LA-U dell'OLIVO
Novembre 26, 2024, 12:44:57 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 ... 10 11 [12] 13 14 ... 29
  Stampa  
Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 229131 volte)
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #165 inserito:: Dicembre 03, 2011, 04:28:58 pm »

Politica

03/12/2011 - Retroscena

La rassegnazione incrociata del Cavaliere e del Pd

Berlusconi ai suoi allarmati su Ici e patrimoniale: cosa potremmo fare adesso?

Ugo Magri
Roma

Ieri sera qualcuno ha messo in allarme il Cavaliere. Guarda, gli sono corsi a dire, che sulla manovra circolano indiscrezioni tremende: c’è la patrimoniale che tu non volevi, torna l’Ici che il tuo governo aveva abolito, aumentano le aliquote Irpef che invece volevamo abbassare, scatta addirittura il divieto del contante sopra i 500 euro, tutto ciò che all’elettorato del Pdl provoca l’orticaria... Come ha reagito Berlusconi? Lungo imbarazzato sospiro (così giura chi l’ha sentito al telefono). Quindi flebile tentativo di sminare il campo: «Non abbiamo nessuna certezza che saranno davvero questi i provvedimenti, Alfano deve ancora parlarne personalmente con Monti, vi ricordate quante volte anche a noi avevano attribuito intenzioni non vere?».

Infine, ragionamenti sul filo della rassegnazione che suonano all’incirca così: pure nel caso in cui lunedì arrivasse la stangata sui ceti che votano centrodestra, «che cosa potremmo fare noi?». Sfilarsi, secondo Berlusconi, a questo punto sarebbe impossibile. I presidenti delle due Camere, Fini e Schifani in nobile gara tra loro, hanno promesso che entro Natale la manovra avrà il timbro del Parlamento. Per rispettare la tabella di marcia, sarà giocoforza procedere a colpi di fiducia. E sulla fiducia non esistono mezze misure... «Sentirò Angelino, sentirò Tremonti, vedremo», fine della telefonata.

Nell’altro accampamento, quello del Pd, si respira un’aria straordinariamente simile. Sulla carta, a Sant’Andrea delle Fratte dovrebbero essere soddisfatti. Perfino un cieco vedrebbe che vengono prese di mira le classi alte, nell’immaginario collettivo identificate con i proprietari di super-yacht; e poi la lotta all’evasione prenderebbe nuovo slancio dai pagamenti elettronici, come sempre hanno chiesto a sinistra... «Sì, sul piano dell’equità registriamo passi avanti», confida sottovoce un dirigente tra i massimi. Però poi c’è la partita aperta delle pensioni, e lì vai a indovinare come finirà. Nessuno se la sente di mettere la mano sul fuoco. Il rischio è che Monti voglia «menare in egual misura a destra e a sinistra», che faccia piangere i ricchi e pure quelli che abbienti non sono. Altra confidenza dal Pd: «In realtà sappiamo troppo poco, le grandi linee vabbè sono quelle, ma il diavolo è nei dettagli... La partita si giocherà nel weekend». A dirla tutta, non sono affatto tranquilli.

Bersani sarà l’ultimo a bussare stasera da Monti: ore 21, perché le rispettive agende non collimavano. Insisterà perché, prima di mettere mano alle pensioni, il governo cerchi di raggranellare miliardi altrove, per esempio da un’asta sulle frequenze tivù. Alfano e la delegazione Pdl si presenteranno a mezzogiorno per implorare il Prof di andarci piano sulla patrimoniale, sull’Irpef e sul limite ai contanti. Casini (che appoggia il governo senza se e senza ma) a quell’ora sarà già andato via perché l’appuntamento col Terzo Polo è alle 10,30. Monti aveva invitato pure Di Pietro. Tonino confessa di essere rimasto sorpreso «dal garbo e dalla cortesia», comunque l’Idv si tiene alla larga perché «un governo tecnico non deve frammischiarsi ai partiti», e poi in quanto parlare col premier significa entrare nella logica del «do ut des», legarsi le mani. All’ex-pm le mani servono per brandire la clava, «se tutto si riduce a prendere i soldi agli italiani, non c’era bisogno di fare un governo di professori: ne bastava uno di malfattori...».

Però alla fine Di Pietro, precisamente come Berlusconi, si ritroverà a votare i sacrifici. Il centrista Rao scommette che tutti faranno «di necessità virtù». Il capogruppo Fli Della Vedova alza le spalle: «Grandi turbolenze, ma non esistono alternative e tutto si calmerà».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/432838/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #166 inserito:: Dicembre 17, 2011, 06:09:15 pm »

Politica

17/12/2011 - retroscena

Lo humour del Professore infastidisce il Cavaliere

Il capo del governo tiene il punto per tutelare la sua credibilità

Ugo Magri
Roma

Nella polemica col Cavaliere, Monti è stato tirato per i capelli. Non poteva far altro che reagire. Se avesse ignorato gli attacchi del giorno prima, il presidente del Consiglio avrebbe avallato la tesi berlusconiana che lo dipinge in preda alla disperazione, praticamente alla canna del gas. Sarebbe stata un’ammissione grave di debolezza. I mercati avrebbero fatto due più due, e addio sforzi per trasmettere all’estero l’immagine di un Paese finalmente governato. Per cui il Professore ha dovuto puntualizzare in Parlamento che disperato lui non si sente né punto né poco, anzi è «pieno di speranza», l’Italia ce la farà, ce la sta già facendo.

Nel dirlo, tuttavia, Monti ha condito il suo discorso alla Camera con quel filo di humor britannico che alle orecchie del predecessore suona tanto come sfottò (nulla disturba Silvio più della garbata presa in giro: al confronto il via libera del governo all’asta sulle frequenze è solletico). Il presidente del Consiglio ha confidato di essersi fatto, leggendo i giornali della mattina, «un rapido esame di coscienza», giudicandosi «per un attimo colpevole di non sentirsi affatto disperato». Però poi, ha proseguito con lieve ironia, «riflettendoci sopra quella parvenza di colpevolezza è sparita del tutto» poiché «non c’è motivo di disperazione». Come dire elegantemente: Berlusconi ha preso un bel granchio.

Insomma, ieri in Aula Monti ha scelto di tutelare la propria credibilità dentro e soprattutto fuori i confini nazionali. Ha dato la netta impressione di non farsi intimorire e di tirare dritto per la sua strada. Ha raccolto di conseguenza l’ovazione del Pd e del Terzo Polo. Però proprio questo insistito, gioioso applauso, unito al gelo del centrodestra, gli ha fatto intendere che forse a sua volta aveva gettato ulteriore benzina sul fuoco (nel cerchio stretto berlusconiano lo accusano di avere avviato lui la polemica col precedente governo, intervenendo tre sere fa in Commissione). Reagire alle provocazioni è umano; proseguendo tuttavia di ripicca in ripicca si romperebbe presto l’incanto di un governo fondato sulla responsabilità dei più. Per cui si racconta che Monti, appena finito di parlare,abbia subito scritto un biglietto al Cavaliere, onde chiarirsi e calare il sipario sulle tensioni nel nome diuna fattiva collaborazione futura.

Molto hanno lavorato i «pontieri» per spegnere le fiamme. Il segretario Pdl Alfano, colloquiando col premier a margine delle votazioni sulla fiducia, ha segnalato in chiave costruttiva che il coordinamento non è più bastevole, il governo dovrebbe lavorare a contatto di gomito con i partiti, farsi suggerire, consigliare. Il Pdl non è contento del metodo, nemmeno nel Pd sprizzano felicità. Fanno testo gli interventi in aula, almeno in questo sovrapponibili, di Franceschini e di Cicchitto: sembrava quasi che i due vecchi nemici si fossero messi d’accordo. Monti ha perfettamente chiaro il problema. E tutto il suo discorso di ieri va letto come lo sforzo onesto di puntualizzare che lui fa il possibile, addirittura l’impossibile, per onorare il patto col Parlamento. «So che non devo dire noi e voi», ha sorriso rivolto al capogruppo Pd che gli imputa di contrapporre i «tecnici» ai «politici». E non è vero che il governo ha un tono «strafottente», come sostiene il presidente degli onorevoli Pdl. Profluvio di ringraziamenti a tutti, compresi quanti hanno avanzato critiche alla manovra, la Lega, Di Pietro: «Tutti abbiamo lo stesso obiettivo di operare per il bene dell’Italia». Ostentato omaggio del premier al lavoro della Commissione Bilancio, di cui «ho già avuto modo di riconoscere il grande contributo, il lavoro prezioso, l’approfondita riflessione che merita profondo rispetto...».

Il Professore arriva a vestire i panni dello studente modello che ha preso «moltissimi appunti» durante il dibattito sui sacrifici, perché «il lavoro di dialogo è appena iniziato, nelle prossime settimane ci saranno interventi più meditati e organici» sul versante della crescita. Chi vorrà dare una mano sarà il benvenuto, non mancherà l’occasione per dimostrare che la politica è viva e vegeta, la democrazia non è sotto tutela. L’importante è che le riforme si facciano, a cominciare dalle privatizzazioni: «Bloccarle sarebbe una responsabilità grave». Perché non siamo fuori pericolo, alza la voce Monti per non farsi sovrastare dagli schiamazzi in Aula della Lega: «Il rischio è stato massimo, e ancora lo è».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/434795/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #167 inserito:: Dicembre 18, 2011, 04:28:51 pm »

Politica
18/12/2011 -

Berlusconi e il voto a maggio I suoi: “Non è mica matto”

L’ex premier Silvio Berlusconi

Il Cavaliere: “Se avessi avuto Monti al posto di Tremonti...”

UGO MAGRI
Roma

E’ convinzione, ai piani alti della Repubblica, che Monti abbia superato un gigantesco scoglio. E dopo il voto sulla manovra ci sia motivo per ben sperare. Fanno da bussola le parole del Presidente. Napolitano liquida («non so come sono andate le cose») la polemica sulle troppe assenze nel voto di fiducia. Devono dispiacere certo, sono un brutto spettacolo. Però guai a perdere di vista la «grande prova del Parlamento». L’uomo del Colle lo sottolinea in quanto l’esito positivo non era per nulla scontato. E se si parla con i protagonisti della maratona a Montecitorio, si coglie lo stesso stupore, quasi incredulità per l’impresa che tanto a destra quanto a sinistra e al centro ritengono di aver compiuto. Confida un autorevole esponente Pd (a patto di non dirne il nome): «Ci siamo trovati a varare i provvedimenti con un governo ancora senza rodaggio e con una maggioranza composta da partiti che fino al giorno prima si coprivano di insulti. Nonostante ciò», segnala questo personaggio di primo piano, «i tre maggiori partiti sono riusciti non solo a varare misure altamente impopolari, ma addirittura a correggere profondamente il decreto sull’Ici e sulle pensioni, con il governo costretto a seguire la sua maggioranza».

Domani la manovra passa in Senato, dove si annunciano nuove proteste della Lega, ulteriori motivi di tensione che la stampa internazionale non si farà sfuggire. Comunque sia, i senatori non toccheranno nemmeno una virgola del decreto, entro venerdì avrà il timbro del Parlamento. E’ stato inaugurato un metodo, e questo metodo a quanto pare funziona. A dare il là sono i «tre tenori» (Alfano, Bersani, Casini): i capi-partito si parlano, discutono, trovano l’accordo. Quindi tocca ai capigruppo (Franceschini, Cicchitto, Della Vedova) cantare e portare la croce. Sulla manovra ci sono riusciti al punto da indicare certe vie d’uscita allo stesso governo. Fa testo l’episodio capitato martedì, quando la maggioranza decise di sforbiciare gli stipendi agli alti papaveri ministeriali. Scoppiò l’iradiddio, i capi gabinetto entrarono in rivolta. Piombò in Commissione Giarda (ministro per i rapporti col Parlamento e longa manus di Monti): «Questo taglio non si può fare». Franceschini, racconta un testimone, lo guardò perplesso: «In che senso?». «Nel senso che il governo non è d’accordo», rispose secco il ministro. Sguardo d’intesa fra Cicchitto e Franceschini, che a quel punto sorrise: «Bene, vorrà dire che darete parere contrario, e noi lo approveremo lo stesso...». Il taglio ai burocrati è stato varato, così come è passato in Aula un ordine del giorno della Lega su cui il governo si era espresso contro, ma la maggioranza era d’accordo.

C’è assonanza perfino nel linguaggio. Il centrista Rao: «Riprendere l’iniziativa conviene ai partiti e conviene al governo». «Le formule contano poco, l’importante è che il gatto acchiappi i topi», sfoggia una citazione di Mao il berlusconiano Bonaiuti. A proposito del Cavaliere: nulla di più falso che voglia votare a maggio, «mica è matto» giurano i suoi strateghi, «con questi sondaggi sarebbe un massacro». Se Monti non gli piace, Silvio se lo fa piacere. Un attimo prima che il presidente del Consiglio polemizzasse con lui, alla Camera, Berlusconi stava sussurrando ad Alfano: «Ah, se al posto di Tremonti avessimo avuto lui, non ci saremmo trovati in questo guaio...». Perfino dopo che il Professore l’ha bacchettato, Berlusconi è rimasto impassibile. «Non rispondergli male», ha raccomandato al segretario Pdl che stava per prendere la parola. Sintetizza Quagliariello: «Finché farà bene, da noi Monti non dovrà temere nulla». Quanto al Pd, Enrico Letta ricorda che gennaio e febbraio saranno «mesi da brivido» per le aste sui titoli di Stato. Per una resa dei conti, il momento più sbagliato.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/434872/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #168 inserito:: Gennaio 07, 2012, 11:22:29 am »


Politica

07/01/2012 - restroscena

Un attacco a Tremonti dietro le proteste del Pdl alle verifiche

Ugo Magri
Roma

C’è quasi un senso di liberazione, nella gioconda ferocia con cui il Pdl sta attaccando Befera. Da tre giorni il partito del Cavaliere martella l’uomo che dirige Equitalia e l’Agenzia delle Entrate. Gli rimproverano di avere esagerato con il blitz delle Fiamme Gialle a Cortina d’Ampezzo, da cui è risultato un certo numero di finti poveri immersi nel lusso. Nei suoi confronti gli addebiti sono molteplici. Qualcuno (Cicchitto) contesta a Befera una smania di protagonismo che lo porta a comportarsi «come un leader politico ad alta intensità mediatica». E poi, chiede polemico il presidente dei deputati Pdl, come mai solo adesso Befera si sbilancia in tivù contro Berlusconi quando nei tre anni precedenti era stato prudentemente zitto? Altri (Capezzone), imputano al numero uno delle Entrate di voler combattere l’evasione con armi improprie tipo «ipoteche, pignoramenti e blocco dei conti correnti». Altri ancora lo accusano di sfogare contro i ricchi un autentico odio di classe: «Non è criminalizzando la ricchezza che si combatte l’evasione», protesta veemente la Santanché.

Befera «opportunista», Befera «illiberale», Befera «comunista»... «Dovrebbe dimettersi», insiste la Santanché. Per ora lo sostiene soltanto lei. Ma l’impressione è che l’intero Pdl non vedrebbe l’ora di congedarlo in quanto, agli occhi dei «berluscones», il presidente di Equitalia incarna al peggio l’eredità tremontiana. Parlando con i protagonisti, si scopre che colpiscono Attilio per sbarazzarsi del fantasma inquieto di Giulio. Con lui in Via XX Settembre, i due avevano collaborato molto strettamente, come ricordato dal Pd Fassina.

Capezzone non dimentica «i debordanti poteri concessi a Equitalia anche con il precedente ministro dell’Economia, purtroppo». Nunzia De Gerolamo resta convinta che senza il placet di Tremonti, Befera non sarebbe potuto restare al tempo stesso «controllore e controllato», capo di quella Equitalia su cui dovrebbe vigilare come direttore delle Entrate. Ma queste sono pecche veniali rispetto alla grande «colpa» di entrambi: è per effetto dei loro metodi, gridano ai piani alti del Pdl, che «è iniziata la nostra spirale discendente».

La vicenda risale alle ultime elezioni amministrative, un tonfo per il centrodestra (Lega compresa). Anziché darne la colpa a Berlusconi, indebolito dalla lite con Fini e dalla vicenda Ruby, i pretoriani del Cavaliere decisero che la batosta traeva origine dalle «ganasce fiscali». Vano fu il tentativo di allentarle. Addirittura Tremonti mandò la Finanza a Lugano (sua fu l’idea) per riprendere con le videocamere gli italiani che andavano a versare capitali nelle banche svizzere.

Ora che all’Economia non c’è più Tremonti bensì Monti, il Pdl grida al popolo delle partite Iva: a difendervi siamo di nuovo noi...
«Ci vorrebbe una commissione d’inchiesta sui poteri di Equitalia», tuona Crosetto. Si volta pagina, si torna all’antico.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/437210/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #169 inserito:: Gennaio 13, 2012, 05:12:06 pm »

Politica

13/01/2012 - reazioni

E i partiti tirano un sospiro di sollievo

Il cosiddetto Porcellum è il modello elettorale attualmente in vigore in Italia. E’ un sistema proporzionale cui viene riconosciuta un’ampia maggioranza alla coalizione vincente, grazie a un premio del 55% dei seggi per chi ottiene più voti. Le liste sono bloccate, non si possono esprimere preferenze.

Legge elettorale, le proposte già alla Camera

Senza il pungolo della consultazione, si fa più difficile l’addio al “Porcellum”, le posizioni sono molto distanti

UGO MAGRI
Roma

Nonostante il coro dei volenterosi, i quali promettono di fare in Parlamento quello che la Consulta non ha voluto o potuto, liberarci del «Porcellum» sarà parecchio difficile. Per fare la nuova legge elettorale, bisognerebbe che i partiti fossero d’accordo; e per spingerli ad accordarsi, superando le diverse impostazioni, servirebbe un fucile puntato alle loro spalle. Questo fucile poteva consistere in un dispositivo della sentenza (molto se n’è parlato alla vigilia) dove la Corte costituzionale dicesse: il referendum non è ammissibile, però il sistema elettorale vigente cozza contro i principi della nostra Carta repubblicana. Una semplice postilla, sufficiente però a mettere i partiti con le spalle al muro, poiché non si potrebbe certo andare alle urne con una legge incostituzionale. Cambiarla, grazie alla postilla, sarebbe diventato un obbligo... Purtroppo non è andata così. Nelle motivazioni della sentenza, quando verranno rese note, anziché l’arma da fuoco troveremo una raccomandazione, al massimo un monito affinché si tolga il premio di maggioranza. Sarà come appellarsi al buon cuore dei partiti, al loro senso del bene comune. Potrà bastare a vincere i rispettivi egoismi?

Napolitano conosce il problema e non a caso s’è attivato immediatamente con i presidenti delle Camere, quasi pretendendo uno scatto di dignità da parte del Parlamento. I politici tutti agiscano perché, viceversa, crescerebbe il discredito nei loro confronti (dai sondaggi riservati a disposizione dei leader risulta che la fiducia nei partiti oscilla in questo momento tra il 2 e il 3,5 per cento). Però qui sorge l’ulteriore ostacolo: per rifare la legge elettorale, è indispensabile che la legislatura prosegua almeno fino all’autunno, e in un clima costruttivo di «impegno nazionale». Fino a pochi giorni fa sembrava scontato che questo governo avesse carburante bastevole fino al 2013; addirittura la riforma elettorale veniva considerata un utile passatempo per i partiti nell’attesa che Herr Monti se la vedesse con la Merkel e con lo spread... Ora queste certezze d’improvviso svaniscono perché Berlusconi e Bossi si sono riavvicinati, complice la battaglia parlamentare sull’arresto di Cosentino. Rozzamente si sostiene (anche nel giro Pdl) che quei due abbiano stretto un vero e proprio patto segreto: niente manette all’ex-sottosegretario in cambio di elezioni presto, prestissimo, forse addirittura a maggio. Di sicuro il Cavaliere ne ha ragionato coi suoi, suscitando entusiasmo nei Matteoli, La Russa, Verdini e Santanché, grande costernazione invece nel «politburo» romano (Alfano, Cicchitto, Gasparri, Frattini) che conosce i sondaggi e teme una Waterloo.

Dando corpo alle voci, subito dopo la sentenza Bossi ha dichiarato beffardo: «La migliore legge elettorale? E’ quella che c’è, perché non si impiegherà tanto tempo ad andare al voto». Quanto a Berlusconi, dalla sua bocca è uscita una sorprendente difesa del Porcellum, l’unica che si sia levata ieri: «E’ una buona legge che mira alla governabilità del Paese», al massimo si può «migliorare» estendendo al Senato il premio nazionale di maggioranza che vige alla Camera. Cioè l’esatto rovescio della raccomandazione in cantiere al Palazzo della Consulta. Ma non si rendono conto, Silvio e l’Umberto, della batosta cui andrebbero incontro? Sospira un alto dignitario Pdl: «Credono di avere doti magiche di recupero elettorale. Inoltre, questa legge permetterebbe a entrambi di scegliersi chi portare in Parlamento e chi no. Pure in caso di sconfitta, terrebbero l’opposizione sotto il loro controllo...».

C’è chi, perfino nel Pdl, prova a smarcarsi. Quagliariello ribadisce che «il Pdl ha già manifestato la propria disponibilità a modificare il sistema di voto in un quadro di riforme istituzionali», mica si può cambiare linea ogni due per tre, e dal Pd lo applaudono. A Palazzo Madama si intrecciano prove di dialogo, forse già la prossima settimana verrà definita una bozza comune di riforma dei Regolamenti parlamentari. Ma decisive alla fine saranno le trattative sulla «fase due» della manovra e sulle liberalizzazioni. Con il sistema elettorale non c’entrano nulla, però un no di Monti alle richieste di Alfano e del Pdl porterebbe acqua al mulino del Cavaliere e dei suoi «pasdaran».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438021/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #170 inserito:: Gennaio 16, 2012, 11:36:19 am »

Politica
16/01/2012 - LA CRISI LA PAROLA AI PARTITI

Monti chiede l’appoggio dei leader

Pranzo con Alfano, Bersani e Casini: sul piatto il sostegno delle Camere per la battaglia in Europa

UGO MAGRI
Roma

Quando alle 10 di stamane Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, varcherà il portone di Palazzo Chigi, per quell’ora già sarà chiara la reazione dei mercati. Avranno ignorato le bocciature inflitte da Standard & Poor’s? O viceversa l’euro si troverà alle prese con uno tsunami? La conversazione tra Monti e il suo ospite prenderà le mosse dall’andamento dello spread. Ma poi certamente il colloquio farà perno sull’appuntamento cui tutti guardano: il Consiglio Ue del 29 gennaio. E’ lì che andranno prese le decisioni anti-crisi. Non solo quelle volte a rafforzare la disciplina di bilancio (il cosiddetto «fiscal compact»), ma anche le politiche su cui innestare un cammino virtuoso di crescita. Van Rompuy confida assai nella competenza del professor Monti e nelle sue proposte per accrescere il dinamismo del Vecchio Continente. Fonti governative assicurano che l’incontro avrà carattere operativo, e contribuirà a definire l’agenda del Consiglio Ue.

Giusto il tempo di congedare Van Rompuy; poi Monti dovrà precipitarsi a ricevere altri ospiti. Per pranzo infatti a Palazzo Chigi sono attesi «A-B-C» (Alfano, Bersani, Casini) che per la prima volta si appaleseranno tutti insieme, senza raggiungere Monti attraverso cunicoli sotterranei come accadde due mesi fa a Palazzo Giustiniani. Oggetto dell’incontro, come suggerisce la presenza del ministro per gli Affari europei Moavero, è proprio la condotta da seguire in vista del 29. Ciascuno dei tre segretari porterà le proprie ricette che in gran parte coincidono. Per tutti il problema è rappresentato dalla posizione tedesca ed è incarnato da Frau Merkel. L’uno, l’altro e l’altro ancora sostengono che Monti non dovrà avere timidezze nel tutelare la posizione dell’Italia che ha fatto i compiti a casa e perfino S&P in qualche modo lo riconosce. Quelli del Pdl sostengono: batta i pugni sul tavolo. Ma pure nel Pd lo esortano a trascurare, se proprio occorresse, l’etichetta e le buone maniere. Monti li ascolterà con la solita aria attenta, sebbene da ex commissario Ue non gli manchi consuetudine con l’ambiente comunitario.

L’interesse della colazione, in ogni caso, non risiede nei suggerimenti dei partiti al Prof. Conta il segnale politico, l’immagine plastica di un Paese compatto quando viene in gioco il destino collettivo; e di una maggioranza che, perlomeno su temi così alti, non prova vergogna di qualificarsi tale. Se l’incontro avrà successo, non sono esclusi sviluppi ulteriori. Il 24 alla Camera, e l’indomani al Senato, si preparano dibattiti sulle scelte europee perché, come ricorda spesso Bersani, «il Parlamento non ce l’hanno soltanto i tedeschi». Per il momento si procede su mozioni separate anche se convergenti (Franceschini-Goti e Cicchitto-Frattini a Montecitorio, di Finocchiaro e di Gasparri a Palazzo Madama) ma non è da escludere che il presidente del Consiglio solleciti oggi il passo politicamente impegnativo della mozione comune. Sarebbe una svolta rilevante per la politica italiana e utile per le agenzie di rating le quali, testimonia Prodi, non capiscono granché delle nostre vicende.

Il pranzo era fissato da giorni. Risulta che sia stato Monti a prendere l’iniziativa. Ma l’appuntamento ha rischiato di saltare dopo il voto salva-Cosentino, perché Berlusconi (ringalluzzito) è tornato a parlare coi suoi di elezioni a breve. Pare che Monti, messo al corrente delle voci, se ne sia dispiaciuto. Nelle ultime ore, comunque, dietrofront del Cavaliere che di fronte al precipitare della crisi ha dato via libera ad Alfano, il quale potrà sedersi finalmente a tavola con gli ex-avversari.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438415/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #171 inserito:: Gennaio 17, 2012, 05:50:06 pm »

Politica

17/01/2012 - Il premier ironizza: "Vi ho sistemati proprio come in Parlamento..."

E i partiti si fanno piacere il boccone del Professore

I tre capi si presentano insieme ma alla fine vanno via alla spicciolata

CARLO BERTINI e UGO MAGRI
Roma

I partiti si piegano all’emergenza nazionale. Sono disponibili perfino a scrivere una mozione sotto dettatura del governo, pur di non litigare tra loro. Fingeranno di mettere certi paletti alla trattativa con l’Europa: una «linea del Piave» oltre la quale Monti sarà vincolato dal Parlamento a rispondere con un no secco, nel caso in cui la Germania ci obbligasse a un risanamento insostenibile. Chiaro che sarà una mezza finta, poiché in caso di veto italiano agli accordi lo spread balzerebbe a mille, dunque non si può. Ma tutto serve in questo momento per trasmettere ai mercati l’immagine di un Paese compatto: di qui il primo «vertice» di maggioranza nell’era Monti.

Ecco dunque i leader dei tre partiti presentarsi insieme a Palazzo Chigi senza più sotterfugi. Come unica accortezza, dopo tre ore di colloquio, «A-B-C» se ne vanno alla spicciolata. Chi esce dal portone principale, chi dal retro evitando una «photo opportunity» politicamente poco opportuna. Né le telecamere vengono ammesse nella sala da pranzo al terzo piano, dove si accomodano da una parte del desco rettangolare Monti e il ministro per l’Europa Moavero, dall’altra i tre ospiti. «Vi ho sistemati come in Parlamento», sfodera humour il padrone di casa, «Alfano a destra, Bersani a sinistra e Casini in mezzo...». Addio pennette tricolori in salsa berlusconiana: il menù da Quaresima del professor Monti prevede riso, fettina e acqua minerale. Clima rilassato, discussioni zero, anche perché i cibi piccanti (liberalizzazioni e Rai) non vengono serviti in tavola. Unica interruzione quando al telefono chiama Frau Merkel, Monti si alza per andare a rispondere. Sarkò invece non si fa vivo, ma la vera delusione dei commensali è che nemmeno verrà a Roma venerdì per il «triangolare» italo-franco-tedesco. Però giustificano il rinvio alla luce del declassamento francese,che può scatenare reazioni incontrollate al di là delle Alpi, insomma l’inquilino dell’Eliseo ha i suoi bei grattacapi.

Il terzo convitato di pietra è Berlusconi. Da giorni fa sapere che «in dieci minuti potrei mandare a casa il governo». Monti non ha parole. Alfano rassicura tutti, Silvio «è stato frainteso», anche il Cavaliere è convinto che si debba arrivare al 2013, la lealtà Pdl è fuori discussione. Capitolo archiviato. Si ragiona della mozione che il Parlamento approverà il 25 o il 26 gennaio, a ridosso del Consiglio straordinario europeo. La «piattaforma nazionale», per dirla con Bersani, aiuterà il governo nelle trattative europee senza legargli troppo le mani. Confida un protagonista della colazione: «Occorre un testo sufficientemente flessibile, per cui Monti non venga costretto a sbattere la porta del negoziato se nel patto europeo mancano quelle due-tre paroline...». Spiega ai cronisti Casini: «La mozione verrà scritta in raccordo con Moavero che contatterà i responsabili esteri dei partiti». Per il Pdl, anticipa Alfano, scenderà in campo l’ex ministro Frattini. In calce al documento parlamentare ci sarà la firma dei leader? «Questo lo vedremo», fugge via Angelino che (a sentire i pasdaran berlusconiani) s’è già spinto fin troppo avanti. A Palazzo Grazioli vorrebbero un esplicito riconoscimento di quanto realizzò il Cavaliere in Europa, dalle parti di Bersani non ne vogliono nemmeno sentir parlare, Moavero cercherà di mettere tutti d’accordo.

Arrivati alla frutta, grande condivisione sulla politica che dovrebbe autoriformarsi, anzitutto abbattendo i suoi costi. A-B-C si rivedranno prossimamente per mettere in moto il cantiere della legge elettorale e «noi del Pd forzeremo», promette Bersani, «così risulterà chiaro se qualcun altro non vuole andare avanti». Sarà inevitabile trattare pure il taglio dei parlamentari e le Camere-doppione. Tutti soddisfatti alla fine. Da Palazzo Chigi filtra che Monti lo giudica un incontro «proficuo» anche perché Napolitano insisteva da settimane per inchiodare i partiti alle loro responsabilità. Ancor di più dà sollievo, al capo del governo, la reazione composta dei mercati all’anatema di S&P’s. Il Professore ha trascorso serenamente il pomeriggio facendo esami: davanti a lui sono sfilati i massimi dirigenti di Palazzo Chigi, tutti trepidanti perché nessuno di loro può sapere se verrà riconfermato o meno. Non era mai accaduto che un nuovo premier, appena arrivato, spalancasse le finestre per far circolare un po’ di aria nuova.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/438594/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #172 inserito:: Gennaio 27, 2012, 03:30:15 pm »

Politica

27/01/2012 - RETROSCENA

Tra Berlusconi e Bossi tira aria di secessione: nel Pdl si guarda all’Udc

Tra gli ex An sale la voglia di fare opposizione con la Lega

UGO MAGRI
Roma

Candidamente Berlusconi ammette che, se volesse far cadere il governo, oggi come oggi gli mancherebbe un pretesto. E Monti sarà pure agli occhi suoi l’Usurpatore, tuttavia al momento «sta agendo con prudenza e credo sia difficile avanzare critiche fondate» nei suoi confronti. Per cui, tornando indietro al giorno delle dimissioni, il Cavaliere le ridarebbe nuovamente, «le ragioni sussistono ancora». Parole accompagnate dal voto di fiducia sul «milleproroghe» che l’ex-premier reca personalmente al governo. E viene da chiedersi, allora, come mai nei giorni scorsi avesse fatto immaginare il contrario manifestando pubblicamente scontento, ipotizzando addirittura in privato elezioni a maggio. Dalle sue parti spiegano che i motivi sono tre.

Il primo motivo si chiama Bossi. Il leader della Lega domenica scorsa aveva lanciato un aut-aut, «a casa Monti o a casa Formigoni», praticamente una pistola puntata contro gli ex-alleati del

Pdl. Dove non l’hanno presa bene, anzi con il suo ultimatum Bossi ha ottenuto l’effetto contrario. E ieri come se nulla fosse ha peggiorato la situazione accusando Silvio di essere «una mezza calzetta che ha paura» di far cadere il governo. Mezza calzetta a Berlusconi non l’aveva ancora detto nessuno. Sdegno del segretario Pdl Alfano, «non facciamo né accettiamo provocazioni né ultimatum». Tra l’altro: se la Lega silurasse Formigoni in Lombardia, per vendetta il Pdl potrebbe fare altrettanto con Cota in Piemonte e nel Veneto con Zaia... Le uscite dell’Umberto spingono Berlusconi a separare, semmai, le rispettive strade. «Esistono le ragioni della convenienza e quelle della responsabilità», scuote la testa il Cavaliere. E lui, lo difende il portavoce Bonaiuti, «fin dall’inizio di questa vicenda ha scelto le seconde».

Berlusconi sotterra l’ascia di guerra per altre due buone considerazioni. Anzitutto, sussurrano a Palazzo Grazioli, le forze che si scatenarono contro di lui in autunno tornerebbero all’assalto se solo Silvio si azzardasse a tirar fuori la testa. Meglio lasciar perdere, almeno adesso. E poi, il Cavaliere è stato molto lavorato ai fianchi da quanti nel Pdl considerano il governo Monti un autobus. Diretto dove? Verso la nascita del Partito popolare europeo, sezione italiana. Passando attraverso un patto di alleanza elettorale con l’Udc. Non è mistero che Alfano ci stia lavorando sodo. E’ andato lunedì dalla Merkel, presentato da Frattini. E direttamente da Berlino i due hanno telefonato ad Arcore per riferire il giudizio tutto sommato benevolo della Bundeskanzlerin («Berlusconi ha il merito storico di avere fatto chiarezza nella politica italiana, creando un’alternanza che prima non c’era. Bene il suo appoggio al governo»). Il Cavaliere, avido di riconoscimenti, ne è stato lusingato e confortato nella linea filo-Monti.

Tra gli «sminatori» Pdl, che cercano di agevolare il cammino del Professore, c’è sicuramente Cicchitto. Non è sfuggita la discussione molto accesa in piena Aula con il collega di partito La Russa, che gli rinfacciava di aver dato una mano a cancellare le multe ai partiti per i manifesti affissi fuori posto. «Non potevamo essere i soli a difendere l’illegalità», ha reagito il capogruppo, mandato a quel paese dall’ex-ministro. L’episodio è la punta dell’iceberg. Specie gli ex di An (ma pure alcune «pasionarie» berlusconiane) non vedono l’ora di galoppare insieme con la Lega nelle praterie dell’opposizione. Berlusconi, in una delle solite riunioni notturne, ha provato a calmarli («No alla crisi ora, perderemmo la faccia; Bossi tornerà con noi, sono assolutamente sereno...») . Però il fossato tra le due anime si va allargando al punto che circolano sondaggi di quanto prenderebbero Forza Italia e gli ex di An, se corressero alle prossime elezioni divisi. Si allunga sul partito l’ombra di una scissione. C’è chi già rinfaccia ad Alfano la prossima batosta alle amministrative («Su 28 capoluoghi ne perderemo 23»), e chi non vede l’ora di divorziare («La Russa e gli altri tornino pure a fare i missini, l’intesa con Casini sarà più semplice»).

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440001/
« Ultima modifica: Gennaio 27, 2012, 03:31:50 pm da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #173 inserito:: Gennaio 28, 2012, 06:25:45 pm »

Politica

28/01/2012 - la crisi - parla il premier

Monti: noi decisionisti? Non c’è alternativa

Le contestazioni sono avanzate dalle categorie, non dai cittadini

Ugo Magri
Roma

Monti procede con piglio inatteso. Aveva una certa immagine da accademico tra le nuvole, invece marcia come un treno e «non lo ferma più nessuno», confida entusiasta un personaggio della cerchia più ristretta. Adesso Monti lo teorizza pure: «Siamo considerati un governo decisionista», dichiara in conferenza stampa, un po’ giustificandosi («non c’era molta scelta per le condizioni in cui ci siamo trovati»), un po’ rivendicando la prontezza nell’agire («a noi piace prendere decisioni molto veloci, in poco più di 2 mesi siamo al terzo provvedimento importante»). Le contestazioni? «Non sono avanzate dalla generalità delle categorie», è la risposta al direttore del Tg1 (c’è chi legge l’intervista come un via libera alla proroga di Maccari). Il Paese, nella visione di Monti, «è dalla parte delle liberalizzazioni e avremo il plauso dei cittadini. Cercheremo di convincere chi protesta, comunque procederemo». Non ha affatto l’aria di chi si sente braccato.

Messaggio ai partiti
Anche nei loro confronti, il Prof comincia a muoversi con disinvoltura. Continua a lisciarli per il verso del pelo quando definisce «cosa gradita» che le forze politiche lo incalzino. Però al tempo stesso comincia a esercitare un ruolo di leadership; da uomo dell’emergenza prova a trasformarsi nel capo di una coalizione. La definisce «maggioranza innovativa», diversa da tutte quelle che abbiamo conosciuto finora perché incarna solo il top di destra e sinistra: «Il mio governo si muove in continuità con le cose migliori viste negli ultimi anni... Sulle liberalizzazioni il punto di partenza è quello del governo Prodi con il ministro Bersani nel 2006; sul contenimento della finanza pubblica, ma anche su università e semplificazioni, ci muoviamo in continuità con il governo Berlusconi e con i ministri Gelmini e Brunetta».

Fibrillazioni
Non vanno mai trascurate. Oltre che sulla nomina al Tg1, i partiti si guardano in cagnesco sulla cittadinanza ai figli degli immigrati (soprattutto Fini vorrebbe accordarla, il Pdl fa muro) e, inevitabilmente, sulla giustizia. Voci dal centrodestra prevedono burrasche politiche nel caso in cui il Cavaliere venisse condannato per Mills l’11 febbraio prossimo. Bersani e il Pd, dichiarandosi favorevoli a una riforma della giustizia, si collocano intelligentemente ai margini del ciclone in arrivo; ma dentro il Pdl la guerra con le «toghe rosse» darà una mano al fronte degli esagitati, quelli che cercano pretesti per «mandare a casa il governo». L’altra notte a Palazzo Grazioli, dopo una lunga e un po’ lugubre celebrazione dei 18 anni di Berlusconi in politica, le anime del partito si sono nuovamente scontrate. Alfano ha imposto un cessate il fuoco, promettendo però che «entro 10 giorni decideremo che fare».

Dopo il Porcellum...
Cresce nei due maggiori partiti la voglia di intendersi su un sistema misto, un po’ tedesco e un po’ spagnolo. Ceccanti (Pd) ha depositato una proposta di legge al senato, Quagliariello (Pdl) la trova okay. Molto in soldoni, è un sistema che premia i partiti maggiori. I piccoli ottengono meno seggi di quanti ne dovrebbero avere in proporzione ai voti, invece i grandi ne ricevono di più. È lecito dubitare che un sistema siffatto possa piacere ai centristi. Difatti Casini non ha fretta, della legge elettorale (dicono all’Udc) si può discutere con calma più in là.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/440181/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #174 inserito:: Febbraio 06, 2012, 10:58:19 am »

Politica

06/02/2012 - CENTRODESTRA FINE DI UN’ALLEANZA

Berlusconi, contrattacco per smarcarsi dalla Lega

L'ex premier: «Dobbiamo dialogare con il Pd. E non solo sulla legge elettorale. Bisogna lavorare con loro anche sulle altre riforme»

Cerca la sponda col Pd sulle regole elettorali, via alle consultazioni

UGO MAGRI
Roma

Berlusconi scodella in un’intervista (a «Libero») quanto andava sostenendo da qualche giorno nel conciliaboli di partito, con tutti che gli dicevano «Silvio, vacci piano con questi discorsi...». Piano, perché il Cavaliere è arrivato alla convinzione che la salute della Repubblica passi attraverso un’intesa tra Pdl e Pd. Vale a dire con gli odiati «comunisti» per i quali prova adesso una sorta di innamoramento. Non è la prima volta. Anche nel 2006, subito dopo la striminzita vittoria elettorale di Prodi, Berlusconi aveva teso la mano, salvo ritirarla due anni dopo, quando in sella ritornò lui. La novità dell’intervista, raccolta da Salvatore Dama, consiste nel tono alto, quasi una palingenesi per la democrazia italiana, tale da far esclamare l’exministro Rotondi: «Berlusconi ragiona da statista!». Il senso è: governare con queste regole è una tragedia, quindi «tornare a Palazzo Chigi con l’attuale architettura istituzionale sarebbe inutile»; meglio lanciare in pista Alfano, «giovane bravissimo». Il dialogo con Bersani & C serve a rimettere il Paese sulle gambe, «bisogna lavorare con loro sulle riforma istituzionale». Anche sulla giustizia? «Perché no», conferma Berlusconi, «in fondo 40 loro deputati hanno votato per la responsabilità civile dei magistrati...». E’ uno scenario da «governissimo»: non adesso, perché alla guida del governo c’è Monti, il quale «è molto bravo». La prospettiva rigurda un domani ancora tutto da costruire. E non a caso la precisazione «soft» messa a punto da Bonaiuti, portavoce del premier, ridimensiona l’intervista a ragionamento «sul filo del paradosso, proiettato verso un futuro non facilmente prevedibile». Insomma, nulla che riguardi il presente.

In verità, un riscontro con l’oggi ci sarebbe. Berlusconi indica nella legge elettorale il terreno su cui «il dialogo non può non essere col Pd». Perché i due partiti più grossi, insieme, possono rimettere tutti gli altri al posto loro. Attualmente il voto degli italiani «si disperde tra una miriade di sigle» che elenca: la sinistra radicale di Vendola, i grillini, Di Pietro, i Radicali, Fini, l’Udc di Casini, la Lega... Tutti guastafeste che confondono le idee alla gente, difatti «il 46 per cento non sa chi votare e se andare a votare». Per questo, butta lì, «sarebbe opportuno alzare la soglia di sbarramento». Berlusconi la immagina parecchio in alto; talmente lassù, che nemmeno Casini ci potrà arrivare.

I centristi dovrebbero preoccuparsi, invece col segretario Udc Cesa rispondono un filo sfottenti (bene, bravo, finalmente pure il Cavaliere «capisce che i comunisti non esistono più»). Sono sereni in quanto Bersani non ha intenzione di reggere il sacco all’uomo di Arcore. Il segretario Pd è già di suo parecchio nervoso per le «provocazioni» subite in materia di Rai e di giustizia, ieri ha invitato il Pdl «a darsi una regolata». Addirittura, l’uscita di Berlusconi pare abbia permesso a Bersani di guadagnare punti con Casini promettendo che la riforma elettorale sarà rispettosa del Terzo Polo, con cui il Pd si vorrebbe alleare. Cicchitto, capogruppo berlusconiano alla Camera, è corso ai ripari sostenendo che pure il Pdl vuole tanto bene ai centristi, con loro vorrebbe costruire addirittura un soggetto politico insieme. Ma l’intervista a «Libero» rischia di danneggiare pure l’iniziativa importante che verrà sviluppata in settimana da Quagliariello e da La Russa: vere e proprie consultazioni sulla riforma del Porcellum, a partire da domattina con la Lega e nel pomeriggio con il Pd. I due esponenti Pdl non sottoporranno alcuna proposta specifica, tenendo la porta aperta a tutte le soluzioni, pur privilegiando il modello spagnolo. Se sotto sotto puntavano a qualche intesa privilegiata con il Pd, in danno di tutti gli altri, Berlusconi ha reso scoperto il gioco. A questo punto nessuno ci cascherà più.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/441321/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #175 inserito:: Febbraio 07, 2012, 11:23:49 pm »

Politica

07/02/2012 - RIFORME LE REGOLE DEL VOTO

Casini: "Governo di armistizio per altri 5 anni"

Pierferdinando Casini pensa che il governo tecnino resterà ancora in carica per altri 4 o 5 anni

Legge elettorale, al via le consultazioni del Pdl

C’è l’ipotesi di un vertice tra tutti i capigruppo

UGO MAGRI
Roma

Nel Pdl cercano di riparare i danni causati dal Cavaliere con le sue profferte nei confronti dei «comunisti». Non erano fatte, giura Cicchitto, per fare ingelosire Bossi o Casini. Il quale Casini fa mostra di infischiarsene: se Berlusconi crede di spaventarlo con una soglia di sbarramento elettorale esagerata, lui accetta la sfida perché tanto nel 2013 «contiamo di avere la maggioranza relativa...». E comunque, mica si voterà per cambiare governo, «chi pensa che Monti possa risolvere i problemi in un anno e mezzo vive sulla luna, questa formula di armistizio deve durare 4-5 anni».

Così tanto ci sarebbe da fare, che lungo la via delle riforme si rischia l’ingorgo. Per evitarlo, si va verso il chiarimento politico. Cosa fare? E come? E con chi? Per iniziativa del Pdl i partiti cominceranno a parlarne, nuova legge elettorale ma non solo, in un round di colloqui nelle sale dell’Hotel Nazionale e dell’Hotel Minerva (un tantino più accoglienti delle botteghe politiche). Quagliariello e La Russa vedranno oggi le delegazioni della Lega e del Pd. Domani, Terzo Polo e Sel. Sapremo giovedì, dopo gli ultimi colloqui con la Destra e (forse) con l’Idv, se si sarà registrato qualche passo da tramandare ai posteri. Nel frattempo scendono in campo i presidenti delle due Camere. Fini e Schifani debbono stabilire in fretta dove indirizzare le riforme, nell’uno o nell’altro ramo del Parlamento. La questione è delicata, senza una decisione concorde può divampare la guerra, «questa è materia mia, no è mia»...

Prende corpo in queste ore l’idea di un vertice, tutti i capigruppo di Montecitorio e di Palazzo Madama che si riuniscono insieme per mettere qualche punto fermo. Fini ne ha ragionato con Schifani, alla luce di una richiesta formulata giorni addietro dal Pd, e pare che il summit possa tenersi in tempi abbastanza brevi. Sarebbe un semaforo verde importante perché, scommette Della Vedova (Fli), «una volta messo in moto, il motore delle riforme stavolta non si ferma più». Non si spegnerà in quanto, spiega il presidente dei deputati Pd Franceschini, «sta maturando una generale consapevolezza: se il Parlamento non facesse nulla, pur avendo un anno davanti, darebbe una prova drammatica di impotenza». Sarebbe il colpo di grazia alla politica.

A rigor di logica, l’intera materia delle riforme dovrebbe essere appannaggio del Senato. Così perlomeno fu deciso nel 2008, all’inizio delle legislatura. In quel momento, però, di cambiare il Porcellum non si parlava nemmeno; successivamente, una trentina di proposte per rimpiazzarlo con altri sistemi elettorali si sono ammucchiate sul tavolo di Vizzini, presidente della Commissione affari costituzionali. A quel punto è apparso chiaro che non si può cambiare il sistema di voto se, prima, non viene fissato il numero dei parlamentari (oggi sono troppi), e se non si impedisce che le due Camere continuino a pestarsi i piedi a vicenda. Insomma, la riforma elettorale porta con sé quella istituzionale. Col risultato che ora c’è troppa carne al fuoco, il Senato da solo non ce la farebbe mai a cucinarla tutta da solo, Schifani ne è ben conscio: occorre ripartire i compiti con la Camera. Fini è impegnato a trovare la soluzione. Tra l’altro, questo confronto sull’architettura dello Stato lo colloca al centro esatto della scena politica da adesso in avanti. Non va dunque letto in chiave ironica il suo plauso a Berlusconi, che «ritiene il Pd un interlocutore di primaria importanza per un’eventuale riforma della legge elettorale»: la nuova fase può riservare grandi sorprese politiche.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/441484/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #176 inserito:: Febbraio 21, 2012, 04:27:58 pm »

Politica

20/02/2012 - IL PUNTO POLITICO

Riforme e lavoro, sette giorni decisivi

Bozza costituzionale e articolo 18.

La maggioranza prova a chiudere prima della campagna elettorale

UGO MAGRI
Roma

In settimana la maggioranza proverà a chiudere quel poco (o quel tanto) di intese messe in cantiere. Si registra nei tre maggiori partiti una certa fretta, perché dai primi di marzo in poi la politica sposterà tutta l’attenzione sulle prossime amministrative, la campagna elettorale prenderà il sopravvento, ed è piuttosto difficile che forze politiche in concorrenza vogliano stipulare accordi proprio alla vigilia del voto…

Quindi dobbiamo attenderci che la bozza di riforma della Costituzione, cui stanno lavorando gli “sherpa” nella distrazione generale, venga definita nei dettagli entro la fine del mese, in modo che l’iter parlamentare incominci prima del peggioramento meteo-politico. Qualcuno dei protagonisti sostiene che un testo nero su bianco sarà pronto già in settimana. Discorso analogo per quanto riguarda i temi del lavoro: cresce nei partiti l’aspettativa che i primi giorni di marzo possano rappresentare l’ora della verità. Se la decisione del governo su articolo 18 e dintorni dovesse tardare, per le varie anime della maggioranza impegnate nei comizi sarebbe ancora più duro accettarla. Quindi aspettiamoci sette giorni di frenetici negoziati sopra e sotto il banco.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443239/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #177 inserito:: Febbraio 23, 2012, 11:25:14 am »

Politica

23/02/2012 - LAVORO

Il punto: Il silenzio del Pdl sull'art.18 per avere garanzie su Rai e giustizia

L'asse Berlusconi-Monti regge: nessuna polemica con i democrat in cambio di una doppia apertura sui temi più cari al Cavaliere

UGO MAGRI
Roma

A riprova degli ottimi rapporti tra Monti e il Cavaliere (che ieri è stato ospite del premier a colazione), si segnala l'atteggiamento del Pdl sull'articolo 18. Anziché seguire i propri istinti belluini, il partito di Berlusconi sta facendo l'unica cosa che può essere di aiuto al governo in questo frangente: stare fermo e zitto. Perché qualunque cosa faccia o dica, avrebbe come effetto sicuro quello di infiammare una trattativa dall'esito ancora incerto. Si immagini quale immenso putiferio sarebbe scoppiato se Silvio, uscendo da Palazzo Chigi, avesse ripetuto le parole della Marcegaglia sui sindacati che proteggono ladri e fannulloni: qualunque modifica alla disciplina sui licenziamenti si sarebbe subito trasformata (agli occhi di Camusso, Fassina e di mezzo Pd) in un cedimento intollerabile alla destra berlusconiana. Per cui davanti al desco imbandito dalla signora Elsa, il Cavaliere si è limitato a condividere la battaglia della ministra Fornero, senza infierire contro Bersani.

In cambio della complice prudenza, tuttavia, Berlusconi ha lasciato sul tavolo di Monti un paio di piccole cambiali politiche.
Una è la «governance» Rai, in quanto non è chiaro che cosa accadrà tra un mese quando il vertice di Viale Mazzini verrà a scadenza; l'altra è la giustizia, vecchio pallino dell'uomo di Arcore. Su entrambe le questioni, il Cavaliere pretende garanzie: la tivù pubblica deve restare sotto il controllo dei partiti, la Severino farebbe bene a ricominciare il pressing nei confronti dei magistrati... Se Monti ha firmato o no le due cambiali, lo capiremo meglio nei prossimi giorni.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443687/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #178 inserito:: Febbraio 25, 2012, 05:04:17 pm »

Politica

24/02/2012 -

Il punto: Monti l'equilibrista resiste al pressing dei partiti

Il premier deve chiudere in fretta i cantieri aperti (liberalizzazioni e mercato del lavoro) se non vuole rischiare di sbilanciarsi

Ugo Magri
Roma

Un effetto perverso delle Amministrative dietro l'angolo è che Monti viene costretto a barcamenarsi. Intendiamoci: il premier vi provvede con stile; sempre si sforza di interpretare, come stella polare, gli interessi generali; inoltre pone dei limiti invalicabili alle richieste di questo o di quello. Però la sensazione generale è, appunto, di una crescente pressione dei partiti sull'esecutivo dettata da calcoli elettorali, nonché di uno sforzo del Professore per evitare di sbilanciarsi e cadere. La politica, del resto, è una scienza esatta. A ogni spinta, ne corrisponde un'altra dal segno uguale e contrario.

Due giorni fa il Cavaliere aveva fatto irruzione a pranzo dal presidente del Consiglio, sottoponendogli i temi a lui cari (televisioni, giustizia). Inoltre Berlusconi aveva trasmesso l'idea di un'intesa destinata a proiettare Monti ben oltre il 2013, magari fino al 2018, sotto la sua ala protettiva. Il precario equilibrio su cui poggia il governo ne è risultato compromesso. Dunque nessuna sorpresa che, al fine di ristabilirlo, prima Rutelli a nome del Terzo Polo, e poi lo stesso Bersani, abbiano sentito il bisogno di colloquiare vis-à-vis con il presidente del Consiglio. Certe vere o presunte concessioni strappate dal Pdl sul decreto liberalizzazioni sono state immediatamente compensate da promesse di più intenso dialogo sulla riforma del mercato del lavoro. Stessa storia sulla «governance» Rai.

La morale, sempre che ve ne sia una, qual è? Che Monti deve affrettarsi a chiudere i due cantieri aperti (liberalizzazioni e mercato del lavoro). Perché quanto più la scadenza di maggio sarà vicina, tanto più la campagna elettorale gli renderà difficile mantenersi in equilibrio.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/443861/
Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #179 inserito:: Febbraio 28, 2012, 05:31:42 pm »

Politica

28/02/2012 - LA GIORNATA POLITICA

Il punto- Riforme, stretta sulla bozza: meno onorevoli, più poteri al premier

Bocchino, insieme a Violante, Quagliarello e Adornato è uno dei quattro saggi della maggioranza che lavora al pacchetto riforme

I saggi della maggioranza limano il testo che entro dieci giorni sarà sul tavolo dei leader: resta fuori soltanto la nuova legge elettorale

UGO MAGRI
Roma

Entro stasera, al massimo domani mattina, la bozza delle riforme costituzionali sarà completa. Mancano solo certi dettagli, e i quattro «saggi» della maggioranza (Violante, Quagliariello, Bocchino e Adornato) si vedranno apposta per queste ultime limature. A quel punto il testo finirà sul tavolo dei rispettivi leader, i quali avranno dieci giorni di tempo per soppesarne i pro e i contro. Ci saranno sicuramente altri incontri, in particolare diamo per certo che riservatamente prima o poi si riuniranno «A, B e C» (Alfano, Bersani e Casini) per discuterne tra di loro. Ma il clima di condivisione è tale che, al momento, i «saggi» si lanciano in una scommessa: a metà marzo la riforma sarà «incardinata» nella commissione Affari costituzionali del Senato. Cosicché, volendo, entro fine anno potremmo avere una seconda parte della Carta repubblicana riveduta e corretta. Meno onorevoli sebbene ancora tanti (500 deputati e 250 senatori), più poteri al capo del governo (potrà sostituire i ministri, chiedere al Capo dello Stato di sciogliere le Camere, pretendere l'approvazione dei provvedimenti a data certa), basta andirivieni delle leggi tra Montecitorio e Palazzo Madama (una sola «lettura» salvo espressa richiesta dell'altro ramo del Parlamento), sfiducia costruttiva come in Germania (in queste ore i saggi cercano di inserire qualche congegno anti-ribaltone).

Resta esclusa per ora la legge elettorale. Non che manchi una base di intesa: tutti i protagonisti ammettono che si potrebbe andare agevolmente verso un sistema misto, un po' spagnolo e un po' tedesco. Ma prima di legarsi le mani reciprocamente, i partiti della maggioranza aspettano di capire se e come abbandonare il «Porcellum» sulla base - si capisce - delle proprie convenienze. Contano di scoprirlo tra un paio di mesi, alle prossime elezioni amministrative: sarà l'ultima occasione per misurare sul campo, e non solo sulla base dei sondaggi, lo stato di salute dei partiti. A quel punto ciascuno si farà bene i suoi calcoli e dalla teoria (forse) passeremo alla prassi.

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/444362/
Registrato
Pagine: 1 ... 10 11 [12] 13 14 ... 29
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!