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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 287891 volte)
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« Risposta #525 inserito:: Ottobre 02, 2012, 11:29:18 am »

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02/10/2012 - taccuino

Senza il proporzionale difficile ottenere le larghe intese

Marcello Sorgi

All’indomani del week-end centrista in favore del Monti-bis, l’accenno del presidente del consiglio al momento in cui lascerà il governo “ad altri” ha creato ovviamente curiosità, (marcia indietro rispetto alla disponibilità a continuare manifestata in Usa, presa di distanze da un sostegno troppo partisan?). Ma nessun turbamento in Casini, che dell’ipotesi di continuare a far governare Monti anche dopo il voto del 2013 continua ad essere il principale sponsor. Parlando a Milano davanti al pubblico dell’Ispi, uno dei più qualificati think-tank di politica estera, il leader centrista ha spiegato che la sua proposta è legata alla necessità, per l’Italia, di recuperare credibilità sul piano internazionale, come appunto è accaduto finora con Monti: il cui ruolo «super partes», ha aggiunto, non dovrebbe essere intaccato da un’eventuale riedizione del governo con ministri politici nella prossima legislatura.

Una precisazione legata alla consapevolezza che per Monti sarebbe impossibile accettare di guidare un governo di centrosinistra o di centrodestra. Eppure per Casini non sarà facile riproporre le larghe intese alla vigilia di una campagna elettorale in cui Bersani e Berlusconi minacciano di darsele di santa ragione. Uno schema del genere potrebbe funzionare solo in caso di approvazione di una nuova legge elettorale proporzionale, in cui ogni partito giocherebbe per sé e la scelta delle alleanze di governo verrebbe rinviata a dopo il voto.
Se invece si dovesse tornare alle urne con il Porcellum, la contrapposizione tra destra e sinistra sarebbe obbligata, e lo spazio per il centro necessariamente ridotto. 

Casini, Fini, Montezemolo e tutti gli altri che nell’ultimo fine settimana si sono iscritti alla corsa al centro scommettono che sarà impossibile, per Pd e Pdl, aggrapparsi a una legge come il Porcellum, ormai disprezzata nei sondaggi dalla maggior parte degli elettori.
E’ un calcolo logico. Ma si sa: in politica mai dire mai.


da - http://lastampa.it/2012/10/02/cultura/opinioni/editoriali/senza-il-proporzionale-difficile-ottenere-le-larghe-intese-ybEXg8EudC837NJe7FTpHJ/index.html
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« Risposta #526 inserito:: Ottobre 04, 2012, 03:47:43 pm »

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04/10/2012 - taccuino

L’incandidabilità dei condannati apre ad altre divisioni


Marcello Sorgi

Spinto dalle reazioni sempre più forti dell’opinione pubblica di fronte alla moltiplicazione degli scandali, il governo prova a uscire dall’impasse sulla legge anticorruzione. Al Senato la discussione è bloccata perchè il centrodestra non condivide il testo uscito dalla Camera e perchè il Pd accusa il Pdl di voler far passare sottobanco gli emedamenti “salva-Ruby”, che dovrebbero servire ad aiutare Berlusconi nel processo sul “bunga-bunga”.

 

Il ministro Severino ha tentato finora senza successo una mediazione. Ma dalla proposta che dovrebbe essere resa nota oggi spunta il tema dell’incandidabilità per chi ha subito condanne definitive oltre i due anni, che il governo vorrebbe introdurre adoperando la delega di legge di cui dispone, ma che è destinato ad aprire nuove divisioni, in un Parlamento in cui sono oltre cento i deputati e i senatori incappati nelle maglie della giustizia. Inoltre l’Idv, e in parte il Pd, premono per stringere ulteriormente le maglie ed escludere dalle candidature anche i condannati in primo grado, mentre il Pdl frena e la discussione rischia nuovamente di arenarsi.

 

La legge anticorruzione non è la sola ad incontrare ostacoli. Dopo un incontro tra Monti e Bersani, anche la riforma elettorale, su cui martedì pareva profilarsi un compromesso, è tornata in alto mare. La proposta dell’ex-ministro leghista Calderoli s’è inabissata, e la sensazione è che giorno dopo giorno Pd e Pdl stiano rassegnandosi a lasciare in vigore il Porcellum, al massimo con piccole modifiche, perchè temono che qualsiasi passo in direzione del ritorno al proporzionale possa avvantaggiare l’Udc e il rinato centro di Casini, Fini, Montezemolo, che puntano ad intercettare i voti moderati in fuga dal centrodestra. Il Pdl in particolare fatica a prendere una posizione chiara su questa materia perchè il magro risultato annunciato dai sondaggi (un sostanziale dimezzamento dei seggi a disposizione nell’attuale Parlamento) rende sempre più difficile tenere insieme le diverse anime del partito. La separazione ormai annunciata tra le due componenti ex-Forza Italia ed ex-An sarebbe più agevole con il proporzionale; ma se il bipolarismo rimane in piedi, il centrodestra dovrà pur trovare il modo di farle convivere da separate in casa.

 

Anche nel Pd la prospettiva delle primarie carica di tensione la vigilia dell’Assemblea nazionale, che sabato dovrebbe fissare le regole della gara tra Bersani e Renzi. Non è un mistero che per gran parte delle componenti interne, che temono di uscire ridimensionate dalla corsa per la candidatura a premier, l’assemblea è l’ultima occasione per far saltare il banco, e le primarie prima che vengano indette ufficialmente. 

da - http://lastampa.it/2012/10/04/cultura/opinioni/editoriali/l-incandidabilita-dei-condannati-apre-ad-altre-divisioni-7sUCE6AmjBxwJZriqgKO6K/index.html
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« Risposta #527 inserito:: Ottobre 10, 2012, 07:24:55 pm »

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10/10/2012 - taccuino

Una manovra fatta pensando alla legge elettorale

Marcello Sorgi

Deluso dalle reazioni scettiche di lunedì sera al suo annuncio - via Alfano - di una possibile rinuncia a candidarsi a premier per ottenere un ritorno del centrodestra all’unità, Berlusconi ieri mattina ha rilanciato, dicendo che se tutti i moderati, che in Italia sono la maggioranza, torneranno ad essere uniti, il loro leader potrebbe essere Monti. Un candidato da non mettere certo sulla scheda elettorale, vista la nota ritrosia del presidente del consiglio ad assumere posizioni di parte; ma da spingere egualmente verso il bis nel 2013.

 

Anche in questo caso tuttavia le reazioni degli interessati sono state scettiche. La più garbata è stata quella di Montezemolo che ha definito l’annuncio del ritiro del Cavaliere “un atto di responsabilità”. Casini e Fini hanno mantenuto le distanze, anche perchè la svolta di Berlusconi ha un evidente contenuto tattico. Più che alla premiership e al governo del dopo-elezioni, per i quali ancora molta acqua deve passare sotto i ponti, Berlusconi infatti pensa alle prossime votazioni sulla legge elettorale in programma al Senato. Già solo se la Lega si decidesse a votare con il suo vecchio alleato, la proposta del Pdl a Palazzo Madama potrebbe contare su una maggioranza ed essere approvata. E se Casini e l’Udc dovessero fare una minima apertura, magari in cambio di un ritorno alle preferenze, o per dare un segnale al Pd, si creerebbe un fatto politico difficile da affrontare per il centrosinistra, perchè alla Camera, successivamente, sarebbe assai complicato per Bersani affossare la riforma e presentarsi come l’unico difensore del Porcellum.

 

Ci riuscirà? La mossa di Berlusconi che non ha scaldato i cuori dei moderati, potrà invece favorire il disgelo in materia elettorale? E’ ancora presto per dirlo. La sensazione è che Casini e gli altri interlocutori centristi aspettino di capire, non solo se l’ipotesi del ritiro di Berlusconi è credibile, ma se, una volta compiuto il primo passo, il Cavaliere è disposto a farne un secondo, rinunciando, oltre che alla corsa per la premiership, anche alla candidatura per il Parlamento. In questo caso, al momento improbabile, oltre che con i suoi ex-alleati, Berlusconi dovrebbe vedersela con le diverse anime del suo partito: diviso già tra chi considera l’uscita di scena del Cavaliere come una diserzione, e chi invece vorrebbe già preparare le primarie per la successione. 

 da - http://lastampa.it/2012/10/10/cultura/opinioni/editoriali/una-manovra-fatta-pensando-alla-legge-elettorale-WGLrxiWh7N8Flw2GVYMxRO/pagina.html
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« Risposta #528 inserito:: Ottobre 11, 2012, 06:32:13 pm »

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11/10/2012 - taccuino

Il penultimatum del Carroccio e la sicumera del Celeste

Marcello Sorgi


Domanda: può restare in piedi una Regione in cui il presidente, cinque assessori e quattordici consiglieri sono inquisiti? La risposta è affidata alla Lega 2.0 di Roberto Maroni, che dovrà decidere se puntellare ancora una volta, come ha fatto finora, Formigoni, o aprire una crisi che porterebbe diritto alle elezioni anticipate la Lombardia, più o meno come il Lazio. L’ultimo arresto è risultato particolarmente indigesto al Carroccio: Domenico Zambetti del Pdl è accusato di aver comperato quattromila voti da un’organizzazione collegata alla ’ndrangheta (che ne aveva fornito altri trecento all’aspirante consigliera comunale Sara Giudice, chiamata l’«antiMinetti» perchè aveva preso di mira la regina del Bunga-bunga) e interessata alla ricca torta degli appalti legati all’Expo del 2015. Vedere il proprio partito alleato con uno del genere non dev’essere proprio gradevole per gli elettori leghisti. Ma Formigoni sembra sicuro di sé e pensa di poter andare avanti lo stesso.

La ragione degli indugi leghisti e della sicumera formigoniana s’intuisce: nel consiglio regionale lombardo nessuno può dare lezioni di moralità a nessuno. Il Carroccio è appena uscito dallo scandalo familiare di casa Bossi che ha portato alle dimissioni del figlio, il «Trota», e al siluramento del fondatore. Anche se c’è stato un taglio netto e un cambio al vertice, Maroni può avere interesse a prendere tempo, e aspettare di vedere come si concluderà sul piano nazionale la vicenda della legge elettorale. In ballo c’è l’aspirazione del Carroccio alla successione di Formigoni alla guida della Lombardia, che potrebbe essere negoziata con il Pdl nell’ambito di un accordo più generale per le politiche. Anche per questo, fino a domenica, quello del segretario regionale Matteo Salvini nei confronti del governatore è stato un penultimatum. Bisognerà vedere ora che peso avrà nelle valutazioni del vertice leghista la comparsa della ’ndrangheta in regione. Inoltre, sebbene azzoppato dal caso Penati, alle soglie del rinvio a giudizio, anche il Pd insiste per la caduta di Formigoni: se la Lega dovesse decidere per la crisi, Bersani non vuole lasciarla in vantaggio.

Intanto nel consiglio regionale in liquidazione del Lazio ieri c’è stato un altro colpo di scena: il capogruppo dell’Italia dei Valori Vincenzo Maruccio, accusato di uso improprio dei fondi pubblici riservati ai partiti, è stato dimissionato d’urgenza da Di Pietro. In queste condizioni, sia per chi ha scelto di andare al voto, sia per chi resiste, la campagna elettorale si annuncia molto difficile.

da - http://lastampa.it/2012/10/11/cultura/opinioni/editoriali/il-penultimatum-del-carroccio-e-la-sicumera-del-celeste-ZTDixa1xeTzKTpZDZ2AcON/pagina.html
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« Risposta #529 inserito:: Ottobre 17, 2012, 04:19:59 pm »

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16/10/2012 - taccuino

I dilemmi del leader e il mezzo effetto-valanga

Marcello Sorgi

Diciamo la verità, nessuno si aspettava un “effetto valanga”. Ma se la mossa di Walter Veltroni, che domenica ha annunciato che non si ricandiderà in Parlamento alle prossime elezioni, puntava anche a mettere in imbarazzo i suoi compagni del gruppo dirigente con maggiore anzianità parlamentare e maggior numero di deroghe alla regola delle tre legislature, l’effetto c’è stato solo in parte.

Interrogato il giorno dopo, Massimo D’Alema, vale a dire il principale obiettivo della campagna di Matteo Renzi sulla “rottamazione” del gruppo dirigente del Pd, non si tira indietro e sposta la responsabilità delle scelte sul segretario. Fosse per lui non si candiderebbe, ma se il partito dovesse chiederglielo... Va da sé che tocca a Bersani decidere se sollecitare o meno le candidature più contestate. E in un modo o nell’altro il segretario, impegnato nella campagna per le primarie, dovrà pronunciarsi, perchè un suo silenzio non sarebbe accettabile, mentre il suo principale avversario plaude a Veltroni che ha deciso di farsi da parte e continua a battere per spingere i “rottamandi” verso l’uscita.

Gli interessati si sono perfettamente riconosciuti nella linea dettata dal “vecchio” Max. A parte qualche sporadico annuncio di addio, come quello dell’ex ministro Tiziano Treu, gli altri, come (ma non solo loro) Anna Finocchiaro o Livia Turco, condividono l’idea che debba essere il partito a dire se è opportuno o meno che un dirigente di lungo corso si ricandidi. Ma il vero problema è che a parte quella delle deroghe, non esistono nel Pd criteri o meccanismi per valutare. Finora, complice il Porcellum, la segreteria s’è sempre riservata una trentina di eccezioni al tetto delle tre legislature e il resto lo ha deciso meccanismo correntizio che fa sì che al tavolo in cui vengono decise le candidature, e di conseguenza gli eletti, ogni componente interna presenti il suo elenco. Ma adesso la campagna delle primarie rischia di svolgersi in gran parte sul meccanismo del “vecchio” e del “nuovo”, avvantaggiando così oltre il previsto Renzi.

Inoltre Bersani ha tutto l’interesse a pronunciarsi su una materia così delicata solo dopo che si capirà se la legge elettorale che ha mosso i primi passi in Senato arriverà a destinazione o no, e soprattutto se raggiungerà il traguardo con gli stessi connotati con cui è partita da Palazzo Madama. Basta solo pensare alle preferenze, che, se reintrodotte, toglierebbero di mezzo il problema, perchè il leader del Pd potrebbe promuovere il rinnovamento nelle teste di lista, lasciando ai “vecchi” le posizioni più difficili da rimontare, e agli elettori il compito di scegliere se riammetterli o meno in Parlamento. 

da - http://lastampa.it/2012/10/16/cultura/opinioni/editoriali/i-dilemmi-del-leader-e-il-mezzo-effetto-valanga-P5WaCQtwCIemKdoSLIdCRN/pagina.html
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« Risposta #530 inserito:: Ottobre 17, 2012, 10:11:17 pm »

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17/10/2012 - taccuino

Solo se vincerà di poco il segretario potrà ricompattare i capicorrente

Marcello Sorgi

Il duro botta e risposta tra Bersani e D’Alema, a proposito della sua contestata candidatura, fa definitivamente della rottamazione il tema principale delle prossime primarie. Con Renzi gongolante, di fronte al Pd prigioniero della sua parola d’ordine, e sfottente con il segretario: «Gli stiamo dando una mano». E con il Partito democratico alle soglie di una crisi di nervi. 

 

A D’Alema, che lo chiamava in causa dicendo che è pronto a ricandidarsi se il partito glielo chiede, Bersani ha risposto a distanza, dallo studio di «Repubblica tv», che non glielo chiederà. Ed anche se formalmente, come ha spiegato, non tocca al segretario proporre le candidature, ma alla direzione approvarle, D’Alema ha capito benissimo che Bersani ha ormai preso le distanze e di non poter sperare in aiuti da parte sua. Se davvero vorrà tornare in lista, dunque, dovrà domandare e ottenere la deroga alla regola del tetto dei tre mandati parlamentari, ed accettare che la direzione voti su di lui.

 

Ma dietro l’ex-presidente del Consiglio, che ha raccolto la sfida, rumoreggia un bel pezzo di gruppo dirigente, consapevole di trovarsi in condizione di essere rottamato. Criticato dalla «Velina rossa», l’atteggiamento «pilatesco» di Bersani, che si rifiuta di entrare nel merito del problema, ieri è stato al centro di molti capannelli di deputati e di una riunione dei gruppi parlamentari.

Se la questione dovesse veramente essere affrontata secondo le vecchie regole interne, il segretario, che non si è certo espresso a favore del ritorno di D’Alema in Parlamento, dovrebbe prendere atto che s’è aperta una crepa nella sua maggioranza interna, di cui appunto l’ex-premier è un pilastro. Ma nel partito, ormai in corsa verso le primarie, tutte le regole sono saltate e le uniche cose che conteranno saranno le percentuali che usciranno dai gazebo del primo turno, il 25 novembre.

 

Come si vede già da ora, sarà un referendum sulla rottamazione. Se Bersani vince, ma senza superare la soglia del 50 per cento, sarà portato a spingere ancora sul rinnovamento, per conquistare più voti al secondo turno. Se invece sarà Renzi ad arrivare primo, il precario equilibrio interno del Pd non reggerà.

 

A quel punto, tutto diventerebbe possibile: dalle dimissioni del segretario a una scissione tra le diverse anime del partito. Solo se prevarrà, sì, ma con Renzi attaccato a un’incollatura, Bersani potrebbe essere spinto a cercare un nuovo compromesso con i capicorrente.

da - http://lastampa.it/2012/10/17/cultura/opinioni/editoriali/solo-se-vincera-di-poco-il-segretario-potra-ricompattare-i-capicorrente-hgBElWmxzkeiiSoFV5bSjO/pagina.html
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« Risposta #531 inserito:: Ottobre 19, 2012, 05:29:32 pm »

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18/10/2012

Anticorruzione, resta l’incognita dei partiti

Marcello Sorgi

La presenza di Monti accanto al ministro Severino al Senato, al momento di porre la questione di fiducia sul maxi-emendamento, poi approvato, che apre la strada all’approvazione della legge anticorruzione, lascia capire quale importanza il governo dia a questo passaggio. La soluzione trovata, dopo un faticoso iter durato mesi, è stata quella di un alleggerimento generale del testo, dal quale sono usciti tutti gli emendamenti più controversi, a cominciare da quelli che dovevano servire a neutralizzare il processo contro Berlusconi per il «bunga-bunga» e il «caso Ruby». D’altra parte, dopo gli sviluppi degli scandali alle regioni Lazio e Lombardia, era obiettivamente difficile per il centrodestra insistere sulla linea della resistenza: ma è ancora presto per dire se, dopo l’approvazione al Senato, la legge potrà marciare speditamente anche alla Camera, dove il testo dovrà comunque tornare per il varo definitivo. 

 

Il ministro Severino non ha fatto mistero dell’urgenza di arrivarci, dopo tanti mesi di discussioni in Parlamento, e mentre in Europa l’immagine dell’Italia risente delle cronache milanesi e romane delle ultime settimane. 

 

Il governo osserva soddisfatto l’evoluzione della stretta economica che ha visto ieri lo spread scendere ai livelli di aprile e l’asta dei titoli pubblici rapidamente esaurita. Ma non si nasconde le difficoltà che la campagna elettorale ormai incombente scarica quotidianamente sulla sua attività. 

 

L’ultimo esempio sono le reazioni alle misure introdotte dalla legge di stabilità, che hanno provocato una levata di scudi quasi simultanea di centrodestra e centrosinistra. Ancora ieri, malgrado le modifiche annunciate dal ministro dell’Economia che cercavano di venire incontro alle riserve dei partiti, Bersani ha insistito sulla necessità di rimettere in discussione l’impianto della legge deciso dall’ultimo Consiglio dei ministri. Nessuno pensa di fermare il governo, soprattutto sul terreno delicato dei provvedimenti anticrisi che stanno al centro della sua ragion d’essere. Ma la prospettiva che nelle prossime settimane le trattative con i partiti diventino più faticose, per via delle esigenze elettorali, comincia a farsi concreta e a preoccupare Monti. La sensazione è che la confusione politica, che si trascina da tempo, sia destinata a durare almeno fino a quando non si capiranno le sorti della nuova legge elettorale, in via d’approvazione al Senato, ma attesa alla Camera da un fronte trasversale dei lunghi coltelli.

da - http://lastampa.it/2012/10/18/cultura/opinioni/editoriali/ma-resta-l-incognita-partiti-VIvgO9kxnSrfD9ScN4uncI/pagina.html
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« Risposta #532 inserito:: Ottobre 19, 2012, 06:01:03 pm »

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03/10/2012 - taccuino

Il suicidio politico della Seconda Repubblica

Marcello Sorgi

L’ondata di corruzione che sta portando al suicidio politico la Seconda Repubblica non si arresta. Anzi, negli ultimi giorni ha subito una recrudescenza: ieri con l’arresto di Franco Fiorito, il «Batman» di Anagni, attorno a cui ruota lo scandalo del Pdl del Lazio. E lunedì con la richiesta di rinvio a giudizio di Penati, il regista del «sistema Sesto» che ha fatto emergere una rete di tangenti destinate al Pd e distribuite con un ingegnoso sistema di falsi acquisti e false caparre.

 

Ci si aspettava, di fronte a un quadro del genere, un’accelerata nell’approvazione della legge anti-corruzione giacente da mesi in Parlamento: ma per quanto il ministro della Giustizia Severino si sia impegnata, negli ultimi giorni, per arrivare a un compromesso che possa mettere d’accordo la maggioranza, il Pd continua ad accusare il centrodestra di voler far passare sottobanco gli emendamenti «salvaRuby» che dovrebbero servire a far cadere l’accusa di concussione pendente contro Berlusconi nel processo per il «bunga-bunga». Il segretario del Pdl Angelino Alfano ha tentato di parare, presentando un altro emendamento, cosiddetto «anti-Batman», per aumentare le pene per chi si appropria a fini personali dei fondi pubblici dei partiti. E il presidente del Senato Schifani, vista la confusione che continua a circondare la discussione, non ha potuto promettere di meglio che cercare di far concludere l’iter parlamentare del testo entro due settimane.

 

Nel frattempo, le novità che giorno dopo giorno vengono fuori dalle inchieste sono enormi. L’arresto di Fiorito (che ha dichiarato: «In carcere troverò gente migliore di quella del Pdl») è stato deciso perché dai primi accertamenti è emerso che si era appropriato di un milione e mezzo di euro (e su altri 4,6 sono in corso accertamenti), soldi usati anche per comperare la villa al Circeo e, lo scorso inverno, anche un fuoristrada (poi rivenduto) per far fronte alle nevicate che si erano abbattute su Roma!

 

In casa Pd la richiesta di rinvio a giudizio per Penati, fino a poco tempo fa vicepresidente del consiglio regionale lombardo, sta creando molta agitazione. Ci sono pressioni per farlo dimettere. Tra gli altri, insiste Pippo Civati, uno degli esponenti più critici della nuova generazione. Anche Bersani è in imbarazzo. Ma Penati continua a resistere: difeso, guarda caso, dal governatore Roberto Formigoni, anche lui alle prese con guai giudiziari e con richieste di dimissioni che si trascinano da mesi, e che potrebbero portare la Lombardia al voto regionale anticipato la prossima primavera.

 
http://lastampa.it/2012/10/03/cultura/opinioni/editoriali/il-suicidio-politico-della-seconda-repubblica-DWuL9JiGq5K6xgbq6Xs7eP/index.html
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« Risposta #533 inserito:: Ottobre 19, 2012, 06:09:45 pm »

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01/10/2012

La nuova corsa al centro

Marcello Sorgi

Contrariamente a quel che gli chiedono due su tre dei suoi principali alleati, Mario Monti non deve affatto chiarire le sue vere intenzioni, né candidarsi alle prossime elezioni, in alternativa a Bersani (se vincerà le primarie del Pd) e a Berlusconi (se alla fine sceglierà di scendere di nuovo in campo). Dopo quel che ha detto a New York tre giorni fa, il presidente del Consiglio, per fare il bis a Palazzo Chigi, deve solo continuare a governare, limitando allo stretto necessario, come fa sempre, le sue esternazioni.

 

Quando è all’estero - e gli capita sovente, viste le dimensioni globali della crisi -, Monti, si sa, parla soprattutto ai suoi interlocutori stranieri e ai mercati, che gli chiedono sempre cosa sarà dell’Italia dopo di lui. In questo quadro, è bastato che dichiarasse la sua disponibilità a restare al suo posto anche dopo le elezioni del 2013, per provocare un terremoto politico dalla portata imprevedibile.

 

Basta solo rivedere cosa è successo nei fatidici tre giorni seguiti all’intervento al Council of Foreign Relations. A cominciare dalla novità di Montezemolo, che dopo un’attesa durata troppo a lungo, ha sciolto finalmente la sua riserva. 

 

E invece di scendere in campo in prima persona, ha deciso di schierarsi per il bis dell’attuale premier. Già prima che il presidente della Ferrari si pronunciasse, tuttavia, lo schieramento centrale che punta a un rassemblement dei moderati a sostegno di Monti era nato e cresciuto, e da ieri si presenta piuttosto affollato.

Quando Casini, il 7 settembre, aveva cominciato a dire chiaramente che non c’era altra strada, più di uno aveva arricciato il naso. Anche la fondazione «Italia futura», che fa capo a Montezemolo, aveva criticato l’accelerata centrista, in mancanza di un vero rinnovamento del personale politico. Ma adesso, dopo la disponibilità manifestata da Monti, sono in tanti a prendere atto che aveva ragione Pierferdy, e con il mestiere politico che tutti gli riconoscono, aveva colto subito il mutar del vento.

 

Così che oggi lo schieramento montiano può contare su Fini, sul suo Fli e sui nuovi movimenti di Oscar Giannino e Ernesto Auci. Altri probabilmente verranno nei prossimi giorni. E c’è perfino chi si chiede cosa succederebbe se Renzi, battuto nelle primarie, dovesse tuttavia raggiungere un risultato che gli consenta di influire sulla linea del Pd.

 

Quelle, simmetriche, di Bersani e Alfano, sono infatti al momento le resistenze che minacciano di ostacolare il successo dell’operazione. Dato che si tratta di posizioni meditate, conviene analizzarle e approfondirle: perché si tratta certamente di atteggiamenti coincidenti, ma frutto di percorsi diversi. Non va dimenticato che Bersani, oltre ad essere impegnato nelle primarie - e quindi impossibilitato, come possibile candidato premier, a farsi da parte in favore di Monti -, aveva già rinunciato a novembre 2011 a elezioni anticipate che lo avrebbero visto favorito e avrebbero colto Berlusconi nel suo momento più basso. Quindi il «no» del leader del Pd al bis è meditato e in qualche modo obbligato.

 

Il quadro del Pdl invece è differente. Pur sapendo che è impossibile, Alfano sfida Monti a candidarsi alle elezioni, e non esclude che il Pdl possa appoggiarlo. Sotto sotto, questo è il retropensiero di Berlusconi, che non a caso, seppure sollecitato dal suo partito, aspetta a dirsi pronto a riscendere in campo. Magari alla fine lo farà: ma se Monti, come ha fatto già capire, dovesse dichiarare che è disponibile a restare, se anche la larga maggioranza che lo sostiene sarà confermata, c’è da giurare che l’atteggiamento del Cavaliere potrebbe cambiare.

 

Stiamo insomma assistendo a una sceneggiata. Il leader del Pd e quello del Pdl sanno benissimo che una parte dei loro elettori non vogliono né il bis né restare alleati di quelli che considerano i loro avversari. Ma sanno altrettanto bene che gli toccherà farglieli digerire dopo il voto. Adesso è il momento dei sogni. Dopo verrà l’ora di fare i conti con la realtà.

da - http://www.lastampa.it/2012/10/01/cultura/opinioni/editoriali/la-corsa-sul-carro-del-professore-u8Ld6ltGJF6hnfV8reQz0L/index.html
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« Risposta #534 inserito:: Ottobre 24, 2012, 03:58:32 pm »

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24/10/2012 - taccuino

Le primarie e il conflitto d’interessi di Soro

Marcello Sorgi

Nel Pd la corsa alle primarie diventa più dura e si arriva alla carta bollata. L’esposto che Matteo Renzi ha presentato all’Autorità garante della privacy, contro l’obbligo di sottoscrivere l’appello ed essere inseriti in un elenco per partecipare alle votazioni, segna un ulteriore passo avanti verso una campagna senza esclusione di colpi. Una tendenza già manifestatasi nei giorni scorsi, quando Bersani, dopo l’incontro di Renzi con un gruppo di uomini di finanza, lo aveva accusato di accompagnarsi troppo disinvoltamente con soggetti che frequentano i paradisi fiscali delle Cayman Islands.

Ma il ricorso di Renzi al Garante della privacy rischia di essere imbarazzante per un’altra ragione. A capo dell’Autorità, pochi mesi, fa è stato nominato Antonello Soro, l’ex capogruppo del Pd, e prima ancora della Margherita, che aveva lasciato il posto di presidente dei deputati alla Camera a Dario Franceschini. Soro, va detto, è una persona seria, non è tipo da prestarsi a giochi e giochini. Inoltre, trovandosi a capo di un organo collegiale, difficilmente potrebbe far passare una decisione politica camuffandola da ordinanza giuridica.

Ma con il clima che sta montando dentro e fuori il Pd (vedi le polemiche che hanno accompagnato la designazione di Giovanna Melandri alla presidenza del Maxxi), sarà inevitabile che il responso dell’Autorità venga attaccato. Se infatti accoglierà le obiezioni di Renzi, si dirà che lo ha fatto perché Soro, obbedendo alla sua natura democristiana, s’è schierato con lui contro Bersani. E se invece gli darà torto, si sosterrà che, per la stessa ragione, tra il sindaco cattolico di Firenze e i suoi avversari democristiani del Pd, ha scelto i secondi.

Forse Soro farebbe bene ad astenersi dal partecipare alla seduta del consiglio dell’Autorità che, «presto», come lui stesso ha assicurato, si occuperà del caso. Ma anche se lo farà, non è detto che la sua assenza non suoni da conferma alle obiezioni che tendono a sottolineare il possibile conflitto di interesse tra la sua lunga carriera politica e l’incarico di garanzia che adesso ricopre.

Quando Soro fu designato, a protestare contro la sua nomina, fu Romano Prodi in persona: disse che non erano più tempi di lottizzazione e che il Pd con quella scelta correva il rischio di farsi male. Non poteva immaginare che sarebbe accaduto così presto. Ma con quel che sta accadendo in questi giorni, oggi il monito dell’ex-presidente del consiglio e leader dell’Ulivo suona come un presagio.

da - http://www.lastampa.it/2012/10/24/cultura/opinioni/editoriali/le-primarie-e-il-conflitto-d-interessi-di-soro-ZlDIpzDqc7HMvpNeGfDj1O/pagina.html
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« Risposta #535 inserito:: Ottobre 26, 2012, 09:28:39 am »

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25/10/2012


Centrodestra, l’eredità difficile

Marcello Sorgi


Ci sono molti aspetti sorprendenti della caduta - stavolta, pare, definitiva - di Berlusconi. Il primo è che fino a ieri diceva il contrario, voleva restare in campo per fondare un nuovo partito, con le sue Amazzoni o con il marchio originario di Forza Italia. Il secondo è che voleva sciogliere il Pdl, e invece dal Pdl è stato sciolto. Il terzo è che non ha indicato un successore, e per trovarlo anche il centrodestra andrà alle primarie, il 16 dicembre. 

 

Questi tre fattori messi insieme dicono che il vecchio Silvio non è caduto da padre-padrone, come si era abituati a conoscerlo. Ma, più o meno, come uno dei tanti leader che prima o poi si ritrovano in minoranza, e a cui il vertice del partito fa sentire i rintocchi della fine.

Una conclusione così normale, così banalmente politica, era assolutamente imprevedibile per l’uomo che aveva guidato la rivoluzione della Seconda Repubblica, anche se da un anno almeno il Cavaliere girava a vuoto, sommando sconfitte su sconfitte, e il disastroso punto d’arrivo del suo ventennio era ormai sotto gli occhi di tutti. Basta solo paragonare la situazione attuale a quella del ’93, senza pretese di bilanci storici che certo richiederanno più approfondimento, e guardandosi anche dal caricare tutte le responsabilità del fallimento sul Cavaliere.

 

La corruzione, che fu alla base del crollo della Prima Repubblica, è oggi, se possibile, peggiorata. Se non altro, allora c’erano ragionevoli dubbi che una parte dei proventi delle tangenti pagate dai privati servissero al finanziamento occulto della politica. Ora è il contrario: i soldi pubblici, che lo Stato versa ai partiti e ai gruppi parlamentari e regionali, finiscono nelle tasche degli eletti, che li adoperano per i più disparati usi personali.

Le riforme, che furono la bandiera, non solo del Berlusconi vincente del ’94, ma anche dei suoi avversari che lo sostituirono al governo nel ’96 e nel 2006, sono rimaste in questi decenni, durante ben cinque legislature, una vuota declamazione e un’ennesima occasione di scontro. Le rare volte che si è riusciti, in fretta e per esigenze elettorali, ad approvarne qualcuna - federalismo e revisione costituzionale del centrodestra, decentramento e nuovo Titolo Quinto del centrosinistra - le conseguenze sono state tali da far rimpiangere subito l’antico testo della Costituzione.

 

A ben vedere anche il bipolarismo, l’apertura del gioco politico a tutto campo e la piena legittimazione di tutte le forze politiche - questo sì, un merito che a Berlusconi va riconosciuto - ora sta per essere cancellato, da una riforma elettorale che, in un modo o nell’altro, vuol riproporre il vecchio impianto proporzionale della Prima Repubblica e il sistema partitocratico che aveva nel Parlamento il laboratorio di ogni alchimia.

 

Sembra impossibile che questo possa essere davvero lo sbocco di un ventennio così tormentato. E che lo diventi proprio nel momento in cui i due maggiori partiti, consapevoli delle loro crisi - pur diverse, nella genesi e nell’entità - affidano ai rispettivi elettori il responso sul loro futuro. Se è finita o deve finire l’epoca del populismo e del plebiscitarismo, incarnata principalmente da Berlusconi, non si capisce perché leader aspiranti o sopravvissuti cerchino ancora la rilegittimazione nei gazebo. Se invece credono che solo il lavacro dell’opinione pubblica, prima ancora che il voto popolare vero e proprio, possa renderli di nuovo credibili, forse dovrebbero rivolgersi ai cittadini con maggiore sincerità. E con argomenti più convincenti, che non facce, storie familiari e promesse destinate purtroppo a essere smentite dai fatti.

 

Ma per tornare al centrodestra, terremotato, prima dal declino di Berlusconi, e adesso dal suo repentino addio, non è detto che riesca a ritrovare così presto un nuovo equilibrio. L’ipotesi che, uscito il Cavaliere, tutti i pezzi sparsi si ricompongano miracolosamente, varrà - se varrà - per il Pdl, che con le primarie potrà designare, finalmente in modo democratico, il successore del Cavaliere (Alfano è il candidato che parte più forte). Se invece, come sembra, e come ha riproposto di recente il presidente del Senato Schifani, l’obiettivo è di ricomporre la coalizione, da Casini a Storace, che ha sempre vinto le elezioni quando s’è presentata unita, il cammino sicuramente sarà più lungo.

 

I centristi infatti non hanno molta intenzione di farsi riattirare nel meccanismo dei due schieramenti alternativi, che si contendono la guida del Paese non riuscendo poi a governarlo. In questo senso, l’uscita dalla prima linea di Berlusconi fa chiarezza, ma non basta. E la partita torna al punto di partenza: dove deve andare l’Italia? Avanti o indietro? Verso che tipo di repubblica e democrazia? Con più o meno Europa?

Serietà vorrebbe, visto il pesante bilancio degli ultimi anni, che interrogativi del genere fossero affrontati con l’impegno, le riflessioni e la pacatezza che richiedono. E senza l’ansia di riconnetterli per forza alla corsa per la conquista, o la riconquista, del governo. Che per fortuna - speriamo ancora per un po’ di tempo - può restare nelle salde mani di Monti.

da - http://www.lastampa.it/2012/10/25/cultura/opinioni/editoriali/centrodestra-l-eredita-difficile-ycG7TTULBVweWkZpywWdIO/pagina.html
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« Risposta #536 inserito:: Ottobre 27, 2012, 12:05:14 pm »

Editoriali

26/10/2012 - taccuino

Berlusconi, l’incognita della possibile ridiscesa in campo

Marcello Sorgi

Ma sarà vero che ha mollato? Il giorno dopo tutti sono increduli, neppure il bis tv dell’addio, con la stessa scenografia della discesa in campo, riesce a fugare i timori che Berlusconi, sotto sotto, sia uscito da una porta girevole, come se fosse pronto a tornare sui suoi passi, se dovesse offrirsene l’occasione. Ora tutti gli occhi sono puntati su Alfano, il candidato favorito alle primarie, alle quali, già ieri, minacciavano di presentarsi una decina di aspiranti. Se va avanti così anche la consultazione interna del centrodestra, dopo quella del Pd, dovrà essere regolamentata, per evitare che sfocino in una specie di rissa tra gli eredi del berlusconismo. Il primo compito del segretario in carica del Pdl sarà proprio questo: governare il passaggio complicato della fine della leadership carismatica del Cavaliere, e portare il partito al voto che dovrà designare il candidato premier.

E’ un percorso pieno di ostacoli, e Alfano non se lo nasconde. L’avvio sarà condizionato dal risultato delle elezioni siciliane: la vittoria o la sconfitta del centrodestra peseranno particolarmente sul segretario, originario dell’isola, anche se non in modo definitivo. Più in generale, il destino di Alfano dipenderà dalla sua capacità di mostrarsi autonomo da Berlusconi, ora che Berlusconi s’è fatto da parte, smentendo l’immagine di obbediente «segretario del leader» che per oltre un anno è stata usata contro di lui.

Indicativo, in questo senso, sarà il test della riforma elettorale. Se davvero il Pdl vuole spendersi per ricostruire l’alleanza tra moderati che Berlusconi aveva distrutto, rompendo prima con Fini e poi con Casini, Alfano dovrà cercare di far approvare la nuova legge elettorale semiproporzionale. Per riagganciare l’Udc, questo, e non altro, è il prezzo da pagare: e la cautela mostrata da Casini, di fronte all’abbandono del Cavaliere, nasce proprio di qui. Se invece la riforma dovesse affondare, come teme il presidente del Senato Schifani, e come alla Camera molti danno per scontato, vorrebbe dire che anche dal suo esilio politico Berlusconi, più propenso a lasciare in vigore il Porcellum, è ancora in grado di dettare la linea. E i dubbi di chi si aspetta un suo plateale ritorno in scena, a quel punto, diventerebbero più fondati. Intanto anche i tempi della legge elettorale sono destinati ad allungarsi: sarà difficile che Alfano prima delle primarie possa muoversi con piena agibilità politica. Anche Casini e Maroni, potenziali alleati di ritorno, aspetteranno di vedere i risultati dei gazebi, per decidere se dar credito o no ad Angelino.

da - http://lastampa.it/2012/10/26/cultura/opinioni/editoriali/l-incognita-della-possibile-ridiscesa-in-campo-cdxSAQy3zV9MZqLU1KsaZP/pagina.html
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« Risposta #537 inserito:: Ottobre 30, 2012, 05:38:21 pm »

Editoriali
30/10/2012 - taccuino

Presto Palermo sarà il solito incubo

Ma la destra esce a pezzi

Marcello Sorgi


Se aveva qualche timore per l’esito del voto in Sicilia, Mario Monti può stare tranquillo: dal voto regionale nell’isola tutti i partiti tradizionali, anche quelli che hanno vinto, escono un po’ ammaccati. L’astensione di più della metà degli elettori - una percentuale mai vista prima - è il segno di uno scollamento dell’elettorato assai difficile da recuperare. La vittoria dell’alleanza Pd-Udc non basta a dare al nuovo presidente la maggioranza per governare (anche se le liste di Vendola hanno perso e resteranno fuori dall’assemblea regionale): Crocetta dovrà ricorrere all’appoggio di Miccichè, ma soprattutto a quello dell’ex governatore Lombardo, che, uscito dalla porta delle regionali a causa dei suoi guai giudiziari, avrà subito l’occasione per rientrare dalla finestra. Il «risultato storico» di cui ieri parlava Bersani presto si trasformerà nel solito «inciucio»; e verrà adoperato contro il Pd come argomento elettorale in una delle prossime votazioni.

 

La destra che si presentava divisa, con due candidati, esce a pezzi dalla competizione. Alfano in una conferenza stampa ha reagito confermando le primarie, ma senza prendere le distanze dal Berlusconi di lotta rientrato pienamente in campo sabato. Il destino del segretario del Pdl dipenderà da quanti candidati si presenteranno per sbarrargli la strada o farlo vincere, sì, ma con una percentuale modesta che lo costringerebbe a negoziare con tutte le varie anime del suo partito.

 

Grillo e il suo movimento, usciti primi dalle urne siciliane, restano la grande incognita delle prossime elezioni politiche del 2013. Ma anche lui, il comico giunto a nuoto sulle coste siciliane, ha vinto restando sotto il 20 per cento. Con un Parlamento fatto di piccoli partiti e di piccoli gruppi parlamentari, la situazione italiana non potrebbe che peggiorare. Di qui, da un lato l’incubo di vedere anche in Italia un quadro politico simile a quello della Grecia; e dall’altro la necessità, per tutti, di riflettere sul Monti-bis. Dicendo chiaramente, da ora, che quella è l’unica prospettiva per far sì che il Paese sia governato. E non agitando ancora inutili illusioni, a cui gli elettori, del resto, hanno già dimostrato di non credere.

 da - http://lastampa.it/2012/10/30/cultura/opinioni/editoriali/presto-palermo-sara-il-solito-incubo-ma-la-destra-esce-a-pezzi-pQzRRXJfYe0FTTN6e6FU9M/pagina.html
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« Risposta #538 inserito:: Ottobre 31, 2012, 05:58:21 pm »

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31/10/2012 - taccuino

Il Colle, la Consulta e la riforma necessaria

Marcello Sorgi

Il nuovo appello, ieri, di Napolitano sulla legge elettorale è strettamente connesso all’uscita di Berlusconi, sabato, dopo la sentenza di Milano, e ai risultati delle elezioni regionali in Sicilia di lunedì. Il Capo dello Stato, e non solo lui, ne ha tratto l’impressione che entrambi i fatti fossero destinati a ripercuotersi negativamente sul cammino della riforma, giunta faticosamente al Senato alla vigilia della discussione in aula. Di qui il suo ulteriore richiamo.

 

Nel caso del Cavaliere, infatti, il suo atteggiamento favorevole al mantenimento del Porcellum era esplicito. E l’incontro avuto due giorni fa con Bossi e Calderoli tendeva a rimettere in piedi, per quanto possibile, il vecchio asse del Nord Pdl-Lega. Quanto ai risultati delle elezioni siciliane, è evidente che un ritorno al proporzionale, che spingerebbe i partiti a presentarsi ciascuno per conto proprio, finirebbe con il favorire Grillo e il suo movimento in irresistibile ascesa.

 

Napolitano non è entrato nel merito del dibattito, che sotto sotto punta a sabotare la nuova legge. Ha solo inteso ricordare che il Porcellum, così com’è, non è una soluzione, e che una riforma è comunque necessaria. Da giorni, ormai, circola voce il Presidente potrebbe indirizzare al Parlamento un messaggio formale su questo argomento. E anche se non è detto che lo faccia a breve termine, Napolitano, a chi è andato a trovarlo per discuterne, ha ricordato che è stata la Corte costituzionale, in occasione della sentenza sui referendum, a dichiarare che il meccanismo del premio di maggioranza contenuto nel Porcellum dev’essere cambiato, perchè rischia di alterare la normale espressione della volontà popolare. Teoricamente, infatti, se al voto si presentassero diversi schieramenti, e non solo due coalizioni avversarie, come appunto è avvenuto in Sicilia, potrebbe darsi il caso che una delle liste, solo per il fatto che è arrivata prima e a prescindere dalla quantità di voti raccolti, conquistasse alla Camera, grazie al premio, il 55 per cento dei seggi. Per correggere questo meccanismo, ed eliminare le storture connesse, occorrerebbe stabilire una soglia a partire dalla quale far scattare il premio: minimo il 35-40 per cento, per far sì che la lista che se lo aggiudica possa almeno contare su una maggioranza relativa conquistata nelle urne.

 

Il Parlamento, in altre parole, non può scegliere se fare o no la riforma. La Consulta ha stabilito che deve farla comunque.


da - http://www.lastampa.it/2012/10/31/cultura/opinioni/editoriali/il-colle-la-consulta-e-la-riforma-necessaria-uMUrythFEMlCaJoqDoOVZP/pagina.html
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« Risposta #539 inserito:: Novembre 06, 2012, 10:22:12 pm »

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06/11/2012 - taccuino

Le regole che cambiano i giochi del centro

Marcello Sorgi

A Mario Monti non piace l’idea che qualcuno dei suoi ministri si candidi alle prossime elezioni. Ma se proprio dev’essere - ha spiegato a Bruno Vespa in una lunga intervista per il suo prossimo libro - l’augurio è che siano pochi e distribuiti tra i diversi schieramenti. Fin qui, però, le ipotesi di candidature di ministri sono rimaste un po’ per aria. La tendenza è stata quella di avvicinarsi, più che a sinistra e a destra, al centro. Per la destra, in particolare, nessun ministro ha mostrato simpatie. A sinistra s’è parlato di una possibile candidatura del ministro per la coesione Barca. A settembre, un folto gruppo di rappresentanti del governo si presentò al convegno organizzato da Casini in vista di un allargamento dell’Udc. 

In realtà l’unico che in un paio di interviste ha lasciato intravedere la propria disponibilità a restare in politica (anche non necessariamente candidandosi per il Parlamento), e continuare nel proprio impegno, è Corrado Passera, che è anche il più corteggiato tra i membri del governo. Ma il problema della collocazione in lista dei possibili candidati è ancora aperto e resta legato a quale sarà la scelta finale di Casini, in attesa, a sua volta, di conoscere lo sbocco finale della riforma elettorale.

Se si arriverà a una nuova legge (e in questo senso il pressing del Quirinale diventa ogni giorno più forte) e se il risultato sarà il ritorno al proporzionale, Casini guiderà il centro e solo dopo il voto negozierà un’eventuale alleanza con la sinistra. L’obiettivo è quello di arrivare, anche grazie a candidature eccellenti come quella di Passera e ad alleanze con altre formazioni centriste come Italia Futura di Montezemolo, a uscire dall’attuale condizione di minoranza e raccogliere tra il dieci e il quindici per cento dei voti, un risultato che renderebbe i centristi determinanti nelle trattative per il nuovo governo. 

Se invece dovesse restare il Porcellum, così com’è o con una modifica che consenta l’assegnazione del premio solo alle coalizioni che raggiungono il quaranta per cento, Casini, che nei giorni scorsi ha detto che non rinnoverà l’alleanza con il centrodestra nelle regionali di Lombardia e Lazio, potrebbe anche decidere alla fine di stabilire un accordo con Bersani, seppure in termini da vedere. In questo caso, che è di là da venire, non bisogna dimenticarlo, i centri potrebbero diventare due: uno, appunto, alleato del centrosinistra. E l’altro dei possibili candidati ministri.

da - http://lastampa.it/2012/11/06/cultura/opinioni/editoriali/le-regole-che-cambiano-i-giochi-del-centro-eYgaVAZYtOg5TsoV9Ww0OL/pagina.html
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