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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229520 volte)
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« Risposta #255 inserito:: Marzo 10, 2013, 11:28:15 am »

politica
10/03/2013

Fare a meno di Silvio, il Pdl studia come emanciparsi dal leader

L’ex premier rischia condanne per oltre 16 anni

Ugo Magri
Roma


Possono, gli orfani di Silvio, salire come se nulla fosse sulla giostra istituzionale (elezione delle alte cariche, consultazioni di governo, conclave sul nuovo Capo dello Stato), ignorando che il loro leader sta lottando per evitare l’onta della prigione? 

 

Già, perché proprio di questo si tratta, altro che semplice interdizione dai pubblici uffici: se si sommano le condanne in essere con quelle pendenti, Berlusconi rischia sulla carta tra i 16 e i 32 anni di galera complessivi. Per togliere di mezzo Al Capone, l’America si accontentò di dargli 11 anni.

In qualche caso (vedi Unipol) la prescrizione è certa. Per altre invece risulta del tutto esclusa, e sui diritti Mediaset il verdetto definitivo della Suprema Corte arriverà al massimo entro un anno (anche su Ruby il tempo vola). Per altre inchieste ancora, vedi compravendita dei senatori, è molto dubbio che l’eventuale processo arrivi al traguardo; però è possibile (stando ai boatos romani addirittura scontato) che il pm Woodcock voglia tentare comunque lo scacco matto, con una richiesta di arresto del Cavaliere indirizzata al nuovo parlamento grillino. Questione di giorni...

 

Per cui Alfano e tutti i massimi dirigenti Pdl convengono che no, davvero non possono far finta di nulla. Né le circostanze consentono loro di limitarsi a convogliare pullman sulla manifestazione del 23 marzo in Piazza del Popolo, perché lo psicodramma giudiziario si sta consumando adesso, e loro reciterebbero la parte degli ingrati se abbandonassero al suo destino l’uomo al quale debbono tutto (ammette l’ex-ministro Fitto: «Senza Berlusconi, saremmo una simpatica comitiva di amici e niente più»). 

 

Dunque, qualcosa dovranno fare. Quagliariello vorrebbe muovere le acque sul piano internazionale. Matteoli e Gasparri ritengono urgente ficcare qualche zeppa nell’ingranaggio della crisi, senza nemmeno attendere il 15 marzo, primo giorno di scuola del nuovo Parlamento. Napolitano si sarà sentito in queste ore fischiare le orecchie, perché inevitabilmente di lui stanno parlando. La questione, in un modo o nell’altro, finirà sul tavolo del Presidente come suprema forma di protesta. E ciò sebbene già sappiano, in via dell’Umiltà, che ben poco potranno concretamente ottenere dal Quirinale. Anzi, nulla. Se Napolitano domandasse alla delegazione Pdl che cosa propone per evitare la gogna giudiziaria del Cavaliere, i «berluscones» non saprebbero cosa suggerire perché tutti i Lodi sono già stati tentati, tutte le leggi ad personam già esperite senza successo, e alla «moral suasion» del Colle nei confronti dei magistrati non crede più nessuno.

 

Dunque un gesto verrà fatto, ma solo per allontanare l’indegno sospetto (già affiorato sui quotidiani di centrodestra) che il gruppo dirigente non veda l’ora di licenziare il Capo. Però con l’intima convinzione della totale irrilevanza ai fini pratici. Serpeggia il timore che il destino sia segnato, e che in un modo o nell’altro Berlusconi verrà messo fuori gioco. Fosse solo incandidabile, pazienza: in fondo nemmeno Grillo è in Parlamento eppure è al centro di tutto. Invece gli arresti domiciliari vorrebbero dire divieto di andare in televisione, di tenere conferenze stampa, di presiedere riunioni al partito, di compilare le liste dei candidati, di guidare come solo lui è capace le prossime campagne elettorali... 

 

Per Berlusconi, il silenziatore; per il partito, un triste epilogo. E allora, tra i colonnelli già si ragiona sottovoce su come salvare il salvabile. Un volto da spendere davanti agli elettori, perché le urne potrebbero riaprirsi tra poco, magari a giugno... Due le scuole di pensiero. La prima scommette su personaggi di partito, in primis Alfano però non solo lui. Molto è cresciuto Lupi nelle gerarchie interne, per non dire di Brunetta al quale la presidenza del gruppo alla Camera starebbe stretta. Tra le donne, oltre a Mariastella Gelmini, molto si chiacchiera della Bernini, dura e pura. L’altra strada sarebbe una supplenza esterna. A circolare sono i soliti nomi, da Passera alla Cancellieri (no Monti, no Montezemolo). Con l’avvertenza che nessun personaggio di prestigio si imbarcherebbe mai su una nave, finché sul ponte sventola la bandiera gialla degli appestati.

DA - http://lastampa.it/2013/03/10/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/fare-a-meno-di-silvio-il-pdl-studia-come-emanciparsi-dal-leader-PN68lSfwPfIrLxqwGPkYxO/pagina.html
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« Risposta #256 inserito:: Marzo 27, 2013, 06:52:00 pm »

Politica

27/03/2013 - caso marò. tra dimissioni e governo

Meteorite sul dialogo

L’addio di Terzi galvanizza Berlusconi

La mossa del ministro degli Esteri spiazza Monti e il Pd

Ugo Magri
Roma


Come un meteorite dallo spazio, le dimissioni di Terzi sono piombate sulle trattative di governo, col risultato di sconquassare quel poco che si va costruendo. Dove stia il nesso tra Bersani e i marò, a prima vista non appare. Poiché un conto è il governo dimissionario, di cui il ministro degli Esteri faceva parte; altra cosa dovrebbe essere l’esecutivo futuro... Eppure il legame esiste, dal momento che c’è grande preoccupazione nei palazzi (in particolare sul Colle quirinalizio) dove quasi smoccolando ammettono: «Proprio ora non ci voleva, in un momento peggiore non sarebbe potuto capitare».

 

Il primo impatto sulle consultazioni, viene spiegato, è che il gesto di Terzi genera una nube radioattiva. Di polemiche. Di sospetti. Di rancori. Politicamente, questa vicenda non crea le condizioni ottimali per una Pasqua di concordia. Semmai il contrario. Gli animi tornano infuocati come e peggio che durante la rissa elettorale. Addirittura, i seguaci del Prof hanno un sospetto: le dimissioni del ministro sono state concordate con Berlusconi per vendicare vecchie ruggini tra Mario e Silvio, calci reciproci negli stinchi, cui da ultimo si è aggiunta una lettera orgogliosa di Monti al «Corsera» vissuta ad Arcore come intollerabile provocazione personale. Guarda caso, già lunedì mattina il Cavaliere furibondo urlava che Monti andrebbe cacciato per via dei marò. Sembrava uno sfogo dei suoi, invece ecco tempestive le dimissioni di Terzi che nessuno subodorava, tantomeno Napolitano. Il Presidente aveva dato uno sguardo preventivo all’intervento in Aula del ministro, senza però trovarci le tre righe-chiave delle dimissioni. Aggiunte all’ultimo, sul piano politico un vero agguato.

 

È un clima da corte rinascimentale che indiscutibilmente dà una mano a Grillo, la conferma della sua nota tesi che una certa politica andrebbe licenziata in blocco. Ma l’incidente (cercato o meno, a questo punto che importa?) galvanizza pure il mondo berlusconiano, in quanto spinge due temi tipici della destra - l’orgoglio patriottico, le Forze Armate - al centro della discussione collettiva proprio quando certi sondaggi già segnalano una crescita del Cav, secondo Euromedia e Tekné in testa di una spanna sulla coalizione avversaria e sullo stesso Grillo. Il che non può non avere effetto sulle consultazioni. Proviamo a vestire i panni di Bersani. Contava in una mano da Monti, e se lo ritrova nell’angolo, costretto a difendersi oggi in Parlamento dai ringhi della destra. Anziché trovarsi di fronte un Pdl moderato e pragmatico, disposto a far partire la legislatura senza pretendere la Luna in cambio, il presidente del Consiglio incaricato è costretto a fronteggiare richieste ogni giorno più esose. E d’altra parte Berlusconi, che annusa la possibilità di fare il colpaccio, figurarsi se rinuncerebbe a nuove elezioni in cambio di un piatto di lenticchie. Guarda caso, ieri se n’è stato a casa, ufficiosamente perché doveva affrontare coi suoi legali la causa di separazione da Veronica. E al posto suo ha spedito a trattare una delegazione guidata da Alfano. Si racconta che per prima cosa Bersani abbia chiesto, sospettoso, come mai il Capo aveva dato forfait. La tecnica è stra-nota: Berlusconi manda gli altri a negoziare tenendosi l’ultima parola. Se l’esito lo soddisfa, okay; altrimenti non si fa scrupolo di smentirli.

 

Ma il danno più serio, le dimissioni a sorpresa lo causano al Capo dello Stato. In quanto gli sfila l’estrema carta che Napolitano potrebbe giocare, casomai il tentativo Bersani facesse un buco nell’acqua: il jolly del governo istituzionale, o «del Presidente». Se neppure i «tecnici» danno prova di affidabilità, riproporli nuovamente ai partiti (e al Paese) diventa impresa quasi disperata. Quasi quasi, meglio i politici...

da - http://lastampa.it/2013/03/27/italia/politica/meteorite-sul-dialogo-l-addio-di-terzi-galvanizza-berlusconi-eseNKuU4aZFOzJqjwCaWoL/pagina.html
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« Risposta #257 inserito:: Aprile 02, 2013, 06:15:02 pm »

Elezioni Politiche 2013

02/04/2013 - governo. il centrodestra

Berlusconi teme l’inganno e pensa alle urne

Si agita lo spauracchio di un governo tecnico controllato da Pd e Grillo.

Alfano: “La casa brucia no ad altri rinvii”

Ugo Magri
Roma

Passa un giorno, passa l’altro, ma questi segnali che il Cavaliere si attende non arrivano, anzi. Cosicché lui diventa sempre più impaziente e nervoso. Gli avevano raccontato che, una volta fallito Bersani, nel Pd sarebbero corsi a frotte verso le larghe intese. E che questi potenziali alleati del Pdl non vedevano l’ora di venire allo scoperto con pubbliche dichiarazioni... Viceversa, nemmeno una voce importante (tolto Renzi) si è dichiarata a favore di «governissimi» o di soluzioni del genere. Cosicché Berlusconi incomincia seriamente a dubitare di essersi illuso. E addirittura a domandarsi se questa trovata dei «saggi» non sia in realtà un trappolone teso a lui, una maniera sofisticata di perdere tempo e di rendere impossibili eventuali nuove elezioni prima dell’estate che il centrodestra, manco a dirlo, sarebbe sicuro di stravincere... Per cui la sera di Pasqua Silvio era agitatissimo e pronto a diffondere un duro comunicato stampa in cui, sostanzialmente, avrebbe detto: cari signori, poiché questi comitati di «saggi» non servono a nulla, facciamola finita e votiamo non appena si può. Gianni Letta, Bonaiuti e pochi altri l’hanno dissuaso dal gesto di impazienza cui lo spingevano i «falchi» guidati dal solito Brunetta. 

 

Decisiva la motivazione che è ottima regola non guastare le feste degli italiani, già così faticose, e soprattutto i mercati (che stamane avrebbero riaperto in un clima di tregenda). Contemporaneamente, qualcuno s’è messo in contatto con Napolitano per invitarlo a chiarire e a precisare meglio il ruolo dei «saggi»: cosa cui il Colle ha puntualmente provveduto nel pomeriggio di ieri. Stabilendo che il loro compito è solo di approfondimento, e comunque non si trascinerà in eterno.Un attimo dopo la precisazione quirinalizia, ecco farsi vivo Alfano. Senza conoscere l’antefatto pasquale, la sua dichiarazione sembrerebbe una vera cannonata contro Napolitano perché dichiara Angelino: «I “saggi” facciano presto e riferiscano al Quirinale quanto prima. Auspichiamo che svolgano la loro analisi programmatica in pochissimi giorni, che il Presidente Napolitano riprenda le consultazioni con le forze politiche, e le forze politiche a parlarsi. La casa brucia e non sarebbero comprensibili altri rinvii o dilazioni...». 

 

In realtà, Alfano sta solo tentando di salvare capra e cavoli. Nella sostanza accetta di mandare avanti il comitato dei «saggi», così come desidera il Capo dello Stato, però senza negare che Berlusconi ha le sue buone ragioni nel subodorare l’inganno. Dunque la mediazione del segretario Pdl, sostenuta da Cicchitto e Gasparri, consiste nel dire che le rose, se davvero sono tali, debbono fiorire piuttosto in fretta. Qualora nel Pd ci sia qualcuno disposto a spendersi per un governo delle larghe intese comprensivo del Pdl, provveda in tre-quattro giorni oppure sarà troppo tardi, in quanto Berlusconi chi lo tiene più?

 

Nel frattempo Quagliariello, che rappresenta il Cavaliere nel comitato di «saggi», ha ricevuto istruzione di tenere gli occhi bene aperti, senza mai permettere che la riforma elettorale venga sganciata dal più vasto tema della nuova Costituzione. Casomai qualcuno ci provasse, Quagliariello dovrebbe opporsi in tutte le maniere. Ciò merita una spiegazione: il vero spauracchio berlusconiano si chiama governo tecnico, figlio di nessuno ma controllato dal Pd e da Grillo, che faccia una nuova legge elettorale sgradita al centrodestra e intanto permetta ai magistrati di infliggere al Cav il marchio della condanna. Dopodiché si tornerebbe alle urne, senza più Berlusconi tra i piedi. Inutile dire che Brunetta, Verdini, la Santanché (ma non solo loro) tengono costantemente in allarme il Capo. 

 

Poi ci sono gli scettici e quanti dubitano nelle spallate. Oppure considerano la minaccia di nuove elezioni una pistola scarica, perché non si farà mai in tempo a votare prima dell’estate. O infine suggeriscono un profilo responsabile come chiedono con insistenza le gerarchie ecclesiastiche. Guarda caso, le parole più equilibrate ieri sono giunte dall’ala ciellina, con Formigoni e Lupi in prima fila: «Se i saggi possono aiutarci a superare il pregiudizio del Pd nei nostri confronti, ben venga il loro lavoro». 

da - http://lastampa.it/2013/04/02/italia/speciali/elezioni-politiche-2013/berlusconi-teme-l-inganno-e-pensa-alle-urne-9i3SUIlEFGxdjg4RdETtGJ/pagina.html
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« Risposta #258 inserito:: Aprile 11, 2013, 11:49:58 am »

Politica
11/04/2013 - governo. le iniziative

La proposta dei saggi

Una Convenzione per cambiare la Carta


Nessuna indiscrezione è trapelata su magistratura, lotta alla corruzione e conflitto d’interessi

Il Senato sarebbe formato da delegati regionali

Indicazioni concrete per esodati e sviluppo

Ugo Magri
Roma

La novità di maggior peso, che domani allo scoccare di mezzogiorno i «saggi» squaderneranno a Napolitano, consiste in una proposta molto rifinita per aggiustare la Costituzione. Non solo: gli esperti quirinalizi forniranno indicazioni concrete per risolvere il dramma degli esodati e circa il modo di raggranellare risorse per lo sviluppo. 

 

Una riunione dei dieci «facilitatori», l’ultima, è convocata stasera. Servirà a licenziare il testo scritto a più mani. La prima parte, quella sulle riforme istituzionali, è già pronta da ieri mattina. Consta di 23-24 pagine dattiloscritte che Violante, Quagliariello, Onida e Mauro ridurranno a 15 con l’intento lodevole di renderle meglio leggibili, magari non proprio come un giallo appassionante, ma insomma...

 

Anche l’altra parte del dossier, quella dedicata alla crisi dell’economia, è ormai nero su bianco. Tuttavia la prima stesura è risultata un tantino prolissa, oltre 40 cartelle, con un corpaccione analitico sorretto da gambe propositive un tantino più esili. Cosicché giocoforza Bubbico, Giorgetti, Giovannini, Moavero, Pitruzzella, Rossi (sono gli altri sei «saggi») dovranno rimetterci mano in giornata per sintetizzare, sforbiciare e riequilibrare.

 

Ora è un documento che pure sulla parte economica ambisce a farsi leggere dai non specialisti. Chi ha potuto sbirciare in anteprima il testo garantisce che non è stato affatto un lavoro inutile. I punti di convergenza tra i «saggi» sono tali e tanti da formare una solida piattaforma programmatica dalla quale il futuro esecutivo profitterà a mani basse, specie nel caso in cui dovesse trattarsi di un «governo del Presidente».

 

Sul piano economico, non ci si attenda una sconfessione dell’operato di Monti. I critici del rigore, tanto nel Pd quanto nel Pdl, resteranno delusi. La presenza nel Comitato del ministro Moavero, del resto, esclude colpi di scena. Però i «saggi» riconoscono che è tempo di voltare pagina, l’intransigenza nei conti pubblici patrocinata in primis dal ministro Grilli va resa più funzionale alla crescita. C’è dunque un’accelerazione visibile, specie per quanto riguarda i rapporti con Bruxelles. E si indicano le modalità necessarie per soccorrere gli esodati: scelta, essa sì, politicamente di svolta rispetto al governo dei «tecnici». 

 

Nel campo istituzionale, il parto più rilevante si chiama Convenzione. È il cantiere che il Comitato consiglia di mettere in piedi per aggiornare la Carta repubblicana senza demolirla a casaccio. Guarda caso, di Convenzione va parlando da settimane Bersani, suggerendo che a guidarla sia un esponente dell’opposizione. Con una differenza: il segretario Pd è rimasto finora sul generico, laddove i «saggi» vanno al sodo (pur con qualche riserva di Onida, il quale nell’insieme condivide l’impianto). Propongono che i maggiori partiti avanzino un ordine del giorno. 

 

Una volta approvato dal Parlamento, la Convenzione potrebbe mettersi al lavoro. Nel frattempo, di comune intesa, verrebbe varata un’apposita riforma costituzionale per conferire a questo organismo i poteri necessari. Quindi, elaborato il testo della riforma, non sarebbe la Convenzione a metterci il timbro, ma il Parlamento. Nel Perù venne seguita l’altra strada, e finì con una guerra civile: meglio evitare il bis.

 

Presidenzialismo o no? Quagliariello, a quanto risulta, si è battuto con forza per farlo passare, ma la sua è stata accolta come posizione minoritaria. Prevale la filosofia del premierato. Confermata la riduzione dei deputati (da 630 a 470) e dei senatori, che verrebbero sostituiti in blocco dai rappresentanti regionali. 

 

Gelosamente custoditi, in attesa che li visioni Napolitano, i paragrafi riguardanti magistratura, lotta alla corruzione, conflitto di interessi e intercettazioni: su tutti questi terreni di duello infinito, i «saggi» promettono risposte equilibrate, ragionevoli. Ciascuno ha dovuto cedere qualcosa per ottenere qualcos’altro. Facile scommettere che i «falchi» dei vari schieramenti reagiranno con forza, accusando i «saggi» di intelligenza con il nemico. È destino comune a chi cerca di dialogare.

da - http://lastampa.it/2013/04/11/italia/politica/la-proposta-dei-saggi-una-convenzione-per-cambiare-la-carta-6HWlAtKFVDvEGB8vjfEodK/pagina.html
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« Risposta #259 inserito:: Aprile 14, 2013, 07:28:36 pm »

politica
14/04/2013

Prodi manda in tilt Pd e Pdl


Il gradimento del M5S per il Professore rende più difficile le larghe intese.

Avanza l’ipotesi Finocchiaro

Ugo Magri
ROMA

Com’era previsto, le pubbliche uscite di Bersani e del Cavaliere non aumentano la comprensione reciproca. Il segretario Pd ripete da Roma che il «governissimo» non si può fare, mica «perché Berlusconi fa schifo» è l’argomento poco lusinghiero, bensì in quanto non sarebbe segno sufficiente di cambiamento. Con l’altro che a Bari, davanti a una vasta folla, va giù piatto: o «governissimo» e scelta condivisa del successore di Napolitano, oppure di corsa alle urne (dove Berlusconi si attribuisce 4 punti di vantaggio). Inutile aggiungere chi sarebbe in quel caso candidato premier del centrodestra... Quando all’elezione del nuovo Presidente mancano quattro giorni, siamo dunque ancora in pieno delirio propagandistico.

 

 

Ma la vera buccia di banana, su cui può ruzzolare l’intesa Pd-Pdl, l’ha piazzato Grillo (o Casaleggio, chi può dirlo?). Nella lista M5S dei dieci potenziali candidati per il Colle, compaiono alcuni nomi che sembrano studiati apposta per mettere in crisi il Pd. Il più ragguardevole è quello di Prodi, ma c’è pure Rodotà (già presidente dei Democratici di Sinistra) e così anche il costituzionalista Zagrebelsky: riferimenti sicuri per tutti quanti respingono l’«inciucio» col centrodestra. Prodi si schermisce, addirittura a Lucca per un convegno ieri ha fatto finta di bastonare con un giornale arrotolato un amico che lo chiamava «Presidente»; né sembra probabile che domani, quando i grillini pescheranno dal mazzo la candidatura definitiva, spunti fuori proprio il Professore. 

 

Tuttavia il mondo prodiano è in fermento, e non quello soltanto. Renzi, nei giorni scorsi, aveva espresso una chiara preferenza prodiana per il Quirinale. Contro il Cavaliere che spera solo di sfuggire alla giustizia (intesa come patrie galere) si lancia Tabacci, leader di Centro democratico... Insomma, la sola presenza di Prodi nella hit parade a Cinque Stelle, per quanto contestata da molti grillini, è sufficiente a far sognare quanti vorrebbero l’ex premier sul Colle in funzione anti-berlusconiana. Con il Cav che già annuncia sfracelli, casomai dovesse farcela il suo più acerrimo rivale: «Ci toccherebbe davvero scappare tutti all’estero», grida dal palco di Bari.

 

 

Senonché, si domandano al vertice del Pd, «se poi molliamo un ceffone del genere al Cavaliere, dove prendiamo i voti per far partire il governo del cambiamento?». Vendola è convinto che qualche soluzione si troverebbe, qualora il nuovo Capo dello Stato mandasse Bersani a cercarsi i voti in Parlamento. La paura di non essere rieletti spingerebbe magari alcuni grillini a sostenere il governo di minoranza targato Pd... Però a Largo del Nazareno sono in pochi quelli che farebbero l’esperimento. Prevale la convinzione che, eleggendo Prodi, si correrebbe a rotta di collo verso nuove elezioni. «Una cosa folle», va ripetendo a tutti gli interlocutori Casini. Il quale si è ripreso una certa autonomia da Monti che, pure per effetto del distacco Udc, ha fatto sapere tramite «Corsera» di voler togliere il suo nome dal simbolo di Scelta Civica, non sentendosi egli uomo di partito ma riserva della Repubblica.

 

 

Tutti questi calcoli, ed altri ancora, fanno sì che la strategia delle larghe intese, quantomeno per la scelta del prossimo Presidente, nonostante tutto resista. O perlomeno: ieri sera non risultava fosse definitivamente crollata. Tuttavia, ecco spuntare un ulteriore possibile inciampo. Ai negoziatori berlusconiani, guidati da Verdini, è giunta dall’altra sponda una soffiata: martedì Bersani martedì sottoporrebbe a Zio Silvio (così l’ha accolto il sindaco Pd di Bari, Emiliano) non una rosa di 4-5 nomi, ma una candidatura secca: prendere o lasciare. La personalità che lascia interdetti i «berluscones» si chiama Anna Finocchiaro, già presidente dei senatori Pd. Il Cavaliere invece vorrebbe poter scegliere tra Marini, D’Alema, Violante, con una predilezione con quanti vengono dal vecchio Pci. Non lo confesserà mai, ma senza i «comunisti» si sentirebbe solo. 

da - http://lastampa.it/2013/04/14/italia/politica/grillo-e-prodi-mandano-in-tilt-pd-e-pdl-xS68PdLISCxXGQbHD2a6UO/pagina.html
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« Risposta #260 inserito:: Aprile 16, 2013, 02:56:04 pm »

POLITICA

16/04/2013 - SLITTA ANCORA L’INCONTRO TRA BERLUSCONI E BERSANI

Pd-Pdl, gelo totale sul Quirinale

Dubbi sulla possibilità di eleggere un nome al primo turno

Ugo Magri
Roma

Un altro giorno è trascorso senza costrutto. E quando mancano 48 ore alle elezioni del nuovo Presidente, nessun accordo risulta raggiunto. Anzi, nemmeno si registrano particolari sforzi per trovare un nome condiviso nello spirito della Costituzione (articolo 87: il Capo dello Stato «rappresenta l’unità nazionale»). Tanto Pd che Pdl confermano: zero contatti dietro le quinte, i negoziatori sono rimasti a girarsi i pollici, insomma incomunicabilità totale. Prova ne sia che Bersani esclude per oggi nuovi colloqui col Cavaliere; il quale a sua volta si dichiara in attesa che dal Pd gli presentino finalmente dei nomi, «una rosa, e non uno o due soltanto», tra cui scegliere quello a lui più gradito. In sostanza, siamo al punto di prima.

 

A che cosa si sono dedicati, ieri, i nostri eroi? Tutta l’attenzione è stata calamitata dallo scontro tra Renzi (che si è incrociato col Cavaliere a Parma) e il resto del Pd. Il sindaco fiorentino aveva bocciato, col tono suo solito da rottamatore, le candidature al Colle di Marini e della Finocchiaro; entrambi gli hanno risposto per le rime; anzi, l’ex capogruppo a Palazzo Madama, da donna sanguigna qual è, ha mollato a Matteo un metaforico ceffone definendolo «miserabile». Larga parte del Pd solidarizza con lei e con Marini. L’istantanea è di un partito lacerato sulla scelta più importante: quella destinata a orientare per i prossimi 7 anni la politica italiana. Prima il vicesegretario Letta, quindi il segretario medesimo, si sono preoccupati di metterci una toppa: «Facciamo cinema, però quando c’è da decidere decidiamo». Bersani ha visto Monti, che dopo il colloquio era più impenetrabile del solito. A sua volta il Cavaliere viene narrato alle prese con la solita lotta tra quanto gli suggerisce la pancia («Perché sul Colle un altro e non io? Tanto vale tornare alle urne...») e ciò che gli suggerisce la mente (senza un’intesa col Pd, Silvio rischia di ritrovarsi al Quirinale qualche acerrimo nemico, per esempio Prodi). Il nervosismo del Pdl va crescendo di ora in ora.

 

A complicare tutto ci si mette il pallottoliere. Per eleggere un Presidente al primo tentativo, servirebbero ben 672 dei 1007 grandi elettori. Il candidato al momento con le migliori chance, Giuliano Amato, potrebbe contare sui 424 suffragi del Pd, sui 211 del Pdl, sui 67 di Monti e su 57 altri sostenitori sparsi. Il totale farebbe 759, sulla carta sufficienti all’elezione. Solo sulla carta, però. In quanto si può scommettere che, profittando del voto segreto, spunterebbe una frotta di «franchi tiratori» (la lista dei sospettabili è lunghissima). L’esito sarebbe ancora più in bilico nel caso di «inciucio» Pd-Pdl sul futuro governo: allora sì che la sorte di Amato sarebbe segnata... D’altra parte il Cavaliere non è affatto intenzionato a recedere dalla richiesta di ministri targati Pdl. Per cui dalle parti di Bersani si domandano se sia il caso di rischiare subito una personalità come Amato (o come Marini: identico il discorso). Meglio attendere la quarta votazione, suggerisce qualcuno, quando la maggioranza assoluta di 504 voti sarà sufficiente...

 

Dal quarto scrutinio in poi, tuttavia, potrà dire la sua pure Grillo con i 162 grandi elettori M5S. Stamane sapremo chi sarà il vincitore delle «quirinarie» (le primarie per il Quirinale) condotte on-line. L’ex-comico si è sfilato dalla lista dei «papabili», dunque sono rimasti nove possibili vincitori: Bonino, Caselli, Fo, Gabanelli, Imposimato, Prodi, Rodotà, Strada, Zagrebelsky. Casaleggio, che del grillismo è il guru mediatico, auspica un Presidente «super partes, in grado di rappresentare tutti gli italiani, possibilmente non politico». Possibilmente... E se la carta vincente fosse Prodi? «Noi ci rimettiamo sempre alle decisioni del Movimento», risponde sibillino Casaleggio. Per le prime tre votazioni verrà sicuramente seguita l’indicazione degli iscritti. Dalla quarta in poi, vai a sapere... È proprio quanto cercherà di acclarare la delegazione Pd, appena oggi incontrerà quella a Cinque Stelle.

da - http://lastampa.it/2013/04/16/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2013/pd-pdl-gelo-totale-sul-quirinale-2HWfE9a07nYIsuwLMmcyEK/pagina.html
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« Risposta #261 inserito:: Aprile 28, 2013, 12:05:29 pm »

politica
28/04/2013


E Berlusconi ingabbia i falchi

Nel 2012 i falchi del Pdl a Villa Gernetto, tutti uniti ad applaudire il ritorno in campo di Berlusconi, sono rimasti fuori dal governo

Ma sale il malumore tra i pasdaran che considerano troppo morbida la linea del Cavaliere con Letta

La rabbia di Brunetta: se non arriverà la restituzione dell’Imu mi dimetto e voto contro la fiducia

Ugo Magri
Roma

Una drammatica telefonata di Ghedini piomba in vivavoce all’ora di pranzo, mentre Berlusconi e i suoi fidi sono tutti riuniti.
Voce strozzata dall’emozione e dall’incredulità: «Ma come, non vi rendete conto?».

Esplode, l’avvocato del Cavaliere: «La Cancellieri alla Giustizia è quanto di peggio ci poteva capitare. Vi avevo scongiurato in tutti i modi di non farla passare. E invece così voi state firmando l’eutanasia di Berlusconi, le sue future condanne, la sua eliminazione fisica per via giudiziaria...». Muti i presenti intorno al tavolo di Palazzo Grazioli, gli occhi appuntati su Berlusconi. La cui bocca emette un sospiro: «Questo è il pensiero di Ghedini». Sottinteso: il suo, non il mio. Oppure: lo so bene, ma non posso farci nulla, perché «il governo deve partire». Deve. E pure in fretta. Non a caso il primo commento berlusconiano, udita la lista dei ministri, sottolinea quanto egli sia stato disponibile, verrebbe da dire servizievole: «Abbiamo trattato per la formazione del governo senza porre alcun paletto e senza impuntarci su nulla, escludendo persone che fossero già stati ministri». Brunetta nel governo non va bene in quanto giudicato troppo «incazzoso»? Via Brunetta, nonostante sia stato l’artefice tra i massimi della sua straordinaria rimonta elettorale. Alla base Pd non garba uno come Schifani? Via, via anche Schifani. Gelmini, Fitto, la Biancofiore e la Bernini sarebbero di disturbo? Tutti accantonati senza rimpianti per far nascere un governo nel segno dei tempi attuali, composto da persone giovani o al massimo «pantere grigie», umanamente carine, politicamente corrette, che sappiano stare a tavola (è una metafora).

Anche nel centrodestra, il 27 aprile 2013 segna lo spartiacque, fissa un nuovo standard: il governo d’ora in avanti sarà solo per i «presentabili». Cioè trionfo totale delle «colombe» berlusconiane. Basti dire che ben quattro dei cinque neo-ministri Pdl (Alfano, Lorenzin, Lupi e Quagliariello) erano stati sospettati di alto tradimento per aver chiesto in autunno le primarie del partito, addirittura con una manifestazione al Teatro Olimpico (un quinto protagonista, Mauro, ha pure lui ottenuto la poltrona però in quota Monti). I «falchi» invece restano scornacchiati. Prima Berlusconi li ha ben spremuti in campagna elettorale, e adesso li chiude sotto chiave nello sgabuzzino, da dove verranno tirati fuori in occasione delle prossime manifestazioni oceaniche, la prossima il 4 maggio a Brescia. Per cui dentro il Pdl, in queste ore, c’è l’inferno. Musi lunghi di chi aspirava alla «cadrega» (delusione umanissima), Malox a fiumi per i «pasdaran» che si sentono vittime dell’ingiustizia, per le «amazzoni» abbandonate da Silvio, per gli scudieri più fedeli sconcertati dalla giravolta (tale la considerano) del Grande Capo. Chi insiste a trovargli una giustifica, scommette che è tutta una finta, «tra due mesi lui manderà all’aria il governo e torneremo a votare». Altri sono sicuri che l’abbia fatto per la salute delle sue aziende in debito d’ossigeno, ansiose di stabilità politica e di proventi pubblicitari legati alla ripresa.

Qualcuno, come l’impetuosa Daniela Santanché, ha usato con Berlusconi parole di amicizia ma anche di verità. Altri, vedi Brunetta, già preannunciano che non finisce qui; se lunedì non dovesse arrivare perlomeno la restituzione dell’Imu allora nessuno terrebbe più a freno la rivolta, il capogruppo (ma tutti, non solo lui) darebbe le dimissioni per votare contro la fiducia a Letta... Paradosso dei paradossi, il successo politico berlusconiano, anzi il trionfo del Cavaliere che rientra in circolo, che pretende e ottiene pari dignità, che porta a casa ben cinque posizioni importanti, che riapre il dialogo con Monti (dal quale si è fatto convincere al sì su Saccomanni), che getta le basi del futuro Ppe in salsa tricolore, questo Berlusconi vittorioso va più di moda a sinistra che nel centrodestra. Dove rare sono le voci pronte a dargli atto del miracolo. Gasparri è tra quei pochi, e col suo accento romanesco quasi sbotta: «Sei mesi fa eravamo spacciati, nessuno avrebbe mai immaginato di ritrovarci qui in campo che ce la giochiamo alla pari. Altro che piangersi addosso!». Silvio meriterebbe un busto al Pincio...

da - http://lastampa.it/2013/04/28/italia/politica/e-berlusconi-ingabbia-i-falchi-qqZbaJFr4g6kTD1QxjuHNO/pagina.html
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« Risposta #262 inserito:: Aprile 30, 2013, 11:57:38 am »

politica
29/04/2013

Non sarà un “governicchio” balneare

Accettabile e pragmatico, il discorso di Letta ha ricordato la sapiente maestria della vecchia Dc.

Il banco di prova? Le riforme costituzionali

Ugo Magri
Roma


Udito Letta, viene da pensare: moriremo democristiani. Nel senso che il discorso del premier offre un punto d’incontro accettabile e pragmatico a vasti settori della politica e della società, senza impennate e senza spigoli, proprio come era maestra insuperata la Dc dei tempi d’oro. Dall’economia alle riforme, dai temi etici all’Europa, Letta offre l’unica mediazione possibile a tutti i variegati partner della sua maggioranza. Tant’è che i primi commenti sono invariabilmente soddisfatti.

Non è stato dimenticato nulla e nessuno. Al Cavaliere il premier concede un segno di attenzione sull’Imu (per ora viene bloccato, poi si approfondirà); a Bersani, Letta riconosce la giusta intuizione di aver messo l’emergenza lavoro al primo posto. I montiani applaudono sollevati, poiché il premier, pur annunciando una svolta pro-sviluppo, non sconfessa il rigorismo dei tecnici nel nome della continuità. Alla Lega Letta fa intuire che, forse, la macroregione padana potrà essere terreno di confronto futuro. E ce n’è perfino per Grillo: quel taglio immediato al doppio stipendio dei ministri-parlamentari rispecchia in pieno lo spirito dei tempi.

Fa discutere il riferimento, un po’ sibillino, alla verifica tra 18 mesi quando, se sulle riforme costituzionali nulla si sarà mossa, Letta getterà la spugna. Qualcuno ci vede una minaccia, altri (a buon motivo) semmai una rassicurazione: non sarà un “governicchio” balneare, e nemmeno una soluzione ponte, in quanto l’esecutivo di larghe intese aspira a superare i 18 mesi di vita. Salvo verifica politica, si capisce, ma con il proposito di guardare oltre. Questo è forse il messaggio più significativo al Paese: Letta non farà colpi di testa, ascolterà tutti e medierà quanto basta per garantire una lunga stagione di stabilità. Un programma, mutatis mutandis, che a molti ricorda appunto la cara vecchia Dc... 


DA - http://lastampa.it/2013/04/29/italia/cronache/non-sara-un-governicchio-balneare-5rRaZ9A1TxiyHb5MJBjW2K/pagina.html
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« Risposta #263 inserito:: Maggio 09, 2013, 11:59:13 pm »

politica
09/05/2013

La tregua che fa comodo a tutti

Il Pdl non ha interesse a bloccare il governo, e il Pd, alle prese con un congresso cruciale, preferisce prendere tempo.
Il compito di Letta? Trasformare le debolezze in punti di forza

Ugo Magri
Roma


Se Berlusconi avesse trascinato l’Italia di nuovo alle urne, oggi si sarebbe trovato nel vivo della campagna elettorale con la condanna Mediaset sulle spalle. E con il rischio di doverne incassare un’altra tra poco su Ruby, per reati (lo sfruttamento della prostituzione minorile, la concussione) che nell’immaginario collettivo sono assai più infamanti della frode fiscale. 

 

Sono considerazioni che il Cavaliere aveva evidentemente ben presenti un mese fa, quando si trattava di dare o meno un via libera al governo Letta. I più scalmanati berlusconiani gridavano «al voto, al voto», invece Silvio (che in quel mondo è di gran lunga il più avveduto) ha scelto la strada delle larghe intese. E nulla fa ritenere che abbia mutato idea. Anzi: il degrado ulteriore della sua immagine pubblica lo costringe ad aggrapparsi al governo. Come se non bastasse, le aziende berlusconiane hanno disperato bisogno di stabilità politica per riprendere a fare utili e non essere travolte dai debiti. Da quando il loro padrone ha scelto la linea responsabile, le quotazioni Mediaset in Borsa sono schizzate su del 50 per cento.

 

Insomma: non sarà il Pdl, almeno per il momento, a sgambettare il governo. E il Pd, come si regolerà? Questo innamoramento del Cavaliere per Letta, dettato da calcoli di interesse, certo non aiuta la coabitazione nella stessa maggioranza. Condividere le responsabilità di governo con un leader pluri-condannato (sebbene valga la presunzione di innocenza fino alla giurisdizione definitiva) è un pugno nello stomaco per molti democratici. E tuttavia il partito, reduce da una sequenza di errori che ha dell’incredibile, è tuttora concentrato sui suoi tormenti interiori. 

 

Da giorni il gruppo dirigente si dibatte nella scelta di un cireneo che porti la croce al posto di Bersani fino a un congresso di cui, peraltro, ancora nulla si sa: né dove, né come, né soprattutto quando. Le ragioni dell’indecisione sfuggono alla gente normale, e sono parte anch’esse della grande crisi che il maggior partito della sinistra sta vivendo. Per cui pure il Pd, perlomeno nella fase attuale, ha disperato bisogno di leccarsi le ferite, di fare i conti con se stesso, di restituirsi una leadership e una politica degna del nome.

 

Nodi così aggrovigliati non si sciolgono in un battibaleno. Esigono tempo e maturazione. Enrico Letta garantisce a destra e a sinistra una tregua che non soddisfa fino in fondo nessuno, ma che a tutti può risultare alla fin fine equa. Nato gracile da un matrimonio politico senza amore, questo governo può giovarsi delle sue debolezze. E trasformarle paradossalmente in punti di forza.

da - http://lastampa.it/2013/05/09/italia/politica/la-tregua-che-fa-comodo-a-tutti-Cax65cumHsLlDQidKHKx9O/pagina.html
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« Risposta #264 inserito:: Maggio 10, 2013, 11:09:29 pm »

Politica
10/05/2013 - il caso

Lo stop di Napolitano ai partiti “Basta litigi, avanti con le riforme”


Niente Convenzione, si procede con l’articolo 138 della Costituzione

Ugo Magri
Roma

Per alcuni giorni Napolitano si era dato un po’ di respiro dopo mesi di faticosa supplenza alle assenze della politica. Ieri il preside-presidente è ritornato sulla scena, e che cosa ha trovato? Lo spettacolo ben noto di qualunque scolaresca abbandonata a se stessa: qualche «secchione» intento sui libri, e tutti gli altri dediti alla ricreazione. Il Pdl che riprende a pallettate i giudici, organizzando proteste di piazza contro le condanne al leader, e il Pd che dà libero sfogo all’auto-lesionismo (mancano poche ore all’Assemblea nazionale, eppure sul successore di Bersani ancora non c’è traccia di intesa). Più in generale, un grande senso di sfilacciamento, con i due maggiori partiti obbligati a convivere eppure incapaci di remare nella stessa direzione…

Come primo gesto Napolitano ha intimato «basta» agli insulti e agli eccessi verbali. La campagna elettorale è finita, le «esternazioni violente» non trovano giustificazione alcuna. Quindi il Capo dello Stato ha messo un po’ d’ordine sul cammino delle riforme, dopo che il Cavaliere si era dapprima candidato a guidare la Convenzione e subito dopo (avendo ricevuto un no secco dal Pd) l’aveva silurata: si procederà, fa filtrare il Colle, attraverso le procedure ordinarie previste dalla Costituzione all’articolo 138. E’ la strada suggerita dal ministro Quagliariello, cui «Re Giorgio» concede il suo placet. Qualcuno scorge la mano del Presidente pure dietro la frenata serale berlusconiana, niente assalti lunedì prossimo al Palazzo di Giustizia e accenti più responsabili nella manifestazione di domani a Brescia.

E’ importante, nell’ottica del Quirinale, che il governo faccia squadra, per cui grande apprezzamento per il metodo del seminario di clausura in convento, adottato da Letta per il fine settimana. Ma ciò che più conta, in questo momento, è superare lo scoglio del 29 maggio, quando la Commissione Ue dovrà pronunciarsi sulla procedura di infrazione che grava sull’Italia. Se i partiti sapranno dominare per altre due settimane gli istinti, evitando di qui a fine mese guerre di religione sull’Imu e sul resto, l’Europa potrà toglierci quel marchio di inaffidabilità che pesa nel giudizio dei mercati. Sarà il primo vero banco di prova del governo Letta, da cui dipendono le sue possibilità di operare. Si può star certi che nelle prossime ore Napolitano non negherà un aiuto, nelle forme della «moral suasion», a quella che è pur sempre la sua creatura politica.

da - http://lastampa.it/2013/05/10/italia/politica/lo-stop-di-napolitano-ai-partiti-basta-litigi-avanti-con-le-riforme-xz4t7SzvpChMzYNjiMHzuM/pagina.html
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« Risposta #265 inserito:: Maggio 11, 2013, 05:42:15 pm »

POLITICA
11/05/2013

Giustizia, offensiva di Berlusconi

Oggi comizio a Brescia, domani su Canale 5 un docufilm su Ruby, lunedì tutti a Milano per la requisitoria del processo

Ugo Magri
ROMA

La bomba è innescata. Perché politicamente esploda con fragore sotto il Palazzo di Giustizia a Milano sarà sufficiente un cenno del Cavaliere, o anche semplicemente il suo silenzio-assenso. Lunedì mattina, in un albergo a due passi dall’aula del Tribunale dove Ilda Boccassini pronuncerà la requisitoria contro Berlusconi nel processo Ruby, si aduneranno tutti i deputati, i senatori e gli europarlamentari Pdl. L’ordine del giorno verrà comunicato tra oggi e domani, ma il copione sembra già scritto: subito dopo i convenevoli, ecco alzarsi in piedi una delle «amazzoni» berlusconiane (la Biancofiore, o la Giammanco, o la Calabria, o la regina Pentesilea che tutte le comanda, cioè Daniela Santanché). Rivolta ai presenti griderà: «Inutile stare qui a parlarci addosso, è tempo di agire; io vado a protestare là sotto, chi vuole bene al nostro Presidente venga con me. Su, muoviamoci». A quel punto, replicando pari pari quanto accadde l’11 marzo scorso, nessuno dei convenuti avrà la forza o il coraggio di sottrarsi: gli onorevoli tutti insieme, chi con maggiore chi con minore convincimento, si lanceranno nel nuovo assalto al Tribunale...

Altrimenti, fanno notare ai vertici del partito, che senso avrebbe trascinare tutti i rappresentanti nelle istituzioni di lunedì a Milano, quando sarebbe bastato riunirli comodamente a Roma di martedì? Per cui il proposito è chiaro, alzare il tiro sui giudici alla vigilia di una nuova sentenza che vede Berlusconi rischiare (scommette un personaggio bene addentro nelle sue vicende legali) altri cinque anni di galera. Tornano a rullare i tamburi di guerra, dopo due giorni in cui Silvio era parso ben saldo di nervi e deciso a contrastare i suoi «falchi». Ancora ieri mattina, ripeteva in tivù che in questo momento occorre mostrarsi responsabili, che una cosa è il governo (da tenere al riparo) altra cosa sono gli attacchi dei magistrati, insomma niente di davvero allarmante. Aveva in programma di decollare alle 10 da Roma per Arcore, e invece sono corsi a Palazzo Grazioli un certo numero di «pasdaran», trattenuti a pranzo dal padrone di casa. Lì intorno al desco, assente la super-colomba Gianni Letta, qualche svolta strategica dev’essere maturata, perché nel tardo pomeriggio, mentre Berlusconi decollava per Linate, ecco spuntare sui telefonini di deputati e senatori un sms così concepito: «Riunione congiunta dei gruppi parlamentari a Milano, lunedì alle ore 11, presso lo StarHotel Rosa Grand-

Milano, a Piazza Fontana. Seguirà ordine del giorno». È l’annuncio della mobilitazione.

C’è dell’altro. Domani sera su Canale 5 scatterà un’offensiva mediatica berlusconiana, con un programma d’inchiesta poco in sintonia con il carattere commerciale assunto dalla rete ammiraglia del Biscione, per dimostrare che le feste di Arcore erano davvero eleganti, che tra Silvio e Ruby (interviste a entrambi) non scoccò alcuna scintilla, insomma una contro-requisitoria in piena regola. Per cui la tanto attesa manifestazione di questo pomeriggio in Piazza Duomo a Brescia sarà in realtà un antipasto, l’avvio di un crescendo rossiniano. Reso possibile, spiegano le stesse fonti di via dell’Umiltà, dalle distratte reazioni Pd, dove ieri il solo Bubbico ha tenuto alta la guardia. Una volta accertato che a sinistra hanno la testa altrove, o poco gliene importa, e che lo stesso Csm con il vice-presidente Vietti sembra fidarsi delle sue rassicurazioni, Berlusconi si è detto: perché non tentare l’assalto finale alla roccaforte delle toghe? Che cosa avrei da perdere? Per cui colpo di timone, e tutti precettati a Milano.

DA - http://lastampa.it/2013/05/11/italia/cronache/giustizia-offensiva-di-berlusconi-zUm4lYS2IqODU7vXi8hazN/pagina.html
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« Risposta #266 inserito:: Maggio 20, 2013, 11:54:37 pm »

politica
19/05/2013

Il Cavaliere e “il migliore dei governi possibili”


Ai suoi: “Dobbiamo sostenerlo Non sarò certo io a farlo cadere”

Ugo Magri
Roma


Tra i ministri che contano, nonché ai piani alti di Pd-Pdl, si è diffusa la sensazione che il governo cominci a ingranare. Tutti mettono le mani avanti e fanno i debiti scongiuri, dal momento che «un incidente di percorso è sempre dietro l’angolo». Inoltre le decisioni su Imu e Cig assunte in Consiglio dei ministri erano «le più semplici, le più scontate, mentre il difficile arriverà a settembre, e sarà lì che il tandem Letta-Alfano dovrà mostrare la sua stoffa». 

Come se non bastasse, tra un mese arriverà la sentenza su Ruby, e nessuno sa (forse neppure il diretto interessato) quale potrebbe essere la reazione del Cavaliere nel caso di una severa condanna... Il futuro della coalizione rimane gonfio di incognite. Eppure da due giorni un filo di ottimismo accomuna centrodestra e centrosinistra, il che è una novità.

Le misure adottate venerdì dal governo soddisfano tanto gli uni quanto gli altri. Berlusconi sventola la sospensione della rata sulla prima casa come se fosse la sua personale vittoria, e le contestazioni dal Pd non fanno altro che ingigantirla. L’uomo è convinto di poter strappare qualche ulteriore «zuccherino» (come lo ridimensiona Grillo) entro le prossime settimane, «bisogna dare tempo al tempo» ostenta serenità. In privato. confida le stesse cose che va dichiarando in pubblico: «Dobbiamo sostenere il governo, è il migliore di quelli possibili, non sarò certo io a farlo cadere». 

Si compiace del titolo Mediaset che cresce in Borsa, alzando il prezzo del Biscione casomai (come si sussurra nei palazzi romani) gli venisse voglia di fare cassa. Ritiene di essersela cavata alla grande nell’interrogatorio dell’altro ieri a Bari (è sospettato di aver comprato il silenzio di Tarantini, che abbelliva di escort le sue cene già così eleganti). Tutta la verve polemica del Cavaliere si scarica, in questo momento, sull'allenatore del Milan Allegri; il che corrisponde agli auspici del premier. Letta, tifoso rossonero, ha sempre auspicato che Berlusconi dedicasse più tempo al calcio anziché alla politica...

E nel Pd? Gli occhi erano puntati sulla manifestazione Fiom, per verificare la «tenuta» del partito. La prova di disciplina politica è stata quasi eroica. Nessun membro del governo si è mescolato con Grillo e con Sel, e pochi, molto pochi, sono gli esponenti democratici scesi a protestare. Epifani, che da ex sindacalista di queste cose se ne intende, scuote la testa: «Il problema non è stare in piazza, ma dare risposte». Il Pd è convinto che Letta abbia dato quelle che poteva. Rifinanziata con un miliardo la Cassa integrazione (sebbene 250 milioni siano stati sottratti ai fondi per la produttività); rinviato a fine anno il licenziamento per mezzo milione di precari statali; ossigeno per i contratti di solidarietà... È poco? Sì, è ancora poco, ammettono a Largo del Nazareno. Ma se il 29 maggio l’Europa dovesse fidarsi di noi, e ci levasse il marchio di inaffidabilità rappresentato dalla procedura di infrazione, allora cambierebbe la prospettiva. Si aprirebbero per il governo nuovi spazi di manovra, e altri se ne aggiungerebbero nei mesi successivi, presentandoli a Bruxelles come «flessibilità virtuosa per la crescita» (nella speranza che ci credano).

Certo, i tedeschi non sono così ingenui, sarà necessario che chiudano un occhio. Brunetta, capogruppo Pdl, si attende che la Merkel «dia segnali positivi prima di settembre». Le stesse parole si ascoltano tra gli economisti in forza al Pd. Per cui al momento interesse comune sembra quello di passare l’estate. «Anche perché», ringhia il berlusconiano Cicchitto, «l’alternativa sarebbe una sola: la catastrofe per tutti».

da - http://lastampa.it/2013/05/19/italia/politica/il-cavaliere-e-il-migliore-dei-governi-possibili-RhZgxQq4HqKEqBNl6hH4KN/pagina.html
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« Risposta #267 inserito:: Maggio 28, 2013, 11:05:15 pm »

Politica
28/05/2013 - elezioni. risultati e scenari

Mai così pochi alle urne

Voti grillini dimezzati

E Marino chiama i Cinque Stelle: “Siamo vicini”

Il centrosinistra risorge. A Roma in vantaggio Marino. I dubbi di Berlusconi su Alemanno

Il governo non esce indebolito, Letta allontana il fantasma di Renzi

Ugo Magri

Roma

La sinistra risorge a Roma dalle sue ceneri ed è a un passo dalla vittoria con Marino. Si impone di slancio, senza bisogno di ballottaggio, a Massa, a Pisa, a Sondrio, a Vicenza e a Iglesias. La destra non si arrende, cercherà il riscatto tra due settimane nei ballottaggi in 10 comuni capoluogo: tutto sommato ai berlusconiani è andata maluccio, ma poteva finire peggio. Per esempio, potevano condividere la sorte dei grillini, che rispetto alle elezioni di febbraio (cioè in soli tre mesi) praticamente si dimezzano. Ed è proprio tra i Cinque Stelle che miete più vittime l’astensionismo record: 37,62 per cento, mai così pochi alle urne. Secondo il ministro dell’Interno Alfano, la disaffezione è conseguenza del fatto che cinque anni fa si era votato insieme con le Politiche, da cui l’alta affluenza, laddove stavolta si è negato l’«election day» con conseguente calo. Vendola ci vede invece un moto di rigetto nei confronti delle larghe intese. Ma se così fosse, come mai Grillo è calato? Nel giudizio collettivo, l’esito rafforza il governo, o quantomeno non lo indebolisce. In Parlamento i due poli sono alleati, eppure la gente ancora li vede come alternativi. E così, nonostante l’«embrassons-nous», l’Italia si riscopre bipolare. Torna a schierarsi o di qua, o di là...

 

Roma era il test di gran lunga più atteso. Il candidato Pd ne esce alla grande. Neppure Marino, forse, si aspettava un vantaggio di 12 punti, così ampio che Alemanno (sebbene si ostini a dichiarare la partita «tuttora aperta») molto difficilmente potrà rimontare. Il primo a non crederci è proprio Berlusconi. Lui aveva tutto previsto. Addirittura a metà aprile, durante un viaggio aereo con Capezzone e la Santanché, il Cavaliere aveva manifestato l’intenzione di cambiare in corsa destriero puntando su Marchini (il quale lascia la gara con un onesto 10 per cento), ma a quel punto era troppo tardi, Silvio dovette tenersi Alemanno. Sta di fatto che la sconfitta è già in parte metabolizzata, Berlusconi ne scaricherà la colpa sul sindaco uscente. Per cui, pur ammettendo la delusione, dalle sue parti escludono colpi di testa. Niente crisi di governo, per ora. Al massimo il Pdl si mostrerà meno flessibile e più intrattabile nel braccio di ferro sull’Imu.

 

Arride invece la vittoria a Epifani, condottiero fortunato. Al primo match elettorale sbaraglia gli avversari. Lo considera un segnale di incoraggiamento, anche nei suoi confronti. Il segretario si è prodigato nel sostegno a Marino, come pure molto si è esposto anche personalmente il presidente della Regione Zingaretti, unico esponente Pd sul palco alla manifestazione di San Giovanni. Nel giubilo collettivo, va controcorrente Rosy Bindi: «Forse è bene preoccuparsi più per i voti non espressi che per quelli raccolti». Invece Letta sospira per lo scampato pericolo: una batosta Pd avrebbe accelerato il congresso e l’arrivo di Renzi.

 

Ha del clamoroso la flessione grillina su Roma: dal 27 per cento delle Politiche crolla al 13. Male Brescia, malissimo Imperia, un disastro Siena, dove pure M5S si era distinto nella campagna MontePaschi. Scatenamento dei militanti sul web, tsunami di critiche a Grillo per i divieti di andare in tivù e anche per le mancate alleanze a sinistra. Vero è che il movimento non ha ancora messo radici, dunque nei test amministrativi parte svantaggiato rispetto a Pd e Pdl.

 

Nel novero degli sconfitti va aggiunta la Lega, travolta a Vicenza e perfino nel feudo del «sindaco sceriffo» Gentilini a Treviso. Il Carroccio punta l’indice contro il Pdl: altra grana per Berlusconi.

da - http://lastampa.it/2013/05/28/italia/politica/mai-cos-pochi-alle-urne-voti-grillini-dimezzati-hlPVnn9LEcmMoVrqpYSTNM/pagina.html
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« Risposta #268 inserito:: Giugno 07, 2013, 06:42:20 pm »

Politica
07/06/2013 - governo. le istituzioni

Riforme, via alla corsia preferenziale

Doppia lettura abbreviata da tre mesi a uno, ma c’è chi critica Napolitano: le modifiche sono ineludibili

Ugo Magri

Roma

Se in materia economica il governo fosse altrettanto rapido che sulle riforme istituzionali, forse l’Italia avrebbe già un piede oltre la crisi. Per cui Squinzi, presidente di Confindustria, esorta Letta a concentrarsi sulla crescita senza stare appresso al presidenzialismo. 

Però aiutare le imprese costa molti denari, laddove aggiornare la Costituzione è gratis. Ecco perché il premier sceglie questo terreno per bruciare le tappe e dimostrare che lui non smacchia leopardi. In mezz’ora di discussione, e ben 23 giorni di anticipo rispetto alla tabella di marcia, il Consiglio dei ministri ha varato il disegno di legge costituzionale che «delimita le dimensioni e le linee del campo di gioco», per citare la metafora del ministro Quagliariello, grande appassionato di calcio e del Napoli. 

Come dire che il governo ha deciso tempi e modi del passaggio alla Terza Repubblica: sui contenuti, deciderà il Parlamento. Alcuni aspetti del ddl sono già noti. Darà vita a un Comitato che fonderà insieme le Commissioni Affari costituzionali, 20 deputati da una parte e 20 senatori dall’altra, scelti senza calpestare le minoranze; i tempi della doppia lettura, imposti dall’articolo 138 della Costituzione vigente, verranno scorciati da 3 mesi a 1 soltanto; in un anno e mezzo il processo riformatore dovrà essere completato, dopodiché sarà chiamato a pronunciarsi il popolo sovrano attraverso un referendum confermativo.

Ma a spulciare il testo del ddl, si scopre dell’altro. Per esempio, una meticolosa indicazione delle varie tappe parlamentari, e un’altrettanto scrupolosa prevenzione di qualunque forma di ostruzionismo o filibustering, tanto nel Comitato dei Quaranta (che pericolosamente evoca Alì Babà), quanto nell’aula di Montecitorio e di Palazzo Madama. 

Fonti politiche qualificate narrano un retroscena: nei giorni delle mozioni che diedero disco verde al treno delle riforme, il governo tentò di accorpare non solo il lavoro delle Commissioni Affari costituzionali, ma pure quello delle Assemblee di Camera e Senato. Senonché i senatori fiutarono la «trappola» (sono la metà dei loro colleghi deputati) che mirava a vincere le loro scontatissime resistenze al Senato delle Autonomie. 

Cosicché puntarono i piedi, e fecero saltare le sedute comuni del Parlamento... Il ddl varato ieri non ci ritorna sopra. In compenso, crea le basi per far marciare la riforma a colpi di Regolamenti, che sono un po’ come i binari dell’alta velocità parlamentare. Il ministro Franceschini anticipa che nell’esame del ddl al Senato il governo proporrà di adottare la procedura d’urgenza. Un’ansia di bruciare le tappe che lascia perplessa Emma Bonino. Nella riunione di governo, e senza peli sulla lingua com’è suo costume, il ministro degli Esteri ha invitato a non confondere l’urgenza con la fretta. Va bene non perdersi in chiacchiere, però la Costituzione non può essere trattata come se fosse un semplice regolamento di condominio...

Del tutto pedagogico, e senza invasioni di campo, il discorso con cui Napolitano si è rivolto ai 35 esperti governativi ricevuti sul Colle (in verità la lista delle consulenze accademiche comprende altri 7 professori, con compiti «redazionali»: Giuditta Brunelli, Anna Chimenti, Tommaso Edoardo Frosini, Vincenzo Lippolis, Nicola Lupo, Cesare Pinelli, Claudio Tucciarelli). Il Presidente ha esortato, secondo la testimonianza di Ceccanti, a non alimentare il pessimismo: i fallimenti del passato non pregiudicano il futuro. Anzi, «se in periodi storici così diversi il tema delle riforme si è riproposto, è la prova che un ripensamento dell’ordinamento costituzionale è davvero ineludibile».


da - http://lastampa.it/2013/06/07/italia/politica/riforme-via-alla-corsia-preferenziale-61kCwSfLCz6FhK9gdwb1eL/pagina.html
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« Risposta #269 inserito:: Giugno 15, 2013, 11:19:05 am »

Politica
13/06/2013

Due sentenze che cambieranno l’Italia


I destini politici del Paese sono legati a due pronunciamenti: quello della Corte costituzionale italiana sul legittimo impedimento di Berlusconi
e quello della Corte di Karlsruhe sullo scudo fiscale

Ugo Magri
Roma


Per una singolare coincidenza, i destini politici dell’Italia dipendono da due sentenze della Corte costituzionale. In un caso, però, si tratta della Corte italiana; nell’altro, di quella tedesca. Il 19 giugno la Consulta dovrà pronunciarsi sul «legittimo impedimento» di Berlusconi, che nelle vesti di premier il 1 marzo 2010 rifiutò di presentarsi a un’udienza del processo Mediaset. Il Tribunale stabilì che le giustificazioni del Cavaliere (riunione in Consiglio dei ministri da lui stesso convocata per varare il ddl anti-corruzione), non erano adeguate; per cui tenne l’udienza in assenza dell’imputato, il processo andò avanti e alla fine Berlusconi fu condannato a cinque anni di carcere (poi confermati in appello) più l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Se la Consulta desse ragione all’ex-premier, la sua posizione processuale potrebbe essere radicalmente rivista; se gli desse torto, sui colli più alti della Repubblica c’è il fondato timore che la vita stessa del governo potrebbe subirne i contraccolpi.

La Corte di Karlsruhe, invece, si pronuncerà dopo l’estate. Dovrà decidere se lo scudo con cui Draghi difende l’euro dagli assalti speculativi è consentito alla luce della Costituzione tedesca. I «falchi» di Germania sostengono di no. E argomentano, a colpi di ricorsi, che l’acquisto illimitato di titoli dai Paesi in difficoltà potrebbe caricare le nazioni virtuose (loro) di debiti contratti dalle solite «cicale» (noi).
Nell’ipotesi in cui questa tesi venisse sposata dalla Corte costituzionale, per le nostre finanze si annuncerebbero tempi cupi.
Con inevitabili riflessi negativi per le prospettive di rilancio dell’economica, su cui il governo Letta si gioca la propria credibilità.

Ciò che accomuna i due pronunciamenti è l’elevatissimo grado di imprevedibilità. Nessuno ha la ragionevole certezza di come andrà a finire. Motivo per cui i politici, tanto italiani quanto tedeschi, lanciano appelli al senso di responsabilità dei magistrati ma, sotto sotto, incrociano le dita.

da - http://lastampa.it/2013/06/13/italia/politica/due-sentenze-che-cambieranno-litalia-f7ZOWkR8O6cXjoTQDznc8L/pagina.html
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