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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288140 volte)
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« Risposta #255 inserito:: Gennaio 24, 2011, 11:10:17 am »

Politica

24/01/2011 - INTERVISTA

Casini:"Governo assieme al Pdl ma senza Berlusconi"

Appello dell'Udc ai leader del partito perché convincano il premier a un passo indietro

MARCELLO SORGI

ROMA
Presidente Casini, con il «caso Ruby» cambia tutto anche per voi?
«Non è il caso Ruby che cambia qualcosa, ma la reazione di Berlusconi che addirittura evoca il tentativo di un colpo di Stato».

Il Terzo Polo ritira la sua offerta di aiutare il governo sui provvedimenti più importanti?
«No, che c’entra. Se il governo porta avanti qualcosa di utile e necessario per il Paese avrà il nostro appoggio, com’è successo anche questa settimana per il decreto sui rifiuti di Napoli. Ma mi chiedo: è possibile che in queste condizioni il governo riesca a fare sul serio?».

Se lo chiede, ma non ci crede.
«Da quel che vedo, Berlusconi non è il solo impegnato a tempo pieno a difendersi. Anche tutti i suoi ministri hanno smesso di leggere i dossier che li riguardano per dedicarsi ai verbali dei festini di Arcore. Basta accendere la tv. E’ incredibile, invece di occuparsi dei problemi del Paese, il governo al gran completo pensa solo a dire che quel che tutti abbiamo visto e sentito non è vero e Berlusconi è vittima di una montatura».

Sta dicendo che Berlusconi non dovrebbe difendersi?
«No, come sa, se c’è uno che ha riconosciuto da tempo che Berlusconi, in certi casi, è stato vittima di accanimento giudiziario, quello sono io. Ma tra le accuse di reati finanziari commessi da Mediaset, per fare un esempio, e ciò di cui si discute in questi giorni, c’è differenza. Mi sarei aspettato che il premier ne tenesse conto e rispondesse in modo diverso».

Cosa avrebbe dovuto dire?
«Partiamo da quel che non avrebbe dovuto dire, o far dire alle ragazze che frequentavano le sue ville, o ai ministri obbligati a difenderlo. Berlusconi non può credere di convincere l'opinione pubblica che Ruby sia una santa, e che i magistrati che indagano su un caso di prostituzione minorile che lo coinvolge meritino addirittura “una punizione”. Ma per chi ci ha preso?».

Pensa piuttosto - e lo ha detto chiaramente - che ognuno a casa sua dovrebbe essere libero di far quello che vuole.
«A casa sua ciascuno fa quello che vuole, ma non possiamo permetterci un premier sotto ricatto, né è accettabile che si affanni a telefonare a funzionari di polizia per una minore. Il presidente del Consiglio non è una persona qualsiasi, e già il fatto che sembra non capirlo rende difficile qualsiasi riflessione seria».

Non sarà, Casini, che lei da cattolico s'è fatto influenzare dalle prese di posizione del cardinale Bagnasco e di papa Benedetto XVI?
«Da cattolico guardo bene di non strumentalizzare le prese di posizione delle gerarchie della Chiesa. Le condivido, naturalmente, ma non penso che debbano essere usate a favore o contro. La mia reazione è quella di un normale cittadino che dopo quello che ha letto, visto e sentito, aspetta che il presidente del Consiglio faccia chiarezza».

E cosa dovrebbe dire Berlusconi per consentire ai cittadini di superare il turbamento?
«Quanto meno dovrebbe spiegare. Non può continuare a negare il cento per cento di quel che è stato accertato dalle indagini. Poi dovrebbe scusarsi per il danno d’immagine che questa storia sta portando al Paese. Non solo a lui, ma all’Italia, rispetto a governi e Paesi con cui abbiamo relazioni stabili, e che vorrebbero sapere se siamo diventati il paese del bunga bunga».


Confessare, arrendersi e uscire di scena: è questo che sta proponendo al presidente del Consiglio?
«Non è così. Si parva licet…, semi consente il paragone, sto dicendo che il premier dovrebbe fare come ha fatto Clinton ai tempi dello scandalo Lewinsky. O come ha fatto Blair l'altro giorno, quando ha risposto sulle sue responsabilità per la guerra all'Iraq. Badi bene: nessuno dei due è uscito di scena. Clinton è ancora oggi uno stimatissimo leader in grado di spostare un sacco di voti e determinare le campagne elettorali americane. E Blair ha uno standing di livello europeo e un incarico delicato in Medio Oriente. Come vede, quando le cose si chiariscono, anche i giudizi diventano più razionali ».

E se invece, come ha fatto capire, Berlusconi prosegue per la sua strada e va allo scontro frontale con i giudici diMilano?
«Si accomodi. Vorrà dire che intende dedicarsi solo a questo, lasciando perdere i veri compiti del governo e i problemi del Paese. Noi dall’opposizione saremo qui a ricordarglieli, dalla crescita della disoccupazione alla condizione dei giovani, soprattutto nelMezzogiorno, alle opere pubbliche bloccate, alla faccia del ponte sullo Stretto di Messina».

Casini, sta cominciando la sua campagna elettorale?
«Sto parlando di problemi reali, che vediamo ogni giorno andando in giro per l’Italia».

Le rifaccio la domanda: parla così perché vede le elezioni anticipate dietro l’angolo ormai?
«Le elezioni in Italia non le decide né il governo né l’opposizione. Tocca al Capo dello Stato. Se si apre una crisi e il presidente Napolitano, dopo le consultazioni, ravvisa che non esiste più una maggioranza, ci saranno le elezioni.Altrimenti no».

E se dovesse scommettere?
«Non scommetto».

E se le dicessero che con la nascita del gruppo dei «Responsabili» la maggioranza è diventata meno debole e le elezioni più improbabili?
«Risponderei: vediamola alla prova questa maggioranza, che a conti fatti dispone ancora solo di 314 voti alla Camera. Quanto ai responsabili, se il loro atto di responsabilità consiste nel sostenere il governo per evitare le elezioni anticipate, debbo pensare che in caso di crisi potrebbero guardare anche altrove...».

Pensa a un gruppo di «responsabili» double face, pronti a passare da questa a un’altramaggioranza?
«No, guardi, qui nessuno sta pensando a ribaltoni. Sto dicendo che se nasce un altro governo di centrodestra, in grado di allargare la maggioranza e portare la legislatura a compimento, ritengo che i responsabili non sarebbero solo quelli che si sono costituiti in gruppo».

Ovviamente, ci sareste anche voi del Terzo Polo.
«Non è automatico, ma si potrebbe discuterne ».

Un governo di centrodestra senza Berlusconi? E le pare realistico che il premier lo consenta?
«Mi lasci dire che dipende non solo da lui,ma da tutto il Pdl. Dentro quel partito ci sono personalità autorevoli che potrebbero guidare un governo “senza”, ma non “contro”, Berlusconi, che potrebbe conservare il ruolo di leader del centrodestra e dedicarsi a chiarire la sua posizione personale. Al di là di quel che dicono tutti i giorni in tv, credo che nel Pdl siano in tanti a pensarla così. Sarebbe una via d'uscita ragionevole. Altrimenti non restano che le elezioni».

E voi terzopolisti siete pronti alle urne?
«Prontissimi».

Ma se ci si arriva, farete accordi elettorali con il Pd?
«Se si va al voto, ci saranno stavolta tre aree e tre scelte possibili per gli elettori: destra, centro e sinistra. Eventuali intese si vedranno al momento opportuno. Ieri Veltroni ha parlato con grande equilibrio e serietà e ha bocciato ancora una volta l'idea di una sinistra che sceglie di imbarcare tutto e il contrario di tutto. Bersani sa come la penso. Un dialogo proficuo richiede scelte chiare dal Pd».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385598/
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« Risposta #256 inserito:: Gennaio 25, 2011, 06:00:10 pm »

25/1/2011 - TACCUINO

L'episcopato tra disagio e buonsenso

MARCELLO SORGI

Dopo quelli del segretario di Stato vaticano Bertone e del Papa, anche l’intervento del cardinale Bagnasco, presidente della Conferenza dei vescovi italiani ha ribadito il «disagio» e lo «sgomento» del Paese rispetto a quel che sta emergendo dal caso Ruby, e ha chiesto a Berlusconi di chiarire al più presto, nelle sedi opportune, le accuse e le rivelazioni che lo riguardano.

Bagnasco è anche disposto a riconoscere che nei confronti del premier sia stata usata «un’ingente mole di strumenti» di indagine, cioè un accerchiamento investigativo che in genere si riserva a reati ben più gravi. Ma visti i risultati «veri o presunti» dell’inchiesta, la necessità di un chiarimento da parte dell’interessato viene ormai considerata improcrastinabile. Al Cavaliere si chiede in sostanza di abbandonare la linea della contrapposizione frontale con i magistrati e prendere atto che lo stile di vita descritto dalle indagini è incompatibile con le responsabilità di chi deve guidare il governo di un Paese.

Dall’assemblea dei vescovi emerge inoltre la preoccupazione per i comportamenti, sia delle ragazze che frequentavano Arcore, sia delle loro famiglie che, stando a quanto emerge dalle intercettazioni, le spingevano a vendersi. Atteggiamenti, sembra di capire, che i vescovi vedono indotti anche da una certa cultura corrente e da una rappresentazione della vita dei giovani a cui non sono estranei certi programmi delle tv berlusconiane. Si tratta dunque della più acuta fibrillazione fin qui vissuta tra le gerarchie cattoliche e il centrodestra, dopo una lunga stagione di rapporti alterni, ma al fondo realistici e positivi. Proprio a questo proposito è significativo che l’intervento del cardinale Bagnasco si limiti a sottolineare le criticità emerse dal caso Ruby, insistendo con Berlusconi sulla necessità di far chiarezza, ma non indichi alcuna alternativa all’attuale governo, né suggerisca ai partiti della maggioranza o dell’opposizione cosa dovrebbero fare.

La sensazione è dunque che anche i vescovi prendano atto della difficoltà di delineare una soluzione politica dei problemi che l’ultimo scandalo piovuto in testa al presidente del consiglio ha messo in evidenza. Sia pure a prezzo del riconoscimento dei suoi errori personali e dell’impegno a un deciso cambiamento del suo stile di vita, il premier, agli occhi della Chiesa, ha ancora la possibilità di recuperare. Ma quanto in realtà sia disponibile a farlo e quali sarebbero le conseguenze di una pur parziale ammissione e di un conseguente pentimento, è difficile dire. Anche se tutti, e da ieri pure i vescovi, gli chiedono di fare un passo indietro, Berlusconi per ora sembra testardamente deciso a tenere duro.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8334&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #257 inserito:: Gennaio 26, 2011, 11:54:43 pm »

26/1/2011 - TACCUINO

Se anche i sondaggi non contano più

MARCELLO SORGI

Il Pdl, attorno al 30 per cento o appena più sotto, non ha risentito (o ha risentito pochissimo) del caso Ruby. Il Pd, che oscilla tra il 24 e il 26, di conseguenza non ne ha beneficiato. La Lega è sempre forte, 11-12. Il Terzo polo può arrivare al 13, ma mentre l’Udc è stabile attorno al 6, Fli si muove su una banda larga che va dal 3,5 all’8. Allo stesso modo Vendola e la sinistra radicale, attualmente fuori dal Parlamento, sono quotati, in caso di voto, fino al 15 per cento.

Con variazioni anche consistenti, ma con tendenze perfettamente concordanti, dati come questi sono stati esposti lunedì sera a «Porta a Porta» dai tre maggiori sondaggisti presenti sul mercato delle opinioni, Renato Mannheimer della Ispo, Alessandra Ghisleri di Euromedia e Roberto Weber di Swg, le cui divergenze semmai riguardano il tasso di fiducia su Berlusconi: ancora alto, oltre il 50 per cento, per la Ghisleri, che lavora per il centrodestra, e più basso, tra il 33 e il 35 per cento, per Weber che lavora per il centrosinistra, e per Mannheimer, che ha ricordato come i sistemi di misurazione dei tre istituti in questo caso siano diversi e non comparabili.

Sollecitati da Bruno Vespa, tutti i presenti in studio si sono esercitati ad analizzare i dati. Berlusconi è l'unico che può decidere senza riserve se andare o no a elezioni anticipate. La Lega ha un trend così favorevole che le conviene puntare sullo scioglimento delle Camere. Per tutti gli altri il voto è un’incognita, anche se per la sinistra radicale l’ora della rivincita sembra scoccata e il Pd non potrà non tenerne conto.

I sondaggisti accompagnavano queste opinioni con varie osservazioni, sul Fli ad esempio, simbolo ancora non troppo conosciuto e di conseguenza difficile da testare. O ancora sul caso Ruby, che al contrario essendo già noto da tempo, anche se adesso ne stanno uscendo i dettagli, non sposta consensi perché è già stato metabolizzato dagli elettori.

Ma a un certo punto Mannheimer Ghisleri e Weber hanno tirato fuori l’ultimo dato, relativo agli elettori che non si pronunciano, arrivati addirittura al 40 per cento. Se la metà ci ripensa, spiegavano - e non è affatto impossibile che accada, specie in caso di elezioni politiche -, dalle urne usciranno sorprese imprevedibili. Così, per la prima volta, davanti al record degli italiani nauseati dalla politica che sono diventati il primo partito, i sondaggisti hanno dovuto ammettere che anche i loro stessi sondaggi ormai non contano più.

da lastampa.it
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« Risposta #258 inserito:: Gennaio 28, 2011, 11:37:45 am »

28/1/2011 - TACCUINO

Il pericolo adesso è sfasciare tutto


MARCELLO SORGI

Da due anni definito impropriamente finale, dato che non arriva mai al termine, lo scontro tra Berlusconi e Fini ha ieri superato il livello di guardia. Il premier ha usato il Senato e il ministro degli Esteri, come se fossero alle sue dirette dipendenze, per far conoscere e ufficializzare il contenuto dei documenti arrivati da Saint Lucia che attribuirebbero al cognato del presidente della Camera la proprietà della famosa casa di Montecarlo. Siccome Fini in questo caso si era impegnato a dimettersi, Futuro e libertà, il suo partito, ha denunciato Frattini alla magistratura, accusandolo di avere come «mandante» il Cavaliere, e ha attaccato Schifani.

Nel frattempo la maggioranza ha votato per restituire gli atti del caso Ruby ai giudici di Milano rifiutando l'autorizzazione a procedere. La conferma della decisione tocca all'aula e Berlusconi dovrà mettere insieme 316 voti, che al momento non ha, per ottenerla. Il tentativo di esautorare la procura milanese dall'inchiesta e spostare tutto al Tribunale dei ministri prelude probabilmente a un nuovo coinvolgimento della Corte Costituzionale nella contesa tra presidente del Consiglio e magistratura, anche se non subito.

Con uno scontro che coinvolge ormai, nell'ordine, il presidente del Consiglio, i presidenti delle due Camere, la magistratura, la Corte Costituzionale, per non dire il Quirinale, messo sotto pressione da tutto quel che sta accadendo, il timore che la stabilità stessa delle istituzioni sia messa a rischio comincia a circolare. In effetti, non si vede chi possa mettere pace tra pezzi di Stato schiacciati dal duello finale tra i due ex-cofondatori del Pdl.

Augurarsi che si faccia strada un ripensamento, e come tante altre volte si trovi modo di favorire una mediazione è inutile. Lo sconforto di Casini in serata lasciava intuire che la stagione delle colombe a questo punto è tramontata. Le elezioni anticipate sembrano più vicine, ma nessuno ha una strategia chiara né per arrivarci, né per evitarle. Ci si arriverà probabilmente per precipitazione. L'estate scorsa Fini, parlando del suo avversario Berlusconi, aveva detto: o io distruggerò lui o lui distruggerà me.

Va a vedere che cercando di distruggersi i duellanti finiranno a sfasciare tutto.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8346&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #259 inserito:: Febbraio 01, 2011, 04:49:57 pm »

1/2/2011

E' partita la campagna elettorale

MARCELLO SORGI

Non poteva che finir male, com’è finita, l’estemporanea iniziativa di Berlusconi di riaprire in extremis un dialogo con l’opposizione, per trovare insieme una soluzione al problema del debito pubblico che affligge l’economia italiana e studiare un sistema per ridurre le tasse, allargando al contempo la base dei contribuenti. E non perché la proposta e il metodo adoperati siano sbagliati, tutt’altro. Magari il presidente del Consiglio cercasse tutti i giorni un filo di collaborazione con i suoi oppositori!

Invece, non soltanto negli ultimi giorni, ma dall’inizio della legislatura, il clima tra i due schieramenti è al di sotto del minimo storico e di ogni soglia accettabile, mentre l’aria di elezioni che ormai si respira sparge un po’ dappertutto veleni e diffidenze. Sperare di riaprire il dialogo tra centrodestra e centrosinistra in questo quadro era fuori dalla realtà.

Ma forse è stato proprio questo a muovere il Cavaliere. E dal suo punto di vista, non c’è dubbio che la mossa si sia rivelata azzeccata. Berlusconi che tutti, a cominciare da alcuni ministri del suo governo, descrivevano sotto botta per il caso Ruby e le intercettazioni delle ragazze che frequentavano le feste di Arcore, in un solo colpo è riuscito a girare l’asse del dibattito politico, dalle sue debolezze personali, che da settimane occupavano la scena, a un tema di grande interesse come quello della pesantezza del bilancio statale, che lascia pochi margini di manovra al governo, e della necessità di una riduzione delle tasse che è da sempre il primo obiettivo del centrodestra.

Inoltre - ed ecco l’aspetto più efficace - Berlusconi lo ha fatto a partire da una proposta che veniva dal campo del centrosinistra: quella, non nuova, di un’imposta patrimoniale sui redditi dei contribuenti più ricchi, una sorta di una tantum per abbassare drasticamente il debito pubblico, giunto oltre la soglia insopportabile di mille e ottocento miliardi di euro. Nelle ultime settimane, prima l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato, poi il banchiere cattolico Pellegrino Capaldo, in due interviste al «Corriere della Sera» avevano esaminato questa ipotesi, cercando di adattarla alla situazione attuale. Dopo di loro Veltroni al Lingotto la aveva rielaborata, proponendo di chiedere un contributo straordinario ai più ricchi, il dieci per cento della popolazione. Nessuno dei partiti del centrosinistra tuttavia aveva simpatizzato con queste uscite, che del resto, tutte le volte che vengono fuori, creano allarme tra i cittadini. Si suol dire, non a caso, che se proprio dev’essere adottata, la patrimoniale non va mai annunciata prima.

Berlusconi non voleva lasciarsi sfuggire un’occasione così ghiotta. La sua lettera al «Corriere» con cui ieri sfidava il Pd a collaborare partiva dichiaratamente da Amato e Capaldo, attribuendo alle loro considerazioni il valore di punti programmatici del centrosinistra.
Era come se dicesse a Bersani: lo so che stai pensando alla patrimoniale, ma lascia perdere, finché ci sono io non ci riuscirai.
Se invece ti convinci a darmi una mano, riusciremo insieme a ridurre le tasse.

Ovviamente Bersani non ha abboccato e ha ribadito la richiesta del Pd al Cavaliere di fare «un passo indietro». Berlusconi ha controreplicato duramente, accusando il Pd di essersi trasformato nel «partito della patrimoniale». Così, nel giro di mezza giornata, del dibattito sui veri problemi del Paese è rimasto soltanto un ennesimo spiacevole siparietto, dei peggiori, accompagnato dalla sensazione di un avvio di campagna elettorale che non promette niente di buono.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8359&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #260 inserito:: Febbraio 02, 2011, 05:12:45 pm »

2/2/2011 - TACCUINO

Voto decisivo per restare in vita

MARCELLO SORGI

Le sorti del governo e della legislatura restano appese al voto di domani sul federalismo. Mentre infatti Berlusconi sa di poter contare su una maggioranza esigua ma solida nella votazione sull’autorizzazione a procedere richiesta dei magistrati, nella «bicameralina» che dovrebbe dare il via alla riforma federale i numeri sono ancora bloccati a quindici contro quindici. L’apertura fatta ieri sera dal ministro leghista Calderoli, che sta gestendo la trattativa in commissione, alla richiesta dell’opposizione di un fondo perequativo tra regioni forti e deboli, va in direzione della ricerca di un accordo. Ma il merito del testo conta fino a un certo punto in un passaggio che potrebbe portare a un’accelerata verso le elezioni.

Se, come sembra ormai da qualche giorno, le opposizioni preferiscono andare alle urne, difficilmente daranno una mano al governo sulla materia federale. E se la riforma dovesse restare bloccata, come ha detto il ministro dell’Interno Maroni, lo scioglimento delle Camere diventerebbe inevitabile. Ma non sono solo Bersani, Casini e gli altri avversari del Cavaliere a dover valutare bene il proprio comportamento. E’ lo stesso Berlusconi che deve capire se una volta ottenuto il federalismo Bossi si adatterebbe a sostenere il governo per un altro anno o se invece cercherebbe egualmente di andare al voto. Una Lega che potesse presentarsi davanti alla sua gente dopo aver incassato il federalismo, elettoralmente al Nord sarebbe fortissima. Lo sarebbe meno se dovesse ammettere per l’ennesima volta di aver mancato l’obiettivo.

Ecco perché lo stallo in «bicameralina» alla fine conviene a Berlusconi. Che intanto continua ad avere diverse gatte da pelare. La sortita sul debito pubblico e la proposta di riforma dell’articolo 41 della Costituzione, storico cavallo di battaglia tremontiano, hanno irritato il ministro dell’Economia, poco coinvolto nella svolta di lunedì. La manifestazione nazionale contro i magistrati, dopo essere stata accantonata, ieri è rispuntata fuori, provocando una reazione durissima di Giuliano Ferrara, che aveva proposto al premier di concentrarsi sull’economia. Nell’imbarazzo generale, tra comunicati che andavano e venivano per cercare di mettere d’accordo le contrastanti anime del partito del presidente, il vertice a Palazzo Grazioli è durato sei ore. Oggi Berlusconi ricomincia da Tremonti. Se si trova la quadra il governo sfornerà venerdì i primi provvedimenti per l’annunciato rilancio dell’economia e la riduzione del debito pubblico. Altrimenti tutto si ridurrà a un tentativo di cambiare argomenti per sviare l’attenzione dal caso Ruby.

da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali
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« Risposta #261 inserito:: Febbraio 03, 2011, 06:48:22 pm »

3/2/2011

Nuovi scenari nel rapporto con la Lega

MARCELLO SORGI

Anche se non possono dirlo apertamente, Napolitano e Berlusconi non sono affatto d’accordo sulla piega che stanno prendendo le cose in Italia. Per la seconda volta in tre giorni il Capo dello Stato ha ribadito che la situazione è al livello di guardia, e lo stato di scontro permanente che coinvolge anche le istituzioni non è più sopportabile oltre. Il presidente del Consiglio gli ha subito risposto, dichiarandosi pienamente d’accordo e promettendo di mettere tutto a posto velocemente.

E’ evidente tuttavia che Napolitano, e non solo lui, pensi che Berlusconi sia ormai logorato al punto da non essere più in grado di andare avanti; e il Cavaliere, al contrario, ritenga che solo con lui a Palazzo Chigi la legislatura possa proseguire. Ci potrebbe essere un punto d’incontro tra questi due divergenti modi di vedere le cose, se solo i due presidenti concordassero, ad esempio, di darsi un termine per capire se si manifesta un’inversione di tendenza, rassegnandosi, in caso contrario, a un altro scioglimento delle Camere.

Ma non appena Napolitano ha dato segno di voler abbandonare la sua risoluta contrarietà a una nuova chiamata alle urne, Berlusconi, che fin qui la invocava quasi tutti i giorni, d’improvviso l’ha esclusa. La nuova linea moderata, inaugurata dal leader del Pdl su consiglio di Giuliano Ferrara, è fondata sulla semplice constatazione che prima di lasciare il certo di Palazzo Chigi per l’incerto delle urne, al premier convenga ritentare di governare, lasciando da parte il clima di guerriglia permanente a cui ha contribuito negli ultimi mesi.

Che Berlusconi, sopraffatto com’è dai suoi problemi personali, politici e giudiziari, riesca davvero a riprendersi e a rilanciare il suo governo, è possibile, data la sua nota capacità di fare miracoli, ma non è affatto scontato. Come s’è visto nei quattro videomessaggi dedicati al caso Ruby, nel lunghissimo vertice del Pdl di martedì e ieri sera nell’intervista al Tg1, il premier è evidentemente provato da quel che sta accadendo attorno a lui e dalle rivelazioni dell’inchiesta su Arcore. Le conseguenze politiche del suo stato di difficoltà sono evidenti: l’allargamento della maggioranza ridotta a soli 314 deputati alla Camera segna il passo; la trattativa sul federalismo è ancora bloccata malgrado le concessioni fatte alle opposizioni; la votazione sull’autorizzazione a procedere chiesta dalla magistratura di Milano si concluderà con un «no» scontato, ma solo dopo una seduta parlamentare, trasmessa probabilmente in tv, in cui i desolanti racconti delle ragazze di Arcore verranno utilizzati dall’opposizione per alzare il tiro sul premier. Il quale inoltre, subito dopo, è atteso alla ripresa dei suoi processi a Milano, oltre che dall’inchiesta sulla prostituzione che punta a un giudizio immediato.

E’ in questa cornice pesantissima che Berlusconi prova a uscire dall’angolo e a lanciare il piano di riforme economiche. Seppur ricevuto faccia a faccia, Tremonti, che non ne sapeva niente fino a martedì, nutre molte perplessità. Come del resto Maroni sulla possibilità che il federalismo possa uscire dal binario morto. Ma mentre le riserve del ministro dell’Economia si manifestano da tempo, con Berlusconi che cerca di barcamenarsi tra i suoi desideri e i limiti imposti al bilancio statale dalle rigidità dei vincoli europei, le ultime uscite del ministro dell’Interno rappresentano una novità e non promettono niente di buono.

In una settimana Maroni ha parlato due volte, per esprimere il suo scetticismo sulla trattativa sul federalismo, che rischia di snaturare la riforma, e ribadire la sua convinzione che il governo abbia i giorni contati. Meglio prenderne atto e attrezzarsi, ammoniva il ministro ancora ieri, che ritrovarsi tutt’insieme nei guai. Fin qui, poteva anche essere tattica, alla vigilia della delicata votazione di oggi. Ma Maroni, mettendo in conto il ritorno alle elezioni in caso di mancata approvazione del federalismo, ha aggiunto che non è automatico in quel caso che Berlusconi possa ricandidarsi a premier.

Un’incrinatura di questa portata, nel rapporto inossidabile tra il Cavaliere e la Lega, finora non s’era mai vista. Ma non si tratta di un dissenso interno al Carroccio o di una contestazione del potere fin qui assoluto di Bossi. Maroni dice soltanto quel che molti militanti leghisti pensano e sarebbero disposti a gridare, se i microfoni di Radio Padania negli ultimi giorni non fossero stati chiusi per evitare di dar voce alle loro proteste. L’elettorato del Nord ha capito perfettamente che con il compromesso inseguito dal ministro Calderoli in Parlamento, con le perequazioni tra Regioni settentrionali e meridionali, con i fondi di garanzia per limitare i dislivelli, alla fine non cambierà niente. Non a caso il testo del federalismo, discusso e rimaneggiato, proietta gli effetti pratici della riforma in avanti di anni e anni. La vecchia promessa dei soldi del Nord che dovevano restare al Nord è destinata così prestissimo ad apparire per quel che è già: un sogno.

Forse è proprio per questo che da qualche giorno, tra tante voci che circolano, ce n’è anche una che parla di un governo Maroni. Al Quirinale non ne sanno niente, ma è facile che sia arrivata fin lì. Sarà pure fantapolitica. Oppure è una strada per evitare (o rinviare) le elezioni, rimettere insieme i pezzi del centrodestra e riaprire più seriamente la discussione sul federalismo.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8368&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #262 inserito:: Febbraio 04, 2011, 06:01:03 pm »

4/2/2011 - TACCUINO

Premier più forte a scapito del Carroccio


MARCELLO SORGI

La giornata della doppia votazione - pareggio sul federalismo e vittoria del governo sull’autorizzazione a procedere contro il premier negata dalla Camera - ridisegna i rapporti interni alla maggioranza e quelli con l'opposizione. Berlusconi esce rafforzato sia per il voto in sé, che gli ha portato piena solidarietà del centrodestra, sia perché la maggioranza, se il premier fosse stato in aula e non in missione, avrebbe toccato la fatidica soglia dei 316 voti, liberando così il governo dall’incerta condizione di minoranza a cui lo aveva condannato la scissione dei finiani e tutti i confronti in aula seguiti al 14 dicembre.

Bossi e la Lega sono invece indeboliti dalla mancata approvazione del federalismo nella Bicameralina e al centro di una nuova tensione istituzionale con il Quirinale. Formalmente, infatti, non è logica la decisione del governo di considerare superfluo il parere che la Bicameralina non è riuscita a dare, per effetto del pareggio di ieri mattina.

Se il governo avesse potuto fare a meno del parere, il ministro Calderoli non si sarebbe adoperato tanto nelle ultime settimane per cercare di ottenerlo con l'appoggio anche di una parte dell’opposizione. L'idea di modificare la composizione interna della commissione per avere rapporti di forza interni più favorevoli e corrispondenti a quelli dell’aula non è a portata di mano. E se si riflette sul fatto che la Lega aveva cominciato la legislatura con l'obiettivo di costruire proprio sul federalismo un accordo più largo dei confini del centrodestra, anche politicamente quel che è accaduto ieri è inaccettabile per Bossi. Seppure riuscisse a far passare il federalismo a colpi di fiducia, il Carroccio correrebbe il rischio di vederlo affossare nel successivo referendum costituzionale, come accadde nel 2006 con la riforma dei saggi di Lorenzago. Aver puntato tutte le carte su Berlusconi proprio mentre le difficoltà del premier crescevano non s’è rivelata dunque una gran mossa per il Senatùr. Stretti nell’asse con il Cavaliere, Bossi e il federalismo pagano un conto che non li riguarda.

Infine anche l'opposizione esce ammaccata dalla giornata di ieri. La campagna acquisti del Cavaliere alla Camera prosegue e le possibilità di costruire un governo diverso, ipotesi accarezzata in particolare da Casini, diminuiscono. Il Pd continua a sperare che saranno i magistrati di Milano a toglierlo dall’imbarazzo, ma anche in quel campo lo scontro è destinato a complicarsi, ed è la stessa procura che comincia a rendersi conto che la questione della competenza posta dai legali di Berlusconi potrebbe rivelarsi non del tutto infondata.

da - lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali
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« Risposta #263 inserito:: Febbraio 08, 2011, 05:27:36 pm »

8/2/2011 - TACCUINO

Umberto berlusconiano per amore e per forza


MARCELLO SORGI

L’asse Berlusconi-Bossi resiste anche dopo l’intoppo subito dal federalismo fiscale la scorsa settimana e l’inevitabile allungamento dei tempi determinato dall’intervento del Quirinale e dal rifiuto del Capo dello Stato di ricevere il decreto varato dal governo anche in mancanza del parere della Bicameralina. La linea della pazienza, chiamiamola così, è stata illustrata ieri con toni mielosi dal ministro Calderoli, che invano aveva cercato di convincere le opposizioni a votare il testo della riforma, offrendo disponibilità a modificarlo anche in parti importanti.

La Lega assicura che aspetterà senza colpi di testa né minacce di elezioni anticipate tutti i passaggi parlamentari necessari per recuperare il provvedimento affossato giovedì, ma chiede che la composizione della commissione bicamerale in cui s’è realizzato il pareggio tra maggioranza e opposizione, e la conseguente mancata decisione sul parere, venga modificata per renderla corrispondente ai rapporti di forza attuali nell’aula della Camera, dove il governo ha toccato quota 316 deputati. Il gruppo sovrarappresentato è quello dei finiani, che erano entrati a far parte della Bicameralina come rappresentanti del Pdl, e dunque della maggioranza, e sono ora schierati con l’opposizione. Si può immaginare con quale entusiasmo il presidente della Camera, a cui tocca intervenire per il riequilibrio dei posti, si accingerà a svolgere il suo compito.

L'ammorbidimento dei toni leghisti e la ritrovata sintonia con il premier saranno destinati a pesare anche sull’incontro tra Bossi e Napolitano, che si svolgerà domani e non oggi. Incontro promesso dal leader del Carroccio proprio il giorno dello scontro tra Palazzo Chigi e il Quirinale e atteso per verificare le vere intenzioni della Lega, dopo che per giorni era emerso un plateale disaccordo tra il ministro Calderoli, incaricato di seguire la pratica in commissione, e il suo collega Maroni, scettico sulla possibilità di far approvare il federalismo e convinto che per questa strada le elezioni anticipate sarebbero diventate inevitabili. A prevalere è stata la linea trattativista del primo, e sarà lo stesso Bossi a spiegarne le ragioni al Capo dello Stato. Il Senatur, al momento non trova sponde realistiche nell’opposizione. Se l’offerta è: Lega contro Berlusconi in cambio del varo del federalismo, non la ritiene accettabile. E anche il giro di manifestazioni antiberlusconiane del fine settimana ha rafforzato il leader leghista nella convinzione che al momento per il suo partito non c’è un’alternativa praticabile.

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« Risposta #264 inserito:: Febbraio 09, 2011, 11:06:37 am »

9/2/2011 - TACCUINO

La tregua tra le istituzioni è finita prima di cominciare

MARCELLO SORGI

Oltre a creare una singolare coincidenza con il tentativo di imporre una svolta, in materia economica, alla paralisi in cui da mesi si dibatte il governo, la decisione, annunciata dal procuratore della Repubblica di Milano Bruti Liberati, di chiedere oggi il processo abbreviato contro Berlusconi per i due reati di concussione e sfruttamento della prostituzione minorile legati al «caso Ruby», non lascia dubbi sul tema che si imporrà sull'agenda politica dei prossimi mesi.

La stessa successione degli incontri del premier ieri a Palazzo Grazioli - prima con i ministri dell'Economia e dello Sviluppo Tremonti e Romani, poi, molto più a lungo, con il Guardasigilli Alfano e i deputati avvocati Ghedini e Pecorella - fa capire con quale serenità il presidente del consiglio abbia potuto applicarsi ai provvedimenti che nei suoi piani avrebbero dovuto rappresentare una prova esplicita della sua intenzione di rimettersi a governare, sfuggendo alla morsa delle inchieste e delle rivelazioni sulla sua vita privata.

Insieme con l'annuncio del procuratore dal Palazzo di giustizia di Milano sono uscite le date in cui, per effetto della decisione della Corte costituzionale, riprenderanno i tre processi contro Berlusconi: il 28 febbraio quello per i diritti tv Mediaset, il 5 marzo l'udienza preliminare di Mediatrade e l'11 marzo quello in cui è già stato condannato l'avvocato Mills e in cui il premier risulta imputato di corruzione. E' prevedibile, come ha già fatto capire Ghedini, che da Palazzo Chigi partirà una reazione più simile a un fuoco di sbarramento che non alla «leale collaborazione» istituzionale a cui la Consulta ha fatto riferimento nella sua sentenza, tentando di convincere il Cavaliere e i magistrati che vorrebbero processarlo a uscire dalle trincee e a trovare un accordo ragionevole.

La sensazione invece è che il conflitto che la Corte ha tentato senza riuscirci di risolvere si riproporrà pari pari già a partire da oggi e dalla presentazione delle richieste della Procura di Milano in ordine al caso Ruby. L'accenno di Ghedini alla Costituzione violata dai magistrati sembra il preannuncio di un nuovo ricorso alla Corte, probabilmente per conflitto di attribuzione, dato che i difensori del premier sono convinti che i giudici di Milano si siano mossi al di fuori delle loro competenze e che spetti al Tribunale dei ministri eventualmente processare Berlusconi. Le conseguenze di tutto ciò sono chiare: la tregua tra le istituzioni chiesta dal presidente Napolitano, e quella politico-moderata suggerita da Giuliano Ferrara al presidente del consiglio, sono finite prima di cominciare.

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« Risposta #265 inserito:: Febbraio 10, 2011, 11:41:39 am »

10/2/2011

Lo scenario drammatico del '93-'94

MARCELLO SORGI

Chi ha vissuto i giorni più drammatici del ’93 e del ’94 - e siamo ancora in tanti a ricordarceli, tra politica, istituzioni, magistratura, giornali e tv - non può evitare di cogliere in quanto sta accadendo una serie di terribili analogie con quel che avvenne già diciassette anni fa.

Le immagini di Berlusconi in tv mentre illustra il deludente elenco dei provvedimenti economici del governo, accompagnato dalle dichiarazioni dei giudici di Milano sull’evidenza delle prove contro di lui, rievocano una serie di sensazioni che fanno presagire una conclusione funesta della crisi in corso.

Anche se non è detto che la Seconda Repubblica si inabissi come la Prima, ed anche se la magistratura non ha puntato sulla classe dirigente nel suo complesso, ma sui discussi comportamenti di un premier, che comunque - ed è la differenza più forte rispetto al passato - rifiuta di dimettersi, nel timore di un nuovo ribaltone, è evidente che lo scenario è lo stesso, se non peggiore.

Scontro a tutti i livelli, Berlusconi contro i giudici (è arrivato a dire di voler processare lo Stato), la sua maggioranza contro la Procura di Milano, il presidente della Camera contro il presidente del Consiglio, l’opposizione contro tutto e tutti, il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale alle prese con una situazione che malgrado i loro sforzi potrebbe anche sfuggirgli di mano.

Dove possa portare il confuso ribollire senza criterio del sistema, è difficile dire. Ed altrettanto azzardare quale potrebbe essere il rimedio. Si può solo riflettere su una caratteristica comune a tutti i passaggi più complessi della storia recente, dai quali, a ben guardare, non si è mai usciti attraverso rotture, ma al contrario con forme diverse di continuità. Questo è valso paradossalmente per ogni sedicente rivoluzione ed ogni conseguente evoluzione della vicenda italiana. Dal fascismo alla democrazia, dalla monarchia alla repubblica, e perfino nell’imprevedibile avvento della Seconda Repubblica, gli elementi di ricomposizione del sistema alla fine hanno vinto su quelli di contrapposizione.

Berlusconi è stato in questo senso il prodotto specifico della rivolta anti-sistema nata dall’esplosione della corruzione all’inizio degli Anni Novanta e dall’incoraggiamento rivolto ai giudici di Mani Pulite dalla sinistra superstite del vecchio sistema. Caduto il quale, appunto, il vantaggio politico incassato dai sindaci della stessa sinistra alle elezioni amministrative, fu vanificato dalla scesa in campo, meglio sarebbe dire dall’irruzione, del Cavaliere nel ’94. Un imprenditore solo apparentemente «nuovo», in realtà uomo di garanzia del passato equilibrio anticomunista democristian-socialista, riaggregatosi attorno a lui, e che presto sarebbe stato rimesso in discussione dalle inchieste giudiziarie.

La difficile alternanza realizzatasi tra centrodestra e centrosinistra negli anni successivi confermava ulteriormente tutto ciò: l’Ulivo e l’Unione avendo in realtà molti più punti di contatto con il regime precedente che non il Polo e poi la Casa delle libertà. Ma a questo punto, dato per scontato - pur se non lo è - che Berlusconi sia ormai arrivato a fine corsa e possa resistere fino a un certo punto, se non vuole distruggere il centrodestra creato da se stesso, ci si libera più facilmente di lui organizzando l’assalto all’arma bianca di un fronte unico, magistratura, opposizione, ex-pezzi di maggioranza, o tentando di far emergere all’interno del suo stesso schieramento
l’alternativa a un leader fin troppo logorato?

Basandosi sull’esperienza, non c’è dubbio che la seconda strada sia più sicura, mentre la prima si presta ancora una volta al rischio di un consolidamento del Cavaliere in un quadro di crisi congelata. E tuttavia, se si guarda con attenzione all’escalation degli ultimi giorni, è sicuro che ad imporsi già da oggi sarà di nuovo la scelta della finta rivoluzione, contro il premier e il suo governo, contro una maggioranza parlamentare rafforzatasi anche grazie anche alla minacciosa avanzata del giacobinismo, e alla fine, purtroppo, anche contro le nostre martoriate istituzioni.

L’unico che nella sua saggezza ha ben presenti i pericoli della situazione attuale è il presidente Napolitano, a cui tra l’altro toccherà oggi ricevere un Berlusconi infuriato che accusa i magistrati di Milano di essersi trasformati in una cellula rivoluzionaria. Ma basteranno gli appelli quotidiani del Capo dello Stato a trattenerci sull’orlo del baratro in cui rischiamo ormai di precipitare?

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« Risposta #266 inserito:: Febbraio 15, 2011, 10:54:58 am »

15/2/2011 - TACCUINO

Le buone ragioni del premier

MARCELLO SORGI

Il dibattito sulle elezioni, pendente ormai da mesi, non è mai stato così aperto. Ne ha parlato il Presidente della Repubblica, con una nota del Quirinale. Insistono le opposizioni, che hanno smesso di accarezzare sogni di governi diversi, o d’emergenza, e vedono nelle urne la loro grande occasione. Berlusconi ha replicato avvertendo che non si può andare alle elezioni senza il suo consenso. La verità è che da quando i sondaggi hanno cominciato ad rivelare gli effetti del caso Ruby, e il consenso a Berlusconi e al centrodestra a perdere punti, si va allargando il fronte di quelli che guardano favorevolmente a uno scioglimento delle Camere fino a due mesi fa considerato un’incognita.

Qualche costituzionalista ha perfino avanzato l’ipotesi che il Capo dello Stato, di fronte al prolungarsi dello stato di paralisi in cui versano governo e Parlamento, possa decidere autonomamente di tagliare la legislatura, chiamando gli elettori al voto. La dottrina giuridica, si sa, conosce interpretazioni diverse. Ma è singolare che s’affacci un’opinione del genere quando esattamente vent’anni fa, davanti a Cossiga che sosteneva la stessa tesi e voleva sciogliere le Camere senza l’avallo della Dc, ci fu addirittura un appello dei costituzionalisti per dire che si sarebbe trattato di un colpo di Stato.

S’è discusso sempre sul modo di por fine in anticipo alle legislature. Nella Prima Repubblica a decidere erano i due partiti maggiori, Dc e Pci, ed era impossibile ottenere lo scioglimento contro la loro volontà. Nella Seconda tutto è più confuso, s’è avuta l’alternanza, si sono avute legislature brevissime o intere, ancorchè parimenti produttive, s’è arrivati a riformare mezza Costituzione (il centrodestra) salvo vederla bocciare subito dopo nel referendum confermativo, ma una procedura chiara per le elezioni anticipate ancora non s’è trovata.

In mancanza, forse la cosa migliore è affidarsi alla vecchia regola democratica che prevede che alle urne si vada quando a volerlo è la maggioranza del Parlamento. Un Parlamento, va da sé, che non sia più in grado di esprimere un governo. Berlusconi dunque non ha torto a rivendicare il fatto che, seppure ammaccato, il suo esecutivo è in carica a tutti gli effetti. Ma si capisce che sotto sotto anche lui sta riflettendo sul da farsi. Il rinvio a giudizio che sta per essere deciso dal gip di Milano potrebbe fare da detonatore all’avvio, anche da parte dell’asse tra Pdl e Lega, della nuova campagna elettorale, impostata dal Cavaliere come un referendum tra se stesso e i giudici.

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« Risposta #267 inserito:: Febbraio 16, 2011, 04:46:44 pm »

16/2/2011

In tribunale anche questa Repubblica

MARCELLO SORGI


Seppure attesa e in qualche modo scontata, la decisione del gip di Milano di rinviare a giudizio Berlusconi per i due reati - concussione e sfruttamento della prostituzione minorile - per i quali era sotto inchiesta da mesi, ha avuto l’effetto di un brusco richiamo alla realtà.

Malgrado i risultati delle indagini siano a tutti noti, pubblicati da tempo e diffusi da giorni anche in tv, fino a ieri si poteva pensare a uno dei tanti colpi di scena o forzature a cui il premier ci ha abituato, per aggirare o rinviare i suoi processi.

Le cinque righe uscite dal Palazzo di Giustizia milanese dicono che non sarà così. Berlusconi farà qualsiasi cosa per salvarsi, non esiterà a sollevare contro i magistrati un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale (con quale possibile accoglienza lo lasciavano intendere qualche giorno fa le parole di risentimento, per gli insulti ricevuti, dello stesso presidente della Consulta), e magari giocherà il tutto per tutto in una nuova tornata di elezioni anticipate, pur di evitare di ritrovarsi alla sbarra. Ma allo stato delle cose quella del 6 aprile è la data d’inizio fissata per il processo del secolo.

La sola convocazione del presidente del Consiglio come imputato di reati così infamanti, che prevedono come pena accessoria l’interdizione dai pubblici uffici, in pochi minuti ha fatto il giro del mondo, rimbalzando tra tv, radio, giornali e siti Internet dell’intero pianeta. E’ da ciò che bisogna partire per capire quale potrà essere il peso politico dell’evento.

Riandare con la memoria alle udienze e agli imputati della famosa maxi-tangente Enimont, rivedere le immagini storiche di Craxi e Di Pietro faccia a faccia e di Forlani con la bava bianca agli angoli della bocca, può servire, ma non è detto che renda l’idea. Così come ricordarsi la paziente rassegnazione di Andreotti nel suo interminabile processo per mafia. L’unico punto in comune da tener presente è che allora come oggi non si procede solo contro uno o più imputati eccellenti, ma contro un’intera fase politica che potrebbe chiudersi anche stavolta, come diciotto anni fa, con una sentenza di condanna.

Qui però le similitudini finiscono e si snoda invece una vicenda diversa. Stiamo parlando infatti non di un tribunale che giudica la corruzione di una classe politica, o i suoi rapporti con la criminalità organizzata. Ma di valutare se il presidente del Consiglio è idoneo a proseguire nel suo ruolo in base alle sue debolezze private e all’eventualità che a causa di queste sia incorso nei reati contestati. Il collegio composto da tre donne togate chiamato a pronunciarsi lo farà, si può starne certi, avvalendosi non solo del rito abbreviato, che dovrebbe garantire meglio l’imputato, consentendogli di ottenere una sentenza in tempi ristretti, ma utilizzando tutti gli strumenti necessari per far emergere le prove a carico e discarico del premier.

Sotto gli occhi elettronici di telecamere delle tv di tutto il mondo, i cui inviati stanno già provvedendo a prenotare alberghi e postazioni per trasmettere, assisteremo a qualcosa di fronte a cui il già ricordato malinconico tramonto giudiziario della classe dirigente della Prima Repubblica dovrà impallidire. Una dopo l’altra, vedremo sfilare escort poliglotte, ballerine sudamericane, attrici o aspiranti tali, consigliere regionali già specialiste in igiene dentale, laureate alla Bocconi di ritorno dai reality-show, e insomma tutto il giro emerso grottescamente dalle intercettazioni e obbligato dalle liturgie processuali a ripetere o contestare in diretta gli squallidi dialoghi trascritti sulle carte dell’accusa. E’ prevedibile che alcune delle testimoni convocate, fin qui trattenute dalle pressioni dei legali del Cavaliere o dalla convenienza, anche economica, nel difenderlo, vedendolo seduto sul banco degli imputati e considerandolo ormai indifendibile, si lascino andare e mutino atteggiamento. Prima ancora della sentenza, questa terribile manifestazione di ostracismo e di ingratitudine, da parte delle ragazze che un tempo ne allietavano le serate, potrebbe essere la vera condanna pubblica di Berlusconi.

Da ultima, come vera protagonista del processo, in aula entrerà Ruby, la sedicente nipote di Mubarak: si capirà in quel momento da chi effettivamente dipendono ormai le sorti della Seconda Repubblica. Della quale tuttavia, adesso che se ne annuncia il naufragio, dovrà pur essere lecito dire che non meritava questa fine. Sì, se si misurano le aspirazioni e gli obiettivi iniziali con i risultati, sarà anche stato un ventennio sprecato. Ma non completamente da buttare. L’idea che tutto si risolva liberandosi di Berlusconi e tornando all’antico modo di far politica e far funzionare la Repubblica, alla fine potrebbe rivelarsi una pericolosa illusione.

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« Risposta #268 inserito:: Febbraio 17, 2011, 05:11:41 pm »

17/2/2011 - TACCUINO

La nuova campagna acquisti e le paure della Lega dietro la linea della prudenza

MARCELLO SORGI

Ha fatto molto discutere, nei conciliaboli di Montecitorio, il self-control con cui Berlusconi è riapparso ieri in pubblico, al fianco del ministro dell’Economia Tremonti, e all’indomani del rinvio a giudizio deciso dal Gip di Milano. Chi si aspettava un’intemerata contro la Procura milanese e la decisione di sottoporlo a un nuovo processo con rito abbreviato è rimasto deluso. Berlusconi ha mantenuto la calma e ha ripetuto che il governo pensa solo ad andare avanti e a realizzare le riforme che fin qui erano state rallentate dall’ostruzionismo dei finiani.

Quest’ostentazione di sicurezza, accompagnata da un silenzio assoluto sul fronte giudiziario si spiega con la riapertura, da parte del Cavaliere, della campagna acquisti che ha fatto segnare tra l’altro ieri un altro passaggio al Senato del fli Menardi al Pdl. Tra i consiglieri di Berlusconi s’è diffusa la convinzione, dopo il cattivo esito del congresso milanese di Futuro e libertà, che tra le file del Presidente della Camera si possano pescare altri parlamentari che verrebbero a rafforzare la maggioranza. Di qui appunto l’insistenza sul governo che punta alla fine naturale della legislatura e la rinuncia a qualsiasi polemica contro i giudici, argomento a cui i finiani sono sempre molto sensibili.

Al momento, Berlusconi sembra godere di un appoggio pieno da parte di Bossi. L’intervista alla Padania del leader del Pd Bersani non ha segnato alcun ripensamento o libera uscita, anche se nessuno conosce i termini veri dell’accordo tra il Cavaliere e il Senatur. A giudicare da quel che dice il leader del Carroccio il governo può andare avanti se ha i numeri, e quest’osservazione, di per se ovvia, sottende per Berlusconi la necessità di allargare ancora la sua maggioranza.

Qualcuno ha voluto vedere anche nei diversi obiettivi – 325 o 330 deputati – indicati da Berlusconi e dal ministro Calderoli, una dissenso sulle effettive possibilità di procedere in una condizione di endemica debolezza. Ma la sostanza vera dell’intesa tra il premier e Bossi potrebbe essere, non di darsi assicurazioni di andare avanti a qualsiasi costo, ma di impegnarsi sul fatto che se alla fine saranno costretti egualmente ad andare alle elezioni, i due leader lo decideranno insieme. A consigliare questa prudenza anche da parte del Carroccio sarebbero nuovi sondaggi che dopo il Pdl vedono anche la Lega in difficoltà. Andare alle urne senza il federalismo sarebbe impossibile per Bossi. Ma tra un po’, quando si capirà di che pasta è fatto il federalismo in via d’approvazione, potrebbe essere rischioso anche andarci dopo averlo approvato.

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« Risposta #269 inserito:: Febbraio 23, 2011, 11:51:39 pm »

23/2/2011

E il premier si scopre moderato

MARCELLO SORGI

Sarà anche vero che al punto in cui sono giunte le cose non ci si meraviglia più di niente. Ma se lo scontro - l'ennesimo - annunciato tra Quirinale e Palazzo Chigi alla fine è stato evitato, una ragione dev'esserci. A sorpresa, mentre tutti si aspettavano un nuovo braccio di ferro con il Colle, Berlusconi ha fatto invece sapere di condividere le obiezioni fatte dal Capo dello Stato contro il decreto «milleproroghe», dilatatosi a dismisura, e ha promesso di tenerne conto, anche se questo costerà al governo un rinvio del voto della Camera che voleva ottenere già oggi con la fiducia.

La moderazione con cui il premier ha accolto il nuovo richiamo del Presidente della Repubblica ha una logica e si spiega così. Nella sua attuale, improponibile, formulazione, non a caso paragonata a una specie di legge finanziaria, il decreto discendeva da una fase politica che il Cavaliere auspica stia per chiudersi: quella, appunto, della maggioranza risicata in aula e inesistente nelle commissioni, alla Camera. Di qui la necessità di procedere per atti di governo di dimensioni mostruose, ai limiti del tollerabile, da approvare con la fiducia, senza impegnare i parlamentari in votazioni frequenti che avrebbero potuto riservare sorprese, dati i numeri esigui su cui Berlusconi poteva contare fino a qualche giorno fa.

La crisi di Futuro e libertà e la serie di uscite, al Senato e alla Camera, dal partito del Presidente della Camera, stanno invece delineando rapidamente un nuovo quadro, in cui il governo, disponendo di nuovo di una maggioranza, può realmente darsi l'obiettivo di durare, contando, non solo sui transfughi già corsi in suo appoggio, ma su tutti quelli che potrebbero arrivare anche da gruppi diversi da quello del Fli, in una prospettiva di legislatura che tende ormai alla sua scadenza naturale.

Perfino l'iniziativa, giustamente censurata dal Quirinale, di chiedere il voto dell'aula della Camera senza passare dalle commissioni, in futuro non avrà più ragion d'essere. E' possibile pure che il premier vi abbia fatto ricorso, pur sapendo di forzare le regole, anche per sottolineare il problema dell'adeguamento delle commissioni a Montecitorio. Fino a quando poteva contare su meno dei 316 voti necessari per passare alla Camera, il governo infatti doveva rassegnarsi al fatto che in molte commissioni non sarebbe riuscito a passare, e tentare semmai qualche espediente. Ma adesso che il sostegno parlamentare dei deputati ha toccato quota 320, e tende ancora ad allargarsi, Berlusconi ha tutto il diritto di chiedere un rapido ridisegno della composizione delle commissioni per consentire anche in quelle sedi alla sua maggioranza di esprimersi.

Il problema è che la procedura per le commissioni - dove ancora in molti casi siedono i finiani, benché passati all'opposizione, e non sono rappresentati proporzionalmente i «responsabili» e gli altri gruppi schieratisi con il Cavaliere - deve essere messa in moto proprio da Fini, che finora ha preso tempo e ieri non a caso è stato tra i primi ad applaudire all'intervento di Napolitano.

Il premier stavolta ha chinato la testa perché ha capito che il Capo dello Stato, che avrebbe potuto pretendere che il «milleproroghe» ripartisse da capo, alla fine, riconoscendo che il governo s'è rafforzato ed è in condizione di approvarlo, s'è accontentato di una semplice correzione che consente di salvarne la maggior parte.

La questione delle commissioni però resta aperta e per Palazzo Chigi rappresenta la premessa della normalizzazione dei rapporti con il Parlamento. Anche grazie al suo appeasement con il Quirinale, Berlusconi in sostanza si aspetta, in caso di ulteriori ritardi, che il Presidente della Repubblica, la prossima volta, si rivolga a Fini per ricordargli quali sono i suoi doveri istituzionali nei confronti del governo.

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