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Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 108414 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Dicembre 21, 2007, 06:56:00 pm »

Dietro le quinte. L'accerchiamento dell'Unione al segretario

Walter: non mi cuocerete a fuoco lento

Da D'Alema paletti sul voto: 2009? C'è il G8.

Fioroni: nel Pd la mia corrente resta


ROMA — «Guardate che io non mi faccio bruciare a fuoco lento»: è una frase che Walter Veltroni è costretto a ripetere sempre più spesso negli ultimi tempi. Da quando ha capito che di alleati, nell'Unione, e nel suo stesso partito, ne ha pochini, e che a prendere le sue difese (come è accaduto ieri) sono il forzista Sandro Bondi e il braccio destro del Cavaliere, Gianni Letta. Certo, la confusione del centrosinistra non aiuta il leader del Pd. La situazione è tale che Romano Prodi non esclude di rinviare il vertice di maggioranza del 10 gennaio, perché tenere quell'incontro per ottenere una bella rissa di tutti contro tutti sarebbe quanto meno inopportuno. Ma è Veltroni nel mirino, in questo momento. C'è Massimo D'Alema che insiste sul sistema tedesco in un'intervista a Vanity Fair e mette in guardia Veltroni dal fare una legge elettorale su misura di Pd e Forza Italia. Uno stop vero e proprio. E c'è chi, a sinistra, sta dando dell'inciucista al capo del Partito Democratico che si confronta con Berlusconi. «Ma non sono io a fare gli inciuci — è il ragionamento del sindaco di Roma — Semmai il sistema tedesco è un inciucio che rischia di riportarci indietro ai tempi del pentapartito ».

Insomma, nessuno sembra disposto a fare sconti al leader del Pd. Tanto meno D'Alema. E quando qualche amico di Veltroni gli ha chiesto il perché di tanta insistenza il ministro degli Esteri, infastidito, ha risposto così: «Che dovrei fare, secondo voi, stare lontano dal suolo patrio e occuparmi d'altro? ». D'altro il titolare della Farnesina effettivamente si occupa ma non sembra voler abbandonare il campo del Pd a Veltroni. Per esempio, non è una novità per nessuno, che il sindaco di Roma voglia andare a votare presto. Ed ecco D'Alema spiegare ai compagni di partito che «non si può sciogliere la legislatura nel 2009 perché allora l'Italia avrà la presidenza del G8» e che, perciò, «il governo durerà fino al 2011». Un lasso di tempo che chi non vuole «farsi bruciare a fuoco lento non può permettersi». Eppure sembrava essere stato proprio D'Alema a lanciare la candidatura di Veltroni.

Ma adesso qualcuno si ricorda quel che andava dicendo Clemente Mastella all'epoca: «Massimo è arrabbiatissimo con Walter perché i patti erano altri». Forse quelli di dare un segretario tipo Dario Franceschini al Pd e di candidare come premier di un futuro non prossimo Veltroni? Chissà. Ma il fatto è che non c'è solo D'Alema a complicare la vita del sindaco di Roma, il quale continua a ripetere che non intende «polemizzare o aprire le ostilità » nei confronti del titolare della Farnesina. C'è anche, tanto per fare un nome, Piero Fassino. I fassiniani si sono incontrati in gran segreto l'altro giorno. Il sindaco di Roma è venuto a saperlo e ha subito chiamato uno dei partecipanti a quell'incontro, l'ex responsabile organizzativo dei Ds Andrea Orlando, per chiedergli conto di quell'iniziativa. Poi c'è chi rivela fiero: «La mia corrente non l'ha mai sciolta ». Trattasi di Beppe Fioroni: «Hanno voluto chiamare aderenti gli iscritti e convention i congressi — ironizza il ministro dell'Istruzione — ma tanto sono la stessa cosa». E certo non fa parte degli amici di Veltroni chi sta spingendo in questo momento perché il Congresso del Pd si tenga prima delle europee del 2009. Dalla sua, il sindaco di Roma, oltre a Letta e Bondi, ha — almeno finora — solo Bertinotti. Il presidente della Camera teme il referendum e vuole fare assolutamente una legge elettorale con l'idea che nella prossima legislatura una grande sinistra potrà nascere solo all'opposizione. Potrebbe Rifondazione staccare la spina al governo nel caso in cui la Corte ammettesse i referendum? Forse. E questo, per Veltroni, sarebbe un modo per «non cuocere a fuoco lento».

Maria Teresa Meli
20 dicembre 2007(ultima modifica: 21 dicembre 2007)

da corriere.it
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« Risposta #91 inserito:: Dicembre 27, 2007, 10:53:12 am »

27/12/2007
 
Sui gay Binetti sbaglia
 
WALTER VELTRONI

 
Caro Direttore,

va riconosciuto al Suo giornale il merito di prestare una particolare attenzione al tema dei diritti civili e di promuovere sull’argomento un confronto non rituale tra opinioni diverse.

In particolare, nei giorni scorsi, ha suscitato scalpore la riproposizione, da parte della senatrice Binetti, della tesi che considera l’omosessualità come una malattia, in quanto tale meritevole solo di essere curata. Si tratta, a mio modo di vedere, di una tesi sbagliata e pericolosa. È una tesi sbagliata perché l’omosessualità è una condizione umana, che non ha senso alcuno ridurre a una patologia e che deve essere rispettata in quanto tale. Ma è anche una tesi pericolosa, perché induce, o almeno asseconda, il misconoscimento dei diritti delle persone omosessuali di condurre una vita normale, senza subire discriminazioni sociali o addirittura, come purtroppo capita ancora con preoccupante frequenza, soprattutto nei riguardi dei più giovani, atti di persecuzione e di violenza, fisica e psicologica.

Nella campagna elettorale per l’elezione diretta del segretario del Pd ho preso pubblicamente un impegno che intendo onorare. Ho detto che il Partito democratico lavorerà, in Parlamento e nel Paese, per contrastare, con la legge, con le buone pratiche amministrative, con l’impegno culturale e civile, ogni forma di intolleranza e discriminazione, tanto più se violenta, correlata con l’orientamento sessuale delle persone. Il primo impegno è il sostegno in Parlamento al disegno di legge del governo contro la violenza sessuale, nel testo di larga convergenza approvato dalla Commissione Giustizia della Camera.

Allo stesso modo, il Partito democratico lavorerà per dare seguito al preciso impegno assunto nel 2006 da tutta l’Unione davanti agli elettori: il riconoscimento con legge nazionale dei diritti delle persone che vivono nelle unioni di fatto, indipendentemente dal loro orientamento sessuale. In Senato sono all’esame della Commissione Giustizia numerose proposte. I senatori del Pd sono impegnati a costruire il consenso più ampio possibile attorno a un testo che segni un deciso passo in avanti. Penso infatti che il Paese possa e debba unirsi e non dividersi su temi così decisivi per la nostra convivenza civile e che in quanto tali non possono andare soggetti al variare delle maggioranze di governo.
 
da lastampa.it
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« Risposta #92 inserito:: Dicembre 29, 2007, 06:06:12 pm »

Veltroni: «L'attuale governo condizione per le riforme»

Bruno Miserendino


Veltroni ricorda che lui l'ha sempre detto e sostenuto. Però a scanso di equivoci, lo ribadisce: «La condizione migliore» per le riforme è che il governo Prodi resti in piedi. Lo dice nel tardo pomeriggio in una nota di poche righe che ha il chiaro obiettivo di stoppare qualche illazione e soprattutto le manovre di Lamberto Dini. Insomma, se qualcuno conta nella sponda del Pd per affossare Prodi, ha sbagliato i calcoli. «Il Pd come ha ripetuto e come ha dimostrato in questi mesi - dice Veltroni rispondendo a una domanda dell'Ansa - è perché il governo arrivi alla conclusione della legislatura. La permanenza del governo Prodi, come abbiamo affermato costantemente, è la condizione migliore per affrontare la necessità di dare al paese la riforma elettorale, quella delle istituzioni e dei regolamenti parlamentari». «Per il Pd - conclude Veltroni - non esistono alternative a questo obiettivo». Il messaggio, come si vede, è rivolto a tutti, compreso lo stesso Prodi.

La parte sulle riforme del discorso di fine anno del premier non ha entusiasmato il leader del Pd, perché l'obiettivo di una nuova legge elettorale è sembrato vago e troppo assoggettato ai veti dei piccoli partiti. Veltroni torna quindi a dire al premier che un orizzonte di riforme in questo anno è non solo una necessità per il paese ma anche un'opportunità per lo stesso governo. Al loft lo definiscono un invito al premier a «crederci», a non giocare in difesa, cullandosi nell'idea che il dialogo con Berlusconi non porta da nessuna parte e che quindi quel che conta è preservare la vita dell'esecutivo. Marini e Bertinotti, ieri, hanno anche loro ribadito l'urgenza assoluta delle riforme, e soprattutto il presidente della Camera è sembrato toccare tasti cari a Veltroni. Bertinotti, rispetto a quando disse che il governo aveva finito la sua missione, dà ora una possibilità all'esecutivo: «La chance è di andare a un adeguamento programmatico che sia in grado di affrontare i grandi problemi del paese, quelli che segnano la sua difficoltà». Sul tema salari le convergenze ci saranno perché sia Prodi, sia Rifondazione, che il Pd concordano. Quindi la verifica non sarà impossibile. Ma Bertinotti rilancia anche sul tema delle riforme. «Il punto irrinviabile - dice il presidente della Camera è una nuova legge elettorale e una riforma costituzionale mirata al superamento del sistema bicamerale e a una modifica dei regolamenti». Aggiunta: «Una stagione di riforme brevi che deve però essere fatta rapidissimamente se non si vuole consumare una crisi drammatica delle istituzioni».

È questo il punto su cui la sintonia con Prodi non sembra completa. Nel Pd il dilemma viene descritto così: non ci saranno riforme senza il governo Prodi, ma nemmeno l'esecutivo reggerà a lungo senza riforme. Forse, spiegano nel Pd, nel premier e nei piccoli si è fatta strada la convinzione che l'intesa sulla legge elettorale non ci sarà e che comunque piuttosto una riforma antiframmentazione è persino meglio il referendum. Ma questa strada, ribadiscono, non porta lontano.

È chiaro che in queste ore la maggioranza sta facendo un estremo tentativo per puntellare Prodi e arginare le manovre di Lamberto Dini. Mastella e l'Udeur avvertono il senatore ribelle che se qualcuno gli ha promesso il posto di presidente del Senato ha sbagliato di grosso. Altri ricordano che se ci sarà un altro governo in questa legislatura non ne farà parte Dini. Resta il fatto che al momento persino Berlusconi, che insieme a Letta tratta direttamente con Dini, è in dubbio se presentare una mozione di sfiducia contro il governo. Perché allo stato attuale con Dini c'è solo Scalera e quindi i numeri non gli dànno la certezza della spallata.

Ma cosa accadrà se in un voto in cui il governo porrà la fiducia, Prodi andrà sotto? Qui gli scenari sono molti e diversi tra loro. Intanto entra in gioco il ruolo del capo dello stato, il cui punto di vista è per forza di cose e oggettivamente diverso da quello del premier. L'affermazione di Prodi secondo cui alla camera l'Unione ha una maggioranza cospicua e difficilmente un governo istituzionale troverebbe il consenso necessario, per il Quirinale lascia il tempo che trova. Se ci sarà una crisi, dovranno essere le forze politiche a spiegare al Quirinale che non sono disponibili ad alcun tentativo alternativo. Di sicuro Napolitano, supportato da Marini e Bertinotti, farà ogni sforzo perché non si vada a votare con questa legge. Alle viste, anche per il Quirinale, non c'è alcun governo di larghe intese, eventualmente fattibile solo dopo nuove elezioni. Però bisognerà tener conto che tutta una serie di forze e personalità istituzionali sono per fare una riforma elettorale. È chiaro che Veltroni non può gestire un accordo di governo con Berlusconi. L'unica subordinata possibile, concessa a denti stretti, è un governo a tempo per cambiare la legge elettorale. Ma per fare una riforma vera, altrimenti non vale la pena. Si tratta di aspettare.


Pubblicato il: 29.12.07
Modificato il: 29.12.07 alle ore 17.14   
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« Risposta #93 inserito:: Gennaio 05, 2008, 12:31:03 am »

POLITICA

Irritazione di Veltroni per i giudizi di D'Alema

Un nuovo capitolo della contesa in corso da quasi 15 anni

"Assurdo dire che sono impazzito"

Tra Walter e Massimo si riapre il duello

Colloquio telefonico tra il premier e il ministro degli Esteri

Prodi ai leader del partito: "Dove vanno, la trattativa deve proseguire"

di CLAUDIO TITO

 
"Non credevo potesse arrivare a tanto". Che l'intervista di Dario Franceschini rischiasse di provocare delle reazioni anche crude, un po' tutti l'avevano previsto. A cominciare dal vice segretario del Pd.

Ma i giudizi tanto taglienti di Massimo D'Alema, Walter Veltroni invece non li aveva messi nel conto. "Ci eravamo parlati, credevo che ci fossimo chiariti - si è lasciato andare con i suoi -. Ma se poi deve arrivare a sospettare che sono "impazzito", allora cambia tutto".

Sembra di tornare al '94. All'antico duello tra Massimo e Walter. Alla guerra dei fax. Alla contesa per la segreteria dell'allora Pds. Sono passati quasi 14 anni, eppure i toni tra i due non cambiano. La situazione, certo, adesso è diversa. Il centrosinistra è al governo, il Pd è ufficialmente nato. Ma le loro prospettive politiche continuano a indicare percorsi diversi. Stavolta è la riforma elettorale a segnare il passaggio decisivo.

Non è un caso che il capo del Pd sia furibondo. E che il vicepremier non sia da meno. E con lui anche il presidente del Consiglio. "Un accordo c'era e non era quello di riproporre il doppio turno", è l'accusa mossa dal ministro degli Esteri. Per D'Alema, il confronto sulla proporzionale è l'unica possibilità per arrivare ad un'intesa bipartisan. Per sciogliere al Senato tutti i nodi emersi nella commissione presieduta da Enzo Bianco. "Con Berlusconi - ricorda con il suo staff - ho già discusso di presidenzialismo, ma non mi pare che sia stato conseguente". Tra i "dalemiani", però, la paura principale è che il confronto sulle riforme possa abbattersi sul governo. "Hanno capito quali effetti ci saranno sulla maggioranza?", è l'interrogativo del vicepremier. Dinanzi alla "paralisi" - è il loro sospetto - il referendum si ripresenterebbe come l'unica chance per modificare il "porcellum".

Ma anche come il grimaldello per far saltare l'Unione. Irritare i "piccoli" partiti, a cominciare da Rifondazione comunista, che vedrebbero dissolvere la sopravvivenza prossima ventura. E quindi optare per l'extrema ratio delle elezioni anticipate. Non è un caso, infatti, che pure Prodi non abbia per niente apprezzato l'uscita del numero due democratico. "Dove vogliono arrivare? Perché tornare indietro? - si è chiesto ieri con alcuni dei "big" del centrosinistra - . La trattativa deve proseguire, è un dovere dei partiti. Altrimenti è il governo a rischiare. Arriveremmo al referendum con un'alleanza esplosa. Gli alleati si sentiranno costretti ad alzare la voce. E' questo il loro obiettivo?". Il Professore ne ha parlato al telefono con il ministro degli Esteri. L'annuncio di accelerare la verifica, di convocare la prossima settimana i vertici della coalizione, scaturisce anche da questo colloquio. "Io - assicura il premier ai suoi - non resterò spettatore".

Tutto, però, ruota intorno al braccio di ferro tra "Massimo e Walter". Come nel 1994. Come nel 1998, quando Veltroni era il vicepremier e D'Alema segretario del partito. A parti invertite, dunque. L'inquilino di Piazza Santa Anastasia si sente "tradito" dalla reazione dalemiana. A tutti ricorda il "patto" stretto nella notte del 2 dicembre. Il "caminetto" del Pd riunito nella nuova sede per dare il via libera al dialogo con Silvio Berlusconi. E il verde si accese proprio sulle stesse basi - è l'accusa di Veltroni - illustrate l'altro ieri da Franceschini ed esposte direttamente al Cavaliere. "Le trattative, però, avrei dovuto condurle io, senza intrusioni". Quel "patto", ora, si è frantumato. Anche perché per i "veltroniani", l'oggetto della discussione non è affatto la continuità di azione del Professore e del suo esecutivo. Ma la difesa dell'assetto bipolare. "Abbiamo bisogno - ripeteva ieri Franceschini - di un modello che faccia scegliere alla gente il governo. Dopo 5 anni gli elettori potranno decidere se mantenere o no quel governo. La risposta di Massimo è inspiegabile". Per i "veltroniani", quindi, il "vassallum" è l'ultima mediazione possibile in quel senso. Il rilancio del vice di Veltroni era tatticamente rivolto a farlo capire. Tracimare nella legge proporzionale di tipo tedesco, invece, significherebbe "ritornare al passato" e immaginare permanenti "larghe intese" e "consociativismi". La ricostituzione di un asse tra la sinistra e il centro, con la modificazione genetica del neonato partito democratico. "E probabilmente - dice Stefano Ceccanti, costituzionalista vicino al segretario Pd - Casini ha iniziato a spiegare che la "cosa centrista" non decolla se non c'è la garanzia di arrivare alla legge tedesca". Appunti che i dalemiani rispediscono al mittente. "L'accordo - ripete Nicola Latorre - non era questo. La linea del Pd l'abbiamo concordata su input proprio del segretario che ci ha proposto una legge proporzionale senza premio di maggioranza. Noi andremo avanti cercando di adottare in commissione al Senato il testo base". Quello che secondo Silvio Berlusconi è "accettabile" se il governo terrà e se non verrà inserito il capitolo delle riforme costituzionali. "Era chiaro - insiste Latorre - che la mossa di Franceschini sarebbe poi stata letta come una guerra civile tra Massimo e Walter. E questo è un errore. Come è un errore ripassare dal punto di partenza mettendo a rischio il quadro politico. E quindi anche il governo". A meno che la prossima settimana, quando il "caminetto" potrebbe riunirsi nuovamente prima della verifica, i capi del Pd non riescano a ridefinire una rotta condivisa.

(4 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #94 inserito:: Gennaio 05, 2008, 06:28:08 pm »

POLITICA

Veltroni: presidenzialismo in due fasi. E la 194 non si tocca

"Per il nostro partito c'è una frontiera invalicabile: il bipolarismo"

"No a chi vuole il sistema tedesco e sogna la Grande Coalizione"

"Non esiste quel vasto consenso sul proporzionale della Germania di cui si parla.

Non lo vogliono Fi, An e vari 'piccoli'

di MASSIMO GIANNINI

 
"SIAMO a un passo da un traguardo che può essere storico per il Paese, si tratta solo di superare le divisioni, e di fare l'ultimo miglio". Aveva detto che il 2008 sarebbe stato l'anno delle riforme. E ora, alla vigilia della verifica di maggioranza e nonostante le polemiche sulla legge elettorale, Walter Veltroni è ancora convinto di farcela. Ma il leader del Pd detta le sue condizioni: no a un accordo a qualunque costo, sì a un sistema misto che salvi il bipolarismo. E a quelli che nel Pd puntano dritto al sistema tedesco, lancia un altolà: "Hanno in mente la Grande Coalizione: ma questo non è e non sarà mai il progetto del Pd".

Sindaco Veltroni, diciamolo: sulle riforme le premesse non sono un granché buone, non crede?
"Non sono d'accordo. Facciamo un primo bilancio: nei quattro mesi successivi alla nascita del Partito democratico abbiamo ricostruito il dialogo tra i poli, abbiamo creato le condizioni per il passaggio a un sistema elettorale in senso proporzionale e bipolare che favorisca maggioranze coese, e si è fatta strada l'idea della vocazione maggioritaria del Pd. A questo punto, lancio un appello a tutte le forze politiche, perché abbiano lo stesso coraggio. Siamo a un passo da un svolta storica per il nostro Paese. Ascoltiamo l'invito del presidente Napolitano: usiamo il tempo che abbiamo davanti per fare la più grande innovazione politico-istituzionale dopo la Costituzione del '48. C'è alla Camera un pacchetto da approvare: le riforme istituzionali, con la riduzione dei parlamentari, l'introduzione di una sola camera legislativa e il rafforzamento dei poteri del premier, e poi la riforma dei regolamenti e della legge elettorale. In un anno possiamo cambiare radicalmente il futuro del Paese. E un'occasione che non possiamo lasciarci sfuggire. Il Paese non ce lo perdonerebbe".

Sul modello elettorale c'è un discreto caos. L'Unione marcia sul sistema tedesco, lei e Franceschini rilanciate il sistema francese. Non sono messaggi contraddittori?
"Io vedo due resistenze. La prima è quella di chi, come l'Udc, dice "o così o niente" e sostiene che il sistema tedesco va preso com'è. La seconda è quella dei partiti minori, contrari allo sbarramento...".

Il denominatore comune è che sul proporzionale alla tedesca c'è un consenso trasversale, su altre formule no.
"Attenzione, un accordo possibile sul sistema tedesco, allo stato attuale, non c'è. Non lo vogliono Forza Italia e An, non lo vogliono i partiti minori. Non creiamo nel Paese un'aspettativa alla quale poi non corrispondano risultati reali. Le faccio un esempio. Immaginiamo di applicare il sistema tedesco, e supponiamo che alle prossime elezioni il Pd prenda il 32% e la sinistra radicale il 9%. Per arrivare a una maggioranza, dovremmo fare un accordo al centro: saremmo al paradosso di avere uno schieramento che va non più solo da Bertinotti a Mastella, ma si estende da Bertinotti a Casini. Mi spiega lei come facciamo a governare, con coalizioni persino più eterogenee di quelle attuali?".

Ma allora perché, da D'Alema a Rutelli, si ripete che sul tedesco si può chiudere l'accordo?
"Questo non lo chieda a me. Io posso formulare un'ipotesi. Forse chi vuole il sistema tedesco così com'è ha in testa un'altra idea: la Grande Coalizione. L'unica che renderebbe coerente la scelta del modello tedesco integrale. Ma se è così, si sappia fin da ora che la Grande Coalizione non è il progetto politico del Pd. Il nostro partito nasce per consentire un sistema bipolare dell'alternanza, ispirato ad un principio di coesione. Questa, per noi, è una frontiera invalicabile".

Quindi la proposta del Pd resta il "Vassallum", cioè un proporzionale corretto, un po' tedesco un po' spagnolo?
"Confermo la nostra disponibilità a un'intesa che, partendo da una base proporzionale con una soglia di sbarramento intorno al 5%, assuma alcuni degli strumenti che possano servire a favorire una "deproporzionalizzazione" del sistema: il voto unico, collegi come quelli proposti da Vassallo, un premio al primo partito. Uno o più di questi elementi sono per noi necessari. Bisogna fare "l'ultimo miglio", e noi lavoreremo per raggiungerlo".

Chiarissimo. Ma allora perché negli ultimi giorni avete ritirato fuori il maggioritario alla francese, e Franceschini ha addirittura evocato il presidenzialismo? E stato un errore, un altolà agli alleati o che altro?
"Franceschini ha semplicemente riproposto quello che io stesso ho detto più volte. Se mi si chiede qual è il sistema che preferisco, io rispondo il sistema francese: doppio turno e sistema presidenziale. Ma dobbiamo distinguere due fasi diverse. Una prima fase riguarda l'oggi: nelle condizioni attuali, ciò che dobbiamo ottenere è un sistema proporzionale ma bipolare, per evitare il rischio dell'ingovernabilità. Poi c'è una seconda fase, che riguarda il futuro: e dico fin da ora che quando si andrà al voto, mi auguro nel 2011, il Pd si presenterà proponendo agli italiani il maggioritario a doppio turno, con l'elezione diretta del Capo dello Stato".

Percorso in due tappe, quindi: non siete "impazziti", come dice D'Alema, col quale si è riaperto un dissapore antico?
"Per quanto mi riguarda, nessun dissapore. Evitiamo polemiche personali, la gente non ne può più. Il modello francese non è un'invenzione né di Franceschini né mia. Le forze di centrosinistra lo sostengono da tempo. Le leggo un testo: "L'elezione diretta del Capo dello Stato è il sistema più diffuso in Europa e non ha dato luogo a degenerazioni plebiscitarie o a pericoli per la tenuta democratica e per il sistema istituzionale. Non si comprende dunque perché solo l'Italia dovrebbe fuoriuscire dal quadro europeo dominante...". Firmato Cesare Salvi, relazione alla Commissione Bicamerale. D'altra parte, se il sondaggio del sito Repubblica.it dice che il 64% è favorevole a una soluzione di questo genere, qualcosa vorrà pur dire. La nostra democrazia è malata, e ciò che sta succedendo a Napoli ne è la più clamorosa e inquietante conferma. O recupererà la capacità di decisione, o la democrazia italiana andrà a rischio".

Cosa risponde a chi sostiene che state confondendo le acque perché puntate dritti al referendum?
"Ho letto dodicimila interpretazioni dietrologiche, tutte campate per aria. Io dico solo quello che penso: punto a una riforma vera che risolva il problema dell'ingovernabilità. Non sono io a puntare al referendum, al contrario. Ho semmai l'impressione che, per paradosso, siano alcune forze minori a preferirlo. Ad esempio, non capisco perché alcune forze interessate alla Cosa Rossa abbiano quest'ansia sulla soglia di sbarramento, che sarebbe superata proprio con l'aggregazione di tutta la sinistra radicale. Delle due l'una: o non vogliono fare la Cosa Rossa, oppure preferiscono il referendum, perché questo gli consente di tornare e chiedere le compensazioni figlie delle vecchie logiche di coalizione. Noi, viceversa, vogliamo superare per sempre il demone della vita politica italiana: la frammentazione, la visibilità, l'instabilità".

E cosa risponde a chi sospetta un accordo segreto tra lei e Berlusconi, proprio sul maggioritario?
"Ci risiamo. Io non sono tipo da accordi segreti. Mi rendo conto di parlare un altro linguaggio, ma non appartengo a questa dimensione da Belfagor della politica italiana. Con Forza Italia abbiamo avuto un confronto molto chiaro e sincero: due forze politiche, che sono e rimarranno alternative, è giusto che si incontrino per riscrivere le regole del gioco, com'è giusto che siano separate nella risposta ai grandi problemi del Paese".

Insomma, non è vero che alla fine lei, anche suo malgrado, sarà costretto a togliere il sostegno al governo Prodi?
"Dal giorno in cui dissi che non vi sarebbe mai stata una mia disponibilità per Palazzo Chigi, penso di aver dimostrato nei fatti che il mio sostegno a Prodi è totale. Se abbiamo retto le spallate in Parlamento e abbiamo avviato il dialogo sulle riforme è stato proprio per facilitare il cammino del governo. E poi ho ancora troppo vivo il ricordo di ciò che accadde nel '98, per non sapere che il sostegno al governo è un atto irrinunciabile di coerenza politica, tanto più per un grande partito. Il centrosinistra sta ancora pagando il prezzo dell'interruzione di quell'esperienza di governo che è stato tra i più riformisti nella storia repubblicana. Quindi, lo ribadisco: per parte mia il sostegno a Prodi è pieno e incondizionato. E Romano lo sa bene".

A volte non si direbbe.
"E invece glielo garantisco. Ci siamo sentiti proprio in questi giorni, per far sì che il vertice di maggioranza abbia al centro proprio il rilancio dell'azione di governo. Basta con gli anatemi e le minacce di chi ripete "o il governo fa così o la maggioranza non c'è più". C'è bisogno di un rilancio forte, legato ad alcuni temi essenziali. I salari e la condizione di vita delle famiglie, tanto più dopo un aumento così pesante dei prezzi. La precarizzazione intollerabile dei giovani. Il recupero dei 50enni che perdono il lavoro. Il nostro sforzo, in un tempo carico di rischi di recessione, deve essere quello di far crescere il Paese".

Un'altra ferita aperta sulla quale il Pd dovrà prima o poi trovare una sintesi riguarda le questioni etiche.
"Purtroppo in alcuni ambienti vedo un clima da disfida tra guelfi e ghibellini, un irrigidimento integralista e quasi testimoniale delle identità legate l'una alla fede cattolica, l'altra all'ispirazione laica. Il Pd nasce con l'obiettivo di superare questa contrapposizione".

Cosa pensa della legge sull'aborto, oggetto dell'ennesima campagna "revisionista"?
"Un valore imprescindibile, per me, è la laicità dello Stato. Questo significa che ci sono conquiste di civiltà che devono essere difese. Una di queste è proprio la 194, che si è dimostrata una legge contro l'aborto, visto che le interruzioni di gravidanza si sono ridotte del 44%. Dunque per me la 194 è una legge importante, che va difesa. Ma non mi spaventa una discussione di merito, che tenda a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l'aborto non è un diritto assoluto, ma è sempre un dramma da contrastare".

Non le sembra che i toni dei revisionisti siano quasi da nuova crociata?
"Sinceramente, mi piace una Chiesa che concentri la sua attenzione su alcuni dei temi che stanno dentro la grandezza dell'esperienza di fede: la protezione degli ultimi, la lotta contro ogni forma di ingiustizia sociale, la pace e i diritti delle persone. Non mi spaventa che la Chiesa affermi e tuteli principi morali che considera fondamentali. Ma ammaestrata da una storia millenaria, la Chiesa sa bene che proprio la laicità dello Stato è un confine che non può essere valicato. Poi, con altrettanta sincerità, vorrei che anche i laici fossero più laici. Che ragionassero senza dogmatismi sui temi della vita e della morte. Noi laici, più di ogni altro, non possiamo accettare l'idea di una società senza valori. Dobbiamo moltiplicare le sedi di confronto e di ricerca comune. E nella vocazione di un grande partito come il Pd. Prendiamo esempio dai democratici americani".

A proposito, che effetto le fa il successo di Obama, che proprio lei ha indicato come modello di "bella politica"?
"Questa vittoria iniziale di Obama non mi stupisce. La sua è una leadership calda, capace di evocare l'idea di un'America che recupera la guida morale nel mondo. E poi, per lui hanno votato anche i repubblicani e gli indipendenti. La strada delle elezioni è ancora lunga, ma intanto una lezione si può trarre: Obama ha interpretato finora una capacità di cambiamento che forse è quella del nuovo millennio. Vorrei che anche noi sapessimo ascoltarla, uscendo dalle sconfitte, dai conflitti e dalle ideologie di un tempo che dobbiamo mettere per sempre alle nostre spalle".

(5 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #95 inserito:: Gennaio 05, 2008, 06:47:49 pm »

Veltroni: «Nessun inciucio ma altolà al sistema tedesco»


«Dal giorno in cui dissi che non vi sarebbe mai stata una mia disponibilità per Palazzo Chigi, penso di aver dimostrato nei fatti che il mio sostegno a Prodi è totale».
Come annunciato, Walter Veltroni interviene dalle pagine di Repubblica per chiarire le sue ultime mosse - e quelle del suo vice Dario Franceschini - riguardo al capitolo riforme istituzionali e conseguentemente al referendum e alla tenuta del governo Prodi. Il numero uno del Pd tiene soprattutto ad allontanare da sè e dal suo staff ogni logica di inciucio o tradimento che gli è stata attribuita con la riproposizione del sistema maggioritari "alla francese".

Impugna la bandiera della coerenza, sia per quanto riguarda la preferenza espressa verso il presidenzialismo e il sistema a doppio turno, sia per quanto riguarda il sostegno a Prodi - «ho ancora troppo vivo il ricordo di ciò che accadde nel '98, per non sapere che il sostegno al governo è un atto irrinunciabile di coerenza politica, tanto più per un grande partito» - ,un sostegno che definisce «pieno e incondizionato». «E Romano lo sa bene».

Ragion per cui, continua, «non sono io a puntare al referendum, al contrario». Veltroni è convinto che «semmai, per paradosso, siano alcune forze minori a preferirlo». E punta il dito contro alcune forze che pur dicendosi interessate alla Cosa rossa mostrano «quest'ansia sulla soglia di sbarramento, che sarebbe superata proprio con l'aggregazione di tutta la sinistra radicale».

«Delle due l'una: o non vogliono fare la Cosa rossa, oppure preferiscono il referendum, perché questo gli consente di tornare e chiedere le compensazioni figlie delle vecchie logiche di coalizione. noi, viceversa -garantisce Veltroni- vogliamo superare per sempre il demone della vita politica italiana: la frammentazione, la visibilità, l'instabilità». In ogni caso il modello della Grande Coalizione alla tedesca - chiarisce - «non è il progetto politico del Pd».

Al di là delle «interpretazioni dietrologiche», il sindaco di Roma taglia corto sulle accuse di "inciucio" con Berlusconi: «Ci risiamo. Io non sono tipo da accordi segreti». «Mi rendo conto - annota - di parlare un altro linguaggio, ma non appartengo a questa dimensione da Belfagor della politica italiana. Con Forza Italia abbiamo avuto un confronto molto chiaro e sincero».

Quanto ai dissapori con D'Alema il leader Pd replica: «Per quanto mi riguarda, nessun dissapore. Evitiamo polemiche personali, la gente non ne può più. Il modello francese non è un'invenzione né di Franceschini né mia», puntualizza richiamandosi alla relazione Salvi per la Bicamerale.

Nei suoi piani la riforma elettorale va fatta in due fasi: «Una prima riguarda l'oggi: dobbiamo ottenere un sistema proporzionale bipolare, poi c'è la seconda quando il Pd si presenterà agli italiani riproponendo il maggioritario a doppio turno con l'elezione diretta del Capo dello Stato».

E tornando a riflettere sul modello tedesco, precisa: «Sul sistema tedesco, allo stato attuale un accordo non c'è. Non lo vogliono Forza Italia e An, non lo vogliono i partiti minori».

Altra accusa che gli è stata mossa: aver ammainato la bandiera della laicità dello Stato. Anche su questo Veltroni smentisce. E a proposito dell'attacco più recente delle gerarchie cattoliche ai diritti riconosciuti in uno Stato laico - la legge 194 che permette e limita l'interruzione volontaria di gravidanza - precisa: «Per me la 194 è una legge importante, che va difesa. Ma non mi spaventa una discussione di merito, che tenda a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l'aborto non è un diritto assoluto ma è sempre un dramma da contrastare». Del resto «la Chiesa sa bene che la laicità dello Stato è un confine che non può essere valicato». Dunque esprime l'auspicio che «anche i laici fossero più laici, che ragionassero senza dogmatismi sui temi della vita e della morte». «Noi laici - spiega - più di ogni non possiamo accettare l'idea di una società senza valori», per questo Veltroni invita a «moltiplicare le sedi di confronto e di ricerca comune» sottolineando che si tratta di una linea «nella vocazione di un grande partito come il Pd».

Pubblicato il: 05.01.08
Modificato il: 05.01.08 alle ore 16.06   
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« Risposta #96 inserito:: Gennaio 06, 2008, 11:39:26 pm »

L'accusa: da D'Alema discussione strumentale

C'è chi lavora per distruggere Walter

Bettini, braccio destro di Veltroni: basta personalismi

 
ROMA- Ieri lo ha fatto Walter Veltroni su "Repubblica", adesso è la volta del suo braccio destro (e sinistro) Goffredo Bettini perché l'annuncio di Dario Franceschini di una svolta presidenzialista alla francese ha creato non pochi problemi al sindaco di Roma e «ha offerto su un piatto d'argento - come dice qualche veltroniano - la possibilità di andare contro il leader del Pd». Bettini, comunque, va all'attacco. E senza troppi giri di parole dice che c'è chi, nel Pd, vuole «distruggere Veltroni», sostiene che quella sul sistema tedesco è «una discussione strumentale» e invita D'Alema ad abbandonare i «personalismi ». Insomma, come funziona? Siete presidenzialisti alla francese e avete rinunciato all'idea di trovare in Parlamento una soluzione- compromesso che raccolga la più ampia convergenza possibile? Bettini sorride e spiega: «Noi abbiamo sempre detto che il presidenzialismo francese è il sistema migliore per l'Italia e che rimane un punto di riferimento che potrebbe anche diventare una proposta da presentare per la campagna elettorale delle prossime elezioni politiche, quando saranno».

Peccato che il presidenzialismo alla francese abbia spaccato l'Unione, il Pd e non abbia raccolto neanche grandi consensi nel centrodestra... «E infatti oggi il punto è un altro: raggiungere il risultato concreto di una convergenza larga su una riforma elettorale equilibrata e innovativa da accompagnare alla riforme dei regolamenti e delle istituzioni». Lei parla così, Bettini, ma intanto Massimo D'Alema ha dato addosso a Veltroni e Franceschini e da palazzo Chigi hanno lasciato intendere che le vostre iniziative sulle riforme non sono poi tanto gradite. «Io rispondo così: c'è un motivo semplice semplice per cui oggi è necessario fare le riforme. Il Paese non ne può più degli spettacoli che gli offre un politica frammentata che non decide. A noi non interessa affatto piantare le nostre bandiere. Abbiamo proposto il Vassallum ma abbiamo anche detto che siamo disponibili alla discussione e al compromesso purché vengano fatti salvi tre principi».

E quali sarebbero questi principi? «Intanto occorre aprire al proporzionale anche per dare più libertà di proposta e di autonomia alle forze politiche: in questo quadro pure il Pd potrà esprimere la sua vocazione maggioritaria ». Questo perché il Pd vuole andare da solo alle elezioni eliminando la Cosa rossa? «Il problema non è che il Pd abbia la sciocca pretesa di andare da solo ma ha l'ambizione di un programma e di una strategia che parli a tutto il paese, come è naturale per un partito a vocazione maggioritaria». Strana vocazione maggioritaria che si concretizza con un sistema proporzionale. «E' per questo che ci vuole uno sbarramento del 5 per cento: per favorire la semplificazione del sistema politico italiano che soffre di una pletora indicibile di partitini». Di cui Veltroni vorrebbe disfarsi ben volentieri. «Ma no, nessuno vuole perseguitare i piccoli partiti, piuttosto li dobbiamo aiutare ad aggregarsi e a cambiare perché il loro obiettivo deve essere più coraggioso del mero raggiungimento della sopravvivenza del proprio ceto politico».


E quale sarebbe il terzo principio che va salvaguardato per raggiungere un compromesso sulla riforma? «La realizzazione di un nuovo bipolarismo, con la correzione del puro proporzionale che non dà stabilità al governo, forza alle coalizioni e che riaprirebbe il mercato politico post elettorale. Uno strumento di correzione è dare al partito che vince un misurato premio di maggioranza in grado di rafforzare la sua capacità di essere il baricentro e il promotore della sua coalizione ». Sostiene Veltroni che siete a un passo dal risultato. «Siamo alla fine di questa impresa, siamo all'ultimo sforzo». Sembrate un po' troppo ottimisti voi veltroniani: D'Alema, che nel Pd non è che conti proprio niente, insiste sul sistema tedesco e dice che avrebbe la maggioranza in Parlamento. «Non è vero, mentre sull'ipotesi che prima delineavo possono convergere sia Forza Italia che Rifondazione, che il Pd e non vedo le ragioni di ostacoli insormontabili per An ed anche per chi vuole tentare un nuovo grande centro. Quindi la discussione sul tedesco rischia di diventare astratta e, alla fine, strumentale. Comunque noi dobbiamo evitare due errori. Il primo, quello di ostacolare la strada della riforma per arrivare al referendum, il secondo quello di pensare a un proporzionale puro che ci farebbe rinunciare al sistema bipolare che è l'unico sistema che ci consente un ricambio delle classi dirigenti». Ma come, Bettini, tutti dicono che in realtà Veltroni sta puntando al referendum. «Il risultato del referendum sarebbe una battaglia elettorale all'ultimo sangue per ottenere un voto in più tra i due schieramenti. Quindi costringerebbe alle ammucchiate che rappresentano proprio il massimo della contraddizione rispetto al progetto del Pd».

 Intanto però Giulio Tremonti sostiene che è inutile continuare il confronto con Veltroni perché rappresenta solo un terzo del Pd. «Walter è un leader che è stato scelto nelle primarie a cui hanno partecipato tre milioni e mezzo di persone. Quando qualcuno prenderà un voto in più di lui potrà dichiarare di essere maggioranza». Quindi il confronto con Berlusconi va avanti, anche se in tanti vi criticano per questo? «Quando mi dicono "fai male a fidarti di Berlusconi", io non rispondo. E' già difficile scegliersi degli alleati, figuriamoci degli avversari. Sappiamo tutti che Berlusconi ha una sua forza in Parlamento e una sua popolarità nel Paese e quindi per fare le riforme bisogna trattare anche con lui». Non è vero piuttosto come ha ipotizzato anche D'Alema che sotto sotto voi abbiate scelto la via del confronto con Berlusconi per far cadere Prodi? «Questo è assurdo. Da quando c'è il Pd e si è aperto grazie a Veltroni un tavolo concreto per le riforme e il governo si è rafforzato nella sua azione e nell'opinione del paese. Tra l'altro, mi pare un po' buffo che prima ci si critichi perché con il dialogo si metterebbe in pericolo il governo e poi ci si strappi i capelli perché Veltroni stesso avrebbe deciso di affossare le riforme. Insomma, c'è in giro una voglia distruttiva verso le iniziative del Pd che è in sintonia con la tipica abitudine italiana di colpire ogni cosa buona che nasce. La verità è che prima di Veltroni sulle riforme c'era la morta gora e che solo grazie alla nostra iniziativa oggi si discute credibilmente su un possibile risultato positivo del cambiamento della legge elettorale. E se ognuno superasse personalismi ed eccessi di furbizia tutto sarebbe più facile».

Maria Teresa Meli
06 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #97 inserito:: Gennaio 06, 2008, 11:45:06 pm »

6/1/2008 (7:29)

Il Veltroni bipolarista incassa il sì dei prodiani
 
Parisi: «Bene così».

Ma Casini e An: ora rischia di saltare tutto

MARCO I. FURINA
ROMA


Un percorso in due tappe, in cui nella prima fase si arrivi subito a una legge elettorale «proporzionale ma bipolare», e in seguito (dal 2011, a legislatura terminata e con le riforme istituzionali approvate, si augura) a un sistema a doppio turno con l’elezione diretta del capo dello Stato, come in Francia.

Sul sistema di voto non arretra di un millimetro Walter Veltroni, e in un’intervista a Repubblica rilancia la riforma targata Parigi avanzata qualche giorno fa dal suo vice Franceschini. Con una precisazione: il doppio turno alla francese resta il modello cui tendere, ora si può però trovare «un’intesa» su una legge proporzionale ma opportunamente «corretta» in senso maggioritario (il Vassallum). Quello che il leader del Pd proprio non può accettare è il sistema tedesco puro e semplice, porta d’ingresso principale della Grande Coalizione, e tomba del nascente Pd.

E il no veltroniano al proporzionale in salsa germanica, spacca trasversalmente la politica, facendo litigare i poli. Raccoglie il plauso convinto di Forza Italia, ma irrita An e Udc che temono «un patto segreto» tra Veltroni e il Cavaliere. Maretta anche all’interno del Pd, in cui gli elogi al Sindaco dei maggioritaristi convinti come Parisi e la Bindi, contrastano coi duri giudizi critici espressi nei giorni scorsi da Massimo D’Alema, e infine nell’Unione, dove Rifondazione (con alcuni distinguo), Socialisti e Udeur partono all’attacco del segretario.

«La leadership del Pd sta giocando col fuoco. Una campagna come quella lanciata dal vertice del Pd rischia fortemente di far saltare ogni ipotesi di accordo e di spalancare le porte al referendum», attacca il capogruppo al Senato di Rifondazione Russo Spena. «Veltroni vuole una legge su misura», accusa Rizzo dei Comunisti italiani. «L’intervista di Veltroni aggrava ulteriormente la situazione», dice il socialista Angius. Così - ragiona il vicepresidente del Senato - «si liquida il governo Prodi». E il verde Bonelli fissa la scadenza per trovare un accordo: «Al vertice del 10 gennaio sarà importante individuare una posizione comune». Anche Mastella prepara le contromisure: «Se l’obiettivo è prosciugare l’area del nostro consenso, costruiremo un soggetto politico che al Sud potrà essere il primo partito». Cioé, la Cosa bianca.

Buone notizie per Veltroni arrivano dagli ulivisti del Pd, Parisi in testa, che nei giorni scorsi avevano criticato il segretario per le sue aperture al proporzionale. «Non possiamo non essere a fianco di Veltroni», dice il ministro della Difesa. «Questa volta Veltroni ha scelto - continua - . Da una parte sta il sistema Tedesco e la bozza Bianco, dall’altra il bipolarismo e scelta dei cittadini». Parole di apprezzamento anche da Rosy Bindi che però non rinuncia a una stoccatina: «Ci sembra di sentir riecheggiare le nostre argomentazioni su bipolarismo e legge elettorale».

In soccorso di Veltroni vengono anche i notabili di Fi. «Ha ragione Veltroni: il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza sono conquiste che dobbiamo consolidare e sviluppare», afferma Giuseppe Pisanu. E il coordinatore azzurro Sandro Bondi considera «coraggiosa, condivisibile e coerente», l’intervista del leader Pd. Lodi che provocano più di un sospetto in An, che teme di essere messa ai margini da un patto a due Fi-Pd. «Colpisce che Bondi si batta un giorno per costruire un nuovo centrodestra e nell’altro confermi l’accordo sulla legge elettorale tra Veltroni e Forza Italia», attacca il capogruppo di An alla Camera, Altero Matteoli. «Nessun accordo segreto», lo rassicura immediatamente il forzista Schifani. Inamovibile dalla trincea del proporzionale alla tedesca resta l’Udc. «La sirena Veltroni può incantare Bondi e Forza Italia, spiega il segretario, Lorenzo Cesa - ma non incanta certo l’Udc». Perché per noi - avverte - «il modello tedesco è l’unico approdo possibile».

da lastampa.it
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« Risposta #98 inserito:: Gennaio 08, 2008, 06:35:23 pm »

E Giuliano Ferrara, promotore della moratoria: «Così si inizia bene»

«La 194 è una conquista, ma sì al dialogo»

Veltroni: «Legge da difendere, ma non ci spaventa il dibattito sulla prevenzione»

 
ROMA - La legge 194 che regola le interruzioni di gravidanza è «una conquista di civiltà che deve essere difesa», ma «non mi spaventa una discussione di merito, che tenga a rafforzare gli aspetti di prevenzione, perché l`aborto non è un diritto assoluto, ma è sempre un dramma da contrastare e da prevenire». Lo afferma il segretario nazionale del Pd, Walter Veltroni, in una lettera di risposta al Foglio che, con il suo direttore Giuliano Ferrara, ha lanciato un invito per un incontro col Pd sulla campagna per una moratoria sull’aborto.

«QUESTIONI NON STRUMENTALI» - Veltroni puntualizza subito di ritenere «certamente utile questo incontro, le cui modalità saranno presto definite. Non ritengo infatti banali né strumentali le questioni poste, che interrogano le coscienze, pongono problemi di natura morale. E credo giusto che anche una sede politica trovi modi e forme di discussione e confronto, non soltanto al suo interno».

FERRARA: «INIZIAMO BENE» - Pronta la replica di Ferrara secondo il quale «un dialogo così impostato parte bene e può essere condotto senza strumentalismi politicanti e senza secondi fini di qualsiasi genere, al solo scopo di capire meglio che cosa ci sia da fare tre decenni dopo il varo in tutto il mondo delle legislazioni che decisero di tutelare tragicamente la maternità e la salute delle donne minacciate dalle pratiche dell`aborto clandestino».


08 gennaio 2008

da corriere.it
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« Risposta #99 inserito:: Gennaio 11, 2008, 11:21:03 pm »

ESTERI

La precisazione della Santa Sede: "Non era intenzione del Pontefice sottovalutare l'azione sociale che si sta compiendo con apprezzabile impegno"

Il Papa: "Strumentalizzato il discorso su Roma"

Veltroni: "Parole molto belle di apprezzamento, e ora basta con le polemiche"

 
CITTA' DEL VATICANO - Il Vaticano denuncia la "strumentalizzazione politica che ha fatto seguito alle parole rivolte dal Santo Padre" a Veltroni, Marrazzo e Gasbarra e rimarca che "non era certo intenzione del Papa sottovalutare l'azione sociale che i responsabili della Città di Roma e della Regione stanno compiendo con apprezzabile impegno". Lo afferma un comunicato della sala stampa vaticana, che sembra correggere il tiro dopo le polemiche suscitate dalle dichiarazioni di ieri del Pontefice.

"'Desta meraviglia - si legge nel comunicato diffuso dalla sala stampa della Santa Sede - la strumentalizzazione politica che ha fatto seguito alle parole rivolte dal Santo Padre ai Rappresentanti della Regione Lazio, della Provincia e del Comune di Roma. Non era certo intenzione del Papa - prosegue la nota - sottovalutare l'azione sociale che i responsabili della Città di Roma e della Regione stanno compiendo con apprezzabile impegno. Egli infatti, nella sua qualità di Vescovo di Roma, - spiega il testo - in diverse circostanze, e anche di recente, ha posto in luce le realizzazioni compiute al servizio della cittadinanza, realizzazioni che ha tenuto a sottolineare anche nel discorso di ieri. Ugualmente però - aggiunge il comunicato - Egli non poteva non evocare, dando voce a quanti a Lui si rivolgono, alcune problematiche umane particolarmente urgenti, che vanno affrontate con il contributo di tutti. La Chiesa, come Sua Santità ha assicurato - è la conclusione - non farà mancare il proprio apporto e la propria collaborazione".

La schiarita è stata accolta con piacere dal sindaco: “Vorrei esprimere al Santo Padre la mia gratitudine per le parole pronunciate questa mattina, che rappresentano un riconoscimento al lavoro ed all'impegno profuso in questi anni dall'Amministrazione Comunale, dalle altre istituzioni locali e da tutte quelle forze sociali che hanno collaborato a far crescere la città, a migliorarne la qualità della vita senza perdere mai di vista i bisogni ed i diritti dei più deboli, delle fasce più disagiate.

Ho definito pubblicamente il discorso pronunciato ieri dal Pontefice, durante l'incontro con gli amministratori di Roma e del Lazio, come uno stimolo ulteriore per il nostro lavoro. Oggi si possono chiudere le polemiche causate da odiose e strumentali reazioni politiche al discorso del Papa”, ha commentato Walter Veltroni.

Il monito del Papa ieri denunciava l'aumento della povertà" nelle grandi periferie urbane, la "drammatica situazione" delle strutture sanitarie cattoliche nel Lazio, cui Benedetto XVI aveva aggiunto la rischiesta di difendere la famiglia da "attacchi e incomprensioni nei confronti di questa fondamentale realtà umana e sociale".

Il sindaco Walter Veltroni aveva replicato sottolineando come il Comune sia da anni impegnato a non dimenticare "il dolore degli 'invisibili', la disperazione di chi vive ai margini, ma anche le difficoltà di molte famiglie dove lo stipendio non basta ad arrivare alla fine del mese, dei giovani che devono misurare il loro sogno di sposarsi e avere dei figli con la realtà dei prezzi di una casa o con l'insufficienza dei servizi".

(11 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #100 inserito:: Gennaio 14, 2008, 12:21:32 am »

13 gennaio 2008

Scriviamo insieme le regole del gioco poi ognuno giocherà per vincere

Riportiamo dal Corriere della sera, l'intervista di Aldo Cazzullo a Walter Veltroni


ROMA — Veltroni, comincia una settimana decisiva per la legge elettorale, e cruciale per la politica economica del governo e la costruzione del Pd.
«E io mai come oggi avverto il bisogno che la politica si immerga nella vita reale dei cittadini. Ho la sensazione devastante di una separazione netta tra la vita delle persone, tra ciò che le angoscia, le spaventa, ne determina l'umore, e ciò di cui parla la politica. La politica pare un acquario, in cui alcuni pesci nuotano, altri si sbranano, ma tutti sono separati sia dalla sofferenza sia dal talento di chi sta fuori. Sarà per il lavoro che faccio, sarà perché parlo con le persone e non guardo la società dai numeri dei sondaggi, fatto sta che ne sono sempre più convinto: la politica è la risposta ai bisogni dei cittadino, è l'elaborazione di un sistema di valori, di una visione del mondo che argini lo spirito del tempo, il nuovo egoismo sociale che si diffonde come un virus. L'idea per cui ognuno è una monade, un piccolo mondo isolato dagli altri. L'idea per cui, se Napoli ha bisogno di un sostegno nell'emergenza, le stesse amministrazioni di centrodestra del Nord che in passato chiesero e ottennero aiuto voltano le spalle. Io preferisco lo spirito dei ragazzi che nel '66 si precipitarono a Firenze. Preferisco l'Italia che nelle grandi tragedie nazionali si mostra solidale».
L'emergenza rifiuti non è una calamità naturale.
«Ma anche in altre tragedie, come il terremoto dell'Irpinia, emersero responsabilità politiche; e la reazione fu certo di denuncia ma anche di solidarietà ».

Lei ha difeso Bassolino, ma ha poi aggiunto che le dimissioni sarebbero inopportune nell'ora dell'emergenza. Questo significa che dopo il presidente della Campania dovrebbe dimettersi?
«Quanto accade non è solo responsabilità di Bassolino e della Iervolino. Se Bassolino si dimettesse ora, commetterebbe un gravissimo errore. Infatti, con senso di responsabilità, resta al suo posto. Conoscendolo, posso immaginare il suo travaglio di queste ore. Quando l'emergenza sarà risolta, insieme affronteremo una discussione serena. Io sono fatto così: quando vedo che tutti danno addosso a qualcuno, lo difendo. A Napoli ho visto manichini appesi dalla destra del presidente della Regione e del sindaco impiccati: scene che evocano i tempi della Repubblica di Salò. Il rischio è che il Paese si sfarini. Che si affermino idee come quella emersa in un municipio romano, sorprendente tanto più perché viene dall'estrema sinistra, di separare sui bus i bambini rom dai bambini non rom. Contro questo arroccamento individualista occorre un nuovo alfabeto della politica. Al quale si è ispirato il documento dei valori che ieri la commissione, dopo una bella discussione, ha sostanzialmente varato smentendo tutte le profezie di incompatibilità tra le culture e le identità del Pd. Il Partito democratico si è già dato alcuni grandi obiettivi. Dimostrare che esiste un ambientalismo del fare: dire sì alle ferrovie, sì ai pannelli ferroviari anziché al petrolio, sì ai termovalorizzatori anziché alle discariche. A febbraio in Sicilia parteciperò con Amato alla manifestazione a fianco degli imprenditori che si sono ribellati al pizzo. E a marzo ci sarà la prima conferenza operaia del Pd, nel ricordo della tragedia della Thyssen e con la convinzione che i lavoratori non vadano lasciati soli oltre i cancelli delle fabbriche».
 
Veltroni, al governo c'è il centrosinistra. Cosa farete di concreto?
«Il governo Prodi, come si vedrà meglio quando la storia consentirà una lettura più serena, ha conseguito risultati straordinari. Ha ricevuto dalla destra un'eredità storica devastante, eppure ha già ridotto il deficit all'1,3%, il dato previsto per il 2010. E ha condotto una politica di redistribuzione, attraverso il cuneo fiscale, l'aumento delle pensioni minime, il pacchetto sul welfare».

Le pare sufficiente?
«Il rischio di una recessione americana, i suoi effetti in Europa, il boom del petrolio, la diminuzione dei consumi impongono uno sforzo ulteriore, nuove misure a sostegno dello sviluppo, e anche una svolta culturale per la sinistra. È tempo di uscire dalla contrapposizione tra impresa e lavoro. Dobbiamo ripensare chi è l'imprenditore».

Appunto: chi è l'imprenditore?
«È un lavoratore. Che rischia, che ci mette del suo, che magari non dorme la notte perché ha un mutuo in banca e non sa se potrà pagarlo. In questi giorni, visitando le fabbriche italiane, ho visto storie esemplari. La Carpigiani: due fratelli che nel dopoguerra si sono inventati macchine, esportate in tutto il mondo, da cento milioni di gelati al giorno. La VidiVici, una azienda di famiglia con due giovani ragazzi, che ha avuto l'idea degli occhiali ripiegabili in un astuccio e che in dieci anni è diventata una grande azienda del settore. La Technogym di Nerio Alessandri, uno che ha cominciato sbirciando il laboratorio artigianale sotto casa. C'è una comunità di destini tra imprenditori e lavoratori. Per questo agli imprenditori tocca garantire ai lavoratori salari adeguati, la sicurezza fisica e la serenità, che consenta loro di sentirsi parte dell'impresa. Chi conosce gli operai sa che hanno un grande patriottismo aziendale, talora molto più dei manager che si assegnano le stock-options. È il momento di costruire un'alleanza tra imprese e lavoro, e varare una politica fiscale a sostegno dei salari».

Anche Prodi lo dice, ma Padoa-Schioppa frena. Chi ha ragione?
«Credo che abbia ragione chi sostiene l'urgenza di interventi peraltro previsti dalla legge finanziaria, che al comma 4 dell'articolo 1 destina tutto l'extragettito alla detrazione delle imposte sul lavoro dipendente. Dobbiamo dare ossigeno alle famiglie e alle imprese, e prima lo facciamo meglio è. Le risorse ci sono, e devono produrre un aumento significativo dei redditi, non 15 euro l'anno, che non servono a nessuno. Qui si sta rompendo l'ascensore sociale. Nel dopoguerra, i contadini pensavano che i loro figli avrebbero fatto gli operai, gli operai che avrebbero fatto gli impiegati, gli impiegati che avrebbero fatto i professori. Questo meccanismo, che ha tenuto su l'Italia, è in panne. Sta alla politica ripararlo al più presto. Anche per questo sono convinto, a differenza della sinistra radicale, che la crescita dei salari debba essere accompagnata dalla crescita della produttività, oltre che dal sostegno alle famiglie e agli incapienti».

A dire il vero, le divisioni della maggioranza emerse in questi giorni riguardano soprattutto la legge elettorale.
«Ma la legge elettorale è necessaria per tutto questo, per far funzionare il sistema, per rimettere in moto il Paese. Io posso fare il pieno di benzina, ma se la macchina è guasta il motore non si accende. L'emergenza rifiuti conferma la crisi della politica; e il tempo non è illimitato. Nel suo bel saggio su Weimar, Gian Enrico Rusconi racconta come una democrazia possa implodere».

Siamo dunque a Weimar?
«Non siamo più al tempo delle notti dei cristalli e delle marce su Roma, sono convinto che possa essere la democrazia a risolvere la crisi della politica. Prima del 27 ottobre, Berlusconi rifiutava qualsiasi dialogo e reclamava la spallata, alla testa di una Cdl unita. Oggi siamo a un passo da una soluzione positiva, sollecitata dal presidente Napolitano nel suo appello di fine anno. Nell'ultimo miglio — il più difficile — che attende la riforma elettorale, tutti sono chiamati a un gesto di responsabilità, per ridurre la frammentazione del sistema. Io ho partecipato l'altro giorno a un vertice di 38 persone. Ma non erano meno affollati i vertici del centrodestra nella scorsa legislatura. In quale Paese del mondo accade questo?».

Crede che stavolta Berlusconi sia pronto a un accordo? Lei se ne fida davvero?
«Questa è una domanda che non mi posso porre. Gli interlocutori sono quelli che sono. Non si scelgono. La domanda che mi faccio è: si può pensare di riscrivere la legge elettorale senza Berlusconi, senza il partito che con il nostro è il più grande d'Italia? Non si può. Io voglio passare dalla concezione della destra, per cui le regole del gioco le scrive la maggioranza e poi sulla partita ci si mette d'accordo, alla concezione per cui le regole del gioco si scrivono insieme e poi ognuno gioca la partita per vincere; possibilmente senza colpi bassi».

Il colpo basso rischia di riceverlo il governo. I partiti minori della maggioranza sono in rivolta, il prezzo dell'accordo con l'opposizione potrebbe essere la caduta di Prodi.
«La verità è che, a un anno dalla nascita di un governo, mettere sul suo percorso la mina del referendum — per quanto nato da un'esigenza reale — è stato un errore politico. Pare una situazione da "Comma 22": se l'accordo non si fa, la maggioranza si spacca sul referendum; ma l'alternativa non è stare fermi, è trovare una soluzione. Il Pd considera che il sistema ideale per il futuro sia quello francese, come ho sempre detto; ma nelle condizioni date è importante aver trovato sulla bozza Bianco una convergenza con Forza Italia, Rifondazione, Udc, ora anche An. Cercheremo di allargarla ancora».

Abbassando lo sbarramento sotto il 5%?
«No. Non possiamo fare una legge peggiore di quella che c'è. Alcuni elementi di "disproporzionalità" sono indispensabili: lo sbarramento al 5; il voto congiunto, per cui si sceglie insieme il candidato e il simbolo. Poi si può vedere se organizzare il riporto dei resti su base nazionale o circoscrizionale, se prevedere un piccolo premio di maggioranza per il primo partito. Ci sono forze che avrebbero comunque rappresentanza grazie al loro radicamento nel territorio. Ci sono forze che con Rifondazione condividono il progetto di un partito nuovo, e non si vede perché resistano alla soglia di sbarramento».

E ci sono forze che sarebbero cancellate.
«Non vogliamo questo. A fianco delle norme, c'è la politica. Se c'è un processo per cui la sinistra radicale si unifica, dall'altra parte può aprirsi un processo di dialogo e convergenza tra diverse forze del centrosinistra e il Partito democratico».

Sta dicendo che offre un patto a Di Pietro, Boselli, Mastella per garantirne la sopravvivenza politica?
«Sono le loro idee e le loro identità a garantirla. Quello che voglio dire è che a fianco delle norme c'è la politica e la capacità di riconoscere identità differenti, senza integralismi. Ci sono molti modi per far sì che dopo la riforma restino molti meno gruppi parlamentari, senza che per questo i partiti minori siano cancellati».

Si tratta anche sulle regole interne al Pd. Latorre dice no a un «partito del leader».
Sul Corriere, Galli della Loggia le rimprovera di dissipare il patrimonio di voti delle primarie, per dare retta alle neonate correnti.
«Credo che nessun partito nella storia italiana sia stato osservato con simile attenzione da entomologi, sia stato vivisezionato nei suoi aspetti più minuti...».

Giustamente: è un partito nuovo.
«Sì, è un partito nuovo, nato con il concorso di tre milioni e mezzo di persone. Io, com'è noto, ero contrario all'elezione diretta, ma si è voluto questo sistema. Che non è una tecnicalità, è una scelta politica, una forma di investimento popolare del leader. Ovviamente, un leader si dota di strutture di decisione politiche, e un grande partito ha una vita interna articolata. È positivo che nascano centri studi, associazioni, organizzazioni, purché ognuno possa partecipare all'una e, magari nello stesso tempo, all'altra; purché non diventino correnti. Purché non siano strutture di potere, con finanziamenti paralleli, che richiedano un'appartenenza. L'appartenenza dev'essere una sola: al Partito democratico. Che poi all'interno del nuovo partito ci possa essere la propensione a ripetere gli schemi d'un tempo, è fisiologico. Ma il mio unico vincolo sono i tre milioni e mezzo delle primarie. Del resto credo mi sia riconosciuto, accanto alla capacità di decidere, anche il gusto dell'ascolto».

Tra i vecchi schemi è riemerso l'antagonismo con D'Alema.
«Quanto piace a voi giornalisti... quanto vi piace tornare a immergervi nel vostro brodo primordiale, ritrovare la logica conradiana dei duellanti... ».

Pare piaccia anche a D'Alema. Qualche colpo gliel'ha rifilato: quando dice che Veltroni conosce Berlusconi più di lui, quando paventa che lei e Franceschini siate impazziti.
«A me non piace. E, siccome non piace a nessuno di coloro che credono nel Pd, credo non piaccia neppure a Massimo D'Alema».

Gli uomini di Letta hanno proposto che lo statuto imponga al leader sconfitto alle elezioni di dimettersi. È d'accordo?
«Ho detto a Enrico, il quale non sapeva della proposta, che do il contenuto per ovvio. Come avviene in molti altri Paesi, il leader sconfitto si fa da parte. Ovviamente, quel leader deve avere il tempo di espletare il suo mandato, di giocare la sua parte, per andare a elezioni in cui risponde di quel che ha fatto».

 Allora è vero che lei preferisce votare subito, finché un'eventuale sconfitta sarebbe imputabile a Prodi, anziché attendere ancora, fino a quando la responsabilità sarebbe sua?
«È vero il contrario, il governo deve continuare la sua azione e poi votare subito non avrebbe senso. Perché lo sbarramento è inutile, se non è accompagnato dalla riforma dei regolamenti parlamentari, che vieti di costituire gruppi non collegati a simboli presenti sulla scheda elettorale. Ed è inutile finché restano mille parlamentari e due Camere legislative. Come auspico da tempo, il 2008 può essere davvero l'anno delle riforme».

Quale insegnamento ha tratto dalla vicenda delle critiche del Papa?
«Il Papa ha voluto chiarire qual è il suo giudizio, il suo rapporto con la città, la valutazione positiva sui grandi cambiamenti di un'area urbana che cresce il doppio del Paese in pil e occupazione. Il Comune di Roma ha fatto sforzi significativi per la politica sociale, ha aumentato del 48% gli investimenti per i più deboli, lavora a fianco dei parroci, della comunità di Sant'Egidio, della Caritas. È giusto riconoscere che, come tutte le grandi aree metropolitane, Roma convive con il problema della povertà. Le parole pronunciate ieri (venerdì, nda) da Benedetto XVI, dal cardinal Bertone e dalla sala stampa vaticana sono la migliore risposta a chi voleva strumentalizzare la vicenda. Spero che gli esponenti di An che hanno tentato questa operazione cinica riflettano su se stessi, specialmente se sono uomini di fede».

Aldo Cazzullo

da veltroniperlitalia.it
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« Risposta #101 inserito:: Gennaio 18, 2008, 11:54:01 pm »

Usciamo dal buio

Walter Veltroni


Voglio dire subito che quello che è successo è, per un democratico, inaccettabile. Chi insegna in una Università sa bene che mai può accadere, per nessun motivo, che l’intolleranza tolga la parola, che ad una opinione non sia concesso di essere espressa e ascoltata. In nessun caso. Men che meno quando si tratta di temi che hanno a che fare con i diritti universali dell’uomo, e quando ad esprimere tale opinione è una figura come Benedetto XVI che per milioni e milioni di persone, in tutto il mondo, rappresenta un altissimo e imprescindibile riferimento spirituale, culturale e morale.

È ciò che è successo, ed è grave per la cultura liberale e democratica, in questi giorni. Tra l’altro, ho avuto modo di leggere il discorso che il Papa avrebbe letto questa mattina. Un discorso aperto, innovativo, nel segno del confronto e del dialogo.

L’altro ieri, Francesco Paolo Casavola ha scritto che la volontà di non consentire la partecipazione di Papa Benedetto XVI, del Vescovo di Roma, all’inaugurazione dell'anno accademico dell'Università La Sapienza, è a suo modo un segno inquietante dei tempi.

Tempi non facili, viene purtroppo da dire, se insieme alla paura per le grandi trasformazioni economiche e finanziarie cresce quella per la libera circolazione delle persone, delle loro idee, della loro visione del mondo, della loro religione. E se questa paura alimenta chiusura, separazione, arroccamento puramente identitario. In una identità che non è serena consapevolezza di sé e proprio per questo convinta disponibilità al dialogo, ma contrapposizione, innalzamento di muri, integralismo.

È vero: questo è un tempo buio, in cui il rischio è quello di farsi vincere dal pessimismo, di cedere all'idea che un conflitto tra mondi diversi sia inevitabile, e che non resti altra cosa da fare se non rafforzare le frontiere della propria appartenenza e costruire muri per difendersi da ciò che è estraneo, sia che si tratti di individui e di popoli, sia che si tratti di culture o di religioni. A dominare, in questo nostro tempo, è una radicale insicurezza: l’altro è visto con sospetto, diventa subito l’avversario, colui che minaccia la nostra esistenza, i nostri valori, la nostra vita così come l'abbiamo sempre conosciuta. E così, subito ci assale la tentazione di fuggire da lui, di allontanarlo, ognuno chiudendosi nel falso riparo della propria casa ideologica.

Ma la paura non è la risposta. Non può esserlo. Non lo è mai stata. «L’unica cosa di cui dobbiamo avere paura - diceva Franklin Delano Roosevelt - è la paura stessa».

Anche oggi, anche in Italia, dobbiamo tutti fare molta attenzione. È troppo inclinato il piano che può far scivolare dalla diversità all’incomprensione, alla incomunicabilità, e poi all'intolleranza, all’ostilità. Fino al rischio, che è una minaccia gravissima per tutti, della frattura, dello scontro. Di quella frattura, di quello scontro, che questa Università ha conosciuto, pagando un prezzo altissimo, in quel tempo di odio e violenza racchiuso tra i nomi di Paolo Rossi ed Ezio Tarantelli.

Ha ragione, ha perfettamente ragione, chi ieri ha scritto, commentando un esito che sa di censura, di rifiuto del dialogo e del confronto, che è qualcosa si è rotto, che è avvenuta una cosa inaccettabile per un Paese democratico e per tutti coloro che credono nella libertà delle idee e della loro espressione.

Non abbiamo respirato più libertà, in questi giorni. Ne abbiamo avuta meno. Non si è affermato, non è più forte di ieri, il principio della laicità. Un principio per me indiscutibile. Laicità dello Stato, delle istituzioni pubbliche, dei comportamenti dei singoli individui. Laicità che vuol dire innanzitutto rifiuto di ogni intolleranza, assenza di pregiudizio, rispetto delle posizioni dell’altro, accoglimento delle verità che esse possono contenere.

La laicità non c’è, non può vivere, quando viene meno la libertà.

Si possono non condividere le parole degli altri, e criticarle, ma non impedire che esse vengano pronunciate. È la coscienza della propria non autosufficienza, della propria imperfezione e finitezza, che ha da sempre permesso agli uomini di vincere la paura e di trovare la voglia di cercarsi attraverso il dialogo, di conoscersi, di incontrarsi. È il dubbio, è la curiosità intellettuale, è la volontà di scoprire territori inesplorati, che ha nel tempo allargato la sfera di libertà della scienza, della ricerca, e consentito all’umanità di compiere il suo straordinario cammino di progresso. Un cammino che dovrà proseguire.

Guai, se tutto ciò che di meglio abbiamo costruito in questo lungo percorso di civiltà venisse messo a repentaglio dalla risposta sbagliata di fronte alle incertezze e alle insicurezze che pure segnano questo tempo. Guai se il mondo si chiudesse, se le persone tornassero al tempo della paura, della diffidenza, della presunzione della propria autosufficienza, della considerazione dell’altro come nemico.

La risposta possibile è una sola, ed è opposta a questa. È nel dialogo, nella convivenza tra la propria identità e la disponibilità all’apertura. È nella volontà di cercare, fino a trovare, conoscenza, rispetto reciproco e pacifica convivenza. È nella diversità concepita non come estraneità e pericolo, ma come possibilità, come ricerca, come arricchimento umano e culturale.

Tutte cose di cui proprio l'Università è stata sempre, nella storia della civiltà italiana ed europea, simbolo e concreto luogo fisico. Tutte cose che senza rispetto e senza libertà di pensiero, di parola, di espressione, non sono raggiungibili.

Roma è la città dove questo è stato sempre possibile, e non intende venir meno a tale ruolo. Lo dice chi, da Sindaco, non ha voluto incontrare e stringere la mano di chi, l’allora vice primo ministro iracheno Tariq Aziz, il giorno prima aveva rifiutato di rispondere alla domanda di un giornalista solo perché questo giornalista era israeliano, negando il suo diritto ad esprimersi.

Roma è, e sarà sempre, contro ogni tipo di discriminazione, contro ogni forma di intolleranza. È scritto nella sua stessa identità. Ed è un impegno quotidiano.

A Roma la Chiesa cattolica convive serenamente e in modo fecondo con le due altre grandi religioni monoteistiche. In momenti difficili, penso in particolare all’indomani dell’11 settembre del 2001, il Campidoglio è stato luogo di incontro dei rappresentanti di ogni fede, che si sono confrontati, hanno dialogato, si sono incontrati. Il Dalai Lama ha portato le sue parole nel cuore delle nostre istituzioni. Tra pochi giorni l’Imam della Grande Moschea porterà le sue nel Tempio Maggiore, nella Sinagoga, e sarà un’ulteriore dimostrazione dello spirito che anima questa città.

Ma è l’Italia, è tutto il Paese, che deve uscire dalla spirale dell’odio, della delegittimazione reciproca, dello scontro fine a se stesso. Altrimenti, lo dico misurando le parole, accadrà ciò che da mesi denuncio: l’aggravamento estremo di quella crisi del sistema democratico della quale vediamo così tanti segni che molti, al contrario, sembrano non voler scorgere.

Dobbiamo uscire, in questo Paese, dall’inaccettabile condizionamento di pochi, di minoranze; dall’inspiegabile dominio di logiche di veto e di condizionamento ideologico che impediscono all’Italia di crescere, e crescere in serenità. Sono posizioni spesso nate con lo sguardo rivolto all’indietro. E che indietro rischiano di riportarci, riaprendo vecchie ferite, contrapposizioni superate, che oggi suonerebbero solo inutilmente anacronistiche, se non fossero anche dannose.

L’Italia ha bisogno di altro. La nostra società, le relazioni tra di noi, il mondo della cultura e della ricerca hanno bisogno di altro. Di ritrovare il senso di un cammino comune. Di dare precedenza, rispetto alle dispute sul passato, alle scelte che riguardano la vita concreta delle persone e il ruolo del nostro Paese nel mondo, che riguardano il futuro.

Lo ha detto nel modo migliore un grande architetto, legato in modo particolare a questa città. «Ho sempre più spesso l’impressione», ha detto Renzo Piano, «che siamo diventati un paese prigioniero delle paure. E la prima è quella del futuro. Declinata in varie forme. Fanno paura la società multietnica, i cambiamenti sociali, le scoperte scientifiche sempre rappresentate come pericoli, la contemporaneità in generale. Si fa strada, perfino tra i giovani, la nostalgia di un passato molto idealizzato. Si combina una memoria corta e una speranza breve, e il risultato è l’immobilità. Il passato sarà un buon rifugio, ma il futuro è l’unico posto dove possiamo andare».



Stralci dell’intervento tenuto ieri dal Sindaco di Roma all’Università la Sapienza per l’inaugurazione dell’anno accademico


Pubblicato il: 18.01.08
Modificato il: 18.01.08 alle ore 8.25   
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« Risposta #102 inserito:: Gennaio 23, 2008, 05:56:23 pm »

Il valore della libertà

Walter Veltroni


Roma era stata liberata da due soli giorni. Il 6 giugno ’44, in Campidoglio, nasceva l’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia: mentre il nord del Paese attendeva ancora la libertà, c’era già, in chi per essa si stava battendo contro tedeschi e fascisti, il pensiero del dopo, della ricostruzione, dei valori che avrebbero dovuto animare la nostra democrazia, che avrebbero dovuto diventare patrimonio delle nuove generazioni di italiani. «Eravamo profondamente convinti che la nostra esperienza, con le sue luci e le sue ombre, potesse essere di esempio per far comprendere il valore della libertà, il rischio di perderla, il sacrificio che occorre per riconquistarla; per far nascere nelle coscienze la volontà di affermarla, difenderla, arricchirla».
Così ha raccontato quel momento, diversi anni dopo, Arrigo Boldrini, il comandante Bulow.

Dire che con lui se ne è andato un pezzo della nostra storia davvero non è una esagerazione. La foto che lo ritrae mentre riceve, in una piazza della sua Ravenna tornata libera anche grazie a lui, la medaglia d’oro al valor militare dal generale McCreery, comandante dell’VIII Armata britannica, è tra quelle che rappresentano meglio il ruolo che la Resistenza ebbe per far uscire l’Italia dal buio della dittatura e della guerra. Le parole con le quali Boldrini raccontava l’aspirazione di chi diede vita all’Anpi sono tra quelle che raccontano meglio il senso dell’impegno, suo e di tante donne e uomini della sua generazione, per dare forza ai principi e ai valori sanciti dalla Costituzione della Repubblica, come ieri ha ricordato il Presidente Napolitano.

Quei principi, quei valori, Boldrini aveva contribuito prima a renderli possibili, combattendo come partigiano, e poi a delinearli, ad affermarli, nelle file del Pci sui banchi dell’Assemblea Costituente, dove al mattino ci si scontrava in maniera dura sulla politica, ma al pomeriggio, discutendo della Carta fondamentale di tutti gli italiani, ci si rispettava, e non c’era contraddizione tra l’essere appassionatamente di parte ed essere capaci di trovare un’intesa al di sopra delle parti. Accadeva grazie a caratteristiche profonde che uomini come Boldrini e come il suo grande amico e conterraneo Benigno Zaccagnini, il partigiano «Tommaso Moro», avevano: un profondo rigore morale, la convinzione che la politica dovesse essere animata da tensione etica, la sobrietà, la capacità di pensare ai «tempi lunghi», di avere una visione, di possedere «senso dello Stato», delle istituzioni.

Arrigo Boldrini è stato, per tutta la sua vita, un custode attento e tenace della memoria storica di quella stagione.

Dopo aver fatto quel che avrebbe già potuto riempire l’esistenza di una persona, si è impegnato per anni e anni, con la stessa passione, a non disperdere il patrimonio ideale della Resistenza. Un impegno prezioso, soprattutto nei momenti in cui da alcune parti si è tentato di far calare l’oblio su quelle pagine della nostra vicenda nazionale, come a voler facilitare una sorta di equiparazione delle parti in conflitto. Tutto indistinto, tutto uguale: gli uomini in lotta, le loro idee. Una sorta di «indistinzione» volta a confondere fascismo e antifascismo, i torti e le ragioni, carnefici e vittime. Boldrini era la prova «fisica» che non è così, che non è lecito sostenere tesi di questo tipo se non negando la storia. È vero, ed è giusto: finito il tempo delle ideologie, si può discutere liberamente di tutto, in modo più sereno rispetto al passato.

Una cosa, però, è assolutamente chiara e netta, e non è mai inutile ripeterlo: non si può in alcun modo pensare di equiparare Salò e la Resistenza, il fascismo e l’antifascismo.

Fu giusta una sola scelta: quella compiuta da chi, comunista o socialista, azionista, cattolico o liberale, combatté contro coloro che collaborarono alle stragi naziste, alle rappresaglie e alle deportazioni, condividendo le tremende responsabilità del rastrellamento del Ghetto, di Marzabotto, di Sant’Anna di Stazzema; quella compiuta da chi si oppose a un regime e a una politica che anche nel nostro Paese produsse la vergogna delle leggi razziali, la discriminazione e la persecuzione degli ebrei, la loro deportazione in campi da dove tanti non fecero ritorno.

È lì, nella Resistenza, che affonda le sue radici la nostra Repubblica. È grazie a quella rinascita civile e morale che si sono potuti affermare i principi fondamentali della nostra Costituzione, della quale proprio questa mattina verranno celebrati, alla Camera dei deputati e alla presenza del Presidente Napolitano, i sessant’anni di vita.

Se oggi noi tutti viviamo in una democrazia lo dobbiamo agli uni, e non agli altri. Se i nostri figli possono pensare al proprio futuro in un paese libero, in un grande paese europeo, lo devono agli uni, e non agli altri. A uomini come Arrigo Boldrini, che meritano, oggi e per sempre, il nostro grazie. E il mio, anche per l’affetto e persino la tenerezza con cui ha sempre seguito il mio lavoro.


Pubblicato il: 23.01.08
Modificato il: 23.01.08 alle ore 8.18   
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« Risposta #103 inserito:: Gennaio 25, 2008, 11:08:41 pm »

24 gennaio 2008

"Il Paese si è risollevato grazie al governo Prodi.

Ora è il tempo delle responsabilità"


Pubblichiamo la dichiarazione di Walter Veltroni segretario nazionale del Partito Democratico

"Romano Prodi ha scelto con coerenza di portare in Parlamento una crisi aperta, all’inizio della settimana, dall’Udeur . Il Pd ha sostenuto questa scelta. Il Paese ha così potuto vedere chi è stato coerente con il voto degli elettori". Così il segretario del Partito Democratico Walter Veltroni dopo il voto del Senato che ha negato la fiducia al governo Prodi.

"E chi, invece, lo ha disatteso. Il Governo ha operato nell’interesse del Paese, con un risanamento finanziario che ha consentito all’Italia di uscire dalla devastante condizione procurata dal centro-destra e ha avviato una seria politica di redistribuzione sociale".

"Ma fin dall’inizio ha pesato sull’Esecutivo la difficoltà di una maggioranza che ha visto un crescendo di polemiche, condizionamenti, ritorsioni, annunci costanti di crisi e dimissioni di ministri e capi di partito. Una situazione che ha portato, in due anni, ad una crisi di governo e a contrasti ripetuti tra le diverse anime della coalizione stessa".

"Solo la capacità del Presidente del Consiglio ha consentito di proseguire la navigazione, anche quando, prima attorno al pacchetto welfare e poi attorno alla finanziaria, forze politiche e singoli esponenti hanno dichiarato la conclusione della coalizione. Il Paese deve riconoscenza al presidente Prodi, al suo lavoro, al suo senso delle istituzioni, al suo amore per l’Italia. Il suo contributo sarà decisivo per il futuro del riformismo e della modernizzazione italiana".

"Ora - constata - occorre evitare le elezioni anticipate che precipiterebbero il Paese in una situazione di crisi drammatica. E non garantirebbero quella stabilità e quella innovazione di cui l’Italia ha bisogno. C’è una preoccupante situazione finanziaria e all’orizzonte gravi fattori di crisi internazionale".

"E’ il tempo - sottolinea - della responsabilità. Ognuno deve decidere se la prospettiva che vuole fornire agli italiani è quella dell’instabilità o quella di contribuire a una nuova legge elettorale, che dia governabilità, con un nuovo assetto istituzionale. Affidiamo ora - conclude infine - al presidente della Repubblica e alla sua saggezza la ricerca di una soluzione. Si vedrà in questi giorni il senso di responsabilità dei protagonisti della vita politica italiana".

Il voto al Senato
Il governo non ottiene la fiducia al Senato. "Sono qui oggi perché non si sfugge davanti al giudizio di chi rappresenta il popolo e perché il nostro popolo ci guarda", ha detto nel suo intervento in apertura della seduta, chiedendo a tutti i presenti di non fermare la ripresa economica del nostro paese. Una ripresa che anche lo stesso componente dell'Udeur, Nuccio Cusumano voleva sostenere, e che per questo è stato incivilmente insultato ed espulso dal proprio partito.

Con 156 si e 161 no, il senato boccia la mozione di fiducia a Romano Prodi e al suo esecutivo. Contro il governo, oltre agli esponenti del centrodestra, votano anche: Mastella, Barbato, Fisichella, Turigliatto e Dini. Una sola astensione, il senatore dei Liberal Democratici Roberto Scalera. Non ha invece partecipato al voto il senatore a vita Giulio Andreotti, mentre gli altri cinque senatori a vita presenti in Aula hanno dato il loro sostegno al governo.

Già questa sera Romano Prodi si recherà dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per formalizzare le sue dimissioni. La crisi di governo sarà a quel punto iniziata. La prassi vuole che il premier riunisca il Consiglio dei ministri per comunicare le dimissioni ma è un atto non indispensabile nel caso di dimissioni a seguito di sfiducia parlamentare.

Una volta rimesso il suo mandato al capo dello Stato, Prodi dovrebbe invece recarsi a Montecitorio e a Palazzo Madama per darne formale comunicazione ai Presidenti di Camera e Senato Fausto Bertinotti e Franco Marini. Da quel momento a parlare dovrà essere il Quirinale, a cui passa la gestione della crisi di governo.

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« Risposta #104 inserito:: Febbraio 10, 2008, 08:00:17 pm »

LE REAZIONI AL DISCORSO DEL LEADER DEL PD

«Veltroni e Berlusconi promessi sposi»

Attacco di Diliberto: «Evitare questo patto scellerato».

Bonaiuti: «Walter arriva da Marte»

 
MILANO - La prima reazione al discorso di Walter Veltroni a Spello arriva quasi in tempo reale ed è quella, non tenera, di un uomo dell'Unione, Oliviero Diliberto: «Veltroni e Berlusconi sono i promessi sposi della politica italiana: dopo le elezioni faranno il governo insieme». Questa la tesi de leader dei Comunisti italiani, Oliviero Diliberto che aggiunge: «per evitare questo patto scellerato bisogna dare più forza alla sinistra». Il segretario del Pdci torna a parlare anche della decisione del Pd di correre da solo definendola una scelta che «è autolesionismo e lesionismo allo stesso tempo: una pulsione omicida e una suicida».

«UN DISCORSO FORTE E BELLO» - Al contrario, secondo il ministro delle politiche per la famiglia Rosy Bindi, quello di Veltroni a Spello è stato «un discorso forte e bello». «Walter - spiega Bindi - apre la nostra campagna elettorale dando voce alle speranze migliori e al bisogno di futuro degli italiani. Lo ha fatto con la passione di chi conosce le grandi energie di questo Paese e scommette, con fiducia e realismo, sulla volontà di cambiare l'Italia».

SBARCA DA MARTE - L'affondo del centrodestra arriva da Paolo Boniauti: «Veltroni sbarca da Marte e ci tiene un sermone domenicale». Così il portavoce di Silvio Berlusconi, che aggiunge: «Ma stiamo ai fatti: dove era lui in questi due anni in cui il governo della sinistra ha messo in ginocchio l’Italia? E prima di rialzare la politica, non sarà meglio rialzare l’economia italiana e gli italiani sommersi da una gragnuola di tasse del governo Prodi?». Poco prima aveva parlato anche Altero Matteoli(An): «Veltroni è il finto nuovo della politica Italiana ed il suo discorso è stato davvero privo di contenuti. Abbiamo ascoltato solo annunci vuoti. Da oltre trent'anni in campo - aggiunge Matteoli - ora tenta di presentarsi come il nuovo, dopo essere stato comunista, direttore dell'Unità, segretario dei Ds, vicepresidente del Consiglio nel primo governo Prodi. Ha promesso la diminuzione delle tasse ma senza interventi seri sulla spesa pubblica ciò è destituito di fondamento». «Sarà il centrodestra a diminuire le tasse ai cittadini con interventi forti, non con le elemosine prodiane e veltroniane. E lo farà - conclude - con forti aiuti alle famiglie e alle imprese per riavviare lo sviluppo e la crescita». Maurizio Ronconi (Udc) non va per il sottile: «Per la prima volta un comizio elettorale in un cimitero. Veltroni, oltre a fare tante promesse agli italiani, ha detto tante bugie di fronte alle migliaia di morti che riposano nel cimitero di Spello, adiacente alla piazzetta del suo comizio». «Non so se la scelta è beneaugurate ma la caduta di stile e la mancanza di rispetto - conclude l'esponente centrista - hanno passato ogni limite. D'altra parte da un laico travestito da cattocomunista non ci si poteva aspettare altro».

BILANCIO FALLIMENTARE - «Il discorso di Veltroni a Spello non l'ho ascoltato. Comunque le promesse sono importanti, ma ancor più importanti sono i fatti, e il bilancio di Veltroni è fallimentare. Idem per Prodi». Il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini, mentre entra allo stadio Flaminio per assistere ad Italia-Inghilterra di rugby, si lascia andare ad un commento sul fatto politico del giorno, ovvero il discorso del leader del Partito Democratico. Ma ha per caso sentito Silvio Berlusconi? «Sono qui per godermi una giornata di sport, quello ancora vero», è la risposta di Casini, mentre stringe a sè la figlia che tiene in braccio, seduto accanto al presidente del Coni Gianni Petrucci.

«CHIEDA SCUSA» - «Ho qualche dubbio sul fatto che Prodi e la sinistra abbiano salvato l'Italia, ma questo non mi interessa. Ho la certezza, invece, sul fatto che hanno rovinato le famiglie italiane e questo purtroppo mi interessa».Questa la reazione di Roberto Calderoli, coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord, che aggiunge: «Al posto che le 'trombonate' da balcone di piazza Venezia ora Veltroni si ponga in ginocchio come leader di quella ex maggioranza, ora minoranza, e chieda scusa a nome di tutti al popolo italiano per averlo reso povero, insicuro e zimbello da stampa internazionale».

10 febbraio 2008

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