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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229216 volte)
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« Risposta #195 inserito:: Aprile 04, 2012, 05:08:05 pm »

Politica

04/04/2012 - il punto

Sul lavoro prove di "governissimo"

Come faranno i tre maggiori partiti a ritrovare seri motivi di contrapposizione tra un anno?

Ugo Magri

Un interessante articolo del «Financial Times» ci rammenta stamane che non siamo affatto fuori dai guai. E che i mercati saranno più sereni nei nostri confronti solo quando avranno la certezza che, dopo Monti, ci sarà Monti medesimo (o un premier  il quale molto gli somigli).
Addirittura argomenta, il corrispondente del quotidiano britannico, che agli occhi sospettosi degli investitori internazionali certe riforme contano meno della serietà proiettata nel tempo. Insomma, tenerci Monti pure dopo il 2013 sarebbe più importante del tasso di rigore sull'articolo 18 e sui licenziamenti... Non si può non cogliere una sintonia tra questi giudizi e il nocciolo dell'intervista di Mario Calabresi al presidente del Consiglio su «La Stampa» di oggi: chiunque lo guidi, sostiene il Prof, all'Italia serve un governissimo di lunga durata.
 

L'accordo che si è definito stanotte sul lavoro va letto in questa prospettiva. Monti sacrifica qualcosa sul piano del rigore in cambio di più coesione sociale e politica. Non sarà contenta al cento per cento la ministra Fornero, eppure il presidente del Consiglio così dimostra che i grandi partiti possono sottoscrivere insieme non solo le misure per l'emergenza o le riforme della Costituzione, ma pure cambiamenti epocali in tema di diritti, vero grande spartiacque tra destra e sinistra d'antan. E il rimescolamento non sembra finire qui. Perché da cosa nasce cosa, un tabù tira l'altro, cosicché potrà accadere che Alfano, Bersani e Casini si accordino in breve tempo su Rai e Giustizia. Cavaliere permettendo.
 

Ma allora è lecito chiedersi come faranno i tre maggiori partiti a ritrovare seri motivi di contrapposizione tra un anno, dopo avere fraternamente condiviso un passaggio così impegnativo della vita italiana. Cosa mai potrà rappresentare un discrimine? La previsione di Monti ha la forza delle profezie che si autoavverano. Tra l'altro con la pistola puntata dei mercati: casomai qualcuno facesse finta di dimenticarlo, provvederebbe lo spread a rinfrescargli la mente...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449022/
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« Risposta #196 inserito:: Aprile 09, 2012, 05:26:10 pm »

Politica

09/04/2012 - IL PUNTO

Anche Monti consulta i sondaggi

Il Professore: io avrò perso consensi, ma per quanto meno popolare il mio governo è messo meglio di "altre entità"

UGO MAGRI

La puntata di Monti in Medio Oriente, per giunta a cavallo di Pasqua, non sposta ovviamente i termini del dibattito in Patria. Tuttavia certi giudizi del Professore, formulati ieri sera a margine di un incontro con il presidente israeliano Peres, sono il termomentro di un cambio di passo, quantomeno sul piano dell'autostima. Il presidente del Consiglio è intimamente convinto di avere fin qui svolto un eccellente lavoro, al punto da giudicare "forse meritati" gli elogi che raccoglie durante la visita.

Difende la "sua" riforma del lavoro, addirittura la definisce vantaggiosa per le imprese che la contestano. Ma le notazioni politicamente più interessanti riguardano il rapporto con i partiti della maggioranza. Monti in apparenza non è geloso del dialogo tra Alfano, Bersani e Casini; anzi, se ne attribuisce il merito, grazie al governo ci siamo messi alle spalle una stagione di bipolarismo aggressivo. Nello stesso tempo, il presidente del Consiglio segnala che ancora tanta, di strada, i partiti debbono percorre prima di potersi riproporre alla guida del Paese. Dice: io avrò perso consensi per effetto di misure durissime, ma per quanto meno popolare il mio governo resta comunque messo assai meglio di "altre entità" (espressione pudica che sembra riferirsi a Pd, Pdl e Terzo Polo).

La battuta più rivelatrice è quella sui sondaggi. Io non dovrei nemmeno guardarli, riconosce il Prof, "però a volte capita che lo faccia", aggiunge sorridendo. Il tema del consenso, insomma, non gli è affatto estraneo. E casomai qualcuno avesse in animo di scaricarlo, Monti ricorda che sarebbe un azzardo. Perché "non sono un politico e non devo concorrere alle elezioni", è il suo leit-motiv; ma se per caso cambiasse idea, o fosse indotto dalle circostanze a cambiarla, allora i partiti si troverebbero un competitor parecchio agguerrito e capace di sconvolgere qualunque pronostico.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449492/
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« Risposta #197 inserito:: Aprile 12, 2012, 03:37:31 pm »

Politica

12/04/2012 -

Monti deve recuperare Alfano per sfaldare il fronte ostile

UGO MAGRI
Roma

Se Monti non interviene in fretta, sulla riforma del lavoro rischia di saldarsi un fronte ostile. Non più solo Confindustria e la Marcegaglia: adesso pure il Pdl, col suo segretario Alfano, sembra deciso a puntare i piedi. Guarda caso, Emma e Angelino dovrebbero incontrarsi stamane.

Dovrebbero, in quanto nulla è chiaro e tutto perennemente in fieri; comunque ieri sera a via dell’Umiltà erano fiduciosi che la presidentessa degli industriali avrebbe accolto l’invito, in modo da concordare insieme gli emendamenti anti-Fornero. Sarebbe una svolta politica di qualche allarme per il Prof. Perché nessuno al momento è in grado di farlo cadere, non la Marcegaglia che tra poco più di un mese concluderà il mandato, e tantomeno il partito del Cavaliere (che in caso di elezioni andrebbe incontro a una sicura sconfitta, specie con la Lega in ginocchio); tuttavia Marcegaglia e Alfano uniti nella lotta potrebbero complicare assai la vita al governo, e rendergliela quasi impossibile.

Marcegaglia, secondo i collaboratori di Monti, ha già mostrato di cosa è capace scatenando la stampa internazionale contro i «cedimenti» sull’articolo 18. Le sono andati dietro giornali influenti come il «Wall Street Journal» e lo stesso «Financial Times»... Invece Alfano, volendo, è in grado di insabbiare una dopo l’altra quelle rivoluzioni che nell’ottica del Professore dovrebbero rifarci l’immagine agli occhi del mondo. Non solo la riforma del lavoro, ma pure la legge anti-corruzione, e una giustizia più spedita. Questo dicono in tono di minaccia ai vertici del partito. E aggiungono che qualora il Pdl optasse per una forma di resistenza passiva, ne avrebbe i numeri tanto in aula quanto nelle commissioni, sia alla Camera sia in Senato.

Un vero muro di gomma. Abbatterlo sarebbe impossibile. Perfino nel caso in cui Monti volesse imporre il voto di fiducia, non potrebbe chiederlo per ciascun articolo in discussione (il solo testo sul mercato del lavoro ne contiene una settantina).

Qualche forma di compromesso col Pdl sembra inevitabile, se il governo non vuole girare i pollici nei prossimi dodici mesi.
Guarda caso, Alfano chiede udienza al presidente del Consiglio. L’appuntamento è in sospeso, ieri sera l’agenda di Monti non era definita.
Nel Pdl hanno fretta, l’incontro vorrebbero che si tenesse oggi perché poi il segretario parte per la campagna amministrativa e fino a giovedì prossimo non rimetterà piede a Roma. Nessuno mette in conto che Monti possa sottrarsi al colloquio. Un po’ parleranno di Imu, un altro po’ di lavoro.
Alfano aveva dato via libera alla riforma Fornero, salvo sentirsi accusare dentro il partito di non essere stato abbastanza pugnace.
Per cui ha indurito i toni ed ora esige correzioni sulla cosiddetta flessibilità in entrata. Dirà a Monti che il partito è in rivolta, non si può fare altrimenti.
A capo della protesta c’è Cicchitto, estensore materiale di un comunicato durissimo contro la riforma e fiero avversario di Monti da quando venne sbertucciato per la famosa telefonata a Tokyo, che impedì al premier di guastarsi gli elogi di Obama. In politica le inimicizie nascono spesso così.

Potranno restare fuori dal colloquio la Giustizia e la Rai? Impossibile. Se Monti riceverà Alfano, se le ritroverà sul tavolo.
Nel primo caso l’intesa è vicina. Ieri la ministra Guardasigilli Severino ha dato buone speranze a Ghedini, il legale del Cavaliere:
l’anticorruzione viaggerà a braccetto con le intercettazioni e la responsabilità civile dei magistrati, sennò si fermerà tutto.

Quanto alle tivù, il mandato di Angelino è talmente chiaro che nemmeno avrà bisogno di illustrarlo al premier. Berlusconi non vuole scherzi sulle frequenze. Dunque non si azzardi il governo a procedere per decreto, come sembra deciso a fare. Specie se l’intenzione è di levarle al Biscione...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/449837/
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« Risposta #198 inserito:: Aprile 13, 2012, 11:42:21 am »

Politica

13/04/2012 - il punto

Alfano, Bersani e Casini collaborano tra loro, con Monti un pò meno

Nonostante le amministrative in vista, i tre maggiori partiti mostrano intesa e coesione.

Rapporti tesi col governo tecnico

Ugo Magri

Si registra da qualche giorno un fenomeno politico singolare: accade il rovescio di quanto sarebbe lecito aspettarsi.
Sulla carta, con l'avvicinarsi delle Amministrative (mancano tre settimane) e ancor più con le Politiche in vista (tra neppure un anno) dovrebbe schizzare alle stelle la tensione nell'ambito della strana maggioranza che sorregge il governo; secondo i manuali del machiavellismo classico, «A-B-C» sarebbero obbligati a darsele di santa ragione.

E sempre in base alle teorie degli scienziati, i tre maggiori partiti dovrebbero fare a gara nel sostegno a Monti, in modo da assorbirne una po' di luce riflessa. In sintesi: pessime relazioni tra loro, ottime con il presidente del Consiglio. Si sta verificando l'esatto contrario... Sfidando le leggi gravitazionali che regolano la politica, i partiti collaborano alacremente. Grandi sforzi comuni, in queste ore, per spingere avanti e in fretta la leggina sulla trasparenza dei bilanci. Via libera definitivo al pacchetto di riforme della Costituzione. Intesa di massima sui nodi della giustizia, compresa la responsabilità civile dei magistrati e addirittura le intercettazioni. Sulla legge elettorale permane incertezza, ma è palese lo sforzo di trovare un minimo comune denominatore (lo stesso Berlusconi, dicono nel Pdl, si sarebbe convinto da ultimo a rompere gli indugi).

E sulla riforma del lavoro, chiaro appare l'intendimento di non farsi troppo male a vicenda. Alfano si è ben guardato dall'esasperare le difficoltà di Bersani sull'articolo 18, ora si attende che il segretario Pd usi lo stesso garbo nei suoi confronti. Con Monti le relazioni, viceversa, appaiono un tantino tese. Almeno per quanto concerne i due più grossi partiti, è palese la freddezza nei confronti del premier.
Nel Pd non sono ancora del tutto dissipate le scorie del faticoso accordo sulla flessibilità in uscita; nel Pdl cresce il nervosismo sulla flessibilità in entrata. Risulta che l'incontro di ieri tra il Professore e Alfano non sia andato nel migliore dei modi possibili.

Ed è sintomatico che nessun partito abbia accolto la disponibilità governativa a intervenire con un decreto nella materia del finanziamento pubblico: segno evidente che i «Tre Moschettieri» hanno preferito fare da sé.

Dei tecnici si fidano, ma fino a un certo punto e, ultimamente, parecchio meno.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450018/
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« Risposta #199 inserito:: Aprile 17, 2012, 12:02:52 pm »

Politica

17/04/2012 - retroscena

E il Cavaliere si sfoga: "Scene assurde e inventate il copione è scritto da altri"

UGO MAGRI
Roma

Ghedini si è fatto vivo nel bel mezzo dell’udienza, con la voce scossa, anzi quasi incredula: quelle ragazze «stanno raccontando di tutto e di più», ha messo in guardia Berlusconi.

Il quale a sua volta non voleva crederci, «hanno riferito ai giudici particolari assurdi, scene palesemente inventate, cose che proprio non esistono», è lo sfogo pomeridiano con gli amici. Al Cavaliere sembra tutta una follia, anzi parecchio di peggio perché nelle accuse delle «fanciulle» (così insiste a chiamarle dopo tutto quanto è successo) l’ex premier vede l’esatto contrario di un testimonianza sincera, semmai una lezioncina mandata a memoria, «come se stessero recitando il copione scritto da altri», e chi siano questi «altri» non sembra difficile immaginare.

Giura di non essere preoccupato per l’esito del processo, insiste di avere lì pronti «settanta ospiti in grado di dimostrare che le mie famose cene erano distinte e gioiose», non quei festini a luci rosse che misero in fuga, scandalizzate, Imane Fadil e le altre testimoni dell’accusa.

Quanto a Ruby, ostenta sicurezza: «Ho le carte per provare che ne parlai con Mubarak, gli chiesi espressamente se con la ragazza ci fosse una parentela», e l’allora presidente egiziano «non lo smentì. Tra l’altro in quei giorni «l’Italia stava mediando per la liberazione di due svizzeri detenuti a Tripoli», nel ginepraio nordafricano era meglio tenerseli tutti amici, libici, egiziani... Per farla breve, è la giustificazione quasi disperata di Berlusconi, «solo dopo scoprii che era tutta una bugia, a cominciare dalla nazionalità di Ruby, marocchina altro che egiziana. Da quel momento smisi di occuparmene».

Chi parla con Berlusconi lo descrive «a pezzi», un uomo in autentica difficoltà. L’uomo, appunto, non il politico. Perché l’ex presidente del Consiglio ormai si difende soprattutto (così assicura) per salvare la reputazione ammaccata da queste «intrusioni nella mia privacy». Tornare in sella per la quinta volta è un sogno al passato. «Non mi candiderò più, come lo debbo ripetere?», ripete. Se il fine era cacciarlo da Palazzo Chigi, quasi implora, «inutile che insistano»: obiettivo raggiunto. Nello stesso tempo aggiunge: «A questo punto mi difendo solo ed esclusivamente per l’onore della famiglia, voglio tutelare i figli, i nipoti, questa macchia non deve esistere. Ho giurato che a casa mia mai si è svolto alcun atto di sesso, nulla di quello che viene detto...».

Le vicende giudiziarie lo assorbivano da premier, figurarsi adesso che la politica è in mano ad altri. Risponde di rado alle telefonate da Roma, invano lo cercano per trascinarlo nelle faide interne di partito, i contatti con Monti si sono diradati. Eppure qualche idea Berlusconi se l’è fatta. Per esempio, spiega da giorni ai suoi, «temo che la riforma elettorale alla tedesca non andrà in porto perché Bersani e il Pd troveranno più conveniente andare subito alle urne dopo la debacle delle Lega, anche con questa legge».

Scommette: «Vorrebbero votare in ottobre» per vincere a mani basse «con l’aiuto di Casini». E correndo da solo, non si dà pace il Cavaliere, l’Udc «dividerà il fronte moderato; se ciascuno va per conto suo, non potremo mai vincere contro la somma delle sinistre». Per cui Silvio tende a procrastinare la resa dei conti, preferirebbe che la legislatura giungesse alla naturale scadenza del 2013 e cerca di mostrarsi duttile, responsabile. «Io ci provo, evito di creare problemi sebbene il governo stia seguendo una linea troppo filo Merkel e fondata su un incremento delle tasse che aggrava la recessione». Cerca di tenere i nervi saldi, spiega, per non cadere nelle provocazioni causando il voto anticipato. «Però non tutti sono responsabili diversamente dal sottoscritto», sospira.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450408/
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« Risposta #200 inserito:: Aprile 18, 2012, 03:59:58 pm »

Politica

18/04/2012 - Retroscena

L'ombra del Cavaliere sul vertice

Domani Berlusconi pranza dal premier. Bersani irritato. Tregua armata sulle frequenze tv

UGO MAGRI
Roma

Un’ora di diapositive: così è incominciato il vertice di Monti con i tre segretari. E come spesso in questi casi, grandi sbadigli perché sullo schermo non sono state proiettate belle fotografie, tipo quelle del Professore in viaggio nel Medio Oriente tra Gerusalemme e le Piramidi, bensì tabelle e diagrammi illustrati dal ministro Passera circa i possibili interventi per la crescita. Con una serie
di anticipazioni del Programma per le riforme che verrà presentato oggi in Consiglio dei ministri.

Grande la folla di buoni propositi ma soldi per implementarli pochi, anzi praticamente zero se si dà retta alle voci da dentro. Le quali sussurrano che la discussione si è poi animata, perché «A-B-C» gareggiano nel chiedere più crescita e in fretta, dopo i sacrifici la gente vorrebbe scorgere la luce in fondo al tunnel.

Quindi spingono per qualche sforzo finanziario tangibile, altrimenti il rischio è di fare solo chiacchiere. Laddove il presidente del Consiglio, spalleggiato dal viceministro Grilli, è meno preoccupato dal consenso e più dai mercati che attendono un passo falso del governo per poter dire «ecco i soliti italiani, hanno già abbandonato il rigore...».

Alla fine commenti soddisfatti, almeno sulla crescita l’intesa pare sia stata raggiunta: da un incontro durato quasi sei ore, era il minimo che ci si potesse aspettare. Su tutto il resto, meglio andarci cauti. La carne al fuoco era tanta, alla fine i protagonisti sono scappati come saette, solo oggi capiremo come se la sono cavata.

A cominciare da Bersani, che s’è presentato da Monti con i guantoni del pugile. Deciso a strappare qualche denaro per i Comuni, un po’ di sostegno dalla Cassa depositi e prestiti, insomma segnali concreti di stimolo all’economia perché «così le cose non vanno», dicono nel suo giro, di troppo rigore l’Italia potrebbe morire.

Inevitabili le scintille con Grilli e pure una certa freddezza nei confronti del Professore. Il quale ha
fatto rendere noto, sul sito del governo, un incontro fissato per domani a pranzo con Berlusconi. Addirittura, se sono vere le voci dal Plebiscito, sarebbe stato Monti a sollecitarla (sebbene pure Berlusconi non chiedesse di meglio). Misteriosi i perché.

Qualcuno azzarda che il presidente del Consiglio senta puzza di bruciato, avverta il rischio di elezioni a ottobre, dunque cerchi sponde dove è certissimo di trovarle, cioè nel Cavaliere preoccupato dalla prospettiva delle urne. Però questo incontro mette doppiamente in difficoltà Bersani.

Figurarsi come reagiranno nel suo partito se domani Monti farà felice Silvio sulle frequenze: chiederanno al segretario Pd che cosa è andato a fare ieri notte a Palazzo Chigi, se poi le decisioni vere Monti le prende direttamente col Cavaliere perfino su temi come l’emittenza tivù. E Bersani si
domanderà a sua volta se può considerare Alfano un interlocutore , dal momento che poi Angelino viene scavalcato senza scrupoli di sorta dal fondatore di Forza Italia.

Non è solo una questione di immagine. Siamo al paradosso per cui un ultrà berlusconiano come l’ex ministro Romani ha tentato ieri mattina di dettare al segretario Pdl l’agenda del vertice, creando un caso sull’asta delle frequenze e accusando il governo, Passera in particolare, di avere preso nottetempo accordi con il Pd per mettere fuori gioco Rai e Mediaset; però nel giro di Bersani si nega la circostanza, «nessun incontro con il ministro». E curiosamente perfino nello staff del Cavaliere qualcuno ipotizza che Romani abbia semplicemente voluto farsi bello col Capo, mostrandosi vigile e reattivo su una materia (le tivù) che ad Arcore notoriamente interessa.

Fatto sta che, all’incontro da Monti, della questione frequenze non si è nemmeno parlato. Solo di crescita e un po’ di Giustizia per mettere il timbro ufficiale sui patti già raggiunti dalla ministra Severino con i partiti della maggioranza. E con l’avvocato Ghedini.

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/450617/
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« Risposta #201 inserito:: Maggio 08, 2012, 04:41:57 pm »

Politica

08/05/2012 - IL PUNTO

Monti andrà fino in fondo ma sotto l'egida di Bersani

Così il voto delle amministrative cambia le prospettive dei partiti

Ugo Magri
Roma

Visto con gli occhi stranieri, ad esempio quelli solitamente attenti del «Financial Times», il risultato delle Amministrative in Italia merita un colonnino basso a pagina 4 con il titolo «Spostamento a sinistra». Dove si annotano l'avanzare della protesta nonché le «sostanziali perdite» del Pdl berlusconiano (ma senza le esagerazioni nostrane di giudizio). E dove si registrano le difficoltà di Monti, unica cosa che in questo momento all'estero interessi. Per cui vale la pena domandarsi se davvero il Prof corre pericoli, e di che tipo.

Finché a destra prevale la ragione sulla disperazione, da quella parte il governo non deve temere nulla. Berlusconi sa meglio di tutti che, se si votasse in autunno, verrebbe spazzato via. Dunque farà qualunque cosa per impedirlo diventando volta a volta concavo e convesso. Abbaierà senza possibilità di mordere nella speranza di arrivare a fine legislatura. A che gli serve guadagnare tempo? Per esempio a ricucire un blocco di alleanze con la Lega maroniana, e a capire le intenzioni del Terzo Polo, le cui ambizioni non sono state certo premiate dal voto del weekend. Le impuntature nei confronti del governo (sulle tasse e non solo) avranno sapore propagandistico, senza mai arrivare però alle conseguenze estreme. Sarà un «vorrei ma non posso».

Situazione rovesciata a sinistra, dove Bersani potrebbe mettere fine all'esperienza dei «tecnici», e a sentire alcuni gli converrebbe pure; però lui non vuole giocare d'azzardo, il segretario Pd non è proprio il tipo. Inoltre lo spostamento a sinistra (nella interpretazione del «Financial Times») gli permette di farsi portare dalla corrente senza remare troppo. Potrebbe essere l'Hollande italiano. Per cui, fintanto che il governo darà retta al Pd, nemmeno da quella parte Monti avrà nulla da temere. Ma sarà sufficientemente flessibile, il Professore, da prendere atto che lo stallo politico da cui il suo governo nacque non è più tale? E che la «golden share» a questo punto ce l'ha. Il Pd? Tutto fa ritenere di si. Per cui, più che elezioni a ottobre, sembra lecito attendersi un altro anno di legislatura con Monti a Palazzo Chigi, però sotto l'egida di una sinistra che si prepara a governare.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453373/
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« Risposta #202 inserito:: Maggio 09, 2012, 02:39:04 pm »

Politica

09/05/2012 - il punto

La bozza non supera il test del voto

Per la legge elettorale è tutto da rifare

Pierluigi Bersani, leader Pd, è tornato alla proposta originale del doppio turno. Punta a trasformarsi nell'Hollande italiano

Pd e Pdl pronti ad archiviare la riforma per puntare a vincere

Per i centristi una doccia gelata

UGO MAGRI
Roma

Sulla legge elettorale è tutto da rifare. Un mese e mezzo fa la riforma sembrava a portata di mano in virtù della cosiddetta bozza Violante, escogitata dall'ex presidente della Camera. Trattavasi di un mix tra sistema spagnolo (fortemente maggioritario) e modello tedesco (proporzionale con soglia di sbarramento). In pratica un ritorno all'antico, alle dinamiche della Prima Repubblica con qualche sostanzioso correttivo a vantaggio dei grandi partiti. Ebbene: questa bozza di riforma non ha superato il test delle Amministrative. Né il Pd né il Pdl sembrano più intenzionati a mandarla avanti. Si sono accorti che, invece di risolvere i loro problemi, finirebbe per aggravarli. Anziché porre un freno alla proliferazione dei partiti, la riforma su cui stavano per mettersi d'accordo avrebbe avuto l'effetto di scatenare altre spinte centrifughe. E d'altra parte, a cosa servirebbe mettere una soglia di sbarramento quando i famosi buoi sono già scappati dalla stalla? Oltre a Pd e Pdl, si contano ben cinque partiti in grado di superare l'asticella: Lega, Sel, Idv, Grillo, Udc e forse pure Fli... Così non può andare, si sono detti tanto Bersani quanto Alfano. Cosicché il primo è tornato alla proposta originaria del doppio turno, nella prospettiva di incarnare tra un anno l'Hollande italiano. Quanto al secondo, non è ben chiaro su un quale modello potrebbe attestarsi (nel Pdl le voci sono tante e discordanti), ma di sicuro non gradisce più un modello proporzionale che favorirebbe la fuga degli elettori Pdl verso altri lidi.

Contatti sono in corso tra i due maggiori partiti per tessere una nuova tela. Ieri sembrava addirittura che i «berluscones» fossero disposti a convergere sul modello francese, in modo da accaparrarsi gratis nel secondo turno una quota di elettorato leghista e Udc. Però il Cavaliere non si fida dei suoi «tecnici», sogna ancora di vincere e ritiene che questo sistema sarebbe più vantaggioso per gli avversari. È possibile che alla fine si trovi un compromesso su qualche variante della legge attuale, il famigerato Porcellum. Ad esempio introducendo le preferenze o i collegi al posto delle attuali liste bloccate; inoltre aggiustando il premio di maggioranza in Senato. Ai vertici dei due partiti maggiori li considerano dettagli tutto sommato secondari. L'importante, dicono, è salvare il bipolarismo.

Per i centristi in particolare, si tratta di cattive notizie. Non solo sono rimasti delusi da un turno amministrativo dove avevano riposto tante, troppe aspettative. Adesso si trovano schiacciati su un governo che giorno dopo giorno perde gli iniziali connotati di popolarità; debbono competere con una folla di partiti più o meno della loro stazza; e come se non bastasse rischiano di votare nel 2013 con una legge elettorale molto diversa da quella che li aiuterebbe. Una morsa si va stringendo su Casini, Fini e Rutelli. Tra l'altro sempre meno uniti: nella campagna delle Amministrative, nemmeno un comizio insieme...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453505/
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« Risposta #203 inserito:: Maggio 11, 2012, 12:13:13 pm »

Politica

11/05/2012 - il punto

I "falchi" di centrodestra smentiti dal Cavaliere

Ugo Magri
Roma

Un confuso vociare proveniente dal Pdl aveva fatto credere per tre giorni che il governo Monti fosse sull'orlo della crisi. Lo accusavano di tutto e di più, in particolare di aver preso misure incompatibili con l'elettorato di centrodestra sulle tasse in generale, sull'Imu in modo speciale. E poi di avere depresso l'economia (lamentela comune al centrosinistra). Inoltre di non avere battuto abbastanza i pugni sul tavolo a Bruxelles. Insomma, era colpa del Professore e delle sue politiche se le Amministrative erano state una mezza catastrofe... Martedì sera, in una riunione notturna da Berlusconi, quasi tutti i gerarchi Pdl avevano fatto a gara nel dare addosso al governo. Al punto da allarmare Gianni Letta il quale (nel racconto di un testimone) era dovuto piombare a Palazzo Grazioli come il Settimo Cavalleggeri per dire in sostanza: «Mica sarete così matti da fare cadere il governo in queste condizioni!».

Tutti avevano invocato una parola dal Cavaliere, e la parola ieri sera è arrivata. Molto diversa, tuttavia, da quella che i più scalmanati si aspettavano dal Capo. Anziché bombardare Monti e il governo, Berlusconi si è esibito in un concerto di flauti e violini. Ha sostenuto l'urgenza di fare le riforme della Costituzione insieme con il Pd. Addirittura, con una ricostruzione che lascerà interdetti gli storici del futuro, Silvio ha sostenuto che le sue dimissioni ebbero luogo proprio per favorire questo dialogo. Dunque l'esatto rovescio di quanto i «falchi» Pdl avrebbero voluto ascoltare. Diversamente da molti dei suoi, Berlusconi non si fa trasportare dagli istinti animali. Sa perfettamente che, se in questo momento provocasse la crisi e le elezioni, il centrodestra verrebbe spazzato via dalla politica italiana per un lungo lasso di tempo. Dunque se ne guarda bene.
 
Per Monti il pericolo non viene da destra. E molto probabilmente neppure da sinistra. Sembra nelle condizioni per continuare un altro anno il suo lavoro. L'unica sua cautela dovrà consistere nel non farsi trascinare nelle dinamiche di una lunga campagna elettorale, appena incominciata. Ma nessun vero fantasma di crisi gli impedisce di portare avanti il suo piano di riforme. Quanto alle critiche, fanno parte del gioco, e nessuno se ne deve offendere più di tanto... La lettera al Capo dello Stato, con l'impegno a realizzare con determinazione il mandato ricevuto, è la prova che pure il Professore se ne va convincendo.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/453760/
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« Risposta #204 inserito:: Maggio 24, 2012, 10:42:32 am »

Politica

22/05/2012 - IL PUNTO

La stagione di "Abc" è già alle spalle


Il voto amministrativo moltiplica le nevrosi. Non sarà l'avanzata di Grillo a far cadere il governo

UGO MAGRI


Su Monti i ballottaggi hanno uno scarso impatto. Non sarà l'avanzata di Grillo a far cadere il governo tecnico. Nè i partiti della maggioranza se la sentiranno di staccargli la spina. Tuttavia il voto amministrativo avrà l'effetto di moltiplicare le nevrosi. Per cui il Prof andrà avanti fino al termine del suo mandato, su questo è difficile dubitare, però tra mille ostacoli e un'infinità di «distinguo».

Anche ammesso che il suo carnet preveda ulteriori impegnative riforme, metterle in pratica non sarà una passeggiata. La buona notizia per Monti è che nessuno vuole mandarlo a casa. Bersani, cioè colui che da eventuali elezioni anticipate avrebbe maggiormente da guadagnare, è uscito relativamente bene dal test locale. La «cura Monti» è sopportata dal suo popolo con paziente rassegnazione. Il tempo lavora per il segretario Pd che non deve fare nulla, semplicemente lasciarsi trascinare dalla corrente verso la vittoria del 2013. Escluso che, per ansia o ingordigia, Bersani voglia prendersi il rischio di mandare tutto all'aria. Identico discorso (ma rovesciato) per Alfano e Berlusconi: dal momento che la sconfitta alle Politiche sembra inaluttabile, i due non hanno alcuna ragione per affrettarla. Mai si sono visti i capponi che smaniano per festeggiare il Natale. Una corrente di pensiero interna al Pdl sostiene che, aspettando la primavera 2013, per il centrodestra le cose potranno soltanto peggiorare, meglio dunque interrompere l'agonia.

Il Cavaliere, però, non la pensa così. Come Andreotti, anche Silvio è convinto che tirare a campare sia meglio di tirare le cuoia. Neppure da lui Monti deve temere sgambetti. Tuttavia il Pdl (sia pure soltanto per onore di firma e nella speranza di perdere almeno con dignità) sarà obbligato a puntare i piedi ogni qualvolta i provvedimenti governativi andranno a ledere gli interessi del suo elettorato di riferimento. Sulle tasse in particolare il centrodestra diventerà intrattabile. Così come difficilmente il Pd (esposto alla concorrenza grillina e dipietrista) sarà disposto a concessioni su questione morale e giustizia. La breve stagione di «A-B-C» sembra già alle spalle.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/455160/
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« Risposta #205 inserito:: Giugno 06, 2012, 05:04:10 pm »

Politica

06/06/2012 - IL PUNTO

La sorte del governo si gioca in Europa

Bersani conferma l'impegno a votare nella primavera 2013.

Berlusconi contrario alle elezioni anticipate. Ma aumenta l'insofferenza verso Monti

Ugo Magri
Roma

Le smentite di Bersani (una sola non è bastata) allontanano per il momento le urne. Il segretario Pd conferma l'impegno a votare nella primavera 2013 invece che tra quattro mesi, come aveva ipotizzato il responsabile economico del suo partito, Fassina. Né Monti deve temere agguati dal Pdl. Dove cresce, è vero, l'insofferenza nei confronti del governo; però Berlusconi è contrario al voto, e finché Silvio non darà il benestare da quelle parti nessuno avrà il coraggio di compiere l'affondo decisivo. Qualora non bastasse, sul Colle vigilia Napolitano che, notoriamente, considera sciagurata l'ipotesi di elezioni prima della scadenza. La sua «moral suasion» già da sola è sufficiente a frenare i propositi di crisi. Ciò significa che Monti può considerarsi al riparo da brutte sorprese? In tempi normali la risposta sarebbe sì, il governo non avrebbe nulla da temere. Purtroppo i tempi che viviamo tanto normali non sono, per motivi indipendenti tanto dal Cavaliere quanto da Bersani.

Siamo a ridosso di un voto in Grecia (17 giugno) che potrebbe spalancare la strada alla dissoluzione della moneta unica. Se la nuova maggioranza ad Atene non sarà disposta a onorare i patti con l'Europa, ondate di panico si propagheranno sui mercati finanziari. Non solo il Portogallo o la Spagna si troveranno seriamente nei guai, ma pure l'Italia vivrà momenti terrificanti. Obama allarmatissimo preme perché l'Europa, e la Germania in particolare, si diano una mossa, tirino fuori qualche idea prima che sia troppo tardi. Decisivo sarà il G20 in Messico (18-19 giugno), e ancor di più importante il Consiglio europeo di fine mese. C'è da fare gli scongiuri. Qui torniamo alla vicenda italiana. Perché se, dio non voglia, la crisi dovesse avvitarsi, e se lo spread per conseguenza schizzasse a livelli record, pari o superiori a quelli che misero in ginocchio Berlusconi, gli argomenti a favore del governo tecnico sarebbero politicamente indeboliti assai.

Risulterebbe chiaro che l'epicentro del terremoto finanziario sta in Europa; che tutto sia quanto si poteva fare in casa nostra è stato già fatto (comprese riforme lacrime e sangue come l'aumento dell'età pensionabile); che insomma a questo punto si tratta di negoziare molto duramente con la Germania una via d'uscita dal tunnel, stabilendo le giuste alleanze sul piano internazionale. Crescerebbe la pressione politica su Monti, gli si chiederebbe di sbattere i pugni sul tavolo. E casomai il Professore non lo facesse, nell'ora dell'emergenza sicuramente a qualcuno verrebbe in mente di invocare nuove elezioni in tempi brevi, così da avere un governo pienamente legittimato dal popolo ad alzare la voce in Europa. Sono scenari disperati che nessuno si augura, ma dietro le quinte (nonostante le smentite) se ne discute.

DA - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/457141/
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« Risposta #206 inserito:: Giugno 18, 2012, 04:52:05 pm »


Politica

16/06/2012 - GIUSTIZIA, IL NUOVO FRONTE

Alfano: no alla fiducia sulle toghe

L'altolà del segretario Pdl sulla responsabilità civile dei giudici. Poi annuncia: "Ho invitato Vittorio Feltri alle primarie"

UGO MAGRI
Roma

Alfano estrae dalla fondina la Colt e la punta contro il governo. Guai se si azzarderà a imporre una mediazione sulla responsabilità civile dei magistrati, nel qual caso partirebbe un colpo.

Meglio che il Prof se ne tenga alla larga... Sulla falsariga del duro discorso di Cicchitto alla Camera, ma con il piglio autorevole del segretario, Angelino invita Monti «a non porre la fiducia» perché, «se ci sarà da scegliere di stare con il governo o dalla parte dei cittadini, il Pdl sceglierà i cittadini e non voterà la fiducia».

Cioè manderebbe tutto all’aria in nome del principio che «chi sbaglia paga, e devono pagare pure i magistrati». La resa dei conti non sembra dietro l’angolo, la ministra della Giustizia Severino giudica «prematuro» addirittura parlarne, certo non ha fretta di trasformare il Senato in un saloon. Più urgenza semmai ha il Pdl di restituire le sberle incassate alla Camera sull’anti-corruzione, e soprattutto di mostrare al proprio pubblico che non è l’ombra di se stesso, come certi sondaggi farebbero immaginare.

Secondo la Swg, la creatura berlusconiana sarebbe crollata al 15 per cento, come dire che dimagrisce al ritmo di un punto a settimana. Altri istituti di rilevazione danno il Pdl un po’ più in carne, tra il 16 e il 19 per cento, nessuno però oltre il 20.

Alfano si batte come può, convoca la Direzione del partito per il 27 giugno, alla vigilia del vertice Ue; la prossima settimana lancerà una serie di proposte economiche cui lavora alacremente l’ex ministro Brunetta (si era ipotizzato il contributo di 4 premi Nobel, nessun apporto richiesto invece a Tremonti).

Grande attenzione al vivaio, con la Meloni che lascia la guida del movimento giovanile (potrebbe correre nelle primarie), al suo posto il trentenne Perissa e, quale portavoce, la piemontese Montaruli. Ma su tutti gli sforzi del segretario incombe sempre l’incognita Berlusconi.

Perfino chi rifiuta di inseguire i pettegolezzi non può non registrare uno sciame sismico di voci che, solitamente, preludono a qualche grosso sconquasso. Silvio pare sempre più scontento del partito dato in gestione un anno fa, considera l’attuale dirigenza come una «Zattera della Medusa» persa tra le onde, dove ognuno mira solo a salvarsi senza una vera meta. È certo che non ha per niente messo da parte il progetto, bocciato da Alfano & C durante l’ultimo ufficio di presidenza: una fioritura di liste civiche le più variopinte, fatte come e con chi dice lui.

Da quella «rivoluzionaria» che Sgarbi ha già presentato, a quella animalista della Brambilla; dal progetto ancora in gestazione che dovrebbe vedere in campo l’ex capo della Protezione civile Bertolaso, nel contesto della candidatura udite udite di Gianni Letta a sindaco di Roma, per finire con l’ultimo colpo di genio della Santanché.

La quale sta organizzando una sua lista che punta al 10 per cento, e ha sondato una firma tra le maggiori del giornalismo italiano, Vittorio Feltri, casomai si candidasse. La notizia si è diffusa via Twitter. Lui è tentato, ma non ancora convinto. Se si farà vivo Berlusconi, in quel caso valuterà. Nel frattempo guarda caso l’ha già chiamato Alfano per invitarlo a correre, semmai, nelle primarie del Pdl. Però Feltri assicura che l’invito non c’è stato, solo una telefonata per professare amicizia e stima.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/458649/
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« Risposta #207 inserito:: Luglio 05, 2012, 11:50:07 am »

Politica

03/07/2012 - RETROSCENA

Il premier a partiti e sindacati: informo ma non contratto

Si torna alla linea usata per la riforma delle pensioni

UGO MAGRI
Roma

Monti prova a surfare l'onda del successo europeo per riprendere slancio in Italia e superare le resistenze delle corporazioni, dei sindacati, dei partiti.

Tornato da Kiev (deviazione di cui forse, col senno di poi, avrebbe fatto a meno), il Prof è concentratissimo sulla «spending review».

Dei tagli di spesa il governo ha maledetta urgenza, anzitutto per evitare l'aumento dell'Iva (scatta il 30 settembre), ma anche per pagare il conto del terremoto in Emilia. Lancerà due assalti a ondate successive. Il primo venerdì, in coincidenza con il prossimo Consiglio dei ministri, o al massimo entro questo weekend, per definire i tagli immediati dell'anno in corso.

L'altro assalto, attraverso misure che a Palazzo Chigi qualcuno definisce «più strutturate», seguirà a ruota e riguarderà i risparmi degli anni successivi. Qualcosa di meglio ne capiremo oggi, quando Monti vedrà parti sociali e rappresentanze degli enti locali. Escluso tuttavia che il premier intenda scoprire le carte. Anche se volesse, non potrebbe: la riunione interministeriale di ieri non ha sciolto tutti i nodi, ai ministri serve un supplemento di ingegno per venirne a capo.

Ma la vera ragione che vieta a Monti di spiattellare l'intero pacchetto di tagli è una questione di metodo. E il metodo, mettono in chiaro fonti accreditate, non sarà certo quello della contrattazione coi sindacati, tantomeno coi partiti. Più che di cercare preventivamente un consenso politico e sociale, il presidente del Consiglio si sforzerà di far intendere a tutti l'alternativa secca, l'aut-aut ineludibile tra tagli e nuove tasse, tra risparmi di spesa e aumento della pressione fiscale a livelli insopportabili.

Informerà per grandi linee e quindi procederà, stavolta per decreto, niente disegno di legge aperto a tutte le modifiche. Scottato in parte dall'esperienza sul mercato del lavoro (riforma snaturata a furia di emendamenti), Monti è deciso a tornare all'antico, perlomeno così lo descrivono i collaboratori più stretti, cioè al «prendere o lasciare» che ebbe successo sulle pensioni: messi alle corde, sindacati e partiti furono costretti a inghiottire il rospo. D'altra parte, come intendere diversamente il «basta tirare a campare» pronunciato ieri sera dal presidente del Consiglio?

Poi, si capisce, per quanto «tecnico» Monti è politicamente tutt'altro che sprovveduto. Prima di mettere il timbro sul decreto, i contatti non mancheranno né con le centrali sindacali né con le segreterie dei partiti. Da Palazzo Chigi è già arrivata a via dell'Umiltà e a San'Andrea delle Fratte la richiesta di indicare i nomi degli ufficiali di collegamento cui sottoporre in segreto le bozze di riforma.

Sebbene non abbiano ancora ricevuto convocazioni, Alfano Bersani e Casini danno per probabili colloqui separati con il premier alla vigilia del varo, si tengono pronti per giovedì. Nel Pdl qualcuno più ottimista scommette che i tagli faranno più male a sinistra che a destra. Di sicuro dalle parti di Bersani c'è parecchio disagio, causa le voci di intervento sugli statali e ancor più di salasso al bilancio delle Regioni. «Ci riserviamo di cambiare e correggere in aula il decreto», anticipa il responsabile economico Fassina.

Meno ansia di essere convocati si coglie nei centristi, dove Rao (fedele interprete di Casini) denuncia i rischi di «una trattativa formale che si tradurrebbe nella voglia di piazzare bandierine». Però questo pericolo, garantiscono dalle parti del premier, non verrà corso. La «spending review», aggiungono, vedrà la luce senza estenuanti mediazioni. Se vuole strappare all'Italia gli ultimi sacrifici nel nome dell'Europa, Monti sa che deve cogliere l'attimo, il momento è ora o mai più.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/460980/
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« Risposta #208 inserito:: Luglio 11, 2012, 11:13:35 pm »

Politica

11/07/2012 - RETROSCENA

L'idea di firmare un impegno con l'Ue fa tremare Pdl e Pd

I primi effetti dell'annuncio del Professore

UGO MAGRI
Roma

Prima ancora che Monti ribadisse la sua decisione di lasciare tra 9 mesi, da destra e da sinistra gli avevano già intimato lo sfratto.

«Io penso che l'Italia abbia il diritto di essere una democrazia come le altre», era quasi insorto Bersani, per una volta in sintonia con il suo rivale Renzi («Se vuole rifare il premier, Monti deve essere votato»). Di Pietro non ne parliamo, i tecnici «riconsegnino il paese alla politica»: proclama condiviso da vaste aree del Pdl.

Un coro, insomma, per dire a Monti che non gli saltasse in mente di affezionarsi al ruolo di salvatore della patria. Finché da Bruxelles è arrivata la nuova puntualizzazione del Prof, il quale «esclude di considerare un'esperienza di governo che vada oltre le prossime Politiche», così il processo alle intenzioni di Monti si è un po' acquietato.

In compenso grande inquietudine sta suscitando, nei palazzi romani, un altro spettro evocato dal presidente del Consiglio subito dopo l'Ecofin: il fantasma del Memorandum. Monti non ha per nulla escluso che, nel caso di spread fuori controllo, l'Italia possa chiedere soccorso al Fondo salvastati; anzi, per la prima volta ieri ha dato l'impressione che prima o poi ciò potrà accadere.

Precisando che per l'Italia non sarebbe comunque un'umiliazione: a differenza della Grecia dovremmo sottoscrivere con l'Europa una lista di impegni molto meno gravosa, in pratica la conferma di quanto stiamo facendo, appunto «un memorandum in versione light». Ed è qui che nei partiti, oltre che nelle sedi istituzionali più nobili, si è subito accesa la spia rossa di allarme. Per quanto possa essere «light» e dunque dietetico, un Memorandum siffatto risulterebbe comunque indigesto a parecchi.

Secondo le fantasie più scatenate di queste ore, potrebbe addirittura provocare un «Big Bang» della politica italiana, destrutturando i poli da una parte e dall'altra. Proviamo a immaginare lo scenario, così come lo descrive un esponente del Pd tra i massimi: «Figurarsi se la Germania darebbe via libera agli aiuti senza prima avere avuto precise garanzie che non stracceremo i patti subito dopo le prossime elezioni».

Proprio come accadde in Grecia, l'eventuale Memorandum dovrebbe essere sottoscritto non solo dal Parlamento uscente, ma da tutti i leader impegnati nella campagna elettorale...

Logico domandarsi come potrebbe reggere, a quel punto, la famosa «foto di Vasto» (Bersani con Di Pietro e Vendola). E come farebbe Bersani a firmare il Memorandum, per poi tenere comizi insieme con chi contesta la linea dei sacrifici.

Ai piani alti del Pd c'è già chi giudica, semmai, più probabile un'alleanza con Casini. Oppure (dipenderà dalla legge elettorale) larghe intese pure per gli anni a venire... Identico discorso a destra.

In caso di Sos dell'Italia all'Europa, ragiona il centrista Rao, «Berlusconi e i suoi non potrebbero certo andare in tivù per promettere l'abolizione dell'Imu». Né stringere patti con la Lega. La stessa eventuale candidatura del Cavaliere verrebbe giudicata molto negativamente in Europa se è vero che a un pranzo di ambasciatori nordici a Roma suscitava proprio ieri angoscia la semplice ipotesi di un ritorno di Silvio, specie dopo le sue ultime annotazioni euroscettiche.

Lui, Berlusconi, non ha ancora in tasca la decisione definitiva. Per non farsi assillare dai suoi, prende tempo fino alla fine di agosto: «Sono dimagrito di 4 chili, non faccio più la vita disordinata di prima, però voglio capire bene se la mia età mi consente di tornare in pista, se me ne rimane la voglia...». Pure dalle sue parti può accadere di tutto.

Circola addirittura voce che Tremonti, ormai in un'orbita lontana dal Pdl, stia soppesando l'ipotesi di dar vita a un partito, che certamente riscuoterebbe più credito nelle Cancellerie europee. E siamo solo agli inizi...

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/461959/
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« Risposta #209 inserito:: Luglio 12, 2012, 05:04:07 pm »

Politica

12/07/2012 - retroscena

L'ultimo azzardo per evitare la catastrofe

Da una parte il rifiuto di uscire di scena senza un "colpo di  teatro"e dall'altra la consapevolezza che anche il suo impero rischia di  cadere

UGO MAGRI
Roma

La voglia di tornare al centro del ring è incontenibile, né qualcuno ha la forza di sbarrargli la via. Sembra dunque scontato che alle prossime elezioni Berlusconi ci sarà. Aveva detto e ripetuto il contrario? Si cambia idea nella vita, e Silvio la aggiorna di continuo. Per cui magari potrebbe addirittura accadere che tra una settimana, o un mese, lui annunci: «Ci ho ripensato, non mi candido più...». Bonaiuti, che col Capo ha trascorso l’intera giornata di ieri, prudentemente evita di sbilanciarsi, «al momento di tratta solo di ipotesi, la decisione finale dev’essere ancora presa». C’è tempo fino alla fine di agosto.

Comunque è un fatto che a una festa di compleanno ieri sera Berlusconi abbia detto: «Tutti gli imprenditori desiderano il mio ritorno», e un altro fatto è che l’altra sera così si sia rivolto ai suoi discepoli riuniti intorno al desco di via del Plebiscito: «Sono disponibile a farmi carico del partito alle prossime elezioni, io mi batterò per recuperare gli incerti, Angelino sarà al mio fianco per parlare ai giovani, insieme saremmo un ticket fortissimo». In verità pare che nella testa del Cavaliere frulli tuttora l’idea di mettersi al fianco una donna, la Santanché si sente quella predestinata. Né sembra sicuro al cento per cento che Alfano sia disponibile a un ruolo di comprimario, dopo avere quasi toccato con mano l’incoronazione nelle primarie. Consiglierà diplomaticamente di fare a meno del ticket perché un grande condottiero come Berlusconi non ne ha bisogno. Se vuole tornare a comandare, guidi l’esercito fino alla battaglia finale...

Nel partito adesso tutti dicono: «Ci avrei scommesso...». Il ruolo del «padre nobile» a Silvio va stretto per definizione. Uscire di scena senza nemmeno un colpo di coda, senza avere ricordato al mondo chi è, di che cosa è ancora capace a quasi 76 anni, non sarebbe all’altezza della sua fama. Osvaldo Napoli è stupito dello stupore, «chi immaginava Berlusconi a scrivere le sue memorie dimostra di non conoscerlo». Tra l’altro «si stanno rivalutando tante cose che lui ha fatto nel corso degli anni», assicura Gasparri, e voi che l’ex-premier non coltivi il sogno umanissimo di venire richiamato a furor di popolo? Però poi circolano spiegazioni ulteriori del ritorno in campo, che con la vanità c’entrano molto poco. Semmai riguardano le fortune private di Berlusconi, gli interessi economici, le sue aziende, ma anche la famiglia, i figli in nome dei quali si è rivisto recentemente a Macherio con la quasi ex-moglie Veronica (falsa la chiacchiera di un riavvicinamento, pare che lunedì si chiuda la separazione consensuale tra i due sebbene l’avvocato Ghedini rifiuti di confermare o smentire: «Mi è inibito qualunque commento»). Insomma, c’è tutto un universo le cui sorti sono legate a doppio filo con quelle del Cavaliere. Al quale la politica è sempre servita da scudo, secondo alcuni pure da ariete, in un intreccio ben noto come «conflitto d’interessi».

Certi numeri parlano da sé. La cassaforte Fininvest ha registrato nel 2011 un utile di 7 milioni e mezzo. Erano ben 160 nel 2010, oltre 600 nel 2009: un crollo verticale. Hanno pesato, è vero, la crisi economica e gli oltre 500 milioni versati per risarcimento all’arci-nemico De Benedetti, ma non è solo quello. Le azioni Mediaset valevano quasi 20 euro ciascuna tre anni fa, adesso un euro e qualcosa; il patrimonio si è assottigliato al punto da rendere importante l’esposizione del Cavaliere con il mondo bancario, stimata in oltre due miliardi di euro. Certi maligni sostengono che Berlusconi non potrebbe, nemmeno volendo, permettersi di staccare la spina al governo senza temere contraccolpi nocivi (di qui il convinto appoggio a Monti, che non tutti nel Pdl hanno ben compreso). Il partito dunque gli serve per continuare a contare, l’ex-premier non può permettere che si sciolga davanti ai suoi occhi. E d’altra parte, il gruppo dirigente nel suo complesso non ha finora dato una fantastica prova di sé, in un anno mai un’idea capace di forare il muro dell’indifferenza, nemmeno il semi-presidenzialismo è riuscito a «bucare» nei sondaggi... Molti solidarizzano con Alfano, ma altri (per esempio la Gelmini) non sottovalutano le ragioni di Berlusconi. Il quale, raccontano i suoi, ha capito da tempo che, se non torna personalmente sul ring, sarà un match senza storia. Tre volte ha vinto in passato per ko, altre due ha perso ai punti. Stavolta rischia di uscire in barella.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/462073/
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