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Autore Discussione: Furio COLOMBO -  (Letto 83746 volte)
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« Risposta #120 inserito:: Ottobre 16, 2008, 12:11:56 am »

Il Papa in silenzio

Furio Colombo


Una proposta sorprendente è stata avanzata da Papa Benedetto XVI come ragione importante per la beatificazione di Pio XII: il silenzio. Di fronte al dilagare delle leggi razziali in Europa e all’evidente gravità di quelle leggi prima ancora che arresti e deportazioni svelassero il progetto di distruzione completa di un popolo, Pio XII, capo della più vasta e potente organizzazione religiosa di un mondo che allora era centrato sull’Europa, ha ritenuto di tacere, di tacere anche quando, con l’occupazione tedesca di due terzi della penisola, Roma inclusa, dopo l’armistizio e il tentativo italiano di uscire dalla guerra, forze armate tedesche e fasciste erano attive, e aggressive, e vendicative nel tentativo di catturare quanti più ebrei, individui e famiglie fosse possibile, intimando la pena di morte a chi avesse aiutato i ricercati e compensando ogni delazione italiana (ce ne sono state a migliaia) con lire cinquemila.
La principale ragione per apprezzare come utile e virtuoso quel silenzio è che in tal modo il Papa ha reso possibile una vasta rete di aiuto e sostegno in Vaticano, in chiese e in conventi italiani per salvare, ospitare, nascondere moltissimi italiani ricercati per razzismo e per ragioni politiche. Si è trattato della più estesa e attiva rete di rifugio e di soccorso, ben documentata dalla Storia e di cui migliaia di sopravvissuti, in Italia e nel mondo, hanno dato atto e gratitudine al Vaticano. Ci sono però due grandi obiezioni, una nel mondo dei fatti, l’altra a livello dei principi.
I fatti ci dicono che l’Italia ha avuto un ruolo molto grande nell’orrore delle persecuzioni razziali che hanno insanguinato e marcato come indimenticabile vergogna tutta l’Europa.
L’Italia cristiana, cattolica, legata con un Concordato alla Chiesa di Roma. È importante ricordare tutto ciò, oggi, alla vigilia del 16 ottobre. Quella notte del 1943 mille e diciassette cittadini ebrei romani - dai neonati ai vecchi ai malati - sono stati arrestati nelle loro case del Ghetto di Roma da unità militari tedesche munite di nomi e indirizzi da parte dei fascisti italiani. Tutti i rastrellati sono stati tenuti prigionieri per giorni presso il Collegio militare di Roma sotto la sorveglianza di militi fascisti, e poi deportati ad Aushwitz da dove quasi nessuno è tornato. Dunque ciò che è accaduto a Roma il 16 ottobre non è stato il blitz di un terribile istante ma una lunga, meticolosa operazione nazista e fascista durata per giorni nel silenzio di Roma. L’Italia era l’altra grande potenza che ha invaso e occupato, insieme ai tedeschi. Il ruolo che l’auto-narrazione italiana si è attribuito dopo il disastro e la sconfitta fascista, è quello di uno Stato buono, sgangherato e debole dove i soldati combattevano con le scarpe di cartone. Era vero, nell’esperienza disperata dei soldati di allora, ma persino mentre il disastro italiano si compiva, l’Italia dalla Francia ai Balcani alla Russia, era l’altro grande Paese invasore, oppressore, occupante. Non tutti i diplomatici e i generali italiani ubbidivano, anzi ci sono state clamorose dissociazioni di fatto (che vuol dire cauta ma ferma disobbedienza) dalle leggi razziali. Ma l’Italia era l’altro persecutore, le leggi razziali erano state firmate dal re italiano, unico caso in Europa. Ma il re Savoia era imparentato con metà delle monarchie europee del tempo, l’esercito sabaudo era collegato con l’attivismo nazista antisemita attraverso gerarchi, ufficiali, agenti della milizia fascista, che facevano comunque del loro meglio per terrorizzare le popolazioni locali e spingere al peggio i “Gaulatier” e i governi fantoccio. Erano impegnati a terrorizzare tutte le popolazioni, a sostenere tutti i fascismi locali più sanguinosi, ad accumulare, contro l’Italia, un odio che dura ancora. Ma sopratutto erano attivissimi nella collaborazione all’immensa rete di delitti che oggi chiamiamo Shoah. Il diario di un uomo giusto come Giorgio Perlasca che, da solo, in Ungheria, ha salvato migliaia di cittadini ebrei dalla deportazione fingendosi diplomatico spagnolo testimonia del frenetico lavoro della persecuzione in regioni e Paesi di un’Europa cristiana e in gran parte cattolica. O comunque sensibilissima all’autorità della Chiesa cattolica, che riguardava anche una parte non irrilevante di soldati e ufficiali tedeschi. E che certo condizionava il fascismo.
E qui entra in campo la questione di principio. Ciò che è accaduto in Italia, sopratutto l’assenza quasi totale di voci italiane contro le leggi razziali, allo stesso tempo spaventose e folli (folli in modo evidente, a cominciare dalle enunciazioni di principio, dai presunti fondamenti storici e logici, dal titolo stesso di “leggi in difesa della razza”) è reso più inspiegabile e difficile da giustificare a causa del comportamento del Parlamento filo-fascista bulgaro. Quel Parlamento, sotto la guida del presidente Dimitar Peshev (cito da libro di Gabriele Nissim «L’uomo che fermò Hitler», Mondadori), rifiutò e respinse le leggi razziali preparate sull’odioso modello italiano. E impedì in tutto il Paese occupato “dai camerati tedeschi” qualsiasi atto contro i cittadini bulgari ebrei. Dunque dire di no da parte di chi aveva autorità era pericoloso ma possibile. Imbarazza la memoria italiana anche il ben noto gesto del re di Danimarca che, pur privo di forza militare e di qualunque strumento di resistenza, si oppose, senza cedere mai, all’imposizione della stella gialla come identificazione dei suoi cittadini ebrei.
Sono leggende, ormai, brandelli di un onore perduto. Sono tentativi di recupero di un minimo rispetto per un’Europa colta e orgogliosa della sua identità in cui è dilagato il peggior delitto della Storia. Ma quel delitto è dilagato nel silenzio. Ed è stato - poche volte - fermato dal coraggio, raro, drammatico, ma, come si vede, efficace di rompere il silenzio. Tutto dimostra che i nazisti avevano bisogno del silenzio e contavano sulla cancellazione della memoria.
C’è un rapporto fra il silenzio che ha consentito a una organizzazione non sospetta e intatta (a causa del silenzio) come la Chiesa cattolica e la salvezza di migliaia di ebrei? Certo, c’è. Ma è lo stesso silenzio che ha consentito la deportazione e lo sterminio di milioni di ebrei d’Europa. Era possibile parlare? Rispondono alcune voci che, in alcuni luoghi, hanno cambiato la Storia. Era pericoloso? Lo era. Ma era anche un ostacolo grave e imbarazzante, se è vero che le radici d’Europa sono - dunque erano - cristiane e cattoliche.
Infine: si ricorda un esempio, nella lunga storia cattolica di martiri e santi, di qualcuno portato all’onore degli altari per avere taciuto? Uno solo?

Pubblicato il: 15.10.08
Modificato il: 15.10.08 alle ore 8.14   
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« Risposta #121 inserito:: Ottobre 19, 2008, 04:36:18 pm »

Il giorno dell’Apartheid


Furio Colombo




Un evento triste e squallido è avvenuto nella Camera dei Deputati nei giorni 8 e 9 ottobre quando la maggioranza di governo, guidata dalla Lega, ha proposto e fatto approvare una odiosa mozione che chiede la separazione e segregazione dei bambini immigrati nelle scuole italiane. È giusto che ci sia memoria di questo tragico evento e perciò trascrivo qui alcune parti dei verbali d’Aula di quelle sedute. On. Niccolò Cristaldi (Pdl-An): «Signor Presidente, onorevoli colleghi, io non parteciperò a questa votazione (mozione Cota, Lega nord, sulla segregazione dei bambini immigrati nelle scuole italiane, ndr) perché non ne condivido le ragioni politiche. Non condivido il contenuto della mozione della maggioranza perché sono nato e cresciuto in una città, Mazara del Vallo, nella quale il venti per cento della popolazione è mussulmana».

«La mia è una città dove l’integrazione non si è decisa con una legge né con mozioni come questa. Si è decisa attraverso il rispetto delle diverse culture, attraverso l’amicizia tra i popoli, che si è instaurata partendo da situazioni drammatiche che hanno visto tanta gente venire nella mia città per cercare lavoro. Abbiamo scambiato attività culturali, insegnando molte cose della nostra cultura occidentale, imparando a inginocchiarci davanti ai grandi musei che ci sono in Tunisia, in Marocco, nei Paesi del Maghreb e in tutto quel mondo. Non posso condividere - e come me altri deputati della maggioranza - il contenuto della mozione presentata dalla Lega Nord. Per cui abbandono l’aula e insieme a me alcuni altri deputati». (Camera dei deputati, 9 ottobre ore 19.05, applausi dei deputati del Partito democratico). On. Mario Pepe (Pdl): «Signor Presidente, vorrei ricordare agli amici della Lega che il Duca d’Aosta, quando era Governatore della Somalia emise un editto che impediva ai bambini indigeni di frequentare le scuole italiane, se prima non avevano imparato l’italiano. Oggi il popolo somalo si divide in due categorie: quelli che hanno un fucile e quelli che non ce l’hanno. Mi auguro che questo non sia il futuro dell’Italia. Per questo io voterò contro questa mozione». (Camera dei deputati, 9 ottobre ore 19.09, applausi dei deputati del Partito democratico). Emanuele Fiano, (Pd): «Signor Presidente, nella mia famiglia abbiamo saputo sessant’anni fa che cosa significa essere scacciati dalle classi delle scuole del regno, in quanto ebrei. Non userò questo argomento per rispondere agli argomenti della Lega Nord Padania. Urla dei deputati della Lega Nord Padania). Parlo di oggi, di voi. Penso che sia profondamente sbagliato proporre una separazione dei bambini per risolvere il problema della integrazione, spezzare una comunità che vive e cresce insieme. Le «classi differenziate» sono la risposta sbagliata. L’integrazione si fa insieme. (Camera dei deputati, 9 ottobre ore 19.15, applausi dei deputati del Partito democratico, grida e urla della Lega Nord e del Pdl). On. Piero Fassino (Pd): «Signor presidente, mi rivolgo all’onorevole Cota (capogruppo Lega Nord Padania alla Camera dei deputati, ndr) e a tutti i colleghi. Vi voglio raccontare un episodio vero che ci può illuminare. Un mio amico ha un bambino di sette anni che frequenta una seconda elementare per metà costituita da bambini extracomunitari. Il suo compagno di banco è il suo amico del cuore. A casa racconta ai genitori che «con Emanuel abbiamo fatto questo, abbiamo fatto quello, siamo andati qui e siamo andati là». Un giorno il padre del bambino italiano lo va a prendere a scuola e quando i bambini escono chiede per curiosità al figlio: chi è Emanuel? Il figlio si volta e indica: “eccolo là, quello col maglione rosso”. Non gli viene in mente di dire: «Quello con la pelle scura».
«Con il provvedimento che vi apprestate a farci votare voi state producendo una regressione culturale che mette in discussione i principi di uguaglianza tra gli uomini. E fate una cosa ancora più grave: introducete la discriminazione, quella moralmente più abbietta: discriminate tra i bambini, tra i più piccoli». (Camera dei deputati, 9 ottobre ore 19.20, prolungati applausi dei deputati del Partito democratico, di Italia dei Valori, del gruppo di Unione di Centro). On Gianluca Galletti (Udc): «Signor presidente, devo dire che chi ha redatto la mozione, ne ha dato l’interpretazione autentica (si riferisce al deputato Cota, capogruppo Lega Nord Padania, che ha illustrato la mozione in aula, ndr). Dopo averlo ascoltato, noi siamo certi di non voler avere nelle nostre scuole, allievi di serie A e allievi di serie B. Ci sembra, invece, che l’obiettivo della mozione in esame sia proprio questo. Per tale ragione, dichiaro il voto contrario del nostro gruppo».
(Camera dei deputati, 9 ottobre ore 19.30, applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito democratico
On. Valentina Aprea (Pdl): «Signor presidente, vi assicuro che questa mozione è attesa dai docenti della scuola italiana, da quei docenti, onorevole Fassino, dove l’inserimento degli alunni stranieri avviene in modo selvaggio. (Camera dei deputati, 9 ottobre ore 20.00, proteste del Partito democratico, applausi dei deputati del gruppi Pdl, ovazioni dei deputati Lega Nord Padania).
«No, no, no!» (Furio Colombo, Pd, Camera dei deputati, 9 ottobre ore 20.05 grida e urla dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

* * *

Testo della mozione per la apartheid nelle scuole italiane presentato dalla Lega Nord alla Camera dei Deputati con l’assenso e il sostegno della maggioranza di governo: «La Lega Nord Padania impegna il governo:
- a rivedere il sistema di accesso degli studenti stranieri alla scuola di ogni ordine e grado, autorizzando il loro ingresso previo superamento di test e di specifiche prove di valutazione.
- istituire classi ponte (classi separate, ndr) che consentano agli studenti stranieri che non superano le prove e i test sopra menzionati di frequentare cori di apprendimento della lingua italiana, propedeutiche (obbligatorie e separate, ndr) all’ingresso degli studenti nelle classi permanenti.
- a non consentire in ogni caso l’ingresso nelle classi ordinarie oltre il 31 dicembre di ciascun anno, al fine di un razionale (traduzione: limitato o impedito, ndr) inserimento degli studenti stranieri nelle nostre scuole, e a provvedere a una distribuzione degli stessi in proporzione al numero complessivo degli alunni per classe.
- a favorire l’elaborazione di un curricolo che tenga conto di lealtà e rispetto alla legge del paese accogliente, del rispetto di tradizioni territoriali e regionali del paese accogliente, del rispetto per la diversità morale e culturale (traduzione: superiorità, ndr) del Paese accogliente (prime firme: Cota, Goisis, Grimoldi, Rivolta, Aprea, Carlucci, Farina, Mazzucca, Garagnani, Rampelli)».

* * *
Furio Colombo: «Signor presidente, devo dirle a nome dei miei colleghi (spero di parlare a nome di tanti miei colleghi) che sono contento di intervenire in questo momento, in quest’aula vuota. Evito agli altri deputati di provare l’umiliazione che provo io ascoltando la presentazione di questa mozione della Lega Nord Padania che intende istituire scuole segregate per bambini immigrati, le scuole contro cui si è battuto Martin Luther King in Mississippi e Alabama 45 anni fa. Si è battuto, e ha vinto. Ma i miei colleghi si sono risparmiati l’angoscia di guardare verso i banchi della Lega e di domandarsi, dopo aver ascoltato l’elogio della scuola segregata: «Ma questi sono i miei colleghi? Facciamo lo stesso lavoro? Condividiamo lo stesso Parlamento? Siamo stati eletti dallo stesso popolo?».
Presidente: «Onorevole Colombo, in questa Camera tutti sono altrettanto onorevoli». Colombo: «No, presidente. Devo esprimere il mio sentimento di umiliazione». Presidente: «A termini di regolamento lei non può offendere un suo collega». Colombo: «Mi dica, presidente, qual è l’espressione offensiva?».
Presidente: «L’espressione offensiva è quando lei dice che si vergogna di...».
Colombo: «Ho detto che mi sento umiliato nel giorno della apartheid della scuola italiana e ho diritto di dirlo perché è il mio sentimento».
Presidente: «Mi pare che tale espressione sia l’equivalente di “mi vergogno”». Colombo: «Signor presidente, Matteotti si è sentito umiliato di fronte a ciò che aveva ascoltato in quest’aula. Ripensi per un momento al dibattito al quale oggi in questa Camera abbiamo assistito. Viviamo in un mondo in cui sta per essere eletto presidente degli Stati Uniti un nero, figlio di un immigrato di origine kenyota, educato nelle scuole americane dove nessuno lo ha separato (non più, dopo il movimento per i diritti civili di Martin Luther King) dagli altri bambini. Ed è diventato uno dei più brillanti giuristi, poi uno dei più importanti senatori, poi uno dei più carismatici candidati alla presidenza degli Stati Uniti che quel paese abbia mai avuto.
Ma lei pensi - presidente - ad un altro Paese, il nostro, nelle mani della cultura di Borghezio e di Gentilini e mi dica: quale sarebbe oggi, qui, da noi, in questa Italia occupata dalla Lega, il destino di un piccolo Obama? Forse lo aspetterebbero le sprangate e la morte in una strada di Milano dove - ci assicura il ministro dell’Interno Maroni - le sprangate che hanno ucciso il diciannovenne Abdul erano la punizione per un furto, non lo sfogo di un sentimento razzista. L’idea che i bambini che hanno difficoltà nella lingua italiana vadano prontamente segregati e rinchiusi tra loro è una delle più assurde non solo in termini di pedagogia e di psicologia ma di comune buon senso. Non parlano, non ascoltano, non imparano. L’ottusa idea leghista è il 41 bis dei bambini immigrati. Ad essi per giunta, viene imposto di imparare «le tradizioni», “l’identità”, la religione del paese ospitante. Il concetto è bene espresso dalle alte parole del pro-sindaco leghista di Treviso: “Che vadano a pisciare nelle loro moschee”. Sono parole memorabili per la loro qualità morale, umana, politica che la Lega da oggi dovrebbe scrivere sulle proprie bandiere. Alexander Hamilton, uno dei padri della Costituzione americana, ha detto ai coloni immigrati che si accingevano a fondare la nuova Repubblica degli Stati Uniti: “C’è qualcosa di unico nel nostro destino. Noi, che veniamo dai quattro angoli del mondo e fino a questo momento non abbiamo niente in comune, d’ora in poi avremo in comune il nostro futuro. Questo è il nostro destino eccezionale. Siamo i soli al mondo ad avere questo privilegio”.
Era il 1788. Qui, oggi, nell’anno 2008, si propone di isolare i bambini immigrati in corridoi chiusi come se fossero portatori di malattie infettive. Prevedo e temo che questa ignobile mozione non sarà respinta. Perciò mi unisco alla umiliazione di molti colleghi di Alleanza nazionale e di ciò che resta di Forza Italia che dovranno votare questa mozione fondata su separazione, apartheid, xenofobia, razzismo» Camera dei deputati, 8 ottobre 2008, ore 22; presiedeva il vice presidente della Camera Buttiglione).


Nota.
La mozione di apartheid per i bambini immigrati è stata votata la sera del 9 ottobre 2008 e ha ottenuto l’approvazione della Camera dei Deputati con soli venti voti in più per la maggioranza. Il margine di differenza fra maggioranza e opposizione alla Camera è di settanta voti.
È utile ricordare che una mozione non è una legge ma un «indirizzo» o suggerimento al governo. La sua votazione non significa automaticamente accettazione ed esecuzione da parte del governo. Perciò è necessario che l’opposizione contro l’apartheid continui in tutte le occasioni, in tutte le sedi, a tutti i livelli. Le manifestazioni di protesta nella scuola in questi giorni sono il luogo e il momento giusto: studenti e docenti contro l’apartheid di Bossi-Cota-Borghezio-Maroni. Tutta la scuola italiana in difesa dei bambini immigrati.
furiocolombo@unita.it

Pubblicato il: 19.10.08
Modificato il: 19.10.08 alle ore 14.51   
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« Risposta #122 inserito:: Novembre 29, 2008, 11:49:16 pm »

27.11.08 - Avviso ai giornalisti imprudenti


Strana persona, Berlusconi, avranno pensato in tanti, quando il 22 novembre, nel tripudio della folla di un cinema dell’Aquila, ha denunciato con vigore e in pubblico gli attacchi e “gli oltraggi” che gli vengono “da tutta la televisione” (in modo da far credere che persino Mentana e Carlo Rossella lo attaccano).

Strana persona nel giudizio di tante persone normali che si saranno dibattuti fra due domande.

La prima: Ma quando mai? Qualcuno ha mai assistito a un programma tv di ogni ordine e grado contro Berlusconi (a parte sporadici interventi di ospiti che però sono sempre più accuratamente pre-selezionati)?

La seconda: Ma questa strana persona non aveva appena finito di dedicare una ricca e colorata collezione di insulti (alcuni sul passato, altri sul futuro) di tutto ciò che lui considera a sinistra, che vuol dire qualunque segno di vita, anche mite e circospetto, fuori dai confini del suo potere (governo), del suo potere (azienda),del suo partito (proprietà personale con lavori in corso), del suo buon umore così festosamente disturbato da residui e disorientati miscredenti?

La risposta è ovvia e conosciuta da tutti, per entrambe le domande. Ma “tutti” non hanno più voglia di essere per sempre nella lista degli indegni e dei reietti e di perdere, a tutti i livelli, occasioni grandi e piccole, e di restare in balia dei vigili urbani, se capitano in qualche bella città leghista.

Per questo “tutti” tacciono o parlano d’altro. Ma lui, Berlusconi, vigila. E dall’Abruzzo, con quella sua strana e bizzarra protesta contro i conduttori televisivi che gli sono nemici (e che non esistono) sta dicendo: “Nessuno ci provi. So benissimo che ‘tenete famiglia’. Dunque in riga. Altrimenti la vendetta sarà immediata”.

Intanto però ricorda a tutti un principio fondamentale del suo modo di governare, a cui tiene molto, (ma guai se glielo dicono gli altri). Il principio è questo: “Il padrone sono io”. Padrone di governo e padrone, diretto o indiretto, di tutte le televisioni e aziende editoriali del Paese.

La folla del cinema “Massimo” de L’Aquila capisce bene, capisce subito e grida “cacciali via tutti”. La folla è persuasa che lui ne abbia il diritto e non ha intenzione di imbarcarsi in fastidiose distinzioni fra Tv pubblica e Tv privata e, meno che mai, nella stupida questione della libertà di stampa. L’atmosfera è molto 1922. “Puoi cacciarli? Si che puoi! E allora cacciali!”.

L’ammonimento è forte. E’ l’olio di ricino dell’Italia berlusconiana. Bevi una sorsata di servilismo e vai in onda.

Quanto alla Commissione di Vigilanza, è medico di guardia il Dottor Senator Riccardo Villari, eletto con raro fiuto e buona anticipazione dei tempi, nelle liste esclusive del Partito Democratico.

E adesso “a disposizione, Presidente”.

Furio Colombo

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« Risposta #123 inserito:: Dicembre 28, 2008, 11:58:24 am »

Il dissidente

22.12.08 - L’asse Brunetta-Ichino-Vittoria Franco


Improvvisamente vieni a sapere che il ministro - meraviglia Brunetta, quello che riesce a stare nella notizia e in video tre o quattro volte al giorno con l’espediente di una corsa frenetica fra la caccia ai fannulloni e la punizione delle donne che lavorano, improvvisamente vieni a sapere che quello di Brunetta, pur così creativo e brillante, non è un “one man show”. Brunetta non naviga in solitario.

Se si tratta di fannulloni – causa né vinta né persa perché priva di senso comune – Brunetta si trova accanto Pietro Ichino, uno dei due esperti di lavoro del Pd. L’altro, come è noto, è Tiziano Treu, sempre un po’ scontento della mitezza della destra contro la CGIL, sempre stupito che persino la Marcegaglia riservi a Epifani un minimo di riguardo.

Ma c’è Pietro Ichino che, vista la questione dei fannulloni, con entusiasmo si associa. Si associa a che cosa? A un guazzabuglio impossibile da far diventare diritto in cui “Chi lavora bene viene premiato” e “Chi lavora male, lentamente, svogliatamente o per niente viene punito”. Con piglio coraggioso Ichino afferma, insieme a Brunetta, che “Se necessario si licenzia”.

Moralmente l’idea è identica alla proposta leghista del permesso di lavoro a punti. Una gang di vigili urbani debitamente motivati dal miglior Ku Klux Klan di una città leghista è capace di creare in un mese tanti scontri e incidenti da azzerare la carta a punti di un santo. Allo stesso modo una bene organizzata gang d’ufficio o di luogo di lavoro è in grado di isolare nel vuoto nel non lavoro qualsiasi vittima designata.

Direte: Ma c’è un capo. Giusto. E, se c’è un fannullone nel gruppo, è proprio lui, il capo, da punire. Nessuno può fare il fannullone da solo e di sua iniziativa, se non all’interno di una pessima organizzazione gestita, in buona o malafede, da un pessimo capo.

Non domandiamoci neppure come si arriva al premio (nel teatro parrocchiale, suppongo) di chi lavora bene. Nel Paese in cui stiamo ancora discutendo di un modo decente e civile per selezionare i migliori docenti universitari, l’ impiegato premiato sarà sempre l’uomo di… disposto a… e sempre gentile con…

Quanto alle donne, Brunetta è del parere che più tardi vanno in pensione è meglio è. Il Pd non lo lascerà solo. Infatti la senatrice Vittoria Franco, ministra ombra alle Pari Opportunità, si schiera subito al fianco del coraggioso ministro. D’accordo, c’è anche Emma Bonino, ma almeno la Bonino era arrivata molto prima, da sola, e lungo un percorso diverso.

Tutto avviene con una fretta e una superficialità stupefacenti. Scompare dalla scena la vita tipica di una donna italiana che lavora, con figli e genitori a carico, in un paese privo di servizi sociali e mentre la riforma della scuola ha appena abolito il tempo pieno nelle scuole elementari e medie.

Per fortuna c’è il quotidiano di An “Secolo d’Italia” e il suo direttore Flavia Perina. Ci pensa lei, da destra, dal lato in cui dovrebbe elogiare Brunetta, a far notare che la proposta è stramba, stonata, in contrasto con tempi, priva di legami con la realtà.

Incredibile ma vero. E un po’ triste.

Furio Colombo
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« Risposta #124 inserito:: Gennaio 13, 2009, 05:21:03 pm »

13.01.09 - Il figlio di Brunetta


- Che mestiere fa il tuo papà?

- Una cosa pubblica.

- Mi dispiace. Spero che tu non ti vergogni. Dopo tutto è il tuo papà.

- Un po’ mi vergogno. Ma lo ha detto lui.

- Ti ha detto che devi vergognarti del tuo papà? Non è possibile.

- Non lo ha detto proprio a me. Lo ha detto ad altri bambini che hanno il papà che fa un lavoro pubblico.

- Ha detto proprio così?

- Sì, ha detto: Se il tuo papà è impiegato al catasto invece che alla Ferrari ti devi vergognare.

- Perché alla Ferrari? E’ uno che corre in auto tuo papà?

- Noooo… lui corre in televisione.

- E’ una gara tipo "L’isola dei Famosi"?

- Sì. Si chiama "Porta a Porta". Lui grida di più che nell'isola dei Famosi.

- Ma il tuo papà grida o corre?

- Grida e corre, Signora maestra. Corre in televisione e lì grida che anche del suo lavoro di maestra suo figlio deve vergognarsi.

- Ma come si permette? Mentre lui corre e grida io insegno ogni giorno a quaranta bambini di tutte le razze.

- Sì, lui dice che è una vergogna per suo figlio avere una madre così perché non è al tornio della Ferrari. Però ho capito che devo vergognarmi anch’io

- Perché dovresti vergognarti tu? E’ lui che corre e grida. Si vergogni lui…

- Mi devo vergognare io. L’ha detto mio papà. Primo perché lui non è tornitore della Ferrari, secondo perché è nella funzione pubblica.

- Che cosa fa il tuo papà nella funzione pubblica invece di essere al tornio di una Ferrari?

- Fa un brutto mestiere, da non dirlo a nessuno.

- Su, coraggio, la funzione pubblica è grande. Magari ci sono anche cose rispettabili li dentro.

- No, Signora maestra. Lui è proprio nel mestiere da vergognarsi di più.

- Ma che cosa sarà mai?

- E’ il Ministro della Funzione Pubblica. E’ proprio il più pubblico e il meno tornitore della Ferrari di tutti...

- A beh, allora, povero bambino, ha ragione il tuo papà. C’è proprio da vergognarsi. Su, coraggio, studia. Da grande farai un altro mestiere. E di tuo papà, non dirlo a nessuno. Promesso?

Furio Colombo
da temi.repubblica.it/micromega-online
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« Risposta #125 inserito:: Marzo 17, 2009, 03:38:23 pm »

12.03.09 - Il deputato libero della Commissione Sanità

Un senso di consapevolezza e di pace, la certezza di avere raggiunto una soluzione alta e dignitosa, si è diffusa nelle ultime ore fra parlamentari di Casa della Libertà, parlamentari del Partito Democratico e parlamentari assortiti.

Si deve ai due leader principali, Berlusconi e Franceschini che hanno dichiarato quasi insieme: “Si vota secondo coscienza”. Restano fuori i deputati radicali, ma loro, come sempre, per i media non contano. Basta ignorarli. Per tutti gli altri la coraggiosa e rivoluzionaria dichiarazione riguarda il tormentato progetto sul “fine vita”.

Il problema non è più di rompersi la testa a domandarsi se il testo Calabrò (quello in discussione, che obbliga e impedisce escludendo responsabilità e libertà di scelta) sia costituzionale o no, anzi se abbia senso tanta discussione e tanto lavoro per giungere a una legge pontificia che impedisce e basta.

Il problema è diventato: se sono obbligato o no a votare una simile legge indiscutibile (è della Chiesa!) e non emendabile (chi siamo noi, deputati e senatori di questo mondo per emendare la verità?).

La benevolenza di Berlusconi e Franceschini ci rassicura, ci lascia liberi.

Calma ragazzi. Vediamo. No, la legge che impedisce, vieta, svuota il testamento biologico non potete cambiarla. E, in caso di tragica necessità, il sondino e relativa tortura di fine vita non ve lo leva nessuno. Sì, la legge potete anche non votarla. Poi dovrete vedervela con i Giovanardi e i Volontè che si annidano nei rispettivi elettorati e nessuno vi può garantire una rielezione persino in lista obbligatoria di partito, formato Calderoli.

Ma - vivaddio - siete liberi. Tanto il voto è pubblico, gli interventi in commissione fanno impallidire le storie dei santi, e la maggioranza trasversale sarà enorme nella migliore tradizione bulgara.

Ci sarà un affollamento di dichiarazioni laiche “rispettose del sacro”. La legge rigorosamente proibizionista sarà dichiarata “volontà del popolo”.

E noi, quattro o cinque reietti, andremo in giro a spiegare: “Ci hanno lasciato liberi e abbiamo votato no”.

Non tutti i quattro o cinque. Consideriamo anche le vocazioni tardive.

Furio Colombo
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« Risposta #126 inserito:: Marzo 24, 2009, 10:39:05 am »

Furio Colombo.


13.03.09 -

Renzi, più Bush che Obama


Passano pochi giorni della clamorosa vittoria di Matteo Renzi nelle primarie per il candidato Pd a sindaco di Firenze. E subito il giovane Obama italiano (così è stato definito dai fans e dai media) dice con coraggio la sua opinione su una di quelle questioni che richiedono coraggio, capacità di andare controcorrente e di contraddire l’invadente autorità religiosa. Dunque il tipico atto non facile e non conveniente che rivela la tempra di un Obama.

Ecco la prova di Matteo Renzi. Non è ancora sindaco di Firenze. E’ solo presidente della provincia, con supervisione su alcune strade e alcuni edifici scolastici. Potrebbe tirarsi indietro. Ma è giovane, è l’Obama italiano, ha coraggio italiano, e gli sembra doveroso correre il rischio.

Qualcuno, a Firenze, ha proposto la cittadinanza onoraria per Beppino Englaro, papà di Eluana. Vuol dire dirgli grazie per il coraggio che ha avuto nel rispettare, durante diciassette anni, la Costituzione italiana nel corso della sua dolorosissima vicenda. Ma anche per la sua determinazione a esigere che le autorità di questo Paese, l’Italia, rispettassero quella legge-guida nonostante il diverso parere dell’autorità religiosa.

Entra in scena Matto Renzi, neocandidato Pd a sindaco di Firenze il cui nuovo segretario, Franceschini, ha appena giurato sulla Costituzione.

Il giovane Renzi è colui che rappresenterà alle elezioni di Firenze ciò che è nuovo, progressista, coraggioso. Ed ecco che l’Obama fiorentino dice un chiaro, alto, giovane e moderno :“NO, MAI. No a Englaro cittadino di Firenze. Non vedete? Divide la città! E’ antipatico a molta gente, è visto da tutti (leggi cattolici teocon) come un brutto simbolo”. O,come ha detto un po’ meglio monsignor Betori dell’arcidiocesi di Firenze: “Uno che ha compiuto un atto nefasto, offensivo e distruttivo”.

Ora, ammettiamolo, Matteo Renzi un certo coraggio ce l’ha. Infatti ci vuole coraggio per dire no con tanto vigore a una piccola, nobile proposta. Ma il coraggio è come un motore, dipende dove ti porta. Il motore morale e politico di Matteo Renzi sorpassa all’indietro non solo Obama ma anche il laico avversario di Obama, McCain.

La nuova, moderna Firenze (che vuole Matteo Renzi, Pd) punta all’indietro verso Bush e al miglior fondamentalismo cristiano.

Furio Colombo

(13 marzo 2009)
da micromega - micromega-online
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« Risposta #127 inserito:: Aprile 27, 2009, 11:42:26 am »

La Resistenza di un comandante turco

di Furio Colombo


È stato detto, con parole belle e autorevoli, che «la Costituzione non è un residuato bellico» (Giorgio Napolitano, 22 aprile). È stato scritto, in modo limpido, da un autore incontestabile: «Non potete dividere la festa della Liberazione del Paese secondo i colori delle preferenze politiche» (Giorgio Bocca, la Repubblica, 21 aprile).

Ricorderemo le due frasi perché confermano con forza il legame fra Liberazione e Costituzione, che è anche il pilastro su cui si fonda la Repubblica. È la Storia italiana. La Storia non è un’opzione su cui si possano dire frasi allo stesso tempo futili e distruttive come quelle del primo ministro Berlusconi sulla «impronta sovietica della Costituzione italiana». O del ministro della Difesa La Russa che, benché parte dell’istituzione «governo», non ha esitato a dire, fino a poco fa, che «non si può sfilare con i partigiani rossi».

Ma su questa scena triste in cui si vede un governo che sembra non sapere nulla della vera Storia italiana e si adatta a qualche frase gentile sulla Resistenza, come se si trattasse di buone maniere, c’è un terzo protagonista che non può essere dimenticato. Si tratta del ministro dell’Interno Maroni (Lega Nord) che ha occupato il punto più sensibile di controllo della vita italiana. E lo usa per una aperta e pericolosa catena di iniziative contro gli immigrati, legali e clandestini, adulti e bambini, nei posti di lavoro e nelle scuole, cercando con metodo e accanimento di negare ai nuovi profughi un luogo per sbarcare e un luogo per pregare.

Il danno che questo ministro dell’Interno fa all’Italia e alla sua immagine è molto grande, a cominciare dalla sua frase ormai tristemente celebre: «Con gli immigrati dobbiamo essere cattivi». Una bella prova di disumanità di governo, di offesa alla Costituzione, di negazione della Resistenza.

Questo danno ha improvvisamente raggiunto dimensioni di portata mondiale con l’atroce vicenda della nave turca Pinar. Il suo comandante Asik Tuycun ha preso l’iniziativa di salvare dal mare in tempesta centocinquanta naufraghi avvistati mentre stavano annegando. I gommoni avariati partiti dalla Libia erano affondati. È inutile chiedersi quante altre navi, come la Pinar, avranno visto e ignorato, considerato l’azzardo di salvare vite umane nel Mediterraneo.

In Italia chi salva naufraghi rischia la condanna come «mercante di carne umana» se le persone giungono vive alle coste italiane. Certo il comandante Asik Tuycun ha rischiato anche con il suo armatore. Chi lo ripagherà dei giorni perduti con il suo carico umano bloccato in mare? Infatti, raccolti i superstiti (centoquarantacinque), constatata la morte di una di loro, una giovane donna incinta, e l’abbandono in mare di un bambino già morto, la nave turca si è diretta subito verso Lampedusa pensando che gli esseri umani non si impegnano in dispute sulla salvezza di esseri umani. Se mai dicono «grazie» in nome della civiltà, per ogni salvataggio. Ma appena sfiorate le acque territoriali italiane la Pinar è stata fermata e bloccata dalla corvetta militare italiana Lavinia.

Ci hanno raccontato di un «braccio di ferro» fra Italia e Malta: chi deve accogliere i salvati dal mare? Non dirò niente su Malta. Non c’erano giornalisti italiani, europei, americani, che abbiano potuto narrare del comportamento maltese. Ma il New York Times ha parlato dell’Italia. Sappiamo della corvetta Lavinia perché ne ha scritto l’inviato di Repubblica, Francesco Viviano, il solo italiano (e su l’Unità Federica Fantozzi citando il collega della radio tedesca Karl Hoffman ) salito sulla nave carica di immigrati morenti (20 aprile).

In tutta l'informazione italiana non c’è alcuna altra narrazione o annuncio o denuncia sull’intervento della corvetta militare Lavinia per fermare al largo la nave dei folli (folle il capitano a salvarli, folli gli immigrati a contare sul normale senso di civiltà dell’Italia). L’evento, che in ogni momento è stato descritto da molti giornali e tv come scontro diplomatico, è stato, invece, l’impuntatura elettorale del ministro dell’Interno leghista Maroni deciso ad offrire ai «popoli» e ai «territori» della Padania (o «alla nostra gente», come dice il capogruppo leghista Cota) la vita dei disperati della Pinar e il corpo ormai putrefatto della donna incinta.

Mentre il dramma era in corso, i due personaggi leghisti (Maroni e Cota) hanno avuto il coraggio di dire: «Non c’è alcuna emergenza sulla Pinar». In quel momento superstiti ed equipaggio erano costretti a bere acqua di mare per sopravvivere e i naufraghi stipati all’aperto sono rimasti esposti per quasi una settimana al sole a picco di giorno, al gelo delle notti. Questa volta il nome, il giorno, il pensiero della Liberazione italiana hanno un colore. È il colore dei vivi e dei morti della nave Pinar e del suo comandante che dobbiamo onorare come uno che ha fatto la sua Resistenza. L’ha fatta a nome e per conto di un’Italia assente, ostile o indifferente.

26 aprile 2009
da unita.it
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« Risposta #128 inserito:: Aprile 30, 2009, 05:03:15 pm »

30.04.09 - Il presunto giornalista antimafia

Alcuni giorni fa si è diffusa una notizia strana. L’ordine dei giornalisti si sarebbe costituito parte civile nel processo contro Pino Maniaci, conduttore, animatore e protagonista di una ormai celebre televisione locale, Telejato di Partinico.

Per chi legge un blog di Micromega, come per tanti giornalisti in Italia e in Europa non c’è bisogno di dire chi è l’accusato. E’ l’erede indifeso e solitario di una lotta senza tregua alla mafia, dunque lungo un percorso che va dal “giudice ragazzino” a Falcone e Borsellino, da Pippo Fava a Claudio Fava, da Mauro De Mauro a Peppino Impastato, da Don Pugliesi a Don Ciotti, da Caponnetto a Caselli, alcuni vivi, molti morti ammazzati, nessuna resa.

Sotto processo? Sì, in nome della legge. Sarà anche vero che Pino Maniaci rischia la vita ogni giorno a causa delle sue precise, mirate, documentate accuse di mafia.
Sarà anche vero che le minacce contro la sua vita non sono “voci” ma faldoni della Questura. Sarà anche vero che Pino Maniaci vive sotto scorta.

Ma non è un giornalista. Il suo sarà anche un nobile Tg di denuncia, ma “il Maniaci” come si legge negli atti processuali, “Non è iscritto all’ordine dei giornalisti”. Come si vede qui, ci sono due notizie che fra poco saranno lo spunto drammatico e incredibile di un buon film. La prima è che Pino Maniaci si permette di denunciare, con vere notizie di tipo giornalistico, la mafia. Ma non può farlo perché non è iscritto all’ordine dei giornalisti.

La seconda notizia è che l’ordine dei giornalisti non perde tempo con la mafia, va al vero nocciolo della questione. Inutile divagare sulla nobilità degli intenti del presunto eroe di anti-mafia. Quale eroe? Non è giornalista. Va processato per l’infame reato. E la vera parte lesa non è la Sicilia martoriata di mafia ma l’ordine dei giornalisti offeso da un ruba mestiere. Perciò: parte civile.

Purtroppo la triste storia di oggi (e l’inevitabile film di domani) non è finita. Occorre sistemare un “flashback” narrato su questo stesso blog da Beppe Giulietti (Art.21). L’ordine dei giornalisti, la federazione della Stampa e l’Unione cronisti, in tempi un po’ diversi, erano andati a Partinico a offrire “al Maniaci” la tessera onoraria di giornalista. Infatti lo sanno tutti che, con il suo rischio quotidiano, Pino Maniaci onora la professione del giornalista e il lavoro di ogni giornalista.

Resta una domanda. Che cosa è accaduto, o cambiato, per indurre l’onorevole ordine dei giornalisti d’Italia a questa corsa per punire lo sfacciato che, tessera onoraria o no, lotta alla mafia o no, fa il giornalista ma non è giornalista?

Furio Colombo

(30 aprile 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #129 inserito:: Giugno 07, 2009, 07:45:13 pm »

Parlare male di Berlusconi

di Furio Colombo

Perché non possiamo non dirci antiberlusconiani, qualunque sia il risultato elettorale (che speriamo largamente democratico, nel senso politico, nel senso di antifascista, nel senso che Marco Pannella ha ridato alla abusata parola)? La ragione si esprime in pochi punti.

1. L’ideologia, ovvero il patrimonio di idee e di visioni che Berlusconi ha trovato abbandonati sul terreno quando è “ sceso in campo”, non c’entra. Questo non è un governo di destra. Non c’è il decoro e il senso delle istituzioni della Destra di Gianfranco Fini, né la concitazione aggressiva e xenofoba della Lega Nord che - in tante diverse incarnazioni - avvelena il clima morale e politico di mezza Europa. Berlusconi non è né Fini né Bossi. È solo se stesso. Un signore ricco, furbo, non intelligente ma svelto, svincolato dal peso della buona reputazione e ricoperto dal manto - tutto teatrale però efficace - del successo populista. Non c’è nulla prima di Berlusconi, nulla che gli assomigli. Non ci sarà nulla dopo di lui (certo non il devoto Bondi). Abbiamo a che fare con un caso unico in Europa e raro nella storia. Non è raro il leader squilibrato. È rara una così vasta sottomissione delle cosiddette classi dirigenti.

2. È vero (cito ancora Marco Pannella) che malgoverno e malaffare hanno a lungo lavorato insieme in Italia ben prima dell’uomo di Arcore. Ma sono confortato dal grido di allarme del leader radicale che, invece di scusarsi per l’antiberlusconismo dichiara, col consueto coraggio, che c’è un vero e imminente pericolo di fascismo e che la persecuzione delle persone segue, non precede, la strage di notizie. Questa strage è già in atto se pensate ai molti grandi giornali che non hanno osato pubblicare le immagini di comportamento indecente del premier alla parata del 2 giugno. Più ancora, se si ricorda a che punto estremo di manifestazione e di denuncia i nonviolenti Pannella e Bonino sono dovuti arrivare per rompere il silenzio.

3. Chiunque può avere, per un periodo, un ministro inutile come Brunetta; un capo dell’Economia impegnato a scrutare un altro orizzonte, non quello vero, come Tremonti; un finto ministro dell’Istruzione come la Gelmini (memorabile l’invenzione del 6 rosso) di cui si ricorderanno solo il tailleur alla Mary Poppins, gli occhiali e i tagli poderosi alla scuola pubblica. Ma nessuno ha avuto e continua ad avere per quindici anni un uomo troppo ricco, non nel pieno controllo del suo comportamento pubblico (la vivacità eccessiva certe volte lo aiuta, certe volte lo sputtana) e preoccupato solo di se stesso, immagine, donne (nei limiti e con la pena dell’età), e finti progetti, uno o due al giorno, annunciati e poi buttati, in un delirio di applausi che - ci siano o non ci siano gli oppositori - ad un certo punto cesserà di colpo.

4. Berlusconi siede sul groviglio dell’immondizia, del terremoto, della crisi economica senza governare. Tutte le sue leggi sono ritorsioni, punizioni, vendette, volute e votate per interesse aziendale o personale o tributo a un partito feudatario, come il disumano e incivile «pacchetto sicurezza», vero best seller di condanne nel mondo civile laico e religioso. In particolare non si registra una legge o misura o azione o strategia anticrisi che non sia una esortazione all’ottimismo e al consumo. La parola d’ordine del non-governo Berlusconi è «lavorare di più», ammonimento diretto non si sa a chi, date le cifre continuamente in crescita della disoccupazione. Lo dice mentre lo affianca la neoministro del Turismo Brambilla, di cui non si sa nulla, eccetto il colore vistoso dei capelli, e che non può far nulla in un Paese che affoga nell’immondizia e nel cemento. Infatti, nel frattempo, incombe sulla Toscana l’immensa colata di cemento detta «Spaccamaremma», l’inutile autostrada destinata a isolare la regione italiana più celebre al mondo dal suo mare (la colata di asfalto e cemento corre lungo le spiagge). E incombe su tutto il Paese il «piano casa». È un singolare condono preventivo che autorizza ciascuno al peggio, senza autorizzazioni, senza controlli, senza regole. Ma questo è il cuore del discorso. Berlusconi, da solo, siede sul Paese. Come se non bastasse lancia una frase squilibrata al giorno. L’ultima è “troppi negri a Milano”, nell’anno, nel giorno, nell’ora dello straordinario discorso al Cairo di Barack Obama, primo Presidente afro-americano degli Stati Uniti. Sua moglie - che deve averci pensato molto - ci dice che non sta bene. Alcuni italiani lo ammirano perché è ricco e sono sicuri che non usa aerei di Stato per ballerine di flamenco e chitarristi personali. Altri - come Pannella - vedono e dicono chiaro il pericolo. In Italia manca l’ossigeno delle notizie vere. Il piede sul tubo è quello di Berlusconi.

07 giugno 2009
da unita.it
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« Risposta #130 inserito:: Luglio 17, 2009, 06:05:13 pm »

Furio Colombo 


Onore a Berlusconi

15 luglio 2009

Avete presente l’articolo del “Financial Times” dal titolo “Berlusconi treads path from playboy to Statesman (Berlusconi incrocia la strada di playboy con quella di statista) a firma Guy Dimore e George Parker apparso in data 11 luglio per l’esultanza di quasi tutta la stampa italiana (diciamo tutta, inclusi gli applausi di Sansonetti su “l’altro”, esclusa solo “La Repubblica”)?


Bene. E’ tutto vero. Ma nelle esaltate traduzioni  che hanno indetto molti ad ammonire la sinistra che “il gossip non paga” (che vuol dire che abbiamo tutti il dovere, sinistra o non sinistra, di sopprimere la notizie) manca un paragrafo. L’ultimo. Tutti ci hanno dato una versione in cui sono state censurate alcune righe. Le ultime.

Per dovere di cronaca le abbiamo fedelmente e cautamente tradotte. Eccole.

“Eppure importanti personaggi della vita diplomatica rimangono preoccupati per ragioni di sicurezza . Sono ragioni che inducono a dubitare della affidabilità di un capo di governo che, a quanto è stato detto, intrattiene ragazze squillo, alcune provenienti dall’Europa dell’Est. Lo stesso Berlusconi ha fatto sapere che una ragazza, di cui ignorava l’attività professionale di “escort” sarebbe stata pagata per incastrarlo”.

Segue la firma dei due giornalisti che precisano di averlo scritto da l’Aquila, nel momento caldo del trionfo. Ecco dunque come si conclude, in un giornale normale, l’articolo che adesso molti ci sventolano come prova del riscatto del nostro statista. I due inviati, a conclusione di una serie di dovuti riconoscimenti sulla buona ospitalità, non di riscatto parlano ma di ricatto

In poche righe esprimono alcuni concetti che un po’ guastano la festa italiana se si leggono con attenzione e con la mente sgombra dallo impulso di piegarsi in profondi inchini di omaggio e di pentimento.

Prima conseguenza. Le storie politiche di personaggi di primo piano, come quella di Berlusconi che, per ora, comincia a Casoria e si conclude con i racconti di D’Addario e le altre, non sono seguite da indulgenza plenaria che, come hanno imparato nelle loro vicende  Nixon e Clinton, in democrazia non esiste. La vicenda non si azzera come un tassametro, viene mostrata accanto ad alcune cose che sono andate bene ma non cancellano niente. E se ne traggono alcune gravi conseguenze.

Seconda  conseguenza. Un leader che ha la casa affollata di visitatrici selezionate solo fisicamente è un pericolo per la sicurezza. La sicurezza di cui è depositario Berlusconi, che comprensibilmente se ne vanta, non è solo quella italiana. I diplomatici citati dal giornale inglese suggeriscono: Attenzione, Berlusconi non è affidabile, è un rischio per la comunità internazionale.

Terza conseguenza. Alcune gradite ospiti di Berlusconi venivano da paesi che tradizionalmente usano la via del sesso per impossessarsi  di segreti economici o militari.
Non sappiamo nulla, tranne un grande andare e venire di donne giovani, delle notti di Berlusconi. Ciò che allarma non è la morale ma l’affidabilità politica.

Quarta conseguenza. Il silenzio con cui Berlusconi crede di essersi tolto dall’incredibile imbarazzo (e del quale gli esegeti di destra e di sinistra ci dicono con un curioso sarcasmo “Visto? Il gossip non  paga!”, usando la parola inventata da Bonaiuti per definire un vasto scandalo), quel silenzio non elimina ma anzi aggrava il pericolo di ricatto (“donne pagate per incastrarlo” dice lui stesso).

A  questo  pericolo è dedicato il paragrafo chiave dell’articolo inglese, il paragrafo che agli italiani è stato negato.

da antefatto.ilcannocchiale.it
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« Risposta #131 inserito:: Agosto 30, 2009, 08:34:47 am »

«Con Obama l’America è cambiata per sempre»

di Furio Colombo


Ripubblichiamo la conversazione di Furio Colombo con Ted Kennedy del 20 novembre scorso


Il telefono squilla alle sette di sera. Riconosco subito la voce di Katie Kruse: «Posso passarle il Senatore?». Era una consuetudine la conversazione tonante del senatore Ted Kennedy, da Washington, più o meno una volta al mese, la sua irruenza appassionata contro la visione politica di George W. Bush, la teologia neo-con della potenza solitaria che guida senza voltarsi indietro, dà ordini ma non chiede consigli, divide il mondo in volonterosi che si accodano per compiacere e senza fare domande, e tutti gli altri, confondendo il pericolo dei nemici con la lealtà dei dissenzienti.

Ma questa è la prima telefonata dopo il dramma del malore improvviso e dell’intervento chirurgico d’urgenza e del suo ostinato tornare al lavoro. Un giorno di settembre è andato a votare in Senato con la testa fasciata e contro il parere dei medici. È anche la prima volta che la conversazione con l’ultimo dei Kennedy riprende dopo l’evento più straordinario della vita americana, ma anche del mondo: Barack Obama, di origine africana, di padre keniota, diventato presidente degli Stati Uniti in una sola generazione.

Ted Kennedy è considerato da tutti, amici e nemici negli Usa, l’uomo politico che ha contato di più in questa elezione che ha colto di sorpresa (nonostante l’attesa) l’America e il mondo. Quando le primarie lunghe e difficili con un avversario di talento come Hillary Clinton sembravano non finire mai e aprire spazio al candidato repubblicano, l’anziano senatore (78 anni) e la figlia del presidente Kennedy, Caroline, hanno portato tutto il peso di un immenso prestigio.

«È Obama il nostro candidato », ha detto Ted Kennedy. «Mi ricorda mio padre», ha detto insieme a lui Caroline. Adesso, dopo questa incredibile vittoria, le sue parole sono queste: «Ogni volta un risultato elettorale porta cose nuove e diverse, questa è la grandezza della democrazia, persino quando non ti piace e non sei d’accordo. Ma adesso l’America è cambiata per sempre. Il Paese, tutto il Paese, anche coloro che non hanno votato Obama, si è spostato in avanti, in un altro spazio della storia. La lunga marcia di Martin Luther King è arrivata al sommo della collina. Molte cose possono accadere. Ma non si disfa più un evento come questo. Adesso l’America è davvero se stessa. E lo è per sempre».

Ci sono dei colpi di tosse. Incrinano un poco la voce di Kennedy che non è mai invecchiata. È rimasta quella, irruente e appassionata di tanti giorni di campagne elettorali vissute insieme. È la voce di un leader che non ha mai smesso di guidare e non ha mai smesso di cercare, e che ha dominato il Senato americano anche nel lungo periodo senza potere. «Voglio dire una cosa. Sono felice di essere qui, in questa America, in questo momento».

Dice e ripete: «Ogni elezione è una buona elezione. Ma questa ci ha cambiato per sempre». Che significa: «Nel segreto elettorale, gli americani hanno deciso di fare il salto definitivo di là dall’oscuro e insepolto spettro del razzismo». Lo riassume così: «Gli americani hanno votato per se stessi. Non per ciò che siamo già adesso. Ma per quel che saremo, da questo momento in avanti».

Ted Kennedy è un politico e uno stratega di lungo corso. E così come, durante la campagna elettorale, ti spiegava il vantaggio e il rischio di ogni decisione e di ogni parola, adesso osserva con occhio attentissimo la scena entusiasmante del presidente Barack Obama che, con una decisione al giorno, forma il governo, e lo fa con la partecipazione e con l’ansia del più grande, del più competente, del più vicino spettatore americano. Vicino - Kennedy spiega - non significa né presenza né influenza. Significa attesa.

L’attesa la racconta così: «Il nuovo presidente ha tracciato un percorso nitido per il suo lavoro. Lo ha presentato agli americani che gli hanno detto sì. Adesso quel percorso diventano persone, ciascuno con la sua immagine, la sua cultura, le sue aspettative, il suo passato. Il momento della scelta, per un governo che non sia fatto di manichini, di vice, di sottoposti, è di identificare donne e uomini che portano una vita piena e accettano non tanto il titolo quanto il ruolo, la parte del grande impegno che viene loro assegnato. Persone che non saranno niente di meno di ciò che portano come contributo e niente di diverso dal disegno comune a cui adesso partecipano. Ogni nuovo governo è soggetto a qualche sbandata. Noi (dice “noi” al modo in cui si usa spesso il plurale nelle vita politica americana, non per dire “noi, il governo”, ndr) non ce lo dobbiamo permettere».

Ma c’è una seconda affermazione che gli preme fare, in questa conversazione amichevole e inaspettata, e forse gli importa anche di più perché sta parlando con uno dei tanti amici dell’America che, in tanti Paesi del mondo, hanno aspettato con vera speranza e vera tensione questo momento. Dice: «Una cosa mi auguro: che non si crei, nella ragionevole felicità di questo momento, una “over expectation”, una attesa di prodigi e miracoli. Inizia un’epoca di politica completamente nuova e inizia su un piano più alto. Ma uno come me, dopo quattro decenni in questo Senato, può dire che la politica è sempre difficile e non è mai miracolosa. La vera promessa con cui ci confrontiamo è di rendere più morale, non più magica e miracolistica, la nostra vita comune. Ciò che ci lega adesso, noi come popolo e noi con il mondo, è il rispetto di una moralità ritrovata. Il vero miracolo è questo, ed è già cominciato col voto. Il resto è lavoro, rischio e fatica, in uno dei momenti più pericolosi di tutte le nostre vite».

Della sua salute, l’ultimo dei Kennedy dice soltanto: «Noi intanto lavoriamo e siamo in Senato. Andiamo a Cape Cod (la casa di famiglia, ndr) solo per il Thanksgiving (il giorno del Ringraziamento) e a Natale. E poi vediamo». Qui il “noi” si sdoppia. Nella prima parte della frase significa la politica. Nella seconda vuol dire la moglie Vicky (Victoria), non meno combattiva di Ted. Vuol dire figli e nipoti, figli di John e figli di Robert e delle sorelle Jean ed Eunice, e dei figli dei figli. Il clan dei Kennedy, che ha portato l’America fin qui, non finisce.

26 agosto 2009

da unita.it
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« Risposta #132 inserito:: Novembre 11, 2009, 10:09:26 am »

Il Travaglio di Panorama

Il nuovo direttore di Panorama - Giorgio Mulè - entra in scena con una corsetta e un salto alla Benigni. Non è bravo come lui ma ce la mette tutta.

Parla bene di Berlusconi, parla bene di Fini, parla bene di Feltri, mostrando una visione larga e benevola degli esseri umani. Gente come noi. E se uno è bravo, è bravo. E glielo dici. E cerchi anche di darti una missione: riappacificarli. Questa, si direbbe, è la lettera di intenti.

Ma c'è di più.

Panorama esce vestito da poker, promette di dire tutto sulla nuova voglia di giocare che dilaga in Rete. La consonanza è con il dovere civico dell'ottimismo che qualcuno (adesso non ricordo chi) ci sta raccomandando. Tutto
sembra dire che, con la giusta attitudine, le cose si aggiustano, come nel film di Woody Allen ("Basta che funzioni").

Purtoppo alcuni suoi collaboratori (chi anonimo, come l'autore del pezzo su Travaglio, chi celebre, come il super partes Vespa) non sanno ancora stare al gioco. O sono amari, come Vespa ( "scusate il paradosso; ma a dover invocare la par condicio siamo noi pochi moderati, in larga e documentata minoranza alla Rai") o provano a scoprire gli altarini dei finti moralizzatori, tipo Marco Travaglio.

A pag. 47, infatti, compare un pezzo rivelatore (peccato senza firma, così non sapremo mai a chi riconoscere lo scoop) dal titolo promettente: "Che profumo i soldi di Travaglio". I lettori di Panorama, si suppone, verranno presi da sentimenti ora di
meraviglia, ora di rabbia (dipende dalla par condicio di Vespa) nell'apprendere che l'impertinente giornalista è arrivato a guadagnare, nel 2007, fino a 350mila euro. "Ma negli ultimi due anni l'azienda Travaglio ha raggiunto il picco: i 180mila euro di diritti d'autore" (dall'editore Chiarelettere per il libro "Papi") e un versamento dello stesso Travaglio al nuovo giornale di Padellaro, "Il Fatto", di cui diventa azionista.

Diavolo di un giornalista investigativo anonimo. Dove avrà trovato quelle cifre che avranno subito fatto allargare le narici al vorace avvocato Ghedini? Forse Travaglio stava profittando alla brava del condono fiscale per riportare in Italia le somme ingordamente guadagnate (da parassita, direbbe Brunetta) alle spalle di padron Berlusconi?

La risposta delude un po'. Sono tutti dati pubblicati dal fisco e resi noti dall'editore. E deludono un po' anche le cifre. Per esempio, dedotti viaggi, lavoro, famiglia, contributi e collaboratori, le escort non ci entrano. E con una simile cifra non si va neanche in Puglia, né a destra, né a sinistra.

Furio Colombo

http://temi.repubblica.it/micromega-online/il-travaglio-di-panorama/
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« Risposta #133 inserito:: Dicembre 26, 2009, 11:21:25 pm »

L'esorcista | Furio Colombo 

La strategia del generale Von Vespa


  BIO 21 settembre 2009


Di tanto in tanto tornano film sulla Seconda Guerra Mondiale a ricordarci il mondo di Hitler: vari cerchi concentrici di "yes men" stretti intorno al Fuhrer per impedire che ogni spiraglio di realtà raggiungesse il suo bunker. Non erano buoni e protettivi, erano agli ordini. Gli ordini non erano sporadici: erano interni ad una logica che doveva prevedere solo vittoria, e dunque esagerazione di ogni evento per mantenere ben teso – fino alla fine – il clima di slancio. Nel bunker di Berlusconi – paragonabile per autismo mentale, bisogno di realtà truccata (a cominciare da se stesso), cerchi protettivi di uomini e donne fedeli che si interpongono tra il capo e i fatti realmente accaduti, ma per fortuna senza la devastante potenza distruttiva dell'antenato – la strategia è ferrea, ma rovesciata. Siamo noi a sostenere che "la sinistra" è malata o – se necessario – assassina? Diciamo che ci attaccano e ci insultano ogni giorno. Non c'è più la sinistra? Ignorare, fingere un assedio. C'è un'opposizione che chiede ogni giorno un "dialogo"? Denunciare il testardo e pericoloso rifiuto della opposizione ad ogni benevola apertura del governo. Occupiamo, controlliamo e possediamo tutte le televisioni? Gridiamo che sono tutte contro di noi, e che noi siamo il perseguitato e la vittima.

Il Consiglio di Amministrazione della Rai e tutte le posizioni direttive della Rai – meno una o due – sono in mano alla destra? Proclamiamo di essere in minoranza, perseguitati e sul punto di essere cacciati. Tutto ciò è provato da un dispaccio segreto del generale Von Vespa, descritto all'interno di un festoso settimanale (di proprietà del capo) che pretende di occuparsi di poker e altri giochi di società. Il documento è in data 24 settembre. Ecco i punti salienti:

1. Nessun direttore di giornale italiano è lontanamente riconducibile a posizioni filogovernative. L'avvertimento è chiaro.

2. La Repubblica è un giornale patologicamente antiberlusconiano. Si riferisce all'insistenza di quel solo giornale (sostenuto dalla stampa del resto del mondo) a ottenere risposte sulla vita notturna del Primo Ministro.

3. Un importante giornalista si è stracciato le vesti per lo spostamento di due giorni di Ballarò in favore di Porta a porta. Ma poi non disdegna di salire al primo piano di Palazzo Chigi a chiedere appoggi per una rilevante direzione televisiva. Notare l'utilità della minaccia all'avversario senza farne, per ora, il nome.

4. Le televisioni del proprietario-Presidente "non fanno male a nessuno", mentre non esiste al mondo una Raitre che colpisce sempre solo una parte politica. Von Vespa resta fedele al compito di sbarrare il passo alla realtà. Al Presidente-proprietario non piace.

5. Porta a porta ha un impianto chiaramente moderato. Il confronto è paritario. Von Vespa sta elogiando la sua divisione, poche truppe ma valorose, che per ora riescono ad occupare solo quattro sere alla settimana, ma sanno fare quadrato intorno ai monologhi solitari e non interrompibili del Presidente-padrone.

6. Raitre è stata, al contrario, sempre una rete di battaglia in favore della sinistra italiana e solo della sinistra. La parola codice è "al contrario". Raitre si è condannata da sola e Von Vespa, lo rende noto nel suo dispaccio, rilevando che – al quartier generale – la colpa viene ritenuta irredimibile, qualcosa da far pagare caro.

7. "A dovere invocare la par condicio siamo noi pochi moderati, in larga e documentata minoranza". Missione compiuta. Il rovesciamento è totale. Von Vespa annuncia dal suo forte – così gremito che non si troverebbe più un posto in piedi – la volontà di resistere ai due (a volte, quando non ne possono più, tre o quattro) che sostano in dissenso sotto le finestre blindate del Palazzo.

Scrupolosamente viene mantenuto il segreto: nel Palazzo le serate e le notti sono ancora cupe e desolate, dopo la disavventura di Tarantini, o si riapriranno – con la consueta discrezione – le feste?

da antefatto.ilcannocchiale.it
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« Risposta #134 inserito:: Maggio 23, 2010, 05:16:57 pm »

I nuovi crociati del mercato e l’eutanasia del lavoro

Il lavoro al tempo di Madoff

di Furio Colombo, il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2010

Sappiamo poco noi, i non esperti di finanza, della crisi che si mangia la Grecia, si dirige verso la Spagna, ha poi adocchiato il Portogallo e mostra una misteriosa tendenza a non fermarsi. Scrive Giovanni Sartori (“Corriere della Sera”, 14 maggio): “Non sarò io a spiegarvelo, ma il problema è di difficile soluzione”. Raro esempio di descrizione degli eventi di cui tanti si fingono specialisti. Soprattutto coloro che, prima della sindrome greca, ci hanno spiegato che il peggio era alle spalle (non parlo di politici, parlo di economisti) che prima della violenta scossa americana ci avevano rassicurato sull’economia della crescita, del consumo, del credito. Sono gli stessi che adesso compaiono sulle colline della nuova crisi economica che – come un’“influenza aviaria” della finanza – sembra incline a divorare i bilanci degli Stati. E brandiscono scuri e machete gridando: “Tagliare!”. Sono molto coerenti, i nuovi crociati del mercato. Sono debitamente spietati e non inclini a fare eccezioni.

Tagliare cosa? Prima di tutto – e soprattutto – stipendi e salari, tagliare “privilegi” come la sanità, le pensioni più basse (ma, riconoscetelo, le più numerose), tutti i tipi di sostegno alla scuola, ai disabili, agli anziani, che portano via lavoro ai giovani, e ai giovani per cui è finito il lusso della formazione e di ogni forma di praticantato o sostegno iniziale. Chi sta sull’isola dei senza lavoro ci resti e si dia una calmata. Se i guru di Wall Street guardano la crisi negli occhi e ti dicono “è grave”, dovete accettarlo. Del resto, a riprova che niente è locale e provinciale in questa crisi, leggo sul “New York Times” un articolo che si intitola “Nuovi spossessati”: “Ricordate tutti i posti di lavoro (milioni) scomparsi durante il peggio della crisi americana? Non tornano. Fine del discorso. È chiaro che molte imprese hanno fatto negli ultimi due anni ciò che volevano fare comunque: liberarsi di milioni di lavoratori” (Catherine Rampell, 13 maggio).

Due grandi questioni si vedono sul fondo di questa storia. La prima è un euforico slancio a tagliare o il lavoro o le paghe. E' qualcosa che viene annunciato come l’avere trovato la strada giusta, capace di diffondere immediato apprezzamento e sollievo. Si sente sul fondo della scena un corale e robusto: “Finalmente!”. La seconda è una domanda: perché? Sembra fatta di rivendicazionismo sindacale, questa domanda. Sembra ispirata a ciò che molti convegni della sinistra più “moderna” e “riformista” chiamano “conservatorismo”, e lo vedono ispirato alla vecchia immagine della fabbrica, un mondo senza mutui e senza credit card, in cui si entrava all’alba con il pentolino del pranzo e qualche rivendicazione da discutere nell’ora di pausa. Invece questa domanda pone una questione di visione economica e di governo politico. Che mondo è? E perché si è inceppato?

Vediamo il primo punto. Dagli schermi della televisione (nazionale e internazionale), dalle pagine più autorevoli (editoriali, opinioni) dei più ascoltati giornali spuntano personaggi che elogiano con slancio e sollievo la strada del ritorno al benessere: il taglio dei salari e l’abolizione dei privilegi. Per “privilegio” si intende qualcuno che – al massimo – aveva ottenuto l’insegnante di sostegno per il bambino disabile, l’assistenza a domicilio per un anziano, una tredicesima mensilità oltre le 12 da 1000 euro al mese. Si tratta del mondo in cui l’infermiera di Napoli, Mariarca Terracciano, è morta perché per ogni no che riceveva alle sue modeste richieste sottraeva un po’ di sangue al suo corpo. Si tratta di un mondo in cui chi perde il lavoro si uccide (non tutti, non tanti, ma chi lo fa racconta di un vuoto che prima – crisi o non crisi – non c’era mai stato). E si uccide sempre più spesso anche il piccolo imprenditore “disonorato” dal fatto che paga lui, senza più credito, l’immenso debito di banche e aziende dichiarate “risanate”.

C’è una vera e propria festa, come di una pecora nera tornata all’ovile, intorno al primo ministro Zapatero che finalmente si è deciso a tagliare. Non la flotta, non l’armata. Si è deciso a tagliare gli stipendi degli impiegati statali. Come in Grecia ieri. Come in Portogallo fra poco. Quale sindacato oserà tener testa ai privati, quando si sentiranno in dovere di partecipare al sacrificio nazionale, tutto a carico di chi lavora? Chi non apprezzerà il privilegio del taglio di paga invece (o in attesa) del fine vita di lavoro?

Ecco che cosa sta accadendo con la partecipazione del mondo “moderno”, qualche mite obiezione “riformista” (“se sei riformista fai le riforme, no?”) e una vera euforia dei mercati. Sta accadendo l’eutanasia del lavoro. Si taglia la paga dal lavoro di cittadini, senza notare se le loro prestazioni sono eroiche (come quelle di certi insegnanti, di certi medici e infermieri) oppure scarse e sbadate. Nelle vaste retrovie dei puniti il taglio di paga è la rivincita (causa di vero e proprio orgoglio) di chi ha lavorato male e non si è mai fidato del premio ai migliori. E la famosa meritocrazia, bandiera di modernità fino a un mese fa che fine ha fatto? Adesso, col taglio unico per tutti, arriva il grande giorno dei fannulloni. Avevano ragione loro nel non impegnarsi più di tanto in un lavoro che non interessa nessuno.

Se riprendete la citazione del "New York Times" che ho usato in questa pagina (il lavoro, una volta eliminato, non torna, al punto da svelare che la crisi asseconda una campagna contro il lavoro) e la considerate un’efficace illustrazione, la seconda domanda che ho proposto diventa: che mondo è un mondo estraneo e ostile al lavoro? Sarà una guerra per bande di pirati di Borsa, come Madoff ma peggiori di Madoff, impegnati a rastrellare ricchezza, creare miseria e accendere opportunamente la miccia di grandi conflitti, ora di armi, ora di consumi, ora fra imprese, ora fra Stati, mentre gli ex lavoratori si dissanguano come l’infermiera di Napoli. O restano da soli nell'isola.

(16 maggio 2010)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-nuovi-crociati-del-mercato-e-leutanasia-del-lavoro/
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