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Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 108510 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Febbraio 14, 2008, 07:21:40 pm »

Capitale ora anche d'Europa.

La rivoluzione copernicana di Walter

Roberto Cotroneo


Ieri, poco prima di dimettersi, Walter Veltroni ha detto una frase delle sue, che tutti pensano siano studiate, e invece sono semplicemente disarmate: ha messo in campo il cuore. Ha cercato di non ascoltarlo. E ci è riuscito così così. Si è commosso, e ha lasciato la carica di Sindaco di Roma con un rimpianto che neppure lui immaginava così forte, il lavoro di Sindaco di Roma gli è rimasto dentro davvero.

Ora ci sarà la corsa con il Pd, ci sarà la politica nazionale, l'arte della mediazione, le riforme, il futuro del paese. Ma la città di Roma è un orizzonte difficile da dimenticare. Che sindaco è stato Walter Veltroni? Un sindaco moderno, e innovativo. Uno che ha capito benissimo cosa fosse Roma e di cosa avesse bisogno. Veltroni ha applicato il suo «we can» molto tempo fa. Quando ha cambiato il modo di interpretare il ruolo dell'amministratore pubblico, del sindaco cittadino. Quello che tiene in ordine le strade e si preoccupa del traffico, quello delle grandi strutture e del piccolo cabotaggio, dei vigili urbani e dei tagli dei nastri. Il sindaco con la fascia che inaugura sempre qualcosa. Veltroni con Roma, complice anche una città unica al mondo, ha inventato un modo: potrà piacere o non piacere ma ha una sua realtà. Un modo di immaginare una città, e persino di sognarla. È un modo che ha a che fare con il cuore, ed è un modo rischioso. Perché ai sindaci si chiedono i nastri, e che le strade non abbiano buche. Corsie di tangenziali e parchetti fioriti.
Sicurezza per le strade, e quartieri vivibili. Nessuno può negare che Veltroni abbia fatto molte di queste cose. E che Roma si sia trasformata già dai tempi in cui era sindaco Francesco Rutelli, ma con una maggiore accelerazione negli ultimi anni, in una delle città più vivibili d'Italia, se non d'Europa. Poi un po' di buche sono anche rimaste, e il traffico spesso sembra una bomba ad orologeria. Poi le linee delle metropolitane saranno inefficienti anche tra dieci anni, e i quartieri degradati non mancano, come non mancano gli episodi di violenza, e la solita microcriminalità. Ma il giudizio su Veltroni resta uno solo. Quello di un sindaco che ha cambiato il modo di interpretare la città. E l'ha fatto facendo una rivoluzione copernicana. Partendo dai sogni e solo dopo arrivando ai bisogni. Ora, non mi si fraintenda. Questo non è necessariamente un elogio incondinazionato a Veltroni sindaco. Certamente è stato un ottimo sindaco, ma il mondo è pieno di gente che guarda soltanto ai bisogni e non ai sogni, pochi bisogni e subito. Il mondo è pieno di gente che non gliene importa nulla delle notti bianche, dei mega concerti e dello skyline dei Fori Imperiali.

Il mondo è pieno di gente che non ha voglia di vivere in una città che negli ultimi 5 anni sembra rinata, e che sembra rinata anche quando stai imbottigliato nel traffico, o non passa un mezzo pubblico. Invece è così: è l'aria di Roma che è cambiata con la giunta Veltroni, e lo spirito della città. Lo capiscono meglio quelli che arrivano da fuori, e non solo si accorgono che si trovano di fronte a una delle più belle città del mondo, ma anche che è una città dove si è lavorato molto sulla cultura, sullo spettacolo, e su quei bisogni interiori che nessuno prende mai in considerazione, ma ti consentono una forma, una forma di felicità in più. Si facciano tutte le ironie che si vogliono. E si dica che non basta una casa del cinema, come non basta una mostra del cinema, una casa del jazz, e delle letteratura, e i concerti gratis ai Fori imperiali, e migliaia di ragazzi nelle notti bianche, e quel senso di riappropriazione degli spazi nel centro storico come nelle periferie. Con i teatri portati fino in luoghi che sono stati per anni simbolo di degrado ed emarginazione come Tor Bella Monaca.

Ci sembrava a tutti di essere a metà dell'opera. E che Veltroni sarebbe stato sindaco chissà per quanto. Era riuscito in poco tempo a diventare «il» sindaco. Quasi fosse naturale che fosse là, in Campidoglio. Merito di una notevole capacità di tenere in equilibrio trattative dure con i tassisti che bloccavano piazza Venezia, e accogliere l'ultima star di Hollywood che veniva a promuovere il nuovo film. C'è stato un lavoro sotterraneo della giunta Veltroni, dal piano regolatore approvato, alla riqualificazione di molte aree, alla sicurezza, che in città, a dispetto di tutta la propaganda, è migliorata. Ma lui ha sempre tenuto sottotraccia queste cose. Quasi si compiacesse di essere davvero il sindaco delle parole d'ordine, dei sogni, della città creativa e avvolgente.

In pochi anni Veltroni è riuscito a cancellare da Roma quella patina ministeriale e di potere che la avvolgeva. Quell'idea di città indolente e stanca, da vecchia battuta di Ennio Flaiano: «L'unica città orientale senza un quartiere europeo». Non ci è riuscito del tutto, e forse non sarebbe neanche stato possibile, ma ci è riuscito quanto basta per giustificare la sua commozione in Campidoglio ieri. Oggi Roma è una città più moderna, e anche un po' più concreta. Una città che ha saputo trarre vantaggio dai suoi difetti maggiori: un pizzico di pressapochismo, e tante chiacchiere. Oggi Roma è una città dove è piacevole vivere se non si hanno sogni agresti e bucolici. Non è New York ma è certamente un posto dove accadono cose importanti e stimolanti, molto più che nel resto d'Italia. Non era così prima, e speriamo possa essere così anche nel futuro. Per questo, specie i più giovani, sono disposti a tenersi una città che per certi versi non funziona benissimo. Il maggior merito di Walter Veltroni, sindaco di Roma, è stato quello di costruire una città a misura dei nostri figli e dei più giovani. Una città che va in direzione di un futuro, qualche volta con qualche fatica e qualche sbandamento. Ma con un'idea chiara di quale sia la direzione. E di dove vada la modernità. Ora si tratta di non rimpiangere questi anni. E forse è la scommessa più difficile per il suo successore. Sperando che un po' della sua storia amministrativa, Veltroni possa trasferirla nella prossima esperienza nel partito democratico.

E anche questa, non è una scommessa delle più facili.

Pubblicato il: 14.02.08
Modificato il: 14.02.08 alle ore 8.45   
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« Risposta #106 inserito:: Febbraio 23, 2008, 02:27:59 pm »

Veltroni: discontinuità da Prodi

 Umberto Veronesi candidato Pd

In corsa anche la Under30 Mania


Il segretario del partito Democratico, Walter Veltroni, sottolinea la discontinuità in caso di vittoria alle elezioni. «Sarà un governo molto diverso dal governo Prodi perché era frutto di una coalizione eterogenea», dice a Tv7. «Noi abbiamo rotto con la sinistra radicale e il fatto che corriamo con un solo programma e un solo leader garantisce l'attuazione del programma». Questo, aggiunge, «non è stato fatto nel centrodestra». Il voto dei cattolici? «Mi inorgoglisce». «È finito il tempo degli italiani divisi come due tribù».
Umberto Veronesi sarà capolista in Lombardia per il partito Democratico al Senato. Lo conferma Walter Veltroni arrivando al loft del Pd dopo averlo annunciato nel corso della registrazione di tv7 che andrà in onda questa sera alle 23 su Rai Uno.

Inoltre, «saranno piu» di tre i capolista under 30. A parte Milano, dove c'è Matteo Colaninno che è un under 40, andrò solo dove ci sono gli under 30», aggiunge Veltroni, presentando la candidatura della ventisettenne Marianna Madia, capolista alla Camera nel collegio Lazio 1.

«Facciamo crescere una generazione nuova. Nel Pd c'è l'idea di una politica che pensa che nelle istituzioni ci devono essere coloro che vivono nel concreto le loro esperienze professionali, civili e sociali»: con queste parole il segretario del Pd presenta la candidatura della Madia.

Nata nel settembre 1980 («quando c'era chi già aveva fatto piu» di 40 anni di politica», scherza Veltroni), Madia nel marzo del 2004 si è laureata in Scienze Politiche con 110 e lode a "La Sapienza", nel maggio del 2006 ha lavorato con Enrico Letta a Palazzo Chigi, ora collabora all'ufficio studi dell'Arel per il quale coordina la rivista mensile e dall'ottobre al dicembre del 2007 ha ideato e condotto il programma di Rai-Educational "e-cubo".

«Sono orgoglioso di essere candidato dopo di lei nella mia città - aggiunge il leader del Pd - le sue competenze saranno un elemento di arricchimento del Parlamento e delle istituzioni». Con la candidatura della giovane, aggiunge Veltroni, «voltiamo pagina. Come lei ce ne saranno altre e non solo per la carta d'identità ma anche per l'impegno e la passione dimostrata».

All'interno del partito, spiega ancora l'ex sindaco di Roma, «c'è una grande condivisione a questa sfida di rinnovamento». Richiamando l'addio di De Mita, infine, Veltroni conclude: «Penso che dobbiamo andare avanti sulla strada della innovazione».

Veltroni è poi andato a Tv7 di Rai1, intervistato da Gianni Riotta. e lì ha attaccato Berlusconi.Se non si è potuto sin da subito abbassare le aliquote Irpef per gli stipendi medio-bassi e aumentare i salari è «per colpa di FI, che si è opposta». Veltroni ricorda infatti che, durante la discussione in questi giorni in Parlamento sul DL 'Milleprogroghè, si era proposto un emendamento per aumentare i salari e determinare una riduzione delle detrazioni fiscali per i redditi medio-bassi. Ma, poichè si è a Camere sciolte, serviva l'unanimità all'interno del comitato dei 9. Cosa che non è avvenuta a causa del voto contrario di Forza Italia.

Poi un battibecco con Bertinotti. Il leader della Sinistra Arcobaleno aveva detto: «Candidare Colaninno e l'operaio della Thyssen? Uno è di troppo...». Veltroni a Tv7 ha risposto: «Mi chiedo se siamo nel 2008 o nel 1953? Può una persona ragionevole sostenere che se si porta un operaio in lista e, quindi, in Parlamento, poi non puoi candidare anche un imprenditore?». Controreplica di Bertinotti dalle colonne di "Liberazione" di sabato. «Il 2008 non è il '53, ma alla Thyssenkrupp si muore come a marcinelle: storie di operai e di padroni, le diseguaglianze e le classi sociali non sono scomparse».

Anche con i Socialisti volano parole forti. Veltroni rimprovera loro di essersi «candidati in questi anni in Parlamento con tutti i camuffamenti immaginabili, col Girasole insieme ai Verdi, i Radicali nella Rosa nel pugno... L'unica volta che gli chiediamo far parte di un grande soggetto riformista, loro si rifiutano. La cosa che mi ha più colpito è che poi siano andati a bussare una volta alla Sinistra arcobaleno e un'altra volta da Casini nel tentativo di avere una partecipazione alle loro liste, peraltro con risultati non positivi».

Gli replica Boselli: «Non ho bussato a nessuna porta, nè a quella di Bertinotti, nè a quella di Casini. E Veltroni lo sa bene, perchè non ho bussato nemmeno alla sua. Invece di esaminare la questione socialista per quella che è - aggiunge Boselli - Veltroni getta discredito, delegittima e falsifica le nostre posizioni. Questo non è il nuovo, ma un metodo molto molto vecchio».

Pannella: la mia presenza non è necessaria né opportuna «Sono d'accordo con base e sviluppi dell'intesa con il partito Democratico. Aggiungo: se si segue il criterio della opportunità, è in nome di questo che occorre valutare anche la mia eventuale candidatura nelle liste del partito democratico in quota radicale, la ritengo assolutamente non necessaria, e sinceramente e gioiosamente non opportuna», dice Marco Pannella.


Pubblicato il: 22.02.08
Modificato il: 22.02.08 alle ore 21.42   
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« Risposta #107 inserito:: Febbraio 26, 2008, 12:10:37 pm »

26/2/2008 (10:24) - VERSO LE ELEZIONI

Veltroni: "Candido Serra perchè mi fido di lui"

Ai microfoni di "Radio Anch'io" il programma elettorale del Pd

ROMA


Il leader del Partito Democratico parla del suo programma elettorale ai microfoni di Radio Anch'io, dove è stato ospite questa mattina. Molti i temi toccati, dall'efficienza del governo Prodi alla pedofilia.

«Prodi ha operato bene, la coalizione no»
«Il governo Prodi quando ha iniziato ha trovato una situazione finanziaria del Paese spaventosa. Nell’arco di un anno e mezzo ha ridotto il debito, rimesso a posto i conti, ridotto l’evasione fiscale, ha fatto un pacchetto di liberalizzazioni. A non andare bene è stata la coalizione che sosteneva il Governo. Ogni decisione che era presa veniva il giorno dopo contestata, ci sono stati anche ministri che sono scesi in piazza contro il Governo. Io distinguo l’operato del Governo dalla confusione politica della coalizione, che io ho deciso di concludere andando da soli alle elezioni». Lo ha detto il leader del Partito Democratico Walter Veltroni, ospite di «Radio Anch’io».

Achille Serra in liste Pd: «Provo grande stima per lui»
Il prefetto Achille Serra sarà candidato alle Politiche nelle liste del Pd. Lo ha annunciato il segretario del partito e candidato premier Walter Veltroni, ospite di «Radio anch’io». «In questi anni da sindaco di Roma ho lavorato con lui - ha detto Veltroni -, è maturato un rapporto di grande stima, sono contento che lui abbia accettato la mia proposta. Fa parte dello sforzo di rinnovare le nostre liste». Il leader del Pd ha sottolineato che ancora «non è stato deciso dove candidarlo».

Pedofilia: «E' paragonabile all'omicidio»
«La pedofilia si può paragonare all’omicidio». per questo, «serve la mano dura, servono regole e la certezza della pena. Chi sbaglia deve pagare». Veltroni annuncia così la presentazione di un progetto di legge sulla pedofilia «molto duro». Per Veltroni «è la società che deve ritrovare il senso di se stessa, valori e la coscienza che si è perduta». Il candidato premier del Pd commenta poi la notizia del ritrovamento dei cadaveri dei due fratellini di Gravina: «Una notizia assolutamente sconvolgente. Una società si valuta dal grado con cui tutela i propri bambini». Dunque, basta con pedofili in libertà, anche se a loro volta sono stati vittime, così come basta con «la follia di un insegnante pedofilo che torna ad insegnare. Si sono perdute le regole, vanno ora ristabilite».

Dopo le critiche di Famiglia Cristiana: «Laici e cattolici possono convivere»
«Continuo a pensare che questa idea che laici e cattolici non possono convivere, che coloro che hanno opinioni diverse sui temi etici debbano ognuno farsi il proprio partito, ci porta ad un assetto che non è quello di un Paese moderno: saremmo l’unico Paese in cui c’è un partito laico e un partito cattolico». Walter Veltroni difende l’accordo con i radicali dalle critiche arrivate dal mondo cattolico, in ultimo da Famiglia Cristiana. Si chiede Veltroni: «Sarebbe stato meglio uno schieramento laico con radicali e socialisti, che accentuava le contrapposizioni su questi temi? Penso di no, per il bene nostro Paese. In tutta Europa ci sono partiti con opinioni diverse, ma con un unico principio: quello della laicità dello Stato». E a un ascoltatore che teme un gruppo radicale in Parlamento subito dopo le elezioni, il candidato premier del Pd assicura: «La novità di quello che abbiamo fatto è proprio che chi decide di stare con noi decide di fare un solo gruppo parlamentare, sottoscrive il programma Pd votato all’unanimità dal coordinamento, riconosce la leadership del Pd. Questa è la grande novità». Quanto a Famiglia Cristiana, Veltroni ricorda che il settimanale cattolico «ha pubblicato un sondaggio per cui io sono il leader più apprezzato dai cattolici, perchè ho a cuore i temi della povertà, della qualità vita, che sono nel programma». Infine una domanda: «Perchè quando Pannella (e non la Bonino, Pannella...) nel 2001 si candidò col centrodestra, non ci fu tutto questo can can?».

Salari: «Sono la vera emergenza»
«Questa è la vera questione italiana: bisogna intervenire sull’aumento dei salari e allo stesso tempo con un’operazione di calmieramento necessario per consentire ai prezzi di stare bassi». Il leader del Pd, Walter Veltroni, ribadisce a Radio Anch’io, che «l’aumento dei salari è la vera emergenza nazionale. I salari - sostiene il segretario del Pd - sono fermi dal 2000, l’inflazione cresce perchè i salari e i prezzi sono uno in lire e l’altro in euro. Quindi l’aumento dei salari va accompagnato ad un calmieramento dei prezzi magari anche con accordi con le categorie perchè si facciano vere e proprie campagne per avere i prezzi più bassi».

da lastampa.it
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« Risposta #108 inserito:: Febbraio 28, 2008, 12:13:33 am »

Laici e cattolici, Walter Veltroni: «Laicità eticamente esigente»

Di Pietro: «Berlusconi ha paura»


«Solo una visione superficiale può ridurre a ingerenza o interferenza le posizioni della Chiesa, e la sua dottrina». Lo dice il segretario del Pd, Walter Veltroni, che è intervento appositamente al seminario dei cattolici del Pd. Il partito democratico vuole «superare la contrapposizione secca tra laici e cattolici che si bollano reciprocamente come laicisti e oscurantisti» e punta invece ad una «laicità eticamente esigente, che sostituisca la cultura dell'aut-aut con quella dell´"et-et"».

Veltroni, intervenuto dopo le relazioni di Andrea Riccardi, Guido Formigoni, Franco Garelli e don Carlo Nanni, ha parlato della «tentazione di dare per scontata una nuova, non inedita, contrapposizione tra laici e cattolici», che farebbe sì che «l'Italia sia condannata a una perenne Porta Pia, ricadendo in quello che durante l'Assemblea Costituente fu evitato». «I non credenti - ha domandato Veltroni - non dovrebbero avere molto da imparare dalla dottrina sociale della chiesa, dal Concilio Vaticano II, dalla "Gaudium et spes" o dall´opzione per i poveri?». Valori come «la famiglia, i limiti che la scienza deve porsi, interpellano tutti. Solo una visione superficiale può considerare queste sollecitazioni come interferenze o ingerenze».

Ai cattolici però Veltroni ha chiesto di uscire da un atteggiamento difensivo e a non aver paura del confronto: «Oggi una parola molto usata è "difendere" ma essa rischia di segnare il declino dell'Italia. Cerchiamo invece di usare la parola "promuovere"», come aveva suggerito la relazione di Guido Formigoni. Insomma, basta «a cavalli di Frisia, con identità esclusive ed escludenti». Come avvenne durante l'Assemblea costituente, ha proseguito il segretario del Pd, laici e cattolici devono saper far «prevalere la ricerca del bene comune». E questo è il compito della politica: «Con pazienza e umiltà costruire un punto comune che non opprima le posizioni di ciascuno». In questa ottica i laici si faranno carico delle esigenze di una «laicità eticamente esigente», e i cattolici quella di tradurre i loro valori «in principi universali e non religiosamente fondati».

Ci saranno due candidati rappresentativi del mondo cattolico che arricchiranno le liste del Pd: il giornalista Andrea Sarubbi e il professore Mauro Cerruti. «Sono due candidature di cui vado orgoglioso», dice Veltroni annunciandole. «I cattolici - spiega Veltroni - mi hanno chiesto una selezione attenta delle candidature. La stiamo facendo, abbiamo anche dimostrato di non avere timori. Abbiamo per questo deciso di arricchire le nostre liste con persone che hanno una visione eticamente esigente della politica». Ma, avverte il segretario, non si tratta di un bilanciamento dopo l'alleanza con i radicali: «È inutile- sottolinea- fare il bilancino, dire quanti laici ci sono e quanti cattolici. Nel nostro partito coesistono, per fortuna, forze diverse».

«L'impostazione di Veltroni è assolutamente corretta. Ha indicato la via giusta: cercare la sintesi», ha detto il presidente del Senato, Franco Marini. «Nessuno può pensare di costruire una posizione politica sulla fede. Un partito deve avere - aggiunge Marini - assolutamente omogeneità nella risposta che dà ai problemi del Paese». Del resto, ricorda Marini, «noi cattolici, da Sturzo in poi, siamo sempre stati impegnati laicamente in politica. Poi, certo, può capitare che c'è bisogno di fare una battaglia di principio e la facciamo, ad esempio come nel 2005 sul referendum sulla fecondazione abbiamo sposato la posizione della Chiesa. Ebbene, cosa accadde alla alleanza di centrosinistra? Nulla, perché c'è il rispetto delle diverse convinzioni».

«Veltroni mi ha convinto. Ma nessuno di noi ha mai voluto o cercato di arroccarsi sulle proprie identità», replica la senatrice teodem, Paola Binetti. «La speranza - aggiunge - è che riesca a contenere lo spirito laicista dei radicali».

Le parole del leader del Pd sono state tutte positive. «Siamo grati a Veltroni così come lui dovrebbe essere grato a noi per l'insistenza che abbiamo avuto», ha detto il deputato "teodem" Enzo Carra. «Mi pare che abbia precisato ancora meglio le questioni. La situazione richiede anche da parte nostra un adattamento», ha aggiunto Carra, secondo il quale i due candidati cattolici annunciati da Veltroni - Sarubbi e Ceruti - sono due nomi ottimi».

Pubblicato il: 27.02.08
Modificato il: 27.02.08 alle ore 21.18   
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« Risposta #109 inserito:: Febbraio 28, 2008, 12:14:47 am »

POLITICA

E per bilanciare l'ingresso dei radicali, entrano in lista il giornalista Sarubbi e il filosofo Cerruti.

Il seminario delle "tribù" cattoliche del Pd

Veltroni: "Laici e cattolici? Una separazione che non esiste"

Il segretario: da parte della Chiesa "sollecitazioni e non ingerenze"

Binetti: "Speriamo che si riesca a contenere la spinta laicista dei radicali"

 

ROMA - Dire che il nodo è stato sciolto sarebbe sbagliato. Anche perchè la questione della convivenza laici e cattolici all'interno del Pd si svilupperà, in un modo o nell'altro, solo cammin facendo. Di sicuro oggi il segretario Walter Veltroni ha proposto quella che viene definita una sintesi alta e non una mediazione al ribasso. Per cui le divisioni tra laici e cattolici sono "caricaturali": la laicità deve essere "eticamente esigente" e tra laici e cattolici è consigliabile "un incontro virtuoso". Poi, come in tutte le cose, specie in politica, c'è l'aspetto un po' più... prosaico. E tutto sommato oggi si può dire che la questione è chiusa/congelata anche grazie all'ingresso nelle liste di due candidati teodem: il giornalista Andrea Sarubbi, 37 anni, faccia pulita, scuole dai salesiani, microfono dei papa boys all'epoca di Tor Vergata e oggi conduttore delle rubrica "A mia immagine" il sabato e domenica; e il filosofo Mauro Cerruti, uno degli estensori della Carta dei valori del Pd.

"Non sono per bilanciare". Veltroni ha annunciato le candidature durante il seminario organizzato dai cattolici del Pd oggi nella Sala conferenze davanti a Montecitorio. Un incontro organizzato da Franceschini e Fioroni mesi fa e che in questi gionri, da quando è stato ufficilizzato l'ingresso di nove radicali nelle liste del Pd, ha assunto un significato ben oltre le intenzioni originali. "Sono due candidature di cui vado orgoglioso" ha detto Veltroni precisando che non si tratta di un bilanciamento dopo l'alleanza con i radicali. "I cattolici - ha spiegato - mi hanno chiesto una selezione attenta delle candidature. La stiamo facendo e abbiamo deciso di arricchire le nostre liste con persone che hanno una visione eticamente esigente della politica". Nel Pd, sia chiaro, "non serve usare il bilancino, dire quanti laici ci sono e quanti cattolici, perchè nel nostro partito coesistono, per fortuna, forze diverse".

"Dalla Chiesa sollecitazioni, non ingerenze". Mestro nel non scontentare quasi mai nessuno, Veltroni sa declinare a un certo punto parole che devono suonare magiche per la platea cattolica riunita nella Sala convegni in piazza di Montecitorio. "Valori come la famiglia, la dignità della persona umana, i limiti che la scienza deve porsi interpellano tutti. Solo una visione superficiale può considerare queste sollecitazioni come interferenze o ingerenze". Quindi se la Chiesa interviene su qesti temi "non sono ingerenze ma sollecitazioni".

Le tribù cattoliche. Bilancino o no, è innegabile che il Pd abbia ereditato al suo interno, direttamente dalla Margherita, 130 parlamentari cattolici e almeno quattro tribù: i popolari, i più numerosi e i più forti, da Marini a Castagnetti passando per il ministro Fioroni, il numero 2 del partito Dario Franceschini e il capogruppo Antonello Soro. I teodem, un'invenzione di Francesco Rutelli che data 2006, sono i più conservatori (i popolari li accusano di essere "clericali"), i più accaniti nelle battaglie etiche che hanno segnato la legislatura del governo Prodi e i più sospettosi per l'ingresso dei radicali. Contano personaggi come Luigi Bobba, Paola Binetti, Emanuela Baio Dossi, Enzo Carra e Marco Calgaro. Poi i cristiano-sociali (Mimmo Lucà e Marcella Lucidi), i cosiddetti "cattolici adulti", espressione coniata da Prodi nel 2005, tra cui Rosy Bindi, Arturo Parisi, Franco Monaco e Giulio Santagata. Chiude la lista delle tribù il gruppo dei cattolici-liberali: Marco Follini, Dorina Bianchi, Luigi Zanda e lo stesso Rutelli.

"Laicità eticamente esigente". E' contenuta in queste tre parole la sintesi alta con cui oggi Veltroni ha cercato di chiudere la questione. Con una parola d'ordine: superare le divisioni che sono una questione d'antan, vecchia e antica, "rischiamo di tornare ai tempi di Porta Pia". Il Pd, ha detto il segretario, vuole "superare la contrapposizione secca tra laici e cattolici che si bollano reciprocamente come laicisti e oscurantisti" e punta invece ad una "laicità eticamente esigente, che sostituisca la cultura dell'aut-aut con quella dell'et-et'". Laici e cattolici devono saper far
"prevalere la ricerca del bene comune". E questo è il compito della politica: "Con pazienza e umiltà costruire un punto comune che non opprima le posizioni di ciascuno". Basterà per tenere a bada i sospetti?

Sarubbi: tra Vaticano e cartoni animati. Il giornalista, emozionato e orgogliso per la candidatura, ha precisato di "non essere la longa manus del Vaticano". "Semplicemente, conosco bene la base del mondo religioso e rappresento questo mondo, la 'Chiesa del grembiule'". Mai iscritto a un partito ma da sempre appassionato di politica, Sarubbi cita il personaggio dei cartoni Buzz Lightyear per sintetizzare il rapporto laici-cattolici: "Questo personaggio è convinto che ci sia un'emergenza intergalattica che invece non c'è... Ecco, queste discussioni sui Radicali e sul rapporto tra laici e cattolici, penso che distolgano l'attenzione dai problemi veri: l'emergenza intergalattica non è il dialogo laici-cattolici ma sta nel fatto che ci sono persone bisognose che chiedono che ci occupiamo di loro".

Dai cattolici gli auguri al Pd. Prima di Veltroni hanno parlato Andrea Riccardi, leader della comunità di Sant'Egidio e in predicato, fino a poco tempo fa, di diventare direttore dell'Osservatore Romano; il pedagogista salesiano don Carlo Nanni, amico del cardinal Bertone; e poi lo storico Guido Formigoni e il sociologo Franco Garelli. Relatori di altissimo livello. Come la platea con esponenti di tutte le associazioni e le organizzazioni "bianche", a partire dal segretario della Cisl Raffaele Bonanni. Riccardi, a cui Veltroni nei giorni scorsi aveva chiesto di scendere in campo, ha annunciato che non si candiderà ma ha augurato "un bel futuro" al Pd, perchè "la sua avventura sarà decisiva per ridare identità all'Italia".

I dubbi della Binetti. Al termine del seminario la senatrice teodem Paola Binetti si mostra cautamente ottimista. "Veltroni mi ha convinto" dice precisando che "nessuno di noi ha mai voluto o cercato di arroccarsi sulle proprie identità". Tutto risolto? "La speranza - sorride - è che Veltroni riesca a contenere lo spirito laicista dei radicali". Insomma, polemiche e divisioni sembrano rinviate. Binetti-Bonino: potrebbe essere un tema ricorrente nelle cronache dal Pd.

(27 febbraio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #110 inserito:: Marzo 02, 2008, 08:55:49 am »

Veltroni a El Pais : «Siamo riformisti, non di sinistra»


«Somos reformistas, no de izquierdas». El Pais, principale quotidiano spagnolo, intervista Walter Veltroni. Uno sguardo a tutto tondo sul suo tour elettorale, un parallelo italo-spagnolo su due paesi al voto, ma soprattutto domande secche sulla novità del Pd. Il titolo parte proprio da lì: «Veltroni ringiovanisce la politica italiana». Ma non si tratta solo di candidature, è il programma a segnare la svolta. E Veltroni usa parole chiare per definirla: «Siamo riformisti, non di sinistra».

Una frase che, in questi giorni in cui la parola Veltrusconi riecheggia in tutti i discorsi di chi sfida i leader dei due maggiori partiti – Casini su tutti – fa riagitare lo spauracchio delle larghe intese. Veltroni mette in chiaro subito che «riforme istituzionali, sì, accordi di governo, no». Uno slogan che riassume quello che da giorni va dicendo a chi, da Fini a Bertinotti, lo accusa di aver “copiato” il programma del Pdl: «Se è vero che il nostro programma è copiato dal suo, allora vorrà dire che potrà votare, fin da subito, alcuni punti del nostro programma». Ma, aggiunge, «non collaborerò mai con Berlusconi ad un governo».

Tra i due programmi, comunque, c’è sicuramente un punto dirimente: la questione energetica. Berlusconi ha rilanciato nel programma presentato venerdì il nucleare come panacea di tutti i mali, Veltroni ora replica spiegando che quello di cui abbiamo bisogno è «un'operazione di gigantesca riconversione del nostro sistema produttivo, possibile grazie alle grandi scoperte della tecnologia, che ci permette di ricavare energia dalla natura, a cominciare dal sole».

Sottolinea le differenze anche il ministro del Lavoro Cesare Damiano: «Il programma del Popolo delle libertà mi pare piuttosto avaro sui temi del lavoro, tutto il contrario del Partito democratico che ha un programma robusto e preciso». Nel Pdl «si parla di detassazione degli straordinari e sgravi sulla tredicesima. Il Pd – prosegue Damiano – invece deve agire con molta più forza intervenendo sulla revisione al basso delle aliquote, con incentivi sui salari di produttività, sulla revisione del modello contrattuale con un miglioramento retributivo soprattutto per il lavoro discontinuo, si tratta dei famosi 1000-1100 euro per i contratti a progetto».

Intanto, in una lettera a Famiglia Cristiana, il segretario del Pd ricuce sul fronte dei temi etici: il settimanale cattolico lo aveva duramente attaccato per aver siglato l’accordo con i Radicali, ora Veltroni rassicura che «non c'è ragione di temere che nel Pd i cattolici siano mortificati. Al contrario, è di tutta evidenza come essi rappresentino una delle colonne portanti del partito: non solo sul piano quantitativo, ma anche sul piano della qualità e dell'autorevolezza delle idee».

Non piace la svolta “riformista” ai Socialisti. Boselli: «Raccontare agli italiani che non è mai stato comunista, è una bugia ed anche un errore. Il nuovo – aggiunge – non passa cancellando la storia di ciascuno di noi». Ma nell’intervista a El Pais, Veltroni sostiene che «gli italiani sono stanchi del passato». «L'Italia – prosegue – ha diritto di scegliere tra una proposta riformista ed una conservatrice. Si potrà dire quel che si vuole – ammette – ma Reagan ha cambiato l'America; Mitterrand ha cambiato la Francia e altrettanto farà Sarkozy, così come la Thatcher e Blair hanno cambiato l'Inghilterra».

Pubblicato il: 01.03.08
Modificato il: 01.03.08 alle ore 19.19   
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« Risposta #111 inserito:: Marzo 02, 2008, 09:00:58 am »


Il riformismo è una metodologia da applicare alle iniziative politiche, con l'intento di favorire un'evoluzione degli ordinamenti politici e sociali mediante la teorizzazione e l'attuazione di riforme.

Le riforme possono in certi casi essere graduali e progressive. In altri casi possono avere un contenuto più ampio ed introdurre dei cambiamenti consistenti all'interno della struttura pre-esistente. Il termine riformismo è il contrasto con quello di rivoluzione. Riformare si rifà all'idea di "riorganizzare" o di "ridisegnare" attraverso l'utilizzo di metodi democratici, in contrapposizione ai metodi autoritari spesso usati dai regimi prodotti dalle rivoluzioni.


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Nota dell'admin:

Non può essere di destra, c'è già un riformismo di sinistra (socialista) allora Veltroni vuol dire che il suo è di Centro?

Appure lo spiegherà meglio dopole elezioni?

ciaooooooooooooo
 



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« Risposta #112 inserito:: Marzo 10, 2008, 03:50:31 pm »

10/3/2008 (10:27) - VERSO LE ELEZIONI

Veltroni: "Siamo sulla strada giusta"
 
Il leader del Pd sul voto in Spagna: «Le sinistre radicali in serio declino»


ROMA
La vittoria del Psoe in Spagna e l’affermazione dei socialisti alle amministrative francesi irrompono nella campagna elettorale di casa nostra. Per il segretario del Pd, Walter Veltroni, la vittoria di Zapatero e la sconfitta di Sarkozy «dicono che sta spirando un vento nuovo in Europa e in occidente» e «suggeriscono di essere realisti e innovatori, di avere quella sana radicalità del riformismo che è necessaria».

Il messaggio insomma, aggiunge Veltroni in mattinata, è che «le sinistre radicali hanno subito un peggioramento serio» e testimonia che «oggi la sfida non è di testimonianza ma è di realismo e innovazione». Pronta la replica di Fausto Bertinotti, candidato premier della Sinistra-Arcobaleno, che non vede spirare da Madrid e Parigi il vento di un «pesante peggioramento della sinistra radicale» avvertito da Veltroni. Dopo i risultati elettorali di Madrid e Parigi. «Le destre perdono in Spagna e in Francia - dice - ma sull’Europa mi fermerei un momento, perchè si è visto che le socialdemocrazie perdono perdono e la sinistra avanza». Il problema riguarda invece l’Italia, aggiunge il presidente della Camera, dove «di formazioni socialiste non ce ne sono».

Una frase che irrita Enrico Boselli, che risponde a Bertinotti sottolineando che i socialisti in Italia ci sono da 116 anni. «Bertinotti dovrebbe essere rosso di vergogna - dice il leader socialista - in Italia un partito socialista c’è da 116 anni e correrà alle prossime elezioni politiche con un proprio simbolo e un proprio candidato premier». Ma il segretario del Prc, Franco Giordano, ammette che , Franco Giordano, «le difficoltà della sinistra di alternativa in Spagna e in Francia ci preoccupano fortemente. Tali difficoltà sono in buona misura la conseguenza di un deficit di innovazione e di capacità unitaria. È dunque tanto più necessario in Italia - aggiunge - investire sulla costruzione di un soggetto unitario e plurale decisamente innovativo e capace di coniugare la difesa delle condizioni materiali di vita nel presente con un progetto alternativo di società».

Intanto, a poche ore dalla chiusura dei termini per la presentazione delle liste, il leader radicale, Marco Pannella, torna a "sparigliare" e lancia una proposta ai Socialisti di Boselli. In un filo diretto con Radio radicale Pannella annuncia di aver avuto nella serata di ieri un incontro con Boselli per discutere della possibilità di candidarsi con i socialisti: «Essendo tre esclusi, tre radicali liberi, cioè io, Sergio D'Elia e Silvio Viale - ha spiegato - siamo sicuramente disponibili ad una candidatura nelle liste socialiste. Ovviamente abbiamo spiegato a Boselli - ha precisato - che proporremmo altri candidati di rilievo che siano liberi da candidature nel Partito Democratico».

da lastampa.it
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« Risposta #113 inserito:: Marzo 16, 2008, 11:38:28 pm »

POLITICA

Al forum della Confcommercio di Cernobbio il leader del Pd parla di tasse più basse, Berlusconi insiste sui rischi della crisi

Walter e Silvio a ruoli invertiti è smarrito il popolo delle partite Iva

dal nostro inviato ALBERTO STATERA


CERNOBBIO - Walter Veltroni arriva a Cernobbio via terra sull'eco dell'"endorsement" di George Clooney, di cui è stato ospite qui sul lago nella magione di Villa Oleandra, che lo ha gratificato come "amico e uomo tra i più acuti che conosce", una specie di italico Obama. Silvio Berlusconi, poche ore dopo, fa volteggiare il suo elicottero su Villa Belinzaghi, la dimora confinante con Villa d'Este, che con sommo dispiacere non è riuscito ad acquistare per 12 milioni di euro e che gli è rimasta nel cuore.

Un incontro ravvicinato ma non fisico tra i due candidati che tendono ormai a una inversione anche psicanalitica delle parti, in un intreccio di concretezza sognante e di pessimismo della ragione - chi dei due incarna che? - dinanzi alla platea del capitalismo di bottega. Niente capitalismo finanziario, niente poteri forti a Villa d'Este, se non Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa-San Paolo, che si dice Berlusconi voglia suo ministro, l'unico che dà un "assist" keynesiano al "radicale di sinistra" Cesare Salvi: macché riduzione del debito pubblico, lasciamolo stare lì, il problema su cui bisogna concentrarsi adesso non è quello, ma una politica anticiclica, se no è a rischio la tenuta stessa dell'intera società.

Sarà per la location, sarà per la platea di partite Iva, ma i due contendenti psicanalitici rispetto al solito menù volteggiano stavolta sul turismo. Gode platealmente in sala Bernabò Bocca, leader degli albergatori, quando il segretario del Pd evoca i luoghi, le campagne, i monti, i laghi, i posti meravigliosi, le città uniche, i monumenti, l'archeologia di questo paese che sta scoprendo a bordo del suo pullman e che, possedendo questo inestimabile e ineguagliabile patrimonio, non è possibile che debba stare "con la lingua di fuori". Bisogna aprire con l'Europa la questione dell'Iva sul turismo, il "dumping" dei paesi concorrenti che hanno l'Iva più bassa. Veltroni promette che, se vincerà, andrà e chiederà di ridurre l'Iva dal 20 al 10 per cento nel quadro di una politica nazionale del turismo, che oggi non c'è e la cui mancanza è la metafora delle contraddizioni di questo paese.

Esulta per le parole del leader democratico Bernabò prima di abbracciare Maria Vittoria Brambilla, la rossa dei Circoli che fa da pesce pilota a Berlusconi verso la sala delle partite Iva, e di applaudire il leader del Pdl che, in versione disastrista, descrive invece un'"Italy under trash" con i ristoranti senza clienti non solo a Napoli coperta di monnezza, persino quelli italiani di New York, che lui dovrà turisticamente risollevare, anzi rialzare, perché purtroppo gli "tocca", essendo lui "non fungibile". Bernabò è esteticamente il simbolo dello "straniamento" delle partite Iva rispetto all'inversione psicanalitica dei due candidati: l'uno realisticamente sognante nella concretezza di un programma senza ideologia, sulle cose, l'altro sobriamente e realisticamente disastrista, che esordisce ringraziando Veltroni di aver "spiegato il mio programma". Peccato che l'avversario sia un "pifferaio magico" che non è passato per nessuna Bad Godesberg.

Lo straniamento della platea lo rende con poche parole Antonio Paoletti, responsabile dell'Unioncamere per il Mediterraneo e i Balcani: "Che dire? Veltroni usa il linguaggio che noi vogliamo sentire, ha capito i nostri bisogni, lo abbiamo ascoltato con piacevole stupore". E Berlusconi? "Berlusconi lo stesso". Salvo il rischio che il primo, novello Stalin come dice l'iperbole del kit berlusconiano che fa sghignazzare persino il popolo degli autonomi, ricada nella trappola della Sinistra Arcobaleno e l'altro in quello dello statalismo dei suoi compagni di strada fagocitati con Fini senza colpo ferire.

Il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli ("Caro Silvio, è antica la nostra amicizia") parla di "convergenza forte tra le due principali forze politiche e anche tra le parti sociali". Chi può più distinguere, nel deserto ideologico, tra liberismo, statalismo, protezionismo, radicalismo e persino comunismo, se ancora c'è? Giulio Tremonti, stridulo, cerca di fare a pezzetti, forse in nome della sua "cultura giuridica", il clan degli economisti liberali, Francesco Giavazzi, Mario Monti, Tito Boeri e tutti quelli che hanno criticato il suo ultimo libro. Bernanke doveva chiamare al telefono Giavazzi prima di salvare l'ultima banca americana affogata dai subprime? Ma Renato Brunetta, pars magna della squadra economica berlusconiana, gli dà sulla voce: la globalizzazione fa paura soltanto a chi non è capace di cavalcarla, dazi e dogane, nuovo pane di Tremonti neo difensore dei poveri e negletti, sono una ricetta da economia socialista.

Ma è alfine sul fisco che le voci si sovrappongono quasi perfettamente, con la detassazione degli straordinari e quant'altro, ma soprattutto sulla bestia nera delle partite Iva: per l'appunto, l'odiata Iva, che ha creato un'intera generazione di protestatari negli ex miti lidi del Lombardoveneto. Non reiterazione, non retroattività, Iva di cassa, aumento della quota forfettizzata da 30 a 50 mila euro, proclama Veltroni. E Berlusconi lancia il "lodo Cervellin", dal nome del signor Davide Cervellin, esponente dell'Unione Italiana Ciechi e titolare a Piombino Dese, nel padovano, della Tiflosystem, aziendola con 20 dipendenti che produce tecnologie e servizi per disabili.

Questo Cervellin, creditore da dieci anni di 300 mila euro da parte delle Asl del Lazio scrisse a Romano Prodi, annunciando che avrebbe smesso di pagare le tasse finché non gli avessero liquidato quanto gli spettava. Detto fatto - annuncia Berlusconi all'inclita platea - pagamento dell'Iva non dopo l'emissione della fattura, ma al momento dell'effettiva riscossione del dovuto.

Il paese semplice fiscalmente, burocraticamente, politicamente, senza l'antinomia amico-nemico, prende forma nelle parole di Veltroni, nel Patto per lo Sviluppo che chiude per sempre persino le maratone della "Sala verde" di Palazzo Chigi, quel luogo di depressione dove centinaia di persone si riuniscono periodicamente per la "concertazione", uscendone quasi sempre senza alcun risultato. Sparirà dalle location, come sparirà dal vocabolario l'espressione "vertice di maggioranza", che fa venir male al fegato.
Berlusconi, da parte sua, farà anche sparire una mole grande come il Duomo di Milano, la mole di carte burocratiche che vengono archiviate ogni anno in Italia e, a difesa delle partite Iva, farà un po' di centri commerciali nelle caserme dismesse e schiererà ben 10mila poliziotti di quartiere, perché i poliziotti non sono "traditori del proletariato" come vuole la cultura di sinistra, che una volta si diceva "egemone", da cui Veltroni viene.

Gli "imprenditori lavoratori" che si "spaccano la schiena", come ripete Veltroni, sciamano da Villa d'Este nel loro spaesamento. Forse, per la prima volta, ce ne è qualcuno da collocare in quel 25 per cento di indecisi. Perché Veltroni è diventato "l'ortodossia", come dice Berlusconi. E allora Stalin giace nella sua tomba. Del resto, persino Tremonti è per una volta accomodante: "In politica non c'è copyright".

(16 marzo 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #114 inserito:: Marzo 21, 2008, 03:18:24 pm »

Il retroscena

Veltroni e le anime del Pd: al bivio tra Epifani e Prodi

Il candidato premier tra scelta di mercato e no dei sindacati


Finora era stato così abile che persino gli avversari avevano dovuto riconoscerlo, perché era riuscito a consegnare il governo Prodi a una stagione politica passata. Ma il «caso Alitalia» risospinge l’esecutivo sulla scena.

Veltroni è così costretto sulla difensiva proprio nelle settimane decisive di campagna elettorale. Ora che Berlusconi ha bocciato il piano Air France e ha preso in mano la bandiera dell’italianità, al leader del Pd tocca per la prima volta inseguire il Cavaliere e prendere una posizione. Cosa non facile, perché o incrina il rapporto con Epifani, o entra in rotta di collisione con il premier che ha «condiviso» i termini della trattativa di Padoa- Schioppa con Spinetta.

Veltroni non si aspettava che nella proposta dei francesi ci fossero quegli «elementi di inusitata durezza»—specie per i risvolti occupazionali — che considera «molto difficili da accettare». Raccontano si sia infuriato non solo con palazzo Chigi e il titolare del Tesoro ma anche con i vertici di Air France, e che abbia ricevuto spiegazioni «poco convincenti »: in pratica il profilo della proposta sarebbe stato dettato dall’atteggiamento ostile di Klm, contraria all’acquisizione di Alitalia. Il capo del Pd ci ha visto «il classico gioco delle parti», ma per il momento ha preferito non esporsi. Confida che la trattativa superi la data delle urne, ma si rende conto che l’agenda della sua campagna elettorale sarà influenzata da fattori esterni. Il fattore Prodi, appunto.

Ecco perché lo descrivono nervoso. Veltroni è posto dinanzi a un bivio deciso da altri: nella migliore delle ipotesi, se Air France prende Alitalia, dovrà fronteggiare le critiche dei sindacati e l’offensiva del Pdl per la «svendita » della compagnia; nella peggiore delle ipotesi, al Pd sarebbe messo nel conto il fallimento dell’azienda sotto il governo di centrosinistra. Sono le regole terribili della competizione elettorale. Come spiega infatti il democratico Realacci, su questa vicenda «per attaccare basta uno slogan, per spiegare servirebbe un seminario». Lo sa il leader del Pd, che prende tempo ma che non ha più molto tempo. Anche perché — oltre al bivio dinanzi a cui l’ha posto il governo — deve trovare un punto di equilibrio anche nel suo partito.

Sull’«affaire Az» nel Pd convivono linee diverse. C’è chi, come l’economista Rossi, invita ad aver fiducia nel ruolo di «arbitro» del mercato, ricorda che «se Alitalia è crollata la colpa è della politica e dei sindacati», e attacca l’iniziativa di Berlusconi: «Le cordate invitate dai politici non sono mai gratuite e vengono di solito remunerate concedendo delle rendite». Ma nel partito persino chi condivide «parola per parola» il ragionamento di Rossi sottolinea come sia difficile fare discorsi sul libero mercato quando la gente è in piazza e le urne si avvicinano. Ieri il presidente della Provincia di Milano, Penati, ha chiesto per esempio al governo di tenere «la schiena dritta» e di «non accettare assolutamente » la clausola di Air France sui diritti di traffico.

E soprattutto Veltroni deve tenere a mente la Cgil. Non c’è dubbio che la mossa di Berlusconi sta condizionando Epifani, che—al pari degli altri leader sindacali—ha rigettato la proposta francese pur di non farsi scavalcare. Di più, ieri i vertici di Cgil e Cisl hanno voluto verificare se l’idea della cordata italiana avanzata dal Cavaliere avesse consistenza. Dal patron di AirOne, Toto, avrebbero saputo che «non abbiamo mai smesso di lavorare al progetto», mentre l’ad di Intesa Sanpaolo, Passera, sarebbe stato più prudente: «Un nuovo piano necessita di un clima favorevole, che finora non c’è stato».

Il clima, i sindacati, in questo inedito asse con Berlusconi, vorrebbero collaborare per crearlo. «E mica solo noi», rivela Bonanni: «Per il modo in cui Prodi e Padoa-Schioppa hanno gestito la trattativa, manco Alitalia fosse una cosa loro, è scoppiata la fine del mondo. Rutelli è fuori da ogni grazia, Veltroni — con cui ha parlato Epifani — è imbarazzato e non sa come uscirne». E intanto il Cavaliere ha guadagnato il centro della scena, parla con il premier, contatta banche e parti sociali, agisce come se l’imbarazzante conflitto di interessi che si porta appresso non lo appesantisse. «Perché lui oggi — spiega Caldarola — si veste da patriota, è pronto a usare persino i soldi dei figli per salvare Alitalia e Malpensa».

Quella di Berlusconi sarà «una boutade elettorale, un’altra sceneggiata», come sostiene Calearo, che «da uomo del mercato» considera ormai «fuori tempo massimo» l’idea della cordata italiana e si dice «rassegnato» alla vendita ad Air France. Ma non c’è dubbio che per la prima volta nella sfida elettorale il Cavaliere mette all’angolo Veltroni. Certo la sua mossa è ad alto rischio, specie se dovesse vincere, perché —spiega Follini— «un eccesso di partigianeria oggi, domani diventerà una difficoltà di governo».



Francesco Verderami
21 marzo 2008

da corriere.it
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« Risposta #115 inserito:: Marzo 29, 2008, 06:41:08 pm »

LA LETTERA DI WALTER VELTRONI AL POPOLO DELLE PRIMARIE

Ci siamo. Siamo arrivati al momento decisivo.


Con la sua nascita, il Partito democratico ha cominciato a cambiare la politica italiana, lo ha fatto grazie alla tua partecipazione, alla tua passione, che insieme a quella di altri milioni di persone, in una bellissima giornata di ottobre, ha permesso di realizzare il progetto, il sogno, che avevamo nel cuore.
Ora abbiamo, fra poche settimane, l’occasione per dare corpo, per tradurre in atti concreti, quella che è la ragione, la missione, il senso stesso del Partito Democratico: cambiare l’Italia, unirla, liberare le sue
energie e farla crescere, restituire agli italiani e soprattutto ai giovani, alle nuove generazioni, speranza,
fiducia nel futuro, serenità, sicurezza.
È stata la tua presenza, quel 14 ottobre, ad avviare il tempo del coraggio e del cambiamento, a darci la forza di candidarci da soli alla guida del Paese, finalmente liberi di presentare le nostre idee, le nostre proposte, il nostro programma di governo. Dopo la nostra scelta tutto si è messo in movimento. È diventato chiaro, evidente, che da una parte c’è il passato, dall’altra c’è il futuro. Da una parte c’è la riproposizione di un film già visto, con gli stessi interpreti, con lo stesso copione, tutto esattamente come prima. Dall’altra la possibilità di uscire dal clima di odio e dalle divisioni di questi ultimi quindici anni, di voltare pagina,di cambiare non semplicemente un governo, ma il Paese.
È per questo che io mi sono candidato. Non per ricoprire una carica, ma per contribuire al cambiamento che serve all’Italia.
Gli italiani si stanno accorgendo di quanto sia netta, e decisiva, la scelta che faranno il 13 e il 14 aprile. Me ne rendo conto sempre di più ogni giorno, in ogni tappa del viaggio appassionante che mi sta portando in tutte le province italiane. C’è un’Italia viva, c’è un’Italia che è in piedi, ci sono italiani che faticano e lavorano, che studiano, che hanno idee e investono su se stessi per realizzarle, che si occupano degli altri, che fanno sacrifici per mantenere con onestà la loro famiglia.
È a tutti loro, è a questa Italia vera, che noi vogliamo parlare. La campagna elettorale è difficile, ma è aperta. Molto più di quanto non si pensasse all’inizio. In poche settimane abbiamo recuperato terreno,e moltissime sono le persone ancora indecise. L’esito non è affatto scritto, e dipenderà da quello che ognuno di noi riuscirà a fare da qui al 13 aprile.
Il tuo impegno è fondamentale. Ti chiedo, per questo, di tornare domenica 30 marzo nel circolo, nell’associazione, nella sede dove hai votato alle primarie di ottobre. Lì troverai materiale, opuscoli, vademecum e “istruzioni per l’uso” che ti aiuteranno a partecipare in modo ancora più attivo alle ultime due settimane di campagna elettorale.
Il risultato dipende anche da te. Da te dipende quello che insieme potremo fare. Quello che insieme faremo per l’Italia.

Roma, 10 marzo 2008.
Walter Veltroni


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« Risposta #116 inserito:: Marzo 29, 2008, 06:58:00 pm »

29/3/2008 (8:31) - INTERVISTA

Walter Veltroni: "Se vinco nella squadra ministri senza tessera"

 «Loro hanno cambiato idea. Io confermo: darò alla Cdl la guida di una Camera»


MATTIA FELTRI
Segretario Veltroni, Goffredo Bettini dice che se il Pd non arriva al 35 per cento vi potete anche dimettere... «Non ha detto questo». Lo ha lasciato intuire.
«Non scherziamo, basta leggere... Siamo partiti con un distacco di 22 punti. Ora siamo più vicini di quanto dicano i sondaggi. Pure Berlusconi comincia a parlare di pareggio al Senato o nostra vittoria. Possiamo vincere, e comunque saremo la prima forza riformista che questo paese abbia avuto. Questo sarà comunque un risultato straordinario».

Che obiettivo si è posto?
«Vincere le elezioni e dare all’Italia un partito riformista di dimensione europea».

Se vincesse Berlusconi, ma di poco, di tre o quattro senatori, lei si aspetterebbe una telefonata?
«Sì. I leader di maggioranza e opposizione si devono telefonare. Non appartengo a quella schiera di politici, cui appartiene Berlusconi, che danno giudizi al lunedì e giudizi opposti al martedì. Oggi, su di me, dice cose molto diverse rispetto a quelle che diceva due mesi fa. Dovesse vincere, credo che ricomincerebbe a parlare come allora. Se vinco io spero di avere con le opposizioni un rapporto di collaborazione sulle riforme istituzionali, sulle grandi questioni del Paese».

Che tipo di collaborazione?
«La destra sul punto ha cambiato idea. Io confermo che se vincessimo daremmo alle opposizioni una camera e la presidenza delle commissioni di controllo. Abbiamo l’obiettivo di creare un rapporto civile. Io ho già operato una rottura epistemologica rispetto al quindicennio passato: do giudizi politici, non sulle persone. Quando sento che si parla di brogli o di stalinismo sembra di essere tornati al ’94. Come si è visto, non rispondo. Io faccio la campagna elettorale del 2008 non quella del ’94. Abbiamo bisogno di altro che non di risse».

Torniamo al governo. Se Berlusconi vincesse di poco, si aprirebbero nuovi scenari? «Che mi si faccia questa domanda e che io debba rispondere dimostra che la destra ha commesso un gravissimo errore, quando è caduto il governo Prodi, a non accettare la nostra proposta di promuovere, prima del voto, la riforma istituzionale e quella elettorale. Potevamo nominare un governo che se ne occupasse e votare nell’aprile del 2009. Hanno calcolato che gli conveniva votare subito facendo prevalere gli interessi del partito a quelli del Paese. Comunque, quale che sia l’esito del voto, vanno fatte subito insieme le riforme che andavano fatte prima».

Un governo tecnico per le riforme è ipotizzabile?
«Assolutamente no. Le riforme si fanno insieme, ma a questo punto chi vince, fosse per un solo voto, governa. Ma devo dire un’altra cosa: noi, decidendo di andare da soli, abbiamo fatto un pezzo di riforma istituzionale. Spetta agli italiani percorrere l’ultimo miglio e dare la maggioranza a un gruppo parlamentare unico - come succede in tutte le grandi democrazie - quello del Pd».

Di Pietro ha denunciato Berlusconi in procura per la questione Alitalia. Condivide? «Non sono mai per regolare le questioni sul piano giudiziario, ma politico. Un frammento del modo in cui io ritengo si debba regolare il rapporto fra garanzie e legalità, fra politica e giustizia, sta nella nostra proposta sulle intercettazioni: un magistrato intercetti quanto ritiene. Ma risponda personalmente dell’eventuale diffusione delle intercettazioni».

Di Pietro propone di anticipare la pena dopo il primo grado, in casi gravi.
«Il programma del Pd è quello che Di Pietro ha sottoscritto. Vi si atterrà».

Non teme che, di nuovo, i leader sottoscrivano un programma e poi ne reclamino un altro?
«Nella scorsa legislatura c’erano 14 partiti. Qui c’è un solo gruppo, quello del Pd, e un solo programma. E’ la novità assoluta».

Alitalia, la mozzarella, i rifiuti. L’immagine del nostro paese è pessima, ultimamente.
«Da molti e molti anni. L’Italia deve ritrovare l’orgoglio. La destra ha governato il Paese e non lo ha minimamente cambiato. Non ha fatto come la Thatcher o Aznar. Ora un po’ stancamente vuole vincere per gestire il potere. Berlusconi, Bossi, Tremonti, sembra il governo del ’94... Noi possiamo fare quello che hanno fatto Blair e Zapatero: aprire un ciclo riformista».

Chi ha in mente per il ministero dell’Economia?
«In nessun paese si fanno nomi prima delle elezioni, perché dopo è più facile avere disponibilità le più ampie possibili. Qualche nome lo farò, non di persone che appartengono ai partiti, ma esterne».

Riguarda anche l’Economia?
«Lo vedrete».

Quale ministero ospiterà un esterno?
«Diversi. Come ci sono capilista non di partito ci saranno ministri non di partito».

Berlusconi ha rinunciato ad andare su Raitre da Lucia Annunziata. Dovrà rinunciare anche lei...
(Ride, ndr) «Va bene, va bene. Ma, insomma, siccome io non posso andare da Vespa, per Berlusconi ho fatto un atto di violenza. E allora il gesto di oggi sotto che specie va?».

Rappresaglia?
«Ma non lo so. Non posso essere obbligato ad andare in tv. La stranezza è che non si faccia il confronto televisivo. Sono disposto anche ad andare sulle sue tv. Che devo fare? Ci si immagini se in Spagna si fossero tenuti dibattiti su tv di proprietà di Zapatero...».

Tre reti sono troppe?
«Ma in questa intervista non abbiamo parlato di fisco, infrastrutture, precarietà...».

Beh, lei ne parla ogni giorno.
«Questo è il migliore complimento che mi potesse fare. In questi anni, mentre noi discutevamo di Berlusconi e tv, in Spagna facevano autostrade, in Germania ristrutturavano l’energia... Le mie priorità sono la lotta alla precarietà, il sostegno a piccola e media impresa, certezza della pena...».

Erano questioni nel programma e negli obiettivi di Prodi.
«La differenza è che ora non abbiamo una coalizione eterogenea e un programma di 280 pagine, ma un partito solo e un programma di 30. Per quanto riguarda le tv io sono fermo al ddl Gentiloni con in più l’idea di avere in Rai un Amministratore delegato invece di un Cda, perché penso che si debba rendere il paese più semplice e affermare il senso dell’etica e della responsabilità».

da lastampa.it
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« Risposta #117 inserito:: Marzo 30, 2008, 03:48:51 pm »

Diretta -  POLITICA

Veltroni: "L'Italia davanti alll'ultima chance"

Berlusconi: "In Italia scenario peggiore Ue"

Intervista dei due candidati premier di centrodestra e centrosinistra al settimanale Usa Newsweek, che ipotizza larghe intese per "salvare l'Italia"



12:28  Finocchiaro: "Pareggio al Senato sempre più probabile"
''Il pareggio al Senato è sempre più probabile". E' la previsione della capogruppo del Pd a Palazzo Madama e candidata del centrosinistra alla presidenza della Regione Siciliana, Anna Finocchiaro, fatta a Catania a margine di una manifestazione elettorale.



12:27  Casini: "Bossi sarà spina nel fianco di Berlusconi"
"Bossi già si sta manifestando per quello che sarà nei prossimi cinque anni: la spina nel fianco di Berlusconi, perchè la Lega è un fattore determinante e Berlusconi dovrà stare agli ordini di Bossi". E' quanto ha detto il leader dell'Udc e candidato premier Pier Ferdinando Casini rispondendo ad una domanda sulla possibilità di una apertura dell'Udc verso Bossi, prima di una manifestazione elettorale a Milano.



12:09  Casini: "Su Ruini atto di barbarie di Berlusconi"
"Quando ho letto tutta la dichiarazione ho capito che mi trovavo di fronte all'insostenibile leggerezza dell'essere di Berlusconi. Non si rende conto di quello che dice". In una intervista a 'Repubblica', Pier Ferdinando Casini commenta la parole del leader del Pdl su Ruini e sulla Cei. "Tirare nel mezzo dello scontro elettorale una figura come Sua eminenza è un atto di vera barbarie", dice il leader Udc.




12:05  Newsweek per "Berlusconi e Veltroni uniti"
Newsweek mette in copertina le foto dei due candidati unite in un fotomontaggio fino formare una sola faccia con il titolo "Veltrusconi". All'interno, assieme alle due interviste, un pezzo intitolato "Portare fuori la spazzatura" con il sottotitolo "se Silvio Berlusconi e Walter Veltroni si unissero potrebbero salvare la spazzatura".




12:03  Veltroni: "Siamo davanti all'ultima possibilità"
"Onestamente credo che siamo davanti all'ultima possibilità", dice Veltroni a Newsweek. Per il candidato premier del Pd "abbiamo imprenditori di talento, abbiamo grandi lavoratori ma è tutto bloccato da un sistema politico che lo ha tenuto bloccato per un lungo periodo. E questo rende impossibile trovare una soluzione sia nel settore istituzionale che in quello politico e realizzare quello che qualsiasi altro Paese occidentale sembra riuscire a fare: un periodo di riforme".



12:02  Berlusconi: "Non so chi possa essere più liberista di me"
"Non so chi possa essere più liberista di me, dal momento che sono un imprenditore che è nato e cresciuto sul mercato". Così Silvio Berlusconi, nell'intervista a Newsweek, replica a chi lo ha accusa di non aver preso una posizione liberista sulla cessione della compagnia di bandiera.


11:58  Berlusconi: "Economia italiana peggiore di quella europea"
Silvio Berlusconi torna a ribadire che la situazione economica per l'Italia sarà peggiore che per gli altri Paesi europei. In un'intervista al settimanale Usa Newsweek, il candidato premier del Pdl spiega che "lo scenario è negativo in generale". "In particolare -osserva Berlusconi- è negativo per l'Europa e l'Italia presenta fattori ancora più negativi".


11:57  Veltroni: "Larghe intese? Probabilmente in caso di pareggio"
"Se mi chiede se le prenderei ancora in considerazione, direi probabilmente". Walter Veltroni risponde così al settimanale Newsweek che gli chiede cosa pensi dell'eventualità delle larghe intese in caso che dalle urne non dovesse uscire una forte maggioranza, come accaduto alle elezioni del 2006.

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« Risposta #118 inserito:: Marzo 30, 2008, 04:02:31 pm »

«Il partito democratico è un grande partito del lavoro»

Veltroni: «Serve nuovo patto sociale»

Il candidato premier del Pd a Brescia: «Necessario far tornare l'Italia a crescere»

 
BRESCIA - «Un nuovo patto sociale per l'Italia». A evocarlo è il candidato premier del Pd Walter Veltroni. Dal palco della Conferenza operaia del Pd a Brescia l'ex sindaco di Roma ha spiegato come sia necessario far tornare a «crescere» il nostro Paese sia sotto il profilo economico sia sotto quello sociale. Il Partito democratico è «un nuovo partito la cui identità risiede nell'essere un grande partito del lavoro italiano» ha anche aggiunto Veltroni.

LO SLOGAN? "LO STIAMO FACENDO" - A Brescia Veltroni è tornato sul tema dei salari («Aumentare gli stipendi è la prima emergenza nazionale» ha affermato il leader del Pd) e su quello della sicurezza («L'Italia nuova è l'Italia che sfonda sul valore della sicurezza» ha sottolineato).Lo slogan del Pd, ha sottolineato poi il numero uno del Partito democratico a Brescia, «si trasforma»: «Ora è diventato "lo stiamo facendo" e lo stiamo facendo tutti insieme e non più si può cambiare».

«BASTA CON QUESTI GIOVANI OSTAGGIO DELLA PAURA» - A Brescia Veltroni ha anche affrontato il tema della precarietà, ricordando l'operaio della Thyssen di Torino che si è suicidato a 39 anni, lasciando moglie e figli perché perdendo il lavoro aveva «perso anche la dignità». Dopo aver poi parlato dei lavoratori cinquantenni che vanno aiutati «non solo attraverso la formazione ma anche occupandoli nei sistemi sociali», Veltroni ha affrontato il tema della precarietà giovanile. Leggendo la lettera di una ragazza di 28 anni con alle spalle diverse esperienze di termine, quando di 3, quando di 6 mesi, ha fatto notare le righe in cui la donna parlava dell'impossibilità di formare una famiglia, della necessità di appoggiarsi ancora ai genitori e della continua insicurezza con cui ormai convive. «Basta con questi giovani ostaggio della paura - ha scandito Veltroni -, noi dobbiamo essere quella politica che cercherà di fronteggiare tutto questo e di chiudere con tutto questo».

SOSTEGNO DI ZAPATERO - A Brescia il numero uno del Pd ha anche incassato il sostegno del premier spagnolo Zapatero. «Caro Walter, hai l'appoggio di Zapatero e degli spagnoli» ha dichiarato Jesus Caldera, ministro del Lavoro spagnolo intervenendo alla Conferenza operaia del PD. «Qualche settimana fa - ha esordito Caldera - l'Italia guardava con speranza alle elezioni spagnole. Oggi è la Spagna che guarda con speranza all'Italia e al Partito Democratico: porto tutto il sostegno, con il nostro cuore e le nostre possibilità, al Partito Democratico. Così mi ha chiesto Zapataro e così faccio».


29 marzo 2008

da corriere.it
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« Risposta #119 inserito:: Marzo 31, 2008, 12:38:00 am »

Walter Veltroni: «L’Italia vuole speranza non paura»

Bruno Miserendino


«La partita è assolutamente aperta, con ottime possibilità di vittoria». È ottimista Walter Veltroni a due settimane dal voto. E in questa intervista a l’Unità ne spiega le ragioni e fa il punto del suo viaggio per l’Italia. «Ovunque - spiega il segretario e candidato premier del Pd - ho visto persone che vogliono un grande cambiamento. Il Pd interpreta questo sentimento, mentre la destra è prigioniera del demone del passato». La campagna del Pd - aggiunge Veltroni - ha cercato di sostituire le speranze alla paura. «Abbiamo parlato di problemi seri e concreti come i salari, le pensioni, la precarietà, la sicurezza, la casa, con proposte chiare». E il cambiamento è anche un fatto generazionale: «Se si guarda l’età media di chi fa il premier in Europa si vedono persone che hanno la mia età».

«Una settimana fa avrei detto che la partita è aperta, adesso dico che la partita è più che mai aperta. Sono assolutamente ottimista. Sono loro che parlano di pareggio...»
Prima di andare alla conferenza operaia di Brescia, davanti a migliaia di lavoratori e di sindacalisti, Veltroni fa colazione in uno storico albergo dal nome bene augurante (Vittoria), e si vede che ha un’aria soddisfatta. Sondaggi? Ormai non si possono più rendere noti, però è chiaro che sente il Pd di nuovo in crescita e la famosa forbice che si accorcia.

Veltroni, oggi il d-day vede il ritorno in piazza del popolo delle primarie. Cosa vi aspettate da questa mobilitazione e che umori percepite?
«Mi pare che si stia progressivamente apprezzando il fatto che a partire da quel 14 ottobre delle primarie molte cose in questo paese sono cambiate e se si esamina la vita politica italiana prima e dopo quella data, si vede che questa mutazione dipende in gran parte dalla novità costituita dalle idee, dai contenuti e dai programmi del partito democratico. Il 14 ottobre fu un risultato inaspettato, come quasi tutto in questo nostro paese, non se l’aspettavano la politica, i media, i sondaggisti. In quella partecipazione c’era la volontà di imprimere un’accelerazione a un processo che si avvertiva come essenziale per lo sblocco della democrazia italiana. C’era una presa in carico dei destini del paese, una risposta all’antipolitica, una sfida razionale di innovazione. Il 14 aprile saranno passati sei mesi, e la mia grande gioia è vedere che in meno di mezzo anno si è fatta l’identità di un partito: valori, idee, programmi, energie nuove. Pensiamo ai giovani che parlano nelle nostre manifestazioni. Da questa giornata di mobilitazione mi aspetto che parta un’altra grande spinta di protagonismo e di innovazione. Protagonismo diffuso, non la politica come mestiere, per addetti ai lavori, ma esperienza civile, passione. Se questo messaggio riparte dai 3 milioni e mezzo delle primarie può davvero diventare l’onda che travolge».

Chi sono gli indecisi? I delusi del centrosinistra, i tentati dall'antipolitica?
«No, secondo me sono più elettori di centrodestra. Lo dicono i dati. Man mano che noi cresciamo scendono gli indecisi, o viceversa».

Però il dato del Pdl non si erode.
«Si erode ogni settimana. E comunque io mi sono fatto portare i sondaggi del 2006 a 15 giorni dal voto. Erano proprio come adesso, poi si sa come è andata».

Ci fu la promessa di Berlusconi di togliere l’Ici, che conquistò una bella fetta di indecisi, qualche errore di comunicazione del centrosinistra...
«Secondo me già allora, 15 giorni prima del voto, le cose non stavano come dicevano i sondaggi. Credo che non avessero percepito del tutto il flusso elettorale, lo spostamento degli elettori. Ora come ora posso solo dire che la situazione, a parti invertite, è molto migliore di allora. Quindi la partita è assolutamente aperta, con ottime possibilità di vittoria».

Ma intanto si parla solo di pareggio.
«Ma ne parlano loro, che erano partiti con l’idea di una vittoria a mani basse, e già questo indica una difficoltà obiettiva. E d’altra parte in queste settimane quale idea è venuta dalla Destra per l’Italia? Non c’è una proposta innovativa, i nomi dei ministri sono gli stessi del '94, i toni sono quelli di sempre, sui temi concreti non hanno detto nulla, e quando l’hanno fatto si sono divisi. Ogni giorno c’è la ripetizione di un copione logoro, non riescono a trovare nei nostri confronti un punto d’attacco, perchè nessuno dei loro argomenti sembra pagare».

Nemmeno su Alitalia? Berlusconi è entrato a gamba tesa nella vicenda, ma a volte, a sinistra, si ha l’impressione che non paghi mai dazio per le cose che fa o dice.
«Io penso che come noi ci siamo liberati dal fantasma di Berlusconi, se ne deve liberare anche una parte del mondo degli osservatori. Sull’Alitalia la gente pensa che c’è una gran confusione. Pensa che c’è una trattativa seria in corso, e che improvvisamente è arrivata una proposta strumentale e vaga».

A proposito, sulla vicenda Alitalia, dove sono finiti i liberal di questo paese?
«In effetti non si sentono. Ma singolare non è solo quel che si dice o accade sulla vicenda Alitalia, è complessivamente singolare la proposta di politica economica della Destra: l’idea di chiamare l’Eni per acquistare la compagnia di bandiera, la politica dei dazi di Bossi e Tremonti, l’idea di far acquistare Alitalia con una cordata con i figli dell’aspirante premier, previo prestito ponte dello Stato, vale a dire una forma di utilizzo di soldi pubblici a fini privati. Vedo un silenzio imbarazzato di tanti che hanno paura di dire quello che pensano. Questo è un problema del paese. Noi abbiamo bisogno del ritorno di una cultura critica non fondata sul principio, anche quello stanco, dell’equidistanza. Anche questo atteggiamento lo considero parte di un tempo che si va esaurendo».

Magari un confronto televisivo potrebbe aiutare a capire. L’impressione è che non ci sarà, e nel frattempo Berlusconi mantiene il predominio assoluto nella comunicazione televisiva. Quanto pesa questo squilibrio?
«Conta, certo, ma qualunque sia il risultato, non invocherò lo squilibrio come alibi. Io credo che questo non sia un paese di spettatori, ma di cittadini, interessati alla soluzione dei problemi, quelli loro e dei loro figli, non a chi vince il Grande Fratello. Non ho solo il dovere di avere fiducia, ma ho ragione di avere fiducia nei cittadini. Gli italiani nei momenti cruciali hanno sempre mostrato una grande voglia di innovazione. Il nostro mondo si attarda in una concezione un po’ piagnona, sempre difensiva. Secondo me sbaglia e credo sia stata una delle cause della perdita di relazione tra il mondo del centrosinistra e la società italiana».

Lo squilibrio lo certifica l’Authority.
«Certo che c’è, ma penso che gli italiani siano più saggi e avranno la forza di rispondere a una crisi profonda, indicando una soluzione alternativa di tipo europea».

Se il risultato non dovesse garantire la governabilità, cosa bisognerebbe fare?
«Chi vince governa e se la situazione fosse di assoluto equilibrio, insieme si devono rapidamente approvare le riforme indispensabili. Chi governa capisce che la sua sopravvivenza è legata al senso di responsabilità dell’opposizione. Ma credo che alla gente il dibattito su pareggi e alleanze interessi fino a un certo punto. Ai cittadini interessa avere un sistema governabile. Se non c’è la colpa è della Destra, che ha fatto prevalere gli interessi particolari su quelli generali. Credo che in quel passaggio, nello schieramento a noi avverso, si siano consumati errori gravi. Anche il Centro ha sbagliato. Se Casini avesse rotto allora, invece di farsi mettere alla porta dopo, probabilmente oggi la situazione sarebbe diversa. La realtà è che il tema delle riforme istituzionali sovrasta il paese e non si potrà eludere».

Berlusconi dice che vi state accordando con la sinistra radicale per tornare insieme o per fare accordi elettorali in alcune regioni.
«Non so di che parla».

Casini verrà riattratto nell’orbita della Destra?
«Dopo quello che è successo mi pare molto difficile. Sta facendo una scommessa difficile e coraggiosa che avrebbe dovuto fare prima, ma penso che sia a un punto di non ritorno».

Col pullman ha visitato più di 80 delle 110 province. Che idea si è fatta dell’Italia girandola in lungo e in largo?
«Ho visto una forte domanda d’innovazione, che certo si presenta con molti linguaggi, con sentimenti diversi, però c’è. E questo grande desiderio di cambiamento non può essere interpretato dalla Destra. Se in questi 15 giorni noi riusciremo a farlo capire a tante altre persone, il paese sceglierà di uscire dal collo dell’imbuto. L’Italia, per come sta, non può affidarsi a un governicchio. Ha bisogno di un ciclo politico lungo, di un cambio generazionale. Se si va a guardare l’età media di chi fa il premier in Europa, si vedono persone che hanno più o meno i miei anni. E non per caso. Perché chi si mette a governare deve poter fare questo passaggio brusco, radicale, impegnativo».

Dicono che Berlusconi non ha voglia di governare, ma solo di vincere.
«Mostra una grande stanchezza, personale e politica. Si capisce dai nomi che propone come ministri. Bossi, quello della riforma della Costituzione bocciata dagli italiani, Tremonti, l’emblema della crescita zero, ora si parla anche di Calderoli... Ma vedo anche una stanchezza personale. Tutte queste affermazioni: faccio un sacrificio, chi me lo fa fare, tradiscono non solo un’idea bizzarra del rapporto con le istituzioni, ma anche difficoltà personale. Invece credo che il paese abbia apprezzato la nostra scelta di fare una campagna elettorale con un tono di voce fermo, ma sereno. Abbiamo cercato di sostituire le speranze alle paure, e abbiamo parlato di una serie problemi seri e concreti: le pensioni, i salari, la precarietà, la sicurezza sul lavoro. Stamattina (ieri ndr) alla conferenza operaia parlerò del tema casa, annunciando un grande piano di vendita di tutti gli immobili delle case popolari agli inquilini, per poter fare coi proventi di questa vendita la costruzione di nuovi alloggi e alleviare il problema dell’affitto».

La cosa più sgradevole di questa campagna elettorale?
«Il fatto che la Destra non riesce a liberarsi del demone del passato. Sono sempre uguali a loro stessi. Noi abbiamo fatto un’operazione molto rischiosa, in politica non capita facilmente che in una situazione di obiettiva difficoltà, si rinunci al 7-8% dei voti. Si poteva immaginare che determinasse varie reazioni, invece la reazione è quella che vede chi ha seguito il cammino nelle piazze d’Italia. Una comprensione della scelta, una straordinaria partecipazione, come non si vedeva da tantissimi anni, e tanti giovani. È successo questo perché il paese sente il bisogno di una sfida di innovazione, carica di valori e di proposte, che porti l’Italia in sintonia con la storia della democrazia europea».

È iniziato un curioso dibattito sulla soglia del successo, al di sotto della quale si scatenerebbe il finimondo nel Pd.
«È iniziato su qualche giornale. Ed è finito. Non ci sono soglie, ci sarà solo da registrare che c’è un partito nuovo, anzi la più grande forza riformista che la storia politica italiana avrà conosciuto».

Qualcuno dice che sarebbe l’ora di tirare fuori le unghie, di rinfacciare alla Destra i suoi insuccessi. Naturalmente lei non è d’accordo.
«Assolutamente no, non voglio farmi trascinare nello stereotipo delle campagne elettorali precedenti. Secondo me non c’è bisogno di ricordare alla nostra gente e a tutti gli elettori che se c’è un voto che può evitare al paese di finire in questo vecchio impasto di populismo, questo è il voto al partito democratico. Non ho bisogno di alzare i toni per farlo capire. Abbiamo fatto una campagna elettorale di proposte e di valori. La frase che abbiamo detto in Calabria contro le mafie, non è mai stata detta in questi termini nella vita politica italiana. Mi aspetto che venga detta da altri. Bisogna dare al paese un messaggio nuovo, Dio ci scampi dalla riedizione del vecchio film. La gente è esausta tanto quanto quel film».

La vedo ottimista...
«Secondo me la gente è stufa. Per quanto ci riguarda, la novità della nostra campagna elettorale è che abbiamo parlato più degli italiani che della politica, che mai come adesso è sembrata lontana e fredda dalla vita reale dei cittadini. Noi abbiamo pensato ai disagi reali degli italiani. Lo capisco dai ragazzi precari che mi fermano, che vedono in noi il partito che cercherà di risanare la più grande e lacerante ferita del nostro tempo. È un modo di fare politica antico e nuovo, che non sta dentro il recinto piccolo e affollato dal quale la Destra non riesce a uscire».

È un messaggio che riesce ad arrivare all’Italia profonda?
«Ogni campagna elettorale è la scansione di un’epoca. L’Italia è arrivata a un bivio molto delicato, perché i suoi fattori di debolezza legati alle vicende internazionali possono davvero spingerla verso un declino, mentre c’è tanto talento, una tale voglia di fare, tale intelligenza diffusa, che credo questo paese possa trovare il modo di uscire dal collo della bottiglia. Per questo batto sempre su un tasto: noi vogliamo aprire un ciclo lungo di cambiamento radicale, e la differenza tra noi e la Destra è proprio qui. Il cambiamento radicale dell’Italia, persino della sua cultura diffusa, del suo senso comune, è un’opera che merita impegno, passione e il tempo naturale per essere realizzato. Qualsiasi soluzione a breve sarebbe per il paese un suicidio. Nella nostra proposta vedo la risposta a una grande questione nazionale, la costruzione di un’identità condivisa che è fatta non solo di memoria ma anche di soggettività attiva».

Gli applausi più forti li prende sempre quando parla di costi della politica. Lei ha detto che non ci possono essere i salari più bassi d’Europa e gli stipendi dei parlamentari più alti d’Europa. Farete una proposta precisa?
«Noi presenteremo delle proposte sulla riduzione dei costi della politica, che sono il contrario dell’antipolitica. Sono idee per una politica sobria, nuova, europea e occidentale, che non gonfi se stessa fino a scoppiare, in sintonia con un paese che deve tirare la cinghia. Su questi assi ispiratori stiamo disegnando una soluzione che ridia fiducia al paese e velocità alla politica».

Oggi l’Unità sarà diffusa in tutti i luoghi del D-Day. Che rapporto vede nel futuro tra il giornale e il Pd?
«L’Unità, anche in una situazione come questa dimostra la sua essenzialità, la sua utilità. Il giornale deve mantenere la sua ispirazione e la sua tradizionale autonomia. Dopo le elezioni avvieremo insieme un discorso sulla riorganizzazione complessiva di tutto il sistema della comunicazione del Pd. Un grande partito come noi siamo e saremo deve fare una riflessione moderna su tutti gli strumenti disponibili, ma è chiaro che in ogni caso il ruolo del giornale in questo contesto sarà essenziale».

Pubblicato il: 30.03.08
Modificato il: 30.03.08 alle ore 8.43   
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