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Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 108490 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Luglio 26, 2007, 11:38:50 pm »

Le mie idee per Veltroni
Pier Luigi Bersani


Il solco profondo che si è aperto fra politica e società è certamente figlio di un sistema politico e istituzionale irrisolto ed eternamente in transizione. Tuttavia quel solco va letto anche dal lato della società. La società non esprime solo spinte positive e dinamiche. Chi è investito dalla competizione globale ha i nervi tesi; chi pensa di potersene mettere al riparo si chiude in casematte corporative, localistiche o relazionali. Alla lunga, casematte di carta. Emergono dunque forme di dissociazione e di «anarchismo» nel profondo della società; come se la globalizzazione fosse il pettine a cui giungono i nodi antichi del particolarismo italiano. La destra propone un modello di leadership che dice a ogni italiano: fai quello che vuoi. La leadership che noi dobbiamo esprimere è alternativa e non può che partire da un richiamo forte alla cittadinanza comune e a una nuova stagione di civismo.

I soggetti più dinamici, le coscienze più mature, le sensibilità più fresche e giovani riconoscono infatti che se la politica è colpevole, non per questo tutta la società è innocente.

Un messaggio così forte e diretto può essere dato credibilmente solo da un soggetto politico che dimostri di mettersi veramente in gioco, con un linguaggio inedito per verità, precisione e concretezza. Il linguaggio tuttavia non è un ornamento ma è la natura stessa di un partito. Solo un partito in cui le leadership si selezionano su basi politiche e programmatiche leggibili, può pronunciare parole chiare al Paese e illuminare l'azione di governo. L'alternativa sarebbe quella di imitare malamente "da sinistra" le venature populiste, comunque inarrivabili, della destra.

I nostri valori Sono quelli di una nuova e grande sinistra democratica e popolare. La parola sinistra non deve essere lasciata incustodita, deve invece essere riempita di cose nuove. L'idea dell'uguale libertà e dignità di tutti gli esseri umani, fondamento ineliminabile della stessa nozione di sinistra, può essere una spinta formidabile per l'intera nostra società. Se questo non ci appare più tanto chiaro è perché abbiamo legato quella grande idea a simulacri di antiche conquiste che oggi non sempre incidono sulla realtà. Possiamo accettare che l'Italia sia, fra i grandi paesi dell'occidente, quello con il grado minore di mobilità sociale e con la disparità maggiore fra i redditi? Mobilità sociale e coesione non devono più sembrarci un ossimoro.

Il lavoro e la democrazia Rinnovare i valori di una sinistra democratica e popolare significa tornare a coltivare nelle condizioni nuove i suoi grandi e storici campi d'azione: il lavoro e la democrazia. Dobbiamo dunque costruire un partito del lavoro e della cittadinanza.
Se nessuno nel nuovo secolo accetterà di definirsi solo "lavoratore" è in ragione delle conquiste del vecchio secolo. Tuttavia il lavoro resterà per noi il primo diritto di cittadinanza. Due pilastri hanno consentito che il lavoro non fosse una merce qualsiasi: il diritto e l'autorganizzazione. Bisogna rinnovarli entrambi. Fare argine all'enorme pressione che viene sul lavoro dal processo di globalizzazione non significa impedirsi di guardare avanti, all'emergere di percorsi qualitativi e partecipativi indotti dalla necessaria condivisione delle conoscenze; all'articolazione dei lavori che rischia di diventare atomizzazione senza forme nuove di rappresentanza; al determinarsi di zone d'ombra inedite e di terre di nessuno, al nuovo significato del lavoro autonomo e imprenditoriale e ai valori che esprime.
Anche il tema della democrazia è un campo privilegiato di combattimento e di riforme per il partito nuovo. La democrazia è un metodo per decidere attraverso la partecipazione e non per partecipare a prescindere dalla decisione. Diversamente la democrazia perde legittimazione. Riforme nei "rami alti" dunque (istituzioni, legge elettorale) ma anche tempi certi e clausole di chiusura della decisione in ogni procedimento pubblico, garantendo comunque la partecipazione. La partecipazione dovrà qualificarsi e rafforzarsi sui temi eticamente sensibili. Con l'avanzare della scienza, più le decisioni pubbliche saranno delicate, più saranno transitorie e fallibili. In questa materia non serve un partito che giuri sulle singole soluzioni ma un partito che proponga nuove forme di discussione pubblica e di concorso alla decisione, cioè nuove procedure.

I diritti civili Tutt'altro campo è quello dei diritti civili di cui un partito nuovo deve farsi promotore secondo quei rigorosi principi di laicità dello stato sui quali la cultura cattolico-democratica si è particolarmente e spesso dolorosamente sperimentata. L'efficacia del principio democratico si esercita oggi altresì nella rigorosa tutela dei diritti del cittadino-consumatore-utente, che non è suddito né della pubblica amministrazione né dei soggetti di mercato e che deve trovare nelle politiche pubbliche riferimenti concreti ed esigibili. Infine, ma non per ultimo, si dovrà far crescere nel senso comune la coscienza di una radicale novità. Con la globalizzazione la democrazia, nella dimensione nazionale e locale e particolarmente in campo economico, si organizza pericolosamente su sovranità parziali e spesso fittizie. Di fronte a molti problemi si disarticola ormai il rapporto fra centri decisionali effettivi e meccanismi istituzionali e di partecipazione; così la politica, perdendo via via funzione, è esposta a scorciatoie demagogiche. Tutto questo va affrontato con una nuova razionalità; non proteggendosi dalle "sovranità" esterne ma proponendosi una doppia sfida; società aperta e progressivo controllo democratico degli effetti della globalizzazione. Una vera integrazione europea è il primo e ineludibile banco di prova di questa sfida.

Un nuovo patto fiscale Coesione e mobilità sociale saranno i cardini del progetto. La coesione si sorregge su alcuni pilastri. L'impianto universalistico delle fondamentali politiche sociali (di fronte a bisogni essenziali nel campo della legalità e della sicurezza, della salute, dell'istruzione non ci può essere né povero né ricco). Ciò pretende polso fermo nel garantire sostenibilità economica, buona organizzazione, flessibilità, sussidiarietà nei principali istituti di welfare. Un nuovo patto fiscale. Ciò significa, assieme alla riqualificazione della spesa pubblica e alla riduzione del debito, ricondurre l'evasione fiscale a livello europeo attraverso meccanismi che riversino stabilmente una parte dei risultati della lotta all'evasione a sollievo dei contribuenti onesti e più esposti, garantendo stabilità delle procedure amministrative. Una nuova cultura dell'unità del Paese. Gli italiani del sud soffrono particolarmente della privazione di diritti di cittadinanza in termini di legalità e di prestazioni di servizi essenziali. Le risorse e gli sforzi devono concentrarsi lì, perché è lì il blocco fondamentale della vitalità economica. Gli italiani del nord soffrono particolarmente del distacco fra dinamismo economico-sociale e sclerosi dello Stato.
Non si tratta tanto di superare "ritardi" fra sud e nord ma di ritrovarsi tutti in un'Italia cambiata. La modernizzazione del Paese è la prima politica meridionalista. Senza muovere le risorse potenziali del mezzogiorno il Paese non cresce. Tutto questo non può avvenire se le energie del nord non possono esprimersi pienamente e si sentono estraniate da una dimensione e da una "missione" nazionali. Un federalismo fiscale equilibrato darà un contributo di coesione. Il rischio di dissociazione del sistema viene infatti dalla disarticolazione fra competenze e responsabilità e dall'assenza della dimensione regionale e locale nell'attuale assetto bicamerale del Parlamento.

Meno lobby, più libertà L'obiettivo di maggiore mobilità sociale genera un vasto programma di riforme nelle più diverse direzioni. Nella concretezza di queste riforme, agli occhi delle nuove generazioni la destra populista e corporativa dovrà restituirci la parola libertà. Non c'è settore dell'economia e della finanza, dell'organizzazione sociale, delle professioni e dei mestieri, della scienza e dell'università che non sia segnato in una qualche misura da meccanismi relazionali, corporativi o monopolistici. Questi meccanismi vanno nominati ad uno ad uno e smantellati o corretti radicalmente con l'iniziativa legislativa e, laddove possibile e necessario, con l'iniziativa popolare e referendaria. Maggior dinamismo, dunque, nei percorsi di vita, di lavoro, di attività economica e sociale: se si cambia un po' tutti, tutti possiamo stare meglio; se stiamo con chi bussa alla porta e non con chi la tiene chiusa possiamo darci un futuro. La dignità del cittadino e il civismo che si esprime nel lavorare e nel produrre deve ottenere un riconoscimento vero dalla pubblica amministrazione. L'attività di impresa deve potersi svolgere dentro regole razionali e amichevoli perché intraprendere nelle regole è di per sé espressione di civismo.
La destra ha interesse ad una cattiva reputazione della pubblica amministrazione. Noi non possiamo dare credibilità alle nostre politiche senza una buona reputazione della pubblica amministrazione e senza valorizzarne la funzione di servizio. La riforma della pubblica amministrazione sempre evocata deve prendere la concretezza di progetti di riorganizzazione ad ogni livello, spostando risorse da vecchie a nuove funzioni, utilizzando tecnologie e riducendo il peso di vincoli normativi.
Non è tempo oggi di formulare programmi. Basterà ricordare che il messaggio programmatico di un partito nuovo dovrà riconoscere una esigenza di chiarezza e un vincolo di razionalità. Per esempio, se si vuole crescita economica e welfare sostenibile con la nostra demografia non si può prescindere dall'immigrazione, che va meglio regolata secondo principi di accoglienza e di legalità; se si vuole avere nel futuro un sistema pensionistico non si può, al netto di lavori particolari, evitare il collegamento fra aspettative di vita ed età lavorativa; se si vuole mettere al centro delle politiche la questione ambientale bisogna riconoscere che il miglioramento dei bilanci ambientali comporta più cose da fare che cose da impedire; se si vuole mobilitare le energie femminili non si può prescindere da azioni positive concrete, a cominciare dalle quote.

Un partito della società civile Il profilo programmatico del partito nuovo si rivolge con nettezza al Paese e non incorpora le alleanze. Le alleanze ci vogliono, ma un partito è a vocazione maggioritaria non se e quando diventa maggioritario ma se e quando si mostra disposto ad attraversare il deserto in nome delle sue fondamentali idee.
I compiti essenziali del partito nuovo sono la ricomposizione del rapporto fra politica e società e l'affermazione di un progetto unificante di cambiamento. Bisogna dunque immaginarne non la leggerezza ma il radicamento. Creare un canale di scorrimento fra politica e società significa fare un partito politico e della società civile. Un partito aperto e ricco di forme inedite di partecipazione ma di una partecipazione che sia essa stessa formazione alla politica. Un partito federale a base regionale, che trovi in ogni dimensione locale i suoi fondamentali luoghi di vita e di selezione delle leadership.
I meccanismi utili per la fase costituente non saranno la fisiologia del nuovo partito. L'avvio della fase successiva all'assemblea costituente, quella cioè della costruzione del partito, ci aiuterà a superare caratteri di verticismo, di composizione fra gruppi dirigenti, di carenza di confronto di cui abbiamo inevitabilmente sofferto fin qui. Le urgenze politiche possono ridurre i percorsi di costruzione del partito ma anche rubargli l'orizzonte. Non possiamo permettercelo: un partito nuovo non lo si può fare ogni anno e un partito del secolo non può nascere con una impronta troppo segnata dalle esigenze del momento né con una conformazione improvvisata. Nei prossimi mesi faremo entrambe le cose: affrontare la situazione politica sostenendo l'azione di governo e, allo stesso tempo, lavorare in profondità e con generosità alla costruzione del Pd senza schiacciarlo sul presente ma regalandolo al futuro.

Pubblicato il: 26.07.07
Modificato il: 26.07.07 alle ore 9.57   
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« Risposta #31 inserito:: Luglio 26, 2007, 11:39:40 pm »

Perché scelgo Walter
Marina Sereni


Il 14 ottobre voterò Walter Veltroni e da qui a quella data sosterrò la sua candidatura a segretario nazionale del Partito Democratico. Perché, qualcuno mi ha chiesto? Perché non la Bindi, che è una donna? Perché non Letta, che è più giovane? Per molte ragioni che hanno a che fare con ciò che penso del Partito Democratico, con le idee che credo debbano esserne alla base, e soprattutto con l’eccezionalità del momento.

Il 14 ottobre non è un passaggio ordinario nella vita di un partito che c’è già.

È l’atto di nascita di una grande forza riformatrice, progressista, popolare che si rivolge a tutte le persone che vogliono contribuire a fondare questo partito nuovo.

Non ho sempre condiviso le scelte e le posizioni di Veltroni, ma oggi lo voto con convinzione e non per necessità o per «disciplina». Ho anzi considerato la sua disponibilità a candidarsi per questo ruolo un gesto di grande responsabilità e di consapevolezza della straordinarietà del passaggio che stiamo affrontando.

L’esperienza politica e di governo di Walter Veltroni si sono sviluppate dentro una fase travagliata e complessa della vicenda della sinistra democratica italiana. Veltroni è stato tra i principali protagonisti della nascita dell’Ulivo ed è stato senza dubbio tra i più convinti sostenitori della trasformazione dell’Ulivo in Partito Democratico. La sua storia di dirigente politico - dal Pci ai DS - e la sua più recente stagione di Sindaco di Roma sono state segnate dall’idea della necessità di una forte innovazione della cultura politica della sinistra. Ecco perché oggi la sua figura è percepita (a ragione) da una larga opinione pubblica di centrosinistra, ulivista, progressista come la più coerente con il progetto del Partito Democratico. Una candidatura difficilmente riconducibile ad uno solo dei partiti che oggi si stanno sciogliendo nel PD.

Naturalmente ora questa «dote», questa grande popolarità e fiducia di cui Veltroni gode tra i cittadini sono alla prova delle risposte che saprà/sapremo dare ai problemi del Paese. Il suo discorso a Torino - e successivamente gli approfondimenti sui giovani, sul welfare, sulle riforme istituzionali, sul Nord - ha reso evidente la sfida e hanno messo in luce temi e priorità che condivido.

Veltroni ha posizionato il PD esattamente là dove credo che debba stare: nel cuore del centrosinistra (ricordate i dibattiti sul trattino? Quanta acqua è passata sotto i ponti!!!), con l’ambizione di dare risposte «di sinistra» a questioni inedite e intricate (precarietà, sicurezza, ambiente, sviluppo, democrazia nel mondo globale). Ho apprezzato un impianto riformista che non rincorre la destra sul suo terreno, ma che neppure si rifugia nel richiamo astratto a valori e identità tradizionali della sinistra. Credo che il riformismo di cui abbiamo bisogno non sia per niente uno spostamento verso posizioni centriste e moderate e che anzi esso debba nutrirsi di radicalità, nettezza, coraggio.

Le altre candidature - in particolare quelle di Rosy Bindi ed Enrico Letta ai quali pure mi legano tanti valori e obiettivi comuni - non si discostano molto da questo profilo. Semmai cercano di evidenziare temi più specifici poiché si pongono meno di Veltroni la necessità di fare una sintesi convincente per l’insieme delle forze che si riconoscono nel PD. Ma oggi è anche e soprattutto di sintesi che abbiamo bisogno. A unirci e dividerci per affinità culturali e per consonanze programmatiche si farà in tempo, spero in modo più flessibile rispetto alle vecchie logiche correntizie.

In questi primi giorni di campagna per le primarie del 14 ottobre ho sentito una critica davvero incomprensibile alla candidatura dell’attuale sindaco di Roma, secondo cui essa sarebbe frutto degli «apparati». A questa motivazione hanno fatto riferimento sia altri autorevoli candidati sia - seppure in forme diverse - alcuni tra i DS che lamentano l’assenza di altre candidature del nostro partito che avrebbero avuto il compito di rafforzare la presenza della sinistra riformatrice nel PD.

A parte il paradosso di un Veltroni a cui ora si rimprovera di essere troppo vicino ai partiti che si scioglieranno nel PD, dopo averlo rimproverato per essere stato troppo autonomo e distante da quegli stessi partiti, trovo comunque che questo non sia più il tema. I partiti che esistono oggi dopo il 14 ottobre non ci saranno più. È chiaro?

Il PD non nasce contro i Democratici di Sinistra e la Margherita, per fortuna dico io. Nasce per una scelta consapevole dei DS e della Margherita e per andare oltre i loro confini. A chi servirebbe far morire il bambino nella culla? Perché continuare a descrivere i Democratici di Sinistra e la Margherita come tenacemente protesi ad evitare che nuove forze si possano mettere in moto e diventare protagoniste nel PD? Abbiamo attraversato tanti momenti di tensione quando è sembrato che il progetto del PD si inceppasse. Credo vada riconosciuto ai gruppi dirigenti dei due partiti - e se mi è consentito ai DS e a Fassino in particolare - di averci creduto, di essersi impegnati sul serio per far nascere il Partito Democratico attraverso una grande partecipazione popolare, anche prendendo qualche rischio per un percorso del tutto originale ed aperto. Se oggi in tanti si riconoscono nella candidatura di Walter credo sia anche perché è maturata l’idea che con il Partito Democratico sia finalmente possibile superare una astratta e perversa contrapposizione tra partiti e società. E questo è un bene, perché il PD dovrà essere un partito aperto, flessibile e al tempo stesso organizzato, popolare, radicato nella società. La storia di Veltroni - i suoi successi e, se mi si consente, anche i momenti meno brillanti che abbiamo vissuto insieme - rende questa idea di partito credibile.

Infine una considerazione tutta politica: il giorno dopo il 14 ottobre tutti andranno a leggere due cifre. Il numero delle persone che saranno andate a votare e la percentuale che avrà ottenuto il segretario eletto. Quanto più alte saranno quelle due cifre tanto più per il PD sarà un buon inizio.

È straordinariamente importante che in tanti e tante vadano a votare il 14 ottobre ed è importante anche che il segretario, che credo sarà Walter Veltroni, abbia ottenuto un consenso ampio. Dopo il 14 ottobre saremo tutti nello stesso partito, ci aspetta un lavoro complicato e affascinante. Lo dobbiamo affrontare con la serenità e la consapevolezza delle nostre risorse e dei nostri limiti.

Avere una guida autorevole, forte del voto di tante donne e uomini, giovani e anziani, diessini, “margheritini” e senza appartenenza credo sia il modo migliore per affrontare l’impresa.

* Vicepresidente gruppo dell’Ulivo Camera dei deputati


Pubblicato il: 26.07.07
Modificato il: 26.07.07 alle ore 9.56   
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« Risposta #32 inserito:: Luglio 27, 2007, 10:36:46 pm »

L’Estate Romana e la sfida di Veltroni

Renato Nicolini


È almeno da quando ho letto sul Secolo d’Italia («E se invece di Walter avesse vinto Renato? Fu Nicolini nel ’77 a puntare sul nesso politica-immaginario», paginone centrale con richiamo in prima: «L’eresia di Nicolini che affascinò anche la destra») che mi sembra di dover rispondere parlando del Partito Democratico. Quella sera stessa - l’ormai lontano 27 giugno - avevo ascoltato su Sky il discorso di candidatura alla sua guida di Veltroni a Torino, incollato al televisore fino alle due di notte. Veltroni - ho sentito più ancora che pensato - ci invita a guardare avanti e non indietro, statue di sale come la famosa moglie di Lot, perché possano manifestarsi tutte le anime possibili del nuovo Partito Democratico. Perché il nuovo non sia soffocato, ancora in culla, da due genitori forse troppo possessivi come i DS e la Margherita.

Walter mi ha appassionato perché penso che rimescolare le carte della politica serva all’Italia non solo dalla svolta di Occhetto dell’89 (cui mi opposi perché decideva di cambiare il nome del PCI senza sapere come cambiare il Partito), ma (almeno) dai tempi della nascita nel ’63 del centro sinistra e della crisi del ’68. (Strano che non si possa veramente guardare avanti senza fare insieme i conti col passato... ). I primi passi del Partito Democratico mi sembrava invece avessero prodotto una paradossale perdita di consensi ed attrattiva a sinistra, risucchiandolo forzatamente verso il buco nero del Family Day, la famiglia scritta all’inglese e (manifesto rivelatore) di plastica, insomma verso un nuovo centrismo.

Veltroni segretario però non basta, da solo, a fare un nuovo Partito. La storia politica d’Italia, dopo il decennio ’68-’77 - ed anche dopo l’89, dopo Mani Pulite e, perché non dirlo?, dopo la discesa in campo di Berlusconi - non coincide più con la storia dei partiti. Il populismo mediatizzato che oggi toglie potere alla politica non nasce precisamente in Parlamento. Come possono scendere di nuovo in campo le tante anime della democrazia dell’ascolto, del conflitto e del confronto, respinte ai margini dalla logica degli interessi particolari, della spartizione del potere, dell’egemonia di gruppi sempre ristretti e sempre meno trasparenti?

Furio Colombo, annunciando la propria candidatura alla Segreteria del Partito Democratico, in alternativa allo stesso Veltroni, ha dato un buon esempio, seguito da Rosy Bindi. Purtroppo subito contraddetti da un regolamento che sembra pensato per scoraggiare altri a fare altrettanto. Me, per esempio, che ne sono stato tentato, nell’ipotesi di una Costituente davvero aperta, dove è importante la presenza di chi la politica la vive senza farne la scelta di vita. Ma l’avrei fatto poi davvero? Perché la mia Estate romana - apprezzata trent’anni dopo anche dal Secolo - è stata un momento, abbastanza importante, della formazione politica del giovane Veltroni. Non lo dico io, lo dicono gli storici come Grazia Pagnotta (Sindaci a Roma), che rintraccia la radice del veltronismo «nella politica della cultura dell’assessorato Nicolini degli anni Settanta».

Quell’Estate romana è rimasta - trent’anni dopo - nell’immaginazione di tanti - nonostante i tentativi di respingerla nell’effimero, o di omologarla al mercato culturale. Ha fatto sentire a tanti - in un periodo difficile, quello degli anni di piombo - di avere diritto alla città ed alla cultura, senza l’obbligo di trasformarsi in un’unica massa plaudente. Ha scritto un grande architetto, Louis Kahn: «una città è un luogo dove un bambino, quando l’attraversa, può vedere qualcosa che gli dirà quello che egli desidererà poi fare per tutta la vita». Credo che, forse inconsciamente, volessi conservare ai miei figli - Ottavia è nata lo stesso giorno di “Massenzio” - il diritto di vivere in una città che potesse ancora esprimere la meraviglia urbana, almeno in certi momenti d’estate.

Forse c’è qualcosa di più. L’Estate romana ha contribuito alla nascita di un nuovo senso della politica: su basi diverse da quelle dell’appartenenza ideologica, che aveva caratterizzato l’Italia del dopoguerra, del PCI e della DC. L’orizzonte è apparentemente più limitato, la politica qualcosa di più circoscritto e quotidiano, il progetto piuttosto la scelta della direzione e del primo passo che la capacità (o la paranoia?) della completezza. Ma è la politica del nostro tempo. Penso a volte di aver lavorato sullo stesso terreno, il nesso tra spoliticizzazione e trasformazione della società, scomparsa delle vecchie e nascita delle nuove forme della politica - ma con intenzioni opposte, invitare alla trasversalità ed all’ibridazione anziché mediatizzare ed uniformare - su cui è inervenuto Silvio Berlusconi. Le televisioni private nascono, non a caso, nello stesso periodo dell’Estate romana. Mi sembrerebbe strano che quest’esperienza, che ovviamente non è stata solo personale ma che credo di poter rappresentare, rimanesse assente dal processo di formazione del Partito Democratico. Ho detto di no ad Occhetto, ma non lo posso ripetere oggi. Voglio perciò lavorare alla presentazione di una mia lista - con l’intenzione di rappresentare un particolare tipo di appoggio a Veltroni.

Con questa lista, a Veltroni non voglio portare - che dono sarebbe offrire ciò che già si possiede - lodi ma critiche ed una certa diversità. Per intervenire nella società dell’indifferenza e della paura - oggi è ancora più calzante questa celebre definizione di Elias Canetti - non bisogna temere di perdere quello che si ha, ma quello che si potrebbe ottenere.

Penso sia la strada maestra, anche oggi, per sconfiggere integralismi e terrorismo. Ma anche per abbattere davvero il costo della politica, sperimentando forme originali di autogestione piuttosto che clonare le nuove istituzioni sempre dal medesimo modello: la democrazia parlamentare. O per liberare la RAI dalle catene della lottizzazione e della prevalenza del controllo e dell’incompetenza partitica sul merito; o per ridare prestigio al cinema ed allo spettacolo italiano; o ridare smalto alla ricerca, all’università, all’istruzione. Molte cose vanno sottratte alla politica come controllo, non soltanto per ridare senso alla politica, ma per capire appieno che poderosa locomotiva per lo sviluppo può essere nella società globale l’industria dell’immateriale, la totale libertà e la piena autonomia di tutte le forme della cultura.

Pubblicato il: 27.07.07
Modificato il: 27.07.07 alle ore 8.17   
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« Risposta #33 inserito:: Luglio 31, 2007, 11:45:22 am »

30/7/2007 (17:27)

"Instabilità getta ombre sul governo"
 
Veltroni: «L'esecutivo ha fatto cose buone, ma ha bisogno di sostegno»


ROMA
Non si stanca di ripeterlo e, anche oggi, davanti ai giornalisti accorsi per l’inaugurazione della sede del comitato elettorale per la sua candidatura a segretario del Pd, lo ribadisce: «Dobbiamo sostenere il governo, che ha fatto molte cose buone». Tuttavia, Walter Veltroni non manca di sottolineare una nota critica, e cioè che «l’instabilità politica rischia di gettare ombre negative anche sulle cose buone che questo governo ha fatto e fa, come l’aver rimesso a posto i conti pubblici, l’accordo sulle pensioni e in materia di politica estera». Purtroppo, insiste Veltroni, rispondendo a una domanda su quali potranno essere i rapporti con la sinistra radicale qualora sarà lui a diventare il segretario del Pd, «viene tutto rovinato dall’instabilità politica. Ora, per questo, bisogna sostenere l’azione di governo»

"Continuerò a fare il sindaco di Roma"
Walter Veltroni ha ribadito che, se diventerà segretario del Pd, «continuerò a fare anche il sindaco di Roma fino al 2011. Lo faccio non solo perchè è mio dovere, ma anche perchè sono innamorato del mio lavoro e della mia città». Del resto, osserva, «non c’è incompatibilità» tra l’essere segretario di un partito e primo cittadino di Roma. Ci sarebbe incompatibilità «solo se ci fosse in contrapposizione un ruolo istituzionale. Certo - conclude - lavorerò di più...»

Lo stop a Pannella
«Se c’è tanta volontà di partecipazione è un buon segno e vuol dire che il Partito democratico ha grandi capacità attrattive: certo se uno sta in un partito non può stare in un altro e chi sceglie di essere nel Pd deve chiudere la situazione del partito precedente». Così il sindaco di Roma, Walter Veltroni, e candidato alla guida del Partito democratico, commenta, inaugurando la sede del suo comitato per il Pd, la volontà espressa da Marco Pannella, Emma Bonino e Antonio Di Pietro di candidarsi anche loro alle primarie del 14 ottobre.

da lastampa.it
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« Risposta #34 inserito:: Agosto 02, 2007, 05:51:28 pm »

Pd, per Veltroni tre liste nazionali
Simone Collini


Massimo tre liste nazionali a sostegno di Walter Veltroni, una ciascuno per Rosy Bindi ed Enrico Letta. I candidati per la segreteria del Partito democratico che stando ai sondaggi sono in zona podio hanno iniziato a lavorare alle liste che li sosterranno alle primarie del 14 ottobre. Il sindaco di Roma è partito per una vacanza alle Maldive, ma ai suoi ha lasciato precise disposizioni. I colloqui che ha avuto nei giorni scorsi con altri leader politici, dirigenti locali e anche esperti elettorali lo hanno convinto che sarebbe meglio non dare il via libera a troppe liste collegate alla sua candidatura. Il problema non è presentarle, perché bastano un centinaio di firme per farlo, ma incassare i consensi necessari per eleggere i membri dell’Assemblea costituente. A Veltroni infatti non sfugge quello che non a caso Romano Prodi ha scritto nella lettera pubblicata ieri sul sito web dell’Ulivo, e cioè che «chiunque dei candidati prevalga, qualsiasi linea programmatica adotti, deve sapere che il suo lavoro non può essere disgiunto da quello dei rappresentanti eletti delle assemblee». E se troppe liste rischiano di portare a una maggiore dispersione e al fatto inevitabile che i voti incassati da liste che non raggiungono la percentuale necessaria per eleggere almeno una persona vanno persi, le consulenze avute nei giorni scorsi dal sindaco capitolino dicono che andare oltre le quattro liste in ogni collegio finisce per essere controproducente.

Per questo Veltroni e i suoi stanno lavorando sull’ipotesi di andare alle primarie con tre liste da presentare in tutte le regioni, lasciando così spazio per una eventuale quarta laddove conviene che sia presente anche una lista civica animata da governatori locali, tipo quella a cui sta lavorando il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. A portare la dicitura “Per Veltroni” dovrebbero quindi essere il listone per così dire “istituzionale”, quello cioè in cui saranno candidati i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita (ma Veltroni ha preteso che in ogni collegio sia prevista la presenza di almeno una personalità della società civile), una lista a cui stanno lavorando insieme Giovanna Melandri, Ermete Realacci, Andrea Ranieri più diversi esponenti dell’associazionismo che dovrebbe avere una piattaforma programmatica fortemente connotata dai temi dell’innovazione, dell’ambiente, dei diritti civili e del sapere, e una lista che nasce per ora dalla convergenza dei sostenitori della terza mozione del congresso di Firenze (Massimo Brutti, Sergio Gentili e altri) degli ex correntoniani rimasti nei Ds (raccolti attorno all’associazione “Dì sinistra” di Vincenzo Vita) e di settori della Cgil (a cominciare dal presidente della Fondazione di Vittorio Carlo Ghezzi) e di altre associazioni sindacali (ha assicurato la sua partecipazione il segretario del sindacato degli inquilini Sunia Luigi Pallotta), e che dovrebbe chiamarsi «A sinistra per il lavoro, i diritti e l’ambiente». Tre sole liste, ma che nei ragionamenti dei Comitati promotori pro-Veltroni dovrebbero coprire l’intero spettro elettorale che va dai militanti e simpatizzanti Ds-Dl, ai settori che chiedono innovazione e riforme e a quelli che vogliono che il Pd sia un partito di sinistra.

Con la stessa attenzione a non mandare persi i voti si stanno muovendo Letta e Bindi. Entrambi presenteranno una sola lista nazionale in tutti i collegi, anche loro lasciando lo spazio per un’eventuale seconda lista animata dai governatori locali. Il ministro per la Famiglia ha chiesto la disponibilità a candidarsi a tutti coloro che hanno sostenuto la sua corsa alla segreteria del Pd, da Marianna Scalfaro (figlia del presidente emerito, che invece presiede il Comitato pro-Veltroni di Roma e del Lazio) ad Arturo Parisi, da Giovanni Bachelet a Pietro Scoppola, da Franca Chiaromonte ad Anna Maria Carloni, da Vittorio Prodi ad Agazio Loiero, dalla portavoce del Forum Terzo Settore Maria Guidotti al presidente della Fondazione Don Milani Michele Gesualdi. Solo per citarne alcuni. Così come, solo per citarne alcuni, dovrebbero essere nella lista denominata «Democratici per Enrico Letta» i diessini Umberto Ranieri e Gianni Pittella, il ministro per l’Agricoltura Paolo De Castro, governatori come quello della Sardegna Renato Soru, della Basilicata Vito De Filippo, delle Marche Gian Mario Spacca, della provincia di Trento Lorenzo Dellai e di numerosi consiglieri e assessori delle regioni del nord, soprattutto della Lombardia e del Veneto.

Sia Letta che Bindi organizzeranno prima del 21 settembre, data ultima per la presentazione delle liste, delle pre-primarie per scegliere i candidati e anche per decidere l’ordine in lista.

Pubblicato il: 02.08.07
Modificato il: 02.08.07 alle ore 10.00   
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« Risposta #35 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:33:41 pm »

Ricorso di Pannella: decisione rinviata a venerdì

Binetti si schiera: «Voterò Veltroni» «Mi riconosco nella corrente di Rutelli che appoggia il sindaco di Roma.

Bindi importante, ma valori cattolici ben presenti in Pd» 
 

CORTINA D'AMPEZZO - La senatrice teocon della Margherita, Paola Binetti, voterà per Walter Veltroni alle primarie di ottobre per la segreteria del Partito democratico. «Mi riconosco nella corrente di pensiero di Francesco Rutelli che appoggia il sindaco di Roma», ha detto Binetti.

In merito a una migliore rappresentatività dei valori cattolici che Rosy Bindi avrebbe forse potuto portare, la senatrice ha replicato osservando che «i valori cattolici sono ben rappresentati nel Pd, dove c'è comunque una grande ricchezza di contenuti diversi.

Rosy Bindi è un'anima importante e Giuseppe Fioroni anche. I valori cattolici», ha concluso, «devono comunque essere interpretati non come una corrente politica, ma come coerenza di comportamenti e fedeltà al magistero, il che non significa clericalismo o dipendenza politica dalla Cei».

PANNELLA: RINVIO DI UN GIORNO - Slitta intanto a venerdì la decisione del collegio dei garanti del Pd sul ricorso presentato da Marco Pannella e da Amerigo Rutigliano per la loro esclusione dalle primarie. Pannella ha annunciato di essere pronto a ricorrere anche alla via legale chiedendo la sospensione della consultazione prevista per il 14 ottobre.


03 agosto 2007
da corriere.it
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« Risposta #36 inserito:: Agosto 03, 2007, 10:42:55 pm »

Pd, per Veltroni tre liste nazionali

Simone Collini


Massimo tre liste nazionali a sostegno di Walter Veltroni, una ciascuno per Rosy Bindi ed Enrico Letta. I candidati per la segreteria del Partito democratico che stando ai sondaggi sono in zona podio hanno iniziato a lavorare alle liste che li sosterranno alle primarie del 14 ottobre. Il sindaco di Roma è partito per una vacanza alle Maldive, ma ai suoi ha lasciato precise disposizioni. I colloqui che ha avuto nei giorni scorsi con altri leader politici, dirigenti locali e anche esperti elettorali lo hanno convinto che sarebbe meglio non dare il via libera a troppe liste collegate alla sua candidatura. Il problema non è presentarle, perché bastano un centinaio di firme per farlo, ma incassare i consensi necessari per eleggere i membri dell’Assemblea costituente. A Veltroni infatti non sfugge quello che non a caso Romano Prodi ha scritto nella lettera pubblicata ieri sul sito web dell’Ulivo, e cioè che «chiunque dei candidati prevalga, qualsiasi linea programmatica adotti, deve sapere che il suo lavoro non può essere disgiunto da quello dei rappresentanti eletti delle assemblee». E se troppe liste rischiano di portare a una maggiore dispersione e al fatto inevitabile che i voti incassati da liste che non raggiungono la percentuale necessaria per eleggere almeno una persona vanno persi, le consulenze avute nei giorni scorsi dal sindaco capitolino dicono che andare oltre le quattro liste in ogni collegio finisce per essere controproducente.

Per questo Veltroni e i suoi stanno lavorando sull’ipotesi di andare alle primarie con tre liste da presentare in tutte le regioni, lasciando così spazio per una eventuale quarta laddove conviene che sia presente anche una lista civica animata da governatori locali, tipo quella a cui sta lavorando il sindaco di Torino Sergio Chiamparino. A portare la dicitura “Per Veltroni” dovrebbero quindi essere il listone per così dire “istituzionale”, quello cioè in cui saranno candidati i gruppi dirigenti dei Ds e della Margherita (ma Veltroni ha preteso che in ogni collegio sia prevista la presenza di almeno una personalità della società civile), una lista a cui stanno lavorando insieme Giovanna Melandri, Ermete Realacci, Andrea Ranieri più diversi esponenti dell’associazionismo che dovrebbe avere una piattaforma programmatica fortemente connotata dai temi dell’innovazione, dell’ambiente, dei diritti civili e del sapere, e una lista che nasce per ora dalla convergenza dei sostenitori della terza mozione del congresso di Firenze (Massimo Brutti, Sergio Gentili e altri) degli ex correntoniani rimasti nei Ds (raccolti attorno all’associazione “Dì sinistra” di Vincenzo Vita) e di settori della Cgil (a cominciare dal presidente della Fondazione di Vittorio Carlo Ghezzi) e di altre associazioni sindacali (ha assicurato la sua partecipazione il segretario del sindacato degli inquilini Sunia Luigi Pallotta), e che dovrebbe chiamarsi «A sinistra per il lavoro, i diritti e l’ambiente». Tre sole liste, ma che nei ragionamenti dei Comitati promotori pro-Veltroni dovrebbero coprire l’intero spettro elettorale che va dai militanti e simpatizzanti Ds-Dl, ai settori che chiedono innovazione e riforme e a quelli che vogliono che il Pd sia un partito di sinistra.

Con la stessa attenzione a non mandare persi i voti si stanno muovendo Letta e Bindi. Entrambi presenteranno una sola lista nazionale in tutti i collegi, anche loro lasciando lo spazio per un’eventuale seconda lista animata dai governatori locali. Il ministro per la Famiglia ha chiesto la disponibilità a candidarsi a tutti coloro che hanno sostenuto la sua corsa alla segreteria del Pd, da Marianna Scalfaro (figlia del presidente emerito, che invece presiede il Comitato pro-Veltroni di Roma e del Lazio) ad Arturo Parisi, da Giovanni Bachelet a Pietro Scoppola, da Franca Chiaromonte ad Anna Maria Carloni, da Vittorio Prodi ad Agazio Loiero, dalla portavoce del Forum Terzo Settore Maria Guidotti al presidente della Fondazione Don Milani Michele Gesualdi. Solo per citarne alcuni. Così come, solo per citarne alcuni, dovrebbero essere nella lista denominata «Democratici per Enrico Letta» i diessini Umberto Ranieri e Gianni Pittella, il ministro per l’Agricoltura Paolo De Castro, governatori come quello della Sardegna Renato Soru, della Basilicata Vito De Filippo, delle Marche Gian Mario Spacca, della provincia di Trento Lorenzo Dellai e di numerosi consiglieri e assessori delle regioni del nord, soprattutto della Lombardia e del Veneto.

Sia Letta che Bindi organizzeranno prima del 21 settembre, data ultima per la presentazione delle liste, delle pre-primarie per scegliere i candidati e anche per decidere l’ordine in lista.

Pubblicato il: 02.08.07
Modificato il: 02.08.07 alle ore 10.00   
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« Risposta #37 inserito:: Agosto 04, 2007, 10:13:48 am »

POLITICA

Il candidato segretario e Franceschini hanno scelto i loro delegati

Il 50 per cento sono donne. "Un risultato importante, una spinta innovativa"

Ecco i coordinatori per Veltroni

In ogni regione un garante delle liste

Sono 21: dal musicista Fresu alla scrittrice Clara Sereni.

Poi imprenditori e molti sindaci

In Molise scelto uno straniero che fa il mediatore culturale

 Paolo Fresu


ROMA - La metà sono donne. Tra gli altri c'è un musicista raffinato come Paolo Fresu, una scrittrice intensa come Clara Sereni, un ex pezzo da novanta come il presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. E poi giornalisti, come Sandra Bonsanti e Simona Mafai, industriali e parecchi sindaci. Ufficialmente sono i 21 coordinatori regionali che Veltroni - e anche Franceschini - hanno scelto in ogni regione, il braccio operativo del quartier generale "La nuova stagione" che è a Roma. I colonnelli che dovranno organizzare eventi, dibattiti, creare il collegamento tra i candidati e la base.

Oltre che coordinatori sono anche garanti delle liste. Dovranno controllare i meccanismi di selezione delle liste nel proprio "territorio", verificare chi entra o chi è uscito e perchè. Essere custodi del mandato che il Partito democratico apra veramente "una nuova stagione" con la partecipazione di tutti. "Attenzione a non fare di questo partito una caricatura" disse il segretario in pectore del Pd durante una delle ultime riunioni in SS.Apostoli.

"Voglio ringraziare davvero di cuore queste persone per aver accettato di impegnarsi in prima persona, guidando i comitati regionali che sosteranno la mia candidatura alla segreteria del Partito Democratico. Ognuna di loro sarà un punto di riferimento importante nella costruzione di un partito veramente nuovo che sappia valorizzare le forze migliori del nostro territorio" spiega Veltroni sul sito "La nuova stagione" - la porta web aperta 24 su 24 con gli elettori - che ha dato l'elenco dei nominativi. "Uomini e donne delle istituzioni, professionisti, imprenditori, esponenti della società civile e della cultura - scrive il sindaco di Roma - i ventuno coordinatori dei comitati sono tutte persone che conoscono bene le singole realtà locali, e rappresentano per me la garanzia che il processo che si sta mettendo in moto sarà davvero un momento di vera apertura della politica verso tutti quelli che guardano a questa grande avventura con speranza ed entusiasmo".

Ecco la lista completa dei 21 coordinatori: Val d'Aosta: Giuliana Ferrero, assessore Servizi sociali del comune di Aosta. Lombardia: Alessandra Kustermann, ginecologa. Piemonte: Sergio Chiamparino, sindaco di Torino. Veneto: Massimo Cacciari, sindaco di Venezia. Trentino: Alberto Pacher, sindaco di Trento.
Alto Adige: Giovanni Polignoli, sindaco di Laives.
Friuli Venezia Giulia: Sergio Bolzonello, sindaco di Pordenone. Liguria: Marta Vincenzi, sindaco di Genova. Emilia Romagna: Livia Zaccagnini, presidente Istituzione Biblioteca Classense. Toscana: Sandra Bonsanti, giornalista. Umbria: Clara Sereni, presidente associazione Città del Sole. Marche: Maria Paola Merloni, imprenditrice e parlamentare. Lazio: Oscar Luigi Scalfaro. Campania: Teresa Armato, assessore regionale Università e ricerca. Abruzzo: Stefania Pezzopane, presidente provincia L'Aquila. Molise: Danilo Leva, consigliere regionale. Sardegna: Paolo Fresu, musicista. Calabria: Rosa Villecco Calipari, parlamentare. Basilicata: Mohamed Amadid, mediatore interculturale. Puglia: Salvatore Marzano, rettore Politecnico Bari. Sicilia: Simona Mafai, giornalista.

(2 agosto 2007) 
da repubblica.it
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« Risposta #38 inserito:: Agosto 04, 2007, 10:05:48 pm »

PARTITO DEMOCRATICO / LA CORSA ALLA LEADERSHIP

L'alter Walter
di Marco Damilano

Incontri. Trattative. Interventi polemici. Liste di candidati. Così si tesse la tela di Bettini. Uomo-chiave della scalata di Veltroni 
Il Regista, come ormai lo chiamano tutti, convoca le riunioni più delicate a casa sua, uno spoglio appartamento di 45 metri quadri in viale Parioli. Riceve di sera sdraiato su un divano, a piedi scalzi, avvolto in una enorme camiciona bianca che a stento lo contiene. Intorno a lui, un ristretto gruppo di amici, sempre gli stessi: deputati, assessori, i vertici romani dei Ds. Al culmine della discussione, entra Libero, l'inseparabile uomo di fiducia, con in mano un pentolone ancora fumante arrivato direttamente dalla borgata Casalotti dove è di casa: pasta e fagioli per il padrone di casa e i suoi ospiti. Il Regista divora rigatoni larghi un metro, qualche volta la tunica si macchia, ma non importa. Mangiare ed elaborare strategie politiche sono le uniche due passioni conosciute di un potente che non ama l'immagine.

Nelle ultime settimane, però, è uscito allo scoperto: Goffredo Bettini Rocchi Camerata Passionei Mazzoleni, come si scrive per esteso la famiglia nobiliare di Senigallia da cui discende, Cavaliere Comandante del Nobilissimo Ordine della Corona della Thailandia, la massima onorificenza del Paese asiatico dove ha casa e trascorre le vacanze, conferita da Sua Maestà il Re Bhumidol Adulyadei, oppure Panzarella come lo chiamavano a scuola. È lui l'uomo chiave della scalata di Walter Veltroni alla leadership del Pd. Il regista delle candidatura. L'uomo che compila le liste del 14 ottobre a sostegno del sindaco. Il braccio armato del veltronismo, anche, quello incaricato di menare le mani se necessario, come si è visto nell'ultima intervista al 'Corriere': quando ha definito "padroncino" il tesoriere ds Ugo Sposetti e "luminare delle preferenze" l'europarlamenare della Quercia Gianni Pittella che voterà Enrico Letta.

Per Bettini si annuncia un ottobre di super lavoro. Dopo le primarie di domenica 14 c'è da gestire la seconda edizione della Festa del Cinema di cui è patron. Ma il senatore passa ringiovanito da una riunione all'altra. Nel suo ufficio all'Auditorium, in questi giorni di gran confusione, con candidati che vanno e vengono, quelli promossi e quelli bocciati, è tutto un via vai continuo di notabili che si propongono per le liste di appoggio a Veltroni. Una Babele: 475 collegi su tutto il territorio nazionale, alternanza tra uomo e donna nelle teste di lista, tutti i big nazionali e locali da piazzare. Perfino un veterano del genere come il presidente del Senato Franco Marini quando ha visto il regolamento ha perso la calma: "Che c... avete combinato?".

Bettini il Regista, invece, non si spazientisce. Ascolta, annota, consiglia, regala un libro sulla Festa del Cinema e passa all'interlocutore successivo. C'è tempo fino al 21 settembre per preparare la squadra dei candidati pro-Veltroni, ma l'assetto sembra già definito: due liste di appoggio, una con Ds, Margherita e ulivisti vari, un'altra coordinata da Giovanna Melandri e Ermete Realacci con dentro giovani, movimenti e ambientalisti, più qualche operazione regionale, per esempio una lista in Piemonte e Liguria capeggiata dai sindaci Sergio Chiamparino e Marta Vincenzi. Una complicata geografia di pesi e contrappesi che hanno un unico terminale: Bettini.

Si gode la rivincita: l'operazione Veltroni lo lancia finalmente sulla scena nazionale dopo che per anni ha creato sindaci, presidenti di provincia, presidenti di regione, restando un perfetto sconosciuto fuori dal raccordo anulare. È talmente felice di esserci che ha dimenticato le inimicizie. Quella con Francesco Rutelli, per esempio, che gli ha soffiato la poltrona di ministro della Cultura nonostante un debito di gratitudine: fu Bettini a inventarlo sindaco di Roma nel 1993. E quella, storica, con Massimo D'Alema, che risale agli anni Settanta, quando Massimo era il leader della Fgci nazionale e Goffredo capo di quella romana. Bettini è tra i pochissimi nella Quercia che non subiscono il carisma di D'Alema, in passato lo chiamava il Ducetto. Ora marciano d'amore e d'accordo, diciamo.

Per Walter intreccia una tela trasversale costruita attorno all'Auditorium, il salotto buono della sinistra romana, ribattezzato Bettinorum durante la lunga presidenza del senatore. Un fronte che va da Andrea Mondello, presidente della Camera di commercio, al costruttore-editore Francesco Gaetano Caltagirone: 'Il Messaggero' saluta con entusiasmo qualsiasi iniziativa bettiniana. Rapporti tessuti tra riunioni operative e cene elettorali: indimenticabile quella dell'anno scorso al padiglione 22 della Fiera di Roma con Silvio Muccino, Cesare Romiti, Giancarlo Elia Valori. Seduti uno accanto all'altro, c'erano pure Gigi Proietti e Maurizio Costanzo. È il modello Roma, presentato come l'unico in grado di far durare il centrosinistra anche nel resto d'Italia. Per organizzare le truppe, Bettini ha fondato due mesi fa una associazione, Democratici in rete, con uffici nella magnifica via Giulia, dove lavorano i Bettini boys: Andrea Cocco, Stefano Del Giudice, i collaboratori di sempre, Maurizio Venafro, uomo-ombra di Piero Marrazzo alla Regione Lazio, Michele Civita, alla Provincia di Roma con Enrico Gasbarra.

Con Veltroni le riunioni si fanno in Campidoglio, nella stanza del sindaco, naturalmente all'alba. Un'amicizia antica, vite parallele. Anche Goffredo, come Walter, non viene da una famiglia comunista. Padre repubblicano, liceo al Righi, dove conosce Barbara Palombelli, due fratelli, l'italianista e poeta Filippo e il giornalista Luan, un'adolescenza difficile: "Entrare nel Pci fu un passaggio della vita privata. Quando, provenendo da una famiglia borghese e dal suo ordine protettivo, cominciai a camminare da solo e scoprire la durezza della vita". Goffredo si iscrive al Pci a 14 anni grazie al cinema. Entrò in una sezione del centro per un cineforum dove davano 'Umberto D.' e 'Germania Anno Zero', ne uscì militante comunista. Un percorso segnato dall'incontro con Pier Paolo Pasolini, conosciuto nel 1974 a una festa della Fgci a villa Borghese. Dopo la morte di P.P.P. Bettini viene incaricato di scortare a Parigi la pellicola di 'Salò o le 120 giornate di Sodoma' per la prima visione mondiale. Nel vagon-lit c'è anche Ferdinando Adornato, responsabile stampa e propaganda dei giovani comunisti, nella cabina accanto Laura Betti. Tocca a lui leggere il discorso ufficiale in italiano mentre Bernardo Bertolucci tiene quello in francese.

Nel Pci i suoi maestri sono due personaggi molto diversi tra loro: Paolo Bufalini, "mi ha insegnato il gusto per la cultura antica che mi aiuta ad avere il giusto distacco dalle cose", e Pietro Ingrao: per i suoi novant'anni Bettini distribuì un libricino dedicato al vecchio leader. Passione e cinismo, intelligenza luciferina e ingenuità al momento della conquista finale. Come dimostra l'oscillazione sulla svolta di Achille Occhetto quando il Pci cambiò nome: Bettini non ci credeva, restò indeciso a lungo e si giocò la possibilità di essere lui, un giorno, il segretario della Quercia. Oppure la sfortuna che ha accompagnato le sue candidature in Parlamento: trombato nel '92, nel '94, nel '96. Infine, lo smacco più grave, un anno fa: quando voleva fare il ministro e fu bruciato da Rutelli.

Ora, però, è di nuovo in pista, in prima persona, con il suo sogno nel cassetto. Portare Veltroni a palazzo Chigi. E giocare a fare il suo Gianni Letta, il Suggeritore delle mosse sulla scacchiera. Il Letta vero è un suo amico, nel cda dell'Auditorium, Bettini lo adora: "Puntuale, disponibile, un uomo per bene. Portarlo al governo con il centrosinistra sarebbe come rubare Pelè alla squadra avversaria". Goffredo ci prova.


Strategia Letta & Bindi
 
La parola magica del candidato anti-Walter Enrico Letta si chiama pre-primarie: chiedere agli elettori di votare prima del 14 ottobre per i nomi dei capilista, "dato che è passato lo schema delle liste bloccate e non ci sarà possibilità di dare una preferenza", spiega il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Lunedì 6 agosto Letta sarà a Milano per presentare il progetto: "La Lombardia è un laboratorio, la regione-chiave della mia candidatura", ragiona. Con adesioni che vanno dalla Margherita di Cesare Galperti, il coordinatore regionale, ai Ds con il dalemiano Carlo Cerami, animatore di Italianieuropei a Milano e membro del cda della fondazione Cariplo, al vice-presidente del consiglio comunale Davide Corritore eletto nella lista Ferrante, ulivista doc.

Anche Rosy Bindi organizza le pre-primarie, girando come una trottola da una festa dell'Unità all'altra: alla festa dell'Ulivo di Monte San Savino, sabato scorso, c'erano centinaia di persone a sentirla. E intanto incassa le 650 firme raccolte in due giorni per la sua candidatura a Reggio Emilia da Francesca Ovi, insegnante in pensione, sorella di Alessandro, consigliere di Prodi a Palazzo Chigi: un record per la raccolta pro capite difficilmente eguagliabile.

da espressonline.
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« Risposta #39 inserito:: Agosto 05, 2007, 10:16:02 pm »

Bersani: no ai verticismi Pd, assedio a Veltroni Il ministro ds: così il partito rischia.

Penalizzata la nostra sinistra

I prodiani criticano il sindaco.

Vita: per Walter sempre più difficile 


ROMA — La gestazione del Partito Democratico appare tutt’altro che semplice. C’è la Margherita che si divide nuovamente tra rutelliani ed ex popolari, con i primi che minacciano di fare una lista in proprio e con i secondi che rispondono per le rime. Significativa la replica di Beppe Fioroni, ministro dell’Istruzione, agli uomini del presidente della Margherita: «Si chiamano coraggiosi, bene, abbiano il coraggio di fare questa lista sul serio, anche se io penso che sia un errore, che occorra esaltare il meticciato, metterci tutti insieme, mescolare culture e tradizioni». Già, ma i rutelliani sostengono che questo listone onnivoro sia gestito da Dario Franceschini in modo tale da emarginarli, favorendo invece gli ex ppi.

Dallo staff di Franceschini fanno sapere di non credere che alla fine il presidente della Margherita scenderà in campo con proprie liste. E ancora Fioroni osserva: «Io non voglio contare di più nelle liste, ma neanche di meno, sia chiaro...». Mentre nella Margherita si litiga, nei Ds affiorano dubbi e perplessità. Il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, lancia l’allarme: ci sono delle questioni da risolvere altrimenti in il Pd è «a rischio». C’è un problema, sottolinea il dirigente della Quercia in un’intervista all’Unità, che «può anche essere mortale» per il partito che verrà, perché «fin qui si è seguito un meccanismo» che potrebbe portare a un moltiplicarsi di operazioni verticistiche.

E allora, il giorno dopo le primarie, ammonisce Bersani, occorrerà «ripartire dal basso», perché bisogna «mettere lo scettro in mano al popolo dei democratici». Lungo la strada del Partito Democratico, però, secondo il ministro per lo Sviluppo Economico, c’è anche un altro pericolo. Ossia quello di una «possibile sottorappresentazione della sinistra ».È un problema che i diessini stano affrontando in questi giorni. È un timore che ha spinto i deputati della Quercia a indire addirittura un’assemblea per discutere della questione. Ma i problemi del Pd non finiscono qui. Ieri è partita la carica prodiana contro Walter Veltroni.

Due fedelissimi del presidente del Consiglio, come i deputati della Margherita Franco Monaco e Antonio La Forgia, hanno attaccato Goffredo Bettini, ossia il grande sponsor del sindaco di Roma, denunciando accordi di vertice e trattative sottobanco. Insomma, secondo loro gli apparati di Ds e Dl rischiano di ingessare il nuovo partito. Il vero bersaglio di questa offensiva, inutile dirlo, è Veltroni. Il quale Veltroni è ancora alle Maldive,ma chissà se riesce a godersi appieno la vacanza visto quel che sta accadendo a Roma. «Già — ammette Vincenzo Vita, ex mussiano, promotore della lista di sinistra che appoggia il sindaco di Roma — quella che prima sembrava una passeggiata si sta rivelando per Walter un’impresa più difficile, perché c’è chi semina ostacoli...».

Maria Teresa Meli
05 agosto 2007
 
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« Risposta #40 inserito:: Agosto 06, 2007, 10:12:07 am »

POLITICA

Il sindaco di Roma e candidato leader del nuovo partito risponde a una lettera di Mario Pirani

"La sfida: restituire fiducia agli italiani, smantellare il circuito dell'instabilità politica"

Le Asl, la Rai, le istituzioni così il Pd cambierà l'Italia

di WALTER VELTRONI

 
CARO direttore, la lettera aperta di Mario Pirani del 30 luglio contiene molti argomenti importanti. Ne vorrei discutere come in un epistolario pubblico. Una forma che va sparendo, almeno per due ragioni. La prima è la velocità di una società che riesce a comunicare in forme inedite nella storia dell'umanità ma che sacrifica alla quantità e alla rapidità la possibilità di strutturare pensieri lunghi nella relazione tra le persone: di più ma meno, si potrebbe dire. La seconda ragione è legata alla difficoltà della politica di rendersi disponibile alla ricerca e al confronto. Il che comporta la consapevolezza del proprio ruolo come servizio, forse il più alto, nei confronti della comunità.

Mi è capitato di leggere recentemente dei meravigliosi carteggi che illuminano sulla storia e i sentimenti dell'Italia che è stata prima di noi. Quello tra Giorgio La Pira e Amintore Fanfani e quello tra Giovanni e Alberto Pirelli. I protagonisti si scambiavano il loro sguardo su eventi e cambiamenti profondi e cercavano il senso delle cose e dei loro gesti, delle loro decisioni.
Scriversi, leggersi, capirsi. Cioè dialogare, con l'umiltà di pensare di non avere già pronte tutte le risposte a tutte le domande. Specie in un tempo di meravigliosi cambiamenti come quelli che viviamo.

Permettimi di partire da qui. Dalla decisione di Pirani, manifestata dalla firma in calce all'appello per la mia candidatura per il Pd, di tornare ad aderire ad un partito, dopo anni di esclusivo impegno civile espresso dalle sue posizioni e dai suoi articoli. Con la coscienza che questa sia la occasione decisiva per dare a questo paese ciò che non ha mai avuto: una grande forza maggioritaria della innovazione e della giustizia sociale, libera da ideologie, crocevia di culture diverse, "luogo" di una politica sobria e ambiziosa. Una forza capace di restituire unità all'Italia.

Perché il nostro paese si va frammentando. Negli anni successivi alla guerra e durante i Sessanta tutto il paese sentiva di crescere. Capiva che l'arrivo della 500 nelle famiglie e la costruzione delle autostrade corrispondevano al medesimo segno: lo sviluppo di possibilità individuali e della ricchezza della nazione. Perché non c'è alternativa, davvero, a questa comunità di destino. Perché è una illusione pericolosissima l'idea, sostenuta da certa destra, che la soluzione sia scavarsi una nicchia individuale, farsi furbi, difendersi coltivando l'odio nei confronti dello stato, del "vicino sociale", dell'immigrato. Una società chiusa è un paradosso intollerabile nel tempo della globalizzazione. E genera un paese fermo, perché privato di quel motore fondamentale che è la fiducia nel futuro e la voglia di crescere insieme.

Ma anche la politica è così, oggi. La frammentazione è diventata parossistica, con partiti talvolta pura proiezione di leader più o meno ambiziosi. Partiti piccoli, piccolissimi, talvolta persone che hanno nelle loro mani il destino del paese. L'egoismo politico genera quello sociale. Se il cittadino vede dall'alto messi in secondo piano gli interessi generali perché mai dovrebbe farsene carico?

Il Pd dovrà assumere questa grande sfida: fare una Italia del nuovo millennio, con governi stabili, istituzioni che decidano, una società civile forte. Dovrà dare a chi abbia merito e talento la possibilità di dimostrarlo, dovrà smantellare il circuito perverso degli interessi corporativi e della instabilità politica. Dovrà restituire fiducia ai nuovi italiani, dando loro scuole e università che funzionino e una prospettiva di vita che rimuova il principale loro problema, la precarietà della loro vita.

É per questo, solo per questo che vale la pena di provarci. Pirani avrà letto ciò che ho scritto nel "decalogo" di riforme istituzionali che ho pubblicato sul Corriere della Sera. Penso che si debba ridurre seriamente il numero dei parlamentari e dei rappresentanti nelle istituzioni locali, che si debba avere una sola Camera che legifera, che il governo debba avere tempi certi per l'approvazione o il diniego ai suoi progetti di legge. Penso che la legge di Bilancio debba essere approvata o respinta, in aula, dopo un attento esame della commissione competente... Penso cioè ad una democrazia che funzioni, con un sistema elettorale che faccia votare gli italiani, e scegliere il governo, sulla base di due proposte chiare e coese programmaticamente.

Che poi chi ha vinto governi e non riservi ogni giorno al paese la suspence di sapere se domani ci sarà ancora la legislatura. Insomma quello che succede negli altri paesi europei, nulla di più e nulla di meno. E' chiedere troppo? E non andrebbe chiesto in primo luogo al Parlamento di por mano con urgenza alle riforme elettorali e costituzionali sulle quali stanno lavorando le apposite commissioni? Nella scorsa legislatura fu approvata in poche settimane una orrenda riforma elettorale, fatta per impedire di governare.

Dopo un anno è matura una decisione su queste materie, ed è necessario mettere alla prova la volontà della opposizione. Poche, mirate innovazioni alla parte seconda della Carta e una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere il governo e al governo la possibilità di decidere.

La politica deve, poi, ritrovare il suo spazio naturale. Che è quello del rapporto con la società, con le spinte e i movimenti di opinione, con le forze del sapere e del lavoro, con le culture della innovazione e dell'ambientalismo. La politica deve saper ospitare, dentro di sé e nelle istituzioni, le energie migliori del paese. La politica è anche una professione. Se esercitata bene, tra le più nobili che esistano. Ma non può diventare un club esclusivo. Ricordo un Parlamento in cui sedevano Natalia Ginzburg e Leonardo Sciascia, Claudio Napoleoni, Roberto Ruffilli e Gaetano Arfè. Ricordo Alberto Moravia a Strasburgo e Vittorio Bachelet nel consiglio comunale di Roma insieme a Lucio Lombardo Radice.

La politica si deve nutrire della bellezza dell'apertura, della competizione delle idee. E deve saper conoscere anche il suo limite. Nel "suo" decalogo di maggio Pirani diceva cose importanti su due temi centrali: le Asl e la Rai. Rivendicava la necessità che si tenessero lontani due gangli fondamentali della vita nazionale dalla invadenza della politica. Concordo con lui. E vado oltre. Per fare il manager di una Asl occorrerà avere comprovate doti di conoscenza e esperienza manageriale di settore. E qualcuno dovrà certificarle.

La sua idea di un concorso che formi una graduatoria e una rosa alla quale le Regioni possano attingere mi sembra giusta. Per la Rai c'è da chiedersi se sia giusto, oggi, che questa azienda abbia un consiglio di amministrazione che finisce, per la fonte di nomina e per il suo essere "piccolo parlamento", con il gestire l'azienda. Con il duplice rischio di una duplicazione di funzioni rispetto alla Commissione di vigilanza e di un oggettivo indebolimento e precarietà dei vertici aziendali e del senso di appartenenza di dirigenti e personale.

Far scorrere aria nel paese, fare una Italia in cui i partiti decidano le sorti della nazione, ma non le nomine di chi deve garantire la salute e il Pd dovrà essere pienamente coerente con questo modo di intendere e praticare la politica. Il Pd dovrà essere protagonista di un allontanamento della politica dalla gestione diretta a favore delle competenze e di criteri trasparenti e obiettivi. Rifondare una etica della responsabilità e il senso degli interessi nazionali. Ridare bellezza alla politica, aprendola e rendendo viva, come stiamo facendo con le primarie, la vita democratica dei partiti.

Così immagino il Pd, come una casa aperta, con donne finalmente riconosciute nel loro valore e nella differenza della loro cultura, con ragazzi ai quali non si chieda di appartenere ad una corrente ma di sentirsi protagonisti di un nuovo modo di fare e intendere la politica. Lieve e ambiziosa, non mi vengono altre parole. Credo che la decisione coraggiosa di due grandi partiti di superare se stessi sia un passo decisivo in questa visione. Dobbiamo ora mescolare fino in fondo identità e culture. Non sarà cosa di un giorno o di un'ora. Ma la fortuna di questo progetto è qui: la costruzione di una nuova e più ricca identità culturale e politica, quella dei democratici italiani. E una nuova voglia di futuro.

Lo sa Pirani meglio di altri. Lui che hai vissuto il grande mutamento italiano e le occasioni perdute. Bisogna avere voglia di futuro, bisogna non rimpiangere il passato, bisogna vedere le inedite possibilità che la scienza mette oggi a disposizione di tutti noi per vivere meglio, tutti. Questo è il compito della politica: favorire la crescita, farla giusta socialmente, dare coscienza di sé ad un paese meraviglioso come il nostro.

E amare gli italiani. Che hanno sempre saputo - dalla lotta al terrorismo alla genialità dei nostri imprenditori, dalla reazione alle crisi economiche più dure al talento dei nostri giovani scienziati - mandare un messaggio alla politica e alle istituzioni.
Penso a Giorgio Ambrosoli, a Ninni Cassarà, a Marco Biagi, a Massimo D'Antona, a Giuseppe Impastato, a Don Andrea Santoro.

Penso agli italiani che vorrebbero uno stato amico, di cui sentirsi con orgoglio parte. Da rispettare e da sentire al fianco. E' a loro che dobbiamo pensare, solo a loro.

(5 agosto 2007) 

da repubblica.it
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« Risposta #41 inserito:: Agosto 12, 2007, 07:01:19 pm »

Burlando: «Nel Pd no a liste personali»

Eduardo Di Blasi


Claudio Burlando, presidente della Regione Liguria, è convinto che la scelta di candidare Walter Veltroni alla segreteria del Pd, scelta appoggiata da una grossa fetta di Ds e Dl, sia un’occasione per cementare un’unione politica che in Regione esiste, nei fatti, da diversi anni. Per questo propone una propria linea d’azione: «Sarebbe opportuno fare una sola lista per Veltroni, mettendo insieme questo gruppo dirigente dei partiti ma dando anche delle candidature alla società civile».

Un’unica lista aperta a chi voglia candidarsi. Perché?
«La Liguria ha sempre avuto una spinta ulivista molto forte. Il simbolo dell’Ulivo lo abbiamo presentato dalle Europee del 2004 (prendemmo il 39%). Anche il gruppo unico regionale lo abbiamo fatto prima dei congressi paralleli, pagando come Ds defezioni pesanti. Ecco perché credo che una regione così debba fare una lista ampia di sostegno a Walter. Io non so cosa succederà, perché sostanzialmente Marta Vincenzi non lo ha ancora detto».

La Vincenzi è coordinatrice regionale della lista per Veltroni: sarà lei a dover decidere?
«Soprattutto Marta deve decidere cosa fa lei. È lei l’unica che potrebbe decidere di fare una seconda lista di appoggio a Walter significativa. Naturalmente è del tutto legittimo che lo faccia. Questa idea di amministratori che facciano liste diverse da quelle dei loro partiti per segnare una presenza anche forte, autonoma e personale a sostegno di Walter, è un’idea che circola: forse la fa Chiamparino, so che ne ha parlato anche la Bresso. Io ho detto: per quanto mi riguarda non faccio una lista mia o con altri amministratori. Partecipo ad un processo che metta insieme gruppi dirigenti».

Un motivo è ideale. Esiste anche una ragione più squisitamente politica?
«È evidente che facciamo questo Pd in un momento non di spinta fortissima. Fatichiamo anche perché c’è una spasmodica esigenza di visibilità in tutti i pezzi di questa coalizione».

La visibilità è negativa ?
«Io dico: chi ha visibilità si spenda anche un po’ per tenere insieme le forze politiche. Noi abbiamo a Genova, per esempio, un gruppo dirigente giovanissimo. Un segretario di federazione di 35 anni, Victor Rasetto, molto bravo. Un capogruppo in Comune di 33. In segreteria un altro giovane di 37. Questo vale anche a Savona, La Spezia, Imperia, e tuttavia il compito che diamo a questo gruppo giovane è un compito molto delicato: francamente mi pare giusto fare un tentativo».

Cosa pensa della battaglia che si è scatenata sui candidati alla segretaria regionale del Pd?
«Non sono d’accordo che ci sia un accordo tra Ds e Dl per fare un segretario regionale. Sarebbe una cosa sbagliatissima».

Si deve separare la partita per la segreteria regionale da quella nazionale?
«È sbagliatissimo dire che Dl e Ds si mettono insieme in quanto hanno trovato un accordo per chi fa il segretario regionale. Noi stiamo assieme in quanto siamo d’accordo su Walter, e sulla sua linea politica ovviamente, dopo di che affronteremo questa questione. Io non le mischierei. Ci leggo un indebolimento del profilo nazionale del partito...».

Lei è d’accordo sul fatto che chi appoggi Letta o la Bindi non possa appoggiare un candidato regionale vicino a Veltroni?
«Noi andremo ad eleggere il segretario del Pd. Io non credo che automaticamente nel Pd ci saranno le correnti veltroniane, lettiane, bindiane e che queste correnti devono riprodursi anche al livello regionale per cui chi in Italia sta con Walter deve sostenere uno che sta con Walter e via dicendo. Partiamo proprio male se partiamo così».

Fioroni è partito così...
«Non mi convince. Posso capirne lo spirito. Ma starà a Bindi e Letta vedere se vogliono fare la minoranza del partito o se vogliono considerarsi delle personalità del Pd senza che necessariamente organizzino una mozione: ma perché noi dobbiamo stabilire quello che loro faranno?».

Che accadrà in Liguria?
«Io spero che si faccia una lista ampia. Penso che non ci debba essere nessun legame tra questa lista e il segretario regionale. Penso che i Ds, per la forza che hanno, ma anche perché il capogruppo dell’Ulivo nel Consiglio regionale è dei Dl, abbiano diritto a pensare che ci possa essere un candidato. Credo sia legittimo anche che il candidato sia l’attuale segretario regionale dei Ds Mario Tullo, persona stimata che ha fatto bene...».

Stiamo andando verso un partito federalista?
«A me interessa un partito che abbia un rapporto con il governo. E un governo che ascolti le specificità del territorio. Dopodiché il Pd è una grande risorsa per il Paese: non smarrirei il profilo nazionale del Pd, e francamente non mi va di vederlo come una sommatoria di partiti ognuno dei quali ha una suo vassallo locale, che vuole segnare la sua presenza sul territorio. Vorrei un partito che sia capace di interloquire, più che un partito che abbia i suoi interlocutori privilegiati».

Dal punto di vista del contenuto questo Pd cosa dovrà contenere?
«Dobbiamo chiarire una cosa: se noi diciamo che al Nord la destra ha capito tutto e noi niente sbagliamo. I due grandi cambiamenti degli ultimi 10 anni, anche per il Nord li abbiamo fatti noi, con l’euro e la competizione sulla qualità e non sulla svalutazione o sui mercati chiusi».

Il problema del Nord è solo una questione industriale?
«È un po’ tutto. Questa è una sfida che riguarda tutti: è chiaro che bisogna fare le infrastrutture. Se gli ha tolto la molla dell’inflazione gli devi dare qualità, accesso al credito, formazione, infrastrutture, tecnologia. E quindi vede che questa sfida non riguarda solo le imprese. Dobbiamo trasformare un Paese che competeva svalutando con uno che compete sulla qualità. La qualità di tutti i soggetti: impresa, mondo del lavoro, istituzioni e politica. È un modo d’essere: riguarda tutti».


Pubblicato il: 12.08.07
Modificato il: 12.08.07 alle ore 14.32   
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« Risposta #42 inserito:: Agosto 19, 2007, 11:24:16 pm »

Conversazioni d'estate De Gregori: amico di Walter, non lo voterò

Il cantautore: il modello Roma?

Città bellissima non certo per merito suo.

Alle primarie del Pd sosterrò la Bindi 
 

Francesco De Gregori, tutti i giornali la arruolano sotto le bandiere di Walter Veltroni. È davvero così?
«È vero che sono amico di Veltroni, da tantissimi anni. Se mi metto a contarli, sono più di trenta. Ma essere arruolato mi dà un po' fastidio. Un conto sono gli amici, un conto i simpatizzanti ».

Lei non simpatizza?
«Mi piacerebbe fare il tifo per lui, se lo capissi. E finora non l'ho capito. Non sono molto d'accordo con certe cose che Veltroni dice e fa. Lui ha una grossa capacità di comunicare, di proporsi come elemento di novità. Ma quel che dice spesso è difficile da afferrare, da decifrare. Usa un linguaggio aperto a ogni soluzione, dice tutto e il contrario di tutto. Mostra una grande ansia di piacere, di essere appetibile a destra e a manca, che magari gli porterà molto consenso ma è poco utile a capire cosa sarà davvero il Partito democratico».

Lo sa che lei sta scendendo dal carro del vincitore?
«Mi rendo conto che accade di rado. Nel mondo della canzone, poi. Ma nel vincitore annunciato, ammesso che sia tale anche alla fine, non trovo una linea chiara. Sento un gran bel parlare, belle promesse, i riferimenti coltivati da sempre, Kennedy, don Milani, Olof Palme. Ma non riesco a ricondurlo a una chiara intenzione politica. E vedo che non sono l'unico ad avere questa difficoltà».

Che cosa in particolare non la convince nel suo linguaggio? «Questo appellarsi di continuo al sogno, a un mondo migliore, ora vedo pure all'amore. Per carità, come si può essere in disaccordo, meglio basarsi sull'amore che sull'odio. Ma viviamo in un paese pieno di problemi. Buttare tutto sui sentimenti, cancellare le differenze, non significa dare risposte operative alle questioni di oggi».

Veltroni in campo rappresenta comunque una novità.
«Veltroni si presenta come un uomo nuovo, ma lo è fino a un certo punto. Veltroni è uomo navigato. Ha percorso abilmente la politica italiana degli ultimi trent'anni. Ora la sua candidatura è stata avanzata e sostenuta da poteri forti e consolidati, sempre gli stessi degli ultimi decenni. Non è l'homo novus tanto atteso. Mi convince poco anche questo clima di aspettativa, per cui tutti a dire che Veltroni è una risorsa, che Veltroni è l'uomo della Provvidenza... Non è scontato che sia il più adatto a fare voltar pagina al Paese; così come non dovrebbe essere così scontata la sua vittoria».

È un buon sindaco di Roma, no?
«Tutti parlano di modello Roma. Ma Roma mi pare sempre più una città che cerca di nascondere lo sporco sotto il tappeto. I grandi problemi di una grande città — traffico, sicurezza, legalità — sembrano più spesso elusi, che affrontati e risolti. Va da sé che Roma è bellissima, da San Pietro al Colosseo; ma certo non è merito di Veltroni».

De Gregori, le sue parole non passeranno inosservate. Lei è considerato uno degli artisti da sempre più vicini a Veltroni.
«Gli voglio un bene dell'anima. Abbiamo pranzato, cenato, siamo andati insieme in vacanza, sono stato suo testimone di nozze. Però non abbiamo mai parlato di politica. Anche quando dirigeva l'Unità e ogni tanto mi chiedeva un articolo, io glielo mandavo, lui mi diceva se gli era piaciuto o no, ma non c'è mai stata interferenza reciproca, né lui si è mai sognato di chiedermi consigli. Io lo prendevo un po' in giro per la storia dell'Africa: "Guarda Walter che non ci crede nessuno". Lui teneva il punto: "Ti dico che vado in Africa!". Almeno su questo, per ora ho avuto ragione io».

Dubita della sincerità con cui si vota alle varie cause?
«No. Veltroni magari è sincero. Ma la sincerità dei politici non ci deve riguardare. Appartiene solo alla loro coscienza. Ci riguarda la loro capacità. Quel che dicono, quel che fanno. E Veltroni risponde solo di quello che fa. Roma è raffigurata come il fantabosco. Non è così. La cultura è migliorata; ma la cultura è una ciliegina sulla torta. Non si fa una torta solo con le ciliegine, e non se ne parla parlando solo di ciliegine ».

Vede anche pericoli per Veltroni?
«Lui sa coltivare la sua immagine. Ha una grande potenza mediatica. Molti giornali fanno il tifo per lui. Proprio per questo, dovrebbe guardarsi dalla sovraesposizione ipertrofica. Deve stare attento ai veltroniani. Perché a volte i veltroniani sono controproducenti».

Chi sono i veltroniani?
«I Bettini, le Melandri, quando partono lancia in resta contro i nemici. "Chi attacca Walter semina veleni...". Ma dai! La ragazza deve stare attenta prima di parlare. E poi i Tardelli... Come si fa a essere contro Tardelli, il vincitore del Mundial? Ma l'Italia oggi è un paese sbandato, che ha bisogno di ricette meno spettacolari e più amare. E non so se Veltroni sia in grado di proporle. Al Lingotto non l'ha fatto. Forse lo farà da qui al 14 ottobre. Me lo auguro, perché l'idea del Partito democratico non è affatto male. La parola è bella, affascinante; ma non ci si può limitare alla scorza. La si deve riempire di contenuti, perché la gente vada a votare».

Quindi il progetto del Partito democratico la interessa?
«Sì. Mi auguro che le primarie abbiano successo. Che il nuovo partito ci porti fuori dalla politica stagnante di questi anni, non dia risposte ma ponga domande, conquisti credibilità, sappia chiedere sacrifici. Che stia lontano dalle paludi e dai pascoli consociativi, e nello stesso tempo stia lontano da una sinistra fondamentalista, sempre più decrepita e deprimente».

Lei voterà alle primarie?
«Credo di sì. E penso che voterò per Rosy Bindi, che mi sembra la vera novità di tutta questa storia. Dà l'impressione di essere più propositiva, più incisiva, più dirimente, più chiara. Più disposta a rischiare l'impopolarità. Più in grado di farsi dei nemici. Perché abbiamo bisogno di un leader che sappia farsi anche nemici, non solo amici».

Mi perdoni la malizia: non è che voi amici della prima ora siete un po' ingelositi dagli scrittori, dagli sportivi e da tutti questi ammiratori arrivati dopo, con cui Veltroni ha molto legato?
«Lei mi fa un torto intellettuale se pensa che possa essere geloso della Melandri o di Tardelli ».

Aldo Cazzullo
19 agosto 2007
 
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« Risposta #43 inserito:: Agosto 22, 2007, 10:56:02 pm »

POLITICA

Lettera aperta sul sito del candidato leader del Pd e sindaco di Roma

"Nessuno arrivi nel Pd con forme organizzate, serve un'identità comune"

Veltroni scrive a Rutelli e Fassino "Niente correnti nel nuovo partito"
 

ROMA - "Un partito nuovo, in cui nessuno arrivi con forme organizzate o correnti, in cui tutti si sentano chiamati a 'mescolarsi' con gli altri, in un libero scambio di idee, convinzioni e culture politiche, che sempre di più farà sentire ad ognuno di essere non una sola cosa, ma più d'una insieme. Così si definirà la nostra nuova identità comune". Queste le caratteristiche del Partito democratico secondo il candidato leader, Walter Veltroni. Che sul suo sito Lanuovastagione annuncia che, nei prossimi giorni, presenterà "un'ampia rosa di centinaia di nomi di personalità che rappresentino le qualità migliori della società italiana" a chi "nelle diverse realtà regionali si sta organizzando per sostenere la mia candidatura".

Una iniziativa, quella annunciata dal sindaco di Roma, che ha l'obiettivo di fare, dell'elezione dell'assemblea costituente, "un grande e inedito evento di partecipazione popolare". Per questo ha in mente personalità "autorevoli, indipendenti" la cui presenza, per le loro competenze, esperienza, impegno nella vita quotidiana del Paese e passione civile "è di vitale importanza per il successo della vera e propria rivoluzione democratica che il Pd intende rappresentare". Un "punto decisivo", questo, per Veltroni, e pregiudiziale: "Non potrò infatti sottoscrivere l'apparentamento a liste che non rispecchino tali caratteristiche di pluralismo, di innovazione e di apertura".

Nella lettera aperta "ai presidenti dei comitati Veltroni e ai segretari di Ds e Margherita, Fassino e Rutelli", il sindaco di Roma ribadisce l'obiettivo di un partito "che non sia concepito come un bene privato" bensì "pensato come un'istituzione civile, che svolga una imprescindibile funzione democratica e come tale appartenga a tutti i cittadini che, riconoscendosi nel suo orientamento di fondo, vogliano abitarlo e utilizzarlo".

Per questo, Veltroni sottolinea la necessità di valorizzare il "carattere costituente" dell'assemblea che sarà eletta il 14 ottobre, affinché ciò non si riduca a "un'ordinaria elezione di un ordinario organismo dirigente". Un "partito nuovo", nel quale sarà "decisiva" la composizione dell'assemblea, che "dovrà raccogliere le grandi energie delle quali dispongono Ds e Margherita", "delle associazioni uliviste" e "le migliori risorse delle quali è ricca la società italiana e che la politica non sa o non vuole valorizzare".

Fra gli obiettivi, espressi nella lunga lettera, anche quello del rinnovamento del gruppo dirigente, "sia a livello nazionale che nelle regioni", della "costruzione di un'identità comune", da favorire anche "ripensando il modo di essere di grandi eventi collettivi, come le feste di partito". Di fatto, dare vita a un partito "grande" per la partecipazione popolare che deve saper promuovere ma "lieve" per struttura e costi.

Veltroni si dice convinto che "attraverso scelte chiare e coraggiose come queste" sarà possibile restituire "credibilità alla politica" e "far crescere intorno a noi interesse fiducia e partecipazione". L'invito dunque è "a non ricadere in vecchi vizi" e a non perdere questa "straordinaria occasione".

(22 agosto 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #44 inserito:: Agosto 24, 2007, 06:15:37 pm »

POLITICA

L'INTERVENTO

Un partito maggioritario

di WALTER VELTRONI


L'Italia ha bisogno di un partito che si proponga di dare cultura di governo al bipolarismo italiano. Se le parole hanno un senso, questo significa che il Partito democratico nasce per superare l'idea che quel che conta è vincere le elezioni. Ovvero battere lo schieramento avversario mettendo in campo la coalizione più ampia possibile, a prescindere dalla sua coerenza interna e dalla sua effettiva capacità di governare il Paese.

Il Partito democratico nasce per affermare un'idea diversa e nuova: quel che conta è governare bene, sulla base di un programma realistico e serio. E lo schieramento che si mette in campo deve essere coerente con questo obiettivo. Non si tratta solo di un ribaltamento dello schema tattico che ha dominato il bipolarismo italiano in questa lunga transizione. Si tratta di una rivoluzione culturale e morale. Si tratta di restituire moralità alla politica. Si potrebbe dire che si tratta di affermare una visione "antimachiavellica" della politica stessa: scopo della politica non è organizzare la forza necessaria alla conquista e alla conservazione del potere. Questo è semmai un vincolo strumentale, che non può e non deve essere trascurato. Ma il fine della politica deve essere un altro: deve essere il perseguimento dell'interesse del Paese, attraverso la costruzione del necessario consenso attorno a un programma di governo.

È precisamente questo che intendiamo, quando diciamo che il Partito democratico è un partito "a vocazione maggioritaria": un partito che punta non a rappresentare questa o quella componente identitaria o sociale, per quanto ampia possa essere, ma a porsi l'obiettivo di carattere generale di conquistare nel Paese i consensi necessari a portare avanti un programma di governo, incisivamente riformatore. Non per questo, un partito a vocazione maggioritaria, quale il Pd deve essere, è una forza che si pensa come autosufficiente: al contrario, è un partito che intende valorizzare l'alleanza di centrosinistra. E intende farlo sulla base del principio fondamentale della democrazia dell'alternanza, per il quale le alleanze di governo si fanno e si disfano davanti agli elettori, prima del voto. Ma il Pd nasce per riordinare, nel bipolarismo, la gerarchia dei valori tra la coalizione e il programma: è il programma comune, un programma di governo e non genericamente elettorale, che fonda la coalizione, non viceversa: non si può giustificare la vaghezza o l'ambiguità del programma, in nome del feticcio dell'unità della coalizione. Sarebbe come considerare la parte più importante del tutto, il partito (o la coalizione) più importante del Paese.

Del resto, in nessuna grande democrazia europea sarebbe immaginabile presentarsi agli elettori con una coalizione priva dei requisiti minimi di coesione interna, tali da rendere credibile la sua proposta di governo: un'operazione politico-elettorale siffatta non avrebbe alcuna possibilità di vittoria, perché sarebbe inesorabilmente bocciata dagli elettori. In Gran Bretagna come in Spagna, in Germania come in Francia, i partiti che intendono candidarsi a governare non possono dar adito ad alcun dubbio circa la loro affidabilità. Memorabile è la lezione di moralità politica di Jacques Delors, che preferì rinunciare alla candidatura alle presidenziali del 1995, perché non avrebbe potuto dar vita, alle successive elezioni legislative, a una maggioranza parlamentare coerente.

Quasi quindici anni di bipolarismo immaturo hanno ormai reso assai sensibile anche l'elettorato italiano su questo punto: non solo per propria scelta dunque, ma anche per una precisa esigenza di sintonia con il Paese, qualunque sarà il sistema elettorale che avremo in futuro, il Pd non potrà presentarsi alle elezioni all'interno di coalizioni disomogenee sul piano programmatico. Piuttosto, dovrà accettare il rischio, o sperimentare l'opportunità, di correre da solo.

Il Partito democratico nasce anche per rompere una falsa alternativa: quella tra governabilità e democrazia. Come non ha senso considerare la sfida del governo come un limite alla partecipazione democratica, allo stesso modo è un errore pensare di poter affrontare le resistenze che si oppongono alle riforme riducendo, anziché allargando, gli spazi di esercizio della cittadinanza. Il Pd al quale penso è un partito che intende mettere al servizio di un incisivo programma riformatore tutta la forza della partecipazione democratica, la mobilitazione delle energie intellettuali e morali, civili e politiche, delle quali dispone una società viva come quella italiana. Non c'è altra strada per fare le riforme: non si può immaginare di dare alla politica la forza necessaria a far prevalere gli interessi generali sulla tirannia di quelli particolari, corporativi, microsettoriali, senza conferirle una nuova legittimazione democratica.

Per questo il Partito democratico dovrà essere un partito davvero nuovo. Perché dovrà pensarsi non più come un bene privato, di proprietà della comunità chiusa, per quanto larga possa essere, dei suoi fondatori, dei suoi dirigenti, dei suoi militanti. Ma al contrario come una istituzione civile, che svolge una funzione pubblica e che come tale appartiene a tutti i cittadini che intendono abitarlo. Questo è del resto il modo di intendere i partiti proprio delle grandi democrazie: le quali, non a caso, dispongono di pochi, grandi partiti politici, il ciclo di vita dei quali si misura in svariati decenni, quando non in secoli. Uno dei sintomi più preoccupanti della grave malattia che affligge la democrazia italiana è invece proprio la proliferazione di tanti, piccoli ed effimeri soggetti politici, che è perfino improprio definire partiti, almeno nel senso europeo (per non dire nordamericano) del termine, e che per la loro spiccata vocazione oligarchica, quando non familistica, è ancor più difficile descrivere come democratici.

Il Partito democratico nasce per segnare una discontinuità profonda con questo stato di cose. Non a caso si è deciso di fondare il partito nuovo, non sulla base del semplice mandato dei partiti preesistenti e neppure a partire da un appello di uno o più leader, bensì attraverso un vero e proprio "big-bang" democratico: l'elezione di un'assemblea costituente e di un segretario da parte di tutti i cittadini che si dichiarano interessati a contribuire a questa straordinaria impresa collettiva. Di conseguenza, il prossimo 14 ottobre, giorno stabilito per le elezioni costituenti, nascerà un partito che non sarà di proprietà privata di qualcuno, ma si proporrà come un'istituzione della democrazia italiana, a disposizione di tutti i cittadini che, riconoscendosi nei suoi orientamenti di fondo, vogliano utilizzarlo "per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale", come recita l'articolo 49 della Costituzione.

Il codice genetico col quale nasce il Pd determina necessarie coerenze rispetto allo sviluppo della sua forma-partito, del suo modello politico-organizzativo. Innanzi tutto, il "big-bang" democratico non potrà restare un unicum irripetibile, ma dovrà diventare la regola generale con la quale saranno prese le decisioni più importanti, a cominciare da quelle che riguardano la selezione della leadership, a tutti i livelli, e più in generale delle candidature, in modo da garantirne la effettiva contendibilità. In secondo luogo, e in coerenza con la natura di partito "a vocazione maggioritaria", a regime la leadership di partito dovrà coincidere con la premiership, o con la candidatura a premier, come avviene in tutte le grandi democrazie europee. Terza, necessaria coerenza, il Pd dovrà essere un partito federale, in grado di dare espressione alla diversità delle realtà territoriali: non ci dovranno essere sezioni "periferiche" di un partito centralizzato, ma una rete di partiti territoriali federati, profondamente radicati nelle società locali, anche se culturalmente aperti a una prospettiva nazionale, europea e globale. Infine, le modalità di associazione e di militanza dovranno essere le più varie e flessibili, secondo un modello a rete, che valorizzi le sezioni territoriali come i circoli di ambiente, le associazioni culturali come le forme più innovative di contatto telematico: è anche in questo modo che il Partito democratico potrà contribuire a portare all'impegno e all'assunzione di responsabilità politiche più donne e più giovani.

L'articolo è tratto dalla prefazione al libro "La nuova stagione" (Rizzoli), in cui è pubblicato il discorso pronunciato a Torino il 27 giugno scorso per annunciare la candidatura alla leadership del Partito Democratico


(24 agosto 2007)

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