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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228776 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Luglio 02, 2010, 09:44:17 pm »

 2/7/2010 (7:18)  - RETROSCENA

Intercettazioni, i falchi del Cavaliere: "Ora è guerra col Colle. Fini si adegui"

Ghedini guida l'attacco, le colombe all'angolo. Scontro tra il presidente della Camera e Bondi

UGO MAGRI
ROMA

Napolitano ci dichiara guerra e guerra avrà», si lanciano baldanzosi nella mischia i falchi berlusconiani, quelli che «sulle intercettazioni non cambieremo una virgola», che «o Fini si adegua o verrà cacciato dal Pdl». Non aspettavano altro per suonare la diana della riscossa. Anzi, se si dà retta ai diretti protagonisti, un po’ questo scontro col Colle l’hanno proprio cercato, certi di interpretare gli umori viscerali del Cavaliere, loro santo patrono. Ghedini, per esempio: l’altro giorno era stato visto confabulare ore e ore alla Camera con il centrista Vietti, di cui si parla come possibile candidato per il Csm. Poi a sera, forse immaginando di aver acquisito qualche fantomatico appoggio Udc, ecco l’avvocato del premier dettare la linea dura, eccolo stabilire nella Consulta giuridica che il ddl intercettazioni resterà com’è, e magari alla Camera ci si metterà pure su la fiducia...

Uno sgarbo a Napolitano, il quale ne ha preso atto col rammarico tipico di tutti gli esseri umani. Sia guerra, dunque. Sfidando il Colle fino alle conseguenze più estreme. Perché niente e nessuno sembra frenare la deriva muscolare del berlusconismo. Bastonate le rare «colombe» alla Letta, sistemati anche i «realisti», quelli per cui la politica è una scienza esatta, due più due fa ancora quattro e sulle intercettazioni il governo rischia di brutto, i venti di crisi tornano a soffiare impetuosi: se la maggioranza si sfalda nel voto alla Camera, potrebbe nascere ad esempio un governo tecnico. Perché correre questo rischio? Se lo domandano in «camera caritatis» coordinatori, capigruppo, vicecapigruppo, in pratica l’intero nucleo dirigente del Pdl. Dopo l’ultimo avvertimento di Napolitano, tornano in auge gli scenari catastrofisti.

Eppure non c’è verso, lamentano gli ultimi «moderati» dentro il Pdl: lo scontro istituzionale sembra scritto nel libro del destino. E il rammarico dei «trattativisti» è proprio che il Presidente della Repubblica, ai loro occhi è chiaro, sia caduto nella «provocazione» dei Ghedini. Abbia commesso (così si sfoga un personaggio autorevole del Pdl) «il primo vero passo falso in una gestione della vicenda per altri versi impeccabile». Perché, dicono sempre i negoziatori sconfitti, sotto sotto si stava cercando un dialogo col presidente della Repubblica e con quello della Camera, sulle intercettazioni ma non solo. Ieri mattina s’erano visti due emissari finiani (Bocchino e Augello) con la delegazione del Cavaliere composta dai «tre porcellini» (come vengono affettuosamente chiamati nel Pdl i coordinatori Bondi, Verdini e La Russa).

Un colloquio per gettare le basi del chiarimento tra Silvio e Gianfranco, con l’impegno a rivedersi altre due-tre volte entro la metà di luglio. Non era andata poi così male. Chi era presente racconta di timide reciproche aperture, fermo restando il nodo delle intercettazioni, madre di tutte le discordie interne del Pdl. Poi però è piombata da Malta la «bomba» Napolitano. «Non me l’aspettavo», sussurra fuggendo via alla Camera il presidente dei deputati Pdl Cicchitto. Era stato lui, con il sostegno del senatore Quagliariello, a battersi per anticipare la discussione della manovra economica, proprio come sollecitava il Colle.

Perfino la decisione di portare in Aula le intercettazioni il 29 luglio, che Fini e il Quirinale hanno vissuto come una inutile forzatura, era stata presa con l’occhio rivolto ai Regolamenti parlamentari dove si pretende un certo anticipo, se si vogliono contingentare i tempi di approvazione magari non ad agosto, ma a settembre: «Tutte cose che al Quirinale dovrebbero ben sapere...». Per farla breve, Cicchitto ha replicato a Napolitano con gli argomenti appena descritti, facendo precedere la dichiarazione da una telefonata al premier, appena atterrato da Panama a Ciampino. Poco dopo, ciliegina sulla torta, Fini e Bondi si sono presi a male parole in un convegno. Cosicché la giornata, che doveva segnare l’alba del nuovo dialogo, è finita a torte in faccia.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56392girata.asp
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« Risposta #76 inserito:: Luglio 03, 2010, 04:11:38 pm »

3/7/2010 (7:38)  - RETROSCENA

Premier a due facce. Duro con Fini, elastico con il Colle

E ai suoi: adesso pretendo il cambio di passo

UGO MAGRI
ROMA

Nulla regge più.

Reduce dalle Americhe, il Cavaliere ha impiegato un attimo a rendersi conto. Uno dopo l’altro, si sbriciolano i bastioni della fortezza berlusconiana. Svanita la certezza di una maggioranza parlamentare, c’è bisogno che ogni giorno Fini ne certifichi l’esistenza in vita. L’asse con la Lega è tarlato, la nomina del ministro Brancher semina discordia perfino nel partito di Bossi. E ancora: i governatori di centrodestra (quanta fatica per farli eleggere) sono in rivolta contro la manovra dei sacrifici, accontentarli è impossibile perché Tremonti lo vieta. Dilaga nel Palazzo la percezione di un Berlusconi preso in mezzo, condannato all’inconcludenza per i prossimi tre anni: la raccoglie addirittura dalla Germania il quotidiano conservatore «Handelsblatt», Silvio resta un mito però di questo passo... Urge un colpo d’ala.

E la raffica di interviste serali del premier, dal Tg1 di Minzolini a RadioRai di Preziosi, intende comunicare due cose all’Italia. La prima: non si creda ai soliti giornali comunisti che hanno provato a trasformare la missione internazionale del premier in un’allegra vacanza brasileira, tra bionde assistenti e ballerine oba-oba. E’ l’esatto contrario, alle imprese italiane Berlusconi è convinto di aver spalancato le porte dell’Eldorado. Secondo messaggio urbi et orbi: aspettatevi un cambio di passo. Della serie: «Ho capito, così non va, serve una reazione, adesso vedo e provvedo». Non fra un anno o un mese, ma «subito», precisa il consigliere-portavoce Bonaiuti. Chi ha occasione di parlare col premier, è colpito in queste ore dal suo tono di voce, per niente giocoso anzi insolitamente grave e determinato. «Sto per prendere delle decisioni importanti», ripete, «a breve le annuncerò e ne darò conto ampiamente». Clima da vigilia che cambierà il corso degli eventi. E mistero assoluto su quanto dobbiamo attenderci.

Per la prima volta da che esiste il Popolo della libertà pochissimo filtra da un vertice con lo stato maggiore, presenti tutti i protagonisti eccezion fatta per Bondi (reduce dalla pubblica lite con Fini) e Ghedini (parecchio irriverente col Quirinale). Non si fatica a immaginare Bocchino e gli altri oppositori interni con l’orecchio teso per captare notizie, indiscrezioni dal summit. Zero notizie anche loro, solo cellulari spenti, segreterie telefoniche, tutto molto, molto strano. Sembra quasi un clima creato ad arte. Risulta comunque che due piani vadano tenuti ben distinti nella strategia del Cavaliere. Una cosa è Fini, altra cosa completamente diversa dev’essere Napolitano. Il primo, cioè Gianfranco, Berlusconi nemmeno lo vuole considerare. Per lui è morto e sepolto. Lascia che se ne occupino i coordinatori, vedano loro come regolarsi nelle trattative con la minoranza, purché lo tengano fuori «tale è il mio disgusto».

Butta davvero male, se pure Cicchitto (cui non dispiacerebbe ricucire con Fini) comincia a prospettare seriamente l’ipotesi di una «separazione consensuale», comunque preferibile a questa lite senza costrutto. Su Napolitano, viceversa, massima concentrazione del premier. L’unico dignitario berlusconiano che accetta di parlare, naturalmente anonimo, la mette così: «Berlusconi non vuole rompere con il Colle, però sulle intercettazioni sbaglia chi immagina che chinerà la testa. Col Quirinale cercherà un chiarimento vincolante e definitivo, ha in mente un’uscita per mettere tutti con le spalle al muro. Come? Prenderà iniziative autonome, prepara un colpo di teatro... All’Ufficio di presidenza del partito convocato mercoledì? No, non così tardi. La sua intenzione è di muoversi prima, tra lunedì e martedì».

Un weekend di riflessione, e poi lancia in resta. Difficile che un personaggio tutto d’un pezzo come Napolitano si lasci forzare la mano dal premier. Se Berlusconi pretenderà garanzie preventive sulla controfirma presidenziale, rischia di andare a sbattere. Non è malizioso ricordare che certe cariche a testa bassa sono lanciate apposta per nascondere le ritirate (il Cavaliere non ha rivali in materia). Più ragionevole immaginare un altro scenario, di trattativa responsabile tra istituzioni. Un negoziato dove per forza tornerà in ballo la posizione di Brancher, nominato ministro da due settimane e ancora privo di deleghe. Circolavano ieri sera voci di dimissioni imminenti. Un sacrificio sull’altare del chiarimento.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56421girata.asp
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« Risposta #77 inserito:: Luglio 04, 2010, 06:22:24 pm »

4/7/2010 (7:11)  - RETROSCENA

Prima Napolitano, poi Fini

Il Cavaliere si gioca tutto

Telefonata di fuoco con Tremonti, ira per l'aumento dei pedaggi

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi vuole chiarirsi personalmente con Napolitano e, una volta per tutte, pure con Fini. L’incontro al Quirinale pare sia già annotato sull’agenda del premier nella pagina di mercoledì 7 luglio. Per fissare quello col presidente della Camera sta adoperandosi Letta, diplomazia fatta persona. Al punto cui sono giunte le cose, o la va o (quasi certamente) la spacca. Il Cavaliere preferisce correre il rischio di incontrare Fini e dirsi addio, trovandosi poi con una maggioranza risicatissima, piuttosto che traccheggiare oltre. Nulla sarebbe peggio dell’inerzia, è la sua conclusione. Nel cassetto dunque la falsa litania propagandistica del «tutto va bene», è tempo di riconoscere le difficoltà cercando una via d’uscita. Una qualunque. L’oggetto del colloquio sul Colle non richiede sforzi di fantasia.

Si parlerà di intercettazioni e, più in generale, dei rispettivi poteri: dove finiscono quelli del Presidente, dove incominciano quelli del premier. Escluso che Berlusconi si presenti con fare arrogante. Primo, perché con l’inquilino del Colle cascherebbe male, e poi in quanto al Cavaliere preme soprattutto di uscire dalla trappola dove s’è cacciato, cioè una legge sulle intercettazioni che l’Italia interpreta come attacco alla libera stampa anziché come vorrebbe Silvio (difesa della privacy). La pratica va chiusa il più in fretta possibile.
O si individuano d’intesa con Napolitano le 3-4 correzioni in grado di sgombrare l’iter dagli ostacoli, oppure meglio lasciar perdere.
Per ora l’insabbiamento è una subordinata di cui lo stato maggiore berlusconiano nemmeno vuole sentir parlare. Eppure, l’ipotesi di gettare la spugna sussiste, mascherata da rinvio a settembre. Se per rabbonire Napolitano fosse necessario sacrificare Brancher, ecco la testa del neo-ministro già sul piatto d’argento.

Quanto a Fini, il Cavaliere vuole incontrarlo, se ci riesce, per litigarci e constatare che tra due caratteri così forti la convivenza è impossibile. Arrivare con Gianfranco alla «separazione consensuale» che con Veronica ancora non è nero su bianco per questioni, pare, di spiccioli milionari. Entusiasmo nell’entourage dopo l’offerta Pd di appoggiare gli emendamenti finiani sulle intercettazioni.
Nonostante siano nei guai fino al collo, i «berluscones» ritrovano il sorriso, «Franceschini ci sta facendo un regalo perché mette automaticamente fuori del partito Briguglio, Granata, la Bongiorno e tutti quanti troveranno punti di raccordo operativo con l’opposizione». I finiani non sono così fessi, Bocchino tratta la profferta Pd alla stregua di un fungo velenoso. E non è detto che al presidente della Camera convenga accettare un incontro col premier che vuol buttarlo fuori dal Pdl.

Però Fini nemmeno può darsela a gambe, specie se la sfida sarà pubblica. Si aggiunga che Berlusconi ha una necessità vitale di mostrare all’Italia che lui, direbbero gli americani, è ancora «in charge», tiene in pugno la situazione, resta il leader insomma. Altrimenti tutto gli sfuggirebbe di mano. Compresa la manovra economica dove le gaffe sono ormai come le ciliegie, una tira l’altra: sul condono, sulle pensioni, sulle tredicesime... Sbotta Bonaiuti, il portavoce: «Qui bisogna che stiamo più attenti prima di parlare generando inutili allarmi». Berlusconi veniva descritto ieri dai suoi come una furia, si racconta di stupore per i tagli alla busta paga dei poliziotti, di telefonate a Tremonti, di sorpresa per l’aumento dei pedaggi autostradali proprio alla vigilia del grande esodo agostano.

Ecco: questa settimana servirà al premier per mettere qualche punto fermo. Quantomeno, a non lasciare nulla di intentato.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56441girata.asp
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« Risposta #78 inserito:: Luglio 07, 2010, 05:15:20 pm »

7/7/2010 (7:16)  - RETROSCENA

Berlusconi cambia strategia ora punta tutto sul Lodo

Raduna gli ex di Forza Italia: “Il Pdl è nato contro la logica delle correnti”

UGO MAGRI
ROMA

Berlusconi in queste ore sta realmente chiedendosi se non gli conviene fare di necessità virtù. E rinunciare a difendere l’indifendibile (la legge sulle intercettazioni) per trarne in cambio qualche vantaggio di altra natura. Un po’ come accade, non sembri irriguardoso, di sabato al banco del pesce: è meglio regalarne una cassetta per pochi soldi, e far felice un cliente, o rimettere la merce in freezer? Il «cliente» in questione, nell’ottica del Cavaliere, è nientemeno che Giorgio Napolitano. Al quale il premier attribuisce immensi poteri non solo di veto, ma pure di alto patronato politico. Il Quirinale, per Berlusconi, è come un magico semaforo: disco rosso e tutto si ferma, disco verde e l’ingorgo sparisce.

Si delinea dunque un cambio strategico nelle priorità del Cavaliere. Talmente delicato che nemmeno se n’è fatto cenno durante l’improvviso summit serale: tutti i gerarchi a Palazzo Grazioli tranne Gasparri e La Russa, i quali si sono mortalmente offesi della mancata convocazione. Li hanno tagliati fuori (è la giustificazione) perché era una roba di pochissimo conto e loro tra l’altro c’entravano poco. Oggetto dell’adunanza è stato Frattini, promotore di una corrente interna (LiberaMente) insieme con la Gelmini. Berlusconi li bacchetta per la terza volta in due settimane, sebbene siano super-fedeli, in quanto alimentano il frazionismo e così autorizzano i finiani a fare altrettanto. Il Pdl «è nato», recita una nota, «per sconfiggere la vecchia partitocrazia e la vecchia logica delle correnti». Già, ma allora perché lasciar fuori dalla porta proprio due ex di An? Non è un controsenso dichiarare morte le logiche correntizie nel momento in cui si adunano soltanto i duri e puri di Forza Italia? E poi, cosa mai non dovevano sentire Gasparri e La Russa? Che la trattativa con Fini sta per riprendere sulla loro pelle?

Godono, si capisce, Bocchino e tutti i nemici interni del Cavaliere: «Visto come ha trattato quei due, chi ci volesse tradire sa già di quale moneta verrà ripagato...». Un polverone. Destinato a occultare le scelte vere, di peso, che si stanno decidendo in altissimo loco. E che riguardano le intercettazioni, ma pure la «madre di tutte le leggi» (così la considera il Cavaliere), vale a dire il Lodo Alfano. Stamane alle 10,30 Berlusconi salirà al Colle accompagnato da 6 ministri e da una folla di generali. C’è il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal Capo dello Stato. Escluse intorno al tavolo divagazioni di natura politica. Però dal giro governativo insistono: il premier tenterà un abboccamento. Anche solo per pochi minuti. E per far presente al capo dello Stato che sulle intercettazioni lui è disposto a transigere. Fosse necessario, addirittura a rinviare la legge in autunno. Esclusa una discussione sul testo.

Tra l’altro Napolitano è fermissimo, non intende fornire al premier alcun suggerimento che l’esporrebbe all’accusa (Di Pietro ha pronto il cannone) di aver negoziato modifiche con il governo. Tuttavia il ministro Alfano pare abbia trovato qualche interlocutore, vai a indovinare come si chiama, con cui ragionare sulle modifiche. E quel qualcuno gli sta dando indirizzi molto generali del tipo: «Orrore limitare le intercettazioni a 75 giorni. Ad esempio, se diventassero 120 più 30 di proroga, tutto sarebbe diverso...». Il Guardasigilli prende nota, corregge con la benedizione del premier. Che a sua volta considera le intercettazioni alla stregua di merce scaduta. Sognava una legge diversa, ancora più draconiana, quella sul tavolo ormai lo disgusta. Tanto vale rinunciare al poisson avariato e averne in cambio, se ci riesce, la benevolenza presidenziale sul Lodo: quello sì che gli interessa davvero.

Un disegno di legge è in discussione da maggio, servono due letture al Senato e due alla Camera. Contiene la controversa estensione dello scudo ai ministri. Lascia invece senza protezione i presidenti delle Camere, Schifani e Fini. Il quale Fini rappresenta un’incognita, al pari della Corte costituzionale e del Capo dello Stato... Urge mettersi al sicuro. Questo frulla nella mente del Cavaliere, se si dà retta a chi lo frequenta. E figurarsi se Napolitano, in politica da mezzo secolo, non l’ha già capito.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56537girata.asp
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« Risposta #79 inserito:: Luglio 10, 2010, 11:25:58 am »

10/7/2010 (7:35)  - IL CENTRODESTRA

Berlusconi, approccio con Casini

A tavola da Vespa, il Cavaliere: facciamo la nuova Dc

Ma Pier: senza crisi non ci sto

UGO MAGRI
ROMA

Crisi di governo: farla o non farla? E’ il tarlo che rode il Cavaliere dopo la cena dell’altra sera con Casini. Il leader Udc gli ha detto chiaro che di puntellare con i suoi 39 voti questa maggioranza squinternata, nemmeno a parlarne. Diverso sarebbe, ha soggiunto, se si aprisse una fase nuova, passando per le dimissioni del premier e per un nuovo «matrimonio» politico con tutti i crismi. Allora sì, i centristi ne potrebbero ragionare... Una risposta che Berlusconi già conosceva. Però una cosa è parlarne al telefono, ben più impegnativo è dirselo personalmente. E l’occasione del faccia-a-faccia l’ha fabbricata da par suo Vespa con un party di veri vip per festeggiare il mezzo secolo di giornalismo (aveva incominciato a 16 anni). Nel portone principale del palazzo su Trinità dei Monti sono entrati Silvio, la figlia Marina e Gianni Letta. Da un uscio riservato, invece, ecco infilarsi il cardinal Bertone, segretario di Stato della Santa Sede, ecco il governatore di Bankitalia Draghi, ed ecco infine il super-banchiere Geronzi.

Circola nel giro Udc la favola del «trappolone». Pier Furby attratto come un’ape da quel profumo sublime di incenso e di alta finanza. E lì, toh chi ti trova: pure Berlusconi! Ma di favola, appunto, si tratta. Altrimenti non avrebbero colloquiato in disparte col premier subito all’assalto, profferte di ministeri, scenari fantasmagorici, «noi due costruiremo insieme la nuova Dc», tanto Fini ormai è fuorigioco... Difesa strenua di Casini, «no, no, Silvio, non è il momento». E poi, quando il pressing del Cavaliere s’è fatto asfissiante, «ti prego, cambiamo argomento, senza crisi non ci sto». La crisi, appunto. Che significa azzerare il governo, i programmi, l’indirizzo generale. In pubblico Casini parla di «fase politica nuova».

Berlusconi è tentato. Sa che in groppa a questo governo non concluderà la legislatura. L’aspetto nuovo, se si vuol credere alla versione Udc, è che durante lo sfogo a quattr’occhi bersaglio numero uno del premier non è stato Fini bensì Tremonti. Sul secondo gradino, la Lega. Solo terzo, nella «hate parade» berlusconiana, viene il presidente della Camera. Che da diversi giorni dà meno tormenti al premier (la «settimana della bontà», si compiacciono a Palazzo Chigi). Berlusconi giura che «mai e poi mai» gli è passato per la mente di cacciar via il cofondatore, Bonaiuti fa lo stesso con i giornali dove si semina zizzania. Al ministro Ronchi il Cavaliere anticipa: i presidenti finiani di Commissione verranno risparmiati, compresa Giulia Bongiorno. Con Giulio Tremonti, viceversa, resta un clima teso.

Se al premier riuscisse di imbarcare l’Udc, tutti gli sarebbero utili e nessuno più indispensabile. L’uovo di Colombo. Però in cambio Casini pretende la crisi... Berlusconi prende tempo. La sua remora si chiama Napolitano. Casomai si dimettesse il governo, è a lui che tornerebbe il pallino. Silvio ancora ricorda con terrore quante il Presidente gliene ne fece passare, allorché ricevette l’incarico. Se adesso si aprisse la crisi, dopo tutte le tensioni con il Colle sulle intercettazioni e sul resto, Berlusconi non avrebbe certezza di uscirne vivo. Per cui sta meditando di ristabilire anzitutto un rapporto di fiducia col Quirinale. Riconoscono i suoi consiglieri che gli ci vorrà tempo. Molto tempo. Passerà l’estate, forse anche l’autunno. A quel punto, o nozze con l’Udc o fischio finale della legislatura.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56595girata.asp
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« Risposta #80 inserito:: Luglio 12, 2010, 10:18:50 am »

12/7/2010 (7:26)  - GOVERNO

Un "super correntone" nel partito del premier

Gli uomini più in vista del Pdl chiedono uno stop al frazionismo


UGO MAGRI
ROMA

Di domenica, e per di più a metà luglio, mai si era visto un fenomeno simile: venti, forse trenta dichiarazioni a sostegno entusiastico di Renato Schifani, presidente del Senato, che sul Corriere della sera lancia un paio di idee giudicate dai suoi fan sagge, equilibrate, giuste, opportune, meritorie, illuminate, in uno scialo di lodi senza eguali. Tra quanti si sono pubblicamente complimentati spiccano i ministri Fitto, Sacconi e Brunetta, il capogruppo alla Camera Cicchitto, il «vicario» al Senato Quagliariello, presidenti di Commissione come Vizzini, più una folla di parlamentari la cui osservanza berlusconiana mai è stata messa in discussione: da Tomassini a Boniver, da Lupi a Bonfrisco, e poi Azzollini, Malan, Santelli, Osvaldo Napoli e tanti altri ancora... Da Bruxelles fa giungere il suo plauso a Schifani nientemeno che il Commissario europeo Tajani. Che diamine sta succedendo nel Pdl?

Sta per nascere, così sembrerebbe, il correntone di quanti non vogliono le correnti. E dunque mandano al premier un messaggio molto preciso: «Caro Silvio, o metti fine al frazionismo interno, e blocchi in maniera risoluta quanti danno vita a raggruppamenti che si richiamano a te, oppure d’ora in avanti saremo costretti a organizzarci anche noi, tuoi fedelissimi, che tu lo voglia o meno». Nessuno si scopre, ovviamente, in termini così brutali. L’ossequio verso il Capo resta totale. Eppure di questo si tratta, di un messaggio mai così ultimativo rivolto al leader. Al quale viene chiesto di non fare l’anguilla sulle questioni poste da Schifani dopo lunga e tormentata (così pare) riflessione con alcuni consiglieri.

In sintesi: con Fini si tenti l’accordo da persone serie, senza cedere agli umori viscerali. E basta con il movimentismo, con questa insoddisfazione perenne del Cavaliere verso il partito da lui stesso fondato, che lo porta a immaginare nuovi «predellini» per liberarsi dell’altro co-fondatore, a sguinzagliare guardie scelte come i Promotori della libertà o pretoriani come LiberaMente. Proprio questi ultimi l’altro ieri sono andati in Sicilia, terra di Schifani e di Alfano, per adunare mille persone a Siracusa sotto le bandiere degli antagonisti Prestigiacomo e Micciché: cioè una sfida aperta, quasi sfacciata, all’establishment siciliano e pure a quello nazionale.

Già, perché non più tardi di martedì scorso s’era tenuta un’apposita riunione straordinaria del «Politburo»: tutti i personaggi più in vista del partito erano corsi dal Cavaliere per strappargli una parola chiara sul frazionismo interno, e l’avevano ottenuta (o perlomeno così credevano). Addirittura c’era stata una pubblica messa al bando delle correnti mascherate da fondazioni culturali, con tanto di obbligo per quelle vere di federarsi tra loro... Tempo tre giorni, ed ecco il convegno di LiberaMente, con la solita scia di polemiche e di illazioni tipo: chi c’è dietro, dove prendono questi denari, ed altre prelibatezze del genere, tipiche delle guerre civili sotto ogni latitudine politica. Adesso l’uscita di Schifani, il pronunciamento collettivo dell’intero notabilato Pdl, la minaccia sottintesa di organizzarsi a loro volta... Berlusconi come la prende?

Bonaiuti, il portavoce, alza le mani: «Credo di essere stato il primo, potrei citare la circostanza, a sparare sulle correnti... Anzi, giacché ci siamo, basta pure con la ripartizione per quote tra ex-Forza Italia ed ex di An». Il Capo come suo solito è strattonato tra i realisti che lo esortano alla prudenza, perché senza i finiani la maggioranza sarebbe appesa a un filo, e gli ultrà che lo incensano, gli danno la carica, e come il sottosegretario Giro prevedono già la rottura definitiva con Fini.

Dilaga tra gli stessi colonnelli il sospetto che Silvio reciti due parti in commedia, prepari il faccia-a-faccia inevitabile tra lui e Gianfranco con la riserva mentale di chi in cuor suo vorrebbe dar vita a un nuovo partito berlusconiano, il terzo in 15 anni. In fondo, pure quando sciolse Forza Italia si regolò nello stesso identico modo: coi personaggi in vista del partito negava di conoscere i club della Brambilla salvo incitare di nascosto la rossa Michela Vittoria ad andare avanti. La storia tende a ripetersi, ma la nomenklatura berlusconiana ha imparato la lezione e stavolta non vorrebbe farsi cogliere impreparata.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201007articoli/56641girata.asp
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« Risposta #81 inserito:: Agosto 04, 2010, 07:43:58 pm »

4/8/2010 (7:21)  - RETROSCENA/1

Berlusconi, a settembre la resa dei conti: o rilancio o elezioni

Rebus autosufficienza: i dubbi del Colle se non si superasse quota 316

UGO MAGRI
ROMA

Salvo ripensamenti notturni (sempre possibili, dato il carattere imprevedibile del personaggio) Berlusconi adotterà oggi la tecnica dello struzzo. Fingerà di non vedere che al suo governo manca la certezza dei numeri, che pezzi della presunta maggioranza vanno a braccetto con le opposizioni, che di fatto egli si ritrova alla guida di un esecutivo balneare. Il Cavaliere ficcherà la testa sotto la sabbia, questo si scommette nella sua corte romana, rifiutando il gesto delle dimissioni in quanto non intende rischiare il vero chiarimento adesso. Prima ha cose più urgenti da fare: rimettere in asse il partito, rilanciare il programma di governo. Gli servirà l’intero mese di agosto. Poi, a settembre, Berlusconi calerà le carte. O rilancio, oppure elezioni anticipate entro fine anno. Ma adesso no, per la resa dei conti è troppo presto.

Cosicché, proprio mentre ieri a Montecitorio impazzavano le voci di crisi alle porte, e si raccontava nei capannelli del Transatlantico di un Cavaliere furioso per l’astensione di Fini su Caliendo, deciso a cacciare i ministri e i vice-ministri di An, pronto perfino a salire sul Colle (se non fosse che Napolitano è già partito ieri sera per Stromboli dove trascorrerà le sue ferie), mentre dunque andava in scena questo psicodramma, lui aveva la testa tutta concentrata altrove. Si occupava di scenari futuri, si scervellava su riforme capaci di togliere la patina opaca dal profilo del governo, e soprattutto si dedicava al partito. Qui si annuncia il vero cambio, radicale.

Se sono vere le intenzioni manifestate a certi interlocutori di fiducia, Berlusconi mira a fare piazza pulita del gruppo dirigente nazionale in tempi brevi, forse brevissimi. Non per gettare la croce addosso a Verdini, assalito da un nugolo di inchieste, e tantomeno a Bondi, pronto a sacrificarsi per il leader, o al fedele La Russa. Semmai profitterà della cacciata di Fini per dare una verniciata di nuovo al Pdl; coglierà la palla al balzo per mettere in pista una gestione giovane e (a quanto pare) collegiale dove sia ben rappresentata l’area di An rimasta fedele, però vi prevalgano i volti giovani e freschi, proiezione ideale del Capo, su cui non aleggi il ricatto della questione morale, e insomma Fini non possa alzare mai più il dito per ergersi a giudice del Bene e del Male, questa legge sì e quest’altra no...

Si annunciano in agosto lunghi conciliaboli del premier con Tremonti, onde chiarirsi a fondo e ritrovare sintonia operativa sui (pochi) denari da spendere: questo sussurrano tra Palazzo Grazioli e Palazzo Grazioli. Scenari proiettati in avanti, con i quali una crisi a rotta di collo non ci azzecca affatto: non sta nei piani del Cavaliere.

Specie ora, che i sondaggi non giocano a suo favore. Poi, si capisce, la santabarbara può saltare su qualunque scintilla. Sull’atteggiamento dei ministri e vice-ministri finiani, ad esempio. Anche loro si asterranno sulla fiducia al collega di governo Caliendo (ricevuto verso sera dal Cavaliere insieme col Guardasigilli Alfano), oppure voteranno contro la mozione del Pd, come li pungola Cicchitto? Quale lealtà avrà la meglio, quella al premier o quella verso il presidente della Camera? Gasparri racconta che uno di questi finiani governativi «in preda alle convulsioni» si è rivolto a lui, chiedendo consiglio. E il capogruppo Pdl giura di averlo mandato con Dio: «Regolati come Marzullo, fatti una domanda e datti una risposta...».

Quando c’è la volontà, una foglia di fico si trova sempre. Eppure nessuno tra i «berluscones» nutre illusioni: il governo è in ginocchio. La formazione di un centro politico sotto l’egida di Casini viene vissuta con grande preoccupazione. Addirittura qualcuno solidarizza col Pd, casomai dovesse subire a sua volta emorragie (Bonaiuti, portavoce del Cavaliere, è stato visto colloquiare fitto fitto con il segretario Pd Bersani), segno di convergenze bipolari: l’avversario comune sta in mezzo.

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« Risposta #82 inserito:: Agosto 05, 2010, 03:40:56 pm »

5/8/2010 (6:58)  - RETROSCENA

La furia di Berlusconi "Al voto in novembre"

Ma Napolitano consiglia "prudenza e testa fredda"


UGO MAGRI

Berlusconi ha toccato con mano il disastro, s’è reso conto che il suo regno ha le settimane contate. Non gli serviva un pallottoliere per scoprire che «opposizione più astensioni uguale governo in minoranza». Ma un conto è ragionare di numeri in astratto, altro è viverli nell’emiciclo: questione di adrenalina, di percezioni fisiche tipo quelle che prova chi si trova a sedere sotto lo scranno del rivale... Subito dopo il voto, Berlusconi è una furia. Si sfoga con gli amici, non trattiene il fiume dello sconforto: «Una cosa del genere», ripete scuotendo la testa quasi fosse un automa, «non l’avrei mai immaginata. Eravamo il governo più forte e stabile del continente, un punto di riferimento all’estero da tutti invidiato. Ora guardate in che stato siamo ridotti, giudicate voi che devastazione ha prodotto Fini. Con l’aggravante che non se ne riesce a comprende la motivazione, per quale motivo l’abbia fatto». Non si dà pace il premier, e l’impatto con la cruda realtà spazza via tutte le false illusioni, gli ottimismi di maniera sparsi a piene mani la sera prima durante un cocktail nel castello di Tor Crescenza. Con le deputate a lui rimaste fedeli il Cavaliere era stato prodigo di anelli e bracciali, ma soprattutto rassicurante: «Il mio governo andrà avanti, non c’è spazio per soluzioni tecniche che falserebbero la volontà degli elettori, le elezioni sono solo un’extrema ratio perché l’Europa ci chiede stabilità, ce la chiedono le agenzie di rating, una crisi avrebbe percussioni molto negative sulla nostra economia».

Ora, dopo il voto su Caliendo, il clima appare radicalmente cambiato. Altro che rosee prospettive di governo, Berlusconi è il primo a non crederci più. Le elezioni anticipate tornano ad essere la sua principale e, forse, unica opzione. «Teniamoci pronti» dice a sera ai deputati. E poco parla di Fini, e del caso Montecarlo, senza citarlo mai: «C’è qualcuno che nutre speranze nei confronti di un leader che è al centro di notizie poco chiare e che dovrebbe spiegare». Riunito con i gerarchi nel bunker di Palazzo Grazioli, il premier studia all’ora di pranzo i piani di battaglia. Non uno dei presenti, da Cicchitto a Quagliariello allo stesso Tremonti, giudica percorribile la via della tregua armata con Fini. Semmai Berlusconi assiste alla gara tra chi è più falco e intransigente. Esemplare il discorso di Gasparri, presidente dei senatori: «Quali sono le alternative al voto anticipato? Io non le vedo. A settembre ci ritroveremo nelle stesse condizioni di adesso, forse peggio. Dovremo negoziare qualsiasi cosa con Fini, il cui obiettivo strategico è solo il nostro smantellamento, attraverso nuove leggi elettorali o governi istituzionali...». Nessuno sfoglia il calendario, ma è chiaro che metà novembre (magari il 19) sarebbe la data ideale per chiamare gli italiani alle urne. Chi ha avuto contatti col Pd (Tremonti, Bonaiuti) riferisce al Capo le preoccupazioni di Bersani: le elezioni coglierebbero di sprovvista anche loro, al Botteghino le eviterebbero volentieri, però sono impotenti, mica possono sostenere il governo nelle leggi «ad personam» sulla giustizia. Letta ha sentito il Presidente della Repubblica, ne ha colto dalla viva voce la preoccupazione.

Da Stromboli, Napolitano raccomanda «prudenza e testa fredda», si sa che non accetterebbe crisi di governo fuori del Parlamento, bisogna quantomeno aspettare che le Camere riaprano a settembre, sperando che il time-out serva a chiarire le idee di tutti i protagonisti. Di qui ad allora, Berlusconi proverà a dare la scossa al partito, preparandolo alla battaglia finale. Via la vecchia guardia di generali stanchi e sfiduciati, come l’ultimo Bonaparte anche Silvio ama i giovani e gli entusiasti. Vorrebbe sostituire i «triumviri» (Bondi, Verdini e La Russa) con facce più televisive, e chi l’ha sentito l’altra sera a Tor Crescenza è sicuro di aver individuato i prescelti: sarebbero Alfano, la Gelmini e (per dare rappresentanza alla truppa ex-An) la Meloni. Sennonché il desiderio del leader cozza con la realtà, perché deludere La Russa significherebbe regalare altri 30 deputati e senatori a Fini proprio nel momento più delicato. Grande è la confusione sotto il cielo. Per i centristi la situazione è eccellente.

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« Risposta #83 inserito:: Agosto 09, 2010, 10:07:41 am »

9/8/2010 (7:14)  - RETROSCENA

La rivincita di Berlusconi "Felice come una Pasqua"

Ma i fedelissimi temono le elezioni e cercano il dialogo con i finiani

UGO MAGRI
ROMA

Contento «come una Pasqua». Il Cavaliere, lo descrivono gli scudieri, «si gode il suo trionfo». Era tempo, aggiungono, che non assaporava una vendetta così zuccherosa: Fini costretto a giustificarsi «in modo debole, goffo, inefficace» su accuse di profilo morale. Nello stesso tempo però Berlusconi risulta «offeso a morte, inferocito». Perché il presidente della Camera «mi attacca in modo insultante», ringhia Silvio coi suoi fedeli. Dichiarazioni pubbliche zero. Il portavoce Bonaiuti addirittura smentisce in anticipo chi stamane metterà commenti in bocca al premier, rintanato ad Arcore dove «sta lavorando al programma di governo per la ripresa». Ma come può uno scoglio arginare l’oceano? Difatti dall’entourage è tutto un fluire di giudizi berlusconiani più o meno apocrifi, certamente inverificabili, ispirati al sarcasmo per il rivale, «che autogol», «in confronto Scajola s’è dimesso per molto meno», «a questo punto pure lui se ne dovrebbe andare», «non può restare terza carica dello Stato»... Chi prendesse per oro colato tutte queste voci, non avrebbe che da recitare un requiem per la legislatura. Sipario sui tentativi di incollare i cocci del centrodestra, se il disprezzo tra i due monta fino a questo punto tanto vale andare direttamente alle urne, allarga le braccia Osvaldo Napoli. Capezzone, Giro, la Santanché maramaldeggiano su Fini nel suo giorno più nero, a Camere chiuse c’è chi già prepara la raccolta di firme tra i deputati per dare in settembre lo sfratto a Gianfranco, qualora non lasci con le sue gambe la presidenza della Camera. Una frenesia quasi selvaggia anima i pasdaran del Cavaliere.

Altro clima si respira invece nello stato maggiore berlusconiano. Qui nessuno gode, anzi regna un palpabile sconcerto. La corsa a rotta di collo verso le elezioni viene vissuta come un suicidio di massa, la balena Pdl «spiaggiata» senza un vero perché. Da giorni è in atto tra le rare menti pensanti un disperato tentativo di separare il grano dal loglio, di ricondurre lo scontro personalistico tra i due co-fondatori nell’alveo della politica razionale. Passo dopo passo il «sinedrio» Pdl (triumviri, capigruppo, ministri eminenti) sta cercando di tessere un dialogo. Il «programma dei quattro punti» da presentare in Parlamento dopo le ferie, su cui chiedere la fiducia, nasce proprio per far prevalere nonostante tutto il buon senso. Cosicché ieri mattina Cicchitto da una parte, Urso dall’altra fingevano di litigare sulle parole, nella sostanza si scambiavano segnali di fumo: ragionare insieme sul nuovo programma di governo è giusto, è auspicabile, ma voi non fate scherzi, però non fateli nemmeno voi... Finché su questi minuetti gentili è piombato nel pomeriggio il macigno della dichiarazione finiana, con il suo carico di imbarazzo e di antiberlusconismo: per il premier felicità e rabbia mescolate insieme.

Consultazione rapida tra i gerarchi del Pdl. Tra i quali nessuno crede che avrebbe senso spingere gli avversari alla disperazione. Meglio accontentarsi della loro debolezza per chiudere la trattativa sui quattro punti del nuovo programma, senza inutili spargimenti di sangue. Gasparri, solitamente sanguigno, stavolta brilla per prudenza. «Fini è stupefatto per il cognato? Lo sono anch’io. Ma qui mi fermo. Perché questo è il momento di mostrarsi responsabili, di tenere il confronto sui temi della politica. Poi, sulla casa di Montecarlo, ognuno si farà il suo giudizio». Un altro stratega berlusconiano si strappa i capelli: «Il bailamme è totale, ogni giorno ce ne regala una nuova, dobbiamo navigare a vista. E nessuno tra noi riesce a immaginare come può finire».

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« Risposta #84 inserito:: Agosto 11, 2010, 10:56:13 am »

11/8/2010 (7:10)  - RETROSCENA

Il Cavaliere tentato dal "colpo di grazia"

La stretegia: schiacciare Fini sotto il perso degli "interessi privati"

UGO MAGRI
ROMA

Vai a immaginare che, un giorno, perfino Berlusconi avrebbe indossato i panni del Torquemada. Eppure questo risulta stia accadendo dalle parti di Arcore: il Cavaliere col piglio del moralista, scatenato contro Fini per via della casa di An venduta a quattro lire, e per la debolezza nei confronti della famiglia Tulliani, e per il terribile discredito gettato sulle istituzioni, e per le dimissioni che al posto di Gianfranco lui certamente avrebbe già dato da presidente della Camera... Villa San Martino da giorni è terminale di mille pettegolezzi (anche il solo riferirne sarebbe da querela).

Non c’è risvolto di cui Silvio venga tenuto all’oscuro. E non c’è interlocutore al quale il Cavaliere neghi lo stupore scandalizzato per una vicenda che egli giudica grave, anzi intollerabile sul piano etico, politico, forse addirittura penale. Augurandosi un moto di sdegno collettivo (bene le firme raccolte da «Libero», dal «Giornale», però ancora non basta) e magari pure qualche aiutino dal fronte investigativo.

Di che si tratta? Ne parla apertamente Mario Mantovani, sottosegretario all’Istruzione, frequentatore assiduo del premier quando i consiglieri «romani» sono in vacanza. Premette l’uomo di governo: «I beni di un partito non sono certo soldi pubblici, ma sono comunque proprietà di un organo di rilevanza costituzionale, i cui bilanci sono approvati dal Parlamento», dunque con l’eredità Colleoni non si doveva scherzare. E fatta la premessa, Mantovani svela l’arma segreta berlusconiana: «Se dalle indagini in corso emergesse un qualche coinvolgimento di persone riconducibili all’entourage del presidente della Camera, ci troveremmo di fronte a evidenti agevolazioni di interessi privati». Sarebbe il colpo di grazia, Fini adieu.

A quel punto, ghigliottinato il leader, i 34 deputati transfughi tornerebbero con la coda tra le gambe all’ovile Pdl.
Il Cavaliere porterebbe a termine senza sussulti la XVI legislatura. Con qualche variante minore, ecco il «piano A» che fa brillare gli occhi al premier e sognare la curva degli «ultrà» berlusconiani. Qualche stratega scettico prova a insinuare: ammesso che le rogatorie vadano a segno, perché dei magistrati non c’è da fidarsi, passeranno mesi, forse anni. Nel frattempo Fini resterà al suo posto sempre più deciso a vendere cara la pelle... Meglio, suggeriscono, il «piano B»: dare la caccia a qualche finiano in crisi, o ramazzare cani sciolti nell’Udc e perfino nell’Idv (se ne conta una manciata), in modo da far tornare i numeri alla Camera. O, al limite, accontentarsi del «piano C»: stipulare a settembre un accordo onesto con i finiani, sui 4 punti del nuovo programma.

Chi fa questi discorsi terra-terra è certo di conquistarsi l’antipatia del Capo: esattamente come quanti gli smontano la tesi delle elezioni anticipate perché, primo, non è detto ci si arrivi, più facile che dalla crisi nasca un governo tecnico e poi, secondo, per vincere al Senato servirebbe un miracolo, meglio non provarci. Berlusconi finge di dar retta, ma spinti fuori della porta i consiglieri riattacca con Fini che se ne dovrebbe andare chiedendo scusa, e i suoi pasdaran gareggiano nel fargli eco. Di qui la fucileria disordinata contro i finiani, fuoco a volontà da Brambilla e Capezzone, da Corsaro a Santelli, mentre dall’altra parte si replica con pari foga.
Bocchino grida dalla trincea: «Se insistete per le dimissioni di Fini rischiate una crisi istituzionale».

Cicchitto alza le spalle: «Chi è causa del suo mal pianga se stesso, bisognava pensarci prima...». A questo punto le rare «colombe» Pdl spengono i telefonini. «Visto il clima», dicono, «è inutile cercare un’intesa, se ne riparlerà dopo Ferragosto o per la fine del mese». Se a quel tempo la spallata contro Fini avrà avuto successo, caso risolto. Altrimenti pure Silvio dovrà farsi un bagno di realismo. E accettare senza più storie la via della mediazione.

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« Risposta #85 inserito:: Agosto 12, 2010, 04:49:31 pm »

12/8/2010 (7:7)  - IL CASO

E il Cavaliere evoca la rivoluzione di piazza

Messaggio indiretto dall'entourage del premier al Quirinale «No ad avventure istituzionali pericolose»

UGO MAGRI
ROMA

Una rivoluzione. E’ ciò che prepara il Cavaliere, casomai Fini e Bersani gli confezionassero lo «scherzo» del governo di tregua. Berlusconi farebbe il diavolo a quattro, urto frontale nel Parlamento e nel Paese. Scenderebbe in piazza al suo comando la «maggioranza chiassosa», i palazzi romani verrebbero cinti d’assedio con oceaniche manifestazioni. Cicchitto tratteggia per conto del premier uno scenario apocalittico, «l’Italia andrebbe incontro a una fortissima destabilizzazione». Per cui «riteniamo», alza la voce l’esponente Pdl in modo da essere udito fino a Stromboli da Napolitano, «che nessuna personalità responsabile aderirebbe a un’autentica avventura, molto pericolosa per le nostre istituzioni...».

L’avviso ai naviganti corona una giornata talmente confusa, così rissosa e scombinata, che il portavoce del premier Bonaiuti è stato sommerso dalle telefonate: tutti parlamentari, addirittura ministri, ansiosi di sapere se siamo all’epilogo della legislatura. Non ancora, è stata la risposta, perché ai cannoneggiamenti del mattino tra «berluscones» e finiani è subentrata verso sera una sorta di coprifuoco, «basta, basta, smettiamola per carità» hanno implorato dalle due sponde. Il primo passo l’hanno compiuto i «ribelli» del Senato: una dichiarazione distensiva dove agosto viene bollato come «il mese delle polemiche sterili e dannose», ma per fortuna il calendario ci regalerà settembre che «deve portare responsabilità e fatti concreti. Noi ci muoveremo in questa direzione», promettono i finiani di Palazzo Madama. Evviva, applaudono Gasparri e Cicchitto dalla cabina di regia. Poco dopo, Berlusconi in persona rompe il silenzio. Qualcuno chiaramente l’ha avvertito della novità. E da Arcore, dove il premier ha trascorso una giornata distratta, tende per la prima volta la mano al nemico.

La nota del premier è scritta in puro burocratese. Nondimeno va letta, poiché è un cocktail di lusinghe e di avvertimenti: «Al di là delle irresponsabili e a volte farneticanti parole pronunciate da taluni contro il governo e contro la propria stessa maggioranza, se vi sarà questo spirito costruttivo contenuto nelle dichiarazioni di alcuni senatori del centrodestra, che accolgo con grande soddisfazione e disponibilità, sarà certamente possibile ritrovare quell’unità che, ove mancasse, non potrebbe che portare a scelte dolorose e definitive». Cioè alle elezioni anticipate, nei desideri del Cavaliere.

Si può discutere a lungo se l’apertura di credito è sincera, o viceversa è il solito furbo tentativo di scremare i finiani, di dividerli in buoni e cattivi. Chi conosce l’animo del premier propende più per la seconda ipotesi. Sta di fatto che il presidente della Camera non abbocca. E fa rispondere ai suoi: bene Silvio, il segnale è positivo, speriamo che serva a recuperare «rispetto per le istituzioni, da valorizzare e non dimissionare con richieste peraltro irricevibili...». Insieme alla firma di Viespoli e di Moffa c’è pure quella di Bocchino il Guastatore. Che su «Repubblica» è arrivato al sacrilegio: Silvio sì che se ne dovrebbe andare, visto che «è imputato in più processi, e con lui per lo stesso motivo i ministri Matteoli, Fitto e il sottosegretario Bertolaso», non certo Fini vittima di un’aggressione... Botte da orbi con Bondi, con Osvaldo Napoli, col sottosegretario Giro, in un crescendo di contumelie dove si sono distinti da una parte la Santanché (Fini si dimetta prima che «imbarazzanti verità lo costringano») e Briguglio dall’altra: «Berlusconi ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia...». «Storie vecchie e muffite», scrollano le spalle nell’entourage del Cav, «non è così che ci metteranno paura».

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« Risposta #86 inserito:: Agosto 21, 2010, 04:01:02 pm »

21/8/2010 (7:21)  - LA NORMA SUL PROCESSO BREVE PER SALVARSI A MILANO

Ma è la vicenda Mills il vero cruccio del Cavaliere

Il premier: indispensabile approvare apposite norme a riguardo

La sentenza prevista per marzo

UGO MAGRI
ROMA

L’unica cosa che davvero preme a Berlusconi è nascosta tra le pieghe del documento finale, sotto la voce «Giustizia». Consiste nel passaggio (soppesato parola per parola nel vertice a Palazzo Grazioli) sulla ragionevole durata dei processi. Sarà «indispensabile», sostiene il premier, «approvare apposite norme» a riguardo. Un testo c’è già, ed è quello licenziato a Palazzo Madama prima dell’estate. Se passerà così com’è pure alla Camera, il Cavaliere riuscirà a salvarsi dalla condanna che incombe sul suo capo a Milano (vicenda Mills).

Bisogna però che la legge proceda al galoppo, perché l’avvocato Ghedini prevede la sentenza in arrivo tra marzo e aprile. Ma soprattutto, dal punto di vista del premier, è necessario che nessuno modifichi la norma transitoria, cucita su misura per far saltare i suoi processi. Se Fini ci sta, e pone la sua firma sotto il processo breve, la crisi può considerarsi virtualmente conclusa. Se invece non ci sta, «alle urne perché anche se la Lega va forte io vinco uguale...».

Questa è la sostanza della giornata. Tutto il resto è stato detto (in conferenza stampa del premier) e scritto (nel documento di 10 pagine) solo in quanto un vertice era convocato, mica si poteva più disdire, il punto politico andava tenuto, e così è stato, secondo copione. L’unico vero «fuor d’opera» è la risposta che Berlusconi ha dato all’Ansa, sulle elezioni da tenersi a dicembre nel caso in cui la crisi dovesse precipitare. Passi per la tesi, enunciata all’inizio del documento, secondo cui l’ultima parola spetta al popolo e non al Capo dello Stato.

Ma perlomeno sulla data delle elezioni il Cavaliere poteva trattenersi: rientra infatti nelle prerogative del Quirinale, netta è l’invasione di campo. I collaboratori provano a giustificarlo, «in fondo Silvio che altro avrebbe potuto rispondere alla domanda?». Silenzio dal Colle, un po’ per non gettare altra benzina sul fuoco, ma soprattutto in quanto le posizioni di Napolitano sono ben note, chiare in merito all’eventuale scioglimento delle Camere, dunque «non cambiano», osserva un consigliere presidenziale, «poiché trovano fondamento nella Costituzione».

Resterà deluso chi immagina chissà quali discorsi dietro le quinte del vertice. A quanto risulta, i partecipanti hanno passato ore sul testo, chi aggiungendo una riga, chi tagliandone un’altra. Le correzioni di Tremonti sono state minime, altri ministri si sono esercitati con più passione. Il risultato finale non si discosta molto dalla bozza scritta alla vigilia da Bonaiuti, che il Cavaliere si è portato in tasca dalla Sardegna, irritatissimo per aver dovuto interrompere la sua breve vacanza. Al telefono con un vecchio amico, ieri mattina, letteralmente smoccolava.

Ovvio che fra le quattro mura si sia ragionato di numeri, e che ciascuno abbia detto la sua. Conclusione collettiva: al momento della fiducia, 10-12 deputati potranno tranquillamente aggiungersi ai 308 di cui Berlusconi già dispone sulla carta. Si tratterebbe, pare, di centristi a spasso, di cani sciolti, anche di finiani in crisi. Ma senza particolari «campagne acquisti» per non esasperare lo scontro col presidente della Camera. Contro il quale Berlusconi poteva lanciarsi alla carica, stuzzicato dai giornalisti. Invece dalla sua bocca è uscita solo qualche frase smozzicata, ardua da interpretare. E’ un silenzio che parla da sé.

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« Risposta #87 inserito:: Agosto 22, 2010, 09:05:16 pm »

22/8/2010 (7:47)  - RETROSCENA


Sondaggi con i centristi: non per farli entrare, ma per trovare un puntello.

«Con Casini vedrete che riusciremo ad accordarci»

UGO MAGRI
ROMA

Perfino nei momenti più drammatici si insinua il virus della comicità. Così qualche genio della politica ha suggerito a Berlusconi di cambiar nome ai suoi galoppini e di ribattezzarli con formula altisonante: «Squadre della libertà». Col risultato che nel gergo corrente diventeranno «squadristi». Peggio di un insulto: un autogol da metà campo. Ma questo accade perché nel Pdl vanno di moda quanti gettano il cuore oltre l’ostacolo, e vogliono distinguersi agli occhi del Capo con la retorica guerriera, si sarebbe detto un tempo, degli «otto milioni di baionette». Dunque gara a chi la sparava più grossa, ieri a Palazzo Grazioli, nella riunione conviviale voluta dal Cavaliere in vista, non si sa mai, di elezioni anticipate. Grandi discussioni preliminari sugli inviti, La Russa contrarissimo a coinvolgere circoli e club («Mica vorremo perdere tempo con questi...», è stato udito vociare), Valducci e la Brambilla che invece premevano per esserci, alla fine tutti quanti intorno al desco del cuoco Michele, da Dell’Utri (molti circoli fanno capo anche a lui) a Mantovani, da Bonaiuti alla Santanché. L’uovo di Colombo cui sta pensando pure Bersani consiste nel mettere tre-quattro attivisti su ciascuna delle 61 mila 202 sezioni elettorali sparse in Italia, che in media raccolgono 7-800 votanti. Come un tempo il vecchio Pci, gli «squadristi» berlusconiani dovranno spulciare gli elenchi, bussare alle porte, premere sugli indecisi, contattare chi va alle urne per la prima volta. Serve un esercito di gambe (più un bel mucchio di soldi). Dove pescarli?

I denari non sono un problema. Quanto ai militanti, «io ne metto in campo 30 mila», «noi invece saremo almeno 40 mila», in un crescendo vertiginoso, con Berlusconi ad ascoltare estasiato e il solo Verdini (l’uomo-macchina Pdl) a riportare tutti coi piedi per terra: «Guardate che i numeri non sono mica questi...». Alla fine decisione del leader: gli «squadristi della libertà» faranno capo al partito, nella persona di Verdini. Pure Silvio si rende conto che non sono maturi i tempi per farne una milizia separata.

Tra una pietanza e l’altra Berlusconi ha confidato il suo vero animo. Andare avanti senza elezioni sarebbe ottimo, però «senza farmi prendere per i fondelli» da Fini e dai suoi, ha ringhiato. Bocchino, che si dichiara d’accordo sul 95% del programma estratto venerdì dal cilindro, manda il premier letteralmente ai pazzi. Mormora al telefono con voce preoccupata Cicchitto: «Alcuni di questi, purtroppo, non hanno capito nulla. Siamo davvero appesi a un filo, perché Berlusconi è determinatissimo, e la pressione della Lega per andare subito al voto è altrettanto forte. Se i finiani credono di cavarsela votando la fiducia al governo e subito dopo, sul processo breve, di rifare a Berlusconi lo scherzetto che gli fecero sulle intercettazioni, si sbagliano di grosso». Il capogruppo Pdl sospira: «In quel caso il governo cadrebbe tempo tre ore». Sarebbe, si appella alla storia Cicchitto, «la pistola di Sarajevo» da cui si scatenò la Prima Guerra mondiale.

Le elezioni verrebbero pretese dal Quirinale (e spiegate al popolo) come conseguenza di «un tradimento della fiducia appena espressa».
«E l’Italia sarebbe dalla nostra parte», ostenta sicurezza Bonaiuti, «non si può mandare all’aria un programma di rilancio serio e concreto». Piccolo retroscena: pare che Berlusconi stia premendo con impazienza su Tremonti per farsi suggerire entro agosto qualche misura di alleggerimento fiscale. Così da spargere, quantomeno, l’illusione di un dividendo collettivo generato dalla ripresa dietro l’angolo.

Nello stesso tempo, col suo spiccato senso pratico, il Cavaliere sta cercando i voti in Parlamento per tirare avanti altri 3 anni. Gli basterebbe raggiungere alla Camera «quota 320», così ripete ai gerarchi. Quattro o cinque deputati centristi (oltre ai finiani pentiti) sono nel suo mirino. Ma Berlusconi non esclude di ottenere dall’Udc di più e di meglio. «Sono fiducioso che con Casini riusciremo a concordare un percorso», ripete in queste ore. Niente che possa allarmare Bossi, dunque la maggioranza resterà la stessa. Però emissari di seconda fila gli hanno riferito che Casini potrebbe sostenere alcuni punti del programma, e nel segreto dell’urna magari addirittura una norma salva-premier. Prima di vendere la pelle, il Caimano le tenterà tutte.

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« Risposta #88 inserito:: Agosto 23, 2010, 05:51:04 pm »

23/8/2010 (6:59)  - RETROSCENA

Nessuna alleanza con l'Udc ma patto su giustizia e riforme

Il Cavaliere convinto che Bossi darebbe il via libera per salvarlo

UGO MAGRI

Con Umberto alla fine ci siamo sempre trovati d’accordo», rassicura i suoi Berlusconi, «gli parlerò tra breve, cercherò di far capire a lui e alla Lega in che modo Casini può essere utile ai nostri piani, e vedrete che andrà bene anche stavolta...». Dunque il Cavaliere ha intenzione di insistere, la prima reazione di Bossi non lo turba più di tanto. Quando Silvio cavalca un’idea risulta difficile fargliela abbandonare. E la sua idea non è affatto di inglobare i centristi, i quali tra l’altro fuggirebbero a gambe levate. Per come ne ha ragionato il premier nelle ultime riunioni, dapprima venerdì poi nuovamente sabato, il Cavaliere ha in testa un riavvicinamento strategico sotto le insegne del popolarismo europeo cui si richiamano tanto il Pdl quanto l’Udc. Tempi lunghi ma non eterni. Nella prospettiva di tornare alleati, tramite un patto federativo, alle prossime elezioni politiche. E nel frattempo, di ottenere da Casini una mano nei passaggi parlamentari più delicati. Per esempio, nella fiducia sul nuovo programma in cinque punti? No, lì Silvio spera di farcela con le sue forze, raccattando un po’ di parlamentari qua e là. E i toni sopra le righe di queste ore, con il richiamo teatrale alle urne dietro l’angolo, servono appunto per spaventare qualche finiano in crisi, un po’ di cani sciolti, e raggiungere quota 320 deputati alla Camera (la maggioranza è di 316). Dai centristi il Cavaliere si aspetta un altro genere di aiuto.

Per esempio, una mano sulla giustizia, utilissima quando si tratterà di votare uno «scudo» (magari a scrutinio segreto) per il capo del governo assediato dai pm. Ma l’interesse di Berlusconi per Casini va perfino oltre. E’ opinione corrente, tra i consiglieri dei Principe, che «una volta salvato il governo sia altrettanto necessario portare a casa la legislatura». In altre parole, occorre dotare il premier di una base politica più larga, meno asfittica, in grado di sorreggere le riforme. Altrimenti tra tre anni il fiasco, soggiungono, sarà garantito. Messa in questi termini Bossi potrebbe dare via libera, in quanto pure lui è interessato a fare il federalismo. L’Udc rema contro, però mai dire mai. E comunque, quali alternative ha il Cavaliere? Tuffarsi in un bagno elettorale? Sotto questo aspetto nulla è cambiato, assicura Quagliariello, resta valido il documento varato tre giorni da dal vertice Pdl: «O c’è una maggioranza autosufficiente, nel qual caso si va avanti, altrimenti le elezioni diventano inevitabili. Tutto qui. Forzature in un senso o nell’altro sarebbero sbagliate». Non inganni dunque il linguaggio tonitruante del messaggio berlusconiano ai Promotori della libertà, coordinati da una Michela Vittoria Brambilla di nuovo sugli scudi e regista del nuovo movimentismo, come ai tempi del predellino: potendo, Berlusconi sceglierebbe mille volte di evitare le urne. Nel qual caso sarebbe pronto a lanciare una campagna mediatica durissima contro i «traditori» interni, anziché contro i soliti «comunisti».

Una svolta anticipata ieri da Arona («non mi regolerò come in passato...») e illustrata così dal portavoce Bonaiuti: «Chi dovesse venir meno al proprio mandato elettorale sarebbe certamente libero di farlo, salvo poi doversi giustificare dinanzi ai propri elettori». Minacce e pressioni psicologiche, accompagnate da una fitta azione di «intelligence» o, se si preferisce, di spionaggio. Tutto quanto accade nel campo finiano viene monitorato giorno e notte dai «berluscones», ieri in agitazione per la voce seguente: il presidente della Camera farà certamente il suo partito, al 90 per cento lo annuncerà nel discorso di Mirabello il 5 settembre prossimo, e come segretario metterà il moderato Urso. Qualcuno tra i fedelissimi del premier ci vedrebbe un timido disgelo, altri invece alzano le spalle: «Tanto tra i finiani la regia resterebbe comunque ai Granata e ai Bocchino...».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57862girata.asp
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« Risposta #89 inserito:: Agosto 25, 2010, 03:57:11 pm »

25/8/2010 (7:0)  - CENTRODESTRA

Ma per ora Berlusconi punta a evitare il voto

Oggi il vertice Pdl-Lega

UGO MAGRI

L’incontro tra Bossi e Berlusconi, se si dà retta ai rispettivi staff, riempie le cronache politiche, ma è senza storia.
L’esito pare fatalmente già scritto. Il Cavaliere illustrerà all’Umberto tutte le ragioni per cui andare alle urne non conviene a se stesso e all’Italia. Il Senatùr scuoterà il capo, pure lui si è fatto un’idea (che non è quella del tirare a campare), ma prenderà atto dei voleri di Silvio, e gli dirà: se proprio ne sei convinto, fa come vuoi. L’appuntamento è poco prima di mezzogiorno a Villa Campari, il gioiello immobiliare che Berlusconi s’è comprato due anni fa a Lesa, sulle sponde del Lago Maggiore. Il premier sperava di tenere al largo i paparazzi, invece pure qui l’hanno beccato subito dopo Ferragosto con una dama incappucciata: poco se n’è parlato solo perché il gossip era tutto su Fini. Pare che i due, Berlusconi e Bossi, ragioneranno un’oretta a tu per tu, senza testimoni. Verso l’ora di pranzo sono attesi il governatore del Piemonte Cota e il ministro Calderoli. C’è chi dice che Tremonti arriverà con loro. Altri scommettono invece che il titolare dell’Economia parteciperà ai colloqui fin dall’inizio.

Del resto succede sempre così, nelle rimpatriate tra il Cavaliere e la Lega: non si sa mai chi vi partecipa, nel clima di grande fraternità può capitare che «il Trota» (Renzo Bossi) si accomodi accanto al premier e scateni una discussione di calcio. O che la riunione politica si concluda con una gara di sapide barzellette (è successo, capiterà ancora). Insomma: in via Bellerio, dove il Senatùr ieri s’è visto con Giorgetti e l’onnipresente Calderoli, già prevedono la carta che Berlusconi calerà stamane. Sarà della serie «l’Italia ci chiede di andare avanti per completare le riforme, se possibile dobbiamo provarci con convinzione...». Già, ma i finiani? Silvio allora tirerà fuori il documento dei quattro punti, diventati cinque venerdì scorso. Ripeterà a Bossi che saranno «un prendere o lasciare», la mozione di fiducia conterrà l’esplicito riferimento ai disegni di legge più importanti, cominciando dalla Giustizia e dal «processo breve». Non ci faremo gabbare da Bocchino, sarà il senso. E Berlusconi annuncerà alla Lega l’intenzione di prendere personalmente la parola in Aula, alla Camera e al Senato, per creare il giusto pathos, cosicché ciascuno sia messo di fronte alle proprie responsabilità. Come segnala Cicchitto, la ricreazione è finita. Bossi conosce l’amico Silvio come le sue tasche. Dunque, assicurano i suoi, ha già in mente che cosa rispondergli.«Stai attento a non farti logorare», lo metterà in guardia. «Pensaci bene», aggiungerà, «perché adesso c’è lo scandalo di Montecarlo, c’è il cognato di Fini e tutto il resto, ma la gente dimentica in fretta e, se perdi l’attimo giusto per andare alle urne, poi potresti pentirtene amaramente...».

Discorsi a futura memoria. Del resto Bossi si rende conto che la maggioranza non può certo auto-affondarsi: o i finiani votano contro la fiducia (scenario molto improbabile), oppure addio elezioni anticipate. Si parlerà pure di Casini. La Lega e Tremonti sono contrarissimi a riportarlo nel governo, Berlusconi invece sarebbe tentato (lunga conversazione domenica al telefono con l’amico Pier, al quale ha confidato tra l’altro di aver passato un’estate abbastanza triste, in solitudine). Ma oggi il Cavaliere procederà con passo circospetto. Non vuole sbattere contro il muro di Bossi. E poi, sparge prudenza il portavoce Bonaiuti, «una cosa per volta», adesso c’è da salvare la legislatura attraverso frontare un duro confronto in Parlamento. Più avanti si vedrà se e come allargare la base politica del governo. Berlusconi non ha fretta, e i centristi nemmeno. Mai si sono sentiti così desiderati tanto a destra quanto a sinistra. Per tenersi in equilibrio, confida spiritoso uno di loro, «siamo costretti a un frenetico immobilismo». Da veri democristiani.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201008articoli/57911girata.asp
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