. Nel 2018 questo flusso si è ridotto drasticamente: dai 300mila transiti nel 2016 a meno di 10mila.
I padri fondatori ebbero il coraggio e la lungimiranza di lasciare da parte le contrapposizioni nazionali, alla base di due guerre mondiali. Seppero avviare un processo di riconciliazione che ha portato 70 anni di pace e prosperità e ci ha dato strumenti per affrontare sfide globali, come disoccupazione e flussi migratori.
È una lezione che noi politici non dovremmo mai dimenticare. Tanto più oggi, di fronte al risorgere di movimenti che confondono identità e amore per la patria, con nazionalismo e rigetto dell’altro. È esattamente l’opposto di quanto dobbiamo fare: guardare al futuro, all’uomo, all’altro, con fiducia e speranza.

Presidente del Parlamento europeo
Antonio Tajani

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.quotidiano.ilsole24ore.com/edicola24web/edicola24web.html?testata=S24&edizione=SOLE&issue=20180908&startpage=1&displaypages=2
Registrato
Pagine: 1 [2]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!