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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288290 volte)
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« Risposta #240 inserito:: Dicembre 17, 2010, 09:07:19 pm »

17/12/2010 - TACCUINO

Le scarcerazioni e il rischio di una nuova fiammata

MARCELLO SORGI


La scarcerazione, sia pure in attesa di giudizio, dei giovani fermati per il pomeriggio di violenza e devastazione del centro storico di Roma di giovedì, ha provocato una dura reazione del sindaco di Roma Alemanno, a cui è seguita una replica risentita del presidente dell'Associazione nazionale magistrati Luca Palamara. Alemanno, come gran parte della popolazione romana del centro storico teatro della guerriglia, si aspettava una punizione esemplare che non è venuta.

I giudici del Tribunale, oltre ad accogliere le richieste della difesa, hanno contestato il quadro delle accuse messe insieme dalle forze di polizia, ed hanno disposto un approfondimento di molti aspetti ancora da chiarire, sia degli attacchi e delle distruzioni ad opera degli studenti, sia delle reazioni e del piano di ordine pubblico predisposto per le manifestazioni, che cadevano nel giorno del dibattito e del voto sulla sfiducia alla Camera.

Ma al di là delle polemiche tra il sindaco e i magistrati, la decisione di rimettere a piede libero gli arrestati rischia di ripercuotersi la prossima settimana sulla discussione finale, e sulla prevista approvazione, al Senato, della riforma Gelmini, che ha riportato in piazza gli studenti e dato sfogo alle frange più dure del movimento.

Mentre infatti il percorso parlamentare della riforma si annuncia tranquillo, vista la posizione, annunciata da finiani e Udc, di votare la legge, fuori del Palazzo il rischio di un ritorno di fiamma delle manifestazioni e di nuovi scontri con la polizia è fortissimo.

Giovedì sera il ministro dell'interno Maroni si era congratulato con le forze dell'ordine, oltre che per il comportamento professionale, anche per aver evitato conseguenze più gravi, che le prime immagini degli scontri avevano fatto temere. In altre parole il governo aveva esultato perché in situazioni del genere, in un attimo, può scapparci il morto, come accadde a Genova a margine del G8 del 2001. In questo senso erano stati in molti, tra governo e responsabili dell'intervento sulle strade, a tirare un sospiro di sollievo.

Ora al contrario - anche se le intenzioni del Tribunale non erano queste, e i giudici si sono limitati a riconoscere il diritto degli imputati ad attendere il giudizio fuori dal carcere - il rischio che il prossimo passaggio definitivo della riforma Gelmini al Senato sia accompagnato da una nuova ondata di manifestazioni è tornato ad essere concreto.

Un peso in più in questa difficile fine d'anno del governo, su cui dopo l'ultima battaglia parlamentare grava una lunga scia di incertezza.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8210&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #241 inserito:: Dicembre 21, 2010, 10:32:41 pm »

21/12/2010 - TACCUINO

I 150 anni dell'Italia unita dividono Bossi e Berlusconi sui tempi delle elezioni

MARCELLO SORGI


Con il suo deciso no alle elezioni anticipate, Napolitano s'è rivolto non solo al governo e all'opposizione, specie a quella, neonata, del Presidente della Camera, ma anche alla Lega, il partito che con più convinzione continua a chiedere lo scioglimento anticipato delle Camere. Le tensioni tra Pdl e Carroccio, che negli ultimi giorni si sono fatte evidenti, a partire dall'uscita del ministro Gasparri sugli arresti preventivi degli studenti più violenti, che ha messo in imbarazzo il Viminale guidato da Roberto Maroni, hanno al fondo una ragione basata sulla percezione che ogni giorno che passa, in sintonia con il Capo dello Stato, Berlusconi sia sempre meno convinto di andare alle urne e punti a un accomodamento per andare avanti.

Oltre a non essere per niente sicuro che il cosiddetto gruppo dei responsabili, che dovrebbe costituirsi e registrare nuovi ingressi di transfughi da Fli e Udc per sostenere il governo, sia effettivamente in grado di esistere, Bossi non vede chiaro sulla questione dei tempi del chiarimento. Che per il Senatur non dovrebbero superare la boa di fine gennaio, in modo da consentire, tra scioglimento delle Camere e convocazione dei comizi, una chiamata alle urne entro la fine di marzo. E per il Cavaliere invece sarebbero più lunghi, fino a mettere in conto la possibilità di un accorpamento tra amministrative e politiche nella primavera inoltrata, tipo maggio.

A questa ipotesi di slittamento Berlusconi, stando a quel che dicono i suoi più stretti collaboratori, sarebbe stato indotto anche dal tenore dei due più recenti colloqui con il Capo dello Stato. Incontri mirati, per il premier, a ristabilire un rapporto positivo con il Quirinale, indispensabile sia nel caso di un proseguimento dell'attività di governo, con un rimpasto che verrebbe deciso già nei primi giorni del nuovo anno, sia in caso di elezioni anticipate, con un percorso tutto in mano al Presidente della Repubblica e l'insidia, per la verità molto affievolita dopo la sconfitta della sfiducia alla Camera, dei tentativi di dar vita a un nuovo governo.

Napolitano nel corso di questi colloqui con il premier avrebbe anticipato la sua convinzione della necessità di portare avanti la legislatura, sottolineando, come poi ha fatto in pubblico, la sua preferenza per la stabilità. E parlando delle prossime scadenze, avrebbe accennato alla ricorrenza dei 150 anni dell'Unità d'Italia e alla necessità di celebrarla degnamente, evitando possibilmente di farla finire al centro delle solite polemiche.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8222&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #242 inserito:: Dicembre 22, 2010, 03:37:46 pm »

22/12/2010 - TACCUINO

E adesso tutti guardano alla Consulta

MARCELLO SORGI

Visti ieri a poche ore di distanza per la prima volta dopo lo scontro alla Camera, che doveva essere - ma non è stato - finale, Berlusconi a Fini sono apparsi vogliosi di riprendere il duello più di quel che ragionevolmente ci si potrebbe aspettare, come se appunto il risultato della battaglia sulla sfiducia in cui uno ha vinto e l'altro ha perso per poco, lungi dal chiudere la partita tra i due, ne abbia invece aperto i tempi supplementari.

Berlusconi è sicuro di se e all'avversario che sostiene che la legislatura può arrivare alla sua scadenza naturale replica che quest'auspicio non è coerente con la sfiducia tentata pochi giorni fa alla Camera. In realtà, al di là dei numeri risicati della fiducia, Berlusconi sa di avere davanti a se almeno un anno di governo grazie alla disponibilità, ogni giorno più marcata, dell'Udc di farsi carico dell'approvazione dei provvedimenti più importanti per evitare le elezioni. Anche tra i finiani la linea del galleggiamento, nel senso di consentire al governo di andare avanti e non offrire pretesti per elezioni anticipate, s'è fatta strada come conseguenza obbligata della sconfitta subita a Montecitorio e della necessità di un lavoro di medio termine, sul territorio, per costruire lo scheletro del partito neonato di Futuro e libertà.

Questa calma apparente - sempre che la giornata di oggi smentisca le previsioni più allarmate di una ripresa della guerriglia studentesca in vista dell'approvazione della riforma Gelmini al Senato - deve ancora passare per l'esame del legittimo impedimento da parte della Corte Costituzionale e affrontare la possibilità, per il premier, di ritrovarsi di nuovo a sorpresa al centro di un'emergenza giustizia.

Sotto sotto, è quel che sperano sia Casini che Fini. Ma con due atteggiamenti differenti. Il leader dell'Udc, che già l'anno scorso fu quasi il costruttore materiale della discussa legge ad personam sul legittimo impedimento, è pronto a bissare l'esperienza e a venire in soccorso al Cavaliere in nome del fatto che l'Udc è contraria a qualsiasi scorciatoia giudiziaria per farlo fuori, e che un eventuale cancellazione del legittimo impedimento finirebbe a spingere Berlusconi verso una campagna elettorale tutta giocata contro la magistratura e impostata come un ennesimo referendum su se stesso. Quanto a Fini, ne approfitterebbe per rientrare in gioco, visto che il presidente del consiglio dovrebbe negoziare anche con Fli la messa a punto di un nuovo salvacondotto che gli consenta di andare avanti.
Galleggiare al prezzo del logoramento: questa è per Berlusconi l'altra faccia della tregua terzo polista.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8225&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #243 inserito:: Dicembre 23, 2010, 05:40:59 pm »

23/12/2010

Il gioco duro delle ministre immagine

MARCELLO SORGI

La toppa messa a tarda sera da Palazzo Chigi non risolve il problema. Secondo, ma solo in ordine di tempo, a quello della Carfagna, il caso della ministra Prestigiacomo - che ieri ha lasciato il Pdl in polemica con Cicchitto per il mancato accoglimento della richiesta di rinvio di un provvedimento poi approvato alla Camera - ha politicamente le stesse caratteristiche e le stesse conseguenze di quello esploso neppure un mese fa. Con l’aggravante che Stefania Prestigiacomo, del Pdl, non è un volto nuovo, come la Carfagna, chiamato a rinfrescare l’immagine di un partito logorato ormai da parecchi anni di potere, ma una delle fondatrici, a fianco di Berlusconi, già di Forza Italia, fin dal lontano 1994. Bella, alta, bionda, siciliana di ascendenze normanne, appartiene cioè a quel gruppo di allora giovanissimi, provenienti dalla società civile, che si lanciarono con entusiasmo nell’avventura un po’ folle della prima discesa in campo del Cavaliere.

E che a sorpresa, dato che nessuno, a quei tempi, era disposto a scommettere un soldo bucato su di loro, approdarono quasi 17 anni fa dietro di lui al governo.
Quel governo semirivoluzionario che fu abbattuto dopo soli otto mesi dal ribaltone.
Qui finiscono le differenze - tra l’ex soubrette televisiva che ha messo in gioco il suo posto al governo di ministra delle Pari opportunità e l’ex giovane imprenditrice che ha rotto con il partito che aveva contribuito a fondare - e cominciano le analogie tra i due casi. Come infatti c’era per la Carfagna, deciso a sbarrarle la strada, l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, dimissionario dal governo dopo il coinvolgimento in un’inchiesta di camorra, ma rimasto coordinatore e padrone del Pdl in Campania, c’è per la Prestigiacomo il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto che ieri in aula a Montecitorio s’è rifiutato di aiutarla.

Cosentino e Cicchitto, va detto, sono completamente diversi per ruolo e per storia personale: ma appartengono entrambi, sia pure a livelli diversi - e Cicchitto più per il suo compito istituzionale che non come capocorrente - al gruppo di comando che negli ultimi tempi, specie dopo l’uscita dei finiani, s’è strutturato al vertice del partito del presidente del consiglio. Un partito diviso, non è più un mistero, tra cordate verticali e territoriali e gruppi di potere organizzati, che preparano vendette e dossieraggi l’uno contro l’altro, come s’è visto di recente alle ultime elezioni regionali: vantandosi, e in molti casi riuscendoci per davvero, di riuscire perfino a condizionare Berlusconi.

È da questo partito che le ministre predilette del Cavaliere, la Carfagna, la Prestigiacomo, ma anche la Gelmini, si sono sentite a poco a poco emarginate. È con questo partito che hanno visto il loro leader amato e indiscusso scendere a patti inconfessabili. Ed è in questo partito che hanno cercato in extremis di ritrovare spazi, arrivando a fondare anche loro, pochi mesi fa, inaspettatamente e forse troppo tardivamente, la corrente subito detta «delle tre ministre».

Da quel momento in poi il gioco per le donne-immagine del governo s’è fatto più duro. La loro trasparente contrarietà alla rottura con Fini, i tentativi fatti fino all’ultimo per evitarla, ha portato molti zelanti consiglieri interni del Pdl ad additarle come potenziali traditrici, e a cercare di prosciugare attorno a loro l’acqua in cui, malgrado tutto, continuavano faticosamente a nuotare. Così, venato di striature maschiliste, quando non di aperte volgarità, il braccio di ferro tra i due sessi e le due diverse anime berlusconiane s’è trascinato a lungo, mentre il rischio della crisi di governo funzionava da silenziatore. Ora invece l’uscita annunciata dal gruppo della Camera della ministra dell’Ambiente è destinata a diventare detonatore di un chiarimento non più rinviabile per il premier. Visto che è diventato impossibile tenerli insieme, Berlusconi dovrà dire una volta e per tutte se il suo è il partito di Carfagna e Prestigiacomo, o quello di Cosentino e Cicchitto

da lastampa.it
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« Risposta #244 inserito:: Gennaio 04, 2011, 04:09:36 pm »

4/1/2011 - TACCUINO

I "lumbard" ormai stufi di galleggiare

MARCELLO SORGI

Se non passa il federalismo si va a votare», ripete Bossi, che da giorni non fa mistero del proprio disagio per il clima incerto della ripresa politica. Ancora qualche giorno e poi da lunedì prossimo la trattativa fin qui sottotraccia tra Berlusconi e Casini entrerà nel vivo. E sarà più probabile, a quel punto che si creino le condizioni per far passare il federalismo, che non il contrario. Al momento infatti non si vede chi possa mettersi di traverso rispetto a un appuntamento considerato nevralgico di fronte all’elettorato del Nord e posto da tempo in termini che non fanno prevedere alcun effetto pratico a breve.

In altre parole, anche se il ministro Tremonti da due anni deve ancora mettere a punto i conti, per consentire di misurare i possibili effetti del federalismo, gli effetti pratici della riforma verrebbero comunque scaglionati, e cioè spinti in avanti, limitando la portata della riforma, ma dando modo nello stesso tempo alla Lega di proclamare il raggiungimento dell'obiettivo perseguito da oltre vent’anni. Qui tuttavia le preoccupazioni di Bossi si fanno concrete, perché il leader della Lega si accontenterebbe di un risultato simbolico, ma a condizione di ottenerlo contro gli avversari «romani» Casini e Fini. Se invece il Terzo polo diventa determinante per far passare il federalismo, e se inoltre Casini potrà vantarsi di averne ottenuto sostanziali modifiche per evitare che il Sud venga penalizzato, o di averlo bilanciato con altre riforme, tipo quella fiscale del quoziente familiare, lo spazio per la Lega si riduce e il rischio che l'equilibrio del governo si sposti diventa concreto.

In realtà Casini (e ancor di più Fini, che continua a polemizzare con Berlusconi), non hanno grande interesse ad aiutare il premier a portare avanti il suo programma. L'ideale, per loro, sarebbe che il governo galleggiasse, trattando molto con il Terzo polo senza arrivare a veri accordi e logorandosi nel frattempo, senza andare a elezioni anticipate, ma celebrando intanto le amministrative, in cui i terzopolisti cercherebbero di approfittare ulteriormente della crisi di centrodestra e centrosinistra.

Oltre a fiaccare Berlusconi, un 2011 impiegato così, a vivacchiare, renderebbe anche la Lega meno competitiva rispetto al suo elettorato e al suo territorio. Anche di questo Bossi ha detto di aver cominciato a ricevere segnali concreti. Per questo, se il quadro non cambia, le probabilità che alla fine la rottura, a sorpresa, invece che tra opposizione e governo, avvenga tra Berlusconi e la Lega attualmente restano alte.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8256&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #245 inserito:: Gennaio 05, 2011, 03:41:35 pm »

5/1/2011 - TACCUINO

Le due strade del Cavaliere

MARCELLO SORGI

Un Berlusconi molto rassicurante è intervenuto per smentire indiscrezioni sulle voci di attriti con Tremonti e, per suo tramite, con la Lega, aggiungendo che entro fine mese confida di consolidare la sua maggioranza, al momento traballante e inesistente nelle commissioni chiave della Camera, e di evitare così le elezioni. Parola più, parola meno, è ciò che il premier va ripetendo da tre settimane.

Al momento infatti sono troppe le incognite che impediscono una valutazione chiara. E Berlusconi è avvezzo a tenere sempre in piedi una strategia di riserva. In attesa di sapere come si concluderà la prossima settimana l'udienza della Consulta sul legittimo impedimento, quale sarà la sorte dei suoi processi, è presumibile che il premier tenga presenti sia la possibilità di andare avanti, sia pure in un quadro di difficoltà appeso alla disponibilità di Casini di far passare i provvedimenti del governo in Parlamento al solo scopo di evitare lo scioglimento anticipato delle Camere, sia quella di andare al voto d'intesa con la Lega, che si assumerebbe la responsabilità della chiusura della legislatura per manifesta impossibilità di proseguire.

L'unica differenza tra due sbocchi che rimangono possibili e percorribili per Berlusconi, sta in questo: nel primo caso, di congelamento, in attesa di miglioramento del quadro politico, il premier sa di avere un forte alleato nel Presidente, che non a caso anche ieri ha voluto ricordare le difficoltà della situazione e la necessità di affrontarle. Vale per tutto quel che è accaduto a dicembre, quando Napolitano ha contribuito a far fissare un calendario parlamentare che ha depotenziato la mozione di sfiducia e messo al primo posto l’approvazione della legge di stabilità. E può valere per l'avvenire, visto che il governo, se decide di proseguire in queste condizioni, andrà incontro comunque a un percorso di guerra in Parlamento. Nel secondo caso invece Berlusconi e Napolitano si troverebbero su posizioni differenti. Ed anche se sarebbe molto difficile, senza Berlusconi, provare a mettere su un altro governo per evitare le elezioni, è sicuro che il Capo dello Stato, a cui spetta la decisione finale, prima di sciogliere le Camere eserciterebbe il suo ruolo fino in fondo.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8261&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #246 inserito:: Gennaio 07, 2011, 12:13:26 pm »

7/1/2011

Ma la campagna acquisti del Cavaliere rischia di ricompattare il Terzo Polo

MARCELLO SORGI

Chi dice dieci (Moffa, ex finiano), chi dice quindici o sedici (lo stesso Berlusconi), chi continua a smentire (il finiano Della Vedova): nell’approssimarsi della ripresa parlamentare, con le prime votazioni delicate su cui potrebbe giocarsi il presente e il futuro della legislatura, torna di scena la campagna acquisti. Che neppure nella pausa festiva le trattative si siano fermate, è difficile credere. Ma il premier, che ha puntato apertamente sulla costituzione di un nuovo gruppo «dei responsabili» alla Camera, per assicurare di nuovo al governo una terza gamba, vorrebbe che venisse fuori al più presto, anche per uscire da questo clima di negoziato permanente che accentua la già evidente debolezza dell’esecutivo.

Ciò che il Cavaliere non può ignorare, tuttavia, è che la strategia della campagna acquisti e dello spostamento, in cambio di promesse, si tratti della semplice ricandidatura o di posti di governo, di singoli parlamentari dall’opposizione alla maggioranza, va in direzione opposta a quella dell’appeacement con i centristi di Casini, che tra l’altro hanno già pagato il loro prezzo alla campagna con l’uscita dal partito dell’Udc siciliana e dei suoi cinque deputati passati con il governo. Un conto insomma è aprire una trattativa politica con i centristi per cercare di riportarli nel centrodestra, o in subordine per ottenerne l’astensione nelle votazioni a rischio, a cominciare da quella ormai vicina sulla mozione di sfiducia contro il ministro Bondi. E un altro conto è invece cercare sottobanco di assottigliarne le file in Parlamento, o di pescare allo stesso scopo nel gruppo di Futuro e libertà.

In questo secondo caso la reazione del Terzo polo, attualmente in fase di riorganizzazione dopo la sconfitta subita per soli voti il 14 dicembre sulla sfiducia, non potrebbe che tornare ad essere di aperta ostilità. Berlusconi sa di avere una maggioranza traballante in ben otto commissioni della Camera e in cinque del Senato. È lì che si giocherà la partita finale della legislatura nella seconda metà del mese.
Berlusconi ha tutto il diritto di non accontentarsi dell’offerta di Casini di galleggiare negoziando di giorno in giorno il percorso parlamentare dei provvedimenti in agenda. Ma se punta a superare le difficoltà con le defezioni dei singoli deputati, si troverà a scommettere ogni volta sulla sopravvivenza o sulla caduta del suo governo.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8267&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #247 inserito:: Gennaio 08, 2011, 04:32:37 pm »

8/1/2011

Il rumoroso silenzio del premier

MARCELLO SORGI

Parlava a Berlusconi, e non soltanto alla Lega, il presidente della Repubblica Napolitano, quando ieri a Reggio Emilia, nella città del Tricolore, ha difeso ancora una volta l’Unità d’Italia e ha criticato duramente l’ostentato disinteresse, e talvolta l’aperto sabotaggio, delle celebrazioni dei 150 anni del 1861. Tra le autorità di governo e locali raccolte attorno al Capo dello Stato spiccava infatti ancora una volta l’assenza dei rappresentanti del Carroccio, assurto di recente, proprio a Reggio Emilia, a secondo partito della città che una volta aveva il record dei consensi per il Pci. Il discorso di Napolitano, tuttavia, non partiva da ragioni contingenti, ma dalla preoccupazione, autentica, che in nome dell’asse nordista con Bossi, su cui (a malapena, per la verità) si regge ancora il governo, Berlusconi possa disimpegnarsi dai suoi doveri istituzionali nei confronti della ricorrenza e del significato dell’Unità. Nella lunga vigilia di preparazione del centocinquantesimo anniversario, le contestazioni della Lega sono state purtroppo continue.

Dalle punture di spillo diffuse qui e là in centri grandi e piccoli del Nord, alla mancata partecipazione del ministro dell’Interno Maroni alla Festa della Repubblica il 2 giugno, alle recenti ironie del governatore del Veneto Zaia sui costi delle celebrazioni. Ma mentre Napolitano non ha mai lasciato correre, Berlusconi, pur distinguendosi dall’atteggiamento scomodo del suo alleato - e assicurando al programma di manifestazioni istituzionali i fondi necessari, in un momento di conti difficili per lo Stato -, ha poi cercato di essere accomodante, per evitare di mettere in imbarazzo la Lega su un terreno assai delicato per il proprio elettorato. È questa sorta di compromesso strisciante, e inaccettabile man mano che s’avvicina la scadenza dell’anniversario, che l’intervento del Capo dello Stato è venuto a censurare, per far capire al presidente del Consiglio che il governo non può permettersi di tollerare equivoci che potrebbero diventare rischiosi. È necessario, in altre parole, che nel momento in cui ci si muove verso un’articolazione federale dello Stato, diventi chiaro che questa in primo luogo, come tutte le altre riforme proposte, non vuole in alcun modo mettere in discussione l’unità del Paese.

Il miglior modo per rendere esplicito questo concetto, a giudizio del Presidente, è proprio valorizzare le celebrazioni per il centocinquantenario, rendendole un momento di impegno comune e condiviso, tra istituzioni e forze politiche, e tra maggioranza e opposizione. Va detto: non c’è nulla di retorico in questo appello di Napolitano. E, proprio come ha ricordato il Presidente, non c’è al momento neppure alcuna iniziativa che contrasti con questo obiettivo. Nessuno, neppure Bossi o la Lega, ha avuto finora né la voglia né la petulanza di proporre modifiche alla prima parte della Costituzione, quella sui principi, che contiene anche l’articolo 13 sul rispetto della bandiera italiana. Di qui il richiamo di Napolitano alla coerenza e a evitare atteggiamenti contraddittori. Le reazioni di Bossi e Zaia all’intervento del Presidente e le promesse della Lega di celebrare l’Unità dopo l’approvazione del federalismo sono apparse come minimo imbarazzate: la Lega d’altra parte cerca da tempo di mantenere buoni rapporti, evitando di polemizzare, con il Quirinale, anche allo scopo di preservare l’approdo della riforma federalista, che dovrà essere firmata da Napolitano. Il silenzio del premier rischia invece di diventare molto rumoroso.

In passato, anche di recente, Berlusconi ha dimostrato di essere in grado di affrontare argomenti ostici per il centrodestra e lontani dalla sua cultura. Basta solo ricordare il suo intervento ad Onna sulla Resistenza il 25 aprile di due anni fa. Inoltre il premier ha un’innata capacità di comunicazione e un talento nella costruzione di eventi che tutti gli riconoscono. Sarebbe strano che proprio in questa occasione, e con il ruolo che ricopre, non li mettesse al servizio del governo e del Paese. Ecco perché, per una degna celebrazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, prima dice come la pensa Berlusconi, e meglio sarà per tutti.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8268&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #248 inserito:: Gennaio 11, 2011, 04:05:47 pm »

11/1/2011 - TACCUINO

La sentenza e il crocevia del Cavaliere

MARCELLO SORGI

Il rinvio da oggi a giovedì della sentenza della Corte costituzionale sul legittimo impedimento avrà come conseguenza l'accrescimento della pressione politica sui giudici della Consulta. Mai come questa volta infatti, anche se i giudici si pronunceranno sulla base dei principi, le conseguenze della sentenza saranno politiche.

C'è già chi, nei corridoi parlamentari, semplifica dicendo che l'eventuale affondamento della legge-salvacondotto che ha fin qui preservato il premier dalle conseguenze dei suoi processi porterebbe rapidamente ad elezioni anticipate, così come un salvataggio in extremis aumenterebbe le possibilità per il governo di allargare la propria maggioranza e proseguire. Poi, come già alla vigilia della sentenza che dichiarò l'illegittimità del lodo Alfano, si moltiplicano le voci su un compromesso che i membri della Consulta starebbero cercando per salvare il legittimo impedimento limitandone però fortemente gli effetti. Almeno nelle indiscrezioni che ne circolano, si tratterebbe di un giudizio pilatesco, in cui il premier (che verrebbe privato della protezione automatica che la legge gli riserva per gli impegni connesso al suo mandato), e i giudici (che vedrebbero rigettata la loro richiesta di dichiarare l'illegittimità, ma confortati con un'interpretazione che verrebbe incontro alle loro richieste) verrebbero sostanzialmente invitati dalla Corte costituzionale a trovare un accordo tra gentiluomini sulle modalità per consentire a Berlusconi di governare e nello stesso tempo di fare l'imputato nei processi che lo riguardano.

Una decisione del genere, va detto, pur lasciando tutti scontenti e quindi confermando formalmente l'indipendenza della Corte, che diversamente dal precedente del lodo Alfano eviterebbe così di dar ragione a uno o all'altro dei contendenti, non offrirebbe tuttavia alcuna soluzione del problema. La ripresa, anche rallentata, dei processi, per Berlusconi contiene infatti la possibilità di una condanna per corruzione, sia pure in tempi non brevissimi, e di una possibile interdizione dai pubblici uffici, anche se appellabile. E per i magistrati il rischio che per alcune delle ipotesi accusatorie possa intervenire la prescrizione. Delle due incognite, la prima costringerebbe il premier a cercare subito una maggioranza in Parlamento, più difficile da trovare ora che i finiani ne sono fuori, per farsi approvare al più presto un nuovo salvacondotto. O in mancanza, ed è questo il rischio più grave, di tentare di nuovo la strada delle urne, trasformandole in un referendum tra lui e i giudici di Milano.

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« Risposta #249 inserito:: Gennaio 12, 2011, 06:39:42 pm »

12/1/2011 - TACCUINO

La Consulta e gli effetti del compromesso possibile

MARCELLO SORGI

Anche dopo l’udienza pubblica di ieri e l’intervento del giudice relatore Sabino Cassese, i pronostici per la sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento continuano ad essere a favore di un compromesso, salvataggio parziale, magari con un rigetto interpretativo, della legge che difende il premier dai processi, ma riconoscimento del diritto dei giudici di verificare la congruità degli impegni che impedirebbero al presidente del Consiglio di presenziare alle udienze.

Se davvero questa dovesse essere domani la conclusione dei giudici della Consulta (ma va ricordato che anche la volta precedente, quando in discussione era il lodo Alfano, le previsioni di compromesso furono smentite dalla dichiarazione di illegittimità), anche la richiesta di referendum sul legittimo impedimento avanzata da Di Pietro potrebbe essere ammessa. La ragione è logica: se la legge viene cancellata, il tentativo di abrogarla diventa ovviamente inutile. Ma se la legge, tutta o in parte, resta in piedi, potrebbe anche essere riconosciuto il fondamento dell’iniziativa referendaria. In questo caso, la fissazione del referendum, che tra aprile e giugno tenterebbe di cancellare una legge i cui effetti, va ricordato, si esauriscono a ottobre, potrebbe funzionare da acceleratore verso le elezioni anticipate. Piuttosto che sottoporre se stesso e il destino dei suoi processi alle urne referendarie, Berlusconi potrebbe decidere di fare egualmente la campagna elettorale sul tema dei rapporti tra giustizia e politica, ma giocandosi in nuove elezioni la posta di una nuova e più solida maggioranza per il centrodestra in Parlamento.

Finora, come ha spiegato ieri sera al vertice del suo partito e ai ministri arrivati a Palazzo Grazioli per fare il punto dopo la pausa festiva, Berlusconi resta convinto che esista una concreta possibilità di evitare lo scioglimento delle Camere e che l’offerta di collaborazione fatta lunedì da Casini nell’intervista al Corriere vada valutata con attenzione. Per venire incontro ai segnali casiniani Berlusconi ha bloccato per il momento il calciomercato, che puntava ad allargare il numero dei deputati cosiddetti «responsabili», transfughi dall’opposizione per sostenere il governo. E ha inoltre avanzato verso l’Udc, che a Roma collabora già con il centrodestra nella giunta regionale, la proposta di entrare anche in quella del comune della Capitale, azzerata dal sindaco Alemanno e in fase di rimpasto.

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« Risposta #250 inserito:: Gennaio 13, 2011, 12:08:49 pm »

13/1/2011

Già pronta la soluzione di riserva

MARCELLO SORGI

La prima decisione della Corte Costituzionale, di ammettere il referendum proposto da Di Pietro sul legittimo impedimento, è parsa a molti un’anticipazione della seconda, prevista per oggi, con la sentenza sul merito della controversa legge-salvacondotto per il premier dai suoi processi penali. Anche se non è detto che la Consulta si pronunci necessariamente nello stesso senso (nel 2004 infatti, in una sola giornata, ammise la consultazione sul lodo Schifani e poi dichiarò illegittima la legge, annullando di fatto anche il voto referendario), non c’è dubbio che in poco più d’un anno, da quando fu cancellato il lodo Alfano, il clima sia molto mutato.

La stessa introduzione del giudice relatore Cassese nell’udienza pubblica di martedì lo ha lasciato chiaramente intendere.
La Corte si troverebbe in imbarazzo a cassare del tutto una legge che fa riferimento a un diritto.

Quello, appunto, dell’imputato di dichiarare la propria legittima indisponibilità a presenziare a un’udienza e chiederne conseguentemente il rinvio - contemperato dal codice di procedura penale attualmente in vigore. E di cui solo la specificazione «ad personam» prevista per Berlusconi viene messa in discussione. Così si sarebbe affacciata l’idea di un compromesso: non la cancellazione completa della legge, ma una sua ulteriore precisazione, che consentirebbe ai giudici di concordare con il premier la sua partecipazione al processo, senza lasciargli il privilegio di dichiarare le sue assenze con sei mesi di anticipo.

Se quest’orientamento dovesse essere confermato, e la legge dunque tutta o in parte salvata, il referendum a cui ieri è stata aperta ufficialmente la strada dovrebbe svolgersi, tra metà aprile e metà giugno di quest’anno. Si tratterebbe, è inutile nasconderlo, di un ennesimo referendum su Berlusconi, come furono già quelli sulla televisione, e come sono ormai da sedici anni più o meno tutte le chiamate alle urne, dacché il Cavaliere è sceso in politica. Viene da chiedersi cosa possa reputare più conveniente l’interessato, per sé e per il Paese: affrontare il voto referendario per difendere una legge che essendo temporanea avrà esaurito comunque a ottobre i suoi effetti, oppure scegliere direttamente la posta più grossa e andare alle elezioni anticipate per ricostruirsi una maggioranza in un nuovo Parlamento.

Nell’uno e nell’altro caso - la coincidenza è drammatica - i temi e i protagonisti della campagna elettorale o referendaria sarebbero immutati: da un lato Berlusconi, che già ieri definiva rudemente «un’anomalia» il comportamento della magistratura italiana nei suoi confronti, dal lato opposto tutti gli altri, da Casini a Vendola, che pur scettici, o comunque non convinti allo stesso modo del referendum, potrebbero cercare tuttavia di trasformarlo nella grande occasione per liberarsi del Cavaliere. Per questo, anche se i suoi oppositori hanno detto in tutte le salse di essere contrari allo scioglimento anticipato delle Camere, c’è da scommettere che Berlusconi, fin qui incerto, a questo punto farebbe di tutto per ottenerlo. Trovando pure Bossi pronto ad aiutarlo per raggiungere quest’obiettivo.

Inoltre l’avvitamento elettorale della legislatura, probabile di fronte a un referendum, diventerebbe certo se i giudici, come accadde esattamente sette anni fa, dopo essersi pronunciati a favore della consultazione, dovessero bocciare la legge che dovrebbe esserne oggetto. Privato dello scudo processuale, Berlusconi si troverebbe infatti a fronteggiare da dopodomani giorno per giorno i giudici dei suoi processi. Sarebbe suo dovere, anche nei casi in cui le accuse che lo riguardano suscitano perplessità, ma da tempo si rifiuta di farlo, dichiarandosi vittima di un accanimento giudiziario, che in verità anche molti suoi avversari gli riconoscono. Di qui la sua prevedibile propensione a sfidare la magistratura nelle urne, dov’è sicuro di vincere, piuttosto che nelle aule, dove teme di perdere.

Ma di qui, forse, anche la soluzione di riserva che ieri, non appena la Corte s’è pronunciata, ha cominciato a circolare tra i parlamentari spaventati di perdere il posto. In fondo, si diceva, per evitare elezioni e referendum, e salvare nuovamente - e ignominiosamente - Berlusconi, basterebbe non una legge, ma una leggina «ad personam». Sarebbe il capolavoro di un Paese che è sì la patria del diritto, ma non è riuscito finora a risolvere il problema dei rapporti tra politica e giustizia, ed è stato in grado invece di cacciarsi in un ginepraio così complicato. Al peggio non c’è fine, purtroppo. Forse ci toccherà vedere anche questa: Berlusconi salvato in nome di una qualche emergenza dagli stessi che un mese fa volevano seppellirlo.

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« Risposta #251 inserito:: Gennaio 14, 2011, 11:26:24 am »

14/1/2011 - TACCUINO

Centrosinistra e centrodestra

Due crisi in fotocopia

MARCELLO SORGI

Un tempo si diceva: simul stabunt, simul cadent. Forse si tornerà a ripeterlo a proposito dei due maggiori partiti, nati uno dopo l’altro ed ora alle prese con crisi simmetriche e parallele. La malattia che sta consumando il Pd somiglia stranamente a quella di cui ha sofferto il Pdl fino alla rottura, con Veltroni nella parte di Fini e Bersani in quella di Berlusconi.

Come Fini a Montebello, Veltroni ha convocato un’assemblea della sua corrente a Torino, città ad alto valore simbolico perché è lì che il partito fu fondato, dallo stesso ex-segretario adesso finito in minoranza. Bersani non ha gradito e ieri, in direzione, ha richiamato all’ordine i veltroniani, ricevendone per tutta risposta le dimissioni di Fioroni e Gentiloni dai loro incarichi di vertice. A questo punto il segretario ha frenato e la frattura è stata in qualche modo ricomposta. Ma la sensazione di tutti è che il Pd sia ormai alle soglie della dissoluzione, e che Bersani, pur godendo di una larga maggioranza interna (Franceschini e Fassino, che prima stavano con Veltroni, sono passati con il segretario), non sia in grado di governarlo e di imporre una sua linea.

In questo quadro il caso Fiat e il referendum di Mirafiori, più che l’ultima occasione di divisione sono apparsi come un pretesto per portare la situazione interna ai limiti di rottura. Che il maggior partito di opposizione decida di discutere di un problema importante, legato al mondo del lavoro, come l’accordo tra Fiat, Cisl e Uil, contestato da Cgil e Fiom, è del tutto legittimo. Ma che si riduca a farlo solo nel giorno in cui a Mirafiori si aprono le votazioni del referendum proclamato dall’azienda, e dopo che il fior fiore dei dirigenti, da Fassino a Livia Turco, da Chiamparino a D’Alema, fino ai cosiddetti rottamatori e al sindaco di Firenze Renzi, si sono espressi nei modi più svariati, è per lo meno singolare.

Se Bersani voleva schierare il partito con la Cgil, come è parso di capire alla vigilia della direzione, forse doveva pensarci un po’ prima. E in ogni caso doveva pensare per tempo ad aprire la discussione, senza aspettare l’ultimo momento. Tra l’altro non si capisce perché, dei tanti dirigenti che si sono schierati a favore del “sì” a Marchionne e al referendum, l’unico che sia stato severamente redarguito, come se non avesse titolo per esprimersi, sia Renzi. Sono queste incertezze, solo le ultime di una lunga serie, a dare la sensazione di un Pd alle soglie di un’implosione. Non è mai buona cosa, in una democrazia che per funzionare ha bisogno anche dell’opposizione, che il maggior partito della stessa opposizione si dissolva.

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« Risposta #252 inserito:: Gennaio 19, 2011, 12:26:52 pm »

19/1/2011 - TACCUINO

La linea dura del Cavaliere e le incognite del voto segreto

MARCELLO SORGI

La linea resta quella della resistenza e dello scontro frontale con i giudici di Milano inaugurata all'annuncio delle rivelazioni sui festini di Arcore e delle accuse di sfruttamento della prostituzione. Ma dopo la pubblicazione delle intercettazioni delle ragazze che frequentavano la sua villa, Berlusconi ha dovuto cominciare a fare i conti con un crescente isolamento, sia sul fronte istituzionale, sia su quello delicato dei rapporti con il Vaticano.

La nota con cui il presidente Napolitano ha invitato a fare al più presto chiarezza, per sensibilità nei confronti di un'opinione pubblica turbata da quanto sta venendo fuori, anche se non ha prodotto alcun cambiamento di linea nel premier, è destinata ad accorciare i tempi del confronto parlamentare sul "caso Ruby". Così che si può prevedere che a meno di due mesi dallo scontro sulla fiducia del 14 dicembre, la Camera sarà nuovamente chiamata ad esprimersi sul tentativo della magistratura milanese di processare il Cavaliere entro febbraio.

Berlusconi pensa di cavarsela anche stavolta puntando sui timori che le opposizioni lasciano trasparire di fronte all'ipotesi di elezioni anticipate. Ma il voto, probabilmente segreto, come sono in genere quelli che riguardano questioni personali, potrebbe rivelarsi per lui più insidioso dell’ultima volta.

A parte le sempre possibili defezioni in una maggioranza che può contare su uno scarto minimo di voti, l'occasione si presenta ghiotta anche per la Lega. Se veramente Bossi dovesse optare per lo scioglimento anticipato delle Camere, sarebbe facile ottenerlo facendo mancare, nel segreto delle urne, anche in minima parte l'appoggio al governo. E prima ancora di aprire la strada ai giudici, una sconfitta di Berlusconi in aula porterebbe alla crisi di governo e alla fine della legislatura.

Sul quadro politico che va facendosi ogni giorno più pesante, la presa di distanze dei vescovi, dovuta a un evidente diffuso disagio cattolico, non è certo piovuta come un toccasana. Sia Avvenire, sia l'agenzia Sir, hanno emesso sul caso Ruby un giudizio durissimo, e l'Osservatore romano ha pubblicato integralmente la nota del Capo dello Stato che invoca il chiarimento. Malgrado ciò nei i palazzi della politica - Quirinale compreso, visto che Napolitano e Berlusconi si sono incontrati, anche se ufficialmente solo per esaminare il programma delle celebrazioni dell’anniversario dell'Unità d'Italia - ieri sera s'è dovuto prendere atto che il Cavaliere non ha alcuna intenzione di fare il passo indietro che molti gli consigliano.

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« Risposta #253 inserito:: Gennaio 20, 2011, 06:16:30 pm »

20/1/2011 - TACCUINO

La strategia dell'attacco incrociato porta al voto

MARCELLO SORGI


Berlusconi contrattacca e si dice convinto di cavarsela anche stavolta. Le opposizioni insistono a chiederne le dimissioni, o in alternativa le elezioni.

A una settimana quasi dall’esplosione del caso dei festini di Arcore, il clima attorno al presidente del consiglio continua ad essere molto pesante ma la situazione è di stallo. In un secondo videomessaggio il premier ha ripetuto che, non solo non intende dimettersi, ma neppure presentarsi davanti ai magistrati che lo accusano, dei quali non è disposto a riconoscere la legittimità.

Basata su un videomessaggio al giorno e accompagnata da un coro di interventi delle ragazze che frequentavano le sue case (ieri sia Ruby, tra le lacrime, sia Sabina Began, si sono presentate davanti alle telecamere per protestare la loro innocenza e parlare di Berlusconi come di un benefattore), la strategia comunicativa del Cavaliere punta a sovvertire colpo su colpo il danno fattogli dalla pubblicazione di centinaia di pagine di intercettazioni, da cui la realtà delle feste ad Arcore emerge in tutto il suo lato grottesco.

Politicamente, però, queste iniziative non producono alcun risultato. L’irritazione silenziosa del Capo dello Stato, la reazione del vicepresidente del Csm Vietti alle accuse contro i giudici di Milano e la richiesta di dimissioni ribadita dal Presidente della Camera Fini segnalano che sul piano istituzionale il quadro è molto critico.

La nascita annunciata per oggi in Parlamento del cosiddetto “gruppo dei responsabili” non rimedia alla precarietà della maggioranza, dato che buona parte dei responsabili avevano già votato a favore del governo il 14 dicembre. E anche il tentativo di creare rapporti migliori con i centristi, in prospettiva, magari, di portarli al governo, è naufragata sull’onda dell’indignazione cattolica per le implicazioni dei comportamenti privati del premier.

Berlusconi può anche consolarsi, come ha fatto nel suo videomessaggio, per il voto favorevole alla relazione del ministro Alfano sullo stato della giustizia, o per il rinvio della giunta per le autorizzazioni a procedere che deve pronunciarsi sulle richieste della Procura di Milano. E il governo può pure mirare alla conclusione naturale della legislatura, ma sapendo che di qui al 2013 non potrà far altro che continuare a galleggiare. Ecco perché le elezioni anticipate sono destinate a restare sul tappeto ancora per qualche tempo.

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« Risposta #254 inserito:: Gennaio 22, 2011, 05:43:06 pm »

22/1/2011
 
Non è tardi per dire "Mi spiace"
 
 
MARCELLO SORGI
 
Sarebbe certamente un errore ridurre l’intervento di ieri del Papa a una requisitoria contro Berlusconi e i festini di Arcore.
Ma all’indomani del duro richiamo del cardinale Bertone alla «moralità» e alla «legalità», e alla vigilia della riunione della Conferenza dei vescovi, che come ha preannunciato il presidente, cardinale Bagnasco, si occuperà anche del «caso Ruby», non si può dire neppure che Benedetto XVI abbia sorvolato.

Quando ha espresso la sua preoccupazione per il «senso di insicurezza» diffuso nella società, acuito «dall’indebolimento della percezione dei principi etici della vita pubblica» e degli «atteggiamenti morali personali», il riferimento a quanto sta emergendo dalle notti del «bunga bunga» non poteva essere più chiaro. Come quelle di Bertone, preannunciate da esplicite prese di posizione della stampa cattolica, anche le riflessioni papali muovono dal «turbamento» della società civile - per usare l’espressione del presidente Napolitano ripresa letteralmente dalla Chiesa -, di fronte al fiume di rivelazioni che l’inchiesta di Milano ogni giorno lascia scorrere. La sensazione insomma è che a muovere il disagio, non sia soltanto la condotta privata del premier.

Ma anche quella, indotta dal sistema costruito attorno ad Arcore, delle sue ospiti e delle loro famiglie, le ragazze pronte a vendersi e a sgomitare per essere selezionate, e i genitori che le spingevano, incoraggiandole a prostituirsi, pur di trarne un vantaggio. Naturalmente nessuno può sapere quanto Berlusconi fosse effettivamente consapevole di questo degrado, e del mercato disumano alimentato dalle sue debolezze e impiantato nelle sue residenze. A leggere i verbali, non si può escludere il dubbio che molte volte l’offerta fosse superiore alla domanda e i tentativi di approfittarne assolutamente smodati.

E tuttavia l'aspetto che sembra aver colpito di più il Papa e i suoi cardinali è il comportamento del premier successivo allo scandalo. Diversamente da quanto aveva fatto in precedenza, quando, sia pure alla sua maniera, aveva confessato i suoi limiti ed era apparso contrito, stavolta Berlusconi, non solo non ha fatto un passo indietro, ma ha rivendicato in pieno il suo stile di vita. Nei videomessaggi con cui ha reagito alla pubblicazione dei documenti della magistratura ha parlato di «feste eleganti», di necessità di «rilassarsi», ha difeso tutte le sue abitudini, anche quelli più discutibili, e soprattutto ha avanzato un espresso rifiuto a lasciarsi giudicare, sia sul piano etico, sia su quello giudiziario, aggiungendo perfino che i giudici che intendono processarlo meritano una «punizione». Ora, non è detto, o almeno non è detto automaticamente, che l’etica cattolica e i valori professati dalla Chiesa debbano trasformarsi in un decalogo morale della vita pubblica, che ha da sempre in Italia un fondamento laico. Ma il capo del governo e di un partito, che hanno nei loro programmi l’attuazione di una politica sociale vicina a quei principi, in qualche modo dovrebbero tenerne conto.

Berlusconi a Palazzo Chigi s’è conquistato sul campo una credibilità maggiore di quella di Prodi e dei governi di centrosinistra grazie alle iniziative in materia di famiglia, vita e istruzione. Naturalmente queste politiche, agli occhi del Papa e del mondo cattolico, devono essere coerenti con i comportamenti di chi ha un ruolo nello Stato. Se invece rischiano di diventare un alibi, una sorta di biglietto pagato alla Chiesa, per poi poter fare quel che si vuole, è evidente che il rapporto virtuoso s’interrompe e scatta il corto circuito.

E’ esattamente questo che è accaduto tra Berlusconi, il Papa e i cardinali, a causa delle reazioni del premier nei giorni successivi allo scandalo. Tutt’insieme è sparito il «dovere di esemplarità» connesso alla responsabilità pubblica, come l’ha definito Avvenire. La rivendicazione assoluta della sua vita privata ha rischiato di apparire come un modello: più vicino, purtroppo, a quello delle ragazze sbandate che affollano le sue ville e ai loro disgraziati genitori, che non, appunto, al necessario contegno di un presidente del Consiglio.

Così Berlusconi è entrato in rotta di collisione con la Chiesa e i suoi fedeli. Il compromesso stipulato con il mondo cattolico s’era già molto indebolito di fronte agli altri casi, da Noemi alla D’Addario, ai festini in Sardegna, che avevano segnato la vita del premier negli ultimi due anni. Ruby e quel che il Cavaliere ha detto per difendersi, e per difenderla, sono state le gocce che hanno fatto traboccare il vaso.

Per questo, ma non solo, anche per rispetto dell’etica civile dei cittadini laici, che condividono in buona parte il disorientamento dei cattolici feriti nei loro valori, Berlusconi, senza ulteriori indugi, dovrebbe rassegnarsi a far chiarezza. Forse è ancora in tempo. Fatto salvo il diritto a difendersi al processo, in fondo, sul piano morale e politico, basterebbe che - scusandosi - dicesse che tutto quel che è accaduto gli dispiace. 

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