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Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 108389 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Settembre 21, 2007, 10:25:57 pm »

21/9/2007 - INTERVENTO
 
Nel mondo una politica bipartisan
 
WALTER VELTRONI

 
Caro Direttore,
all’inizio del XX Secolo la popolazione del pianeta superava di poco il miliardo di persone; in cent’anni il numero si è sestuplicato e 2 abitanti su 5 della Terra sono indiani o cinesi. È un mondo nuovo, che vede crescere l’aspettativa di vita degli europei di quasi tre mesi ogni anno e che registra il calo drammatico della vita media nei Paesi più poveri dell’Africa.
E’un mondo in movimento, nel quale aumenta il numero di chi viaggia per lavoro o per il piacere della scoperta, ma anche chi migra all’interno dello stesso continente o fra un continente e un altro inseguendo il sogno di una vita migliore. È un mondo che ha rivoluzionato il senso delle distanze, avvicinando con Internet idee e persone che vivono a migliaia di chilometri ma anche separando identità che vivono fianco a fianco. Dalla caduta del Muro il cambiamento rimane la cifra vera di questo tempo, un cambiamento che continua a stupire per intensità e rapidità, che apre orizzonti e offre opportunità, ma nasconde anche vecchie insidie e nuovi veleni. In questo tempo il Partito democratico vuole offrire all’Italia una visione di politica responsabile e capace di mobilitare le risorse della nostra comunità nazionale, in particolare delle nuove generazioni, destinatarie domani delle nostre scelte di oggi.

Responsabilità condivise
Il mondo nuovo sarà sempre più multipolare. Ce lo conferma l’emergere della Cina come superpotenza economica ma anche politico-militare, l’affermazione dell’India con la sua democrazia e la sua modernizzazione, il ritorno della Russia, l’ascesa di Paesi leader continentali come Sudafrica e Brasile. Questo comporterà il ripensamento del ruolo dell’Europa e più in generale il ridimensionamento dell’Occidente: nuove leadership, nuovi equilibri e dunque nuove strategie. È per questo indispensabile, oggi più di ieri, ribadire la scelta per una politica multilaterale e l’impegno italiano nelle organizzazioni internazionali che ne sono lo strumento. Un impegno che vive anche attraverso le missioni di pace in cui l’Italia è protagonista grazie alla professionalità e alla generosità dei nostri soldati. Siamo anche convinti che per giungere davvero a istituzioni sovrannazionali capaci di gestire le nuove sfide globali, per fare divenire questi strumenti più efficaci nei risultati e più rappresentativi di questo mondo nuovo, occorra continuare a lavorare per la riforma delle Nazioni Unite e delle istituzioni finanziarie internazionali, del Consiglio di Sicurezza, per l’istituzione di un Consiglio per lo Sviluppo Umano e di uno per l’Ambiente.

Avanguardia europea
Il Partito democratico deve rilanciare in Europa il processo d’integrazione politica. L’Italia ha scommesso tutta se stessa sull’Europa fin dalla sua nascita, convinta che il massimo dell’integrazione comunitaria coincidesse con il massimo dell’interesse nazionale. L’Europa massima possibile, dunque, non quella minima indispensabile. L’Europa non come problema ma come prima risposta politica a chi dice che la globalizzazione è ingovernabile. Questo ci ha spinti ieri a essere molto esigenti nella scrittura del trattato costituzionale e a lavorare ora per non disperdere la sostanza di quel lavoro, per chiedere una politica estera e di sicurezza comune, una politica di rinnovamento del modello sociale europeo, un maggiore impegno verso ricerca e innovazione. Ma se l’Europa a più velocità già esiste nei fatti, dobbiamo impegnarci per una vera democrazia europea. Se necessario, sia un nucleo forte di Paesi a procedere per primo sulla strada che porta a una vera e propria Unione politica. Una fase costituente dell’Europa politica per diventare global player, per uscire da un’idea paternalistica di Europa per gli europei e giungere finalmente a un’Europa degli europei. Vogliamo scommettere fin d’ora sulla generazione figlia del programma Erasmus, estendendolo e potenziandolo fino ad arrivare a rendere normale per tutti un periodo di studio all’estero di almeno sei mesi. Le elezioni europee del 2009 avranno una grande rilevanza: noi rappresenteremo l’idea di un’Europa più forte e democratica con l’obiettivo di costruire al Parlamento e nel nostro continente un grande campo dei democratici, dei socialisti e dei riformisti, a vocazione maggioritaria.

L’hub mondiale del nuovo secolo
Il Mediterraneo è tornato a essere un grande crocevia del mondo e l’Italia può giocare la sua straordinaria posizione costruendo un circuito «euromediterraneo» che offra opportunità inedite nei trasporti, nell’uso delle risorse, dell’ambiente, dell’energia, nel governo dei flussi migratori, nel dialogo interreligioso e culturale. La nostra collocazione fa di questo mare e del nostro Paese il nuovo hub mondiale dei commerci con l’Oriente e delle rotte energetiche provenienti dal Caspio, dal Golfo, dalla sponda settentrionale dell’Africa. Il Mediterraneo deve divenire il luogo del dialogo politico-culturale che ricompone le gravi fratture del nostro tempo, e l’Italia l’esempio della miglior convivenza possibile. Occorrono però programmi di modernizzazione industriale e infrastrutturale, promozione d’investimenti, corridoi che leghino la sponda Sud alle reti europee, sostegni alle piccole e medie imprese italiane assai adatte a diffondersi in quest’area. L’iniziativa europea verso i Balcani occidentali e la Turchia per un loro futuro accesso all’Unione è nostro interesse strategico. L’Italia deve favorire le riforme in quei Paesi e la loro stabilizzazione istituzionale e sociale che resta l’unico modo per garantire il superamento dei conflitti che li hanno attraversati.

Amicizia responsabile
L’Italia deve mostrare agli Stati Uniti d’essere un Paese non solo amico ma utile. Alla fine della guerra fredda abbiamo perso il nostro ruolo di frontiera della frattura Est-Ovest, ma per noi il legame atlantico resta vitale poiché costruito su una comunità di valori e di principi. Dobbiamo però da un lato confermare la funzione di Paese amico poiché influente e ascoltato in Europa, dall’altro interpretare la novità possibile: la centralità del Mediterraneo, l’integrazione dei Balcani e della Turchia, il dialogo con il mondo arabo sono obiettivi che rispondono anche alla necessità di garantire la pace, la sicurezza, e la lotta al terrorismo. Infine, deve essere chiaro che amicizia e lealtà implicano, se necessario, esprimere diversità di opinioni così come negoziare pragmaticamente la propria agenda. Una cosa, ad esempio, è appoggiare il modo in cui gli Stati Uniti si seppero muovere, nel segno del multilateralismo, per intervenire in Afghanistan all’indomani dell’11 settembre, altro è «stare con gli americani a prescindere», come è stato detto in occasione della sventurata guerra in Iraq. Tanta acriticità non serve a noi, e si è rivelata poco utile anche a loro.

No excuse
Pace, democrazia e sviluppo sono obiettivi importanti per l’Italia e devono divenire una priorità per tutta la comunità internazionale. È in particolare in Africa che le sfide globali devono essere vinte, a cominciare dal raggiungimento degli «Obiettivi di sviluppo del millennio» fissati dalle Nazioni Unite e sui quali scontiamo un inaccettabile ritardo. Ma occorre intensificare gli sforzi per superare la tragedia del Darfur, per stabilizzare il Congo, per dare una risposta alle altre crisi come in Somalia e in Zimbabwe. Il prossimo summit euro-africano che si terrà a Lisbona dopo un’interruzione di ben sei anni dovrà produrre risultati effettivi per lo sviluppo, la prevenzione dei conflitti, l’affermazione dello Stato di diritto. La lotta all’Aids, la sicurezza alimentare, la promozione della democrazia, il sostegno alla società civile sono le priorità di un rinnovato impegno italiano nella cooperazione internazionale. Il nostro Paese possiede uno straordinario patrimonio di solidarietà e di competenze nella società civile, nelle ong e nelle istituzioni locali. È tempo di valorizzarlo attraverso una nuova legge sulla cooperazione e un incremento programmato delle risorse disponibili. Lottare contro la povertà, dare speranze di una vita dignitosa, rappresentano un imperativo morale e una necessità, perché le ingiustizie, oltre che inaccettabili in sé, diventano fonte di insicurezza per tutti.

Fermiamo le ingiustizie
L’iniziativa per una moratoria delle esecuzioni capitali ha incontrato un grande successo che speriamo di confermare anche alla prossima riunione dell’Assemblea Generale dell’Onu. Il sostegno europeo all’azione italiana premia la costanza delle organizzazioni che da tempo si battono per questo obiettivo, ma anche l’impegno del Parlamento, della diplomazia e del governo. E del resto la nostra elezione nel Consiglio di Sicurezza e poi nel Consiglio sui Diritti Umani riconosce sia l’attivismo italiano che il nostro tentativo di valorizzare comunque un coordinamento europeo che operi per un multilateralismo efficace. L’affermazione dei diritti umani è un faro che deve orientare la nostra azione: la Corte di Giustizia e il Tribunale Penale Internazionale devono essere il centro di un sistema che garantisca la punizione dei crimini più gravi, ma anche gli accordi di cooperazione siglati dal nostro Paese dovranno contenere clausole serie relative alla tutela dei diritti umani.

Cambiare aria per un mondo sostenibile
L’umanità vive una crisi ecologica su scala planetaria. Ciascuno di noi lo avverte sulla propria pelle: clima impazzito, stagioni irriconoscibili, inquinamento, desertificazione e riduzione della biodiversità. E in più l’accesso all’acqua potabile ancora negato a oltre un miliardo di persone. Una politica internazionale moderna deve assumere la sfida dei cambiamenti climatici come stella polare, come insegna la recente iniziativa guidata da Al Gore. Non serve allarmismo, ma un’immediata e responsabile consapevolezza del rischio. Il genere umano ha la possibilità di salvaguardare la natura e di soddisfare i propri bisogni grazie a uno sviluppo sostenibile, dato che le conoscenze scientifiche e le innovazioni ci offrono nuovi sistemi produttivi, nuove merci e servizi meno inquinanti e a basso consumo di materiali ed energia. Il raggiungimento degli obiettivi di Kyoto, rafforzati dalle decisioni dell’Unione sulla CO2, e la fissazione degli obiettivi per il periodo successivo al 2012, vanno considerati una priorità e un’occasione irripetibile. In questa emergenza è positiva l’idea di creare una nuova istituzione internazionale, una sorta di Consiglio di Sicurezza dell’Ambiente, che sia parte integrante del sistema delle Nazioni Unite, che riunifichi e rafforzi competenze sinora deboli e disperse, che sappia promuovere un «nuovo ordine ambientale».

Nuove energie
La tendenza al superamento dei combustibili fossili e l’impiego di fonti di energia rinnovabile a ridotto impatto ambientale ci spingono verso nuove soluzioni. È indispensabile che l’Italia si doti nel quadro europeo e internazionale di una strategia di sicurezza energetica che comprenda la certezza dell’accesso alle fonti, il risparmio energetico, la diversificazione, l’impatto ambientale, la ricerca e lo sviluppo di fonti alternative. Occorre investire sulle energie rinnovabili. Il loro impiego permette non solo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, ma anche l’eccessiva dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Dobbiamo perciò seguire con convinzione la strada indicata dal recente Consiglio europeo: arrivare entro il 2020 a una quota del 20% di energie rinnovabili e a una quota minima di biocarburanti del 10% nel settore dei trasporti.

Allontanare la minaccia nucleare
L’umanità sta rischiando concretamente di entrare in una seconda era nucleare. È uno spettro reale. Dopo anni di riduzione degli arsenali, Stati Uniti e Russia sono tornati ad aumentare le spese per il loro ammodernamento e potenziamento. In diversi Paesi si sta facendo strada la convinzione che il possesso di armi nucleari rappresenti la migliore garanzia di sicurezza contro un attacco esterno e comunque una «carta» da spendere sul piano dei rapporti di forza in una determinata area o a livello più ampio. Troppo sottile è il confine tra scopi civili e militari per non guardare con preoccupazione alla diffusione delle tecnologie nucleari o alla crescente disponibilità dell’uranio, materia prima indispensabile per la produzione di armi di distruzione di massa. Impossibile, in particolare, non provare inquietudine di fronte alla crisi nucleare iraniana. Fermezza e dialogo sembrano aver condotto a una soluzione positiva rispetto al regime nordcoreano, che si è impegnato a smantellare i suoi impianti entro la fine dell’anno. Fermezza e dialogo dovranno essere il modo per arrivare al rispetto delle risoluzioni dell’Onu da parte di Teheran, a una reale ed effettiva cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica e alla sospensione dei programmi di arricchimento dell’uranio.

Oltre la siepe
Siamo testimoni, dunque, di un cambiamento storico che mette in discussione la politica estera tradizionale, ma offre anche all’Italia, alla sua privilegiata posizione geografica, alla sua cultura millenaria, l’occasione di giocare un inedito sistema di relazioni in Europa e nel mondo. Il Partito democratico offre questo insieme di scelte al dibattito del Paese. Non ci nascondiamo l’obiettivo di poter far convergere su di esse le altre principali forze politiche così da tornare finalmente a un’idea condivisa di politica internazionale - che da sempre dovrebbe essere il campo delle intese bipartisan - e da superare quelle logiche di schieramento di parte che ci hanno spesso indebolito. Sarà così possibile valorizzare l’amore e il rispetto che il mondo intero nutre per il nostro Paese e unire le grandi energie di cui disponiamo per promuovere sempre meglio gli interessi della nostra comunità nazionale che, oggi più che mai, coincidono con un più generale interesse europeo e internazionale.
 
da lastampa.it
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« Risposta #61 inserito:: Settembre 23, 2007, 04:07:44 pm »

“La scoperta dell’Alba”, in anteprima allegorica il manifesto politico di Walter Veltroni

di
Nadia Cavalera


L’uomo è rotto dentro, nel senso che è mal funzionante, imperfetto e contagia di questa sua condizione la famiglia (spesso rotta nelle sue dinamiche interne), ma anche la città (rotta nei rapporti interpersonali, sociali), lo stesso mondo, che va sempre più giù a rotoli. Financo la natura sempre più a pezzi.

E se l’uomo è ad immagine di Dio, c’è evidentemente un difetto d’origine, una materia Dio imperfetta, che si riproduce continuamente, diversamente ed instancabilmente nel tentativo di superarsi. Senza alcun successo finora. L’uomo comune cosa deve fare? Arrendersi o reagire come ha sempre fatto dacché è comparso sulla Terra?

Dopo tante arrovellate figure di inetto, uomo impotente ad agire, senza qualità o schiacciato dall’insignificanza della sua essenza, che hanno attraversato la letteratura del Novecento, Giovanni Astengo, il protagonista de “La scoperta dell’alba” di Walter Veltroni, reagisce.
Lui, uomo rotto, con una moglie rotta dall’aver procreato una figlia rotta perché down peraltro amatissima e definita non a caso “origine del mondo”, vince con sorprendente vitalità.

E’ comunque il concetto di rottura, variamente richiamato morfologicamente (ora con un aggettivo, ora con un avverbio, un verbo o solo un sinonimo) a costituire la chiave per comprendere questo romanzo asciutto, essenziale come i tempi richiedono, lieve e denso nel contempo.

Vediamolo nello specifico.

Verso i quarant’anni, un dipendente ministeriale, addetto all’archivio di Stato (sezione lettura e catalogazione di diari), dopo aver vissuto per lunghi anni una vita all’apparenza regolartradizionale, in profondità rotta dall’improvviso e immotivato abbandono del padre, subìto a 13 anni, trova la forza insperatamente di riaffiorare dalla sua intima prostrazione di frantumata indeterminatezza e affrontare, risolvendolo, il vecchio nodo rimosso.

Lo fa col mezzo che più gli è familiare per il lavoro svolto: la stesura, a sua volta, di un diario, strumento da lui molto apprezzato perché depositario del “senso ultimo dei giorni di qualcuno”. Lo fa nel luogo più solitario della casa: la soffitta, come spazio memoriale della mente. Lo fa nel tempo cui lo costringono i sistematici risvegli precoci, quasi a marcare un’improrogabile urgenza esistenziale: la prima luce del giorno, tra la notte e l’aurora.

Così il protagonista, Giovanni Astengo, “pianificatore” di vocazione (di qui il nome di un noto urbanista del ‘900), gioco forza per l’orologio biologico, scopre e apprezza l’alba in tutte le sue sfaccettature e variazioni, nelle sue possibilità di carica vitale. Un’alba che nelle minute annotazioni piene di rimandi letterari (Calvino, Basile) non è solo fisica, ma rappresenta figuratamene la sua condizione psichica, di schiusa verso una vita piena, di tensione dunque verso il superamento di un’empasse: indice di un punto di rottura. Alba come speranza di ricomposizione futura. Di riscossa.

Ma se il tema dell’alba è la colonna sonora emozionale che accompagna il dipanarsi del racconto in cui il protagonista ripercorre con levità la sua vita in un’indagine però serrata fino a venirne a capo, sarà il televisore privo di audio, a fare da scenografia mobile, mutevole, come “un colore di traverso”, sconcio, che va male, contrario ai propri desideri perché fatto di sangue, carcasse di auto esplose, tsumani, ballerine che non ballano, polli all’influenza, madri con figli straziati in braccio, incendi, il canto dei ghiacciai morenti…mentre si rompono nel mare. Insomma il presente, con tutto il suo peso negativo da rimuovere e che non può che essere leopardianamente “muto”, senza comunicazione, inaccettabile nella sua incomprensibilità per chi, rimestando nelle macerie del passato, si accinge alla sua manutenzione ed è proteso al futuro, all’avverarsi di un “giorno” pieno, integro nella sua compiuta eloquenza di valori. Per quanto possibile perfetto.

Come praticabile, dopo molte cure, riuscirà a rendere il giardino della vecchia casa di campagna, non più frequentata dopo l’allontanamento del padre, e che ritorna a visitare proprio in quell’estate torrida in cui, più libero da figli e moglie (tutti all’estero per vari motivi) avvia il diario.

Questa casa, immersa nel verde, dalla facciata ricoperta d’edera, le stanze ampie e vuote, alcuni oggetti ben noti sparpagliati qua e là , svolge un ruolo determinante, anzi risolutivo. Quasi trasposizione della soffitta, materializzazione traslata dei suoi pensieri più remoti, costituisce quel passato, che Astengo non aveva mai affrontato, ed il vasto giardino intorno, (con l’albero su cui lo zio aveva registrato con tacche la sua altezza), misterioso, intricato, complesso, rappresenta l’incrostazione di una cieca rimozione. Tant’è che man mano che il protagonista, tramite l’ingenuo stratagemma di una telefonata impossibile con se stesso bambino, chiarisce la vicenda personale della sua adolescenza, il giardino da giungla si trasformerà in un “prato ragionevole”.

E’ la casa, che lui prima aveva sempre evitato, a permettergli il tuffo nel passato, da lui schivato perché troppo doloroso e insostenibile. La casa, pregna del suo passato, avvierà il processo di autoanalisi, la precisa riconsiderazione di ogni minimo particolare, che, col supporto di ricerche in biblioteca, in internet, di incontri, gli daranno la soluzione che cercava: il padre non li aveva abbandonati per capriccio, ma spinto dalla paura di essere scoperto quale mandante dell’omicidio del suo più caro amico, per prenderne il posto: il professore Tessandori, preside della Facoltà di Architettura.
Dunque il padre tanto idealizzato era un semplice opportunista. Peggio, uno squallido soggetto che per le sue mire personali non aveva esitato a manipolare e sfruttare alcuni ingenui fanatici terroristi.

E qui si direbbe che l’autore faccia trasparire la sua personale idea sugli anni di piombo: una pura follia, tanto più in quanto i veri burattinai sono sempre quelli che dominano, che stanno in alto, mascherati, perniciosi per qualsiasi libertà.

A cercare di combatterli non basterà certo l’allusione in questo libro, che comunque, dacché il suo autore si è assunto il compito di guidare il neonato fragile partito democratico, può senza ombra di dubbio considerarsi l’anteprima del suo programma politico. In nuce, allegorica.
 
Potrà il politico Walter Veltroni, con la sua controllata vitalità, far scoprire l’alba di un nuovo giorno anche alla nostra Italia rotta e disgregata?

Lo speriamo, tra tante paure.

Modena, 13 luglio 2007

da www.bollettario.it
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« Risposta #62 inserito:: Settembre 26, 2007, 09:53:39 am »

25 settembre 2007

Veltroni: da oggi è possibile sostenere il nostro impegno in modo chiaro e trasparente

Aderisci alla raccolta fondi per creare insieme il PD

Con oggi, dopo la presentazione delle liste in tutti i collegi, parte la campagna elettorale per l'elezione della Costituente del Partito Democratico.


Ora ci aspetta un compito importante: mobilitare centinaia di migliaia di donne e di uomini, convincerli ad andare a votare, domenica 14 ottobre, e costruire insieme a loro una nuova stagione per il nostro paese.

Per la prima volta insieme si darà vita ad un soggetto politico che ha l'ambizione di cambiare l'Italia.
Abbiamo contribuito in questi mesi alla crescita di un clima positivo intorno al nascente Partito Democratico. Abbiamo lavorato ogni giorno per ampliare i consensi, per interessare il maggior numero di persone a questo grande progetto.

Nei prossimi venti giorni dobbiamo aumentare il nostro sforzo per spiegare a tante italiane e a tanti italiani i nostri progetti e le nostre idee: su questo cercheremo di costruire il piu' ampio consenso perche' piu' larga e approfondita sara' la discussione piu' forte e solido sara' il nuovo partito.

Per fare questo e' necessario aiutare chi ha voglia di impegnarsi in questo sforzo: per organizzare iniziative, per comunicare bene, per far conoscere i caratteri della competizione, per consolidare il radicamento del PD.
Per avvicinare un maggior numero di cittadini alle primarie abbiamo chiesto ed ottenuto (su questo c'e' stato l'accordo di tutti i candidati) che fosse abbassata ad un euro la quota per accedere al voto del 14 ottobre.

Ora pero'serve che da qui a quella data tante siano le occasioni di discussione e di incontro per illustrare ai cittadini le nostre idee e il nostro programma.
E allora, anche attraverso il tuo contributo,dobbiamo cercare di dare forza alle iniziative e alla comunicazione dei comitati che in tutta Italia sostengono la mia candidatura.
Il tutto nella massima sobrietà e con una cura attenta e scrupolosa alla limitazione massima dei costi.
Per questo ti ringraziamo sin da ora per l'aiuto, anche economico, che vorrai darci.

Con carta di credito attraverso il sito www.lanuovastagione.it oppure attraverso un bonifico bancario sul c/c n. 5003938 intestato al Comitato La Nuova Stagione ed aperto presso la Filiale RM 13 della Banca di Roma (ABI 3002, CAB 05027) e' possibile gia' da oggi dare un contributo al lavoro che stiamo tutti insieme facendo.

Saremo così in grado di garantire un finanziamento congruo e trasparente ad un' iniziativa che non ha eguali nella storia politica del nostro Paese.


Walter Veltroni


da veltroniperlitalia.it
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« Risposta #63 inserito:: Settembre 30, 2007, 04:25:46 pm »

Ai lettori dico: non perdete la fiducia

Walter Veltroni


Caro Padellaro,

è vero: delle lettere inviate a l'Unità non ne perdo una. Succedeva anni fa, quando dirigevo il giornale e avevo modo di leggere anche quelle poi non pubblicate, e accade così oggi. Quelle che avete scelto per rappresentare i tremila messaggi arrivati dopo il tuo appello perché cessino litigi e divisioni all'interno del nostro schieramento confermano, una volta di più, quanto siano grandi la saggezza e la voglia di unità del popolo di centrosinistra. Ma anche, e certo non possiamo nascondercelo, quanto sia forte il malessere che lo attraversa, e come crescano le preoccupazioni dopo tante attese e tante speranze.

Sai bene che ho ben chiari questi sentimenti e questa situazione. Lo sai perché mi conosci, e anche perché, a proposito di lettere, ricorderai le mie, di qualche settimana fa, indirizzate ai gruppi dirigenti di Ds e Margherita e poi ai candidati alla segreteria del Partito democratico. Alla fine di entrambe esortavo, in buona sostanza, a non sciupare tutto proprio ora, a non ricadere nei vecchi vizi tipici della sinistra, in quella speciale capacità di farci male da soli, e spesso proprio nei momenti più ricchi di opportunità. Scrivevo anche che il Partito democratico potrà essere, se saremo all'altezza del compito, la terapia giusta, un modo per guarire da questa malattia. Io di questo resto convinto, e anzi, girando l'Italia in lungo e in largo, e toccando con mano quanta passione e quanto impegno animino la nostra gente, lo sono ancora di più, e proverò in poche righe ad accennare al perché.

Tu scrivi, all'inizio dell'editoriale di ieri, che il problema di fondo sollevato dal giornale e dai lettori non si risolve nemmeno se a parlare sono i fatti, se poi il messaggio che arriva agli italiani è quello delle divisioni, degli sgambetti tra i partiti che devono sostenere il governo. Hai ragione, ma inviterei al tempo stesso a non far caso sempre e solo alle cose negative - anche questo è un nostro antico vizio - e ad apprezzare di più quel che riusciamo a fare, anche se costa fatica, anche se porta via tempo e fa perdere un po' dello slancio iniziale. Vale per il governo, che certo è penalizzato da troppe polemiche e contrasti che ne appannano l'immagine, ma ha appena raggiunto l'accordo su una finanziaria che prosegue il percorso di risanamento dei conti pubblici, che ridistribuisce e sostiene i più deboli, che incentiva le imprese e lo sviluppo, e in quest'anno e mezzo ha portato avanti un'opera di risanamento finanziario che oggi fa rispettare all'Italia i parametri europei, ha rotto un lungo immobilismo con le liberalizzazioni e l'apertura dei mercati, ha restituito credibilità all'Italia sia in sede politico-istituzionale che in sede economica. E vale, cosa che mi riguarda direttamente, per il cammino del Partito democratico.

Se c'è una cosa che i lettori di questo giornale hanno sempre avuto a cuore, quella cosa, l'abbiamo appena detto, è l'unità. Bene: quando mai è successo nella nostra storia, e mi riferisco all'intera storia italiana, che un partito nascesse non per scissione, non dopo una spaccatura, ma per unione, per una volontà d'incontro sancita per giunta da centinaia di migliaia di persone? Il Pd nasce così. Nasce unendo, e nasce per unire. Culture, organizzazioni, uomini e donne, giovani. Le loro storie, le loro idee sulle questioni nuove, sul futuro. Perché non apprezzarlo pienamente e come si deve? Perché non farne un valore, un fattore di fiducia, un elemento concreto di unità? E poi, l'ho detto e lo ripeto: il Pd, per sua natura, sarà sinonimo di pluralità, di democrazia interna, di partecipazione responsabile. Ma per come lo intendo io, e per come lo costruiremo se toccherà a me il compito di farlo insieme agli altri, al suo interno non avranno cittadinanza logiche vecchie e piccole, improntate a personalismo, protagonismo e correntismo. Cominceremo da noi stessi. Il Pd sarà l'esempio di come diverse ispirazioni possono convergere in obiettivi chiari, in una politica condivisa. Diversità che non diventano divisione.
E ancora: per la vocazione maggioritaria con cui nasce, io credo toccherà al Partito democratico, quando sarà il momento, essere il baricentro di uno schieramento che dovrà, e lì si vedranno i suoi confini, costruirsi attorno a cinque-dieci idee forza. Punti netti e qualificanti, con cui presentarsi di fronte agli italiani, per convincerli e per governare cinque anni, non «contro» qualcosa o peggio ancora qualcuno, ma «per» il Paese e in nome delle idee in cui si crede, senza continue divisioni, senza mediazioni estenuanti. Omogeneità dei programmi e coesione dello schieramento, perché sarà stabilito prima e con chiarezza chi ci sta e chi no. E allora, mi auguro, non ci sarà più bisogno di appelli all'unità.

Prima di allora, certo, il Pd dovrà essere protagonista anche del cambiamento della legge elettorale, nel segno del bipolarismo, del potere di scelta ai cittadini, e per l'appunto della stabilità. Anche qui, caro Antonio, i fatti potranno non bastare se non cambia lo spirito, se la politica non sarà in grado di ripensare e di riformare se stessa, però è evidente che una legge come l'attuale è fatta apposta per moltiplicare la frantumazione, per favorire i veti e le rendite di posizione nemmeno di piccoli partiti e movimenti, ma di singoli individui, nel caso attuale di singoli senatori. E per allargare, anche in questo modo, il divario che sempre più sta separando i cittadini dai partiti e dalla politica.
Insomma, se io dovessi rispondere alla tua esortazione e alle preoccupazioni dei lettori de l'Unità, direi: non perdete la fiducia, i problemi ci sono e li vediamo, ma come sempre è nelle mani degli uomini la possibilità sia di danneggiare e compromettere il loro stesso cammino, sia di aprirlo a possibilità nuove, a soluzioni che guardano non ai singoli interessi ma al bene comune. Perché per noi e per il nostro Paese sia questa seconda ipotesi a realizzarsi, e non la prima, la cosa da fare è contribuire a far nascere nel modo migliore e più forte, il 14 ottobre, il Partito democratico.



Pubblicato il: 30.09.07
Modificato il: 30.09.07 alle ore 15.16   
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« Risposta #64 inserito:: Ottobre 02, 2007, 05:49:27 pm »

1 ottobre 2007

Il PD farà scudo alla Costituzione

Leggi la lettera di Walter Veltroni su Repubblica


Il Partito democratico che nasce avrà nella Costituzione repubblicana, nei suoi principi fondamentali, nella tavola dei diritti e dei doveri dei cittadini e nei lineamenti architettonici dell’ordinamento della Repubblica, la costellazione che orienterà il suo cammino. Chiunque sia il segretario chiamato a guidarlo. Non possono esserci e non ci sono dubbi al riguardo.

La fedeltà del Partito democratico alla Costituzione del 1948 non solo non contraddice, ma dovrà ispirare il suo impegno per l’adeguamento della seconda parte della Carta, attraverso un definito e limitato, ma coraggioso, programma di riforme costituzionali, da realizzare in Parlamento attraverso la più ampia convergenza politica possibile. Essere fedeli ai valori costituzionali e in particolare a quell’attualissimo, programmatico secondo comma dell’articolo 3, che definisce “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, significa infatti nutrire un’idea alta e forte della politica, che è chiamata non a prendere atto della realtà sociale così com’è, con le sue ingiustizie e i suoi squilibri, ma ad operare per creare effettive condizioni di pari opportunità per tutti i cittadini.

Perché ciò sia possibile, come ho avuto modo di dire più volte in queste settimane di confronto in vista della Costituente del Partito democratico, è necessario conferire al nostro sistema politico capacità di decisione: superando l’attuale bicameralismo perfetto, riducendo il numero dei parlamentari, riformando la legge elettorale, prevedendo tempi certi per l’approvazione o la bocciatura delle proposte di legge, rivedendo tutte le norme dei regolamenti parlamentari che incoraggiano la frammentazione dei partiti e dei gruppi, rafforzando i poteri del presidente del Consiglio sul modello europeo del governo del primo ministro e, contestualmente, il sistema di garanzie contro qualunque rischio di dittatura della maggioranza o di deriva plebiscitaria, anche prevedendo quorum qualificati per la modifica della prima parte della Costituzione. La nostra è una crisi democratica profonda, per molti versi senza precedenti. L’Italia ha bisogno, per uscirne, di una democrazia che decida.

Fa poi parte delle garanzie a presidio di una società che vogliamo aperta e libera, la netta distinzione tra la sfera politica e quella economica e sociale.
Una distinzione che va tutelata attraverso una normativa contro il conflitto di interessi, che va sollecitamente approvata in Parlamento, ma anche attraverso un rigoroso codice etico che il Partito democratico dovrà darsi, prevedendolo esplicitamente nel suo Statuto, insieme ad un’autorità interna che vigili sulla sua applicazione. Difendere la Costituzione repubblicana significa anche rimuovere le cause di discredito della politica: quelle che hanno a che fare col suo scarso rendimento, ma anche quelle che derivano dall’eccesso di costi e dalla selva di privilegi e rendite di posizione, anacronistici e intollerabili per un Paese civile. E come dice il documento, occorrerà fissare i paletti che presidiano la sfera della politica e separano la funzione della regolazione e dell’indirizzo, che le appartiene, da quella della gestione, che deve essere esclusivamente dell’autonoma responsabilità della competenza.

Walter Veltroni

da www.veltroniperlitalia.it
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« Risposta #65 inserito:: Ottobre 05, 2007, 05:36:36 pm »

STRATEGIE

Quella scossa alle «incartate»

Veltroni, Veronica e le donne del Pd


 Ci eravamo preoccupate. Eravamo rimaste deluse. Ci sentivamo, francamente, un po' fesse; dopo aver detto per anni «guardate che Veltroni è un genio, fa il bonaccione ma è furbissimo, ne sa sempre una più del diavolo» e cose del genere. Si cominciava a pensare che il leader in pectore del Pd avesse cominciato a infilare gravi gaffes, non degne di lui, storico bravo ragazzo con pudori di stampo berlingueriano: battute sulla Prestigiacomo, battute rubate a Steve Martin sul «non potrei essere una donna, starei sempre a toccarmi le tette», e poi il culmine. Tra tutte le donne che poteva indicare come forte contributo al nuovo partito, la segnalazione di Veronica Lario in Berlusconi. Si sta berlusconizzando, hanno detto in molti, qualcuno/a ghignando qualcuno/a sconsolato/a.

Invece no: è il solito astuto, maieutico Walter, che dopo mesi e mesi è riuscito a scuotere le incartatissime donne del quasi Pd. Divise nelle scelte (c'è chi si è candidata con lui e chi ha scelto Rosy Bindi o anche Enrico Letta) e soprattutto nelle idee (sono candidate pro Veltroni donne in disaccordo su tutto, specie su temi cruciali come unioni di fatto e aborto e fecondazione assistita); finora, Bindi esclusa che ha fatto campagna come una leonessa, pochissimo visibili. E invece dall'altro ieri combattive, arrabbiate, a sorpresa visibilissime. Tutte (o quasi) a dire che le donne non devono essere ornamentali. A ribadire che sono il cinquanta per cento dei candidati alla costituente, e che vogliono contare, scegliere e non essere scelte; a chiedere di «portare un'amica» (non Veronica, si suppone, per quanto incolpevole) a votare nelle primarie del 14 ottobre. Ci voleva una provocazione, è chiaro, e pure brutale, per risvegliarle dal torpore e scuotere un partito che nonostante gli sforzi rischiava di avere un gruppo dirigente maschio e maschilista. Meno male.

In più, da avversario leale, Veltroni è riuscito a dare spazio ai due rivali che stacca nei sondaggi. Bindi è di nuovo molto intervistata, si schiera femministicamente più a sinistra (e lascia a Walter spazio bipartisan e signorile al centro, lo dicevamo che era un genio). Anche Letta, tipo serio, grazie all'assist fa una buona battuta e dichiara di voler convincere Marina Berlusconi. E la strategia della provocazione continua. Col vice di Walter, Dario Franceschini, che intercetta il passaggio e indica Veronica come esempio di «riformismo illuminato». Ora, vivaddio, si arrabbieranno anche i riformisti (e anche gli illuminati, se ce n'è ancora qualcuno, si spera).

Maria Laura Rodotà
05 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #66 inserito:: Ottobre 05, 2007, 05:39:39 pm »

Vita segreta di Walter

Anticipazione di alcuni passi del libro «Veltroni, il piccolo principe», una biografia non autorizzata scritta da Damilano, Gerina e Martini

Papà Vittorio
«Giovedì 26 luglio, nelle prime ore del pomeriggio, Vittorio Veltroni si è spento nella sua abitazione romana dopo una insesorabile malattia. Il pianto del suo piccolo Valerio l’ha accompagnato negli ultimi istanti di vita terrena. L’altro figlioletto, Walter, ha guardato senza capire, stretto alla gonna della mamma, signora Ivanka: ha appena 12 mesi». Il nome del futuro sindaco di Roma appare per la prima volta sulla stampa, sul «Radiocorriere», nel giorno della morte del padre. «La sua assenza è stata la prova decisiva della mia vita», rivela Walter Veltroni. Che una volta ha scritto: «Come sia arrivato alla Rai non lo so, credo abbia cominciato dalle radiocronache». In realtà la storia, finora mai scritta, di Vittorio Veltroni è quella dell’enfant prodige dell’Eiar, la radio di Stato degli anni Trenta, e poi dell’uomo-chiave della televisione appena nata negli anni Cinquanta ... Morto a soli 33 anni, il 26 luglio 1956, stroncato da una leucemia contratta dopo un incidente d’auto e una trasfusione sbagliata, Vittorio Veltroni era entrato nell’Eiar alla fine degli anni Trenta. Da poco nella squadra dei radiocronisti, nel 1938 viene incaricato di seguire il viaggio di Adolf Hitler in Italia, la prima no-stop della storia della radiotelevisione italiana, 51 tecnici, 12 radiocronisti ... Un anno dopo viene scelto per il primo esperimento del radio-fonovisore, la televisione del regime. Con il mitico Nicolò Carosio, Vittorio è tra i pochissimi a passare dal microfono al video: a 21 anni è già oltre la radio, è uno dei primi volti televisivi. ...

Poi è lui ad inventare il "neorealismo radiofonico", assieme a Cesare Zavattini e Sergio Zavoli ... È il maestro di personaggi come Nando Martellini, Lello Bersani, Mike Buongiorno; è il primo direttore del telegiornale; anticipa di decenni contenitori televisivi come "Domenica in" o come la "Domenica sportiva"; intuisce che la radio può essere usata anche a scopi sociali: con il disastro del Polesine nel 1951, come racconta Zavoli, «ogni sede della Rai si unì allo studio di via Asiago per la più grande, emozionante diretta della storia radiofonica», inventando la Catena della fraternità, il prototipo della futura Telethon ... Da quel papà, il figlio Walter erediterà i tratti più caratteristici. La modernità: afferrare il nuovo un istante prima degli altri. Il calore con cui si può semplificare un messaggio. Il professionismo con cui trasformare ogni evento in una macchina propagandistica.

La prima volta con Silvio
«Il maggiordomo apre la porta, ci conduce per stanze cinquecentesche. Attraversiamo una sfilata di porte incorniciate di travertino, l’arredamento restituisce la cultura di chi ha abitato queste stanze. Il luogo mi sensibilizza fisicamente, tanto da far passare in subordine il motivo che ha portato lì me e Walter...».

Siamo nel 1984, in un salotto principesco in piazza Navona a Roma. È Achille Occhetto la voce narrante di quella serata, lui che nel Pci si occupa di media e Veltroni è il suo vice. Nel salotto c’è tutto lo stato maggiore della Fininvest e al centro il loro capo, Silvio Berlusconi: «Vero che di persona non sembro così cattivo come mi dipingono? Io i soldi li ho fatti con l’edilizia» ... E mentre i camerieri servono i sorbetti, il Cavaliere cala la carta a sorpresa: si potrebbe assegnare alla Rai l’informazione, alla Fininvest lo spettacolo. La tensione sale quando un manager del Biscione attacca le proposte presentate in Parlamento. «Scusa, Walter: ma quella non è la tua proposta, o sbaglio?», chiede Occhetto. «Sì, è proprio quella», risponde Veltroni. A quel punto il messaggio è chiaro: il Pci dice no a qualsiasi spartizione.

Walter e Massimo
C’è una pellicola in bianco e nero alla quale il giovane Veltroni è affezionato: "Il sorpasso" di Dino Risi, la storia di un quarantenne e di uno studente che si conoscono nella Roma deserta di agosto. Siamo negli anni del miracolo economico: Bruno, interpretato da Vittorio Gassman, è un fanfarone, il simbolo dell’Italia amorale che si sta affermando; Roberto, impersonato da Jean-Louis Trintignant, è un giovane ingenuo che, per seguire l’altro, finirà per perdere la vita in in un sorpasso fatale. A ventisei anni, nel 1981, Veltroni dedica loro un passaggio della prefazione al suo libro "Il sogno degli anni Sessanta": «Italia gaudente e volgare, come Bruno, il chiassoso protagonista del Sorpasso», che «batte a tutti una mano sulla spalla, con superiorità e cinismo», «è sbruffone, ipocrita», «non è felice», «ha l’Aurelia», ma «forse è un fallito». Quattordici anni più tardi Walter Veltroni dà un volto a Bruno.

Nel 1995, nel libro-intervista "La bella politica", ad un certo punto Stefano Del Re gli chiede se sia plausibile la doppia identificazione tra lui e e Trintignant e tra D’Alema e il «personaggio brillante e guascone» interpretato da Gassman. E Walter risponde: «E’ un gioco, ma paradossalmente, nonostante quello che sembra, può darsi che i ruoli reali siano questi». Perfetto: Bruno è Massimo D’Alema. Certo, Veltroni è stato al gioco perché il suo amico intervistatore ha proposto il personaggio interpretato da Gassman nella versione edulcorata del «brillante e guascone». Ma 14 anni prima, Bruno era uno sbruffone, cinico, «forse un fallito». Nel 1995 nessuno si ricorderà di quel precedente. Ma l’accostamento è fatto. Un piccolo gioco che esprime il rapporto tra Massimo e Walter. Quel loro strano linguaggio cifrato, quel loro scambiarsi messaggi in un gergo inaccessibile ad altri. E’ come se i due condividessero una sorta di criptofasia, il linguaggio segreto dei gemelli che talora si scambiano gesti, silenzi, parole incomprensibili agli adulti. E proprio come due gemelli, da decenni Massimo e Walter non si perdono di vista, ognuno "sente" quel che l’altro sta facendo .... anche se c’è qualcosa che rende unico il loro dualismo ed è quel combattersi sotto traccia senza mai contraddirsi in pubblico, quell’amorevole soccorrersi a vicenda in tutti i passaggi difficili.

Il gran rifiuto
Nel 2004, da presidente della Commissione europea, Romano Prodi torna trionfalmente in Italia. Mission: battere una volta ancora Berlusconi. Ma nel 2005 i malumori che pubblicamente trapelano nella Margherita tra i Ds, dietro le quinte prendono la forma di una possibile «intentona». Anche se nulla trapela sui giornali, parte un formidabile pressing di capi-partito e personaggi autorevoli su Walter Veltroni. «Abbiamo mandato una macchina in via Velletri e abbiamo steso il tappeto rosso. Ma dal portone del sindaco non è uscito nessuno», commenta un autorevole stratega rutelliano. Celestino-Veltroni, come lui stesso rivela ora per la prima volta, oppone allora il gran rifiuto: «Dissi di no». E alle elezioni del 2006 si andrà con Romano Prodi.

La nuova sfida
E ora che Veltroni è in campo, nessuno ha capito quale sia il rapporto con Berlusconi, se l’altro lo tema o no. «Da quando mi sono candidato non l’ho mai sentito. Ma le persone che gli sono vicine mi dicono che ha capito ... Con lui non ci siamo mai acchiappati. Ci siamo sempre dati del lei, fino a quando è stato male. In quell’occasione l’ho chiamato e allora abbiamo cominciato a darci del tu». E ora? «Ora tra me e Berlusconi c’è del rispetto. E non ho nulla da ridire su come si è comportato con Roma come capo del governo».

da lastampa.it
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« Risposta #67 inserito:: Ottobre 05, 2007, 05:43:58 pm »

Veltroni: metà ministri e basta sinistra retrò


«Il Pd è convinto che servono innovazioni profonde e radicali al paese. Le porrà al centro della sua politica, se su questo matureranno alleanze, bene, altrimenti il Pd è anche pronto ad andare da solo». Così walter veltroni ai microfoni di Radio anch'io risponde alla domanda se alle prossime elezioni il Pd potrebbe rinunciare all'alleanza con la sinistra radicale.

«Questo paese- aggiunge Veltroni- da tredici anni è bloccato lungo un conflitto che ha determinato due schieramenti: da una parte quella contro Berlusconi e dall'altra quella contro la sinistra. È una concezione malata della democrazia con alleanze fatte contro. Il Pd deve significare una stagione nuova», spiega. Questo significa, aggiunge Veltroni, che «adesso il programma veniva dopo l'alleanza, domani verrà prima».

Veltroni aggiunge poi che «è anche un problema di toni, di concezione della democrazia. Bisogna riunificare l'Italia socialmente e politicamente in una dialettica di ruoli tra maggioranza e opposizione secondo il principio anglosassone "giusto o sbagliato, è il mio paese". Vorrei- conclude- che ci fosse un paese in cui si ripristina una corretta fisiologia di rapporti» politici.

Sulle riforme istituzionali e sulla legge elettorale serve un'intesa tra gli schieramenti, in «otto mesi» si può ridurre il numero dei parlamentari e superare il bicameralismo perfetto e il voto anticipato ora «sarebbe una follia». «Andare a elezioni adesso sarebbe una follia: dovremmo votare con legge elettorale definita una porcata da quelli che l'hanno fatta. Non dà a questo paese la certezza di un governo. Significa precipitare in una situazione ancora più grave».

«In questi giorni - aggiunge - in commissione affari costituzionali votate due misure molto importanti. In otto mesi possiamo sbloccare il paese. Otto mesi per dare riforma che può dare al paese metà dei parlamentari e una sola camera legislativa».

In un'intervista a Repubblica Veltroni ha poi lanciato una proposta. «Il governo sta facendo molto bene, e sarebbe ora che tutti gli alleati lo riconoscessero. Ma se dopo il 14 ottobre si vuole dare un segnale ulteriore, e dimezzare il numero dei ministri e sottosegretari, il Partito democratico è pronto a fare la sua parte. La scelta dipende solo dal presidente del Consiglio. Qualunque sarà la scelta di Prodi, noi la appoggeremo.

Sulla battuta di Padoa Schioppa che ha definito «bamboccioni» i giovani che restano a casa con i genitori fino alla soglia dei trent'anni, Veltroni commenta: «La considero una battuta, ma non la considero una battuta felice. La condizione di vita di quei ragazzi è il principale problema di questo paese. I ragazzi oggi affrontano un viaggio nell'incertezza e meritano non solo il rispetto ma anche l'accompagnamento nella ricerca di opportunità», ha spiegato Veltroni a Radio anch'io.

Aggiunge Veltroni: «La politica italiana ha perso la capacità di capire la vita reale delle persone. Fare l'amministratore ti consente di capire la vita reale dei cittadini, non di leggerla attraverso gli editoriali dei giornali».

Romano Prodi da Torino ribadisce che per il governo serve continuità. Lo fa rispondendo a una domanda dei cronisti sull'intervista pubblicata da Repubblica a Walter Veltroni, il quale sostiene che il Pd è favorevole a dimezzare il numero dei ministri e sottosegretari.

Il presidente del Consiglio fa riferimento alle dichiarazioni da lui rilasciate lunedì scorso, quando aveva negato la necessità di un rimpasto: «Ho già detto quello che penso».

 


Pubblicato il: 05.10.07
Modificato il: 05.10.07 alle ore 11.48   
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« Risposta #68 inserito:: Ottobre 08, 2007, 11:14:19 am »

Politica     

Tremonti: Veltroni stacchi la spina a Prodi se non vuole essere travolto da chi tira a campare

«Conviene a tutti votare nel 2008»

«Questa legge elettorale è meglio non cambiarla, dà più forza anche a chi viene sconfitto»


ROMA — «I romani chiamavano remora il pesce ventosa che si attaccava alla chiglia delle navi rallentandone lo scorrimento. Attualizzando, direi che Romano Prodi è una remora, un freno attaccato sotto la nave della sinistra e, cosa più grave, sotto la nave dell'Italia che dalla sinistra è governata». Si capisce dalla prima battuta quello che pensa Giulio Tremonti del premier e del suo governo: il peggio, come in fondo prevedibile. Ma quello che prevedibile non è, è lo scenario che l'ex ministro del Tesoro disegna: potrebbe essere Walter Veltroni a staccare la spina al governo, e potrebbe farlo molto presto, per andare al voto nel 2008. Perché, dopo il 14 ottobre, non avrà scelta: «O dirà le stesse cose di Prodi e Prodi lo tirerà a fondo, o dirà cose diverse, e allora sarà lui a mandare a fondo il premier».

Onorevole, torniamo alla remora Prodi... «Credo che per lui, governare alla Prodi, sia umanamente drammatico: all'inizio l'illusione di guidare l'Italia imprimendole grandi, salvifici cambiamenti, poi una vita alla giornata, non un vivere per governare ma un governare per sopravvivere. Se così stanno le cose, la sua posizione, quella della remora, è triste ma naturale, e dunque razionale».

E quale posizione è irrazionale? «Quella di Veltroni. Perché Prodi ha già detto che non si ricandiderà, dunque per lui in futuro non c'è né vittoria né sconfitta: per uno che vive alla giornata, già durare un anno significa vivere 365 volte. Veltroni invece si candida perché vuole giocare, ma se va avanti così, la mano che Prodi gli girerà sarà un aut aut: o perdi o perdi».

E perché Veltroni non dovrebbe avere chances di risalire la china? «Perché dopo il 14 ottobre e la nascita del Pd il quadro si semplifica radicalmente, dal "pastone" della politica di primo piano scompaiono personaggi come Rutelli, Fassino, D'Alema e per Veltroni non sarà più possibile fare il ventriloquo: potrà fare solo l'azionista di maggioranza del governo Prodi. La scena non ammetterà più sdoppiamenti di personalità o voci fuori dal coro, e questo a partire dalla Finanziaria ».

Una Finanziaria che però sembra mettere d'accordo le componenti della maggioranza. «Perché è costruita come una Finanziaria pre-elettorale, aggira tutti i problemi, li sposta all'anno successivo. Per Prodi va bene comunque, che si voti o che non si voti nel 2008: se gli va bene, dura un anno di più, se gli va male, a perdere le elezioni sarà Veltroni. Il futuro leader del Pd ha invece una posizione specularmente diversa». Cioè per lui fa differenza se si vota nel 2008 o più tardi? «Esattamente. Il 2008 non sarà un anno buono per le tasche degli italiani e per le casse dello Stato. E dunque, se si vota nel 2008 ma con una Finanziaria elettorale come questa, Veltroni contiene il danno. Se invece si vota nel 2009, va incontro al disastro: imbarca in pieno il ciclo economico negativo, e va incontro ai vincoli europei di serietà, di rigore nel bilancio pubblico. La sinistra sarà costretta a fare una Finanziaria non elettorale in un periodo elettorale: la tempesta perfetta. È una situazione molto diversa dal 2001».

Che c'entra il 2001? «Anche allora disponevano di quello che oggi chiamiamo il "tesoretto", solo che lo chiamavano "dividendo di Maastricht", e anche allora lo spesero per una Finanziaria elettorale: però nel 2000 erano certi che si sarebbe votato nel 2001, oggi non è affatto certo che si voti nel 2008! E non avendo usato quell'extragettito, portato dall'economia e non dalla lotta all'evasione, per arrivare al pareggio di bilancio come hanno saggiamente fatto in Germania, mettendo fieno in cascina, adesso rischiano di finire nella trappola che si sono preparati da soli: dover fare, per il 2009, una Finanziaria molto dura nelle peggiori condizioni economiche e politiche, e cioè in campagna elettorale».

Insomma, questo è il motivo per cui sarebbe Veltroni ad avere più interesse a staccare la spina a Prodi, e subito. «Assolutamente sì. Perché è vero che la sua partita non sarà tra vincere e perdere, ma visto che davanti a Veltroni c'è comunque la prospettiva dell'opposizione, una cosa è perdere bene, altra è perdere male ». Lo dice affidandosi ai sondaggi? Anche la Cdl era data nel 2006 a oltre dieci punti sotto l'Unione, poi le cose sono andate diversamente... «Non c'è bisogno dei sondaggi, basta l'evidenza, il buonsenso. Se nel 2006, nelle migliori condizioni possibili, la sinistra ha solo pareggiato, è chiaro che nel 2008 o peggio nel 2009, deteriorandosi progressivamente le condizioni tanto della sinistra che degli italiani, non potrà che perdere. E le dirò di più».

Prego. «Paradossalmente, o machiavellicamente, ammesso che sia vero che lo stallo al Senato è causato da questa legge elettorale, proprio a Veltroni più di chiunque altro converrebbe conservare questa legge, che in teoria potrebbe dargli una maggiore forza all'opposizione». Ma allora dovreste essere voi a pretendere una nuova legge elettorale. «Guardi, se le simulazioni sono corrette, la forza dei numeri esclude la necessità di una nuova legge elettorale».

E che risponde al presidente di Confindustria Montezemolo, che dice no al voto prima di una nuova legge per l'interesse del Paese, e non delle singole parti? «Dopo aver ascoltato i tribuni della plebe, ascolteremo i tribuni del lusso... La realtà è che ciò che è primario nell'interesse del Paese è che, prima di tutto, si vada a votare e che, legge elettorale vecchia o nuova, dalle urne venga fuori una maggioranza definita. In base ai numeri, questa ultima ipotesi è razionale».

Ma come può cadere davvero il governo? Per mano di quei «quindici senatori» che Berlusconi dice di aver acquisito? «Non sono cose di cui mi occupo io, il mio è un no comment. È ovvio comunque che i fattori di crisi più forti, ambientali, sono a sinistra, nell'identificazione devastante tra Veltroni e Prodi. Non puoi essere il leader nuovo di un governo vecchio: alla fine, o è il vecchio che mangia il nuovo, o è il nuovo che cancella il vecchio».

Paola Di Caro
08 ottobre 2007

da corriere.it
« Ultima modifica: Novembre 05, 2008, 04:32:09 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #69 inserito:: Ottobre 09, 2007, 11:41:22 pm »

Veltroni: Terapia d'urto sul programma


«Votare subito significa ripiombare nella condizione in cui si era nei 5 anni precedenti». Lo ha detto il sindaco di Roma e candidato leader del Pd, Walter Veltroni, nel corso della registrazione della puntata di Matrix, anticipata durante il Tg5 delle 20, che andrà in onda in seconda serata. «C'è un pacchetto di riforme istituzionali» ha detto Veltroni che comporta «la riduzione sostanziale del numero dei parlamentari, una camera unica legislativa e tempi certi per l'approvazione delle leggi. Un pacchetto che può sbloccare il Paese». Sono queste riforme che, per Veltroni, vanno fatte «assolutamente» prima del voto.

Dunque niente urne anche se il governo Prodi dovesse cadere? «Abbiamo bisogno di fare queste cose - afferma Veltroni in tv - su cui tutti dicono di dire di essere d'accordo. Facciamole. Gli italiani si aspettano che si facciano».

Quanto alle elezioni, quando saranno, Veltroni chiarisce il suo pensiero sulle cosidette "alleanze di nuovo conio" care al vicepremier Francesco Rutelli. Quando le riforme saranno state fatte e si andrà al voto, dice il sindaco di Roma nel pomeriggio - prima della trasmissione televisiva - intervenendo a un dibattito sulla cultura economica della nascente formazione politica con Vincenzo Visco, Pierluigi Bersani, il partito democratico metterà a punto prima il programma e poi, sulla base di quello, si formeranno le alleanze di governo. «Insisto a dire- ha sottolineato Veltroni- che quando si voterà il Pd non farà prima l'alleanza e poi il programma, ma esattamente il contrario». Insomma, «non so quando si voterà- ha confessato il candidato segretario del Pd- spero nel 2011 e dopo che saranno state apportate delle riforme, ma quando si andrà a votare il Pd indicherà dieci idee per la crescita del Paese e l'elemento dirimente sarà il programma».

Comunque secondo le previsioni veltroniane che si appoggiano su sondaggi il Pd potrà raggiungere il 37% dei consensi. Quindi, la forza ci sarebbe. E lui, lo ripete anche a Matrix, «bisogna girare pagina, dobbiamo fare alleanze non contro qualcuno ma per qualcosa».

E rispondendo ad Enrico Mentana ha risposto all'allarme lanciato dalla "rivale" per la segreteria del Pd Rosy Bindi durante una videochat sul sito de La Stampa sul rischio di brogli durante le primarie: «Ci sarà un giovanile entusiasmo - ha pronosticato Veltroni -, ma sarà una giornata molto bella senza precedenti:per la prima volta ci sarà una platea composta per metà di donne; per la prima volta i sedicenni andranno a votare e, come mai prima, ci sarà tanta società civile». Quanto a Rosy, ha aggiunto: «Ogni cosa che dicevo lei diceva che non andava bene. Invece di dire ciò che per lei andava fatto per il bene del Paese».

Dal suo discorso di Torino, la discesa in campo, ammette il sindaco della capitale ha messo molta carne a cuocere ma ora, a suo dire, servono nuove accelerazioni perché «il Paese è fermo». «In questi mesi ho avuto la fortuna di poter parlare a titolo personale e dal discorso di Torino in poi ho fatto una serie di accelerazioni anche su temi su cui eravamo imbarazzati». E ha citato: la Tav e la questione sicurezza. «Dovremo fare altre accelerazioni -ha concluso nel dibattito con Visco e Bersani -, perché il Paese ha bisogno di una terapia d'urto e non di soluzioni mediate». Insomma: l'Italia a suo dire ha bisogno di «una terapia d'urto, non una soluzione mediata». Ad esempio: «Ci sono questioni da aggredire con strumenti eccezionali. La strategia dell'abbattimento del debito non deve essere legata soltanto all'avanzo primario, ma a qualche manovra straordinaria che ci consenta di liberare risorse».


Pubblicato il: 08.10.07
Modificato il: 09.10.07 alle ore 12.49   
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« Risposta #70 inserito:: Ottobre 10, 2007, 10:31:19 pm »

Veltroni: se si vota il Pd farà a meno di tutti gli alleati inaffidabili
 
di Ario Gervasutti


Sindaco Veltroni, lei domani (oggi, n.d.r.) è a Venezia e Udine come candidato alla guida del Partito Democratico. In molti però, non solo nel centrodestra, sostengono l'opportunità di andare alle elezioni entro il 2008. Anzi: c'è chi, come il ministro Tremonti, dice che sarebbe anche nel suo interesse. Che ne pensa?

Se sarò eletto segretario del Pd, lavorerò per la stabilità del Governo, nell'interesse del Paese. Ma lavorare per la stabilità significa prendere sul serio le difficoltà di rapporto con il centrosinistra che una parte consistente dell'elettorato esprime, in particolare al Nord. Penso che il Pd possa aiutare il Governo a recuperare un rapporto positivo col Paese affrontando tre problemi. Il primo è la riduzione dei costi della politica. Se sarò segretario, il presidente Prodi potrà disporre liberamente dei nostri ministri e sottosegretari, per ridurne il numero sulla base del suo esclusivo giudizio. Allo stesso modo, dobbiamo ridurre i parlamentari: se alla Germania ne bastano 600, i nostri mille sono troppi. A questi due capisaldi dobbiamo agganciare un pacchetto di interventi per disboscare la selva di privilegi e la proliferazione di posizioni di sottogoverno.

Secondo problema?

Il rendimento della politica. Il vero discredito della politica nasce dalla sua incapacità di affrontare le grandi questioni del Paese, che sono poi i problemi quotidiani dei cittadini: il debito pubblico che ci schiaccia, a fronte di un patrimonio statale mal utilizzato; la pressione fiscale che opprime i contribuenti onesti, a fronte di una forte evasione, di servizi pubblici spesso inadeguati e di una cronica insufficienza di infrastrutture; il senso diffuso di insicurezza e l'intollerabile impunità della delinquenza, dinanzi ad una giustizia lenta e mal organizzata; la spesa previdenziale alta a fronte di pensioni povere e di tutele carenti per i giovani, condannati alla precarietà Il Governo Prodi sta producendo successi importanti e sta affrontando nel modo giusto questi nodi che stanno soffocando l'Italia, anche se la frammentazione della maggioranza spesso rende opachi i risultati. Non è un problema del solo centrosinistra, è un problema di sistema, perché il nostro bipolarismo è oggi basato sulla competizione tra due coalizioni "contro" (contro Berlusconi, o contro i "comunisti"), anziché due alleanze "per" il governo del Paese. E infatti i programmi elettorali sono generici, tarati sulle esigenze interne alle coalizioni, non sui problemi del Paese. Il Pd deve capovolgere questo schema: dobbiamo partire da pochi, precisi punti programmatici e costruire la coalizione coerente con questo programma. Se sarò segretario, il Pd sceglierà questa strada, aiutando il Governo a rilanciare la coesione della coalizione. Se prevarrà la logica del frammento, qualunque sarà la legge elettorale, il Pd si presenterà agli elettori con le sole forze con le quali può davvero impegnarsi a governare. Perché solo in questo modo si restituisce credibilità alla politica.

Ha accennato alla legge elettorale: forse è quello il terzo problema

Esatto. Noi dobbiamo restituire alla democrazia italiana il potere di prendere decisioni. La democrazia è dialogo, confronto, ma alla fine deve essere decisione. E invece in Italia oggi sul diritto-dovere di decidere, prevale la pratica del veto. Noi abbiamo bisogno di una legge elettorale che mantenga in mano ai cittadini il potere di decidere chi governa, ma anche una legge che favorisca il formarsi di coalizioni omogenee. Proviamoci seriamente, in Parlamento. Altrimenti lo faranno i cittadini col referendum.

Non trova che in queste primarie, tra i candidati leader, ci sia stato, anche nei toni, un eccesso di conflittualità? E cosa risponde a Enrico Letta che in un'intervista al Gazzettino ha detto "Con Veltroni non c'è rinnovamento, le sue liste sono piene di parlamentari e consiglieri regionali"?

Le liste sono sotto gli occhi di tutti e saranno i cittadini a giudicare. Quelle collegate alla mia candidatura sono liste che rispettano i criteri che avevo chiesto a tutti i miei sostenitori: liste plurali per la provenienza politico-culturale, liste che mettono insieme personalità politiche riconoscibili ed esponenti della società civile, liste con molti giovani. Più che l'eccesso di conflittualità, mi preoccupa l'antico vizio di noi del centrosinistra di farci del male da soli, di non saper valorizzare le cose buone che facciamo. Stiamo fondando un partito nuovo, non andando dal notaio, ma chiamando tutti i cittadini che lo vogliano a votare per l'assemblea costituente e il segretario nazionale. Nessuno ha mai osato tanto. Non svalutiamo tutto questo per contenderci tra noi qualche mezzo punto percentuale.

Il segretario dei Ds Fassino, ma anche Massimo Cacciari, non escludono che in alcune regioni, Veneto e Lombardia in particolare, il Pd faccia in futuro una politica di alleanze "variabili" rispetto al quadro nazionale. Qual è la sua opinione?

Noi stiamo dando vita ad un partito che nasce dal basso, addirittura attraverso venti costituenti regionali che hanno la medesima legittimazione della costituente nazionale. In altre parole, stiamo dando vita ad un partito federalista, al tempo stesso unitario nella sua dimensione nazionale e costituito dall'incontro di venti percorsi regionali autonomi. Naturalmente, la prima forma di autonomia riguarda la politica regionale, alleanze comprese. Penso peraltro che il Pd non debba affidare la sua riconquista dell'elettorato del Nord solo alla politica delle alleanze, ma anche e soprattutto alla cultura innovatrice e alle concrete proposte programmatiche.

Nella trasmissione "Invasioni barbariche" lei ha stroncato il "concetto di accoglienza che hanno a Treviso", contrapponendogli il modello romano. Un'affermazione che ha suscitato molte polemiche a Nordest. Anche tra gli esponenti del centrosinistra. E' pentito?

Era assolutamente chiaro che non mi riferivo ai trevigiani, dei quali conosco e stimo non solo la straordinaria laboriosità, ma anche la grande tradizione di impegno civile, di solidarietà sociale, di volontariato, ma a quanti, nel mondo della politica, veneta e non solo veneta, amano far parlare di sé pronunciando frasi razziste e violente.Beppe Grillo dice che "i Rom sono una bomba a tempo". Per il "suo" Pd viene prima l'integrazione o la sicurezza?

Se non vogliamo che monti in Italia una cultura razzista e xenofoba che ancora non c'è, dobbiamo essere accoglienti nei riguardi degli immigrati, dei loro diritti e dei loro bisogni, ma inflessibili nel richiedere loro, come a tutti i cittadini italiani, il rispetto della legge. Dobbiamo anche lavorare di immaginazione, per produrre soluzioni innovative, come quella che, come Comune di Roma, abbiamo costruito con la Romania per ridurre il numero degli arrivi e creare le condizioni per il rimpatrio dei Rom affinche' possano ritrovare una occupazione nel loro Paese.

Lei oggi è a Venezia per parlare di cultura: una grande risorsa del Paese. Ma spesso male utilizzata e ostaggio delle dispute della politica. Quali sono le sue proposte in questo senso? E non crede che invece di fare a Roma un altro Festival del cinema, fosse più opportuno investire sulla Mostra di Venezia?Parto dalla fine. La Festa di Roma non ha tolto un euro alla Mostra del cinema in quanto è finanziata esclusivamente dagli enti locali e, soprattutto, da investimenti privati. Dico di più, a conferma di ciò che ripeto da oltre un anno: tra Venezia e Roma non c'è nessuna guerra, esiste solo una competizione virtuosa che non può che giovare a entrambe. Del resto, quest'anno il programma di Venezia è stato a giudizio di tutti eccezionale. Il nuovo è meno pericoloso di quanto si teme. Anzi, molto spesso aiuta a migliorare le cose. Solo in Italia ci intestardiamo a non volerlo capire. Quanto alla cultura e al convegno di Venezia, per un Paese come l'Italia il patrimonio culturale rappresenta un fattore strategico per la crescita e lo sviluppo. In questo campo il Pd sarà all'avanguardia, le idee e le proposte non mancheranno: reperire nuove risorse, aprire alle nuove generazioni, valorizzare progetti innovativi, aprire la cultura al mercato e diffonderla sempre più nella società. La nostra idea è che dove c'è cultura la qualità della nostra vita migliora. In tutti i sensi.Un' ultima domanda: anche lei, come Padoa-Schioppa, pensa che le tasse siano bellissime? E in più in generale: il suo Pd è pronto a indicare la riduzione delle tasse, su imprese e persone fisiche, come una priorità?

Non si tratta di definire esteticamente il fisco. Ma dobbiamo sapere che le imposte sono alla base del patto tra stato e cittadini: si pagano le tasse e si ricevono in cambio servizi, si costruisce una comunità. Hanno quindi un valore fondamentale. Il problema è che in Italia la pressione fiscale è troppo forte ed è percepita così soprattutto perché ad essa non corrisponde un equivalente ammontare di servizi efficienti e questo succede anche perché paghiamo circa 70 miliardi di euro di interessi all'anno sul debito pubblico. Io credo che ci siano le condizioni per ridurre le tasse. E per farlo dobbiamo continuare sulla strada del risanamento, abbattere il debito, combattere l'evasione fiscale e rafforzare il rispetto delle norme fiscali così come sta già accadendo. Da qui e da una riduzione della spesa pubblica che deve essere riqualificata e resa più efficiente devono arrivare le risorse per alleggerire la pressione fiscale, sulle famiglie e sulle imprese. Già ora con la nuova finanziaria sono previsti tagli alle imposte sulle imprese, un regime semplificato per quelle che fatturano meno di trentamila euro l'anno e un trasferimento a chi ha redditi inferiori al minimo imponibile. Possiamo fare subito dei passi per ridurre le tasse e mettere quindi in pratica il principio del 'pagare meno, pagare tutti'.

Ario Gervasutti

da gazzettino.quinordest.it
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« Risposta #71 inserito:: Ottobre 12, 2007, 12:14:53 pm »

Il pd e le primarie

Veltroni: «Nostalgia, demone della sinistra»

«Sì a riforme in 8 mesi o la gente rimarrà allibita. Prodi arrivi in fondo alla legislatura. Sui ministri decida lui»

 
ROMA — Alla vigilia delle primarie che designeranno il primo segretario del Pd, Walter Veltroni (il candidato che gode i favori del pronostico) racconta quale sarà il profilo del nuovo partito. «Dobbiamo guardare al futuro e abbandonare le nostalgie, superando le risse e i conservatorismi che ci tengono prigionieri». Veltroni smentisce il dualismo con Prodi. «Ci sarà una distinzione di ruoli. Non mi si può rimproverare di affrontare i problemi».

 Walter Veltroni, con ogni probabilità lei, tra due giorni, sarà il primo segretario di un partito nuovo, che unisce i riformisti italiani. Quando ha cominciato a pensarci, a ritenerlo possibile?
«Il voto di domenica realizza il sogno della mia vita politica. È un'ispirazione che ho sempre avuto dentro di me: in fondo, sono sempre stato convinto che prima o poi in Italia sarebbe nato un partito democratico. Un campo in cui sarebbero confluite persone, culture, energie diverse, e si sarebbero contaminate fino a diventare una cosa sola: senza nostalgie, né personalismi, né correnti. Questa è l'introduzione al mio libro su Bob Kennedy, Il sogno spezzato: "Il kennedysmo è stato, con la socialdemocrazia svedese, la più alta forma di governo sperimentata dai democratici in società occidentali avanzate (…). A questa specie non appartengono, per me, i governi socialisti che si sono succeduti negli Anni '80 in Europa". Siamo nel '93. Due anni prima dell'Ulivo».

Finisce domenica la lunga stagione del comunismo e del postcomunismo?
«No. Quella storia è finita nell'89, in modo drammatico e vitale. Richiamarla in causa oggi significa cedere alla nostalgia intellettuale, continuare a interrogarsi su transizioni e successioni. Ora l'approdo è stato raggiunto. Una lunga fase del viaggio si è conclusa. Comincia un'altra storia, un altro viaggio, con nuovi compagni e nuove rotte. È il tempo di tentare la grande espansione, la ricerca di una soluzione razionale, realista, innovatrice, di cui il paese ha bisogno. Un grande partito di popolo, che parli delle cose di cui parla il popolo e non delle cose di cui parlano i politici. Che costruisca una democrazia meno pesante e meno invadente, più lieve e più veloce».

È sicuro di non portare con sé alcuna zavorra? Le è stata rinfacciata quella frase, «non sono mai stato comunista».
«Ho già risposto mille volte a questa domanda, e quindi è già noto che non ho mai avuto alcuna simpatia per l'ideologia comunista e l'Urss, mentre ne ho avuta molta per Berlinguer. Ma a me interessa il futuro più del passato. Se questo paese ha un difetto, è il demone della nostalgia: che si avvinghia alle gambe, che blocca i movimenti. È tipico in particolare della sinistra, poi, pensare che ieri sia sempre meglio di oggi. Ma quanti liquami ieri scaricavamo nei fiumi e nei mari? Che aria respiravamo prima che arrivassero le auto con i motori euro 4? Quanti coloranti e additivi mangiavamo con i cibi? Chi avrebbe detto che avremmo potuto comunicare con il mondo grazie a Internet, o che la durata della vita sarebbe cresciuta di tre mesi ogni anno? Domenica si affaccerà alla politica una generazione nuova, ragazzi nati dopo l'89, che non leggono i giornali perché i giornali sono fatti per chi era già vecchio mezzo secolo fa».

Sono i ragazzi che a Roma all'uscita del liceo Mamiani hanno snobbato Ettore Scola, suo ambasciatore.
«Anche questa è una semplificazione dei giornali. Ho parlato con tantissimi sedicenni, e posso assicurarle che sono come i sedicenni sono sempre stati. Una parte è impegnata in politica; ma alla maggioranza della politica importa poco o nulla. Era così anche nel '68: nella mia classe c'erano quelli con l'eskimo e quelli che andavano a vedere la Roma o la Juve. Il problema è che i ragazzi cui la politica interessa sono lasciati soli, e la loro ricerca è perciò ancora più eroica. La politica parla d'altro, o si rivolge a loro con il linguaggio futile della tv».

Lei di tv non era un grande appassionato? Perché ora è così critico?
«Potrei passare mezza giornata a parlare delle qualità della televisione. Ma sono angosciato per il crollo di qualità della tv italiana. La logica degli ascolti ha fatto perdere la testa. Possibile che i talk show abbiano dedicato 18 puntate a Garlasco o al volo aereo di Mastella a Monza, e neppure una sulla Birmania, una terra in lotta per la libertà? E questo solo per la paura di perdere il 3% di share?».

Altre parole che le sono e le saranno rinfacciate, quelle sul futuro in Africa.
«Non si decide mai da soli. Ho detto che non avrei cercato altri posti di potere. Ma quando vedi realizzarsi il sogno della vita, e vedi che tutti— tutti, compresa Rosy Bindi — si voltano verso di te per chiederti di impegnarti in prima persona, non puoi fare finta di nulla. La mia idea della vita non cambia; resto convinto che non si esaurisca nella dimensione politica. Per questo non rinuncio al mio progetto futuro. Oggi la mia missione è portare più gente possibile a votare domenica. È trasmettere il mio entusiasmo, perché questa occasione non sia sprecata. È rilanciare l'orgoglio di essere italiani. Questo è un paese fantastico, che ha saputo reagire al terrorismo, alle svalutazioni della lira, all'assassinio di Falcone e Borsellino, al crollo dei partiti storici. Un paese pieno di imprenditori coraggiosi, di ragazzi meravigliosi come gli studenti che ho incontrato oggi, ragazzi del Sud che vogliono farcela, di soldati che fanno il loro dovere. Un paese che ha bisogno di un sistema politico alla sua altezza, che lo aiuti a imboccare la via della fiducia».

Lei non pensa che l'Italia sia un paese in declino?
«No. Al termine di questo lungo viaggio penso invece sia un paese che attende una risposta, che chiede una nuova classe dirigente, che non ascolta più il linguaggio dei talk show e non sopporta più le risse e i conservatorismi che lo tengono prigioniero. E' un paese bloccato da quindici anni in una dialettica sterile, Berlusconi contro la sinistra, che noi dobbiamo cercare di superare, anche in modo unilaterale».

Ora c'è un elemento in più. Grillo. L'antipolitica, come la chiamano.
«Distinguiamo. Un conto è il libro di Stella e Rizzo, che per il 90% dice cose giuste e denuncia storture da correggere. Un altro è chi mette insieme l'attacco xenofobo ai Rom, gli insulti agli ebrei ospitati sul blog, il no alla Tav. Ma vedo segnali in controtendenza. L'esito del referendum sul welfare dimostra che i lavoratori sono disposti più di qualsiasi altro all'innovazione».

Non dimostra pure che finora la sinistra riformista ha ceduto troppo terreno alle pretese del l'altra sinistra?
«Significa che è possibile raccogliere un'ampia maggioranza sui nostri obiettivi: coniugare crescita economica e lotta alla povertà, produzione e redistribuzione della ricchezza, maggiore reddito e pari opportunità. In ogni occasione i cittadini ci hanno detto di fare così. Intendo prendere le questioni di petto. Senza timidezza».

Liberazione, il giornale del Prc, uscirà in edicola con una sorta di dossier anti-Veltroni. Cos'è successo tra lei e Sansonetti?
«È una cosa inusitata nella storia della sinistra; ma fa parte del gioco, della dialettica dell'informazione. I dirigenti mi assicurano che Rifondazione non è coinvolta».

Un tempo lei era considerato tra i più intransigenti nei confronti di Berlusconi. Le cose sono cambiate? Qual è oggi il suo rapporto con lui?
«Credo di essere stato tra i primi a capire cosa fosse il berlusconismo, e quale mutazione implicasse nel senso comune e nel sistema di valori. Detto questo, ho contrastato e contrasterò Berlusconi con grande rispetto; perché voglio vivere in un sistema politico in cui non si fischia e non ci si insulta, in cui se Bush entra nel Senato a maggioranza democratica tutti i senatori si alzano in piedi. Resto convinto che dall'altra parte siano messi peggio: la Mussolini va in piazza accanto a Fini; Storace manda le stampelle a Rita Levi Montalcini; Bossi irride il tricolore; e continuo a non capire cosa ci facciano i moderati in quella compagnia. Ma non vedo perché ci si debba stupire, perché mi si debba guardare come un marziano se riconosco il valore non solo di Pisanu e Tabacci, ma di Veronica Berlusconi o di Renata Polverini leader dell'Ugl. Dov'è la notizia? Che cos'è questa conflittualità tribale e neoideologica, per cui le ragioni e i torti sono tutti da una parte o dall'altra? Chi, di fronte a temi come l'ingegneria genetica, la scienza, i diritti umani, può credere di avere tutte le risposte? Per me l'avversario va sempre rispettato. E bisogna scrivere con lui le regole del gioco».

Ha colpito che lei abbia indicato in otto mesi il tempo per fare le riforme; come se fossimo allo scadere della legislatura.
«Non è così. Intendevo dire che c'è un pacchetto di riforme su cui il consenso è molto diffuso: ridurre il numero dei parlamentari alla metà o poco più; una sola Camera che legifera; precedenza ai disegni di legge del governo. Queste riforme si possono approvare in otto mesi, altrimenti la gente resterà allibita: se siete tutti d'accordo, perché non lo fate?».

Resta un fatto: nella campagna per le primarie è emerso un dualismo tra lei e Prodi che da domenica non potrà che aggravarsi. Su tasse, debito pubblico, indulto, avete detto cose diverse.
«Non c'è nessun dualismo. Ci sarà una distinzione di ruoli: perché il ruolo del premier di un governo di coalizione è, e dev'essere, diverso da quello del segretario del primo partito della coalizione. Non si può chiedere a Prodi di farsi esclusivamente portatore dell'identità del Pd; come non si può chiedere al segretario del Pd di farsi solo carico della mediazione che spetta al premier. Oggi noi siamo chiamati a definire l'identità di un grande partito, che ha davanti una prospettiva non di tre anni ma di decenni, ed è giusto affrontare la questioni di lungo periodo. Trovo assurdo essere rimproverato per aver affrontato i problemi del paese; di cosa avrei dovuto parlare? Mi hanno accusato di essermi spinto troppo in là. Invece sono orgoglioso di aver impresso un'accelerazione di programma su tasse, sicurezza, assetto istituzionale. Abbiamo mosso grandi passi avanti, senza dire mai una sola parola contro i concorrenti. Io ho cercato di parlare al paese e di accendere entusiasmo. Altri, e mi dispiace, hanno fatto il contrario: poco o nessun programma, molti attacchi. Non credo che questo abbia giovato. Pazienza; va bene così».

È vero che nel 2005 in tanti vennero a chiederle di scendere in campo contro o al posto di Prodi?
«È vero. Vennero in tantissimi. E a tutti risposi di no. Perché in quel momento c'era una grande convergenza attorno a Romano. Perché era giusto che Romano riprendesse il lavoro non concluso nel suo primo triennio al governo. Credo di saper dire dei no e dei sì, quando è il momento. Non sono l'uomo del "ma anche"; dico cose inequivoche e libere da vecchi schemi. E cercherò di rispondere alla domanda di accelerazione riformista che viene dalla società».

Non solo la Bindi a sinistra e Tremonti a destra, ma molti osservatori temono o credono che a lei convenga votare prima possibile. Anche per non farsi logorare dall'impopolarità del governo Prodi.
«No. A me, o meglio al partito democratico, conviene che Prodi finisca il suo lavoro. La confusione politica, la frammentazione, la litigiosità fanno da cortina fumogena alle molte conquiste di questo governo. Che in un anno e mezzo ha ridotto il debito e il deficit, condotto una politica estera positiva su pena di morte e Libano, varato le liberalizzazioni, trovato un importante accordo sul welfare. E mi fa piacere che due delle proposte che ho avanzato nell'incontro con gli imprenditori a Padova, il taglio di 5 punti dell'Ires e la tassazione forfettaria per le piccole imprese, siano state accolte. Il governo Prodi che conclude la legislatura, e il Parlamento che approva le riforme costituzionali: ecco il mio scenario ideale».

E l'azzeramento dei ministri proposto dalla Finocchiaro?
«Al riguardo ho detto una cosa molto semplice: decide il premier. Il Pd lo appoggerà qualunque sia la scelta: sia se deciderà di dimezzare i ministri, sia se deciderà di non farlo. Il presidente del Consiglio, e presidente del Pd, apprezzerà di avere un partito che non chiede posti, ed è anzi disposto ad averne meno».

Aldo Cazzullo
12 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #72 inserito:: Ottobre 13, 2007, 11:57:43 pm »

Caro Walter, sulle riforme si può fare di più

Pier Giorgio Gawronski


Caro Walter,

a settembre hai scritto un articolo sulla democrazia italiana che ho letto con incredula soddisfazione. Vi sono molte novità positive. Ad esempio l’idea di una democrazia che decide (maggioritario, più poteri al premier) da coniugare con un rafforzamento delle garanzie democratiche. L’idea che per contribuire al governo della globalizzazione, l’Italia debba dotarsi di «istituzioni adeguate a questi fini» (un po’ più di precisione non guasterebbe). Il fatto stesso di porre apertamente il problema della deriva democratica in Italia è novità degna della massima attenzione. Il sistema elettorale maggioritario è l’elemento centrale di una «democrazia che decide». È anche un elemento essenziale per la coesione dei grandi partiti, quindi del Pd: deve essere il nostro punto di arrivo. Nel 2001-06, tuttavia, il maggioritario «senza contrappesi» ha rivelato il suo potenziale destabilizzante. Sul piano delle garanzie democratiche, offrivi in quell’articolo due proposte significative: le primarie, e i “quorum rafforzati per le modifiche del Titolo 1 della Costituzione”. Le primarie vanno bene; ma occorre anche una legge attuativa dell’art. 49 Cost. (democrazia nei partiti).

Per quanto riguarda le modifiche costituzionali, invece, la tua proposta mi pare insufficiente. Per quanto si “rafforzi” il quorum, si potrà sempre scavalcarlo con una legge ordinaria elettorale “più maggioritaria”. Occorre quindi, da un lato, costituzionalizzare le leggi elettorali; dall’altro lato, collegare le modifiche costituzionali a meccanismi nuovi di rappresentanza proporzionale, pur in un Parlamento eletto col maggioritario. E perché considerare solo il Titolo 1? Che ne è del resto della Costituzione? Perché trascurare il problema della ammissibilità del referendum costituzionale (che la Corte Costituzionale, per una dimenticanza del 1948, non è legittimata a valutare)? I poteri della Corte Costituzionale sono insufficienti: vanno ampliati. La Corte, infatti, può intervenire in via principale solo in caso di conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato: ciò limita le sue possibilità di abrogare la legislazione incostituzionale. Anche i poteri di controllo e garanzia del Capo dello Stato dovrebbero essere rafforzati. In caso di dubbi sulla costituzionalità di nuove leggi, dopo un primo rinvio al Parlamento, il Capo dello Stato dovrebbe potersi appellare alla Corte Costituzionale. Sui decreti legge, dovrebbe esercitare un controllo preventivo circa l’esistenza dei «requisiti di necessità ed urgenza». Vi sono poi una serie di «poteri nuovi», che i padri costituenti non potevano prendere in considerazione, ma la cui autonomia è ormai essenziale, sul piano democratico, quasi quanto quella della Magistratura: andrebbero dunque protetti con norme costituzionali. Mi riferisco alla Rai e al sistema informativo, alle Autorità garanti, all’Istat: tutti soggetti ad indebite interferenze dei politica. Per la Rai hai proposto «manager competenti»: non significa nulla; nessuno nomina i suoi amici senza dichiararli «competenti»: dov’è la novità, le nuove regole? Il punto vero è un altro: una Rai sotto il controllo della maggioranza è una concezione lontana anni luce da quella anglosassone del “quinto potere” che controlla il governo. Berlusconi, per occupare la Rai nel 2001, ha usato le norme vigenti, varate dalla sinistra. Norme che tu stai silenziosamente suggerendo di mantenere. E poi c’è la grande questione della pubblica amministrazione, che la Costituzione vorrebbe «terza» rispetto alla politica, e che invece oggi è letteralmente in mano ai politici, alle maggioranze, piegata nella sua imparzialità e umiliata nelle sue competenze, nella sua funzionalità: spoils system senza regole, assunzioni per chiamata diretta (cooptazione) o tramite concorsi «aggiustati», finte consulenze, carriere in mano agli «uomini di mano» dei politici, ecc... Mentre raccoglievo adesioni alla mia candidatura, un precario di Roma, pur entusiasta, non mi ha dato la sua firma «perché se lo sa Veltroni, potrebbe non regolarizzarmi»; stessa cosa per un uomo di cinema, e una impiegata del Comune: «rischiamo di non lavorare più!». Non è un problema di come Veltroni (o Gawronski) usa il potere, ma il mero fatto che i politici abbiano forti poteri di ricatto sulla pubblica amministrazione. Per questo ho proposto una Autorità indipendente per il Merito e l’Efficienza nella Pubblica Amministrazione, che - diversamente da quella di Ichino - garantisca l’accesso alla pubblica amministrazione tramite concorsi veri (art.97 Cost.), le progressioni di carriera in base al merito, la lotta al mobbing (con cui oggi i politici colpiscono i funzionari che non si piegano). E nuove regole sullo spoils system, sulla qualità dei nuclei tecnici, sulla trasparenza (stipendi e relazioni tecniche su internet).

La politica è malata. Anche la sinistra: si batte per la democrazia quando è all’opposizione, o in campagna elettorale, ma non la costruisce, non la difende, nell’unico momento in cui potrebbe farlo: quando è al governo. Perché una volta maggioranza, non vuole rinunciare a molte prerogative assai poco democratiche. È la partitocrazia che affossa la democrazia. Vi è quindi un problema di credibilità, che il Partito Democratico dovrebbe affrontare fin dai suoi primi passi.

Mi compiaccio dunque per la tua proposta di riduzione del numero dei parlamentari, anche se - fuori da una strategia di generale abbattimento del numero degli eletti in Italia, di accorpamento dei piccoli comuni, delle comunità montane, di abolizione delle province, di razionalizzazione del settore pubblico dalla Presidenza della Repubblica in giù - appare più come una misura «per calmare la piazza» piuttosto che come elemento integrante di una strategia. È invece un peccato che non condividi le proposte di tagliare stipendi, indennità, e privilegi dei 170.000 politici eletti. Un Parlamento di privilegiati, pochi o tanti che siano, non avrà mai la credibilità necessaria per guidare un paese.

Candidato alla Segreteria Nazionale del Pd


Pubblicato il: 13.10.07
Modificato il: 13.10.07 alle ore 10.46   
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« Risposta #73 inserito:: Ottobre 15, 2007, 10:01:34 am »

POLITICA

Veltroni racconta il successo alle primarie e ringrazia

Vittorio Foa, i sedicenni e gli immigrati che hanno votato

I tre grazie di Walter "Realizzo un sogno"

di ALESSANDRA LONGO

 
ROMA - E' fatta. Non che ci fossero dubbi prima, ma adesso è fatta, adesso ci sono i voti di milioni di militanti. Walter Veltroni chiude la parentesi da candidato leader e si presenta con la corona sulla testa davanti ai cronisti.

Alle 10.20 esce da una porta laterale, accompagnato da Dario Franceschini, il viso radioso, la moglie Flavia dietro di lui: "E' successa una cosa bellissima. Un segno di grande speranza. Tre milioni e 300 mila persone hanno detto che c'è un'Italia possibile, nuova, serena, che non urla, che non odia, che vuole un cambiamento profondo nella politica e nel Paese. Voglio fare tre ringraziamenti: a Vittorio Foa, ai ragazzi di 16 anni, ai tanti immigrati regolari che sono andati a votare". Baci, abbracci, al Tempio di Adriano.
C'è Fassino, c'è la Melandri, Goffredo Bettini, Vincenzo Vita. Un momento di gioia politica, colonna sonora Imagine di John Lennon.

Tre milioni, una sorpresa che stordisce: "Ma quali apparati, hanno votato gli italiani. Se fosse confermato il 74, il 74 per cento per la nostra candidatura sarebbe un bel risultato. E qui voglio ringraziare gli altri candidati. Per me e Romano Prodi, questa è la realizzazione di un sogno. Ora comincia una meravigliosa storia nuova, un partito aperto, non un partito di correnti. Tante culture, tante sensibilità, un partito di donne, di ragazzi, di ragazze. Io sarò ottimista ma alla luce di quel che è successo penso che già oggi siamo il primo partito italiano. Tocca a noi parlare il linguaggio della pace, della lotta alla povertà. Un partito che sia a fianco degli imprenditori, dei giovani che cercano lavoro, dei meridionali oppressi dall'Antistato. Un partito che nasce con la più bella forma di investitura che sia mai stata data nella storia della politica".

Dunque "il sogno" si è avverato. Veltroni aveva scomodato per il suo Pantheon scaramantico Martin Luther King ("I have a dream") e Olof Palme, autore di una frase che lui ritiene nevralgica: "Non dobbiamo lottare contro la ricchezza ma contro la povertà". Una sfida alla sinistra depressa e piegata, autolesionista e "tafazzista": "Vedrete, domenica sarà una grande giornata per la democrazia, questo partito nasce per sconfiggere la paura e restituire la speranza". Tre mesi di campagna elettorale per convincere gli scettici che la fusione non era fredda ma calda, che si può passare "dalla divisione all'unità, dall'invadenza alla sobrietà, dall'arroganza alla collaborazione".

Adesso che è fatta, adesso che ha vinto, Wonder Walter può riprendere il dialogo con i suoi avversari, Rosi ed Enrico che, con la loro grinta verbale, lo avevano "amareggiato". Tutto perdonato, si lavora insieme. L'agenda del Pd è una pagina bianca di date ma la cornice dentro la quale si muoverà la nuova creatura è stata già tracciata da Veltroni. Sarà un "partito di popolo, di persone vere", assicura. Un partito che cerca una veltroniana quadratura del cerchio: mettere d'accordo lavoro e impresa, lotta alla povertà e sviluppo, laici e cattolici, Piergiorgio Odifreddi e la Binetti, signore di mondo come Afef Tronchetti Provera e giovani precarie del call center, un partito che include gli immigrati buoni, esclude e punisce quelli che compiono reati, dialoga con la sinistra radicale ma non a tutti i costi, prima viene il programma, la gestione dell'Italia. Roba da far tremare i polsi a chiunque ma lui si gode il giorno della vittoria, che è anche una rivincita.

Ha sempre detto: "Ho creduto alla prospettiva del Partito democratico anche quando pareva difficile, quando era considerata lontana e impossibile. Sapevo che dopo la caduta del Muro si sarebbe aperto un tempo nuovo, un tempo di ponti e non più di fili spinati". Ci ha creduto poi, però, non ha scelto il momento per scendere in campo. C'è stata un'accelerazione: "Mi sono guardato allo specchio e mi sono risposto che non avevo scelta". E' partito e non si è più fermato, dal Lingotto di Torino a Palermo, dal Nord al Sud, da Barbiana di don Milani alla gita in aliscafo a Ventotene, per parlare di Spinelli. Non si è mai fermato. Si vede dalla faccia stremata dei suoi collaboratori. E adesso? "E adesso sarà ancora peggio.

Walter non ha alcuna intenzione di dimettersi da sindaco e fa ridere che glielo chiedano quelli di An. Fini ha accumulato il ruolo di vicepremier, ministro degli Esteri e leader di partito. Walter ha una magnifica occasione: quella di dare risalto all'esperienza romana". Dunque continuerà a fare il sindaco e guiderà il partito ("Questa Ferrari me la sono conquistata pezzo per pezzo", aveva detto il candidato leader). Non contro Prodi, l'ha giurato ma, anzi, per sostenere l'azione di governo. Guardando, però, più in là perché i premier passano, il Pd, a questo punto, resta.

Che finisse così, con milioni di cittadini alle urne, lo sperava, senza dirlo. "Un milione sarebbe un successo. ". E' andata molto meglio. Mentre Veltroni guardava le partite di basket da casa, arrivavano i dati dell'affluenza: "Sono entusiasmanti!". Un escalation di buon umore. Ma era già cominciata bene dal mattino, prima con gli sposini "benedetti" in Campidoglio, lui in fascia tricolore e abito blu, poi al seggio sotto casa, felpa blu e pantaloni di velluto, l'aria sollevata di chi ha finito di correre, la moglie Flavia, (che si affanna, seguendo le istruzioni del marito, a prelevare contante da un bancomat), le figlie Martina, 20 anni, e Vittoria, 17 anni, (al primo voto), che si tengono per mano. Tutti insieme al gazebo di piazza Fiume, cento euro finiscono nello scatolone delle offerte. Guardate che fila, quanta gente!". Tentano di farlo passare in testa ma il leader di un partito democratico non può che dire no: "Sto in coda, come tutti". Qualcuno gli chiede: "Cosa si prova a mettere quella croce? E lui: "Non è la prima volta che voto, ma quando si vota è sempre bello". Guarda il cielo azzurro, le figlie: "Oggi si realizza il sogno di tutta una vita politica". Agli sposi, di prima mattina, aveva citato una poesia di Gibran, quella dei due alberi "che devono stare tanti vicini da toccarsi ma anche separati per far passare il vento".


(15 ottobre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #74 inserito:: Ottobre 20, 2007, 04:40:43 pm »

PORTE GIREVOLI

Il dilemma di Walter
di Edmondo Berselli


Senza la sinistra oltranzista non si vince. Con quella non si governa. Veltroni ne uscirà solo dando una identità forte al partito  Walter VeltroniC'è la vittoria e c'è il problema. La vittoria è stata soprattutto la partecipazione alle primarie del Pd, piuttosto clamorosa se si pensa che ancora una volta il risultato era già scritto. Il problema viene domani, ma comincia adesso, subito. Perché la nascita del Partito democratico, suffragata dai quasi tre milioni e mezzo di votanti, è tutt'altro che un risultato burocratico. Incide sulla composizione del centrosinistra. Si mette in parallelo al governo Prodi, avviando una specie di surplace da pistard, il cui svolgimento è tutto da verificare. Ma siccome con le primarie si è avuta la conferma che dalla crisi della politica si esce soltanto con la politica, cioè con un processo istituzionale fatto di procedure formalizzate, dovrebbe anche essere chiaro che adesso la politica, in una parola Veltroni, dovrebbe cominciare a ragionare sull'evoluzione possibile del centrosinistra.

L'assemblea generale di fine ottobre con i 2.400 delegati eletti sarà una specie di grande e festosa cerimonia. È difficile aspettarsi grandi novità. Tuttavia di qui in avanti il neo segretario del Pd dovrà applicarsi fondamentalmente a una sola questione. Banale e difficile insieme. Ossia come vincere le prossime elezioni. Un'impresa eroica, se si guarda ai livelli di consenso del governo Prodi. Ma anche un'impresa che Veltroni può tentare, dal momento che fra tutti i leader del centrosinistra è il più capace di sollevare ondate di emozione politica e di scalfire certe barriere di cruda ostilità che segnano il bipolarismo italiano.

Tuttavia il Veltroni 'uno e trino', sindaco, segretario e leader del centrosinistra, si trova davanti a un dilemma corposo. In questo momento, l'Unione sembra una montagna della Pusteria, imponente e fragile, a rischio di frattura e frana. Il 'piccolo principe' (secondo la definizione del libro che gli hanno dedicato Marco Damilano, Mariagrazia Gerina e Fabio Martini) ha già dichiarato durante la campagna per le primarie che per poter governare occorrono alleanze coerenti, e non assembramenti larghi e tumultuosi.


Ciò significa che Veltroni ha ben chiaro che nella prossima stagione il Pd può trovarsi nella condizione di dover ridefinire il perimetro del centrosinistra, facendo i conti con tutta l'area della sinistra radicale. Ma è anche evidente che qualsiasi pronunciamento pubblico sulla fine dell'Unione così come la conosciamo significherebbe lo smottamento della maggioranza attuale e di conseguenza lo schianto del governo.

Il dilemma del neo leader è quindi davvero 'bicornuto' come un sofisma fallace. Ogni soluzione implica potenzialmente il fallimento dello schema: senza la sinistra oltranzista infatti il centrosinistra non vince; insieme con quella sinistra non governa. E allora? Veltroni ha ripetuto in ogni occasione, ben prima del discorso di investitura al Lingotto, che il Pd dovrà essere un partito "a vocazione maggioritaria". Il che significa che deve andare a prendersi i voti nella società, convincendo l'opinione pubblica, anche uscendo dal cerchio rigido dei partiti e degli schieramenti.

Sotto molti aspetti per Veltroni si prospetta un'operazione 'blairiana' basata su tre pilastri: partito nuovo, leadership e programma. È su quest'ultimo punto cardine che si gioca la sua credibilità come possibile vincitore. Vale a dire: il segretario del Pd vince la sfida (o almeno la affronta in condizioni praticabili) se prende le mosse dall'impianto programmatico del partito, non dalla tessitura di alleanze e mediazioni con tutta la variegata galassia del centrosinistra.

Il sentiero è stretto, e la sua azione sarà fortemente influenzata dal tipo di regole elettorali con cui si svolgerà, quando si svolgerà, la competizione. Ma perdere tempo con un appello fondato sull'umanitarismo, la solidarietà, la genericità sarebbe, per l'appunto, uno spreco. Il Partito democratico ha bisogno di un'anima: tradotto in termini meno sentimentali ciò significa che occorre rendersi conto che è solo una parte della sinistra. E proprio in quanto tale può permettersi di specificare che cosa è e che cosa vuole, vale a dire quale identità politica intende assumere e quale profilo di società e di governo ha in mente.

Le mediazioni possono aspettare. I volonterosi votanti delle primarie hanno detto che si aspettano un leader e un partito. E allora tocca al leader di questo partito parlare nel modo più chiaro possibile. Non per guadagnare il consenso preventivo dei partiti alleati, ma la credibilità necessaria per proporsi come guida di un progetto di modernizzazione del paese: qualche volta, e non è un paradosso, la ragionevolezza e la capacità strategica hanno bisogno di una dose di radicalità.

(19 ottobre 2007)

da espresso.repubblica.it
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