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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 199090 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Febbraio 13, 2009, 10:54:17 am »

13/2/2009 (7:3) - IL CASO

Berlusconi: mai attaccato Napolitano
 
"La Carta non è un Moloch intoccabile e può essere modificata"


UGO MAGRI

ROMA
Poche ore prima che il Pd scendesse in piazza, Berlusconi ha fatto il solito scherzo. Indossati i panni dell’agnello, è andato in una delle sue reti tivù per bagnare le polveri degli avversari. Non solo ha omaggiato il Presidente della Repubblica, ma addirittura si è proposto lui quale paladino dell’ortodossia costituzionale. Si aggiunga che Napolitano non gradiva affatto di essere proclamato martire da una folla antigovernativa, e per i soliti canali riservati l’aveva comunicato a Veltroni: «Per favore, non tiratemi in ballo». Infine Flick, presidente della Consulta, che proprio ieri ha dato in un certo senso ragione al premier («La Costituzione non è un Moloch» ha detto riprendendone le testuali parole).

La somma dei fattori ha prodotto una manifestazione così misurata, talmente alla camomilla, che i detrattori la considerano superflua. In realtà è valsa a piantare certi paletti invalicabili, più rivolta al futuro che al passato. Se dialogo sarà, non potrà che ripartire dal galateo istituzionale. Non a caso verso sera si è colta soddisfazione, ai massimi vertici della Repubblica. Per il Colle la giornata meglio non poteva andare. A parte un «ignorante» dato al Cavaliere per la famosa frase sulla Costituzione «sovietica», lo stesso oratore ufficiale della manifestazione, l’ex presidente Scalfaro, ha evitato toni da guerra civile. La Costituzione «nata con lo scopo di unire il popolo italiano e nessuno la usi per dividere», il rispettoso saluto al Presidente della Repubblica che deve restare «al di sopra delle parti», l’appello a Berlusconi perché «non ci faccia vivere con timori per la democrazia»: sono concetti tutt’altro che incendiari. Poi, si capisce, il centrodestra ha finto di indignarsi. Domenica si vota in Sardegna, e nessuno si fa sfuggire le occasioni di polemica. Per cui il capogruppo Pdl Cicchitto bolla la piazza come «un’orgia di refrattari, conservatori e giustizialisti di ogni risma», mentre Bonaiuti (portavoce del premier) dà del falso a Veltroni.

Il quale a sua volta, motivando la manifestazione ai Santi Apostoli, aveva denunciato come «estranea alla Costituzione l’idea che il presidente del Consiglio abbia pensato di trasferire nelle mani di una sola persona il potere legislativo». A leggere bene, Veltroni al Cavaliere non ha dato del dittatore (come invece insiste Di Pietro, in sintonia con «The Economist»), né l’ha accusato (per dirla con la Finocchiaro) di «tramortire il Parlamento a colpi di decreto», in preda a un «delirio di onnipotenza». E’ che Berlusconi, ancora una volta, ha cambiato registro. Lui giura di no, a pranzo con alcuni ministri se l’è presa con i giornali che «mistificano» e lo presentano come aggressore, ma il giorno del no di Napolitano al decreto per Eluana l’hanno visto tutti, definirlo sopra le righe è poco. Invece ieri di buon’ora, a «Panorama del giorno», eccolo snocciolare gli articoli 77 e 138 della Costituzione per mostrare quanto lui le è aderente. Ed eccolo lusingare Napolitano sostenendo che «il presidente del Consiglio ha tutto l’interesse ad avere buoni rapporti con il Capo dello Stato», una figura-chiave per la riuscita del governo.

Non si trascuri il ruolo della Lega: deve portare a casa il federalismo fiscale, e già guarda a quello costituzionale. In un clima di scontro, Bossi se li scorda; ha già detto a Silvio di darsi una calmata. Resta intera l’incognita dei decreti: voleranno di nuovo scintille, la prossima volta che il governo ne farà uno? E sulla riforma delle intercettazioni: Napolitano darà retta al governo o piuttosto al Csm, che la giudica incostituzionale?
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« Risposta #16 inserito:: Febbraio 14, 2009, 12:10:25 pm »

14/2/2009 (8:7) - LA SCONTRO SULLE RIFORME

Ancora scintille tra Colle e Berlusconi
 
Il Presidente Napolitano: «La Carta? Teniamocela ben stretta».

Il premier: «La sinistra la cambiò. E pure male»

UGO MAGRI
ROMA


La prova che tra Berlusconi e Napolitano nulla è chiarito, viene da un acido scambio di battute. Sembrano dire la stessa cosa, in realtà sostengono il rovescio. Tutto a causa di un ragazzino. «Presidente», ha chiesto lo scolaretto durante una cerimonia, «qui in Italia abbiamo la Costituzione. Perché in Europa non c’è?». Pure l’Europa ci arriverà, ha spiegato Napolitano. Salvo aggiungere sorridendo: «In Italia per fortuna abbiamo una Costituzione, teniamocela stretta...». Se non ci fosse, è il sottinteso, sarebbe stato impossibile fare argine sul decreto-Eluana. Ma «per fortuna» la Costituzione c’è, dunque ci si potrà aggrappare pure in futuro.

Interpretare una battuta è sempre arduo, ma così deve averla intesa il Cavaliere. Irritandosi alquanto. Lui sostiene che è Napolitano, semmai, a non rispettare la Carta repubblicana in materia di decreti, perciò la rivendica a sua volta: «Condivido al cento per cento quello che ha detto Napolitano, anch’io penso che questa Costituzione dobbiamo tenercela stretta», oltretutto è la sinistra ad averla «cambiata male» sul Titolo V «con 4 voti di maggioranza». Tira in ballo l’art.77 secondo comma, dove sta scritto che i decreti il governo li adotta «sotto la sua responsabilità». Visto? L’ultima parola spetta all’esecutivo. Addirittura nel caso di Eluana «è stato sostenuto che non c’era urgenza e necessità. E meno male», tuona Berlusconi in comizio a Cagliari, «è morta tre giorni dopo...».

Difficile non considerarlo uno schiaffo al Capo dello Stato. E a proposito di insulti, va registrata la richiesta di archiviazione per Di Pietro. Secondo il pm di Roma Amato, il suo ex collega non ha offeso l’onore del Presidente. Escluso che si riferisse a lui quando aveva denunciato in piazza che «il silenzio è mafioso». Esulta Tonino, «adesso qualcuno mi deve delle scuse». E riparte all’attacco del Colle: Napolitano non firmi la riforma delle intercettazioni «perché incostituzionale». E’ il terreno di un nuovo potenziale drammatico scontro ai vertici della Repubblica. Il Presidente non cede sulle sue prerogative, il premier non è da meno.

Sviluppa allusivo un paragone poco cortese: «Quando si tocca un’altra istituzione, anche solo con un graffio, nascono polemiche, mentre lo sport nazionale è prendersela con il presidente del Consiglio, definito Hitler, l’orco di Arcore». Veltroni lo qualifica un barzellettiere, Berlusconi mostra i denti («Quello non è mai tenero non me») e ricambia: la sinistra «dovrebbe mettere nel suo simbolo Scalfaro, l’ultimo eroe del Pd, che sappiamo il passato che ha».

Battute da comizio: domani si vota in Sardegna, è testa a testa tra l’uscente Soru e il berlusconiano Cappellacci. Il premier deve guardarsi dal fuoco amico. Su «Libero» Vittorio Feltri gli sollecita un colpo d’ala perché altrimenti Silvio «così non duri», e il «Foglio» di Giuliano Ferrara già rivede lo stesso film dell’altra legislatura, quando Berlusconi passava il tempo a destreggiarsi tra Bossi e Casini. Falso, fa gli scongiuri il premier, «lavoriamo nella più grande concordia di tutti i partiti della maggioranza».

da lastampa.it
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« Risposta #17 inserito:: Marzo 01, 2009, 10:45:23 am »

1/3/2009 (7:42) - PARTENZA DIFFICILE

I laici del Pdl adottano Rutelli
 
Biotestamento, la mediazione dell'ex ministro crea un'altra spaccatura a destra

UGO MAGRI
ROMA


Il Pdl tenta di mettere in un angolo l’ala «pro-life» e fa propria la mediazione Rutelli. L’ex leader della Margherita esprime la più «laica» tra le posizioni cattoliche, la più «cattolica» tra le indicazioni laiche. Propone di camminare, come su un filo, tra gli opposti estremismi. La legge sul testamento biologico «non porti né all’eutanasia né all’accanimento terapeutico», è l’appello. Lo lancia al congresso del Partito Radicale, di cui fu militante qualche era geologica fa. Commozione, lacrime, alla fine applausi. In concreto, Rutelli sonda il terreno su cui potrebbero accordarsi i due schieramenti al Senato, profittando della settimana (o delle settimane) in più che il presidente Schifani è disposto a concedere. Una legge è indispensabile.

Giunge conferma che pure il ministro Sacconi risulta indagato dalla magistratura nella vicenda Eluana. Papà Beppino Englaro per omicidio volontario, lui per averlo sabotato. E’ la riprova di una confusione tragica e paradossale, le Procure interpretano il vuoto normativo sull’onda di opposte emozioni. Rutelli suggerisce che «sia l’alleanza tra medico e paziente a decidere», caso per caso, come affrontare il dramma del fine-vita. L’ultima parola spetterebbe a chi ha prestato in giuramento di Ippocrate. Il testo in discussione a Palazzo Madama, viceversa, è categorico. All’articolo 2 fissa il divieto di sospendere (o non attivare) terapie, se ne può conseguire la morte del paziente. Nell’intento di tagliare la strada a qualunque forma di eutanasia, la proposta Calabrò lega le mani ai medici.

L’ipotesi mediatoria ha il pregio, agli occhi dei vertici politico-istituzionali, di scongiurare guerre di religione. Sarà oggetto di discussione nei prossimi giorni, si sta già occupando di studiare la formulazione giusta il presidente della Commissione sanità al Senato, Tomassini. Conteranno le virgole: una di meno, e precipiti da una parte; una di troppo e cadi dall’altra. Né sarà facile per Pd e Pdl sottoscrivere intese mentre già divampa la campagna elettorale europea: Franceschini alza ogni giorno che passa la posta, avverte che «è in gioco il futuro della democrazia italiana», fa felici i referendari (da Guzzetta a Parisi) sottoscrivendo la loro richiesta di tenere la consultazione popolare il 7 giugno, all’«election day». E’ alquanto dubbio che il Pd possa «reggere» una mediazione. Ma il vero ostacolo al compromesso sono i falchi di entrambi i campi.

Rutelli si rivolge con accenti studiatamente alti «ai fautori dell’umanesimo laico» chiedendo di «schierarsi a difesa della vita più fragile «e non di un illusorio illuminismo bioetico». Parla agli intransigenti del Pd, proprio come Cicchitto (capogruppo Pdl alla Camera) lancia una sorta di ultimatum ai fondamentalisti del suo campo. Lui, Bondi, Brunetta e lo stesso Sacconi hanno condiviso il decreto su Eluana, ma ora basta: «Una parte dei laici», ricorda Cicchitto, «ha finora mantenuto la disponibilità alla ricerca di una soluzione coi cattolici, evidentemente a patto che non ci si infili nel vicolo cieco dell’integralismo». I 53 firmatari del documento «pro life» al Senato stiano attenti a non far saltare il banco.

da lastampa.it
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« Risposta #18 inserito:: Marzo 29, 2009, 11:12:40 am »

29/3/2009 (7:3) - NASCE IL PDL - IL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Riforme e laicità le cambiali di Fini
 
"Sì al referendum. Sul fine vita questa legge è da Stato etico"

UGO MAGRI
ROMA


Fini conquista sul campo il diritto alla successione. Strappa ovazioni tali, al congresso del Pdl, che nessuno può competere: non Tremonti, per quanto applaudito, e nemmeno Formigoni che viene sommerso dal tripudio quando grida basta alla Lega, e basta anche coi nominati dall’alto, si torni alle preferenze. Re Silvio sembra aver scelto, sarà Gianfranco l’erede designato. Monta sul palco, bacia il presidente della Camera, gli leva in alto il braccio come si fa col pugile vincitore, gli pone infine la corona sul capo: «Questo anche per spazzare via tutte le malizie sul fatto che noi due non ci vogliamo bene e non abbiamo gli stessi ideali...». E’ la scena madre che verrà ricordata. Già prima, mentre Fini si esibiva dal palco, il maxischermo mostrava Berlusconi capo-claque: si spellava le mani, ostentava il segno okay con le dita, sussurrava parole ammirate a Donna Elisabetta Tulliani, la compagna di Gianfranco... Dopo il discorso, inno di Mameli e brindisi in privato per festeggiare. Chiacchiere di un grande accordo strategico stipulato tra i due.

Se poi nell’intimo si sente minacciato, il Cavaliere lo maschera bene. Perché Fini riconosce in lui il leader del presente, gli accredita un tratto di «lucida follia». Però lo carica di «onori e oneri», come si conviene a un capo. E gli presenta da subito tre cambiali. Lo sollecita a esprimersi sul referendum elettorale, se Bossi darà di matto pazienza. Gli chiede di mettere il Pd alla prova della grande riforma costituzionale. Lo sfida a sconfessare la legge sul testamento biologico, appena approvata al Senato su input papale. Fini è abile, non solo nell’eloquio. Si propone come voce fuori dal coro, perfino minoritario dentro il partito, appassionato al dibattito delle idee che formula in tono riguardoso: «Se posso dare un suggerimento a Berlusconi...». In realtà sa bene di mietere consensi. Ne vedremo delle belle quando il bio-testamento approderà alla Camera: sono una folla i deputati che la pensano come Fini, questa legge «è più da Stato etico che da Stato laico». La laicità è un’altra cosa, prova a obiettare il presidente del Senato Schifani, certo «non può essere omissione di responsabilità». Ma dai boatos di Montecitorio la legge sembra al binario morto. Idem sul referendum, il cuore della base batte per Fini, non c’è nulla di male nel dire sì all’eliminazione dei partiti intermedi, se vincesse l’astensionismo sarebbe solo per «realpolitik» verso la Lega. Con la quale comunque, insiste il presidente della Camera, Berlusconi dovrà prendersi la briga di «discutere perché questo è il peso della democrazia».

Sulle riforme, Fini compie un capolavoro. Vince le resistenze di Berlusconi presentandole come una sfida alla sinistra «per vedere se è riformatrice o nostalgica». Va incontro al premier esaltando la «democrazia che decide, non si limita a discutere», e proprio per rafforzare i poteri del governo gli consiglia di «rilanciare una grande stagione costituente» (D’Alema prontissimo se ne compiace). Commenta con arguzia il ministro Rotondi: «Tecnicamente perfetto, il mio omonimo Gianfranco apre al Pd senza darlo a vedere». Isolato? Nemmeno un po’. Anche nel campo berlusconiano c’è chi sottoscriverebbe, primo tra tutti il capogruppo alla Camera Cicchitto, ponte tra il Cavaliere e il Delfino. Il resto del discorso è declinato al futuro, Fini indica orizzonti per il paese. Un patto tra generazioni che presuppone un’Italia coesa, «con ricadute sulla previdenza anche se non sta a me dirlo...». Un secondo patto di cooperazione tra capitale e lavoro (Cossiga lo accusa di neo-corporativismo). Un terzo patto tra Nord e Sud, che significa «libertà dalle mafie e dal ceto politico dedito al sottopotere». Tutti in piedi ad applaudirlo, piccoli ras locali compresi. E l’immigrazione, «un processo storico da guidare» anche riportando l’educazione civica nelle scuole. Risultato: oggi Berlusconi faticherà a svicolare. Quando tornerà sul palco a mezzogiorno per la replica, qualcosa sulle tre cambiali dovrà pur dire. Con qualche rimpianto. Se avesse indicato tracce di futuro nella relazione introduttiva, forse il congresso avrebbe preso altri binari. Invece Berlusconi ha ceduto a Fini il compito di dettare l’agenda. E solo un grande discorso può restituirgli intero lo scettro.
 
da lastampa.it
 
 
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« Risposta #19 inserito:: Aprile 11, 2009, 04:44:26 pm »

10/4/2009 (7:10) - «REFERENDUM, AMMINISTRATIVE E EUROPEE LO STESSO GIORNO? PARLIAMONE».

LEGA GELATA

E non si trova una soluzione al pasticcio del decreto sui clandestini


UGO MAGRI
ROMA


Berlusconi si è messo ad armeggiare intorno alla bomba del referendum, e nemmeno a chi gli sta accanto è ben chiaro se il premier lo fa per disinnescarla oppure per tirarla in testa a Bossi. Qualcuno dei suoi avanza una terza ipotesi: vuole mostrarsi attento e carino nei confronti di Franceschini perché c’è un clima politico più solidale, creato purtroppo dal terremoto, e il Cavaliere come sempre prova a sfruttarlo, da cosa può nascere cosa: le riforme «da fare con l’accordo di tutti», quei maggiori poteri al premier «come nel resto d’Europa» che non si stanca di chiedere, magari il presidenzialismo... Una fiera dietrologica scatenata dalla cronista dell’«Unità» che gli chiede: perché non tenere il referendum nell’election day, come vuole il Pd? L’Arcinemico è stranamente flautato: «Ne discuteremo nel prossimo Consiglio dei ministri», risponde, «perché le motivazioni meritano di essere approfondite, vale la pena di compiere un’ulteriore riflessione». Non è un sì, ma nemmeno un no. Forse. Dipende. I referendari con Guzzetta esultano, «parole sagge». La Lega ci resta di sale. Spiazzata. Maroni telefona a Palazzo Chigi per avere lumi. Gli rispondono che vai a immaginare cosa passa nella mente del Capo. Lui sa quanto rischia. Bossi ha messo in chiaro che il referendum è una disgrazia, ne verrebbe fuori un sistema elettorale dove la Lega non conta nulla.

E l’unico modo per non far scattare il quorum, suggerisce il Senatùr, è mandare la gente al mare: dunque mai tenere il referendum nello stesso giorno delle Europee, il 6-7 giugno. Meglio una settimana dopo nel disinteresse collettivo, e se si buttano 400 milioni pazienza. Pareva un discorso assodato, alla Camera era stato perfino respinto l’emendamento Pd favorevole all’«election day». Ora invece, colpo di scena, Berlusconi tende la mano verso il frutto proibito, quel referendum che gli permetterebbe di arrivare al 51 per cento da solo. Franceschini ne prende atto, prudente: «Se il governo ci ha ripensato, va bene. Ma vorremmo capire se si tratta solo di parole o seguiranno fatti concreti». Vorrebbe capirlo pure la Lega. Dietro la facciata, i rapporti sono tesi. Ieri Silvio ha speso ore con Umberto (più Maroni, Tremonti, Calderoli, La Russa e Brancher) sul rompicapo del decreto sicurezza. Brucia la bocciatura dell’articolo 5, che trattiene fino a sei mesi i clandestini nei Cie (i campi di raccolta): un migliaio di immigrati torneranno liberi il 26 aprile. Accordo generale per riparare il danno dei «franchi tiratori». Già, ma come?

Il decreto è al Senato, il 21 va in aula. Per correggerlo infilandoci i Cie servirebbe un voto di fiducia, in modo da stroncare l’ostruzionismo. Poi il testo dovrebbe tornare alla Camera, però sabato 25 il decreto decade... Non si fa in tempo. Meglio affidarsi a un disegno di legge, che per evitare nuove imboscate di «franchi tiratori» riduca la permanenza dei Cie da 6 a 4 mesi. Evitando si capisce che i clandestini si dileguino nel frattempo. Con un apposito decreto-legge. Anzi no, nessun nuovo decreto, figurarsi se Napolitano lo firma. Allora «rimandiamoli di corsa nei paesi d’origine». Sì, ma molti sono tunisini, e il loro governo se ne ripiglia al massimo una cinquantina a settimana. «Ci penso io», promette Berlusconi, «parlo col Presidente Ben Alì, che è mio amico». Chissà che non accetti un rimpatrio collettivo... Il Cavaliere parla di «chiarimento con piena soddisfazione». Bossi si finge d’accordo, «con lui la soluzione si trova sempre». Ma oggi sulla «Padania» Maroni fa un’intervista per dire che, comunque vada, la frittata è fatta, non creda Berlusconi di averci messo la toppa. Il premier, a sua volta, pensa al decreto sicurezza senza ronde e senza Cie, passato l’altra sera alla Camera coi voti di Pdl, Pd e Udc: quante rogne in meno, se andasse sempre così.

DA LASTAMPA.IT
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« Risposta #20 inserito:: Maggio 05, 2009, 11:29:42 pm »

5/5/2009 (7:23) -

IL DIVORZIO - IL PREMIER TRA FAMIGLIA E POLITICA

Berlusconi prepara la battaglia
 
Consulto ad Arcore con la figlia Marina e il consigliere più fidato Bruno Ermolli

UGO MAGRI
ROMA


Nel giro stretto del Cavaliere c’è un po’ di panico. Il terrore è che la magia sia infranta. Mancano quei sondaggi di cui Berlusconi si fida, però i primi riscontri non sono granché. Diciamo, pessimi. La gente ha puntato gli occhi sul divorzio da Veronica, la telenovela appassiona il grande pubblico, e figurarsi se l’accusa da vergogna di trescare con una minorenne poteva passare sotto silenzio. Con l’aria di chi vuole tenersi fuori, il segretario Pd Franceschini nella realtà ci inzuppa il biscotto. I dipietristi sfogliano il codice penale, le voci della sinistra cattolica (dopo la Bindi, Castagnetti) traboccano sdegno. L’opposizione fa il suo mestiere, il circo mediatico pure. Sull’Italia sta calando un esercito di corrispondenti e inviati. Non per raccontare il terremoto, non per acclamare le storiche acquisizioni di Fiat, ma per divertire il mondo con l’ultima prodezza di Silvio. La Cnn ha addirittura imbastito un talk-show.

Lui, Berlusconi, ne è molto angosciato. Il G8 de L’Aquila è alle porte, altro che ruolo autorevole da giocare con i grandi del pianeta. E poi le Europee tra un mese: contava di battere il proprio record delle preferenze, nel 1999 erano state 3 milioni, stavolta voleva arrivare a 4 per spianare la via alle riforme più ardite, Costituzione compresa... Il piano è in forse per colpa di Veronica, «questa storia può farmi perdere voti» è la franca ammissione del premier nei colloqui privati, insieme al ritornello «non ho fatto nulla di cui rimproverarmi» e all’ira sempre furibonda nei confronti di quanti (giornalisti in prima fila) gli hanno stranito la moglie, l’hanno «sobillata» contro di lui. Gran consiglio ad Arcore, dove una troupe della tivù pubblica olandese staziona davanti ai cancelli. E’ stata vista entrare Marina, figlia di primo letto, quindi il «Ministro della real casa» (come viene chiamato) Ermolli. Prime sistemazioni degli affari di famiglia dopo l’annuncio di divorzio. E consulto con il legale di fiducia Ghedini sulla strategia difensiva: saranno le sue sorelle Nicoletta e Ippolita (entrambe matrimonialiste) a rappresentare il premier nella causa di divorzio.

Il «nemico» si chiama Maria Cristina Morelli, è avvocato della signora Lario, secondo l’entourage berlusconiano si deve a lei se Veronica ha alzato improvvisamente il tiro sulla «diciottenne», di certo è una donna che conosce la prima linea, ha sostenuto Beppino Englaro nella prima fase della battaglia per Eluana. «Ovvio che non anticipo nulla», chiude la porta Ghedini a chi volesse curiosare. La vera preoccupazione del Cavaliere, a quanto si dice, non è spartire l'immenso patrimonio tra i 5 figli. E’ il fall-out del divorzio sulla politica, sono i contraccolpi per l’immagine di uno che ama metterci sempre e comunque la faccia. Andare in tivù? Contrattaccare in qualche programma amico? «Non commettere quest’errore, getteresti altra benzina sul fuoco», l’hanno dissuaso Bonaiuti e Letta. In attesa degli eventi vengono mandati in avanscoperta fedelissimi come Bondi (stasera a Ballarò) e Quagliariello (su La 7), poi si vedrà.

Il gossip è irrefrenabile, una velina tira l’altra come successe durante «Vallettopoli», chissà se pure stavolta gli argini reggeranno. Compresi quelli tra le due rive del Tevere. Nei Sacri Palazzi vaticani vige l’ordine del cardinale Bertone, si tenga la bocca rigorosamente chiusa. Punto interrogativo viceversa sulla Cei, non è detto che i vescovi saranno altrettanto diplomatici perché di divorziati in politica ce n’è parecchi, lo stesso papà Casini che campeggia nei manifesti non fa eccezione, ma nel caso di Silvio è il secondo matrimonio che va all’aria, per giunta con grave scandalo. Non può sperare nel voto di parroci e suorine.

da lastampa.it
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« Risposta #21 inserito:: Maggio 27, 2009, 10:06:35 am »

27/5/2009 (7:13) - GOVERNO - ATTACCO AL PREMIER

Adesso Berlusconi teme il complotto
 
L'incubo: gruppi di contestatori che gli urlano contro in tv


UGO MAGRI
ROMA


Il «trappolone» che il Cavaliere più teme, di qui alle elezioni, non consiste nelle rivelazioni osé dei «giornali nemici», come li battezza lui, gruppo «Repubblica» in testa. No, il vero incubo di Berlusconi, quello che in queste ore ne attizza gli sfoghi semi-pubblici, ha l’aspetto a lui molto familiare di una telecamera. Che l’attende al varco dopo il comizio, la manifestazione pubblica, la passeggiata tra la gente. E riprende un gruppo di contestatori, magari semplici figuranti, che spuntano fuori come dal nulla, peraltro inquadrati in modo da sembrare folle oceaniche. I quali gli gridano «pedofilo, vattene, vergogna!». E la contestazione organizzata fa subito il giro del mondo, creando l’evento simbolico della dissacrazione, come fu per Bettino Craxi il famoso lancio di monetine in via del Corso, prologo della sua fine politica.

Questo raccontano dalle parti di Berlusconi. Un segnale d’allarme l’ha captato lui personalmente domenica, dopo la sconfitta del Milan contro la Roma. Le cronache riferiscono di una lunga sosta negli spogliatoi per catechizzare la squadra. Però circola un’altra cruda versione. Secondo cui in realtà Silvio avrebbe lungamente atteso nel garage di San Siro che i tifosi defluissero, per timore che qualcuno degli scalmanati, i quali avevano appena rovinato la festa d’addio a un «mostro sacro» come Maldini, gli urlasse «papi», oppure «Noemi» (in tribuna pare sia realmente successo) davanti alla famosa telecamera. Non certo targata Mediaset, si può giurare. E magari neppure di «mamma Rai». Però ci sono altre reti. Sky, ad esempio. Nell’entourage di Berlusconi si punta l’indice contro Murdoch. Qualcuno della guardia pretoria arriva ad additare il magnate australiano, l’ex alleato del Cavaliere diventato rivale acerrimo, addirittura come possibile artefice del «trappolone» mondiale, appunto. Siamo al fanta-complotto. D’altra parte, ai radar di via del Plebiscito non poteva sfuggire l’approccio parecchio sbarazzino con cui il flemmatico «Times» (proprietà di Murdoch) ha trattato Berlusconi nella vicenda Noemi, fino al punto di incorrere in un errore nell’intervista alla mamma della ragazza e doverle chiedere pubblicamente scusa.

La sindrome da assedio dilaga incontrollata. Il ministro Rotondi è certissimo che la congiura esiste eccome («Noemi come Wilma Montesi e come le feste di Leone al Quirinale»). Racconta il seguente episodio: quattro giorni esatti prima della visita del premier a Casoria per la celebre festa di compleanno, «si stava predisponendo un altro agguato mediatico, che per fortuna del presidente Berlusconi non ha avuto esito. E qui mi fermo», soggiunge sibillino Rotondi... Il premier pare ne sia ben consapevole. Confida a «Libero» che queste cose «me le dicono in troppi» per non essere vere, «e mi preannunciano che non è ancora finita, c’è un piano preciso». Mostra di crederci lui stesso. In collegamento telefonico con i suoi fan milanesi (perché ormai di persona non si muove quasi più) protesta veemente, «c’è una sinistra malata di odio politico, ogni giorno mi stanno gettando del fango addosso, hanno messo in campo una ventina di giornalisti per inventare storie false e disarcionarmi...». Tutto questo mentre a Montecitorio il gossip contagia rispettabilissimi esponenti del Pdl. Dov’è stata raccolta la seguente voce (smentita dalle fonti ufficiali): Noemi sarebbe in realtà la nipote segreta del Cavaliere... Figurarsi se la Chiesa, nella sua millenaria esperienza, si lascia trascinare in un gorgo simile. Interpellato per conto della Cei su Berlusconi e le giovinette, monsignor Crociata svicola con sapienza: «Di questioni morali ce ne sono tante, occorre tenerle vive tutte senza dover esprimere giudizi a ogni piè sospinto...». Un modo intricato per dire semplicemente: «No comment».
 
da repubblica.it
 
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« Risposta #22 inserito:: Giugno 16, 2009, 04:18:19 pm »

15/6/2009 (22:54) - ITALIA-USA: VERTICE ALLA CASA BIANCA


Berlusconi apre su Guantanamo

L'Italia accoglierà tre ex-detenuti

Disponibilità del premier, che punta tutto sulla riuscita del G8 in Abruzzo

UGO MAGRI
INVIATO A WASHINGTON


Mettere in sicurezza il G8. Impedire che diventi un fiasco di proporzioni mondiali. Evitare soprattutto che, oltre al grande dispiacere per un’eventuale figuraccia, l’appuntamento de L’Aquila provochi le «scosse» telluriche sul governo cui già si sta preparando D’Alema...

Alle 22 ora italiana, il Cavaliere è entrato alla Casa Bianca con questi obiettivi ben chiari in mente: dal Presidente americano dipende un passaggio cruciale per la sua sorte politica futura. Preoccupazioni dettate dall’esperienza.

La prima volta che dovette presiedere un G8, nel ‘94 a Napoli, Berlusconi fu centrato dal famoso avviso di garanzia, con successive dimissioni. Nel 2003, a Genova, il summit fu funestato dai Black blocs, e ci scappò pure il morto. Stavolta Silvio non può permettersi di correre rischi. Tutto dev’essere pianificato in anticipo senza improvvisazioni, a cominciare dall’agenda.

Mentre il giornale va in stampa, il colloquio con Obama è ancora in corso. Seguirà conferenza stampa e visita al Congresso per una stretta di mano con la speaker, Nancy Pelosi. Niente corona di fiori al cimitero di Arlington, nessuna visita alla National Gallery: il premier è sbarcato l’altra notte nella capitale Usa con il collo dolorante, colpa dell’aereo che saltava come un cavallo per via delle turbolenze, e colpa anche dell’aria condizionata. E’ andato subito a letto senza cena, ieri mattina l’ha trascorsa nella suite dell’Hotel St Regis, in déshabillé e con il capo sul cuscino per via del torcicollo.

A parte una parentesi per studiare le carte di un’azione legale nei confronti dei giornali ostili (i collaboratori la definiscono «sempre più probabile perché è stufo delle falsità su Noemi e dintorni»), Berlusconi s’è completamente immerso nei dossier del colloquio. Con l’applicazione dello scolaretto che sa di non poter fallire l’esame. Obama è un pragmatico avvocato di Chicago? Berlusconi ha messo a fuoco il personaggio e si adegua. Riveste per l’occasione i panni concreti di imprenditore della Brianza.

«Siamo entrambi uomini del fare», sono i commenti del premier alla vigilia, «Obama finora non ha sbagliato una mossa, proprio come il mio governo». Lo slogan è «sono un amico dell’America, qualche che sia l’amministrazione in carica».

Dunque, rivoluzione di stile rispetto ai tempi di Bush. Basta «pacche sulle spalle» che con Obama, tra l’altro, sono poco producenti. Niente battute di spirito che nel mondo anglosassone verrebbero fraintese. Bandite le barzellette e vietatissimi gli ammiccamenti sessisti. Anziché catturare la simpatia di Barak, Silvio prova a rendersi utile.

Dunque il G8. Dove si parlerà di nuove regole per l’economia mondiale. Berlusconi vuole capire fino a che punto si potrà spingere, che cosa vorrà da lui l’America. Tremonti, reduce dal G8 economico a Lecce, ha fatto sapere al premier che i passi avanti nel negoziato sono notevoli, però non s’illuda di poter mettere nero su bianco un pacchetto di controlli ben definiti: al massimo delle linee guida perché gli Stati Uniti non possono passare di colpo dal liberismo più sfrenato a un sistema di «lacci e lacciuoli».

Da Obama, il Cavaliere si attende indicazioni più precise. Oltre a qualche suggerimento pratico sui lavori: gradisce incontri bilaterali? Gli piace un programma ben scadenzato? Bonaiuti, il portavoce, mette in chiaro: Berlusconi ha interesse «a un G8 molto efficiente e produttivo di risultati». Dei quali, è sottinteso, potersi vantare in patria, Su tutto il resto, dalle nuove truppe per l’Afghanistan al capitolo Guantanamo, porte spalancate alle richieste Usa, come nelle tradizioni. Obama chiederà un impegno straordinario delle nostre truppe anche dopo le elezioni a Kabul? Se ne può discutere. Vuole che l’Italia si prenda carico di alcuni prigionieri islamici che verranno liberati tra breve? Siamo pronti, prontissimi.

E se Obama gli dovesse rimproverare «aperture eccessive» dell’Italia all’Iran, Berlusconi ha già la risposta pronta: «Io, caro Obama, ho paragonato Ahmadinejad a un novello Hitler».

Più di così...

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« Risposta #23 inserito:: Giugno 16, 2009, 11:27:15 pm »

16/6/2009 (6:20) - LA VISITA IN USA

Berlusconi incassa l'amicizia di Obama
 
Accoglienza cordiale per il Premier italiano teso più che mai al cospetto del presidente Usa

UGO MAGRI
DALL'INVIATO A WASHINGTON


Berlusconi torna in patria parecchio sollevato. Una freddezza di Obama poteva essere devastante, la conferma dell'isolamento internazionale seguito allo scandalo Noemi e alle foto sul "Pais". Invece l'uomo della Casa Bianca è stato cordiale oltre le aspettative. Ha tenuto il Cavaliere a colloquio più del previsto, gli ha dato importanza ascoltando compunto (o fingendo con quella sua aria da Sfinge) i consigli del premier su come trattare coi russi. Rotte le consegne del cerimoniale, i due hanno conversato per quasi due ore, seguite da una lunga conferenza stampa tenuta nella Sala Ovale. Le frasi che contano, alla fine, sono soprattutto gli apprezzamenti pubblici di Obama: "Tra noi è stato un ottimo inizio", e soprattutto quel "mi piace personalmente Berlusconi" che ha sciolto il sorriso sul volto del Cavaliere, mai così teso e talmente truccato di cerone da apparire perfino più "abbronzato" del presidente Usa.

L'incidente che si temeva, insomma, non c'è stato affatto. Anche perché Silvio si è presentato alla Casa Bianca con atteggiamento umile e senza la spocchia di chi calca da tre lustri la scena mondiale. Quasi dimesso e un po' rigido, complice anche il torcicollo che lo perseguita. Colmo della sfortuna, Obama era seduto nel colloquio alla sua sinistra, proprio dalla parte verso cui Berlusconi fatica a girarsi. Niente barzellette, evitate pacche sulle spalle e battute grossier, l'incontro ha viaggiato su binari sicuri. Il premier si è mostrato concreto e fattivo, proprio come desidera il pragmatico Obama. Ha offerto all'America tutta la collaborazione di cui è capace. Volete che accogliamo dei detenuti di Guantanamo? Eccoci qui, siamo a disposizione. Per gli Stati Uniti è la prova del nove che siamo dei veri amici. Altri 500 soldati per l'Afghanistan? Non ci tireremo indietro. E poi, caro presidente Obama, come vogliamo organizzare i tre giorni del prossimo G8 a L'Aquila?

Berlusconi ha sottoposto a Obama l'agenda dei lavori, ricevendone disco verde. Mettere in sicurezza il summit è obiettivo vitale per il premier, già reduce da brutte esperienze a Napoli nel '94 (avviso di garanzia e conseguenti dimissioni), quindi a Genova nel 2001 (scontri di piazza finiti in tragedia). Non c'è due senza tre dice il proverbio, il Cavaliere fa gli scongiuri specie dopo che D'Alema ha previsto nuove "scosse" per il governo. Con l'aiuto di Obama, Berlusconi spera di uscirne vivo. L'incontro di stanotte lo incoraggia.

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« Risposta #24 inserito:: Giugno 24, 2009, 04:27:00 pm »

24/6/2009 (7:17) - ELEZIONI 2009

E ora Silvio punta sul "governo-day"

 Il premier sfotte l'opposizione: Voglio perdere sempre così

UGO MAGRI
ROMA


Stavolta Berlusconi l’ha salvato il partito. Capace di vincere «nonostante» il leader. Nel momento più delicato. Per giunta alle elezioni amministrative, dove in passato il centrodestra mai aveva affondato le sue radici. Denis Verdini, che del Pdl è l’anima organizzativa, ha messo sotto il naso del Capo due cartine dello Stivale, una quasi tutta rossa (la mappa delle amministrazioni com’erano prima del voto) e l’altra quasi tutta azzurra (dopo la cura). Il Cavaliere ne è rimasto entusiasta. E quando ieri mattina ha letto sui giornali di Franceschini, che considera queste elezioni un successo del Pd, si è fatto preparare da via dell’Umiltà una dichiarazione puntigliosa e ironica. Dove segnala che il Popolo delle libertà è passato da 9 a 34 Province (più 25), mentre la sinistra è crollata da 50 a 28 (meno 22). Il Pdl rappresenta oggi 21 milioni di cittadini anziché 5, il Pd quasi 13 anziché 27. E dunque, scherza giulivo il premier, «se per l’opposizione questa è una vittoria, noi vogliamo sempre perdere così».

La settimana prossima, riunione dell’Ufficio di presidenza, forse addirittura della Direzione Pdl per celebrare quella che il portavoce Bonaiuti saluta come «colossale vittoria». Ma la vita continua, i problemi si affastellano, tra 15 giorni arriva il circo del G8, la testa del premier sarà concentrata sull’evento. «Con il voto ho risolto il fronte interno, d’ora in avanti mi occuperò di quello internazionale», è il suo programma. Lunedì Berlusconi presenterà il vertice mondiale su una nave da crociera, «Msc Fantasia», ormeggiata nel porto di Napoli. Quindi sarà tutto un susseguirsi di riunioni preparatorie e sopralluoghi a L’Aquila. Prima di smarrirne le tracce, i capigruppo del Pdl si sono precipitati da lui. Grandi rallegramenti per il voto (c’erano Cicchitto, Gasparri, Bocchino, Quagliariello), e poi «Silvio, parliamo un attimo delle cose da fare». Rassegna dell’attività in Parlamento, dalla riforma universitaria a quella della giustizia, senza trascurare il capitolo intercettazioni (probabile che in Senato, per blindare il testo, venga posta la fiducia). Infine uno sguardo avanti.

Berlusconi pensa che l’arma strategica delle prossime settimane sarà il piano casa. Quando matura una convinzione, impossibile fargli cambiare idea. Le Regioni, non solo quelle «rosse», oppongono resistenza? Non è un ostacolo, «l’accordo finiremo per trovarlo». Casa, e anche lavoro. Berlusconi condivide il suggerimento dei capigruppo: tutelare di più e meglio sia il popolo delle partite Iva, sia quello dei precari. Sono aree di sofferenza sociale, servono misure concrete. Il Cavaliere ne parlerà con Tremonti, il quale recalcitra alla sola idea di mettere mano al portafogli. «Però qualcosa dobbiamo fare», insistono i capigruppo capitanati nella circostanza da Cicchitto, e Berlusconi sottoscrive, perché altrimenti in autunno le Camere diventeranno un inferno, prevenire è meglio che curare. Venerdì, in Consiglio dei ministri, verrà decisa la data del seminario governativo, tutti insieme a Santa Margherita Ligure per discutere i progetti del 2010. Sul tavolo del ministro per il Programma, Rotondi, affluiscono (molto lentamente) le paginette di ciascun dicastero. Il Cavaliere vuole farne terreno di incontro con la gente. Per settembre già immagina un «Governo Day», venti ministri sguinzagliati contemporaneamente in altrettante regioni che presiedono incontri pubblici. E Berlusconi che in teleconferenza arringa le folle.

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« Risposta #25 inserito:: Luglio 10, 2009, 06:37:28 pm »

10/7/2009 (7:25) - IL VERTICE VISTO DALL'ITALIA

Berlusconi diventa ambientalista
 
Il premier Berlusconi alla conferenza stampa con Obama

Sepolto Bush, tante lodi al presidente Usa.

Che ricambia: «Una grande conduzione»

UGO MAGRI
L’AQUILA


Obama non sa di spezzare il cuore all’Italia progressista. Però Berlusconi gli fa una corte così assidua, talmente appassionata. E poi nel G8 si mostra alleato non soltanto fedele, ma pure umile, deferente, rispettoso. Addirittura pronto a ripudiare la vecchia amicizia con Bush, pur di sedurre il nuovo padrone... Insomma, il presidente degli Stati Uniti dà spago al Cavaliere. Gli fa da scudo nel momento più periglioso. E Silvio ne approfitta. Alla grande. Ieri, nuovo passaggio televisivo insieme, con la scusa di presentare l’Istituto globale per la cattura e il sequestro di carbonio, iniziativa cui Obama tiene in modo speciale. Due palchetti piazzati fianco a fianco: uno per il presidente Usa, l’altro per Berlusconi. Che però vi resta giusto il tempo di presentare l’iniziativa e di cedere il microfono al primo ministro australiano. Abbastanza comunque perché l’Italia intera riveda la strana coppia, 24 ore dopo le immagini toccanti della visita di Obama alle macerie aquilane.

Con tale sponsor, ignaro o consapevole, non stupisce che Berlusconi ritrovi il coraggio. Al punto da affrontare quei giornalisti che, chiacchierando con Vespa, definisce «una categoria di personaggi...» (sempre meglio dei politici, lo frena il conduttore di «Porta a porta», e il premier conviene: «Esistono farabutti in entrambe le categorie»). Berlusconi mantiene la calma quando viene stuzzicato sulle critiche dei media: «Ci sono due tipi di realtà», argomenta pedagogico, «quella della gente normale e quella dei giornali, che tante volte è pura fantasia. Questo G8 ne è la dimostrazione lampante». Non perde le staffe nemmeno quando l’inviato di «Repubblica» gli chiede se davvero pensa che l’immagine dell’Italia sia stata rovinata dal suo gruppo editoriale. «Non avete raggiunto il risultato che volevate», taglia corto Berlusconi. In altri momenti, sarebbe stato un circo.

Giura il suo stratega della comunicazione che è tutto calcolato. Berlusconi ha scelto «di rispondere con reazioni misurate a un attacco senza misura», precisa Bonaiuti. Confermando questo feeling «che cresce» con l’amico Barack davanti e dietro le quinte. Quanto si coglie è già sufficiente. Pur di far colpo, il Cavaliere si traveste da verde, mostra un’insospettata passione per l’ambiente. Bush? Non aveva capito nulla. Sulla crisi bancaria, sui rapporti Est-Ovest, sullo scudo spaziale e neppure, precisa ora Silvio, sui cambiamenti climatici. Seppellisce George W. con tale cinismo, da far pensare che negli ultimi tempi la loro amicizia fosse di facciata: «Mentre prima l’amministrazione americana era scettica sull’utilità delle iniziative contro il riscaldamento globale, e ne dubitava anche sul piano scientifico, il presidente Obama ha preso la testa di questo movimento». Lui sì che guarda al futuro del pianeta.

Silvio ambientalista e, sulla scia di Barack, pure pacifista. Ne esalta la volontà «di portare il mondo verso la negazione delle armi nucleare», ne indossa i panni di portavoce anunciando che nel corso del G8 il leader Usa «ha proposto di mettere in atto l’anno prossimo un vertice negli Stati Uniti tra tutti i paesi che dispongono di armamenti nucleari», in vista del loro più stretto controllo. Obama lo ricompensa lodando il premier per «la straordinaria ospitalità» e la grande conduzione («great coaching») del vertice. Non è l’unico, in verità. Anche i cinesi si congratulano col Cavaliere, e pure il «faraone» d’Egitto Mubarak, protagonista di un piccolo «giallo» della diplomazia. Alla cena offerta da Napolitano, doveva sedere alla sinistra del Cavaliere. Invece misteriosamente è slittato di qualche posto, perché di fianco a Berlusconi si è messo Gheddafi, quale presidente dell’Unione africana, reduce da una passeggiata a piedi lungo l’autostrada Roma-L’Aquila.

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« Risposta #26 inserito:: Agosto 30, 2009, 10:35:51 pm »

30/8/2009 (7:19)  - RETROSCENA

Per Berlusconi caso chiuso, i suoi cercano di ricucire


«Io condizionare Feltri? Mi offende solo l’idea»

UGO MAGRI
ROMA


Con chiunque si sfoghi in queste ore, Berlusconi non deflette dalla sua verità: «Certo che mi dispiace l’assalto del Giornale al direttore di Avvenire. Ma io, posso giurarlo, non ne sapevo niente di niente. E comunque sono un liberale autentico, mai che mi sia intromesso nelle scelte editoriali dei direttori Mediaset per dare la linea o suggerire servizi, figurarsi se l’avrei fatto con Feltri su una cosa del genere. Mi offende la sola idea che qualcuno possa pensarlo...». Concetti ribaditi testardamente nei colloqui e nelle telefonate agli amici, fino al momento di prendere l’aereo per Milano e di tuffarsi nel clima calcistico del derby. Oggi Berlusconi volerà in Libia, la sua attenzione sarà tutta rivolta a Gheddafi. Da domani si volta pagina, faranno irruzione i temi della ripresa d’autunno. «Vedrete», scommette Calderoli, «che non appena riapriranno le fabbriche e i cantieri, tutte le polemiche create dai giornali finiranno in secondo piano».

Se questo è l’umore del premier («incazzato nero», secondo l’amico Bossi), inutile attendersi mosse riparatrici, gesti pubblici di ricucitura con la Chiesa. Nemmeno una chiamata cordiale a Boffo per esprimergli di persona la solidarietà (slanci di cui il Cavaliere sul piano umano sarebbe capace). Per lui il caso è chiuso dal comunicato di venerdì, dove si dissociava dall’attacco: e già gli pare d’aver fatto tanto, forse troppo, tanto che Letta e gli altri «saggi» del partito hanno sudato le classiche sette camicie per fargli metter giù quelle poche, stentatissime righe. Berlusconi oltre non va. Chi lo circonda ne prende atto, si augura tempi migliori, invoca polemiche più civili (Cicchitto: «Repubblica non va imitata sulla sponda opposta»), e rimanda la pace con il mondo cattolico alle prossime settimane cruciali.

Le occasioni per far sorridere i vescovi sono una lista lunga così. Risulta che già alla fine di luglio Berlusconi e Letta ne avessero ragionato, in una cena riservatissima, con l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Ruini, ricevendone indicazioni molto puntuali sul piano operativo. In testa c’è la legge sul biotestamento, che attende il disco verde della Camera. Fini è contrario, e le sue riserve dal timbro schiettamente laico stavano facendo breccia in certi settori della maggioranza. Ma ora non c’è più spazio per i «distinguo». Basti vedere con che piglio Schifani, solitamente soft, consiglia al presidente della Camera di cucirsi la bocca, come del resto aveva fatto lui durante l’iter a Palazzo Madama.

Addirittura circola l’ipotesi, alla quale Berlusconi non sarebbe insensibile, di una riunione al vertice del Pdl da convocarsi entro un paio di settimane per fissare la linea sul testamento biologico, e mettere in minoranza l’ex leader di An. Lupi, deputato cattolico di cui il Cavaliere molto si fida, è sicuro: «Alla fine la Chiesa ci giudicherà dalle cose che faremo». Gasparri, presidente dei senatori Pdl, spinge lo sguardo lontano, i vescovi «si renderanno conto che la sinistra, dal loro punto di vista, sarebbe molto peggio. Per cui prevarrà alla fine il buon senso e guarderanno ai fatti sostanziali, ad esempio il nodo delle scuole private».

Esempio tutt’altro che casuale. Venerdì mattina, cioè nelle stesse ore in cui Roma fibrillava sul «caso Boffo», al Meeting ciellino di Rimini si parlava di finanziamenti. Mariastella Gelmini, ministro dell’Istruzione, lasciava intendere che stavolta Tremonti non farà il cattivo, e nonostante la congiuntura negativa si spera non taglierà i fondi alle scuole cattoliche. La Lega, sussurra Calderoli, non avrebbe nulla in contrario. Lui e Bossi andranno insieme in Vaticano per mettere una pietra sopra le recenti polemiche. E per dire ai vescovi: se cercate interlocutori, meglio noi di Berlusconi.

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« Risposta #27 inserito:: Settembre 02, 2009, 04:17:55 pm »

2/9/2009 (7:25)  - IL CASO

"Mai pagato una donna o frequentato minorenni"

L'incontro tra Silvio Berlusconi e il premier polacco Donald Tusk
   
Attacco a Repubblica: «Ha un editore svizzero e un direttore evasore fiscale»

UGO MAGRI
INVIATO A DANZICA


Non fosse stato per quella battuta del primo ministro polacco, Berlusconi si sarebbe limitato a minacciare l’Europa, a chiedere la testa di tutti i commissari Ue che lo criticano, a pretendere un passo indietro (in parte ottenuto) da Bruxelles. E avrebbe evitato di tornare su Noemi, Patrizia, i «festini», per poi scagliarsi sui giornali nemici, i loro direttori, i loro editori... Ma era destino. Così durante la commemorazione dell’evento più catastrofico nella storia umana, l’inizio della Seconda guerra mondiale 70 anni fa, giusto il tempo di riprendersi dalla commozione ed ecco il padrone di casa, Donald Tusk, ammiccare al Cavaliere: è tutto vero quanto scrivono i giornali sulle prodezze da «latin lover»?

A Silvio cadono le braccia. Perfino qui, a Danzica, dov’è giunto pellegrino insieme con altri trenta capi di Stato e di governo, dove ha vergato sul registro dei partecipanti una testimonianza di orrore per le guerre e le dittature, ecco come lo vedono e vivono la sua presenza: tipo «Papi» in trasferta, anziché come lo statista che lui ritiene di essere. Berlusconi risponde a Tusk con tono lieve, «queste cose non sono mai successe», le famose feste tutte invenzioni, «al massimo posso aver detto qualche barzelletta piccante...». Però poi, quando esce a fare due compere tra i negozietti del centro storico e si trova davanti i cronisti, «eccoli qua» ghigna col tono dell’«ora vi sistemo io». Chissà perché, gli torna in mente Balzac che della modernità diceva «rifarei tutto tranne i giornali». E dalla memoria gli spunta un altro ricordo, anno 1939, quando le truppe germaniche invasero la Polonia «con il pretesto che aveva espulso la minoranza tedesca»: nella circostanza, segnala Berlusconi, «il Corriere della Sera applaudì Hitler titolando "Fantastica operazione umanitaria", bravi!».

Vuoi vedere che ce l’ha coi giornali? Salta fuori Tusk (qualcuno ha captato la conversazione). Il Cavaliere non chiede di meglio. Parla per dieci minuti di fila, praticamente un monologo. «Purtroppo mi trovo costretto, quando incontro qualche collega straniero, a mettere i puntini sulle "i". Sì, perché fanno dei complimenti circa la mia vivacità, sul fatto che dimostro venti anni di meno, su come riesco ad avere così tanto fascino... Questo per la cattiva pubblicità all’estero dei giornali che conoscete e degli amici da loro imbeccati».

«Dunque gli spiego che io non ho mai frequentato nessuna minorenne, tantomeno la signorina Letizia. Che non ho mai dovuto dare soldi a una meretrice. Che non solo non ho organizzato, ma mai ho partecipato a quelli che chiamano festini. Le poche cene fatte quest’anno, perché prima non esistevano, sono state alla presenza di 15 uomini della scorta, più una decina di uomini di servizio che cambiano continuamente, più altrettanti orchestrali... Quindi soltanto delle menti malate possono immaginare cose del genere».

«Perché non ho risposto alle 10 domande di Repubblica? L’avrei fatto se queste domande me le avesse rivolte, in modo non insolente o diffamante, un giornale che non fosse un superpartito politico di un editore svizzero con un direttore dichiaratamente evasore fiscale. Invece a questa gente non rispondo. Soprattutto alla domanda se sono malato. Malato io? Sono Superman, anzi Superman a me mi fa ridere...».

Fa in tempo a raccomandarsi caldamente che le sue frasi vengano riferite «col sorriso e con senso dell’ironia», poi la scorta lo sospinge sull’auto che vola verso l’aeroporto. No comment sul «caso Boffo» («mai dato giudizi bacchettoni in vita mia, evito anche ora»). La mattina, arrivando a Danzica, smentita a qualunque frizione col Vaticano («il governo non ha alcuna responsabilità per quello che è successo e nelle diatribe giornalistiche che si sono verificate»), garanzia che con la Santa Sede «i dialoghi sono quotidiani». E annuncio di una prossima riunione coi capigruppo Pdl alla Camera per «stabilire come ci comporteremo» sul testamento biologico. La «libertà di coscienza» è garantita, ma il dissenziente Fini verrà isolato.

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« Risposta #28 inserito:: Settembre 05, 2009, 05:15:10 pm »

5/9/2009 (7:16) - RETROSCENA

Napolitano frena il premier "Serve moderazione"
 
Il Capo dello Stato: servono fondi certi
 
Preoccupazione dal Colle per i tempi della ripresa

UGO MAGRI
ROMA


Non bastava il torcicollo che perseguita Berlusconi da mesi, a fargli vedere le stelle ci si mette pure l’emicrania. Tutti gli analgesici fanno cilecca, e d’altra parte contro la discopatia servirebbe ben altro. I contraccolpi della sofferenza fisica si avvertono sull’umore. Quello del Cavaliere ora tende al pessimo. Qualunque interlocutore abbia di fronte, Berlusconi è un torrente in piena. Impone la sua versione dei fatti. Pretende complicità sul momento che sta vivendo. E guai a contraddirlo: il direttore di un periodico Mediaset, che aveva espresso cauta solidarietà di casta con Boffo, s’è sentito riprendere duramente (perlomeno così racconta) dal premier in persona.

Indossiamo dunque i panni di Giorgio Napolitano. Nel pomeriggio riceve Berlusconi e il ministro Bondi per i 150 anni dell’Unità d’Italia, tema che al Presidente preme assai. E nell’ora di conversazione non c’è verso: ogni due per tre Silvio torna sulla sua vicenda. Un minimo spunto e tàc, eccolo ripartire alla carica sostenendo che «io non c’entro nulla con il Giornale, non sapevo niente dell’attacco di Feltri al direttore dell’Avvenire, l’aggressione della stampa che mi presenta come il mandante è una vergogna assoluta...». Quasi un ritornello esasperato. Manca solo il «povera Italia!» esclamato poco prima davanti alle telecamere. In compenso Berlusconi prova a convincere il Presidente che la reazione a colpi di querele davvero è il minimo. Se la prende con quel giornale dove è scritto che cambierà i vertici dei servizi segreti, poi con quell’altro che gli fa mettere il Milan all’asta. Ha il dente avvelenato con quanti gli attribuiscono tra virgolette lunghe frasi di cui, nel leggerle l’indomani, respinge la paternità. Alza la voce con chi riferisce perfino il suo intervento nel Consiglio dei ministri: un luogo, tuona, che dovrebbe garantire la riservatezza... «Ogni giorno me ne combinano una», quasi gli si incrina la voce.

Il Presidente della Repubblica ascolta, fa mostra di comprendere il dramma del Cavaliere, età ed esperienza in questi casi aiutano. Poi, però, dice la sua. Muovendo dal momento delicatissimo, col Paese in bilico tra recessione e ripresa, con le tensioni sociali che si riaffacciano, in un tessuto politico sempre più lacerato. Napolitano si sforza di trasmettere al premier la consapevolezza di quanto è fragile la cristalleria. Lo invita alla moderazione, all’equilibrio specie nei confronti dei giornali che fanno il loro mestiere. Esercita la «moral suasion». Berlusconi in fondo gli è debitore della tregua a cavallo delle Europee che sembrò restituirgli fiato. E magari Napolitano ci riproverà con un appello per la ripresa del dialogo.

Questo è quanto filtra dal colloquio al Quirinale. Bocche assolutamente cucite, viceversa, sull’altro incontro della giornata, quello conviviale del premier con i suoi luogotenenti a Palazzo Grazioli. Il primo dopo due mesi in cui Berlusconi ha tenuto alla larga il sinedrio romano, e s’è fatto consigliare nell’enclave milanese (dove dominano le teste calde). Ebbene: se si dà credito ai resoconti, l’oggetto del colloquio è quasi surreale. Rapporti col Vaticano? No. Caso Boffo? Nemmeno. Guerra con i giornali? Per carità... Si è discusso di piccole beghe del Pdl, di «trombati» alle scorse Europee da riciclare, tutti personaggi del mondo berlusconiano.

Circola poi l’altra tesi, più attendibile, secondo cui di Vaticano, di testamento biologico e di giornali si è parlato eccome. Ma soprattutto risulta che a Fini siano fischiate le orecchie. Perché il problema del Cavaliere, adesso, è come neutralizzarlo in vista del dibattito sul testamento biologico, vero banco di prova dei rapporti con la Santa Sede. Per cui, intorno al desco del cuoco Michele, c’erano solo Cicchitto e Quagliariello, Bondi, Bonaiuti e Verdini. Nemmeno un notabile di An, casomai dovesse fare la spia.

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« Risposta #29 inserito:: Settembre 07, 2009, 10:41:19 am »

7/9/2009 (7:30)  - RETROSCENA

Letta-Benedetto XVI la pace dietro il palco

   
Il breve incontro con il pontefice archivia la vicenda Boffo-Avvenire

UGO MAGRI
ROMA

Il Gentiluomo di Sua Santità che è Gianni Letta mai oserebbe fraintendere il Papa. Se dal breve incontro con il Pontefice è emerso sorridendo (dopo che vi era entrato parecchio teso in volto), addirittura fermandosi a parlarne coi giornalisti, vuol dire che per l’ambasciatore di Berlusconi è andata davvero bene, molto bene. Forse meglio di quanto lui stesso si sarebbe aspettato. Al Capo, che sta ad Arcore e stamattina svelerà il suo umore in un’intervista su «Canale 5», Letta ha dato l’annuncio di scampato pericolo. Il «caso Boffo» è alle spalle. Acqua passata.

Non è l’unica soddisfazione per Berlusconi. Finalmente, dopo mesi, ha potuto trascorrere una domenica lieta. Dal mondo, solo buone notizie. Montezemolo che smentisce quanti lo volevano trascinare in campo contro il Cavaliere. Napolitano che dall’Abruzzo dà atto al governo della ricostruzione post-terremoto. Noemi che rilascia una lunga intervista a Sky senza combinare disastri. Il Milan che non perde perché il campionato è fermo. Ma nulla può rallegrare Berlusconi quanto l’attestato di simpatia da Joseph Ratzinger. Il «miglior regalo», secondo il ministro La Russa. Nella Chiesa comanda il Papa, tutti gli altri (vescovi e cardinali compresi) dovranno adeguarsi. Letta, quando l’ha informato, era al settimo cielo: «Un incontro molto positivo», gli ha detto al telefono, «il Papa è stato con me quasi affettuoso».

Cronometro alla mano, il colloquio è durato minuti quattro. Nella sacrestia di fortuna ricavata sotto il palco a Valle Faul. Non ci sarebbe stato modo, anche volendo, per approfondire le dimissioni del direttore di «Avvenire», o per ramanzine sulla condotta privata del premier. In casi del genere contano soprattutto il calore del gesti, il tono delle parole. Quelle del Papa nei confronti di Letta, uomo fedelissimo alla Chiesa, sono state così paterne che il sottosegretario ha quasi abbracciato Giulio Marini, sindaco di Viterbo e organizzatore dell’evento: «Oggi mi hai dato una grande soddisfazione...». Poi, davanti ai taccuini dei cronisti, ecco Letta mettere da parte il proverbiale riserbo e raccontarsi «felice, il mio sorriso vi dice tutto, il clima è sereno qui, nella città dei Papi». Preoccupato? Noooo, «i rapporti con la Chiesa sono saldi, ma, come dice il cardinale Ruini, bisogna sempre lavorare perché questi rapporti vengano ulteriormente rafforzati». Detto da lui, braccio destro di Berlusconi, è molto più che una promessa.

Significa che le ragioni di parte laica, patrocinate da Fini, troveranno poco spazio nel prossimo dibattito alla Camera sul biotestamento. E tempi duri si annunciano per la pillola abortiva RU486, nel mirino della Chiesa. Per non dire dei finanziamenti alla scuola privata, su cui Tremonti si mostrerà meno avaro degli anni passati. «Business as usual», direbbero gli anglosassoni. E difatti, tira le somme il capogruppo Pdl alla Camera Cicchitto, «bisogna sempre distinguere tra incidenti occasionali e linee di fondo. Che tra noi e il mondo cattolico ci sia un rapporto positivo, non è una sorpresa ma una costante, indipendentemente dagli equilibri interni alla Chiesa e alle stesse gerarchie ecclesiastiche».

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