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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288596 volte)
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« Risposta #345 inserito:: Agosto 05, 2011, 04:59:20 pm »

5/8/2011 - TACCUINO

Per Silvio le parti sociali preparano solo una trappola

MARCELLO SORGI

L'imbarazzo delle delegazioni era evidente, anche se Berlusconi ha finto di non accorgersene. E la riunione al ritrovato tavolo con le forze sociali s’è svolta in un indispensabile clima di ipocrisia, mentre di ora in ora le Borse facevano registrare un’altra giornata nera, che non sembra sia stata per nulla alleviata dagli esiti del dibattito parlamentare sulla crisi di mercoledì. Se non fosse che il ritorno a un clima di confronto è di per sé una buona notizia, pensando al livello delle relazioni degli ultimi mesi tra governo Confindustria e sindacati, sarebbe davvero difficile credere alla svolta del Cavaliere in materia di concertazione.

È stato il precipitare degli eventi degli ultimi giorni a convincere il premier che era necessario tornare sui propri passi e promuovere un’apertura alla trattativa. Ma il giudizio di Berlusconi sul documento messo a punto dalle parti sociali la settimana scorsa era e rimane duramente negativo. Più che l’offerta di disponibilità a trovare un terreno di incontro, il Cavaliere aveva colto in quel testo, messo a punto piuttosto precipitosamente e non del tutto condiviso all’interno delle organizzazioni che lo avevano firmato, una chiara minaccia al governo.

La sensazione, percepita anche dai più stretti collaboratori del premier, era che si trattasse di un modo di accelerare una soluzione d’emergenza, un governo tecnico o istituzionale da insediare al più presto, e che dunque le parti sociali si fossero risolte a far da sponda a una pressione che veniva dall’opposizione. Non si può certo dire che Berlusconi avesse completamente messo da parte questi pensieri quando ieri si è seduto al tavolo della concertazione.

A dimostrarlo era il nervosismo, tradito in più occasioni dal premier: come quando s’è lasciato andare a uno dei suoi consueti sfoghi contro la magistratura, o quando ha avuto un breve alterco con Tremonti sul ruolo della Banca centrale europea, durante la conferenza stampa a Palazzo Chigi. Al di là degli impegni presi e delle reciproche assicurazioni, del governo e delle delegazioni, di accorciare al massimo le vacanze e tenersi pronti a qualsiasi emergenza, il bilancio delle due giornate anti-crisi, in Parlamento e a Palazzo Chigi, resta dunque assai modesto, e il futuro del governo assai incerto. La situazione è lontana dall’essere tornata sotto controllo. Finché la tempesta sui mercati non dà qualche segno di stanchezza, purtroppo, le buone intenzioni dovranno fare i conti con eventi imprevedibili che ormai non dipendono più da noi.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9065
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« Risposta #346 inserito:: Agosto 12, 2011, 09:08:05 am »

12/8/2011

L'estremo rimedio

MARCELLO SORGI

Oltre a confermare la gravità e l’eccezionalità del momento, il rientro anticipato del presidente Napolitano a Roma e l’intervento diretto ed esplicito del governatore di Bankitalia, e futuro presidente della Bce, Draghi nella crisi, hanno sancito, se ancora ve ne fosse il dubbio, qual è il senso della giornata a cui abbiamo assistito e dell’anomala vigilia di Ferragosto che si prepara, con la probabile convocazione per oggi del Consiglio dei ministri che dovrebbe varare per decreto la manovra-bis. Come già nel 1992-’93, quando per la verità la malattia sembrava solo italiana, e il Paese rischiava di perdere l’appuntamento con l’euro, siamo nuovamente alle soglie di una temporanea (speriamo) sospensione della sovranità nazionale. A mali estremi...

Il potere politico e il governo che ci hanno portato (non da soli, va ricordato) al punto in cui siamo, saranno sostanzialmente commissariati per varare provvedimenti adeguati alla bisogna. Ieri mattina, mentre un imbarazzato - e apertamente contestato - Tremonti illustrava in Parlamento la cura da cavallo che l’Europa ci chiede, il Capo dello Stato e il Governatore di Bankitalia si preparavano a far digerire a Berlusconi la stessa amara medicina che già oggi il governo dovrebbe somministrare in massicce dosi al Paese.

Si dirà che, benché motivato dall’emergenza, tutto ciò non è perfettamente democratico. Ed è quel che hanno detto, parola più parola meno, gran parte dei leader intervenuti ieri nel dibattito parlamentare. Da Bossi, che ha rotto platealmente l’amicizia con Tremonti e ha accusato Draghi addirittura di voler far saltare il governo, ad alcuni esponenti di rilievo del Pdl, a tutti i capi dell’opposizione, che hanno preso a schiaffi metaforicamente il responsabile dell’Economia, sottoponendolo a una sorta di processo. Più il ministro andava avanti, nella drammatica elencazione delle misure necessarie suggerite dalla Bce con la sua famosa lettera, più Bersani, Casini, Rutelli, Bocchino, Di Pietro, per non dire dello stesso Presidente della Camera Fini, riscopertosi anche lui leader dell’opposizione, sgranavano gli occhi e si lasciavano andare a commenti pesantissimi, quasi appunto non fossero consapevoli come tutti della drammatica situazione da fronteggiare.

Ma, al di là di toni e parole usate, in qualche caso sconvenienti, va detto che questa discussione, pur legittima come qualsiasi dibattito si svolga in Parlamento, è del tutto inutile e purtroppo controproducente. Non c’è, né il tempo, né la possibilità di affrontare una tale questione. La tempesta sui mercati che sta mettendo a terra le economie occidentali ha svariate cause, alcune delle quali lungi dall’essere identificate, ma non c’è dubbio che l’incertezza e le fumisterie della politica, non solo di quella italiana, la incoraggino, accelerandola e in molti casi aggravandone le conseguenze. Qui si tratta di decidere, subito, cosa fare, senza perdersi in calcoli di convenienza o soppesare gli immancabili dati dei sondaggi.

Politicamente, è chiaro, la levata di scudi delle opposizioni - all’interno delle quali tuttavia Casini continua ad avere un atteggiamento più dialogante - sottende il desiderio di affidare il governo di una fase così dura a un nuovo esecutivo, sostenuto da una maggioranza più larga e ovviamente non guidato da Berlusconi. Obiettivo legittimo, anche questo, ma, va aggiunto, attualmente irrealizzabile, visto che il Cavaliere è deciso, e ha detto in tutte le salse, che se ne andrà solo quando il Parlamento provvederà a sfiduciarlo, ed è tuttora contrario all’allargamento della coalizione che Alfano quotidianamente gli propone. All’interno del governo c’è chi dice che il premier, tolta la sua viscerale contrarietà alla patrimoniale, o almeno alla patrimoniale fatta in questa fase, si sarebbe perfino rassegnato, e via via poi convinto, a giocare la scommessa del risanamento, specie dopo che la crisi negli ultimi giorni ha assunto dimensioni mondiali, e minaccia da vicino anche partners di prima grandezza come la Francia. Di qui l’insolito atteggiamento remissivo con cui s’è presentato ieri a Draghi e a Napolitano.

Malgrado ciò, sbaglierebbe Berlusconi a trascurare il malessere delle opposizioni, che dovranno gioco forza piegarsi, come sta facendo il governo, alle necessità di un passaggio così difficile. La stagione dei guai è appena cominciata, nessuno è in grado di dire quanto durerà. In circostanze del genere è giusto chiedere a tutti uno sforzo. Ma indispensabile anche essere riconoscenti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9086
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« Risposta #347 inserito:: Agosto 22, 2011, 04:15:37 pm »

22/8/2011

Il Presidente ruba la scena al Cavaliere

MARCELLO SORGI

Per il luogo in cui s’è svolto e per le reazioni che ha suscitato - una serie ininterrotta di applausi e ovazioni - l’intervento di Napolitano ieri al Meeting di Cl è destinato a fissare un passaggio delicato della difficilissima crisi che l’Italia sta attraversando. E non solo perché le assise di Rimini sono da tempo il luogo dell’annuale, festosa celebrazione dell’amato «Silvio», da parte di una delle più vivaci componenti giovanili del mondo cattolico.

Ma perché, se non si fosse trattato di Napolitano, si potrebbe dire che anche Comunione e Liberazione, a dispetto della sua consolidata simpatia per il centrodestra, s’è affacciata tutt’insieme nelle affollate praterie dell’antipolitica.

Come altrimenti dovevano intendersi gli scroscianti battimano tributati al Presidente, che con il necessario vigore condannava la classe politica nel suo complesso, di governo e di opposizione, giudicandola esplicitamente non all’altezza dei suoi compiti, specie in un momento così grave per il Paese? Ma siccome, appunto, Napolitano non è minimamente suscettibile di cedimenti antipolitici e il suo discorso conteneva un monito chiarissimo, rivolto a tutti, a fare il proprio dovere, è evidente che questa consapevolezza doveva essere già diffusa tra i giovani di Cl, e che il Presidente ne ha dato un’interpretazione vicina alle loro preoccupazioni.

Chi ha assistito alle contorsioni dell’ultima settimana, dopo il varo del decreto di Ferragosto con la manovra-bis, non può che condividerla. All’accelerazione che aveva portato ad anticipare le misure per il pareggio di bilancio, nel tentativo di frenare la corsa pazza dei mercati, è seguito un rilassamento inaccettabile. Benché firmato di corsa dal Presidente, rientrato apposta in anticipo al Quirinale dalle vacanze, il testo del governo ha fatto appena in tempo ad apparire sulla Gazzetta Ufficiale per essere subito sottoposto a un incredibile tiro al bersaglio. Dissidenti, correnti organizzate, fuoco amico, esplicite prese di distanze di singoli e gruppi organizzati. E a sorpresa, lo stesso presidente del Consiglio, dal chiuso di una vacanza di sofferenza, dedicata, come ha fatto sapere, a una drastica quanto inevitabile dieta dimagrante, che ne disconosceva la paternità. Nei giorni più caldi della prima estate in cui, almeno mentalmente, gli italiani non sono potuti andare in vacanza, Berlusconi ha adoperato la sua collaudata tecnica dei messaggi doppi. Pubblicamente, e personalmente, nelle rare apparizioni pubbliche e nei pochi giorni che ha trascorso in Sardegna, ha tenuto fermo il registro dell’intoccabilità o quasi della manovra. Ma dietro le quinte, con tutti quelli che andavano a trovarlo, si dichiarava insoddisfatto, scaricava su Tremonti la colpa di averlo costretto a metter le mani nelle tasche degli italiani, si diceva pronto a fare ogni cosa per modificare le misure e renderle più digeribili.

È questo modo di comportarsi che deve avere particolarmente irritato il Capo dello Stato. Conseguentemente il primo bersaglio del suo discorso era senz’altro il presidente del Consiglio, e l’illusione, durata lo spazio di un mattino alla vigilia di Ferragosto, di un sussulto di responsabilità del governo di fronte al Paese che stava affondando. Ma anche l’opposizione, agli occhi del Capo dello Stato, è rimasta molto al di sotto del senso di responsabilità che le è richiesto. Nessuno in altre parole, neppure le parti sociali che pure avevano preso posizione duramente, è stato in grado di dare un segno di discontinuità e mostrare di aver capito l’eccezionalità della situazione. Arrivare in queste condizioni al confronto parlamentare che dovrebbe varare la manovra in tempi brevi, e svolgersi sotto i colpi quotidiani dei mercati, sarebbe più che rischioso. E soprattutto impossibile, solo a immaginarne le conseguenze.

D’altra parte Napolitano sa bene che l’atteggiamento dell’opposizione è condizionato alla richiesta, ribadita più volte, di un cambio di governo per fronteggiare meglio la crisi. Una richiesta legittima, ma che non può diventare pregiudiziale. Forse è proprio per questo che, in un discorso in cui non ha risparmiato nulla, ma proprio nulla, ai leader politici consultati appena una settimana fa al Quirinale, non ha voluto toccare il punto del cosiddetto «governo del Presidente», da più parti invocato negli ultimi giorni al bazar della politica nostrana. Senza nulla dire e senza nulla escludere in materia, Napolitano ha voluto chiaramente fare intendere che anche di un’ipotesi estrema come quella è necessario discutere con maggior serietà.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9113
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« Risposta #348 inserito:: Agosto 23, 2011, 10:04:23 am »

23/8/2011

Ora il premier si gioca tutto

MARCELLO SORGI

Il secco no a ogni ritocco delle pensioni ribadito ieri dalla segreteria della Lega al gran completo anticipa il braccio di ferro sulla manovra tornata in discussione al Senato. Malgrado l’esplicita richiesta ufficiale di un ripensamento avanzata ieri da Cicchitto a nome del Pdl, il testo uscito da via Bellerio non contiene alcuno spiraglio. E’ la prima risposta negativa, purtroppo, all’appello al senso di responsabilità e al rispetto dell’interesse nazionale lanciato dal Capo dello Stato domenica a Rimini. Ma prima di ogni cosa è l’effetto evidente dello scontro sotterraneo che sulla stessa manovra cova tra Berlusconi e il ministro dell’Economia Tremonti. Uno scontro in cui il Cavaliere preme sul Senatùr per convincerlo ad accettare una parziale riscrittura della manovra rompendo contemporaneamente l’asse con Tremonti ed agevolando un rapido iter parlamentare.

Su questo, come dimostra la nota diramata dal presidente del Consiglio ieri sera in appoggio alle richieste del Capo dello Stato e in difesa dei valori dell’unità d’Italia (in polemica con il rilancio della Padania e degli annunci secessionisti operati da Bossi), Berlusconi è disposto a giocarsi tutto. Sommerso (ma poi non tanto) nei giorni della convulsa preparazione del decreto, il dissenso è riesploso nei giorni successivi in modo singolare. Con Tremonti che ha fatto di tutto, tra visite a Bossi e pranzi di compleanno in Cadore, per mostrare pubblicamente la sua perfetta armonia con il Carroccio, con il quale è stata evidentemente concordata la selezione delle misure incluse e di quelle escluse dalla manovra. Mentre Berlusconi ha parlato per bocca dei «suoi» dissidenti, gran parte dei quali, è chiaro, sono tutt’altro che spontanei e rispondono invece direttamente al premier.

Basta guardare due come Crosetto e Napoli, da sempre fedelissimi del Cavaliere. L’idea che da un giorno all’altro abbiano autonomamente preso le distanze dal loro leader fa sorridere chi sa come funziona il partito del presidente. Così l’inverosimile emersione ferragostana di una ventina di obiettori di coscienza, sufficienti a mettere in discussione l’approvazione del decreto e a rendere evidente la necessità di una mediazione e di un riaggiustamento della manovra è chiaramente funzionale all’obiettivo di Berlusconi di ottenere un cambiamento delle misure e di renderle più digeribili per i suoi elettori.

E la parallela opposizione della Lega a qualsiasi riscrittura è quel che serve a Tremonti per dimostrare che la «sua» manovra è intoccabile. Nel Parlamento appena riaperto c’è chi dice che questo braccio di ferro finirà con Tremonti fuori dal governo e un tecnico come Grilli al suo posto. Ma c’è pure chi obietta che una sostituzione del genere sarebbe impossibile senza una crisi di governo. Al lavoro per tutti questi giorni nella speranza di costruire un accordo tra i due, anche gli ultimi pontieri si preparano a gettare la spugna. Stavolta più che mai Silvio e Giulio sono soli faccia a faccia.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9117
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« Risposta #349 inserito:: Agosto 24, 2011, 09:53:33 pm »

24/8/2011 - TACCUINO

I tempi che si allungano sono sintomo di difficoltà

MARCELLO SORGI

Se mancava ancora un sintomo di difficoltà per la manovra in discussione al Senato, basta solo applicarsi ai tempi della discussione e dell'approvazione del decreto varato alla vigilia di Ferragosto. È ormai chiaro che i senatori non riusciranno a licenziarlo prima del 15 settembre. L'esame in commissione sarà lungo e accurato. L'aula di Palazzo Madama non potrà cominciare ad occuparsene prima del 5. Quanto alla Camera, per breve che possa essere il passaggio a Montecitorio, occorrerà un'altra decina di giorni per portare a casa il varo definitivo del testo, sempre che non intervengano modifiche che rendano necessario un nuovo passaggio al Senato.

Come sembrano lontani i cinque giorni di luglio in cui un Parlamento improvvisamente risvegliatosi consapevole dei rischi a cui andava incontro il Paese riuscì ad approvare la prima manovra, rivelatasi purtroppo insufficiente e travolta dalla nuova ondata negativa dei mercati. Davanti alla quale, Berlusconi ha cercato fino all'ultimo di minimizzare, poi, di fronte a una malattia che aveva contagiato anche i più forti tra i partners europei, s'è rassegnato, si fa per dire, al decreto di Ferragosto. Ma con il retropensiero, esplicito fin primo momento, di portare presto alle Camere una serie di modifiche tali da rendere la manovra più digeribile e le conseguenze sul proprio elettorato meno pesanti.

Questo chiaro proposito, avversato altrettanto chiaramente dal ministro dell'Economia, che difende l'impianto delle misure così come sono e teme il classico assalto alla diligenza dei parlamentari con i loro emendamenti, ha portato allo stallo attuale. Ha un bel dire, giustamente, il presidente del Senato Schifani, che l'esame delle eventuali modifiche dovrebbe avvenire a prescindere dalla provenienza politica delle stesse e con un sincero spirito di collaborazione, per rendere al più presto efficaci le decisioni del governo. In mancanza di un serio accordo politico all'interno della maggioranza, che attualmente non si vede, i senatori non possono far altro che prendere tempo.

Si moltiplicano intanto le voci sulla possibilità che il braccio di ferro tra Berlusconi e Tremonti possa concludersi con l'uscita del ministro dal governo. Ma anche a questo proposito, il calendario dei lavori parlamentari non è indifferente. Se alla Camera la manovra approda davvero dopo il 15 settembre, i deputati si troveranno a discutere insieme della crisi economica e del voto sulla richiesta d'arresto del braccio destro di Tremonti, Milanese, previsto per il 19. Con quali conseguenze, ad oggi, è difficile prevedere.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9123
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« Risposta #350 inserito:: Agosto 30, 2011, 10:04:22 am »

30/8/2011

Ma è solo un provvisorio compromesso

MARCELLO SORGI

Sarà bene non lasciarsi impressionare dalla seconda riscrittura della manovra uscita ieri dal lungo vertice di Arcore tra Pdl e Lega: si tratta di un ennesimo provvisorio compromesso tra i due maggiori alleati di governo (e prima di tutto tra Berlusconi e Tremonti), destinato quasi certamente ad essere rimesso in discussione nel corso nell’iter parlamentare del decreto di Ferragosto. Di qui al 13 ottobre, termine per la definitiva conversione in legge del testo, chissà quanti altri colpi di scena si preparano, mentre il centrodestra archivia lo scatto di reni decisionista di metà estate e torna all’eterno metodo italiano della trattativa infinita.

Nel merito, l’accordo sembra costruito per dare un contentino a tutti: esce l’odiato (da Berlusconi) contributo di solidarietà sui redditi oltre novantamila euro, si riducono, ma solo parzialmente, i discussi (da Lega e dissidenti Pdl) tagli agli enti locali, si rinviano, con la scusa di renderle più stringenti, le criticate (da tutti tranne Di Pietro) abolizioni delle Province, affidate a una norma costituzionale che non è detto vedrà la luce in questa legislatura. Entrano un ritocco delle pensioni, che bisognerà vedere come Bossi riuscirà a digerire, dopo aver passato l’estate a spiegare ai suoi militanti che grazie a lui le pensioni erano salve, riduzioni di detrazioni fiscali miste a più stringenti controlli antielusione, che serviranno a far dire a Calderoli (anche se non è vero) che è passata la sua proposta di tassa antievasione.

Ma al di là dell’effetto annuncio, quando le nuove misure saranno dettagliate, di fronte a ulteriori reazioni di contribuenti che già pagano e verrebbero ulteriormente colpiti, da sommare alla protesta nazionale dei sindaci costretti dai tagli ad aumentare le tasse locali, non è affatto da escludere un’altra marcia indietro del governo. O peggio, una volta creato allarme tra le più note categorie di evasori - sempre gli stessi, sempre perfettamente individuabili - dal miraggio della tassa antievasione potrebbe sortire, miracolosamente, nientemeno che un nuovo condono. Infine, come voleva Tremonti, e al contrario di quel che chiedeva Berlusconi, che su questo punto non è stato accontentato, non si interviene sull’Iva. Non ci vorrà molto a capire - basterà qualche nuova sventola dei mercati - che anche questa nuova versione della manovra non basta. S’è fatto troppo poco e troppo tardi.

Politicamente, al di là delle solite uscite di propaganda per cui tutti si dichiarano contenti, è abbastanza chiaro che la Lega ha avuto sugli enti locali meno di quanto ha dovuto cedere sulle pensioni. E che la lunga mediazione della scorsa settimana, ad opera del segretario Pdl Alfano, se è servita a qualcosa, ha portato a un risultato diverso da quello, abbastanza modesto, con cui si era conclusa. Quanto a Berlusconi e Tremonti, dopo giorni in cui lo stato dei rapporti tra i due era tale che neppure si parlavano al telefono, in conclusione hanno dovuto abbozzare. E rendersi conto che in questa situazione, e con l’autunno che si prepara, come dicevano gli antichi, «simul stabunt, simul cadent». Non rimane loro che puntellarsi a vicenda, per affrontare come possono i rovesci della crisi e le insidie di un comune declino. Non è detto che serva, ma non hanno alternative.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9143
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« Risposta #351 inserito:: Agosto 31, 2011, 10:18:31 am »

31/8/2011 - TACCUINO

L'esecutivo e l'arte antica della sopravvivenza

MARCELLO SORGI

Da Bankitalia alla Corte dei conti, dai sindacati al Pd, la manovra bis (o ter, se si conta anche quella di luglio) ha sollevato un gran numero di reazioni critiche o contrarie, che certo non ne faciliteranno l'iter parlamentare in corso al Senato. L'unico veramente soddisfatto è Berlusconi, che è tornato in tv a Studio aperto per dire che le misure anti-crisi adesso sono più eque e per chiedere all'opposizione di collaborare.

In realtà, se si esamina il percorso del governo attraverso l'estate del terremoto finanziario sui mercati, occorre riconoscere che il Cavaliere, a dispetto di tutti quelli che precedevano che ne sarebbe rimasto travolto, è riuscito invece ad approfittarne. Se la misura di tutto è, come dovrebbe essere, la capacità dell'esecutivo di far fronte all'emergenza e l'adeguatezza dei rimedi messi a punto rispetto all'effettiva dimensione dei problemi, non c'è dubbio che il governo ha rivelato tutta la sua insufficienza e il premier ha rischiato grosso, tentando di nascondere la crisi fino a Ferragosto, e ritrovandosi in pratica commissariato dalla Bce, che lo ha costretto a cambiare passo e ad intervenire per decreto in fretta e furia.

Ma se invece il metro di Berlusconi è quello della sopravvivenza, come effettivamente accade dalla fine del'anno scorso, quando la maggioranza fortissima di cui il centrodestra godeva ha subito la defezione dei finiani, si può dire che ancora una volta il Cavaliere l’ha sfangata. L'affanno americano, il dilagare in tutta Europa della crisi, le difficoltà in cui gli stessi Merkel e Sarkozy si dibattono attualmente hanno messo il premier in condizione di relativizzare i guai italiani e di cercare di giustificare la riscrittura della manovra con la necessità di agire in modo più ponderato, dal momento che nessuno o quasi al momento è in grado di dire quando scenderà la febbre dei mercati.

Le vicende giudiziarie che toccano da vicino Tremonti gli hanno consentito di smussare le resistenze del ministro dell'Economia. Lo spazio, pur limitato, lasciato al suo delfino Alfano nelle trattative ha portato alla smussatura delle resistenze interne dell'ala maroniana della Lega. Così che il risultato, da una parte, è il pasticcio uscito da Arcore, che ha rinfocolato gli attacchi di tutti gli avversari. Ma dall'altro è il ricompattamento della maggioranza e, salvo qualche voce isolata, anche del Pdl. La manovra richiederà quasi certamente nuovi aggiustamenti, anche a breve. Ma il visionario Berlusconi può ricominciare a guardare sorridendo alla scadenza naturale della legislatura, nel 2013.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9147
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« Risposta #352 inserito:: Settembre 02, 2011, 05:56:10 pm »

1/9/2011 - TACCUINO

Nel gioco dei veti incrociati si torna a parlare di elezioni anticipate

MARCELLO SORGI

Si tratti della conseguenza di una nuova impennata della Lega o di un ripensamento generale del centrodestra, dopo aver preso visione dei dati Inps che rivelano come sarebbero state almeno mezzo milione le vittime della riforma, l’abbandono del ritocco alle pensioni di anzianità, con la cancellazione dei riscatti previdenziali della laurea e del servizio militare, ha di nuovo gettato governo e maggioranza nel caos.

Berlusconi è furente sia con Tremonti, le cui valutazioni sui numeri della manovra bis si sarebbero rivelate differenti da quelle, più attendibili, della Ragioneria generale dello Stato, sia con Bossi, che rimette continuamente in discussione gli accordi sottoscritti il giorno prima.

La soluzione a questo nuovo rinvio delle misure sarà cercata oggi a margine del Consiglio dei ministri che dovrebbe occuparsi di giustizia civile. Ma di nuovo sono diventati molto stretti i margini per un compromesso che colmi il buco da 6 - 7 miliardi, apertosi nella manovra con la cancellazione del cosiddetto contributo di solidarietà e con la riduzione dei tagli ai comuni, che i sindaci tra l’altro continuano a considerare insufficiente.

È difficile tuttavia che già nella giornata di oggi il governo sia in grado di adottare nuovi provvedimenti e, malgrado le sollecitazioni del presidente del Senato Schifani, di definire il testo degli emendamenti che dovrebbero essere presentati a Palazzo Madama. D’altra parte, tutte le strade sembrano ostruite da veti reciproci e dalla comune volontà dei protagonisti di non continuare a perderci la faccia.

Se si recupera per tutti il contributo, che al momento è rimasto in piedi solo per i dipendenti pubblici e gli statali, Berlusconi non potrà più dire che è riuscito a evitare di mettere le mani nelle tasche degli italiani. Se si sceglie la strada dell' aumento dell’Iva, si sfida la contrarietà di Tremonti, ribadita fino a lunedì scorso ad Arcore.

E se si torna a lavorare sulle pensioni, magari tentando di fare una vera riforma, e non aggiustamenti parziali che poi si rivelano impraticabili, si dovranno fare i conti con Bossi. Il gioco della Lega, divisa al proprio interno tra il Senatur, più disponibile a un nuovo compromesso, purché non riguardi la previdenza, e Maroni, che pensa che il Carroccio non abbia più nulla da ricavare dalla presenza in questo governo, porta a continuare il logoramento praticato fin qui.

Forse è per questo che all’interno del Pdl, falchi come Napoli ad alta voce, ma anche altri con più prudenza, a sorpresa ieri hanno ricominciato a parlare di elezioni anticipate.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9151
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« Risposta #353 inserito:: Settembre 05, 2011, 11:07:27 am »

5/9/2011

Martinazzoli, l'uomo che seppellì la Dc

MARCELLO SORGI

In una delle ultime interviste diceva: «Quando mi domandano dove vivo, rispondo, “A Brescia, in Svizzera’. L’Italia preferisco guardarla da lontano. Eppure non mi sono mai sentito antitaliano». Mino Martinazzoli, morto ieri fisicamente a quasi ottant’anni - e politicamente molto prima, nel 1993 passerà alla storia come il democristiano che seppellì la Dc. Che altro poteva fare in quell’anno tragico che si aprì con l’incriminazione per mafia di Andreotti, proseguì con il secondo referendum elettorale di Segni che introdusse il maggioritario, togliendo per sempre al partitone cattolico la centralità che ne aveva fatto il perno della Prima Repubblica, e si concluse con le prime elezioni dirette dei sindaci delle grandi città, in cui tutti i candidati democristiani furono esclusi al primo turno?

Subito dopo, la nascita, o la rinascita, del partito popolare, di cui tra l’altro Martinazzoli fu fondatore e brevemente primo segretario, segnò l’accelerazione di un declino che avvolse come una spirale la tradizione politica cattolica italiana, senza che nessuna forma di reincarnazione - che quella con Berlusconi, che vinse son piene le fosse - era impossibile quella casiniana dell’Udc, l’altra ru- collegandosi separatamente, e furba- che un politico raffinato e consumatelliana della Margherita e poi il Pd - mente, con la Lega e con i post-fasci- to come lui non avesse capito. Semriuscissero a restituirle il ruolo che le sti di Fini. plicemente, non volle o non potè spettava. Per questo, gli ultimi quasi E’ difficile dire se Martinazzoli adeguarsi, e ritenne che l’elettorato vent’anni di vita di Martinazzoli - an- non comprese la novità del maggio- democristiano non avrebbe sopporni di studio, di riflessione, di ritorno ritario, o se democristianamente tato il meccanismo semplificatorio alla professione di avvocato che ave- non volle adattar- dello stare da una va sempre esercitato con prestigio e visi. Calati nella parte o dall’altra. rigore - sono stati accompagnati dal realtà dei collegi C’era anche, tormento sulle sue ultime scelte da uninominali, i die- neltormento marleader: la decisione, appunto, di chiu- ci milioni di voti tinazzoliano di dere con la Dc dopo quasi cin- raccolti quell’an- questi ultimi anni, quant’anni di storia; e in seguito di no dal suo nuovo- la difficoltà, forse far presentare i Popolari da soli nelle vecchio partito fruttarono solo l’impossibilità di piegarsi all’ingiuprime elezioni della Seconda Repub- qualche decina di parlamentari, un stizia della sentenza che la Storia blica del ’94: al centro, in solitudine, numero insufficiente a formare una aveva inflitto alla Dc. Mentre altrorifiutando l’alleanza con i Progressi- maggioranza di centrosinistra e a ve, vedi la Germania, i cattolici erasti, la "gioiosa macchina da guerra" bloccare l’avanzata impetuosa del no usciti vincitori dal passaggio epopostcomunista con la quale Occhetto centrodestra. Ma con il senno di poi cale del 1989, che aveva travolto di andò incontro alla sconfitta, ma an- - del quale, sempre va ricordato, lì a poco tutto l’universo comunista dell’Europa dell’Est, in Italia lo stesso terremoto aveva atterrato lo Scudocrociato, dopo che per decenni aveva sbarrato la strada del governo al Pci. Il quale Pci inoltre, benché chiari fossero i rapporti, anche finanziari, con Mosca e con il regime del Cremlino, sopravviveva seppur sconfitto, lasciando alla Dc, e ai suoi storici alleati dei governi di pentapartito della Prima Repubblica, l’indecoroso conto di Tangentopoli da pagare.

Questa irrazionale piega storica, un’anomalia eccessiva perfino per un Paese come il nostro, era ancor più difficile da accettare per un democristiano alla Martinazzoli. Un cattolico colto, brillante, dotato di una personalissima oratoria infiorata di citazioni. Più volte ministro, capogruppo, alla guida di commissioni parlamentari di inchiesta, era nato e cresciuto nella temperie della sua Brescia, alla scuola del prete partigiano don Primo Mazzolari e della sinistra Dc di Alberto Marcora, che faceva, appunto, dell’essere cattolica di sinistra, il proprio tratto distintivo, e in questo si divertiva a competere con l’avversario-amico comunista.

Fino a quando, alla fine degli Anni Settanta, Craxi non arrivò e rompere le uova nel paniere delle relazioni diplomatiche tra i due maggiori partiti di governo e di opposizione, democristiani e comunisti continuavano infatti a trattarsi con grande rispetto e talvolta con complicità, prigionieri di una situazione internazionale bloccata e adagiati nella convinzione, comoda per entrambi, che nulla sarebbe mai cambiato. Ma anche quando Craxi si presentò sulla scena e in breve riuscì a soffiare alla Dc la presidenza del consiglio nel 1983, Martinazzoli, da bresciano, da lombardo, da nordico, fu svelto a coglierne le insidie e insieme la modernità, davanti a tanti democristiani che lo sottovalutavano, convinti di riuscire a logorarlo e archiviarlo in un anno. Toccò a lui, alla fine della legislatura a presidenza socialista, archiviarne l’esperienza e provocare le elezioni anticipate del 1987.

Questa della modernità, della laicità dei credenti, contrapposte all’integralismo di parte del pensiero cattolico, erano l’altra religione di Martinazzoli. Sembra ancora di vederlo, prendere la parola alla fine del convegno di Chianciano, l’annuale appuntamento autunnale in cui la corrente di sinistra celebrava una sorta di congresso separato, e mettere insieme, davanti agli occhi e alle orecchie stupite di molti peones che volevano sapere solo se il governoe la segreteria del partito sarebbero durate o cambiate, una lezione di etica e politica, filosofia e prassi, con un gustoso assemblaggio di aneddoti, aforismi e riferimenti alti.

Alto, magro, l’andatura dinoccolata di certi attori dei vecchi western, il viso sempre segnato da un’espressione sofferente, Martinazzoli parlava quasi sempre per ultimo, prima dell’anziano Benigno Zaccagnini, il leader che aveva rinnovato il partito dopo la crisi del divorzio e di metà Anni Settanta, e poi vissuto in prima persona la tragedia di Moro, di cui portava i segni nella figura curva e nel bastone esile a cui si appoggiava. Forse fu anche per questo che a un certo punto, all’interno della Dc, si cominciò a parlare di Martinazzoli come del "nuovo Zac". Anche se l’aria, ormai, era cambiata, e la speranza che con lui la Dc potesse ancora rinascere, e risalire la china, doveva inevitabilmente andare delusa.

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« Risposta #354 inserito:: Settembre 06, 2011, 03:12:20 pm »

6/9/2011 - TACCUINO

Per la Lega meglio il voto di una nuova stretta sui conti

MARCELLO SORGI

L'ennesimo lunedì nero delle Borse europee, con l'Italia a fondo classifica, ha reso evidente che l'insufficienza della manovra di Ferragosto, pur approvata in commissione al Senato e in vista di essere trasferita alla Camera dopo l'approvazione definitiva dell'aula in un paio di giorni. Ci vuol altro, è il messaggio che continua ad arrivare dai mercati, ai quali non sono sfuggite le molte limature che il confronto parlamentare ha portato al testo del decreto. Ad appesantire ancora il clima, la notizia che Angela Merkel confidenzialmente paragona la situazione dell'Italia a quella della Grecia e che l'agenzia di rating Moody's è pronta a un ulteriore declassamento dell'Italia.

La giornata ha visto un particolare attivismo del ministro Tremonti, a lungo chiuso con Bossi e Calderoli nella sede leghista di via Bellerio a Milano. La sensazione è che il responsabile dell'Economia sia andato a tastare il polso agli alleati per verificare fino a che punto la rigidità su un ulteriore inasprimento delle misure possa essere ridotta, vista la piega che stanno prendendo le cose. Anche se tutto s'è svolto nel riserbo, la ricetta di Tremonti è nota: a malincuore il ministro si adatterebbe a un aumento dell'Iva, che all'interno del governo gli chiedono sia Berlusconi sia numerosi ministri, La Russa in testa, preoccupati della portata dei tagli previsti per i ministeri. E preferirebbe piuttosto tornare a intervenire sulle pensioni, magari con un provvedimento meno estemporaneo di quello messo a punto e poi ritirato dopo quarantott'ore dal collega Sacconi. Si tratterebbe piuttosto di un intervento strutturale, che in Europa è la Bce a sollecitare, per ridimensionare i costi della previdenza nel tempo e ristrutturare i meccanismi di accumulo dei trattamenti di quiescenza. Ciò che appunto Bossi e la Lega non vogliono digerire, dopo essersi presentati per mesi come i garanti dell'intoccabilità delle pensioni.

Il Senatur, e ancor di più il ministro dell'Interno Maroni non credono all'ipotesi, che continua a circolare, di un governo tecnico, che verrebbe insediato dal Quirinale se quello attuale continuasse a risultare incapace di gestire l'emergenza e andasse in crisi non riuscendo a trovare l'intesa con la propria maggioranza per definire misure alternative o aggiuntive rispetto a quelle attuali. Se cade il governo si va a votare, garantisce il Carroccio. Piuttosto che un ennesimo compromesso su un'ulteriore, al momento indispensabile ma anche molto incerta, nuova stretta, è questa l'alternativa che il Carroccio offre al Cavaliere.

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« Risposta #355 inserito:: Settembre 07, 2011, 05:24:54 pm »

7/9/2011 - TACCUINO

I mercati, il voto anticipato e le due anime dell'esecutivo

MARCELLO SORGI

Basterà la versione quattro della manovra a placare la tempesta dei mercati? Benché il varo delle ennesime nuove misure sia avvenuto in modo abbastanza rapido, dopo il sollecito giunto lunedì sera dal Quirinale, nel Consiglio dei ministri convocato d’urgenza ieri in serata, sulla risposta da dare a questa domanda il governo resta diviso. Con Tremonti e la Lega contrari all’inseguimento infinito delle Borse e al nuovo giro di vite inflitto ieri con l’aumento dell’Iva, l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne nel settore privato e il recupero della tassa sugli alti redditi, e Berlusconi e gran parte dei ministri convinti che solo così si poteva tentare di risalire la china. Il premier in altre parole è disposto a pagare qualsiasi prezzo per evitare che il governo sia travolto dalla crisi. Bossi (e sotto sotto anche Tremonti) non escludono invece che a un certo punto risulti politicamente più conveniente andare ad elezioni anticipate, che non rassegnarsi alla rincorsa della speculazione finanziaria. Un’eventualità, quest’ultima, esclusa dal Quirinale, che ritiene che il governo debba fronteggiare la congiuntura cercando anche di apparire più credibile e accelerando al massimo l’iter parlamentare.

Sull’accelerata che stasera dovrebbe mettere i senatori in condizione di dare in aula la loro definitiva approvazione al testo, hanno pesato anche le scadenze dei prossimi giorni, il vertice Bce previsto per domani e il G7 dedicato all’economia annunciato per il fine settimana. Chi li ha visti ieri nell’ora delle decisioni descrive un Berlusconi rasserenato e sicuro che la nottata passerà, e un Tremonti incupito e in privato preoccupato dal continuo rimaneggiamento della manovra, che agli occhi degli osservatori stranieri rischia di contare alla fine di più dello stesso contenuto dei provvedimenti.

L’annuncio del voto di fiducia al Senato sul maxiemendamento ha ovviamente irritato l’opposizione, con cui il presidente Schifani s’era impegnato a garantire un confronto senza forzature, e i sindacati: nel giorno dello sciopero della Cgil, anche Cisl e Uil hanno reagito subito negativamente alle novità, in particolare alla decisione di tornare a cambiare le pensioni pochi giorni dopo aver solennemente rinunciato a toccarle. Il clima politico e sociale insomma è ulteriormente deteriorato, e non è affatto detto che la manovra quater non sia destinata a subire ulteriori aggiustamenti alla Camera. Come possa Berlusconi considerarsi soddisfatto del punto di arrivo del tortuoso percorso di queste settimane, davvero è difficile da capire.

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« Risposta #356 inserito:: Settembre 08, 2011, 04:25:01 pm »

8/9/2011 - TACCUINO

Si allontana l'ipotesi di un "governo d'emergenza"

MARCELLO SORGI

Il varo della manovra con il voto di fiducia del Senato ieri e la prossima approvazione del decreto anche alla Camera dovrebbero chiudere entro la settimana il tormentoso iter delle misure anticrisi, riscritte quattro volte prima di poter vedere la luce. Dire che il governo ne esce rafforzato, come hanno sostenuto ieri gli esponenti della maggioranza nel corso del dibattito a Palazzo Madama, è come minimo un'esagerazione. La buona accoglienza venuta dalla Commissione Europea all'ultima versione del testo e l'allentamento della pressione dei mercati almeno per tutta la giornata non garantiscono affatto da successivi assalti della speculazione che potrebbero verificarsi nelle prossime settimane.

Ma non c'è dubbio che portando a casa la manovra Berlusconi ha scongiurato il rischio di un naufragio a cui il governo è andato vicino più volte in questi giorni, prima per l’evidente sottovalutazione della congiuntura su cui il premier ha tenuto il punto fin quasi a Ferragosto, poi per la difficoltà di trovare un accordo nella maggioranza che ha causato le quattro riscritture del testo. Uno conosciuto per la sua caratteristica prudenza e per l'abitudine di sottrarsi alle dichiarazioni pubbliche come Gianni Letta ha ammesso che il governo sta vivendo settimane «difficili ed amare».

La situazione resta dunque al livello di guardia. E la ripresa, da martedì, degli impegni giudiziari del Cavaliere, a cominciare dall’interrogatorio che la Procura di Napoli andrà a fargli a Palazzo Chigi per approfondire l'inchiesta sul tentativo di estorsione di Tarantini e Lavitola, non gioveranno certo al rasserenamento del clima. Ma al momento può dirsi accantonata la prospettiva di un governo d'emergenza, di cui s'è parlato a lungo in tutto questo periodo nei corridoi, e che è stata riproposta con un'intervista a «Repubblica» dall’ex-ministro dell’Interno Pisanu, accolta positivamente da tutti i principali leaders dell’opposizione. Seppure il rapporto tra i principali partners del centrodestra esca assai logorato dalla trattativa sulla manovra (Berlusconi, Bossi e Tremonti alla fine hanno dovuto cedere ognuno qualcosa e il compromesso finale li ha scontentati tutti e tre), l'alternativa che rimane sul campo dell’affannoso periodo di fine legislatura - vista l'indisponibilità della Lega e del Pdl a sostenere qualsiasi ipotesi di larghe intese - è quella tra l'attuale governo, sempre più malconcio, e il ritorno ad elezioni anticipate.

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« Risposta #357 inserito:: Settembre 09, 2011, 05:51:26 pm »

9/9/2011 - TCCUINO

Intercettazioni nel mirino

Sarà un altro autunno caldo

MARCELLO SORGI

Berlusconi non ha fatto in tempo a godersi il rasserenamento dell’orizzonte economico, dopo il varo della manovra al Senato e l’approvazione venuta dal presidente della Bce Trichet, che subito i suoi guai giudiziari hanno avuto il sopravvento, e rischiano di aprire nuovamente uno scontro senza precedenti con l’opposizione su una materia diversa, ma anche più insidiosa.

I fronti aperti sono due. Quello dell’inchiesta della procura di Napoli in cui il premier risulta parte lesa, come possibile vittima dell’estorsione del trio Lavitola, Tarantini e moglie, attorno ai quali si muoveva il giro di escort baresi che frequentavano le ville di Berlusconi, ma nella quale potrebbe trasformarsi in imputato se fosse confermata la telefonata, rivelata dall’Espresso ma smentita dal deputatoavvocato Ghedini, in cui il Cavaliere, temendo gli sviluppi dell’inchiesta, avrebbe consigliato a Lavitola di non rientrare in Italia. Già martedì, quando Berlusconi si troverà davanti i magistrati che hanno condotto le indagini, si capirà se il barometro tende al peggio e se esiste il rischio che possa essere accusato di favoreggiamento. Ma da ieri sera l’opposizione, pur gravata in parte dalla parallela, pesante evoluzione del caso Penati, ha aggiustato il tiro, spostandosi dal terreno della manovra a quello politico-giudiziario.

Con quali conseguenze, è facile prevedere. Si andrà subito a un primo scontro alla Camera sulla richiesta di dichiarare inammissibili le intercettazioni del caso Ruby, ed è questo, appunto, il secondo fronte aperto. Ma quasi certamente, magari prendendo spunto proprio da questo braccio di ferro, Berlusconi pretenderà di riprendere, magari accelerandone l’approvazione, la legge sulle intercettazioni, accantonata oltre un anno fa.

Se ne ricava la facile previsione di un altro autunno caldo, l’ennesimo, sul fronte della giustizia, che il premier ha sempre considerato nevralgico e sul quale dovrà probabilmente giocare la sua partita finale. Con una differenza, tuttavia, rispetto a tutte le volte precedenti: che il Cavaliere stavolta arriva all’ultimo giro fin troppo logorato, e anche all’interno della sua fragile maggioranza qualche dubbio sull’esito della battaglia comincia ad affiorare.

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« Risposta #358 inserito:: Settembre 10, 2011, 10:55:45 pm »

10/9/2011

Quel fragile equilibrio Colle-premier

MARCELLO SORGI

La crisi al vertice della Bce, con conseguenze ancora pesanti per la Borsa italiana, ha di nuovo fatto saltare il fragile punto di equilibrio trovato all'indomani dell' approvazione della manovra al Senato. Una svolta a cui ieri aveva voluto aggiungere il suo plauso il Capo dello Stato, augurandosi che anche la Camera possa dare rapidamente il suo «sì» definitivo alla trasformazione in legge del decreto.

Anche se non ci si poteva certo aspettare che Napolitano criticasse una manovra alla quale ha energicamente contribuito in queste ultime settimane, il suo giudizio, in una situazione aperta, come si vede, a evoluzioni critiche, acquista maggiore importanza. Non va dimenticato infatti che in Parlamento è tuttora in corso un duro scontro tra maggioranza e opposizione, destinato a proseguire, come già sta accadendo, spostandosi dall'economia alla giustizia e ai guai giudiziari del premier. A entrambe, è come se il Presidente avesse voluto ricordare la gravità della situazione, che non lascia spazio a polemiche di parte e richiede uno sforzo ulteriore di responsabilità.

Ma allo stesso modo, venendo in appoggio alla manovra, il Capo dello Stato ha dato anche una mano al governo in una situazione in cui continua a traballare. Alla fine di una settimana in cui, mentre il Senato esaminava la manovra, si faceva strada l'idea di un governo d'emergenza, da sostituire al più presto, se possibile con il consenso dello stesso Berlusconi, a quello in carica, l'intervento di Napolitano ha chiuso sul nascere questa discussione, nella quale, è ormai chiaro, il Presidente non ha intenzione di lasciarsi coinvolgere, perché la ritiene impropria mentre il governo è in carica e gode ancora di una maggioranza e ha già detto altre volte che il suo potere di intervento scatta solo quando s'è aperta una crisi.

D'altra parte Berlusconi non ha alcuna intenzione di passare la mano. Bastava ascoltarlo ieri sera di fronte ai giovani del Pdl, escludere categoricamente la prospettiva del governo tecnico e ripetere che andrà avanti fino al 2013, bissando l'esperienza di cinque anni di seguito a Palazzo Chigi, snocciolando la solita serie di accuse contro la magistratura e annunciando che il prossimo fronte sarà quello della riforma della giustizia. Va da se che non è detto, specie se la crisi economica continua a procedere di questo passo, che si arrivi davvero alla scadenza naturale della legislatura. Ma se dipende dal Cavaliere, cercherà di arrivarci a qualsiasi costo.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9181
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« Risposta #359 inserito:: Settembre 13, 2011, 11:05:00 am »

13/9/2011 - TACCUINO

Probabile un altro giro di vite sui conti

MARCELLO SORGI

L'improvvisa visita di Berlusconi a Strasburgo e a Bruxelles non poteva cadere oggi in un momento più delicato. La febbre dei mercati è ancora alta e non accenna a calare. Sulla Grecia per tutta la giornata di ieri si sono inseguite voci su possibile default. Sulle banche francesi pende il rischio di un declassamento. E come tutte quelle europee, anche la Borsa italiana ha vissuto un’altra giornata di sofferenza, mentre la Bce invitava i governi dei paesi in difficoltà a prendere in considerazione l’ipotesi di ulteriori manovre aggiuntive.

Le smentite diffuse a proposito di un’eventuale trattativa per convincere Berlusconi al famoso passo indietro, che dovrebbe aprire la strada a un governo d’emergenza, non sono bastate a fermare il lavorìo su un’ipotesi del genere. Ma a ben guardare, il problema non sono gli ambasciatori, veri o presunti (s’è parlato di Letta e Confalonieri) su cui i fautori del governo tecnico, Casini in testa, starebbero lavorando, convinti che l’attuale esecutivo, e soprattutto l’attuale presidente del consiglio non siano in condizione di superare il passaggio di una nuova stretta, che giorno dopo giorno si sta rivelando sempre più indispensabile, e che solo una larga maggioranza potrebbe essere in grado di sostenere in Parlamento e nel Paese. Il punto vero è che Berlusconi, come ha detto e ripetuto tante volte negli ultimi giorni, non intende prendere in considerazione nessuna ipotesi di uscita di scena concordata, e «garantita» (non si sa come), perchè non si fida dei suoi interlocutori e confida di riuscire ad uscire anche stavolta dai guai in cui si trova.

Non mancano - va detto - segni di insofferenza nel Pdl rispetto a quest’atteggiamento del Cavaliere. E tuttavia le varie anime del Pdl, in positivo, non sono in grado di proporre una soluzione sulla quale possa riaggregarsi una maggioranza. La reiterata offerta di Casini e dell’Udc (appoggio in cambio di un governo a guida diversa da Berlusconi) è destinata a non trovare sbocco. Nè c'è da aspettarsi una spinta in questo senso da parte del Quirinale, dato che Napolitano ha ripetuto anche di recente che non è prevedibile un suo intervento finché il governo poggia su una maggioranza. La Camera dovrebbe dare domani il via definitivo al decreto anti-crisi. E se nei prossimi giorni, come ha avvertito la Bce, le misure dovessero rivelarsi insufficienti, toccherà nuovamente al governo Berlusconi se possibile con più tempestività e decisione di quelle mostrate nelle cinque riscritture del testo attuale mettere mano a un altro giro di vite, che potrebbe ancora non essere l’ultimo.

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