LA-U dell'OLIVO
Aprile 27, 2024, 12:34:33 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 2 3 [4] 5 6 ... 13
  Stampa  
Autore Discussione: WALTER VELTRONI ...  (Letto 101721 volte)
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #45 inserito:: Agosto 24, 2007, 06:30:49 pm »


Pd, Veltroni: «Non facciamoci del male». Bindi: «Insinuazioni»


«Per quanto mi riguarda sono favorevole a procedere diversamente rispetto alle primarie che designarono Romano Prodi come candidato premier dell'Unione e a dar vita ad un confronto pubblico sulla base delle regole che ci siamo dati e con pari dignità di tutti i candidati».

Così il candidato alla guida del Pd Walter Veltroni dà il via libera ad un confronto tra i candidati alla guida del Pd alle primarie del 14 ottobre.

«Credo che il Paese si aspetti dalla nostra competizione un confronto chiaro e trasparente sui grandi temi che riguardano il suo presente e il suo futuro, come quelli che ho cercato di affrontare da Torino in poi». È l'invito che Walter Veltroni, con una lettera apparsa sul suo sito internet, rivolge agli altri candidati per la leadership del Pd.

Tra i temi, il sindaco propone «il rapporto tra sviluppo e ambiente, la necessità di un nuovo patto tra generazioni per la sostenibilità del nostro welfare e di un nuovo patto fiscale, il difficile rapporto tra immigrazione e sicurezza, la sfida della società della conoscenza, la necessità di un incisivo pacchetto di riforme elettorali e istituzionali».

«Le regole approvate dal comitato dei 45 ci chiedono di dar vita, come è giusto e doveroso, ad una campagna elettorale sobria, che privilegi l'uso di mezzi alla portata di tutti ed eviti una ulteriore lievitazione dei costi della politica che risulterebbe inaccettabile agli occhi della stragrande maggioranza dei cittadini». Lo scrive Walter Veltroni, nella lettera inviata agli altri candidati per la leadership del Pd. «Del resto - prosegue - non abbiamo bisogno di farci conoscere: la storia di ciascuno di noi è nota e parla da sè. Da parte mia, a queste regole e a questi criteri di condotta mi atterrò con scrupolo».

«Si fa spesso riferimento e paragone - afferma Veltroni - con le primarie americane, senza però considerare che negli Stati Uniti si tratta di una tradizione, di un'organizzazione e di una pratica consolidate negli anni, mentre qui da noi è qualcosa di nuovo e di decisamente diverso, perchè alla scelta della persona, del leader, si accompagna contestualmente la costituzione di un partito. Cosa che richiede tanta più attenzione, saggezza, spirito unitario e vorrei dire "delicatezza", perchè il modo in cui ci comportiamo contribuirà inevitabilmente a definire l'immagine e la stessa identità del Pd».

Il Partito democratico, evidenzia il sindaco di Roma, «risulterà più o meno innovativo, agli occhi dei cittadini, anche a seconda di quanto riuscirà ad esserlo il nostro modo di competere, perfino lo stile, il tratto umano col quale sapremo rapportarci tra di noi». Per Veltroni, «i cittadini considererebbero innovativo e quindi interessante, degno di essere seguito e in grado di invogliare alla partecipazione, un confronto che rappresentasse una cesura netta rispetto agli aspetti deteriori del nostro ancora acerbo bipolarismo politico».

«Ci accomuna dunque - ribadisce il candidato alla guida del Pd - il dovere di adoperarci per far nascere liste che vedano il mescolarsi delle culture politiche, un forte rinnovamento generazionale che si accompagni al riequilibrio di genere e la presenza, accanto ai dirigenti politici dei due partiti, Ds e Margherita, che hanno avuto il merito di rendere possibile la nascita del Pd, di tanti amministratori eletti direttamente dai cittadini e soprattutto di una vasta rappresentanza del mondo del lavoro, della cultura, delle professioni, del volontariato e dell'associazionismo».

«La nascita del Pd rappresenta uno degli appuntamenti di maggior rilievo della storia politica italiana. Davanti a noi ci sono immense possibilità, grandi potenzialità. So bene però, perchè conosco il nostro passato, che a non farci mai difetto è stata una speciale capacità di farci del male da soli, spesso proprio nei momenti più importanti e carichi di opportunità. Voglio credere che il Pd sarà la terapia giusta, che potrà guarirci da questa sindrome». È l'invito che il candidato alla segreteria del Pd Walter Veltroni rivolge, in una lettera aperta, ai suoi sfidanti alle primarie del 14 ottobre.

«Dipenderà - aggiunge Veltroni - da ciascuno di noi. Dai nostri comportamenti, dalle nostre parole, dipenderà il grado di apertura del Partito democratico, la sua capacità di coinvolgere gli italiani e di conquistare il loro consenso, la profondità del suo segno di novità, che verrebbe meno se a dominare fossero invece logiche improntate a personalismo, protagonismo o correntismo». Logiche, evidenzia il sindaco di Roma, «vecchie e piccole che finiscono con l'allontanare chi non le vuole condividere. Ma sono certo che non sarà così. Sono certo che tutti insieme sapremo animare una competizione che potrà segnare una tappa fondamentale nel cammino di riforma democratica dell'Italia».

Confronto diretto che Enrico Letta fa sapere di aspettare con ansia e, apprezzando l'invito al fair play, consiglia a Veltroni di tenere a bada i suoi, alludendo al botta e risposta con il sindaco Chiamparino. «Sono contento - afferma il sottosegretario - che Veltroni la pensi così, spero che anche i veltroniani la pensino così, perchè ogni tanto da parte di qualcuno un pò di istigazione allo scontro è venuta in questo periodo, non da parte mia».

Dura invece Rosy Bindi. «Fin d'ora devo dirti che è necessario usare il linguaggio della verità. È un dovere verso quella nuova politica che vogliamo inaugurare con il Pd e verso i nostri militanti ed elettori». Così il ministro della famiglia e candidato alla segretaria del Pd Rosy Bindi risponde a Walter Veltroni, definendolo «reticente» sulla maggior parte delle questioni.

«E allora la prima verità è che ti servi di insinuazioni - prosegue Bindi - nel tentativo di coprire i tuoi silenzi su nodi programmatici e problemi veri, emersi in queste settimane. Mi aspettavo risposte sulle alleanze, sulla legge elettorale, sul modo di concepire il partito nuovo».

«Di solito il postino arriva la mattina e invece, ancora una volta - afferma il ministro Bindi - caro Walter ci scrivi a fine giornata, vorrà dire che nei prossimi giorni sarò io a scriverti una lettera. Fin d'ora, però, devo dirti che è necessario usare il linguaggio della verità. È un dovere verso quella nuova politica che vogliamo inaugurare con il Pd e verso i nostri militanti ed elettori. E allora la prima verità è che ti servi di insinuazioni nel tentativo di coprire i tuoi silenzi su nodi programmatici e problemi veri, emersi in queste settimane. Mi aspettavo risposte sulle alleanze, sulla legge elettorale, sul modo di concepire il partito nuovo».

«Avrei voluto sapere - spiega Bindi - se sei o meno d'accordo sulla riduzione del tetto di spesa per la campagna elettorale, visto che questo è l'unico modo per spendere poco. Avrei voluto sapere se anche tu proponi che il materiale informativo su tutti i programmi e tutti i candidati sia inviato a spese dei partiti, che invece stanno facendo campagna elettorale solo per te e per le liste che ti sostengono. Avrei voluto sapere, se anche tu vuoi ridurre il contributo di 5 euro per favorire una più larga partecipazione al voto del 14 ottobre».

«L'unica risposta che mi dai è quella sul confronto pubblico con tutti i candidati. Era ora - sottolinea il ministro - ma è spiacevole chiamare in causa Romano Prodi, e marcare una differenza di comportamenti che non ha ragione di essere. Quelle del 14 ottobre non sono primarie per scegliere il candidato premier ma per eleggere direttamente il segretario di un partito».

La candidata alla guida del Pd infatti aggiunge: «Per il resto, caro Walter tu sei reticente. Ti è mancato il coraggio di chiamare per nome le contraddizioni della fase iniziale di questo processo, condotta a tavolino con accordi di potere che stanno blindando le liste e i segretari regionali. E allora - insiste Bindi - ti voglio aiutare nell'interesse del Pd. Leggi le dichiarazioni di chi mostra desiderio di posizionarsi, di chi cerca visibilità, o vuole comparire. Sono i tuoi maggiori sostenitori, si chiamano: Bettini, Melandri, Chiamparino, Fassino, Rutelli, Fioroni, ecc... queste sì, che ci fanno del male! Come stanno facendo del male le velate minacce uscite sui quotidiani in questi giorni o i titoli, "Non faremo prigionieri", comparsi su Europa».

Le prossime settimane, prosegue Bindi, «saranno occasione di un confronto programmatico più stringente e non mancheranno contributi di approfondimento. Ma fin d'ora ti invito a non sottovalutare le tante differenze programmatiche - dalla politica estera al rapporto tra fisco e Pubblica amministrazione al welfare tra il tuo discorso al Lingotto e il mio Cantiere di idee per il Pd. Io, come gli altri candidati, cerco di restituire autenticità e dignità a questa grande operazione politica. Continuerò a farlo con la passione e la chiarezza di cui sono capace. Da te mi aspetto verità e rispetto».

«Caro Walter - conclude il ministro della Famiglia - facciamoci del bene! Siamo tanti candidati alla leadership del Pd, questo è il bello della nostra impresa. Discutiamo e confrontiamoci, questo è il sale della democrazia».

Arriva la risposta del candidato blogger Mario Adinolfi. «Caro Walter, la tua lettera apre una importante stagione di dialogo tra i candidati alla segreteria del Pd e io non voglio sottovalutarla». Comincia così la risposta, pubblicata sul blog www.marioadinolfi.it, di Mario Adinolfi alla lettera aperta di Veltroni: «C'è un elemento importante di contenuto in quanto scrivi: l'accettazione di un momento di confronto pubblico con pari dignità tra tutti i candidati. Aggiungo io: che sia un momento pubblico e televisivo. So che non ti sfuggirà l'importanza di dare la possibilità agli italiani di appassionarsi direttamente al nostro dibattito, attraverso il mezzo più evidente e diffuso: la televisione. Certo, io avrei preferito il web e YouTube o i blog come luogo del confronto; tu quella porzione di stampa amica che ancora oggi sulle home page delle versioni on line scrive che la tua lettera è "a Bindi e Letta", quando anche i sassi sanno che i candidati sono più di tre. Sarà bene invece che il confronto avvenga in diretta televisiva».

Adinolfi aggiunge: «Caro Walter, io ho grande stima di te come di tutti gli altri avversari in questa competizione. In futuro, se fosse possibile, vorrei che ti risparmiassi però i toni paternalitici. Non sei il papà che ci detta le buone maniere a tavola: il rispetto della pari dignità tra i candidati passa anche attraverso l'idea che sappiamo bene da noi come condurre una competizione politica all'interno di quello che sarà, lo sai bene, poi il partito di tutti noi e dunque con un fondo di rispetto che non verrà mai meno».

E' soddisfatto anche l'outsider Giorgio Gawronski, che ora chiede un confronto televisivo.


Pubblicato il: 23.08.07
Modificato il: 24.08.07 alle ore 15.15   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #46 inserito:: Agosto 25, 2007, 05:24:08 pm »

La partita di Walter

Antonio Padellaro


Così non va, attenti a non sciupare tutto, non facciamoci del male, ha scritto Walter Veltroni rivolto soprattutto ai suoi competitori nella corsa alla guida del Partito Democratico. E anche se le due lettere sono un richiamo propositivo a costruire qualcosa di realmente nuovo, grande e coraggioso nella politica italiana, ciò che più ha orientato i titoli dei giornali è stato il tono deluso, preoccupato, a tratti allarmato del principale candidato leader per il clima confuso, rissoso e intriso di vecchie logiche di apparato con cui ci si avvia alle primarie del 14 ottobre. Un altolà che ad alcuni è apparso perfino un ultimatum del tipo: andrò fino in fondo ma non ad ogni costo. Al sindaco di Roma non mancano certamente tempra ed esperienza per superare le difficoltà e le incomprensioni inevitabili nella costruzione di qualcosa di totalmente inedito nella storia repubblicana, quale lo scioglimento di due partiti in uno.

E, del resto, la politica è una tecnica fatta anche di pause, di strappi e di aut aut. A maggior ragione quando non si può sbagliare partita. Colpisce tuttavia il contrasto di umore e il mutamento espressivo che si coglie tra questo Veltroni e il Veltroni del 27 giugno scorso, quello del Lingotto che annunciando la sua candidatura così parlava: «La politica non è una passeggiata solitaria nella quale puoi scegliere i percorsi e le soste che più ti piacciono. È un meraviglioso viaggio collettivo. Vorrei che lo facessimo per una volta in allegria, con la serenità che in questa casa più grande, con amici nuovi, tutti possiamo essere diversi». Sono trascorsi appena due mesi e dalle parti del Pd di allegria, serenità e amicizia non è che se ne veda tanta.

A noi elettori delle primarie è soprattutto l'allegria che manca. Nel senso dell'interesse e della passione che spesso la politica è capace di suscitare. Qui invece rischia di subentrare la noia. Nel senso della ripetitività un po’ sfibrata di cose tante volte viste e sentite.

Su queste colonne Stefano Ceccanti ha spiegato perché è irripetibile il clima di eccitazione delle primarie del 2005, quelle che legittimarono la candidatura di Romano Prodi a Palazzo Chigi. La carica di assoluta novità rispetto ai verticismi dei partiti e la voglia di mandare finalmente a casa il governo Berlusconi fecero di quella giornata un evento incomparabile. Allora ci mettemmo in fila divertendoci all'idea stessa della competizione, della battaglia e della vittoria elettorale di cui quasi si sentiva il profumo. A coinvolgere non era tanto la battaglia tra Prodi, Bertinotti, Di Pietro e Scalfarotto.

L'avversario da battere era un altro, ricchissimo, potentissimo, uno che si sentiva imbattibile. Votavamo sì, ma era lui che volevamo sommergere di no. Questa volta Berlusconi c'entra e non c'entra. È stato detto basta con la personalizzazione della politica, il confronto con la destra deve avvenire sui programmi. Sarà anche giusto ma il calore è diverso e quasi non si avverte.

Rivolto più che a Letta a una Bindi molto su di giri Veltroni ha ragione a temere che le primarie si trasformino in «risse da talk show». Ma se si vuole puntare a una partecipazione massiccia (il famoso milione o giù di lì) occorre mettere pepe a un confronto che fino ad ora ha coinvolto una ristretta cerchia di professionisti della politica. In questa estate astiosa e declinante gli italiani non si sono certo accapigliati sulle regole o intorno alla fusione più o meno fredda del Pd. Ma tanto hanno parlato del folle terrorismo dei piromani. Dello strapotere mafioso e dei killer che esportiamo in massa nel cuore dell'Europa. Di una povera ragazza massacrata e di un feroce delitto trasformato in un reality show. Pensiamo che gli italiani si siano appassionati assai poco alla guerra tra parisiani e veltroniani. Ma molto di più all'eterno problema delle tasse. E quanto deve la Chiesa al fisco. Arrabbiandosi con quel Valentino Rossi che più difficilmente chiameranno campione. È un Paese che non ha affatto perso la voglia di discutere su ciò che conta veramente. I bilanci della famiglie messi a dura prova dal costo dei libri scolastici. Le città insicure dove crescono violenze e rapine. Gli immigrati, questione spinosa che non si sa come prendere.

Ecco di cosa si parla, spesso animatamente e in modo partigiano, fazioso. Perché, oggi, come conferma Ilvo Diamanti su la Repubblica, gli italiani si accostano alla politica esattamente come al calcio: «Attratti dalle bandiere più che dai progetti. Mossi dalle emozioni più che dalle valutazioni. Poco interessati alla qualità del gioco o dei "contenuti". Non c'è spazio per i moderati, per il fair play. Per il rispetto reciproco, per il dialogo. Tutti schierati in curva».

Naturalmente Veltroni fa bene a dire agli altri due che «il modo in cui ci comportiamo contribuirà inevitabilmente a definire l'immagine e la stessa identità del Pd». E fa bene a difendere il suo stile che non sarà mai quello dell'aggressione e degli insulti. Speriamo che contrariamente a quanto spesso accade nello sport, questa volta chi gioca meglio vinca anche la partita.
apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 25.08.07
Modificato il: 25.08.07 alle ore 12.00   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #47 inserito:: Agosto 27, 2007, 03:30:20 pm »

Veltroni a Parigi: nel mio Pd personalità mondiali

Marco Bucciantini


Quando gli mostrano il cellulare che riporta il “lancio” di agenzia su Bossi che spiana i fucili contro le tasse e Roma, Ualtèr Veltronì, come lo chiama Bertrand Delanoè, allarga le braccia, sconfortato da tanta bassezza. «Che ci posso fare, spero che i suoi alleati abbiano risposte diverse su Roma, sulle tasse e sui fucili». È venuto a Parigi per far volare alto il Partito democratico e deve scrollarsi di dosso il leader del partito padano.

Veltroni sceglie la Francia e Parigi, capitale della vecchia Europa, per spostare più in là l'orizzonte. Per collocare il nuovo partito in un contesto internazionale che deve cambiare, perché sono nuove le urgenze sociali. Dall'ambiente alla sicurezza dei cittadini. «E non è guardando indietro che troveremo le risposte giuste». Ma fra tutte le urgenze «gigantesca è quella della precarietà» che chiama la sinistra che riforma e quella che lotta, chi dà lavoro e chi lo difende, a «perdere ogni remora: senza crescita dell'economia e delle imprese ogni obiettivo di equità sociale e di creazione delle opportunità si allontana».

I giovani costretti «a vivere in modo precario, a rimandare all'infinito la possibilità di avere una casa propria, una famiglia loro, dei figli. Sono 3 milioni nel mio Paese. La precarietà oggi si traduce in una condizione di sfruttamento paragonabile a quella in cui si trovavano gli operai delle grandi fabbriche. Davvero non vedo come la sinistra e gli stessi sindacati possano non avere come priorità l'affermazione dei loro diritti, la creazione di un efficace sistema di ammortizzatori sociali». Tema che impone al sindacato una nuova missione: «Ci sono interessi comuni e delle giovani generazioni che vengono prima degli interessi di chi già dispone di una buona quantità di garanzie».

Premette: "Se vincerò le primarie del 14 ottobre…", ma parla del Pd come ne fosse padre e responsabile. E guarda vicino e lontano, per superare "una dimensione nazionale ormai insufficiente. Vorrei cooptare Delanoè e anche la coraggiosa e generosa Ségolène Royal nella Costituente, e con loro le personalità europee e riformiste", non solo quei leader di partito con cui consumare appuntamenti di routine, ma anche filosofi, economisti e pensatori perché queste strade "aprono una nuova stagione ed è qualcosa che riguarda tutti noi, tutto il vasto campo delle forze di sinistra e centrosinistra in Europa".

La voglia dei Gracchi, che vorrebbero allargare la Gauche verso il centro, dove però Bayrou si volta dall'altra parte, verso Sarkozy, che pesca ministri anche a sinistra, è un assist per cercare «quel nuovo campo a livello internazionale di cui abbiamo bisogno». Per disinniscare il refrain di molti centristi, anche italiani («mai nel Pse», il partito socialista europeo che il Centro vede così connotato, ingombrante e limitato), e per non veder passare inermi «il tempo di grandi e profondi cambiamenti» ecco quindi «che la straordinaria esperienza dell'Internazionale socialista deve conoscere una profonda innovazione, a cominciare - e Veltroni offre anche il nuovo nome - dalla costruzione di un soggetto la cui denominazione possa essere Internazionale dei democratici e dei socialisti e che si ponga l'obiettivo di essere la casa anche di forze essenziali come i democratici americani o il Partito del congresso indiano e tante nuove forze che in Africa, in Asia e in Europa nascono dalle sfide del nuovo millennio». Sfide che cercano un linguaggio nuovo, «per togliere alle destre la bandiera della libertà», perché - come spiega alla tv francese - «la libertà del mercato è la prime delle libertà: siamo contro la povertà non contro la ricchezza» e applaude Mandelson che dice ai socialisti francesi: «Ve la siete meritata la sconfitta, vi siete proposti da soli, siete il passato. E se mi chiedono di scegliere fra l'economia di mercato e il welfare rispondo: tutti e due».

Pubblicato il: 27.08.07
Modificato il: 27.08.07 alle ore 10.17   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #48 inserito:: Agosto 27, 2007, 10:15:34 pm »

27/8/2007 (7:53)

Veltroni come Sarko: "Il ricco non è il nemico"
 
E da Parigi rilancia un'Internazionale democratica

JACOPO IACOBONI
PARIGI


La studentessa aristofreak di Paris VIII Anne Besancenot, ascoltatrice-tipo del seminario al Théatre de La Villette su come «rifondare la sinistra francese», aggrotta le sopracciglia una volta: quando Walter Veltroni dice «la ricchezza non è affatto il nostro primo avversario. Il nostro primo avversario è la povertà». Nicolas Sarkozy in campagna elettorale aveva detto: «Vi renderò tutti proprietari. La Francia non è un Paese che odia la ricchezza». Naturalmente, gli intendimenti dei due sono diversi; le parole, meno di un tempo.

Si era venuti a raccontare la giornata parigina del leader in pectore del Pd, dedicata a un seminario su «Le ragioni della sconfitta in Francia», chiedendosi quale sarebbe stata la sua «terza via» stretto (anche fisicamente) tra i socialisti alla Rocard e i new democrats alla Mandelson o alla Giddens. Walter si trova in mezzo. Mandelson che dice alla platea «voi socialisti siete il passato, glorioso, ma senza più programma»; Walter che a braccio esordisce «quando si parla tra tre o quattro persone di sinistra, si finisce sempre a parlare di passato. No, bisogna che pensiamo al futuro».

Ecco, ieri il dilemma era passato-futuro assai più che destra-sinistra. Veltroni si muoveva tra un incontro a pranzo con il sindaco Bertrand Delanoë, al termine del quale ha annunciato una doppia manifestazione per chiedere la liberazione di Ingrid Betancourt, una a Roma l’8 settembre, l’altra a Parigi il 6 ottobre; e poi, appunto, un seminario organizzato dai Gracchi, il network dei vecchi socialisti mitterrandiani come Michel Rocard e Jacques Delors, al quale però erano invitati i relatori meno socialisti e meno novecenteschi che si possa immaginare, ossia Anthony Giddens e Peter Mandelson, grandi consiglieri di Tony Blair. Assente, anche se invitato, quel Bayrou così centrale per i fissati di letture all’italiana.

Così, proprio perché non c’era il timore di essere equivocato, Veltroni che ha fatto? Silente sulle accuse della Bindi (leggendole, in aereo, s’è limitato a sospirare alzando gli occhi al cielo), il candidato ha lanciato la proposta di «un’Internazionale dei democratici e dei socialisti che si ponga l’obiettivo di essere la casa anche di forze essenziali come i democratici americani o il partito del Congresso indiano e tante nuove forze che in Africa, Asia e in Europa nascono dalle sfide del nuovo millennio». E l’ha fatto per un motivo evidente: l’Internazionale socialista «deve conoscere oggi una profonda innovazione», perché innovativa era quando nacque;

Senonché la vera apertura del Walter alla francese è stata l’aver percepito che, stavolta, era la sinistra in Italia (oltre ovviamente ai guru del new labour) il modello per gli orgogliosi socialisti francesi; i quali, dinanzi alla disfatta, per dirla con Giddens, «hanno capito che la sinistra anglosassone non è così cattiva, e anche quella italiana glielo sta insegnando». S’è così rivisto un Veltroni che sa cogliere ciò che di buono c’è nel sarkozismo. Non per quello che ha ripetuto sulla sicurezza, «chi viola la legge avrà la certezza che sarà trattato con assoluta fermezza»; o per l’aver detto che l’«ambiente è una priorità, né di destra né di sinistra»; né per l’esser tornato a sostenere il modello elettorale francese.

No, il passaggio più post-ideologico è stato dire «se l’economia va male non ci può essere giustizia sociale». Oppure: «Più che sui privilegi dei garantiti, il nostro impegno deve concentrarsi sulle esigenze dei più deboli». Con una critica esplicita ai sindacati: «Non vedo come la sinistra, e gli stessi sindacati, possano non avere come priorità» la lotta alla precarietà, «i giovani, il loro futuro». Parole non certo da sindacalista con la barba. Mandelson annuiva, facendo così spiegazzare l’altrimenti meravigliosa camicia rosa, sotto blazer blu; Rocard incassava, immoto.

Ecco. Prima di discutere di sinistra futura, Veltroni aveva detto di Sarkozy: «Fa bene a chiamare nella commissione Attali (di cui il sindaco di Roma ha appena comprato, in francese, Une brève histoire de l’avenir) gente di idee diverse; e fanno bene loro ad accettare. Mi pare una cosa normale; così come è bene che in un Paese prevalga l’interesse nazionale sulle visioni di parte». National interest, altra locuzione che può piacere fuori dal recinto della sinistra.

In tutto questo, per usare il gioco di parole di Giddens, what is left on the left, «cosa resta alla sinistra»? Se Veltroni propone «un Pd aperto anche a esponenti internazionali, penso a Delanoë, penso a donne come la Segolene Royal», e vagheggia «un’Internazionale dei socialisti e dei democratici», secondo Giddens «un bel nome sarebbe New democrats». Ma forse ha ragione Mandelson, «sui nomi ci s’intende, l’idea di Veltroni è buona», e poi Parigi val bene una mediazione, tra passato e ultra-futuro.

DA lastampa.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #49 inserito:: Agosto 28, 2007, 11:59:56 pm »

In questi 15 anni si è costruito un grande circo Barnum che a Garlasco mostra il suo volto più orrendo.

Rai e tv private devono cambiare»

«Consoliderò Prodi, non voglio sostituirlo»

L'intervista a Walter Veltroni: A Palazzo Chigi solo se eletto.

Io troppo buono? Chi lavora con me sa che sono tosto» 

 
ROMA—Sindaco Veltroni, pure i suoi vecchi amici dicono che lei sia troppo buono. Che voglia piacere a tutti e non scontentare mai nessuno.
«Chi lavora con me sa che sono abbastanza tosto, molto più di quanto dicano. Non odio nessuno, ho rispetto e curiosità per gli altri, preferisco unire anziché dividere. Ma non ho mai avuto timore di esprimere idee controcorrente; a cominciare, dieci anni fa, dall’idea del Partito Democratico. E non ho timore di decidere. Altrimenti non avremmo chiuso 28 campi rom spostando 15 mila persone. Né avremmo concesso, unici in Italia, 1500 nuove licenze per i taxi. Si ascolta, si consulta, si tratta; ma, alla fine, si decide».

È per questo che dopo le ferie ha impresso un’accelerazione sul Partito Democratico, dicendo: o così, o senza di me?
«L’ho fatto perché sono consapevole della posta in gioco. Il Partito Democratico è la più grande possibilità, se non l’ultima, che si presenti all’Italia per costruire una moderna forza riformista emaggioritaria, che possa produrre la grande innovazione di cui il paese ha bisogno. Si deve sentire che si sta aprendo un ciclo, come quando sono andati al governo Reagan, Clinton, Sarkozy. L’Italia rischia di morire di vecchiaia. Di parole. Di occasioni perdute. Di veti. Di conservatorismi. Come ho detto al Lingotto, in un passaggio che non è stato colto ma per me era decisivo: non parlo da uomo di parte, parlo da italiano. Altrimenti non mi sarei impegnato in prima persona. Stiamo assistendo a qualcosa di straordinario, di inedito per la cultura politica italiana, di originale per la storia del nostro paese e non solo».

Addirittura?
«Quando mai è accaduto che un partito nascesse per fusione anziché per separazione, e in questo modo, con le primarie e la costituente eletta dai cittadini? La nostra storia ha avuto pochi altri momenti cruciali come questo. Penso alla Resistenza, una pagina straordinaria che vide scalpellini e intellettuali, muratori e sacerdoti battersi insieme per la libertà di altri, e un panettiere di 18 anni lasciare sul muro della cella il saluto alla madre prima di andare a morire. L’alzabandiera a scuola va bene,ma dev’essere accompagnato dallo studio delle lettere dei condannati a morte della Resistenza. Invece quest’estate mi si è accapponata la pelle a leggere sui giornali di destra la denigrazione di quella stagione, che preparò la rinascita del dopoguerra. E penso agli Anni ’60: la fine del gelo, l’arrivo della primavera, che a tutti sembrava di vedere dal tettuccio apribile della 500. Poi il paese è stato percorso da energie politiche confuse e contraddittorie».

Sugli Anni ’80 i suoi due rivali, Letta e Bindi, hanno idee opposte.
«Guardi, ogni volta che tre persone di sinistra si incontrano in una casa, a un congresso, in vacanza, parlano sempre del passato, spesso con qualche forma di rimpianto. Come se il passato fosse il brodo naturale in cui ritrovarsi ogni volta. Non partecipo al dibattito. L’Italia ha bisogno di recuperare il senso di una motivazione collettiva, attraverso l’ancoraggio a un sistema di valori, a un’idea di democrazia che non è veto e non è "mors tua vita mea". Tanti italiani si ribellano all’incapacità della politica di decidere, e ne trovano insopportabili i toni. E’ paradossale che tra gli schieramenti ci sia più odio oggi di quando si combatteva la guerra fredda. Perché questo scandalo se Lang e Attali accolgono la chiamata di Sarkozy? Qual è il problema?».

Lei chi chiamerebbe, oltre a Gianni Letta?
«Ci sono molte persone che stimo nel centrodestra. Beppe Pisanu. Stefania Prestigiacomo. Letizia Moratti. Intellettuali come Franco Cardini, uomo di straordinaria levatura. Al centrodestra rivolgo un appello: c’è un pacchetto di riforme in commissione Affari costituzionali, dal rafforzamento dei poteri del premier alla riduzione del numero dei parlamentari, su cui possiamo ritrovarci d’accordo; perché non lo si approva? In Italia c’è un desaparecido, il senso degli interessi generali; quello che aveva Trentin e hanno Ciampi e Napolitano. Ci si fischia, ci si insulta con battute di quart’ordine, anche per colpa dei media: i politici sanno che per finire sui giornali basta dare all’avversario del cretino. Un giorno Tremonti si paragona a Gandhi, il giorno dopo Bossi vuole imbracciare i fucili. Parole gravissime;ma ancora più grave è il silenzio di chi gli sta accanto. Se non altro, Caruso è stato zittito dal suo stesso partito».

Lei però parla di conservatorismi anche a sinistra. Per superarli occorrono nuove alleanze? Davvero il PD potrebbe aprire al centro o andare da solo?
«Il centrosinistra ha vinto queste elezioni e governerà in questi anni. Penso sinceramente che questo governo sia quanto di meglio possibile, nelle condizioni date. Ha ottenuto grandi risultati sul risanamento, ha raggiunto un accordo importante sul welfare. Penso però che in prospettiva occorra una maggiore coesione programmatica. Il programma di governo non dev’essere di 280 cartelle, ma di 10 punti, chiari, netti, identificabili. Enon è normale che a ottobre forze della maggioranza partecipino a due manifestazioni contrapposte, entrambe contro il governo. Io mi auguro che la coalizione di centrosinistra sia consapevole di questo. In ogni caso, il Partito Democratico deve sviluppare una sua vocazione maggioritaria, costruendo, in un rapporto diretto con il paese, un programma e una identità che ne espandano i confini. Attraverso un grande choc di innovazione. Una semplificazione della vita pubblica. Il rilancio delle infrastrutture. Una sterzata profonda verso la formazione, la ricerca, l’innovazione. E una riforma del patto fiscale».

Quale riforma?
«Nei prossimi giorni avanzerò una serie di proposte per riformulare il patto tra lo Stato e i cittadini. Lo sciopero fiscale è una follia. Ma non possiamo nasconderci la reazione che il fisco così com’è oggi genera negli italiani. È evidente che il patto è in crisi, e ne occorre un altro per un fisco meno oppressivo e uno Stato più leggero ed efficiente. Un cittadino del Nord-Est che paga le tasse e attende la Pedemontana da anni, capisce che i suoi soldi non sono spesi bene».

Come un commerciante lasciato in balia di usura e pizzo, con i clandestini che vendono merci contraffatte davanti al suo negozio, come accade anche a Roma.
«Lasciare il tema della sicurezza alla destra sarebbe un regalo immeritato. Si potrebbe dire che nei cinque anni in cui la destra ha governato non è accaduto nulla: le rapine nelle ville c’erano prima e ci sono ora. E tra i proprietari delle ville ci sono imprenditori e anche operai che hanno coronato il sogno della vita, e hanno diritto alla sicurezza. Dobbiamo lavorare per la prevenzione: c’è un nesso tra delinquenza e povertà, e per questo occorre affrontare la questione sociale che va crescendo in Italia, garantire il diritto alla casa, assistere gli anziani che scivolano sotto la soglia di sussistenza, integrare gli immigrati onesti. Ma dobbiamo lavorare anche per il presidio del territorio. E per contrastare quanti, stranieri o italiani, violano la legalità. Occorre essere molto duri e molto severi: l’effettività della pena dev’essere una cosa seria. Non è possibile che un truffatore si arricchisca dalla galera. O che un incendiario in galera non vada neppure. O che circoli liberamente chi si è macchiato di pedofilia. Dove per pedofilia intendo non solo la violenza sui minori, ma anche il possesso e lo scambio di materiale pedopornografico».

Che fare in questi casi?
«Occorre che queste persone siano messe nelle condizioni di essere riconoscibili. Se per sei mesi un medico, un dirigente, un impiegato è costretto ad affidarsi ai servizi sociali, dovrà pur spiegare imotivi, renderli pubblici».

Sta dicendo che la privacy dei pedofili non le interessa?
«È così. Mi interessa l’integrità dei bambini. Combatto una società predona, in cui gli adulti hanno a disposizione della propria capacità di stupirsi l’integrità e l’esistenza stessa di un bambino. Combatto una società che fa carta straccia dei valori, in cui il dramma di una ragazza uccisa diventa spettacolo, dove com’è accaduto a Londra quest’estate sei minorenni sono stati uccisi da loro coetanei, o com’è accaduto a New York una ragazza viene violentata e bastonata per un’ora e mezza senza che nessuno intervenga. Si è voluta la società dell’io, in cui il prossimo è solo un concorrente; eccone i risultati. E non accetto prediche da chi ha alimentato questo Zeitgeist, questo spirito del tempo».

Si riferisce anche alla tv?
«Sì. In questi 15 anni si è costruito un grande circo Barnum che oggi aGarlasco mostra il suo volto più orrendo. Non soltanto la Rai, ma tutto il sistema televisivo pubblico o privato è chiamato a un profondo cambiamento. Chi fa i palinsesti deve avere più fiducia in se stesso e negli italiani. Perché per una pro loco che invita Corona ci sono cento ragazzi che vanno in piazza a protestare, a reclamare il diritto a una vita intelligente».

Fisco. Sicurezza. Nuovo ciclo. Il suo pare un programma di governo. Filippo Andreatta ha esplicitato la voce che percorre il Palazzo: un bis del ’98, un’altra sostituzione di Prodi in corsa. Stavolta, con lei.
«Da quando è in campo il Partito Democratico, il governo è più forte. L’accordo sulle pensioni e sul welfare non sarebbe stato possibile, se alla spinta conservatrice che veniva dall’altra parte della coalizione non si fosse contrapposta da parte nostra una spinta innovatrice. Com’è ovvio, il programma di un nuovo partito va oltre i confini di una legislatura. Ma il mio obiettivo è consolidare Prodi, non sostituirlo».

Quindi lei esclude di poter andare a Palazzo Chigi senza aver vinto le elezioni?
«Lo escludo assolutamente. Non esiste al mondo che questo possa accadere. Spero, mi auguro, lavoro perché il governo trovi la forza di sviluppare il suo operato, che la legge finanziaria restituisca uno slancio verso la crescita e lo sviluppo. E che il governo riesca a trovare un accordo per la nuova legge elettorale».

Le va bene anche il modello tedesco?
«Il modello tedesco ha il vantaggio di ridurre la frammentazione, ma il grande svantaggio che le alleanze si fanno dopo il voto, non prima. Si può scegliere tra uno dei modelli europei consolidati. La mia preferenza va a quello francese. Ma ricordo che il ministro Chiti aveva fatto un buon lavoro, ottenendo un vasto consenso sulla sua bozza. Si può ripartire da lì. Altrimenti verrà il referendum».

Da cui uscirebbe un legge che assegna il premio di maggioranza al partito più votato anziché alla coalizione. Funzionerebbe?
«Sarebbe comunque meglio della legge che ha prodotto un Parlamento nominato anziché eletto, in cui tre senatori contano più del voto di milioni di cittadini».

Nella campagna per le primarie accade una cosa strana: coloro che fino a poco fa difendevano i vecchi partiti sostengono lei, e gli ulivisti che la pensavano come lei la avversano. Rosy Bindi aveva detto: se Veltroni si candida, lo voto. Poi...
«Ricordo. Avevo ascoltato autentici peana, prima che decidessi di candidarmi. Ma per Rosy ed Enrico continuo a non provare altro che stima e affetto. So che talora si possono dire cose che non si pensano, perché le si considerano opportune. So che dopo il 14 ottobre torneremo a lavorare insieme. Ora però sento usare argomenti e stilemi come se io fossi il loro avversario nella campagna elettorale per le politiche. La nostra gente apprezza l’unità. E mi lasci dire, ame che com’è noto non sono un beniamino degli "apparati", che trovo straordinaria la generosità con cui militanti e dirigenti hanno accettato di sciogliersi in un partito nuovo ».

Non ha ripensamenti? È stato davvero opportuno candidarsi?
«Non era conveniente; era giusto. C’ho riflettuto a lungo. Ne ho parlato in famiglia, con gli amici più stretti. Mi sono risposto: "Sono dieci anni che rompi le scatole a tutti con il Partito Democratico, e ora che ti chiedono di guidarlo che fai? Fischietti, ti giri dall’altra parte?". Mi sono guardato allo specchio, e mi sono risposto che non avevo scelta. L’occasione è storica, non per me né per la nostra parte politica; per il paese».

Ha ancora i dischi di De Gregori?
«Voglio talmente bene a Francesco, la nostra amicizia è così solida, così forte, così reale, che nulla potrà mai mutarla».

Aldo Cazzullo
28 agosto 2007
 
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #50 inserito:: Agosto 29, 2007, 12:05:35 am »

E il prodiano Monaco: «Walter è stato candidato dai vertici»

Parisi contro Veltroni.

Rutelli: «Schermaglie»

Il ministro della Difesa: «Sorpreso che abbia sentito la necessità di dire che non vuole sostituire Prodi».

Gelo del leader Dl   
 
 
ROMA - «Mi sorprende e mi preoccupa che Veltroni abbia sentito la necessità di dirlo. È nelle cose, nella parte scritta e non scritta del nostro ordinamento, che a Palazzo Chigi si va sulla base di un voto popolare». Così il ministro della Difesa, Arturo Parisi, alla festa dell'Udeur a Telese, commenta l'intervista al Corriere della Sera nella quale Walter Veltroni sostiene l'eventualità di andare a Palazzo Chigi solo in caso di nuove elezioni (considerata «eccellente» dal leader della Margherita Francesco Rutelli). «Non posso non rilevare che nello schieramento che sostiene Veltroni c’è tutto e il contrario di tutto; esiste la posizione nitidamente aperta alla prospettiva centrista, quella di Rutelli, e posizioni come le liste di sinistra per Veltroni che sono rigorosamente gauchiste». Pronta la replica di Rutelli: «Io centrista? Non rispondo a piccole schermaglie quotidiane».

CANDIDATI UFFICIALI E «SOTTUFFICIALI» - Ma Parisi è andato oltre. «Da una parte c'è un candidato ufficiale e dall'altra i candidati non ufficiali. Alla Difesa sarebbero chiamati "sottoufficiali". È uno dei limiti dell'attuale competizione e io mi impegno a far sentire la mia voce contro questo», ha proseguito il ministro.

NITIDEZZA DI POSIZIONI - Sul perché Parisi non si sia candidato, ha spiegato: «È una domanda che mi faccio anch'io. I mio profilo sulla scena politica mi chiama alla nitidezza di posizioni che sento in contrasto con la formazione di aggregazioni più ampie. Il mio rammarico è che la competizione per il segretario del Pd non veda in campo proposte e candidati egualmente capaci, perché non sono messe in condizioni di farlo, di attirare consenso ad ampio spettro».

«BOSSI VA PRESO SUL SERIO» - Poi Parisi è tornato anche sulle parole di Bossi («Sulle tasse i padani potrebbero prendere i fucili»). «Il Paese non può permettersi di non prendere sul serio una forza politica con cui ci dovrebbe essere un confronto. Bossi ne dice una al giorno. Mi spaventa il mancato rispetto delle parole».

VELTRONI- All'attacco contro l'asse Veltroni-Rutelli sferzato dal ministro Parisi risponde indirettamente a fine giornata anche Veltroni. Intervistato dal Tg1, il candidato alla segreteria del Partito democratico, ha parlato dell'incontro avuto in mattinata con il premier Romano Prdi. «È stato ottimo, come sempre sono gli incontri con Romano, di amicizia e di impegno comune. D'altra parte - ha anche aggiunto Veltroni - l'obiettivo nostro è quello di sostenere il governo e di fare ciò che in questo momento gli italiani chiedono e gli italiani vogliono: stabilità, serenità. Vogliono la fine di questo conflitto esasperato e all'arma bianca che c'è tra le forze politiche. E vogliono innovazione».

28 agosto 2007
 
da corriere.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #51 inserito:: Agosto 29, 2007, 06:11:46 pm »

Latorre: è una competizione ma siamo nello stesso partito

Maria Zegarelli


L’intervista rilasciata ieri da Walter Veltroni sul Corriere ha acceso il dibattito: c’è chi come il ministro Arturo Parisi, ci legge progetti a breve termine su Palazzo Chigi e chi, come Francesco Rutelli, la ritiene «eccellente». Nicola Latorre, vicepresidente dell’Ulivo al Senato, ci vede un «progetto chiaro e forte per il futuro del Pd e del Paese».

Parisi insinua secondi fini veltroniani sul cammino del governo. Lei, La Torre, che idea si è fatto?

«Questi sospetti sono davvero infondati. Intanto vorrei dire a Parisi che quando traccia queste ipotesi, compresa quella degli apparati che sostengono Veltroni, dovrebbe rendersi conto che sta parlando del suo stesso partito. Poi, mi sembra che dall’intervista emerga soprattutto l’obiettivo politico del Pd: rilanciare e rafforzare l’azione del governo. Su Palazzo Chigi Veltroni risponde a una precisa domanda dell’intervistatore con molta chiarezza. Nessun programma di governo, ma il senso profondo del progetto politico del Pd al servizio del Paese, per cambiare il bipolarismo italiano, per renderlo propositivo e mettere fine a un sistema che si è radicato nel paese su presupposti negativi, di annientamento dell’avversario. Il Pd sconvolgerà il sistema politico italiano, costringerà tutti a rimettersi in discussione, sia a destra che a sinistra. Veltroni parla anche di un altro aspetto centrale in questo momento: il recupero dell’interesse generale, come valore fondante della politica. Stia tranquillo Parisi...».

Sembra più una campagna elettorale per le politiche che non per l’elezione del segretario del Pd. Non c’è il rischio che scatti la voglia di starsene a casa il 14 ottobre?

«Che questa sia una competizione vera è sotto gli occhi di tutti e questo è un fatto positivo, che può spingere a un maggiore coinvolgimento della società e quindi ad una maggiore affluenza al voto. Purché i toni di questa competizione restino sempre compatibili con la consapevolezza che noi siamo tutti membri dello stesso partito».

Veltroni è criticato per il suo «buonismo». Bisogna essere cattivi?

«Mi sembra una critica ingenerosa, forse dettata dalla preoccupazione per i consensi di Walter. Noi non stiamo svolgendo un congresso di partito: stiamo costruendo un partito nuovo, dunque la discussione va messa in relazione con la natura costituente di questo passaggio. Si tratta di indicare le linee guida e le idee portanti di un grande progetto politico, Poi verrà il tempo dei confronti congressuali dove si misureranno le piattaforme congressuali».

Ha letto della proposta di Veltroni di una riforma del patto fiscale?

«Da tempo abbiamo sottolineato che il vero nodo da sciogliere è che ad una pressione fiscale di un certo tipo non corrisponde un ritorno adeguato dei servizi ai cittadini. Veltroni fa bene a rilanciare questo tema, ma il governo dal canto suo sta lavorando per allargare la platea dei contribuenti, per una equa redistribuzione del carico fiscale, alleggerendo progressivamente le famiglie».

La sicurezza, altra emergenza da affrontare...

«Questa è una grande priorità e Walter ha fatto bene a rilanciarla. È un tema che non può appartenere a una parte politica e che va recuperato perché la fascia più debole della società è quella che si sente ancora più a rischio. In questi mesi, abbiamo preso iniziative importanti, le prime, il lavoro è ancora molto. Il ministero dell’Interno, il governo e i sindaci delle nostre città, hanno siglato i patti per la sicurezza e hanno segnato una svolta nel modo di affrontare questi problemi».

Riapertura del confronto con il centrodestra. Ci sono i presupposti?

«Noi dobbiamo riaprire il dialogo con l’opposizione e trovare l’accordo su riforme istituzionali e legge elettorale perché su questi temi non deve valere la forza di maggioranza. Per noi del centrosinistra è un’opzione di fondo».

Pubblicato il: 29.08.07
Modificato il: 29.08.07 alle ore 10.18   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #52 inserito:: Agosto 29, 2007, 06:14:19 pm »

Veltroni: «L'obiettivo è la stabilità del governo»


Toni sempre più accesi nella campagna elettorale per le primarie del PD con conseguenze polemiche anche sul governo e con una sinistra dell'Unione al contrattacco . Dopo l'intervista al Corriere, il sindaco di Roma Walter Veltroni conferma il suo appoggio a Romano Prodi. «Il nostro obiettivo è di sostenere il governo e di fare quello che gli italiani chiedono in questo momento: stabilità, serenità e la fine di questo conflitto esasperato».
In precedenza Arturo Parisi aveva chiesto a Veltroni di «fare chiarezza sul suo progetto per il Partito democratico» che rischia di aggregare «tutto e il contrario di tutto».

Franco Monaco, ulivista della Margherita vicino a Parisi, torna sulla polemica e assicura: «fanno torto alla verità e anche alla nostra intelligenza quanti attribuiscono a Parisi e agli ulivisti il sospetto di una congiura di Veltroni per sostituire Prodi in corsa». «Chiunque comprende che il più controinteressato è lo stesso Veltroni. Che vantaggio avrebbe ad accollarsi un onere tanto impegnativo?». Insomma, per Monaco «si è voluto fraintendere le parole di Parisi a Telese».

Per Rosy Bindi, candidata alla sua guida «il Pd nasce per dar forza al Governo Prodi. Chiunque avesse idee diverse farebbe meglio subito a togliersele dalla testa. Ci mancherebbe altro che ci fossero problemi tra il Presidente del processo di costituzione del Pd, che sarà presidente del Pd subito dopo il 14 ottobre, e un candidato alla Segreteria del partito stesso».

Franco Giordano, segretario di Rifondazione Comunista, attacca il leader della Margherita: «Uno come Francesco Rutelli - spiega Giordano  - che critica così radicalmente questo governo a quale titolo fa il vice premier? Chi destabilizza il governo e l'Unione non siamo noi, ma il leader della Margherita. Del resto se lui vuole ridiscutere il programma, non mi spavento. Però ridiscutiamo anche la composizione del governo». Secondo Giordano «quello che va dicendo Rutelli è imbarazzante», perchè «lancia invettive contro la sinistra ma ha come bersaglio il governo di cui è incredibilmente il vice premier».

E il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, loda le parole di Veltroni sulla Resistenza, ma non apprezza «l'idea che nella società di oggi evaporino i riferimenti ai valori sociali»

Enrico Letta, invece, torna ad attaccare le regole per l'elezione del leader del Pd: «Stiamo andando incontro a un errore gravissimo e rischiamo di perdere un'opportunità grande e irripetibile: quella di far nascere il nuovo partito con una base sociale di milioni di persone: rischiamo di perderne moltissime».

C'è poi chi, come Mario Adinolfi, protesta con i telegiornali Rai: «Io in video 20 secondi in 42 giorni, Veltroni in tutte le edizioni». Il candidato alla guida del Pd lamenta «un vulnus democratico» in vista delle primarie.


Pubblicato il: 28.08.07
Modificato il: 29.08.07 alle ore 15.18   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #53 inserito:: Agosto 30, 2007, 11:56:25 pm »

POLITICA

Walter Veltroni: puntare su lotta alla povertà e crescita

Le proposte del candidato leader del Pd su fisco e servizi

"Tasse più basse e trasparenti rivoluzione in dieci mosse"

di WALTER VELTRONI

 
Caro direttore, Eugenio Scalfari ha ragione: l'esasperazione della discussione pubblica in materia di politica fiscale è la cartina di tornasole di una fase di difficoltà nei rapporti fra istituzioni e cittadini, fra politica e Paese. Luigi Einaudi, nel 1945, scrisse che "gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente gridano all'ingiustizia".

Dagli anni '90 la pressione fiscale italiana ha raggiunto livelli europei. In alcuni anni è diventata superiore alla media dell'Unione.

È aumentata così la percezione di un divario tra i sacrifici richiesti e le prestazioni fornite dallo Stato. Esse permettono ai cittadini italiani di fruire di servizi pubblici, come sanità e istruzione, ben più universali e meno costosi di quelli di altri paesi. Ma un divario esiste e dipende dal servizio di un pesante debito pubblico, i cui interessi si mangiano ogni anno quasi cinque punti di Pil. Ne consegue che se non si incide qui - riducendo il debito e riqualificando la spesa pubblica - il cittadino continuerà ad avere difficoltà a capire se quanto paga è il giusto.

Quella parte dell'opposizione che incita allo sciopero fiscale non è solo composta da "persone che hanno governato per cinque anni con la più ampia maggioranza della storia della Repubblica senza riuscire nemmeno ad abbassare l'Irap", com'è stato ricordato da Luca Montezemolo. È composta da chi, in cinque anni di governo, ha aumentato di due punti e mezzo di Pil la spesa corrente primaria, più di 30 mld di Euro, senza neppure avviare quella riforma del welfare per i giovani che ha visto invece un importante primo passo nell'accordo di luglio fra Governo Prodi e Sindacati. E' il mediocre funzionamento dello Stato una delle eredità più pesanti del passato remoto e recente. Non si possono aspettare decenni per un ponte o un'autostrada. E' la competitività italiana a rimetterci.

Quindi, è indispensabile che il Partito Democratico assuma un preciso vincolo: ogni euro di nuova spesa corrente dovrà essere ricavato da un risparmio. Così proseguendo negli anni - e con un buon ritmo di crescita - la spesa corrente primaria potrà essere stabilizzata, in rapporto al Pil, poco al di sotto delle dimensioni attuali. Come? Abbandonando la logica dei tagli orizzontali e giustificando ogni spesa di ogni apparato pubblico dal primo all'ultimo Euro. Poi, misurazione dei risultati, a partire dai dirigenti, premio al merito, penalizzazione del disimpegno; ristrutturazioni e razionalizzazioni nella pubblica amministrazione; eliminazione delle tante duplicazioni e sovrapposizioni di funzioni e uffici pubblici oggi esistenti. In questo modo potranno essere finanziate quelle politiche per la qualità e la mobilità sociale - un sistema universale di ammortizzatori sociali, gli asili nido, la non autosufficienza - che sono indispensabili per lo sviluppo e la coesione.

Le risorse per la spesa in conto capitale? Anche qui non potremo contare su aumenti tributari. Occorre sempre più ricorrere a schemi di finanziamento e di gestione attrattivi per capitali privati in cerca di impieghi poco rischiosi e, per la parte pubblica, a nuove politiche del patrimonio. O si gestisce questo patrimonio in modo da ricavarne le risorse necessarie per pagare una quota significativa degli interessi sul debito. O si adottano soluzioni per un'alienazione parziale e selettiva di questo patrimonio, garantendo la piena tutela dei beni culturali e ambientali. In entrambi i casi, è necessaria un'intesa tra Stato centrale ed Autonomie regionali e locali. Il centro-destra si è mosso su una linea opposta: ha finanziato nuova spesa permanente con i proventi una tantum delle dismissioni, non ha ricercato il consenso degli enti locali, ha alienato "all'ingrosso" e non selettivamente. In ogni caso, hic Rhodus: senza chiamare l'attivo patrimoniale a concorrere alla riduzione del debito, sarà quasi impossibile quel rapido salto negli investimenti materiali (strade, porti, ferrovie, aeroporti, metropolitane) e immateriali (la formazione, e cioè i cervelli dei nostri ragazzi) che solo può far tornare a crescere la produttività del sistema.

Ecco allora, nella strategia in dieci mosse che penso per il Partito Democratico, il primo impegno. Se saremo in grado di seguire gli indirizzi appena descritti su spesa e debito, accompagnandoli a quella radicale azione di riduzione dei costi della politica e di robusta iniezione di criteri meritocratici nella gestione di tutti i pubblici servizi, potremo credibilmente assumere l'impegno a ridurre la pressione fiscale, stabilizzandola nel tempo almeno due punti di Pil sotto il livello del 2006.

Secondo, a mutare deve essere la composizione interna della pressione fiscale, che oggi è sperequata a svantaggio dei contribuenti leali e a favore di quelli meno onesti. I dati delle entrate 2006 e 2007 ci dicono che - finita l'era dei condoni - il Paese si è messo sulla strada giusta: l'area dell'evasione resta molto grande, ma ha cominciato a ridursi. Merito del Governo Prodi e, in particolare, del Vice Ministro Visco. È arrivato il momento che aspettavamo da tempo: quello di restituire ai contribuenti leali - lavoratori dipendenti, autonomi, famiglie e imprese - tutto quello che si ricava dal successo nella lotta all'evasione.

Terzo, un nuovo patto fiscale si scrive non solo con i controlli severi, ma anche con la semplificazione. Un esempio concreto sarebbe il varo di un regime semplificato per le microimprese (fino a 25-30 mila Euro di ricavi), 800 mila piccoli contribuenti per i quali è sensato riunificare tutti gli adempimenti in un solo atto. E' indispensabile poi semplificare i pagamenti (fisco telematico per tutti) e promuovere tutte le forme di ravvedimento operoso.

Quarto, un importante elemento di fiducia è l'impegno dello Stato alla certezza delle regole fiscali: mai e poi mai, per nessuna ragione, norme fiscali con effetti retroattivi.

Quinto, il tema del trattamento fiscale della famiglia è legato al nuovo patto intergenerazionale di cui ho parlato al Lingotto, basato sul contrasto di tutte le nuove povertà: un capitolo che considero un fronte essenziale per il Partito Democratico (lotta al precariato, tutele sociali per i giovani, casa, aiuto alle famiglie con bambini). Indirizzi in questo senso sono emersi nella Conferenza sulla famiglia di Firenze, condotta con competenza dal Ministro Bindi. Siamo nelle condizioni, nell'arco di pochi anni, di varare un'ambiziosa riforma dei sistemi di sostegno fiscale alle famiglie, con la costruzione di un unico istituto che riunifichi detrazioni e assegni familiari. Una vera e propria "dote fiscale" per i figli e per la famiglia, che riduce automaticamente l'imposta sui redditi e, per coloro che stanno sotto i livelli minimi di imponibile, diventa un'"imposta negativa", e cioè un contributo monetario al nucleo familiare da parte dello Stato. Si tratterebbe di un grande passo avanti nell'equità e nella lotta alla povertà: 2.500 euro per ogni figlio (con cifre declinanti all'aumentare del reddito familiare) corrisposti tramite detrazione e, per l'eventuale differenza, se l'imposta da pagare non è abbastanza alta, con un trasferimento monetario diretto.

Sesto, mi sembra ottima l'idea di uno scambio tra minori incentivi e contributi alle imprese e minori imposte: una strada che può portare a ridurre di cinque punti l'aliquota dell'imposta sulle società.

Settimo, il sistema di ammortamento fiscale degli investimenti va aggiornato al nuovo contesto tecnologico: oggi l'obsolescenza delle macchine è veloce e il Paese ha tutto l'interesse a sostenere cicli accelerati di investimenti delle imprese. Anche sulle spese per ricerca e sviluppo occorre studiare proposte innovative, ad esempio schemi per la loro deducibilità anticipata.

Ottavo, un accorto uso della leva fiscale deve favorire anche i redditi da lavoro dipendente. Va in questa direzione l'accordo di luglio, che consegna alla contrattazione decentrata spazi più ampi per generare aumenti di produttività e per redistribuirne i vantaggi ai lavoratori, contribuendo così alla soluzione di quella questione salariale che si è da tempo riaperta. Andrà prevista una graduale restituzione del "drenaggio fiscale", anche per favorire lo svolgimento della futura tornata contrattuale.

Nono, il Governo ha avviato, riducendo il cuneo fiscale, un intervento sull'Irap, venendo incontro a richieste disattese dal precedente esecutivo. Nell'immediato, si è fatto davvero molto. Nel lungo periodo, mi chiedo se non sia possibile proseguire su questa strada, ampliando l'area della deducibilità dell'Irap e definendo misure compensative per una sanità risanata e affidata a manager scelti con criteri obiettivi.

Decimo, il Partito Democratico dovrà impegnarsi per un federalismo moderno e solidale. Mentre la precedente legislatura è passata invano, in un anno il Governo ha messo a disposizione del Parlamento un pacchetto di possibili riforme: codice delle autonomie, federalismo fiscale, riforma delle Conferenze inter-istituzionali. E' l'occasione per semplificare l'azione pubblica nel nostro Paese, per definire "chi fa cosa" in un sistema di governance multilivello che oggi è spesso bloccato dai veti incrociati.

La lotta alle povertà vecchie e nuove, la creazione di opportunità per le imprese, la crescita e la più equa distribuzione della ricchezza sono tutte facce della stessa medaglia. Il giorno in cui il centrosinistra italiano avrà accettato questa sfida, sarà il giorno in cui potrà aspirare a diventare maggioritario.

(30 agosto 2007)

da repubblica.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #54 inserito:: Agosto 31, 2007, 11:18:54 pm »

Decalogo per cambiare questa politica in crisi

Walter Veltroni


Se abbiamo voluto chiamare «democratico» il partito nuovo che stiamo costruendo, è anche e soprattutto perché è la democrazia la questione cruciale del nostro tempo. Siamo entrati nel ventunesimo secolo sull’onda delle speranze suscitate dalla vittoria della democrazia sui totalitarismi che avevano insanguinato il Novecento.

Ma oggi, quella corrente calda ha perso buona parte della sua forza, frenata dall’attrito con questioni dure, come il divario tra il carattere globale dei nuovi problemi (e dei nuovi poteri) e la dimensione ancora prevalentemente nazionale delle istituzioni politiche, la persistente debolezza delle istituzioni internazionali, la fatica con la quale avanzano i processi di integrazione sopranazionale e post-statuale, a cominciare dall’Unione Europea. E se perfino le grandi democrazie appaiono troppo piccole, è inevitabile che sia messo in dubbio il fondamento più profondo della democrazia stessa: quella visione umanistica della storia che ritiene possibile, per la coscienza e l’intelligenza delle donne e degli uomini, orientare il corso degli eventi. Perché ritiene che la storia non sia determinata meccanicisticamente dalla sola legge della necessità, ma possa essere influenzata dal responsabile esercizio della libertà.

Dirsi «democratici» oggi, significa dunque anzitutto lavorare per aprire alla democrazia orizzonti più ampi: a cominciare dal multilateralismo efficace nelle relazioni internazionali e da una visione politica e non solo mercantilistica dell’integrazione europea. E tuttavia, anche per contribuire ad aprire un nuovo ciclo, un ciclo sopranazionale, nella storia della democrazia, dopo quelli delle città antiche e degli Stati moderni, è necessario disporre di istituzioni nazionali forti, perché efficaci e legittimate, di un sistema politico capace di pensare in grande e di agire con rapidità e di un efficace e trasparente governo di prossimità.

Il nostro Paese non dispone oggi di istituzioni nazionali e di un sistema politico adeguati a questi fini. La democrazia italiana è malata, per così dire, su entrambi i lati del suo nome composto: quello della «crazia» ovvero dell’autorevolezza e della forza delle istituzioni; e quello del «demos», ovvero della legittimazione popolare della politica. Non è necessario dilungarsi nella descrizione: è sotto gli occhi di tutti la crisi di autorità di un sistema istituzionale e politico, qualunque sia il colore del governo del momento, allo stesso tempo costoso e improduttivo, tanto invadente nell’occupazione del potere e nell’ostentazione dei suoi segni esteriori, quanto impotente nell’esercitare il potere vero, quello che serve ad affrontare i problemi del Paese; tanto capace di frammentarsi inseguendo e cavalcando la degenerazione corporativa della società, quanto inadeguato al bisogno, che pure il Paese esprime, di unità, solidarietà, coesione attorno a obiettivi di bene comune.

La democrazia italiana sta andando in crisi per assenza di capacità di decisione, per la prevalenza della logica dei veti delle minoranze sulle decisioni delle maggioranze. La democrazia non può essere un’assemblea permanente che si conclude con la convocazione di un’altra assemblea. La democrazia è ascolto, partecipazione, condivisione. Ma, alla fine, è decisione. Lo disse Calamandrei durante i lavori della Costituente: «La democrazia per funzionare deve avere un governo stabile: questo è il problema fondamentale della democrazia. Se un regime democratico non riesce a darsi un governo che governi, esso è condannato. Le dittature sorgono non dai governi che governano e che durano, ma dalla impossibilità di governare dei governi democratici».

Il Partito democratico nasce per porre un argine a questa deriva, nella quale la politica stessa finisce per alimentare l’antipolitica, e per avviare, con la sua stessa costituzione, un’inversione di tendenza: dalla divisione all’unità, dall’invadenza alla sobrietà, dall’arroganza inconcludente alla forza dell’efficienza e della produttività. Per dare concretezza a questa linea di lavoro, Il Partito democratico al quale penso si impegnerà seriamente a fare dieci cose concrete.

Primo: superare l’attuale bicameralismo perfetto, assegnando alla Camera la titolarità dell’indirizzo politico, della fiducia al governo e della funzione legislativa e facendo del Senato la sede della collaborazione tra lo Stato e le autonomie regionali e locali. Senato e Camera manterrebbero potestà legislativa paritaria nei procedimenti di revisione costituzionale.

Secondo: operare una drastica riduzione del numero dei parlamentari, coerente con la specializzazione delle due Camere, 470 deputati e 100 senatori porterebbero l’Italia al livello delle altre grandi democrazie europee come quella francese alla quale sempre di più dobbiamo saper guardare.

Terzo: riformare la legge elettorale, in modo da ridurre l’assurda frammentazione e favorire un bipolarismo basato su competitori coesi programmaticamente e politicamente. Il governo sarebbe così capace di assicurare l’attuazione del programma per il quale è stato scelto dagli elettori, come in tutte le grandi democrazie europee. E, infine, la ricostruzione di un rapporto fiduciario tra elettori ed eletti, mediante la previsione per legge di elezioni primarie per la selezione dei candidati. Tutto questo è ora reso ancora più necessario dalla positiva sfida del referendum.

Quarto: rafforzare decisamente la figura del presidente del Consiglio, sul modello tipicamente europeo del governo del primo ministro, in modo da garantire unitarietà e coerenza all’azione del governo e coesione della maggioranza parlamentare, attribuendogli, ad esempio, il potere di proporre nomina e revoca dei ministri al presidente della Repubblica.

Quinto: rafforzare il sistema di garanzie nel sistema maggioritario e bipolare, in modo da scongiurare qualunque rischio di dittatura della maggioranza o di deriva plebiscitaria, prevedendo quorum rafforzati per la modifica della prima parte della Costituzione e per l’elezione delle cariche indipendenti, uno Statuto dell’opposizione, l’attribuzione alla Corte costituzionale delle controversie in materia elettorale, norme rigorose contro il conflitto d’interessi.

Sesto: previsione di una corsia preferenziale, con tempi certi, per l’approvazione dei disegni di legge governativi e voto unico della Camera sulla legge finanziaria nel testo predisposto dalla Commissione Bilancio, sulla falsariga dell’esperienza inglese.

Settimo: escludere nei regolamenti parlamentari la costituzione di gruppi che non corrispondano alle liste presentate alle elezioni e rivedere le norme finanziarie che oggi premiano la frammentazione, comprese quelle sul finanziamento pubblico dei partiti e della stampa di partito.

Ottavo: completare la riforma federale dello Stato, attuandone gli aspetti più innovativi, a cominciare dal federalismo fiscale e dalle forme particolari di autonomia che possono avvicinare le regioni a statuto ordinario alle autonomie speciali, con uno sguardo particolare alle grandi aree metropolitane.

Nono: attuare l’articolo 51 della Costituzione, prevedendo almeno il 40 per cento di candidati donne e di capilista donne a pena di inammissibilità delle liste. Il Partito democratico applicherà alle proprie liste la quota del 50 per cento.

Decimo: riconoscere il voto ai sedicenni per le elezioni amministrative, valorizzandone l’apporto di freschezza e di entusiasmo essenziale per la rivitalizzazione delle democrazia e al tempo stesso la funzione di responsabilizzazione, di socializzazione e di apertura, essenziale nel delicato percorso dall’adolescenza alla maturità.

Si tratta, come è ovvio, di proposte aperte, che implicano un iter non semplice di revisione costituzionale e legislativa, che a sua volta presuppone la convergenza di un ampio schieramento di forze. Molte legislature sono trascorse invano, da quando il tema della riforma della politica, delle sue regole, delle sue istituzioni, è entrata nell’agenda del Paese. Ora la crisi di autorità della politica sta diventando un’emergenza democratica. Il Partito democratico al quale penso nasce per riportare l’Italia tra le grandi democrazie d’Europa. È una urgenza assoluta. Se non vogliamo che si avveri la lucida profezia di Calamandrei.

Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 31.08.07 alle ore 10.05   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #55 inserito:: Agosto 31, 2007, 11:20:56 pm »

Antonio Cornacchione: «La Brambilla? È Silvio con le giarrettiere»
Pierpaolo Velonà


«La Brambilla? È Silvio con le giarrettiere. Potrebbe essere un personaggio del Grande fratello o della Fattoria».

È un chiodo fisso, Berlusconi, per Antonio Cornacchione. Lui, che nei panni del fan sfegatato del "povero Silvio" ha portato nei teatri e in tv la sua creatura satirica più riuscita, è approdato da qualche minuto nel dietro le quinte della Festa nazionale dell'Unità, per esibirsi con "Satire liriche", uno spettacolo che mixa umorismo e musica, in compagnia del cantautore Carlo Fava.

Cornacchione, si è detto che, dopo la sconfitta elettorale di Berlusconi, sarebbe rimasto disoccupato.

«Io dico: facciamo fare agli italiani. Finora abbiamo sempre avuto personaggi facilmente satireggiabili. Ai tempi di Andreotti si diceva: come farete senza Andreotti? Lo stesso si è detto di Craxi e di Berlsuconi. Ora c'è Prodi. Non è vero che Prodi è grigio. Dà molti spunti di satira anche lui. Secondo me è a livello di Silvio, detto senza offesa. D'altra parte, ormai, per un politico sembra che la cosa peggiore sia essere un uomo grigio».

Voterà alle primarie per il Pd?

«Innanzitutto bisognerebbe capire chi sono i candidati. C'è una tale confusione. Abbiamo questa gran lotteria su chi farà il segretario che, da un lato, è anche divertente. È tipico della sinistra discutere per anni per capire chi deve fare che cosa. Dall'altra parte si fa tutto più velocemente: Silvio decide per tutti. Ha deciso la Brambilla e la Brambilla sarà».

Insomma, il 14 ottobre preferirà andare in montagna?

«Se mi dicono di andare a votare io ci vado. E voterò Weltroni».

Cosa è cambiato per la satira con il centro-sinistra al governo?

«La satira, per fortuna, si è sempre saputa conquistare i suoi spazi. Il bello è anche quello. Sotto Silvio la satira prosperava, fuori e dentro la televisione. Ma la satira deve anche essere un po' censurata. Se mette tutti d'accordo non va bene».

Esiste l'autoscensura, tra i comici?

«Certo. Io, per esempio, non lo direi mai in tv che Silvio è basso. Non so se si vede così tanto: è un difettuccio. In realtà, la cosa incredibile di Berlusconi è che si parla di lui anche quando non fa niente. L'altra volta gli è bastato vestirsi come come John Travolta per finire su tutti i giornali. Senza fare niente. La stessa fortuna che ha avuto quando era al governo».

Sui giornali, in questi giorni, ha dominato il tema dei lavavetri.

«Il problema, all'inizio, era stato posto da Cofferati e dalla Lega. Il bello è che prima c'è stato un certo lassismo. Poi tutti si svegliano e li vogliono sbattere in galera. È chiaro che se gli amministratori non fanno niente, scatta nella gente desiderio di ordine e giustizia. Ma non è giusto».

Questa Festa è l'ultima targata Ds. Ma le feste dono cambiate?

«Una volta c'erano più dibattiti e più politica. Ma adesso ce n'è anche troppa in televisione. Si potrebbero mettere le Feste al posto di Porta a Porta».


Pubblicato il: 31.08.07
Modificato il: 31.08.07 alle ore 10.07   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #56 inserito:: Settembre 01, 2007, 11:52:08 pm »

Il sindaco di Roma incontra Iervolino e Bassolino, mentre continua lo scontro sul leader del Partito democratico in Campania

Pd, il verdetto di Veltroni

Conchita Sannino

A Napoli affronta il caso De Mita, poi va alla festa Udeur

Cozzolino scrive sul blog: "Non accetto veti nei confronti di nessuno"


Nicolais e Bossa registi delle liste per sostenere il primo cittadino della Capitale  È il giorno del debutto di Walter Veltroni a Napoli. E dell´abbraccio tra il candidato favorito alla guida nazionale del Partito democratico con tutti i vertici delle istituzioni locali, dal governatore Bassolino al sindaco Rosa Russo Iervolino. Ma non è detto che sia anche quello degli annunci risolutivi o delle scelte condivise.

Nella Campania in cui - a pochi giorni dalla scadenza del 12 settembre - si moltiplicano i conflitti sia nella Margherita che all´interno della Quercia, per la corsa alla segreteria regionale del Pd, discutendo soprattutto sull´ipotesi di Ciriaco De Mita come futuro coordinatore regionale, cresce l´attesa intorno alla prima giornata partenopea (ma anche beneventana) di Veltroni. E il caso Campania è finito ieri a Roma nella riunione dei Ds. Il sindaco di Roma avrebbe da tempo ribadito l´opportunità di trovare un´alternativa al nome dell´ex presidente del Consiglio. L´appuntamento quindi è alle 15 al comitato pro-Veltroni, in via Nazario Sauro, civico 21.

A fare gli onori di casa sarà la responsabile del comitato, l´assessore regionale Teresa Armato. Si prevede folla: presenti anche molti quadri dei Ds ed amministratori di Regione, Provincia e Comune. Sarà diffuso il manifesto che sostiene la candidatura Veltroni e l´elenco dei sostenitori, tra cui nomi di intellettuali, professionisti, società civile. Veltroni ha in agenda altre due tappe campane: la festa Udeur a Telese e un´iniziativa in compagnia del deputato Costantino Boffa, sempre nel beneventano.

Ma sul tappeto ci sarà ovviamente il gioco dei veti incrociati tra le candidature regionali non ufficiali, provenienti dai Dl o dai Ds. In casa Margherita resta l´incognita sulla eventuale corsa di De Mita: numerosi i no, sia dai colleghi della Margherita napoletana che dal fronte Ds; mentre c´è chi dice che, superata l´ipotesi Teresa Armato, potrebbe mettere d´accordo tutti l´opzione che porta il nome del senatore Dl Antonio Polito, di cui spicca in queste ore la posizione defilata. Nei Ds, invece, è competizione tra l´assessore regionale Andrea Cozzolino e il suo segretario regionale Enzo Amendola. E proprio Cozzolino, sotto attacco da giorni per la vicenda delle consulenze d´oro relative al piano Paser, esce ieri allo scoperto con una chiara presa di posizione e anche con una sportiva difesa del presunto candidato-rivale De Mita, affidata in 30 righe al proprio blog: http://campaniademocratica.ilcannocchiale.it.
«Non apprezzo veti nei confronti di nessuno - scrive Cozzolino - né per De Mita né altre personalità, come anche le tentazioni verticistiche, perché a tutti deve essere riconosciuto il diritto di confrontarsi in una competizione democratica». Ovvero: «Chi ha idee da proporre si candidi. Poi saranno gli elettori a decidere». È segno che Veltroni non verrà a consegnare suggerimenti definitivi? Intanto sembra tramontata l´ipotesi che pure aveva preoccupato non poco i vertici Ds: l´eventuale candidatura del ministro Luigi Nicolais, sostenuta dal sindaco di Roma. Ma lo stesso Nicolais, insieme con il consigliere ds Luisa Bossa, saranno comunque registi e capilista della seconda lista (quella denominata "Ambiente, conoscenze e lavoro") delle tre collegate a Veltroni. Intanto si moltiplicano in queste ore gli appelli a Veltroni. Uno dei più interessanti porta la firma di Diego Belliazzi: riguarda la possibilità di "segnare" le liste Veltroni con «l´indicazione dei nomi dei clan di ciascun territorio. Ovvero, "non vogliamo i voti della camorra"». Spiega Belliazzi: «Tanti dovrebbero prendere esempio dall´entusiasmo della Sinistra giovanile che si è riunita a Seiano. Basta incontri più o meno segreti, telefonate più o meno bollenti di cui tanti di noi si stanno rendendo protagonisti: ma discussione sui temi di lavoro e precarietà, su una rinnovata etica pubblica, sulla necessaria legge regionale al diritto allo studio».

(31 agosto 2007)
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #57 inserito:: Settembre 03, 2007, 02:39:33 pm »

2 Settembre 2007 - 20:19

VELTRONI: L’OTTIMISMO DELLA RAGIONE E’ POSSIBILE


Bologna, 2 set - Il partito dei valori. Sembra questo il Pd che Walter Veltroni ha in mente, almeno a giudicare dall’intervista che il direttore del Tg1 Gianni Riotta ha realizzato al candidato leader del nuovo partito presso la festa nazionale de L’Unità di Bologna. Per molti anni, ha affermato il sindaco di Roma in una sala affollatissima, nella politica italiana i valori “sono stati considerati carta straccia, cosa buona per i sognatori”, quasi che la politica fosse solo “durezza della decisione e del conflitto ideologico. C’è invece una domanda di senso e di valori che spiega perché oggi trecentomila giovani siano andati ad ascoltare il Papa. I ragazzi che vanno a Loreto vedono nella società un deserto di valori. Non dobbiamo più avere paura di credere nei valori”. Veltroni ha poi criticato la cultura dell'individualismo e dell'arrivismo: “La nostra società – ha detto - è legata solo all’io. Dobbiamo reintrodurre il senso che la vita non è solo legata al successo e ai soldi, non dobbiamo avere più paura di pronunciare la parola valori”. Poi ha sferrato l'attacco contro l’ultimo simbolo della degradazione mediatica italiana: “E’ inaccettabile – ha continuato - l’arrivo del signor Corona, che è un indagato, a Garlasco, sulla scena di un delitto nel quale era stata uccisa una ragazza. E’ inaccettabile il fatto che la morte e la speranza di una ragazza si sia subito dimenticata, e sul proscenio sia finito un circo mediatico che voleva lucrare”. Contro la parola individualismo Veltroni pone “una parola che è stata distrutta negli ultimi anni e che dobbiamo richiamare in causa anche nell'ottica di scelte programmatiche coraggiose: la solidarietà. Quando saremo tutti insieme nel Pd si vedrà che la matrice comune è la stessa ed è racchiusa nella parola solidarietà”. E a proposito di politica dei valori, Veltroni ha citato Pietro Nenni, Enrico Berlinguer e Aldo Moro, osservando come quei leader “offrissero progetti, mentre oggi in politica si assiste solo a battute e scherni”.


Tornando sulla più stringente attualità politica, il candidato leader del nuovo partito ha affermato che “Il Partito democratico è il partito che gira pagina, dopo 13 anni di storia politica rissosa”. Ma, soprattutto, il Pd “è il partito che porta innovazione, la cosa nuova che può far riappassionare milioni di italiani alla politica. La sinistra non deve avere simpatia per il passato ma curiosità per il futuro. E’ il futuro la nostra chiave. Le trasformazioni non ci devono spaventare ma affascinare”. L’attenzione del Pd per l’innovazione dovrà caratterizzare anche le scelte comunicative del nuovo soggetto: “Il nuovo partito dovrà avere un grande portale su internet che sia un luogo d'ascolto e di scambio. Dovrà avere una rete televisiva che ricopra la stessa funzione, e che facci informazione”. A Riotta che chiedeva “come finirà tra Prodi e Veltroni?”, quest’ultimo ha risposto: “Romano fa il presidente del Consiglio e io spero e lavoro perché questo governo duri fino al 2011. Quanto a me, io potrei fare il premier solo dopo nuove elezioni politiche. Io e Prodi lavoriamo insieme al progetto del Pd dal 1996. Insieme a lui - aggiunge - e agli altri dirigenti cercheremo di fare quello che deve diventare il nostro obiettivo: fare il più grande e il più forte partito della vita politica italiana. Non dobbiamo pensare, infatti, che un partito moderno si faccia in tv, con il marketing e lo spin doctor. Un partito grande lo si fa se in ogni quartiere c’è qualcuno che si preoccupa di conquistare qualcun altro. Così si fa un grande partito di massa”. Un partito che, secondo Veltroni, non deve “vivere con l’ossessione del capo dell’opposizione, ma con l’ossessione di dare della risposte alle esigenze degli italiani”. (SEGUE)


Sul dibattito che ha caratterizzato questa lunga marcia verso le primarie, l’aspirante leader del Pd ha affermato: “Non parliamo solo di regole o comunque parliamo anche e soprattutto dei problemi degli italiani. Diamo risposte alle ansie e alle attese di milioni di cittadini, altrimenti perdiamo una straordinaria occasione. Sicurezza, tasse e precarietà: sono queste le parole sulle quali il Partito democratico deve dare delle risposte nuove”. Degli altri candidati ha detto che si tratta “di candidati nello stesso partito e che non devono far finta di litigare. Quello che non si potrà fare nel nuovo partito dopo il 14 ottobre – ha aggiunto – è portare cose vecchie come le correnti”. Veltroni ha poi ringraziato “i militanti, i dirigenti e gli iscritti dei due partiti che hanno avuto il coraggio di fare una scelta difficile, superando se stessi per dare vita a una realtà più grande”. Il sindaco di Roma ha ringraziato anche Fassino e Rutelli. Sul governo, invece, ha criticato il “tafazzismo” di troppi esponenti della maggioranza, riferendosi ovviamente al celebre personaggio autolesionista interpretato da Aldo, Giovanni e Giacomo. “Ho l’impressione – ha detto - che noi dobbiamo dire che siamo i peggiori anche se facciamo le cose più belle”. E a proposito della prevista manifestazione del 20 ottobre, ha detto: “E' inaccettabile che ci siano delle manifestazioni contro il governo che vedano la presenza di ministri o sottosegretari del governo di cui fanno parte. E’ una cosa che non aiuta la vita democratica del paese. Ci vuole più responsabilità da parte di tutti, se dovesse cadere questo governo sarebbe un disastro per tutti, nessuno escluso. E’ ora di finirla con i ‘o è così o me ne vado’”. Nonostante questa critica all’iniziativa della sinistra radicale, Veltroni si è dichiarato più che aperto nei confronti dell’ala più movimentista della coalizione: “Il paese ha bisogno della sinistra radicale che dà voce ad una coscienza critica e questa è una virtù democratica”, ha detto. L’esponente Ds ha poi parlato di economia. Sul problema fiscale ha detto che “si devono abbassare le tasse, penso si debba dare un segnale già dalla prossima finanziaria. Bisogna continuare a lavorare anche sull’abbassamento della pressione fiscale alle imprese, e fare una operazione per dare ancora più forza, come sta facendo il governo, al contrasto dell’evasione fiscale, cosa che è più facile, se effettuata nel contesto di uno stato amico dei contribuenti”. Sul tema della precarietà, poi Veltroni ha affermato che “la flessibilità è un dato della nostra società, mentre la precarietà è inaccettabile. Dobbiamo risolvere il meccanismo per cui un ragazzo che va in banca e chiede un mutuo si sente rispondere: ‘se hai un contratto a tempo indeterminato te lo faccio se no no’. Non si può vivere l’interruzione del lavoro come un’interruzione della prospettiva di vita”. “Fatemi contraddire Gramsci – ha concluso Veltroni - l'ottimismo della ragione è possibile, non è vero che le cose sono condannate ad andare male, possono andare benissimo, dipende da noi”.


In collaborazione con 9colonne.it

da ulivo.it
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #58 inserito:: Settembre 03, 2007, 07:11:13 pm »

«Subito meno tasse. La sicurezza? Un valore»
Bruno Miserendino


«Lo dico oggi e vale anche per domani: chi ha un’idea spregiudicata della politica, il 14 ottobre se ne stia a casa. Quanto a me, dal passato, mi porto dietro come valore una cosa semplice: la politica è una cosa seria, è passione e onestà».

Se l’applausometro ha un senso, il dato è questo: alla Festa dell’Unità di Bologna, l’ultima che si chiamerà così, gli applausi più scroscianti arrivano qui. Walter Veltroni è su un palco, intervistato da Gianni Riotta, e parla di valori, diritti, solidarietà, legalità, ordine.

Attacca programmi tv diseducativi, chiede pene severe per i pedofili, chiede che chi sbaglia paghi un prezzo giusto e non torni il giorno dopo a commettere reati, ricorda che la sinistra deve liberarsi di vecchi tabù: difendere un’anziana da uno scippatore è di sinistra, "perché significa stare dalla parte dei deboli". E i deboli, nella vita di tutti i giorni, sono gli aggrediti, non gli aggressori. Soprattutto la sinistra abbandoni il "tafazzismo" che l’ha sempre perseguitata: diventi ottimista e infonda ottimismo. "Permettetemi di contraddire Gramsci: conquistiamo l’ottimismo della ragione, non solo della volontà".

L’orgoglio diessino, fatto di centinaia di militanti assiepati in una sala dibattiti troppo piccola, risponde come se tutto questo fosse musica per le sue orecchie. Il leit motiv di un’ora e quaranta minuti di intervista è proprio qui. "La legalità non piace da tante parti - dice il candidato leader del Pd - ma le leggi si rispettano". Ovazione.

Certo Veltroni lancia anche qualche segnale politico: chiede di abbassare le tasse fin dalla prossima finanziaria, vuole aiutare le imprese a crescere, conferma che lavora per Prodi e tenta anche di stemperare certe durezze del dibattito di queste ore: c’è bisogno anche di una sinistra radicale, e Rifondazione comunista, dice, "ha fatto enormi passi in avanti", bisogna aiutare questa evoluzione, il dialogo deve continuare. E sia chiaro: la maggioranza è questa e si lavora per rafforzarla. "Non pensiamo a nuove alleanze", dice, in futuro occorrerà che ci sia una più forte coesione programmatica. Il "nuovo conio" rutelliano resta sullo sfondo, anche se Veltroni tiene il punto sul tema della manifestazione del 20 ottobre: "si può manifestare su tutto, ma i ministri non possono scendere in piazza contro provvedimenti approvati dal governo". In generale, afferma, "bisogna finirla con la logica del si fa così o me ne vado". "Perché - conclude - se cade Prodi, è una sconfitta per tutti". L’obiettivo chiaro, però, è placare gli eccessi che stanno dilaniando la maggioranza. A Prodi conferma "sostegno per tutta la legislatura", derubrica a sciocchezze le ipotesi di rivalità, e per quanto lo riguarda, caso mai si insistesse in interpretazioni maliziose, non avverrà mai che andrà a palazzo Chigi senza elezioni. Il che non vuol dire in astratto che dopo Prodi non possa esserci un altro governo, "magari per fare la legge elettorale", ma è un’ipotesi che Veltroni non prende in considerazione. E comunque non sarebbe lui il successore del Professore.

Il messaggio c’è, ma non è questo il filo del suo ragionamento. Lui, che prima dell’intervista pubblica, va nello stand delle donne del Pd ("la partita democratica"), e si definisce "uno dei pochi dirigenti politici non misogino", vuole parlare di valori del nuovo Partito, della sua straordinaria novità, e delle cose che interessano gli italiani. "Se andate in una casa di una normale famiglia, di cosa si parla? Di sicurezza , tasse, precarietà". Ecco, dice Veltroni, il Pd deve dare risposte serie su tutti questi temi.

E qui parte l’elogio di quello che Riotta definisce "il buon sceriffo", figura che la sinistra radicale dipinge in modo deteriore ma che in verità, nell’America buona, aiutava i deboli contro i prepotenti. Il cuore del Pd, ricorda Veltroni, quel che unisce le sue anime e le provenienze politiche, è il valore della solidarietà, l’interesse per gli altri, ossia il contrario di quel che è oggi la società, "cinica, egoista, fatta di gente che dice io…" La società che fa spettacolo anche sulle cose macabre, come il delitto di Garlasco, dove l’arrivo di Corona, "è stato l’epifenomeno di una tendenza devastante". Ebbene, su valori, regole, legalità, c’è da ribaltare tutto, dice Veltroni. Riotta chiede: qual è la tua ricetta per i lavavetri? Il sindaco la mette così: "Sono formato a una scuola che insegnava a stare sempre dalla parte dei più deboli. Ma chi è più debole quando si parla di sicurezza? Non riesco a pensare a una forma nuova di sinistra che non faccia della sicurezza un cardine della sua azione politica". Insomma, il lavavetri è un problema sociale, e va risolto, ma va garantita anche la serenità e la sicurezza dei cittadini. Legge e ordine, insomma. Cofferati in prima fila, applaude.

Tasse: non c’è dubbio che bisogna abbassarle. E soprattutto per le imprese, dice Veltroni, che è d’accordo con l’idea dello scambio: meno pressione fiscale, meno incentivi. Ribadisce la vecchia frase di Olaf Palme. "Il nostro nemico è la povertà, non la ricchezza". Non c’è redistribuzione senza ricchezze e anche la battaglia contro la precarietà, passa da qui. Accenno sottolineato da applausi. "Dicono ai giovani senza posto fisso che devono farsi la pensione integrativa. Ma diteglielo voi a uno che guadagna sei mesi l’anno 700 euro al mese…" Insomma, eccola la nuova frontiera della sinistra. Imparare a essere ottimista, imparare a valorizzare le cose buone che sa fare, essere curiosa dell’oggi e dimenticare la nostalgia del passato. "Qualche tempo fa ho ripreso da una cassapanca miei vecchi discorsi. Iniziavano sempre con la stessa frase: in questa situazione drammatica…" Ecco, dice Veltroni, piantiamola. Il pubblico lo segue. Conclusione: "Mi piace la vita, mi piacciono i tramonti, la gente che incontro. Mi piace il lavoro. Sono fatto così…"

Pubblicato il: 03.09.07
Modificato il: 03.09.07 alle ore 10.21   
© l'Unità.
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #59 inserito:: Settembre 03, 2007, 07:17:54 pm »

Per Veltroni. Da sinistra

Vincenzo Vita


La costituente del Partito democratico è un campo aperto di dialogo, di confronto, di lotta politica. È utile chiarire taluni punti, primo fra tutti il carattere di moderna forza di sinistra che dovrà assumere il nuovo partito. E questo vale non tanto per replicare la ricorrente polemica contro quella che viene definita l’ala nostalgica o più seccamente la “gauche” (la lista «A sinistra per Veltroni») tra le presenze organizzate nella campagna delle primarie, quanto per sottolineare che senza un esplicito ancoraggio alla storia e alle idee della sinistra non è verosimile che il Pd nasca davvero. Al di là, infatti, della doverosa contrarietà ad ogni ipotesi moderata o neocentrista (la Dc non esiste più, né si può rifare) è bene intendersi sul fatto che la vecchia idea del moderatismo non ha più cittadinanza nella società “liquida” (appunto, senza un centro) e con la “coda lunga”, vale a dire il passaggio dalla cultura di massa alla massa delle culture di nicchia.

Il passaggio di millennio ci consegna un mondo più conflittuale, con nuove povertà e in preda a una crisi di valori. Ciò è ancor più evidente in Italia dopo anni di berlusconismo.

Ecco, qui si gioca la sfida della costruzione di una sinistra all’altezza del presente. Progetto e ridefinizione dei protagonisti del cambiamento, rinnovata attenzione alla differenza di genere, allargamento dei diritti di cittadinanza, accesso ai saperi, tutela dell’ambiente e sostenibilità dello sviluppo, rappresentanza politica dell’universo del lavoro sono punti essenziali di un discorso riformatore e di una effettiva pratica di sinistra. Il tutto con un chiaro ancoraggio alla sinistra europea. E ben sapendo che si è aperta la stagione post-partitica della politica, vale a dire la transizione dall’organizzazione strutturato in apparati centralistici, figli di una società più semplice e lenta, a quella in rete della società veloce e del tempo reale di internet, dell’interattività e di Wikipedia, del free software e di Web.2. E nel bene - o più spesso nel male - delle grandi cerimonie mediatiche. Parlare di sinistra, non rimuovere il termine socialismo assume, dunque, una nuova importanza storica. Perché provare a farlo nella discussione sul Partito democratico? Per il motivo essenziale che in tale territorio si muovono molti dei soggetti che possono partecipare a simile ricostruzione.

La sinistra non è un perimetro di forze, quanto piuttosto un programma di idee e di valori fondamentali che parla con e nella società, coinvolta quest’ultima compiutamente nella politica in rete del dopo-partiti.

Di qui la scelta di costruire per le elezioni primarie dell’assemblea costituente del Partito democratico la lista di sinistra - la citata «A sinistra per Veltroni» - che sarà presente in grande parte del territorio nazionale, con candidature discusse nei vari collegi, aprendosi al mondo del lavoro, ai settori dell’arte e della cultura impegnati nella battaglia per far passare un approccio non più subalterno, che immagini i beni immateriali non una spesa ma un investimento, nel paese forse più ricco di beni culturali. E ugualmente interessata alla comunicazione e all’innovazione, all’universo tecnologico e linguistico dentro cui sono già immerse da tempo le nuove generazioni. Vale a dire i ceti dirigenti di domani,ai quali è bene parlare come soggetti della ri-costruzione delle identità e non come mera platea generazionale.

Sono obiettivi che appartengono a molti dei riferimenti offerti in queste settimane da Walter Veltroni, sui quali l’esperienza di «A sinistra» intende offrire il suo unitario ma autonomo contributo, cercando di tenere aperto il dialogo con le forze che stanno cercando di costruire una nuova esperienza di sinistra al di fuori del Pd. Il successo di entrambe le costituenti è la premessa per conquistare una vera maggioranza nel Paese, che chiede - nella vasta area del centrosinistra - di essere più uniti e più di sinistra. Ecco l’apparente contraddizione da sciogliere, con il contributo di tutti. Oltre, per favore, l’ingiallito dibattito del secolo scorso sulla “conquista” dei moderati o del “centro”. La realtà è un po’ più avanti. Le disillusioni e la fuga dalle forme classiche della politica sono il frutto pure di un dibattito alquanto ripetitivo e logorato.

Per molti le primarie non saranno - nè devono essere - l’automatica adesione al futuro partito, quanto un significativo momento di partecipazione alla vita democratica. E in tal senso si può forse ripensare all’obbligatorietà della sottoscrizione di 5 euro al momento del voto. Incoraggiamo davvero la mobilitazione. La politica può essere un’altra cosa.

Pubblicato il: 03.09.07
Modificato il: 03.09.07 alle ore 10.20   
© l'Unità.
Registrato
Pagine: 1 2 3 [4] 5 6 ... 13
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!