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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229101 volte)
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« Risposta #270 inserito:: Giugno 20, 2013, 11:51:47 am »

Politica
18/06/2013

Legittimo impedimento, la sentenza che definirà gli equilibri del governo

L’aspettativa del Cavaliere è che, in cambio di una «buona condotta» sul piano politico, possano venirgli riconosciute le ragioni che pensa
di avere sul piano giudiziario

Ugo Magri
Roma


La sentenza di oggi della Corte costituzionale sarà politicamente importante in quanto (perlomeno sulla carta) potrà modificare i calcoli di convenienza su cui si reggono le larghe intese. Tra i motivi per cui Berlusconi se ne è fatto propugnatore, c’è senza dubbio la sua speranza di trarne dei benefici nella sua veste di imputato. L’aspettativa del Cavaliere è che, in cambio di una «buona condotta» sul piano politico, possano venirgli riconosciute le ragioni che pensa di avere sul piano giudiziario. Ritenendosi un perseguitato, vuole verificare se un comportamento all’altezza delle responsabilità può meritargli, da parte delle varie magistrature, una valutazione più serena dei suoi diritti.

 

Sotto questo aspetto, il verdetto della Consulta sul «legittimo impedimento» si colloca in posizione strategica. Sarà cronologicamente la prima di quattro sentenze destinate a susseguirsi nell’arco di sei mesi. La seconda è annunciata per lunedì prossimo al processo Ruby. La terza verrà pronunciata nel tardi autunno dalla Cassazione sui diritti Mediaset (è in gioco la condanna a 5 anni di carcere più interdizione dai pubblici uffici). E l’ultima della serie, protagonista sempre la Suprema Corte, avrà in palio i 560 milioni di risarcimento all’ingegner De Benedetti per il Lodo Mondadori.

 

Non occorre essere scienziati della politica o del diritto per rendersi conto che la decisione di domani potrebbe condizionare le tre successive. Perché un conto sarebbe se Silvio si presentasse in Tribunale a Milano, e soprattutto in Cassazione, con la medaglia appuntata al petto di «pater patriae»; o comunque con la chance di ottenere ragione dalla Consulta in ultimissima istanza. Altra cosa sarebbe se la Corte costituzionale domani gli desse torto, affibbiandogli per giunta l’etichetta dell’imputato sleale, che il 1° marzo 2010 convocò un Consiglio dei ministri al solo fine di non presentarsi in udienza davanti ai giudici milanesi (il «legittimo impedimento» di cui si discute). In questo secondo caso, la vicenda processuale del Cavaliere imboccherebbe un piano inclinato inarrestabile, con il colpo di grazia del mezzo miliardo e passa da risarcire al suo peggior nemico…

 

Una volta che fosse disintegrato sul piano giudiziario (e pure su quello finanziario), a Berlusconi resterebbe molto meno da dire pure su quello politico. La stagione di tregua sancita dalle larghe intese si risolverebbe dunque interamente a vantaggio del Pd, che avrebbe il tempo di darsi un nuovo leader laddove quello avversario verrebbe rottamato. Per cui non deve stupire l’apprensione con cui viene atteso, specie nell’ex Palazzo dei Papi che sta proprio di fronte alla Consulta, il pronunciamento di domani. In base alla piega che prenderanno le cose, Silvio valuterà le mosse future con il tasso di imprevedibilità che da sempre lo contraddistingue. Un autorevole ministro Pdl confida preoccupatissimo: «Potrà davvero accadere di tutto».

da - http://lastampa.it/2013/06/18/italia/politica/legittimo-impedimento-bomba-a-orologeria-la-sentenza-che-definir-gli-equilibri-38z7YkF4V58FjAkD570f9K/pagina.html
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« Risposta #271 inserito:: Luglio 06, 2013, 07:46:40 pm »

Politica
05/07/2013 - retroscena

Mediaset, la difesa di Coppi “Calpestato il codice”

Berlusconi orientato a firmare di referendum radicali sulla Giustizia

Ugo Magri
Roma

La prospettiva sempre più drammatica di finire dietro le sbarre (nemmeno l’età lo metterebbe al riparo dalle patrie galere) spinge in queste ore Berlusconi a soppesare una mossa politica lucida e, insieme, disperata. Sta seriamente pensando di recarsi a un banchetto dei Radicali, e di sottoscrivere davanti alle telecamere i cinque referendum «per la Giustizia giusta». Chiaro che i suoi elettori sarebbero invitati a fare altrettanto. Al Cavaliere interessano i quesiti sulla responsabilità civile dei magistrati, sulle toghe fuori ruolo e sulla separazione delle carriere; meno quelli di ispirazione schiettamente liberale che mirano a cancellare l’ergastolo nonché a mettere un freno alla custodia cautelare. Ma l’impatto politico sarebbe formidabile, e Pannella si domanda con stupore come mai Silvio ancora non si decida a sfruttare la grande chance referendaria per piazzare una mina sotto al sistema...

 

Fonti di casa ad Arcore garantiscono che «ci siamo quasi». Ieri all’alba, «tweet» premonitore della Santanché, periscopio del sommergibile berlusconiano. La decisione sembrerebbe matura. Anche perché la fiducia dell’ex-premier nella giustizia è direttamente proporzionale alla speranza di vedere accolte le proprie ragioni: cioè zero. Dai diritti Mediaset a Ruby, finora ha sempre incassato il massimo della pena. È certo che il 19 luglio verrà rinviato a processo per corruzione di senatori, e molti indizi fanno pensare che finirà allo stesso modo a Bari per l’inchiesta sulle «escort» («C’est la vie», prova a sdrammatizzare un personaggio dell’entourage, «anzi c’est Lavitola...»).

 

A credere che il Cavaliere possa ancora scansare l’arresto è rimasto, praticamente, uno solo: il professor Franco Coppi che, insieme con l’avvocato Niccolò Ghedini (molto meno speranzoso di lui), ha presentato giorni fa il ricorso in Cassazione avverso la sentenza Mediaset, quella che ha condannato Berlusconi a 4 anni più pene accessorie per frode fiscale. Il verdetto della Suprema Corte è atteso in autunno, e la politica italiana lo attende col fiato sospeso. Nei Palazzi nessuno si illude che il governo e la XVII legislatura resisterebbero indenni a una condanna dell’ex-premier. Eppure, fatto singolare, nessun riflettore si è acceso sulle 359 pagine vergate dai due legali, cioè sull’extrema ratio difensiva di Berlusconi, dove si argomentano ben 49 motivi per cui il processo Mediaset di appello dovrebbe essere cassato, e precisamente: 23 cause di nullità, più 26 violazioni di legge. Qui si coglie lo stile inconfondibile di Coppi: sempre in punta di diritto, con il tono di chi sta tenendo un corso magistrale di diritto processuale, elenca (per restare sui numeri) 31 articoli, dicasi trentuno, del Codice di procedura penale a suo avviso calpestati nell’arco del giudizio di appello che non sarebbe nemmeno dovuto incominciare per «incompetenza funzionale»...

 

Il piatto forte della difesa? Ancora una volta, i legittimi impedimenti negati dalla corte milanese. Non solo quello appena bocciato dalla Consulta, ma altri non meno celebri: quando Berlusconi si mise a compilare le liste elettorali proprio nel giorno dell’udienza, e quando finì in ospedale per uveite (la privacy vieta di riferire le varie patologie visive riscontrate al paziente, e comunque il lettore non vi troverebbe nulla di così gradevole). Non si contano le bacchettate procedurali: dal sistematico «fraintendimento» dei testimoni al «travisamento» delle prove, alla mancata acquisizione degli atti del processo gemello, in cui Berlusconi fu assolto. Chi dimenticasse per un attimo la fonte del documento (gli avvocati difensori del Cavaliere) trarrebbe l’impressione che i magistrati abbiano fatto, come si dice a Oxford, carne di porco delle regole, combinando la qualunque pur di mettere fuori gioco il leader del centrodestra. Ma a Coppi e a Ghedini sarebbe sufficiente che la Cassazione desse loro retta su un punto, uno soltanto, per rovesciare i pronostici e tirare miracolosamente in salvo il loro imputato...
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« Risposta #272 inserito:: Luglio 10, 2013, 10:08:34 am »

Politica
05/07/2013 - retroscena

Mediaset, la difesa di Coppi “Calpestato il codice”

Ugo Magri
Roma

La prospettiva sempre più drammatica di finire dietro le sbarre (nemmeno l’età lo metterebbe al riparo dalle patrie galere) spinge in queste ore Berlusconi a soppesare una mossa politica lucida e, insieme, disperata. Sta seriamente pensando di recarsi a un banchetto dei Radicali, e di sottoscrivere davanti alle telecamere i cinque referendum «per la Giustizia giusta». Chiaro che i suoi elettori sarebbero invitati a fare altrettanto. Al Cavaliere interessano i quesiti sulla responsabilità civile dei magistrati, sulle toghe fuori ruolo e sulla separazione delle carriere; meno quelli di ispirazione schiettamente liberale che mirano a cancellare l’ergastolo nonché a mettere un freno alla custodia cautelare. Ma l’impatto politico sarebbe formidabile, e Pannella si domanda con stupore come mai Silvio ancora non si decida a sfruttare la grande chance referendaria per piazzare una mina sotto al sistema...

 

Fonti di casa ad Arcore garantiscono che «ci siamo quasi». Ieri all’alba, «tweet» premonitore della Santanché, periscopio del sommergibile berlusconiano. La decisione sembrerebbe matura. Anche perché la fiducia dell’ex-premier nella giustizia è direttamente proporzionale alla speranza di vedere accolte le proprie ragioni: cioè zero. Dai diritti Mediaset a Ruby, finora ha sempre incassato il massimo della pena. È certo che il 19 luglio verrà rinviato a processo per corruzione di senatori, e molti indizi fanno pensare che finirà allo stesso modo a Bari per l’inchiesta sulle «escort» («C’est la vie», prova a sdrammatizzare un personaggio dell’entourage, «anzi c’est Lavitola...»).
 
 

A credere che il Cavaliere possa ancora scansare l’arresto è rimasto, praticamente, uno solo: il professor Franco Coppi che, insieme con l’avvocato Niccolò Ghedini (molto meno speranzoso di lui), ha presentato giorni fa il ricorso in Cassazione avverso la sentenza Mediaset, quella che ha condannato Berlusconi a 4 anni più pene accessorie per frode fiscale. Il verdetto della Suprema Corte è atteso in autunno, e la politica italiana lo attende col fiato sospeso. Nei Palazzi nessuno si illude che il governo e la XVII legislatura resisterebbero indenni a una condanna dell’ex-premier. Eppure, fatto singolare, nessun riflettore si è acceso sulle 359 pagine vergate dai due legali, cioè sull’extrema ratio difensiva di Berlusconi, dove si argomentano ben 49 motivi per cui il processo Mediaset di appello dovrebbe essere cassato, e precisamente: 23 cause di nullità, più 26 violazioni di legge. Qui si coglie lo stile inconfondibile di Coppi: sempre in punta di diritto, con il tono di chi sta tenendo un corso magistrale di diritto processuale, elenca (per restare sui numeri) 31 articoli, dicasi trentuno, del Codice di procedura penale a suo avviso calpestati nell’arco del giudizio di appello che non sarebbe nemmeno dovuto incominciare per «incompetenza funzionale»...

 

Il piatto forte della difesa? Ancora una volta, i legittimi impedimenti negati dalla corte milanese. Non solo quello appena bocciato dalla Consulta, ma altri non meno celebri: quando Berlusconi si mise a compilare le liste elettorali proprio nel giorno dell’udienza, e quando finì in ospedale per uveite (la privacy vieta di riferire le varie patologie visive riscontrate al paziente, e comunque il lettore non vi troverebbe nulla di così gradevole). Non si contano le bacchettate procedurali: dal sistematico «fraintendimento» dei testimoni al «travisamento» delle prove, alla mancata acquisizione degli atti del processo gemello, in cui Berlusconi fu assolto. Chi dimenticasse per un attimo la fonte del documento (gli avvocati difensori del Cavaliere) trarrebbe l’impressione che i magistrati abbiano fatto, come si dice a Oxford, carne di porco delle regole, combinando la qualunque pur di mettere fuori gioco il leader del centrodestra. Ma a Coppi e a Ghedini sarebbe sufficiente che la Cassazione desse loro retta su un punto, uno soltanto, per rovesciare i pronostici e tirare miracolosamente in salvo il loro imputato...

da - http://lastampa.it/2013/07/05/italia/politica/mediaset-la-difesa-di-coppi-calpestato-il-codice-FjqDk0cTw3kxKv2mJj61aP/pagina.html
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« Risposta #273 inserito:: Luglio 11, 2013, 10:44:57 am »

Politica
10/07/2013

Cassazione, venti giorni al responso

E il Pdl pensa a una risposta-choc

Di fronte alla possibile liquidazione del leader, il centrodestra non potrà mandare avanti il governo come se nulla fosse successo

Ugo Magri


I tempi della politica si sono improvvisamente ristretti. Fino a ieri sembrava che l’ora della verità, coincidente con la sentenza della Cassazione sul Cavaliere, appartenesse a un futuro incerto collocabile tra fine settembre e gennaio 2014: troppo in là nel tempo per condizionare le tattiche dei partiti. Adesso invece sappiamo che al verdetto finale mancano appena 20 giorni. Che il peso della decisione graverà su magistrati scelti in base ai turni delle ferie estive, dunque con un altissimo tasso di imprevedibilità. Che in caso di condanna di Berlusconi la reazione del centrodestra si annuncia distruttiva. Che il governo sarebbe, inevitabilmente, la prima vittima.

La ragione dello sconquasso inevitabile si chiama «istinto di sopravvivenza». Gli esponenti del Pdl sono tutti concordi (senza distinzione tra «falchi» e «colombe») che, senza una replica forte, fortissima, saranno spazzati via. Di fronte alla liquidazione del loro leader, tuttora capace di coagulare un elettorato che supera il 30 per cento, non potranno mandare avanti maggioranza e governo come se nulla fosse successo. Dal loro punto di vista, qualche forma di protesta eclatante sarà inevitabile. Non hanno ben chiaro cosa, ma quel qualcosa dovrà risultare clamoroso agli occhi del Paese. L’ipotesi più accreditata consiste al momento nelle dimissioni di massa dei deputati e dei senatori Pdl con l’obiettivo di rendere inevitabili nuove elezioni, perfino nel caso in cui dovessero perderle... Una reazione politicamente insensata, dettata appunto dagli istinti più che dal cervello, ma proprio per questo disperata e temibile. Perso per perso, venderanno cara la pelle.

Venti giorni, dunque, e sapremo se alle disgrazie di questo sventurato Paese (ci mancava il downgrade di S&P...) si aggiungerà pure la fine tumultuosa dell’unico punto di equilibrio politico imposto neppure tre mesi fa da Giorgio Napolitano. Unica certezza: Il primo presidente della Cassazione, contro cui si scatena l’ira del Pdl per la decisione di affrettare i tempi, se l’era scelto ai primi di maggio il centrodestra dopo uno scontro molto duro al Csm. Santacroce tutto può essere definito, tranne che una «toga rossa»... 


da - http://lastampa.it/2013/07/10/italia/politica/cassazione-venti-giorni-al-responso-e-il-pdl-pensa-a-una-rispostachoc-2JSltg9Nm5EhN31PotSkdO/pagina.html
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« Risposta #274 inserito:: Luglio 12, 2013, 07:39:40 pm »

Politica
11/07/2013

Berlusconi ai suoi: “Avanti piano”

Nella riunione notturna a Palazzo Grazioli il Cavaliere ha invitato i suoi a protestare, ma senza esagerare con i toni: «Non è il momento di far saltare il banco»

Ugo Magri
Roma

Nella riunione notturna a Palazzo Grazioli, presenti i personaggi più in vista del partito, Berlusconi ha detto espressamente di protestare pure, la mobilitazione a suo sostegno non gli dispiace. Però senza esagerare nei toni contro i giudici che dovranno pronunciarsi su di lui (la cosiddetta «linea Coppi», ispirata dal principe del foro che lo difende davanti alla Cassazione). E comunque, ha specificato, «lasciate fuori il governo dalla polemica». Il Cavaliere chiede espressamente ai suoi di evitare in questa fase atti o gesti che possano configurarsi come attentati alla stabilità politica. Quando qualche partecipante particolarmente «falco» ha provato ad argomentare la tesi che è il momento giusto per far saltare il banco, l’ex premier l’ha interrotto: «No, non è il caso». Concetti che Berlusconi ribadirà nel pomeriggio, durante la riunione dell’Ufficio di presidenza Pdl.

da - http://lastampa.it/2013/07/11/italia/politica/berlusconi-ai-suoi-avanti-piano-8EyDuIagtNDCBA2kaRPu0J/pagina.html
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« Risposta #275 inserito:: Luglio 13, 2013, 10:41:42 am »

Cronache
13/07/2013

Il Cavaliere ai suoi “Una condanna non significa crisi”

Anche l’interdizione non gli precluderebbe un futuro

Ugo Magri
Roma

Nel giro stretto berlusconiano sono in pochi a illudersi che il 30 luglio la Cassazione salverà il Cavaliere. Un po’ perché, sospirano ad Arcore, dargli ragione significherebbe sconfessare in blocco tutti i suoi accusatori, dalla Procura milanese ai tribunali che l’hanno condannato: e solo dei kamikaze oserebbero tanto. Ma soprattutto, aggiungono, la «sezione feriale» della Suprema Corte non è affatto ben disposta nei confronti dell’imputato. I suoi componenti sono stati passati ai «raggi x». E’ saltato fuori, ad esempio, che il presidente Esposito ha effettivamente un figlio che fu amico della Minetti; però questo sarà un motivo in più per mostrarsi inflessibile nei confronti di Silvio. E comunque, già in passato Esposito fu super-severo nei confronti di Berruti, vecchio amico e sodale del Cav, per giunta su una questione di diritti televisivi parecchio simile a quella di cui si sta discutendo. Di un altro componente del collegio sono emerse le simpatie a sinistra; di un altro ancora suscita sospetti il passato da giudice del lavoro... La strada degli avvocati Coppi e Ghedini sembra molto in salita. I due legali valuteranno se battersi o meno per un rinvio a settembre del giudizio, ma non sono così persuasi che ne valga la pena. Perfino i muri di Villa San Martino trasudano pessimismo...

 

Dobbiamo perciò attenderci il 31 luglio un cataclisma politico? La condanna (se tale effettivamente sarà) comporterà la caduta automatica del governo Letta? Qualche giorno fa l’esito sembrava ineluttabile, quasi il riflesso condizionato di un centrodestra dove i «falchi» la fanno da padroni. Adesso, invece, Berlusconi lancia segnali rassicuranti, come se la parola «crisi» non appartenesse al suo lessico. E personaggi che hanno trascorso ore con lui, a soppesare gli scenari possibili, garantiscono: nulla ha veramente deciso. Anzi, se la bilancia pende da una parte, è nel senso di permettere che il governo passi quantomeno l’estate. Per una somma di ragioni. Primo, non si tornerebbe comunque alle urne, Napolitano pretenderebbe una nuova legge elettorale al posto del Porcellum. E se il Pdl si chiamasse fuori, nascerebbe un esecutivo esposto ai venti grillini. Durerebbe quanto basta per causare danni terrificanti alle tivù del Biscione (già i Cinque Stelle contestano le concessioni). E magari ne verrebbe fuori un sistema elettorale che Berlusconi vede come il fumo negli occhi, tipo doppio turno alla francese o Mattarellum. Restando invece al governo, non dovrebbe temere sorprese.

 

L’altro motivo di cautela riguarda i sondaggi. Enrico Letta è popolare, il suo governo pure. Facendolo ruzzolare come effetto immediato della condanna, Silvio darebbe l’impressione di anteporre i fatti suoi agli interessi dell’Italia. Sarebbe il modo più sicuro per uscire di scena. Invece Berlusconi intende restarci a lungo, anche senza seggio al Senato (nemmeno Grillo ce l’ha). È convinto che i quattro anni di carcere, più interdizione dai pubblici uffici, non gli precluderebbero un ruolo futuro. Tre anni sono stati cancellati già dall’indulto, quello restante non lo porterebbe in nessun caso dietro le sbarre per effetto dell’art.656 cpp. Al massimo, dovrebbe scontare i domiciliari; più probabile un affidamento ai servizi sociali che, per quanto possa risultare grottesco, lascerebbe l’ex-premier libero di far politica...

 

Insomma, la reazione del Cavaliere è tutt’altro che scontata. Non a caso Napolitano, a quanti si recano in visita sul Colle, suggerisce il massimo della prudenza. «Tranquillizzare Berlusconi» è la parola d’ordine che risuona nelle più alte sfere della Repubblica.

da - http://lastampa.it/2013/07/13/italia/cronache/il-cavaliere-ai-suoi-una-condanna-non-significa-crisi-3gNF13VDSF7LbLQdAHkW9I/pagina.html
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« Risposta #276 inserito:: Agosto 09, 2013, 04:48:16 pm »

POLITICA
09/08/2013 - RIFORME. I PRIMI PASSI

Iter d’urgenza per l’addio al Porcellum


Accelerazione anche al Senato. Letta: se si vota ora, bis delle larghe intese.

Quagliariello: niente urne fino a dicembre

UGO MAGRI
ROMA

Tornare alle urne è l’ossessione dei «falchi berlusconiani». Ma la voglia di rimandarci a votare lievita pure dentro il Pd. Per cui il destino della legislatura sarebbe forse segnato, se non fosse per un paio di piccoli particolari. Il primo l’ha ricordato il premier Letta nella direzione del suo partito: se cadesse il governo, si tornerebbe a votare di nuovo con il «Porcellum», con la conseguente «necessità di nuovo delle larghe intese», dunque una fatica inutile. 
 
L’altro dettaglio, per così dire, l’ha messo in luce il ministro Quagliariello: «Non si possono sciogliere le Camere prima che il 3 dicembre la Corte Costituzionale si sia pronunciata sulla legittimità della legge elettorale». Concetto espresso su Radio2 e puntualizzato in una nota il cui succo è: se la Consulta, «come è probabile», dovesse dichiarare incostituzionale il «Porcellum», un eventuale scioglimento delle Camere rischierebbe di farci votare con una legge che verrebbe dichiarata illegittima «ancora prima che il nuovo Parlamento si sia insediato». La Repubblica piomberebbe nel caos politico e istituzionale. Non a caso Napolitano stavolta davvero pretende che, prima di immaginare qualunque sbocco elettorale, i partiti provvedano ad aggiustare la legge vigente. Piuttosto che sciogliere le Camere in queste condizioni, il Presidente è pronto a dimettersi, e l’ha fatto presente a chi di dovere...
 
Non è tutto. Nel caso in cui la Corte dovesse bocciare il «Porcellum», pure l’attuale Parlamento verrebbe messo in mora in quanto deputati e senatori (compresi quelli a Cinque Stelle) sono stati tutti quanti eletti con un sistema che verrebbe dichiarato incostituzionale... L’unica maniera per scongiurare tutto ciò, secondo la visione quirinalizia (nonché dello stesso Quagliariello), è sanare la situazione il più presto possibile, comunque prima del 3 dicembre, approvando una nuova legge elettorale a prova di Consulta. A tal proposito, la giornata di ieri registra una svolta incoraggiante: il Senato si occuperà della questione con procedura di urgenza. La decisione è stata presa all’unanimità dalla Commissione Affari costituzionali, presidente Anna Finocchiaro. È stato anche statuito l’«incardinamento» della riforma nell’Aula di Palazzo Madama, dove dunque si affaccerà dopo le ferie. Già la Camera si era affrettata a fare lo stesso, per cui Grasso e Boldrini saranno costretti a vedersi per decidere chi se ne occuperà in prima battuta, insomma le solite questioni di precedenza.
 
Nel merito, che riforma va maturando? Tanto nel Pd quanto nel Pdl trova consensi l’ipotesi avanzata nei giorni scorsi da Violante: un sistema proporzionale con soglia di sbarramento al 5 per cento, accompagnato da un «premio» di maggioranza che verrebbe assegnato tramite ballottaggio tra i due candidati premier più votati. Commenta fiducioso il costituzionalista Ceccanti: «È un sistema, forse l’unico, capace di salvarci dal gorgo dell’ingovernabilità».

da - http://www.lastampa.it/2013/08/09/italia/politica/iter-durgenza-per-laddio-al-porcellum-juFVGKebv1JMR20tAFpjwJ/pagina.html
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« Risposta #277 inserito:: Agosto 13, 2013, 12:03:43 pm »

politica
13/08/2013 - retroscena

E oggi Napolitano chiarirà le sue intenzioni sulla grazia al Cavaliere

Continua l’offensiva di comunicazione per il ritorno di Forza Italia. Il giorno di ferragosto decine di striscioni pro-Cav voleranno sopra le spiagge di mezza Italia

La solitudine di un Berlusconi pessimista: “In questi anni io mai aiutato”

Ugo Magri
Roma


Il Capo dello Stato chiarirà «ad horas» le sue intenzioni in materia di grazia a Berlusconi: se sarebbe disposto a firmare un atto di clemenza, in che termini, a quali condizioni. Il responso presidenziale sarà ampio, motivato e soprattutto trasparente com’è nello stile di Napolitano.

 

E proprio per non farsi cogliere alla sprovvista, il Cavaliere ha trascorso la giornata di ieri ad Arcore, chiuso con i suoi consulenti legali. Un elicottero è andato appositamente a prelevare l’avvocato Coppi a San Benedetto del Tronto, dove il principe del foro ha speso qualche spicciolo di ferie. Insieme con lui, con Ghedini e con Letta (Gianni), Berlusconi ha passato in rassegna tutte le ipotesi. E chi l’ha sentito sul far della sera lo descrive molto giù, parecchio depresso. Si è reso conto che la grazia, pure nel caso in cui gli venisse concessa, non sarebbe il toccasana per i suoi guai. Per dirne una, non impedirebbe al Pd di cacciarlo dal Senato in base alla legge Severino. E da quel preciso momento, che secondo gli addetti ai lavori cadrà ai primi di ottobre, qualunque Procura della Repubblica, anche periferica, potrebbe mettere in manette il leader del centrodestra, spogliato da ogni scudo parlamentare.

 

Non è tutto. Per ottenere la grazia, gli toccherebbe chiederla lui personalmente. Forse non basterebbe neppure una domanda dei suoi avvocati. In pratica, Berlusconi dovrebbe calarsi fino in fondo nei panni del condannato, accettare la sentenza che lo trasforma in pregiudicato, iniziare a scontare la pena e sperare nella benevolenza del Colle. Il suo dubbio, espresso con chiarezza nel lungo rendez-vous con gli avvocati, è che ne valga davvero la pena: dovrebbe mortificare il suo megalomane orgoglio con un atto di contrizione, e abbandonare mestamente il palcoscenico della politica calcato per quasi 20 anni. Tutto questo per non trascorrere un anno agli arresti domiciliari oppure in affidamento ai servizi sociali (cioè, in pratica, a piede libero). Anzi, come è emerso nella riunione, la pena residua sarebbe di soli nove mesi, essendo già abbuonati 90 giorni dalla legge svuota-carceri...

 

Insomma, non è affatto certo che Berlusconi intenda sollecitare la grazia. Per quanto Coppi e Letta insistano con molta energia, il Cav è lungi dall’avere preso la decisione. Aspetta di sentire quanto dirà Napolitano, dal quale in verità (stando a certe confidenze di «amazzoni» che «chez» Silvio sono di casa) non si aspetta granché, anzi praticamente nulla di buono. «Mai una volta che mi siano venuti incontro», è il suo lamento, «perché dal Colle dovrebbero scomodarsi adesso? Non lo credo davvero possibile». Diverso sarebbe se Napolitano avesse la forza di garantirgli la cosiddetta «agibilità politica», vale a dire lo scranno in Senato: ma qui siamo nel regno della fantascienza. 

 

Per cui le ultime da Arcore, dove è stata accolta a cena Daniela Santanché per parlare della Convention di Forza Italia a settembre, raccontano un Berlusconi più «falco» degli stessi «falchi», molto orientato a vendere cara la pelle, per nulla disposto a tirarsi da parte, nemmeno se si trattasse di cedere il posto alla figlia Marina: «Non voglio che entri in politica», sostiene, «perché le farebbero passare gli stessi guai che sono toccati a me». Qualche consigliere di Arcore non è certo al 100 per cento che il governo collasserà a ottobre, quando Silvio verrà espulso dal Senato per mano dei Democratici. «Quale sarebbe il suo interesse a provocare il caos?», è la domanda in sospeso. 

 

Ma si tratta di mosche bianche. La previsione quasi unanime è che la crisi di governo sarà inevitabile, e la Repubblica vivrà momenti di grave sbandamento. A meno che Napolitano, con un colpo d’ala imprevedibile, non risparmi all’Italia questo destino.

da - http://lastampa.it/2013/08/13/italia/politica/e-oggi-napolitano-chiarir-le-sue-intenzioni-sulla-grazia-al-cavaliere-JDHaZ62mp2GPqoKpjAt67K/pagina.html
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« Risposta #278 inserito:: Agosto 14, 2013, 11:19:40 pm »

POLITICA
14/08/2013

Il Cavaliere incassa: moderata soddisfazione per gli spiragli positivi

Summit ad Arcore con avvocati e direttori Mediaset.

L’impegno a un esame «obiettivo e rigoroso» viene considerato un successo

UGO MAGRI
ROMA

Che dal Capo dello Stato Berlusconi si aspettasse di più e di meglio, questo è fuori discussione. Gianni Letta, in costante contatto con il Colle, fin dalla mattina gli aveva fatto pregustare grandi novità, un’apertura importantissima, una dichiarazione presidenziale «ottima», quasi
un’indulgenza plenaria... Ma Napolitano non è il Papa, dunque la speranza del Cavaliere era palesemente mal riposta.
 
Pur con questa riserva mentale tipica del personaggio, il leader Pdl viene descritto a sera dai fedelissimi come «moderatamente soddisfatto».
Tutt’altro che turbato dalla lunga nota quirinalizia, della quale semmai vuole approfondire con calma i vari risvolti. Per questo motivo non l’ha ancora commentata pubblicamente, spiega il portavoce Bonaiuti, delegando il compito a pochi altri esponenti autorizzati, da Gasparri alla Gelmini. Questo suo silenzio va interpretato (aggiungono dalle parti di Arcore) come una manifestazione di sostanziale gradimento, nonché come una forma di grato ossequio nei confronti del Colle.
 
Silvio non l’ha presa male perché si fida di quanto gli hanno assicurato Gianni Letta e l’avvocato Coppi (dello stesso avviso anche Ghedini, peraltro descritto come un filo meno entusiasta). Il team legale riunito a sera nel salotto di Villa San Martino, dove qualche ora prima si erano adunati i direttori delle testate Mediaset, scorge nelle parole di Napolitano un doppio positivo spiraglio. Il primo lo individua in quel passo della nota quirinalizia dove viene specificato che toccherà a Berlusconi e al Pdl decidere «circa l’ulteriore svolgimento, nei modi che risulteranno legittimamente possibili, della funzione di guida finora a lui attribuita». In pratica, sarà Berlusconi medesimo a decidere del proprio futuro di leader braccato dalla giustizia. Nessuno lo spingerà a forza fuori dalla politica: circostanza che rappresenterebbe la prima vittoria politica delle «colombe» governative guidate da Gianni Letta (ieri molto attivo nella sua veste di ambasciatore accreditato presso il Quirinale). L’altro pertugio, nel quale Berlusconi spera di infilarsi, consiste nella promessa di «un esame obiettivo e rigoroso» della domanda di grazia, qualora fosse presentata. E tutti gli indizi, comprese certe confidenze del diretto interessato, fanno ritenere che al momento opportuno il Cavaliere presenterà senza esitare la richiesta di clemenza. O quantomeno, la farà avanzare da qualche figura politica a lui molto vicina (c’è il precedente del direttore del «Giornale» Sallusti, la cui grazia venne sollecitata da La Russa), guardandosi bene dal dire orgogliosamente «non sono d’accordo».
 
Fin da subito, aggiungono fonti legali molto bene informate, Berlusconi rispetterà i dettami del Presidente, che esige in cambio la fine della guerra ai magistrati, l’accettazione umile della sentenza, l’espiazione della pena o, quantomeno, di qualche mese in affidamento ai servizi sociali. Non è tutto. Dovrà garantire un sostegno totale e convinto al governo, senza più minaccia di elezioni anticipate né sull’Imu né sul resto.
Al voto si tornerà come e quando lo deciderà Napolitano, di sicuro non nell’autunno. Il Pdl dovrà remare sodo. Solo a queste condizioni potrà sperare, tra qualche mese, di riottenere la cosiddetta «agibilità politica» del suo leader tramite la cancellazione della pena principale e il diritto di ricandidarlo alle prossime elezioni...
 
Il vero punto interrogativo ora è: riuscirà l’uomo a mortificare la propria natura, a fare atto di contrizione, riciclarsi come un condannato modello e a chiudere in gabbia i suoi «falchi» più scatenati? Oppure, come spesso gli accade, già oggi Berlusconi cambierà idea e scatenerà lo scontro finale (come gli suggeriscono gli irriducibili Verdini e Santanché)? Ogni giorno, allarga le braccia chi gli sta accanto, ha la sua pena, sul domani nessuno può mettere la mano sul fuoco: «Ma per il momento ha deciso che vuole fidarsi di Napolitano. E siccome ha dimostrato di fare bene i propri interessi, si vede che avrà i suoi buoni motivi».

DA - http://www.lastampa.it/2013/08/14/italia/politica/il-cavaliere-incassa-moderata-soddisfazione-per-gli-spiragli-positivi-WXKgBiBEPrcTobEnleiMmI/pagina.html
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« Risposta #279 inserito:: Agosto 19, 2013, 07:34:25 pm »

politica
18/08/2013

Berlusconi pronto allo scontro finale

Un ministro Pdl: “Se il Pd vota la decadenza, addio alleanza”.

Ma ad Arcore si spera ancora in Napolitano

Ugo Magri
Roma


Agli occhi di Berlusconi, il governo è già virtualmente caduto. Dai discorsi che faceva ieri in privato, e puntualmente filtrati all’esterno, la crisi sembra ineluttabile, forse pure nuove elezioni. Questione di settimane. Se il 9 settembre il Pd voterà in Giunta al Senato per cacciarlo dal Parlamento, entro pochi minuti i ministri Pdl rassegneranno le dimissioni perché, confida uno di loro, «perfino se Berlusconi non ce lo chiedesse, mai potremmo restare al fianco di chi avrà sancito la decadenza del nostro leader». 

 

Il Cavaliere è arci-convinto che l’esito sia scolpito nel marmo, che né i Democratici né Napolitano faranno nulla per scongiurare l’ineluttabile, anzi. Considera una pia illusione la speranza, coltivata tra le «colombe» del suo partito, di strappare al Pd almeno una dilazione. Si va convincendo che, se scontro finale dovrà essere, meglio affrontarlo subito con l’animo determinato di chi non ha più nulla da perdere, neppure la libertà personale. Per cui in queste ore, vissute nel centrodestra con un senso di crescente sfiducia nel Capo dello Stato, nel premier «che se ne lava le mani» e nelle larghe intese, il barometro politico volge decisamente al peggio. Berlusconi è più «falco» dei suoi «falchi».

 

C’è chi, come il presidente di Mediaset Confalonieri, ancora spera che Silvio si fermi un attimo prima del patatrac. Ma nel gruppo dirigente Pdl non c’è uno cui sfugga la gravità della situazione. È tutto un tambureggiare di altolà, un martellamento di ultimatum, confusamente rivolti al Pd, al Capo dello Stato o a entrambi. Capezzone: «Tutti sono chiamati a trovare una soluzione». Bondi: «Deve arrivare prima che si pronunci la Giunta, altrimenti sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, continuare a sostenere questo governo». Osvaldo Napoli: «Se il Pd continua ad arrovellarsi su come far fuori Berlusconi, si accorgerà che dovrà prima far fuori il governo». Cicchitto: «Per tenere in piedi il governo occorrono spirito costruttivo e volontà di mediazione, cioè l’opposto di quanto mostrano alcuni esponenti del Pd, da Zanda alla Bindi».

 

La via d’uscita non c’è, eppure si vorrebbe che qualcuno la trovi. Lo stesso Berlusconi, secondo chi l’ha sentito, è vittima di una certa confusione. Da una parte manifesta sfiducia verso Napolitano, «non mi darà mai una mano»; dall’altra gradirebbe che fosse proprio il Presidente a tirarlo fuori dai guai giudiziari. E ciò sebbene risulti chiaro ai suoi avvocati (ieri Ghedini era inchiodato al lavoro) che il Quirinale nulla può. Neppure una grazia tanto generosa quanto immediata eviterebbe al Cavaliere la decadenza da senatore, in base alla legge Severino, con conseguente rischio di arresto su mandato di qualche Procura. Per restare in Parlamento, a Berlusconi servirebbe disinnescare la legge con l’aiuto (o la complicità) del Pd. Sa benissimo che non avrà né questa né quello. Dunque si prepara a vendere cara la pelle.

 

Pare crollata anche l’ultima diga capace di trattenere l’ira del Cavaliere: cioè la paura che dopo Letta non si torni immediatamente alle urne. E invece di sciogliere il Parlamento, Napolitano riesca a mettere in piedi un altro governo finalizzato a colpire il Pdl (riforma elettorale tipo Mattarellum) e le aziende del Biscione (legge sul conflitto d’interessi, tetti alla pubblicità televisiva). «Ci provassero», è la sfida lanciata da Arcore. Dove hanno fatto i loro conti, non credono che in Senato quel governo avrà mai i numeri. E pure se li trovasse, vivrebbe di vita effimera, un ottimo punching-ball per la campagna elettorale della destra.

da - http://lastampa.it/2013/08/18/italia/politica/berlusconi-pronto-allo-scontro-finale-LP4pfUUrqRwq3rHQkFLrWL/pagina.html
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« Risposta #280 inserito:: Agosto 21, 2013, 07:27:44 pm »

Politica
20/08/2013 - retroscena

Il sogno del Cavaliere: un grande bagno elettorale per la sfida decisiva

Ma Confalonieri e Doris temono contraccolpi negativi sulle aziende

Ugo Magri
ROMA


Additata dai compagni di partito come colei che aizza il Cavaliere, ne vellica gli istinti più bellicosi, e forte della sua protezione si permette di dettare la linea agli stessi ministri, Daniela Santanchè è nella realtà una moderata prudente educata interprete di quanto va uscendo dalla bocca di Silvio. 

 

Silvio, col quale, ormai, la «Pitonessa» vive in simbiosi. Quando lei definisce la nota di Napolitano sulla grazia come «irricevibile, qualcosa che dall’arbitro istituzionale non mi sarei mai aspettata», si tratta di una rappresentazione (per quanto poco riguardosa sul piano istituzionale) ancora parecchio «chic» del pensiero berlusconiano. 

 

L’uomo rimane politicamente inavvicinabile. Asserragliato nel bunker di Arcore tra le zanzare, in seduta permanente con gli avvocati, quando forse due passi nella villa in Sardegna avrebbero fatto bene al suo spirito. Offeso con il Capo dello Stato, che si è guardato bene dal dichiararlo vittima dell’ingiustizia. Determinato a riabilitarsi da sé, attraverso un bagno elettorale, se non vi provvederanno di corsa le istituzioni. Dunque sempre decisissimo a sfilarsi dalla maggioranza, dal governo, da tutto, qualora il 9 settembre la Giunta delle elezioni al Senato ne chiedesse la decadenza.

 

Visto il tono pessimo dell’umore, rotto solo da qualche imitazione in accento partenopeo del giudice Esposito che l’ha condannato, figurarsi con quanto scetticismo Berlusconi osservi l’agitazione di queste ore tra le cosiddette «colombe» Pdl. Le quali di colpo si sono rese conto che il loro leader non scherza, anzi fa disperatamente sul serio. Per cui escono allo scoperto nel tentativo di scongiurare un patatrac. Accusano i «falchi» di puntare al martirio giudiziario di Berlusconi, laddove loro viceversa vorrebbero salvarlo. Invocano un passo ulteriore di Napolitano, uno sforzo in più del Quirinale (sebbene gli stessi avvocati del Cavaliere privatamente riconoscano come il Colle nulla può al fine di impedire la decadenza di Berlusconi e la sua ineleggibilità). Chiedono al Pd di non precipitare l’Italia nel caos della crisi se non dopo averci ben riflettuto per tutto il tempo necessario. 

 

La novità di queste ore è proprio il tentativo di stoppare le lancette dell’orologio, di imporre un «time out» che consenta a tutti di recuperare un briciolo di lucidità. In prima fila si segnalano la Gelmini e Cicchitto, Donato Bruno e lo stesso Schifani, fin qui sempre collocato a mezza via tra i «duri» e i «dialoganti». L’appiglio è quello offerto da alcune voci autorevoli del diritto come Capotosti, che nella legge Severino scorge «criticità» censurabili sul piano costituzionale. Secondo il presidente dei senatori Pdl, non sarebbe un’eresia chiedere che si pronunci preventivamente la Corte Costituzionale. E comunque, nessun verdetto su Berlusconi senza prima avere letto perlomeno le motivazioni della condanna, ascoltato il parere del relatore in Giunta, se necessario l’autodifesa dello stesso imputato... Tutto va bene, pur di guadagnare tempo.

 

Ciò che non risulta ben chiaro al Cavaliere è cosa serva posticipare. Se fosse una strada per rimetterlo in gioco, magari tramite un «salvacondotto» presidenziale di cui nessuno vede al momento i presupposti, chiaro che la sinistra non ci starebbe. Lo stesso Berlusconi, con il giusto realismo, ci spera poco o punto. Lupi gli ha riferito al telefono delle sue conversazioni con il premier, a margine del Meeting ciellino a Rimini, senza peraltro convincerlo che un rinvio della Giunta sarebbe risolutivo. «Avrebbe soltanto l'effetto di prolungare l’agonia, di farci prendere in giro una volta di più», pare sia il netto pensiero berlusconiano a riguardo. Per il momento lascia fare, convintissimo però che il tentativo estremo di mediazione «non andrà da nessuna parte e costituirà la prova finale della malafede Pd».

 

Destino segnato per il governo, dunque? Tutto farebbe ritenere di sì. A meno che, un attimo prima dell’irreparabile, Berlusconi non abbia un ripensamento. Magari sollecitato da quanti, come Ennio Doris e Fedele Confalonieri, metteranno sul piatto della bilancia l’interesse delle sue aziende. Che prosperano quando l’Italia va bene, e affondano se qualcuno la trascina nel caos. 

da - http://lastampa.it/2013/08/20/italia/politica/il-sogno-del-cavaliere-un-grande-bagno-elettorale-per-la-sfida-decisiva-Eixen5nqK0JWz9rslxe5jM/pagina.html
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« Risposta #281 inserito:: Agosto 23, 2013, 11:47:04 pm »

Politica
23/08/2013 - Il vertice ad Arcore

Berlusconi rifiuta il salvagente del rinvio e insiste: meglio le urne

L’analisi di Magri: “Ancora tempesta tra Pd e Pdl”

Ieri è tornata l’idea di far dimettere tutti i parlamentari

Ugo Magri
Roma

Le squadre di soccorso che tentano di salvare Berlusconi hanno un problema: Silvio non desidera affatto essere tirato a riva.
Anzi, respinge quasi con rabbia il salvagente lanciato dalle «colombe» (e da certi ambienti vicini al premier) che stanno cercando di rinviare la sua decadenza da senatore, purché lui rinunci a far saltare il governo. 

L’obiettivo del Cavaliere è invece proprio quello di provocare la crisi e di tornare alle urne il più presto possibile, senza perdere altro tempo. Questa frenesia ha una spiegazione. Prima incomincerà la campagna elettorale, e più a lungo Berlusconi vi potrà partecipare a piede libero; dopo il 15 ottobre, invece, penderà sul suo capo la condanna a un anno di carcere (nove mesi effettivi da scontare), per cui un ritardo delle urne lo costringerebbe a guardarsi gli ultimi comizi dalla televisione. Poi c’è un altro calcolo che spinge l’uomo a stringere i tempi della crisi: da novembre gli scatteranno come una tagliola le pene accessorie, tra cui l’interdizione dai pubblici uffici. Se vorrà ricandidarsi al Parlamento, dovrà averlo fatto prima. Ma non c’è già la legge Severino che lo rende incandidabile? Già, rispondono dalle parti di Arcore, ma contro quella si può sempre fare ricorso al Tar e tenere viva quantomeno la speranza...

Insomma, chi ha sentito ieri Berlusconi l’ha trovato incrollabile. Per scatenare la crisi, prenderà pretesto dalla decisione della Giunta, che il 9 settembre voterà la sua cacciata (sebbene Verdini gli abbia promesso di far cambiare idea a 3-4 commissari Pd). Qualche esponente Pd vicino a Letta, come Sanna, sostiene che Berlusconi dovrebbe decadere da senatore, ma che la Giunta potrebbe ascoltare le sue ragioni a patto che lui si presenti a illustrarle con serietà. Peccato che il Cavaliere, di recarsi in Giunta, non ci pensi nemmeno. La grazia sembra non interessargli, a meno che si tratti di «un risarcimento per quello che i magistrati mi hanno fatto passare»: ipotesi del tutto fantascientifica.

Alfano è andato a fargli visita e a riferirgli che il 30 agosto l’Imu verrà cancellata: «A quel punto come giustificheremmo la crisi?». Sottinteso: ci prenderebbero per matti. Ma Berlusconi non si scompone. È assai soddisfatto dell’apologo, sfoderato in un’intervista a «Tempi», con cui conta di spiegare al volgo la rottura col Pd: «Se due amici sono in barca e uno dei due butta l’altro a mare, di chi è la colpa se poi la barca sbanda?».
Tra l’altro Letta (il nipote, non zio Gianni) lo convince sempre meno. Ai suoi occhi è in forte disgrazia. Capezzone, Verdini e la Santanchè gli hanno insinuato il sospetto che Enrico voglia guadagnarsi la «nomination» del Pd soffiandola a Renzi, quindi potrebbe ritrovarselo come avversario, dunque basta sostenerlo.

Il dado sembra tratto. E quanti tra i suoi strateghi l’hanno esortato a fare bene i conti con Napolitano, il quale mai scioglierebbe le Camere senza una riforma preventiva del Porcellum, si sono sentiti rispondere così: «Se il Quirinale resisterà, i parlamentari Pdl si dimetteranno in massa, e a quel punto il Capo dello Stato non potrà non prenderne atto...». Gasparri l’aveva teorizzato già mesi addietro. E certi senatori, come Minzolini, quella lettera di dimissioni ce l’hanno già pronta in tasca. Grande soddisfazione hanno suscitato, specie tra i «falchi», le esternazioni di Grillo, lanciatissimo verso le urne. Si sussurra nel Pdl di contatti riservati coi Cinque Stelle per spianare il terreno delle elezioni, si vocifera di un Casaleggio ansioso di godersi lo scontro apocalittico di cui saranno protagonisti Berlusconi e Grillo, il mago delle tivù contro il genio della rete.

da - http://lastampa.it/2013/08/23/italia/politica/ma-berlusconi-rifiuta-il-salvagente-del-rinvio-e-insiste-meglio-le-urne-oGFe0u0ef3Nh5Oi5kREZ7M/pagina.html
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« Risposta #282 inserito:: Agosto 25, 2013, 05:04:08 pm »

politica
25/08/2013

Il Cavaliere sfida Napolitano

“L’ho ascoltato, ma non ho avuto nulla in cambio. E poi bacchetta le “colombe” del partito

Ugo Magri
Roma


Berlusconi spinge la sfida verso il punto di non ritorno. Si rivolge al Pd, a Letta e a Napolitano con modi così ultimativi, talmente provocatori, che sembra averli scelti apposta per farsi sbattere la porta in faccia. La crisi incombe.

Neppure è detto che il governo arrivi in carica al 9 settembre, quando la Giunta delle elezioni si pronuncerà sulla decadenza del Cavaliere. 

Le dimissioni dei ministri berlusconiani sono nell’aria. Decisiva la riunione di governo che mercoledì si occuperà dell’Imu. Il comunicato del «Gran Consiglio» Pdl tenuto ad Arcore parla chiarissimo, urgono risposte immediate, basta tergiversare... Ma quelle poche righe, suggerite dai più scalmanati, e fatte proprie da Alfano con qualche ritocco, non sono nulla a confronto di quanto è uscito tra le quattro mura dalla bocca del Cavaliere. Un attacco frontale al Capo dello Stato, da cui Silvio si sente preso bellamente in giro. «Per dare retta a lui, mi sono dimesso due anni fa da premier senza nemmeno essere stato sfiduciato. Per ascoltare Napolitano abbiamo appoggiato prima Monti e poi addirittura il governo guidato da un esponente Pd. E che cosa ne abbiamo ricavato, in cambio? Zero. Io sono stato responsabile, eppure questo senso di responsabilità non è stato ripagato con eguale moneta, anzi». Dunque, adesso basta. Qualcuno ha udito la Santanché paragonarlo a un Cristo in croce, «come lui anche tu Presidente hai voluto porgere l’altra guancia». Al che Silvio l’ha subito interrotta: «Sì, sì, io ho dato entrambe le guance, ma adesso questi da me vogliono ben altro...». E pare sia stato l’unico sprazzo giocoso in un pomeriggio da tregenda, con la pioggia a scrosci sui finestroni di Villa San Martino.

«Non ci daranno niente. Non il Pd, non Letta, non certo Napolitano», è tornato subito cupo il Cavaliere, il tono di voce teso, le labbra imbronciate. Bacchettata a tutti quanti, da Lupi a Cicchitto, da Schifani a Quagliariello, erano intervenuti nella discussione sostenendo che nulla andrebbe lasciato di intentato, pur di risparmiare all’Italia lo stress della crisi. «Sarebbe tempo perso. Non possiamo contare sul loro aiuto, pensiamo semmai a salvarci con le nostre forze», ha proseguito apocalittico Berlusconi. Vistosi cenni di assenso col capo quando la «Pitonessa» ha scandito: «Se Napolitano si dimetterà per impedirci di tornare alle urne, saranno affari suoi... Si dimetta pure, noi andremo avanti lo stesso, faremo l’opposizione». 

La grazia non è più un obiettivo, forse non lo è mai stato. Di sicuro, spiega a un certo punto l’avvocato Ghedini lasciando attonite le «colombe», l’atto di clemenza non verrebbe a capo del problema numero uno, cioè l’ineleggibilità. Quindi inutile scomodare il Presidente della Repubblica per un gesto poco produttivo. Semmai bisognerebbe mettere mano di gran corsa alla legge Severino, chiarendo che non può essere retroattiva, quello sì che aiuterebbe... «Non se ne parla proprio», ha chiuso ogni speranza Alfano, «il Pd ci dice che un intervento del genere loro non lo farebbero nemmeno morti». 

Tira le somme il segretario Pdl, il quale mai ha dato l’impressione ieri di remare controcorrente: «Siamo dinanzi a un bivio. O crediamo ancora nella trattativa, pur sapendo che le probabilità di successo sono lo zero virgola zero zero uno. Oppure andiamo senza paura alle elezioni. Se questo hai deciso, Presidente Berlusconi, sappi che siamo tutti quanti uniti e compatti con te». Alle armi, alle armi. Angelino chiederà udienza a Napolitano e poi, tempo 3-4 giorni, si tireranno le somme.

È il trionfo dei super-falchi, Verdini e Capezzone in testa. L’agibilità politica per le «colombe» si fa sempre più precaria. Segnali di intolleranza nei confronti dei «cacadubbi». Boato di insofferenza quando Brunetta ha osato dire che sull’Imu, forse, ci si potrebbe anche accordare. Interrotti con poca creanza Cicchitto e Schifani quando hanno espresso dubbi. Prima di congedarsi, la battagliera Gelmini s’è sentita soavemente apostrofare dalla Santanché: «Ormai avrete capito anche voi qual è la posizione vera di Berlusconi...». Già, impossibile non capire. Eppure, si racconta che l’uomo non fosse alla fine così baldanzoso. Forse provato dalla tensione, l’hanno visto accasciarsi affranto e disperato su una poltrona. Non esattamente il piglio del condottiero che già pregusta la vittoria. 

da - http://lastampa.it/2013/08/25/italia/politica/il-cavaliere-sfida-napolitano-87MKkIOLiRBofbzqxgAAuM/pagina.html
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« Risposta #283 inserito:: Agosto 31, 2013, 08:58:26 am »

Politica
30/08/2013 - giustizia. il caso mediaset

“Una sentenza allucinante”

Berlusconi in Tv contro i giudici: “Allucinanti”

Il Cavaliere oggi a Roma per incontrare Pannella: massimo sostegno ai referendum

Ugo Magri
Roma


Berlusconi è piombato nella notte a Roma perché in giornata conta di vedere Pannella. Non solo il leader radicale: nel giro di Arcore si ipotizzano colloqui segreti con esponenti Pd, nel tentativo di capire che cosa ne sarà del suo seggio di senatore.

 

Ma l’incontro con il leader radicale prefigura scenari politici ad alto tasso di imprevedibilità. Vorrebbe dire che il Cavaliere non crede più (o crede pochissimo) alle mediazioni, è già sicuro che la Giunta lo farà decadere dal Parlamento, dà come inevitabile la crisi di governo e dunque si prepara a sostenere in prima persona i referendum sulla giustizia messi in campo da Pannella. Che sono quanto di peggio si possa augurare la magistratura, secondo alcuni un colpo mortale al potere delle toghe (e non solo della casta più politicizzata). 

 

Una ritorsione nei confronti della Suprema Corte, che giusto ieri gli ha rovesciato addosso le motivazioni della condanna? Sì, certo, c’è anche un sentimento di vendetta, sfogato nella telefonata a «Studio Aperto» subito dopo avere letto le 208 pagine «allucinanti e fondate sul nulla». Inutilmente Letta (lo zio Gianni) e Bonaiuti hanno tentato di frenarlo: accanto al Cavaliere c’erano in quel momento i «quattro dell’Ave Maria», vale a dire Verdini, Capezzone, Bondi e la Santanché, il cui influsso si è fatto sentire sul padrone di casa.

 

Eppure la svolta referendaria, vivamente sconsigliata dagli avvocati Ghedini e Coppi, frenata nei limiti del possibile dalle «colombe» che ancora sperano nel compromesso, giudicata un fatale errore e forse definitivo di Berlusconi sul Colle più alto, non è semplicemente legge del taglione. Sottintende una sfida ancora più drammatica. Minaccia di alzare alle stelle il livello dello scontro. È come se il Cavaliere mandasse a dire a Napolitano, a Letta, al Pd: o voi mi concedete di tornare immediatamente alle urne per ricevere dal popolo una nuova legittimazione più forte delle mie condanne; oppure sappiate che presto dovrete fare i conti con cinque quesiti sulla giustizia molto ben formulati, su cui la Consulta nulla potrà obiettare, politicamente per voi devastanti, in grado di trasfigurarmi nella vittima dell’ingiustizia... 

 

Pannella, che nella sua carriera ha cavalcato tutte le tigri, perfino le più indomabili, già pregusta una campagna referendaria infuocata come ai vecchi tempi, l’Italia che si divide pro e contro, i radicali più che mai nel vivo della lotta.

 

In realtà Berlusconi, che nell’animo rivoluzionario non è, si accontenterebbe di molto meno, anche semplicemente di un rinvio «sine die» della sua decadenza da senatore. Sa che a novembre, quando scatterà l’interdizione dai pubblici uffici, dovrà lasciare comunque il Parlamento. E tuttavia non tollera di esserne cacciato dal Pd con il marchio dell’intoccabile. Per cui da una parte dice ai suoi negoziatori «se voi mi garantite il risultato, okay, procedete pure con i vostri colloqui»; dall’altra fa irruzione come è avvenuto ieri sulle sue reti e da lì minaccia l’apocalisse: «Se qualcuno pensasse di eliminare con un voto in Giunta il sottoscritto, cioè il leader del primo partito (nei suoi sondaggi, ndr), allora si sarebbe davanti a una ferita profonda della democrazia... Milioni di italiani non lo consentirebbero».

 

Nemmeno l’abolizione dell’Imu al Cavaliere basta più. Anzi, la considera con molto sospetto. Capezzone gli ha messo una pulce nell’orecchio, per cui «vigileremo», promette, «su questa service tax» in modo che non si risolva in una beffa per i proprietari di case. Inoltre ha capito che Alfano ci ha fatto una gran bella figura, però poi il conto rischia di pagarlo lui. Doppiamente. Primo, perché il Pd sconfitto sull’Imu diventerà intrattabile nella Giunta delle elezioni, quando dovrà votare sulla decadenza. Con Epifani, guarda caso, durissimo («Non c’è qualcuno più uguale degli altri, la Giunta si riunirà, valuterà le ragioni della difesa e poi deciderà»). Secondo, perché il decreto sull’Imu a Berlusconi lega le mani, gli rende più difficile causare la crisi. Se lui facesse cadere il governo, addio cancellazione dell’odiata tassa; anzi, per colpa del Pdl, gli italiani dovrebbero pagare la rata di dicembre, e pure quella di giugno. Per non parlare dell’Iva...

da - http://lastampa.it/2013/08/30/italia/politica/una-sentenza-allucinante-9OaFZRKcDC9u1SNnKyEo3J/pagina.html
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« Risposta #284 inserito:: Agosto 31, 2013, 05:15:30 pm »

Cronache
31/08/2013 - retroscena

Berlusconi sfida Letta e spiazza le “colombe”

Genova, Letta visita l’Istituto di tecnologia

La richiesta: il partito torni alla guida di Alfano.

Oggi il Cavaliere firmerà il referendum dei radicali. Pannella: «Devi scappare all’estero»

Ugo Magri
Roma


E per fortuna che, fino a mezz’ora prima, tutte le «colombe» del suo partito si erano raccomandate con lui: «Per carità, non farti sfuggire nulla che possa apparire una provocazione, evita soprattutto di apparire come l’irresponsabile che vuol far cadere il governo».

 

Il Cavaliere aveva annuito con l’aria infastidita di chi non ha certo bisogno di farselo spiegare. Ma poi, non appena Alfano Brunetta Schifani Cicchitto Gasparri e la De Girolamo sono scomparsi dalla sua vista, Berlusconi ha afferrato il telefono, s’è messo in contatto con i suoi ultrà più scalmanati (l’Esercito di Silvio guidato da Simone Furlan) e ha dichiarato tutto quanto si era appena impegnato a non dire: cioè che il governo va a casa se il 9 settembre la Giunta del Senato si azzarderà a votare la sua decadenza. Gianni Letta, disperatamente, ha cercato di spacciare al Colle e al Pd la tesi che, in fondo, Berlusconi non ha detto nulla di veramente nuovo, solo ovvietà... Nessuno gli ha dato retta. Cosicché il Cavaliere si è preso un metaforico «vaffa» pure da chi, come Franceschini, stava esplorando con Quagliariello le possibili vie d’uscita. A fronte degli ultimatum, non c’è più nulla da negoziare.

 

Ciò da un lato riduce a zero le speranze di evitare tra nove giorni uno scontro frontale e, dunque, dà ufficialmente il via alla ricerca di intese politiche meno larghe ma in grado di scongiurare nuove elezioni. Dall’altro lato, l’incontinenza verbale di Berlusconi toglie credibilità a tutti gli altri discorsi che erano stati fatti intorno al desco di Palazzo Grazioli; perché se l’umore del leader è così mutevole su scelte fondamentali, tipo precipitare o meno l’Italia nel caos, figurarsi quanto possono fidarsi Alfano e le altre «colombe» delle promesse berlusconiane. A cominciare da quella che riguarda la gestione futura del Pdl, tema cruciale dal momento che il Fondatore dovrà trascorrere 9 mesi agli arresti domiciliari, salvo affidamento ai servizi sociali. «Non puoi lasciare il partito a Verdini, e la macchina organizzativa nelle mani della Santanché», è stato il coro, «specie in caso di crisi la gestione dovrà tornare nelle mani di Angelino». Anche in questo caso, la comitiva di «colombe» ha lasciato Palazzo Grazioli nella convinzione di avere avuto partita vinta. «Non preoccupatevi», ha garantito il padrone di casa. Ma sarà vero? O si rivelerà il solito abbaglio?

 

Lo scopriremo lunedì, quando Silvio riceverà i «falchi» secondo la tecnica un tempo tipica della diplomazia britannica: incontri separati, in modo da fornire a ciascuno la versione più conveniente. Se la «Pitonessa» verrà esautorata, allora davvero Alfano potrà dedicarsi al partito. Altrimenti perdurerà l’equivoco, ipotesi per la verità molto probabile in quanto su qualunque cosa è un tiro alla fune, perfino sull’Imu. L’altro giorno Berlusconi s’era fatto convincere da Capezzone che certamente è stata una vittoria Pdl però non troppo smagliante perché resta in agguato la «service tax». 

 

Ieri Alfano e Brunetta hanno raddrizzato il giudizio del Capo, così l’Imu è diventato un trionfo politico senza «se» e senza «ma», qualcosa di miracoloso... Chi ha preso parte alla riunione racconta un Cavaliere che non ha ben digerito le quattro nomine dei senatori a vita. Non perché sperasse di venire prescelto lui, ma in quanto quei voti potrebbero risultare determinanti per dar vita a una maggioranza senza Pdl. Qualcuno dei presenti l’ha invitato a vedere il bicchiere mezzo pieno: se Napolitano esercita fino in fondo i suoi poteri presidenziali è buon segno, vuol dire che forse magari chissà potrebbe dargli la grazia. Ma Berlusconi poco ci spera, e stamane farà un gesto di rottura sottoscrivendo a Roma i referendum sulla giustizia. Ieri ha concordato la mossa con Pannella che, stando alla narrazione di Silvio, gli avrebbe dato il seguente consiglio: «Prima firma i referendum e poi scappa all’estero. Come fece Toni Negri».


da - http://lastampa.it/2013/08/31/italia/cronache/berlusconi-sfida-letta-e-spiazza-le-colombe-scontro-per-la-gestione-del-pdl-0EfwUWPKZXT9UyuunQyJXL/pagina.html
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