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Autore Discussione: UGO MAGRI  (Letto 228790 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Novembre 12, 2010, 03:22:47 pm »

12/11/2010 (7:34) - VERSO LA CRISI/ REAZIONI

"Dimissioni? Piuttosto la guerra civile"
 
Berlusconi si sfoga nella notte di Seul con i vertici del partito riuniti dopo l'incontro Fini- Bossi

UGO MAGRI
INVIATO A SEUL

«Non mi dimetterò mai», quasi grida al telefono Berlusconi dal ventunesimo piano dell’Hotel Hyatt, e dall’altro capo del filo lo ascoltano tramite interfono tutti i gerarchi del suo partito, riuniti a 8962 chilometri di distanza. Il tono di voce è concitato, «Fini vuole eliminarmi, mi vuole morto fisicamente per la storia di Montecarlo, è convinto che gliel’abbia montata io. Ma se questi faranno il governo tecnico noi gli scateneremo contro la guerra civile, avranno una reazione come nemmeno s’immaginano...».

Per tre volte il presidente del Consiglio si collega con il vertice Pdl, l’ultima quando in Corea è già l’una di notte, e sarebbe il momento di calare il sipario su una giornata bestiale: atterraggio a Seul dopo la notte passata in volo, il Cavaliere con la faccia gonfia di sonno e due fessure al posto degli occhi, colloquio in albergo con il premier vietnamita Nguyen Tan Dung, unico «bilaterale» di Berlusconi laddove in queste prime battute del G20 è stato tutto un fiorire di meeting, protagonisti Obama, il britannico Cameron, la tedesca Merkel.

L’Italia a zero.

O meglio: non si sa. Magari di incontri ad alto livello ce ne saranno stati, per esempio durante la cena tra i capi di Stato e di governo che, tutti insieme, cercano una via d’uscita alla grande stagnazione.

Però il nostro premier s’è ben guardato dal renderne edotti i propri concittadini. Subito dopo il dolce, ciao ciao con la mano ai cronisti e via di corsa in albergo per farsi ragguagliare sull’unico incontro di cui davvero gli importasse qualcosa, quello a Roma tra Fini e Bossi. Che fosse la sua grande preoccupazione, lo s’era capito dal tentativo di farne partecipe perfino il rappresentante di Hanoi. La scenetta è un autentico cammeo. Berlusconi che si avvicina confidenziale a Nguyen Tan Dung e, tardando l’interprete, gli annuncia nel suo inglese non proprio oxfordiano: «I have some difficulties in this moment», ho qualche problemuccio a casa, perdonami caro amico del Vietnam se la testa è altrove...

Dunque Berlusconi torna dalla cena ufficiale, si chiude in camera col fido Bonaiuti e fa chiamare di corsa Cicchitto, nel cui studio alla Camera è adunato l’intero gotha del Pdl, da Bondi a Quagliariello, da Fitto a la Russa, da Romani alla Gelmini. Vuole sapere, Berlusconi, com’è andata veramente tra Umberto e «quello là» (Gianfranco). Vengono messe a confronto le versioni di Bossi, di Maroni e di Calderoli, risulta chiaro che non collimano affatto.
Qualcuno sente puzza di bruciato e lo dice. Silvio ribadisce alto e forte, «di Bossi io mi fido al 99 per cento», tuttavia aleggia la sensazione che siano in atto strani giochi per rimpiazzare il premier con chiunque purché non sia lui. E che la Lega sotto sotto stia valutando tutte le strade nel proprio interesse... Un incauto (o un’incauta?) propone al Capo di dimettersi come chiede Fini, salvo riavere subito l’incarico dal capo dello Stato.

Coro di «noooo, troppo pericoloso, sarebbe come mettere la testa tra le fauci del leone», e poi da qualche giorno il Presidente spara a raffica sul governo, come fidarsi di Napolitano? Mentre si parlano da un capo all’altro del pianeta, arriva in diretta la notizia che nemmeno la versione di Bossi è oro colato, anzi lo stesso Fini la smentisce. Si decide perciò di troncare gli indugi: basta così, «o Berlusconi oppure elezioni» riassume il ministro Matteoli in rima baciata. Viene stilato un documento, il premier se lo fa leggere, gli piace, lo approva. Il suo prossimo passo consisterà nel rimpasto, via il ministro Ronchi (finiano) e dibattito in Senato per rinnovare la fiducia: quanto alla Camera poi si vedrà, perché lì governo rischierebbe la bocciatura.

E non sta scritto da nessuna parte che in assenza di dimissioni del premier debbano pronunciarsi entrambi i rami del Parlamento, uno potrebbe anche bastare... Tocco surreale: mentre Berlusconi per tre ore al telefono coi suoi tenta di esorcizzare i governi tecnici, i due personaggi più titolati a guidarli si trovano pure loro a Seul. Uno, Tremonti, se l’è portato da Roma in aereo, per risparmio si capisce, e ha partecipato alle riunioni dei ministri economici.

L’altro, il governatore Draghi, ha gustato addirittura la cena dei Grandi nella sua veste di presidente del Financial Stability Board. Obama e gli altri non immaginano, ma seduti di fronte avevano il presente e, forse, il futuro della politica italiana.

http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60371girata.asp
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« Risposta #106 inserito:: Novembre 16, 2010, 05:29:07 pm »

16/11/2010 (6:47)  - VERSO LA CRISI- MOSSE E CONTROMOSSE

"Resistere, resistere". Berlusconi spera ancora nel contro-ribaltone

La missione impossibile, anche contro il parere di Bossi

UGO MAGRI

Il Cavaliere ancora spera di farcela, anche al fotofinish, pure con due voti di maggioranza. Anzi, perché due? Per tirare avanti con il governo uno solo gli basterebbe, ci metterebbe la firma con entusiasmo... Tutto il groviglio istituzionale di queste ore, con il rischio di scontro tra Camera e Senato, con il presidente della Repubblica costretto a fare da arbitro come su un ring, è figlio di questa ostinata e (perfino nel giudizio di alcuni suoi scudieri) irragionevole resistenza berlusconiana. Condotta sul presupposto di non dover e non poter mollare la presa. Spiega sconsolato chi gli vive al fianco: «Silvio è convinto che, non appena lui cessasse di essere premier, subito qualche pm ne chiederebbe l’arresto, la Camera lo concederebbe. Proprio così, teme di finire in manette...».

Sembra enorme, incredibile, pazzesco, e forse neppure Di Pietro arriva ad augurarsi un epilogo così choccante per la democrazia italiana. Eppure, questi sono gli spettri che (sempre nel racconto dei fedelissimi) si agitano nella mente del nostro premier, spingendolo a una sorta di comportamento per lui del tutto innaturale. L’uomo che ha sempre scelto di rivolgersi alla gente, che ha saputo costruire la sua fortuna politica spiazzando i giochi del Sinedrio, eccolo vestire adesso i panni dell’azzeccagarbugli, scartabellare Regolamenti, tuffarsi nelle casistiche parlamentari, perorare la tesi secondo cui la fiducia al governo andrebbe discussa prima al Senato anziché prima alla Camera. Sul presupposto (tutto da dimostrare) che ciò gli permetterebbe di sfangarla non solo a Palazzo Madama, cosa abbastanza probabile, ma pure a Montecitorio. L’impresa è giudicata dai più quasi impossibile. Pare sia rimasto a crederci Berlusconi, unico e solo. Parli con i suoi luogotenenti e ti sussurrano che sperare in un contro-ribaltone è pura follia, mai si sposteranno abbastanza deputati da colmare un gap stimato in 12-13 voti. E poi, soggiungono, «nemmeno ce lo auguriamo, poiché nessun governo potrebbe sopravvivere più di qualche mese se si trovasse in bilico su ogni votazione, se venisse continuamente battuto sulle sue leggi, sui suoi decreti...». Sarebbe solo un supplemento crudele di agonia, un accanimento terapeutico. Meglio farsi bocciare, è il sottinteso, e puntare diritto alle urne, dove le speranze di vittoria del centrodestra restano alte nonostante Fini. Oppure meglio tentare la carta di un nuovo governo, si è sforzato invano di argomentare Bossi ieri pomeriggio nella villa di Arcore (che certi buontemponi Pdl hanno ribattezzato per assonanza Hardcore, ammiccando alle imprese amatorie che lì si sarebbero consumate). Bossi non è isolato. Tra i giovani leoni berlusconiani prevale la tesi che, se il Capo si dimettesse come chiedono Fini e Casini, poi Napolitano non potrebbe che ridargli l’incarico e insomma, tanto varrebbe provarci, alla peggio resterebbe la carta delle elezioni...

Niente da fare, però. Non c’è verso. Il Cavaliere a dimettersi non ci pensa nemmeno lontanamente. Cosicché si va cercando in queste ore un punto di compromesso tra lui, decisissimo a presentarsi in Senato, e Fini, il quale tenta di fucilarlo immediatamente alla Camera. Napolitano, vecchio saggio, pare voglia favorire una soluzione salomonica, tipo: dibattito sulla fiducia contestuale nei due rami del Parlamento. Sarebbe l’«uovo di Colombo» capace di placare tutti, e Gianni Letta («sul Quirinale garantisco io», ripete da giorni) ha fatto da tramite tanto nei confronti del premier, quanto nei riguardi di Schifani. Il quale in teoria potrebbe accordarsi direttamente con Fini, essendo suo dirimpettaio; ma è noto come i due non amino rivolgersi la parola, e dunque metterli in contatto richiede un supplemento di diplomazia.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60480girata.asp
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« Risposta #107 inserito:: Novembre 26, 2010, 05:36:29 pm »

Politica

26/11/2010 - GOVERNO- IN VISTA DELLA FIDUCIA

Berlusconi: crisi ora? È da irresponsabili

Ma si mostra tranquillo sulla fiducia. La Carfagna ritira le dimissioni

UGO MAGRI

ROMA

Si sta delineando un esito paradossale della crisi. O perlomeno: tutti ne parlano («vox populi» secondo il portavoce berlusconiano Bonaiuti), segno che qualcosa di vero dev'esserci. Questa voce dà per sicura la fiducia al governo quando Camera e Senato si pronunceranno, martedì 14 dicembre. Ma attenzione, non è altrettanto certo che questa fiducia sia sufficiente per governare. Anzi, somiglia moltissimo a un trappolone studiato dalla coppia Fini-Casini per evitare le elezioni, e nello stesso tempo far divorare lentamente il premier dalle formiche rosse.

Il piano anti-Silvio
Consiste nel garantirgli in Parlamento una maggioranza così striminzita per cui Berlusconi non sarà in grado di far passare nessuna delle sue riforme (tranne quelle che interessano agli altri due). In pratica un governo con le mani legate, come si è visto in questi giorni sull'Università, al punto che la ministra Gelmini è dovuta recarsi con un foglietto in mano dal capogruppo del Fli Bocchino, pregandolo di salvare almeno quei pochi articoli da lei indicati... Altri tre-quattro mesi così, finché Berlusconi getterà la spugna, e avanti un altro premier. Perché il bersaglio è lui.

Un governo di minoranza
E' lo scenario di cui si parla per il 14 dicembre. Maggioranza a quota 309-310, laddove servirebbero 316 voti per la metà più uno dei deputati. E tra gli oppositori una dozzina almeno di assenze strategiche per abbassare il quorum, onde consentire a Berlusconi di farcela volente o nolente. Debolissimo. Stremato. Però il Cavaliere non potrà neppure ribellarsi e dimettersi, come la Santanchè scommette che lui farà immediatamente in quel caso, perché Napolitano potrebbe dirgli: «Caro Silvio, una maggioranza sia pure minima ce l'hai, dunque come faccio a scioglierti le Camere? Cerca piuttosto di governare». Poi, certo, lui potrà sempre sostenere che Fini e Casini non hanno il coraggio di staccare la spina. Bossi già argomenta qualcosa del genere: «Mi sa che la fiducia Berlusconi l'avrà. Non solo dalla destra ma anche dalla sinistra. Hanno paura di andare al voto». Non sarà comunque un bello spettacolo, e magari sarà proprio la Lega, un bel giorno, a pronunciare il fatidico «basta».

Il Cavaliere incerto
A parole lui va come un treno, «il 14 contiamo di avere la fiducia, altrimenti andremo al Colle per chiedere le elezioni», salvo poi frenare, «andare alle elezioni in questo momento è da irresponsabili, speriamo di andare avanti, io sono ottimista». Annuncia per martedì prossimo la riforma della Giustizia e, se non l'avesse già promessa innumerevoli volte, verrebbe da pensare che cerca (politicamente, si capisce) la bella morte sul campo, falciato mentre sventola la sua bandiera. Però poi, udito il suo discorso nell'ufficio di presidenza Pdl, molti fedelissimi ammettono: «Non abbiamo ben capito che cosa intende fare realmente». Rompere? Abbozzare? Ritirarsi? Contrattaccare? Boh.

Movimenti «futuristi»
Anche qui corrono voci, secondo cui i finiani potrebbero articolare a giorni una nuova proposta, in pratica chiedendo una diversa legge elettorale e più apertura nei confronti delle forze sociali. In quel caso, aprirebbero uno spiraglio al premier. Dal campo tremontiano si fa notare che il Piano per il Sud di cui oggi discute il Consiglio dei ministri già viene incontro a molte richieste Fli sull'economia. «Il nocciolo vero è che non possiamo trattare», allarga le braccia un gerarca Pdl, «finché loro continuano a farci la guerriglia nel Parlamento: non ci fidiamo».

Sipario sulla Carfagna
Due ore di colloquio col premier, poi con Bondi e Verdini. La ministra rientra nei ranghi ringraziando Silvio per aver obbligato i vertici del Pdl campano (Cosentino) a darle retta. Si delinea la sua candidatura a sindaco di Napoli. «Tutto risolto», volta pagina il Cavaliere.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/377525/
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« Risposta #108 inserito:: Dicembre 02, 2010, 06:36:09 pm »

Politica

02/12/2010 - IL CASO

Porcellum e rimpasto Il premier ora tratta

Il Cavaliere offre ai finiani una modifica della legge elettorale

UGO MAGRI

ROMA
Le voci di trattativa segreta fanno tale e tanto chiasso che il segreto, ormai, è solo quello di Pulcinella. Si racconta che Gianni Letta abbia finalmente ottenuto da Berlusconi un via libera ai colloqui coi «futuristi». Che il Cavaliere stia addivenendo a più miti consigli perché l'offensiva congiunta del Fli e dell'Udc lo pone con le spalle al muro, dunque avrebbe preso paura. Si aggiunge che nei panni alati di Ermes, il messaggero divino, starebbe facendo la spola Angelino Alfano, ministro Guardasigilli. Si specifica che compito dei negoziatori sarebbe quello di soppesare che cosa vuole e non vuole Fini in cambio di un'astensione tra 12 giorni, quando si voterà la fiducia al Senato e alla Camera la sfiducia. La coppia Alfano-Letta sarebbe specialmente incaricata di sondare il presidente della Camera su come mettere mano al «Porcellum» (che è la legge elettorale vigente), perché lì starebbe a quanto pare la chiave dell'enigma, ovvero la madre di tutte le questioni: tanto Fini quanto Casini vogliono togliere il «premio» che garantisce una maggioranza di deputati a chi prende anche solo, per dire, un 25 per cento dei voti.

Ma mentre Pierfurby col Cavaliere non tratta (almeno per ora), e addirittura brucia sul tempo Gianfranco annunciando una mozione centrista contro il governo, viceversa alcuni finiani sarebbero pronti ad accettare una soglia, uno sbarramento piazzato intorno al 45 per cento, in modo che Pdl e Lega da soli non ce la facciano a conquistare il premio, infischiandosene di tutti gli altri. Cos'altro trasmette il tam-tam di queste ore? Si dà per certo che Berlusconi vorrebbe una soglia più bassa, non del 45 ma del 40 per cento, anzi meglio ancora del 35, superata la quale scatterebbe il famoso premio. E vista in quest'ottica non sarebbe una trattativa così impossibile poiché sui numeri ci si intende, come sempre avviene nei suk o nel commercio dei cammelli; molto più difficile invece è accordarsi sulle poltrone, in quanto si dà per scontato che da cosa nascerebbe cosa, una volta gettate le basi di un nuovo patto per la legislatura a quel punto l'intero governo andrebbe ristrutturato, con Berlusconi inamovibile a Palazzo Chigi ma gran girandola di ministri i quali (quelli in carica) sono preoccupatissimi, già circolano foglietti con nuovi organigrammi tipo via questo e via quello, agli Esteri ci mettiamo Casini mentre Frattini lo spediamo al partito dove farebbe il coordinatore unico Pdl, Matteoli a casa e al suo posto un finiano...

Questo è quanto circola nel Palazzo. Resta da capire che cosa ci sia di autentico, di credibile. Fonti bene addentro la mettono giù così: non è tutta invenzione, ma nemmeno bisogna prendere le chiacchiere come oro colato. Parlare di trattativa con tutti i crismi sarebbe eccessivo; c'è «qualcuno che si vede in questi giorni con qualcun altro», e naturalmente «si scambiano delle idee sui potenziali scenari». Risultati concreti al momento non ve ne sono. Personaggi molto autorevoli dubitano che possano mai arrivare. Però Fini ha una sua convenienza, e Berlusconi pure. Il primo tiene buone le sue «colombe» (sono 4 o 5) mostrandosi laicamente aperto a eventuali sviluppi; il secondo, idem. Siamo insomma nel regno dei giochi tattici, e chissà quanti ne vedremo di qui al 14, giorno del giudizio.

Chi davvero si muove nella penombra, e non fa parlare di sé, sono i protagonisti del «calciomercato», il tira-e-molla per convincere un pugno di deputati incerti. Il Cavaliere resta convinto che, se riuscisse a ottenere la fiducia in entrambi i rami del Parlamento, anche per un voto soltanto, avrebbe il coltello dalla parte del manico. Casomai non dovesse farcela, la sua posizione (confida un gerarca) «si guasterebbe assai». Da tener d'occhio dunque la pattuglia di deputati liberal-democratici e autonomisti. E' su di loro che si stanno consumando i giochi. Quelli veri.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378324/
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« Risposta #109 inserito:: Dicembre 05, 2010, 12:26:16 am »

Politica

04/12/2010 - GOVERNO L'EX MAGGIORANZA IN TILT

"Evitare la conta". Letta in campo per uscire dalla crisi

Il sottosegretario cerca una mediazione in vista della fiducia ma anche nel Fli c'è chi teme di diventare subalterno all'Udc

UGO MAGRI

ROMA

Arriva liberatorio il gong della domenica che permetterà ai pugili di tirare il fiato e, forse, di riordinare le idee. Tanto Berlusconi quanto Fini sono provati, l'ultimo scambio di colpi ha il sapore della scazzottata più che di un match per il titolo dei massimi. Nessuno dei due trova il colpo del kappaò, anzi più minacciano sfracelli e più nascondono la propria debolezza. Lo sanno? Certo che lo sanno. E a questo barlume di consapevolezza si aggrappano quanti (cominciando da Gianni Letta) le proveranno tutte nelle prossime ore, testardamente, per scongiurare che il voto di fiducia del 14 dicembre si trasformi nella rissa finale davanti agli occhi di un Paese allibito.

Il Cavaliere non è saldo sulle gambe, anzi si regge a malapena. Per quante cortine fumogene sparga il fidatissimo Verdini, una maggioranza alla Camera lui non ce l'ha. A fronte dei famosi 317 di Bocchino, le sue truppe per ora si fermano sulla soglia dei 310 deputati. Berlusconi ne deve «pescare» perlomeno 4 tra le fila dell'opposizione. Ci aveva già provato senza successo a fine settembre, non si capisce perché dovrebbe farcela adesso. Il capogruppo Pdl Gasparri, che osserva gli spostamenti di truppe dalla roccaforte di Palazzo Madama, esorta alla calma: «Il Parlamento è molto più complicato di come lo fate voi giornalisti», ammonisce, «ci sono vaste zone grigie, gente che viene e non viene, calcoli di natura personale... E i nomi di quelli in bilico li scoprirete all'ultimo». Ma, per l'appunto, di sorpresa si tratterebbe. A bocce ferme, Silvio se ne va a casa. Per non dire che «Wikileaks» continua a penzolargli sul capo come una lama affilata: è opinione corrente nell'entourage che, purtroppo per lui, l'onda delle rivelazioni non sia finita qui.

Però nemmeno Fini se la passa bene. Perché, tornando sui numeri, gli mancano quelli del Senato. A esorcizzare la prospettiva di elezioni non serve strattonare Napolitano che dovrà muoversi (in caso di crisi) lungo i binari fissati dalla Costituzione. E se una maggioranza alternativa non si materializza in fretta, Fini rischia di farsi risucchiare suo malgrado nell'orbita elettorale di Casini, che del Centro è il leader. Col risultato che, da co-fondatore del primo partito italiano, il presidente della Camera dovrebbe accontentarsi di fare da numero due del Terzo Polo. Politicamente parlando, lo stuzzica Osvaldo Napoli, «nulla di cui potersi pavoneggiare».

Non a caso il leader futurista voleva tenersi le mani libere fino all'ultimo, anzi aveva accettato la proposta del capogruppo Pdl Cicchitto («colomba» dai modi burberi) di sospendere i lavori della Camera fino al giorno 13: una tregua non dichiarata per consentire agli ambasciatori di fare la spola. Sennonché Pierfurby (cioè Casini) gli ha tagliato la via annunciando la mozione di sfiducia Udc, e costringendo dunque Fini a fare altrettanto. Con l'inevitabile reazione di Berlusconi, che molti più aggettivi avrebbe speso se non avesse letto davanti alle telecamere un testo limato dai suoi consiglieri e previo colloquio con Letta.

Proprio Letta, nonostante le carte americane che gli complicano i rapporti col Cavaliere, non si rassegna a un esito apocalittico. Se c'è un filo da tessere, si può star certi che lo farà poiché la situazione finanziaria è troppo grave (non solo nel suo giudizio) per affidare la soluzione della crisi politica a una conta irrazionale, dove determinanti potrebbero risultare alla fine certe assenze dettate da calcoli individuali: «un'assoluta follia», riferisce il pensiero di Letta chi ha modo di sentirlo. La sua speranza è fermare il conto alla rovescia, impiegare i giorni che restano per intavolare una trattativa su cui, dietro le quinte, si continua a ragionare, molto seriamente. E non arrivare nemmeno al voto di fiducia del 14 perché «la soluzione va trovata prima»: dopo, è la tesi del Mediatore, sarebbe troppo tardi per sottrarre l'Italia dalle grinfie della speculazione internazionale.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378614/
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« Risposta #110 inserito:: Dicembre 05, 2010, 03:44:51 pm »

05/12/2010 - RETROSCENA

"Ghe pensi mi" L'ultima trattativa del Cavaliere

Febbrili contatti per «conquistare» una maggioranza

UGO MAGRI

ROMA

Dunque pare confermato: i numeri per tenere in vita il governo al momento non ci sono. Quanti sostenevano il contrario come un dogma incontestabile ora si mostrano più prudenti. Al massimo sperano, confidano, formulano l'auspicio che i voti mancanti saltino fuori di qui al giorno della fiducia... Il primo a non fidarsi affatto risulta proprio Berlusconi. Con l'atteggiamento di chi «adesso me ne occupo io perché altrimenti finisce male», il Cavaliere ha avocato a sé tutti i contatti con quei deputati di opposizione che martedì 14 dicembre, gli hanno suggerito Verdini e la Santanché, potrebbero saltare il fosso. Tra l'altro con il primo dei due Berlusconi è imbufalito assai per quel «ce ne freghiamo» riferito a Napolitano, offeso sul piano personale. Non c'era momento meno indicato per indisporre l'arbitro della crisi: quello ti fischia contro un rigore e tu te ne vai a casa. Berlusconi non ama l'uomo del Colle, però lo teme, e perfino a lui l'uscita di Verdini è sembrata un fuor d'opera. Dunque, siamo adesso al «ghe pensi mi».

Weekend di contatti che nell'entourage certe gole profonde confermano e di certo Silvio negherà, poiché ufficialmente lui non si abbassa a corteggiare i «peones» e in effetti sono faccende vischiose (due mesi fa Razzi, deputato Idv, sostenne che qualcuno aveva promesso di pagargli il mutuo di casa se avesse cambiato sponda). Berlusconi si attaccherà personalmente al telefono, come già fece per Ruby con il questore di Milano, perché qui c'è da decidere in fretta: un conto è se lui può sperare di farcela, altra cosa sarebbe se dai sondaggi il destino risultasse segnato, e lui stesso lo toccasse con mano. Nel qual caso prenderebbe forza il partito di quanti, nel Pdl, scongiurano il Cavaliere di trattare un armistizio prima del patatrac. E' un partito che lievita di ora in ora e si richiama alla saggio mandarino cinese, Gianni Letta. Che cosa sostengono queste «colombe»? Non certo di sostituire il premier con Tremonti oppure con Letta medesimo (sebbene qualcuno in cuor suo ne sarebbe lieto). Berlusconi deve restare premier.

Su tutto il resto si può intavolare qualche ragionamento. Fini chiede una nuova agenda economica, di riscrivere la legge elettorale, ovviamente di mettere mano alla struttura del governo per far posto ai centristi Udc. La controproposta dovrebbe essere, secondo i fautori del negoziato: parliamone e vediamo. I conti pubblici non consentono margini di manovra, figurarsi come reagirebbe Tremonti! Però qualche forma di patto sociale potrebbe risultare di aiuto, e comunque darebbe una soddisfazione d'immagine ai futuristi. Quanto alla legge elettorale, cambiare il «Porcellum» non è tabù, una cautissima disponibilità viene manifestata da Cicchitto, che mai parla a vanvera. Tutto sta a capirsi: Berlusconi forse accetterebbe di mettere un tetto al premio di maggioranza, purché questo scatti quando una coalizione supera il 35 per cento, al massimo il 40, non certo il 45 che chiede Fini. Perché in quel caso sarebbe scoperto il disegno di stravolgere il bipolarismo a danno dell'asse tra Pdl e Lega. Ma l'ostacolo più serio alla trattativa è rappresentato dal rimpasto. Ristrutturare il governo onde far posto all'Udc vorrebbe dire, per Berlusconi, rimettere mano agli equilibri del suo partito.

Dove si scatenerebbe l'inferno. La componente ex-An verrebbe penalizzata, tra La Russa e Matteoli uno dei due dovrebbe lasciare necessariamente il governo, e non sarebbe un addio indolore. Chi tra i ministri teme di trovarsi a piedi grida, all'unisono col premier: o la fiducia o le elezioni. Per cui, contrapposto al fronte trattativista, si va coagulando l'esercito «guerrafondaio». Che ieri ha messo a segno un punto per merito di Rotondi: l'area post-dc rappresenta in Senato una decina di voti, sufficienti a impedire «qualunque governo di centrodestra che non abbia come premier Berlusconi». Il quale, inutile dire, benedice l'iniziativa.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378683/
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« Risposta #111 inserito:: Dicembre 06, 2010, 09:19:09 am »

Politica

06/12/2010 - INTERVISTA

Ma Cicchitto apre uno spiraglio "Cambiamo la legge elettorale"

Messaggio a Fli e Udc: altro che passo indietro, serve un Berlusconi-bis

UGO MAGRI

ROMA

Nella ornitologia del Pdl, di cui lei Cicchitto è presidente dei deputati, dobbiamo considerarla «falco» oppure «colomba»?
«Né l'una né l'altra cosa. Io mi iscrivo alla vecchia scuola del realismo politico».

Le sembra realistica una tregua in extremis tra quei due, Berlusconi e Fini?
«Difficilissima, non impossibile. Ma a condizioni molto diverse da quelle che indicano i terzopolisti».

Chi sarebbero i terzopolisti?
«Fini e Casini. I quali, ritenendosi furbissimi, si sono cacciati in un vicolo cieco».

Quale vicolo? Ci faccia capire.
«Fini aveva detto che il 13 dicembre avrebbe deciso se presentare o no una mozione di sfiducia. Invece, d'accordo con Casini, ha bruciato i tempi e l'ha presentata di corsa».

Che cambia, mi scusi? A chi non vive la politica sembrano tutti dettagli procedurali per addetti ai lavori.
«Anticipare i tempi implica una scelta netta di rottura, e anche un cambio di collocazione politica e anche di alleati. Nel senso che la loro mozione sarà votata anche da Pd e Idv. Per chi viene dalla storia della destra, ed è stato eletto nelle liste su cui era scritto Berlusconi presidente, un bel salto nel buio. Se io fossi in loro mi augurerei che Berlusconi ce la facesse ugualmente, magari di strettissima misura».

Lei non vorrà scherzare. Machiavellici fino a tal punto?
«Sì, perché altrimenti andremmo diritti a elezioni anticipate».

Anziché le elezioni, potrebbe nascere un governo tecnico...
«Ma via! Sarebbe tecnico solo con una presenza di Pdl e Lega. Invece senza di noi diventerebbe politico e a elevato livello di provocazione, che qualunque persona dotata di equilibrio si guarderebbe bene dallo sponsorizzare. Lei s'immagini che cosa scatenerebbe nel Paese un eventuale governo Fini-D'Alema, con l'intermediazione di Casini...».

Però qui nessuno sta parlando di governo Fini-D'Alema.
«Appunto. Dopo aver coperto Berlusconi di contumelie, i terzopolisti gli chiedono adesso non una ma due cortesie. Di togliere spontaneamente il disturbo prima del dibattito in Parlamento. E di dar vita a un governo presieduto, per non far nomi, da Letta, o da Tremonti, o da Alfano».

Quindi Silvio si fa da parte e al suo posto va uno dei tre...
«Non funziona. Il vero obiettivo sarebbe, con tutta chiarezza, quello di far fuori Berlusconi. E nel Pdl non si presterebbe nessuno».

Quindi l'unica alternativa alle urne rimane un Berlusconi-bis...
«Il governo Berlusconi, che faccia due passi avanti, altro che passo indietro. Il primo sull'economia, visto che qui la situazione peggiora: si potrebbe recepire quel tanto di convergenza che è stata realizzata da Confindustria e sindacati, cercando di coniugare insieme rigore e crescita. In questo senso si sono già mossi Berlusconi, Fitto e Tremonti con il Piano per il Sud».

L'altro passo?
«Riprendere il filo delle riforme istituzionali. Superare il bicameralismo, più poteri al premier, meno parlamentari. Il tutto collegato a un'eventuale riflessione sulla legge elettorale».

Quindi lei conferma che, pur di far pace, il sistema di voto non sarebbe più un tabù...
«Il punto discriminante è mantenere il premio di maggioranza. Perché significa bipolarismo e significa anche possibilità per i cittadini di scegliersi il premier. Ma viste come sono messe le cose, Fini e Casini sarebbero disposti a rinunciare al loro attuale antiberlusconismo?».

Già. E Berlusconi con tutto questo sarebbe d'accordo?
«E' chiaramente una domanda che dovreste rivolgere a lui. Ma prima devono rispondere quegli altri due».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/378784/
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« Risposta #112 inserito:: Dicembre 10, 2010, 07:19:29 pm »

09/12/2010 - RETROSCENA

I finiani trattano e il Terzo Polo rischia già nella culla

Intanto il premier incassa oggi una visita da Bertone

UGO MAGRI

ROMA
Bocchino è un combattente, dal suo leader ha ricevuto la consegna del silenzio. Quindi neppure sotto tortura ammetterebbe l’incontro dell’altro ieri col Cavaliere, quando nulla è stato deciso; eppure già il fatto stesso che abbiano parlamentato mette a nudo la debolezza di entrambi, ma particolarmente di Fini, l’estrema difficoltà di un passaggio che martedì prossimo lo spingerà per sempre fuori del centrodestra (se gli ex-camerati del Fli voteranno la sfiducia al governo insieme con gli ex-compagni del Pci) o per sempre con Berlusconi (se perderanno l’occasione di mandarlo a casa). Si affacciano in queste ore formule equivoche tipo «appoggio esterno» del Fli al governo, che erano tipiche della Prima Repubblica, anzi della sua fase ultima e decadente: sono indice a loro volta del dramma finiano, testimoniano il tentativo faticoso di sottrarsi alla scelta inventando in extremis una terza via provvisoria...

A leggere sui giornali dell’incontro «segreto», Casini non è rimasto contento. Chi parla con Rao, il più sveglio fra i suoi interpreti, percepisce un freddo distacco, «i conti si faranno il 14 in Parlamento, adesso è presto per tirare le somme», calma e sangue freddo. Se Fini confermerà l’intenzione di rompere con Berlusconi, il Terzo Polo rimarrà per i centristi un progetto da costruire insieme. Qualora viceversa i «futuristi» tornassero all’ovile con la coda tra le gambe, beh, mai più contare su di loro poiché un «tradimento» (quello del 2008, quando Casini fu espulso dal centrodestra con l’okay di Fini) può essere perdonato, ma due sarebbero troppi pure per un cattolico abituato a porgere l’altra guancia. A proposito: pur di dare una mano a Gianfranco, Pier ha disatteso le indicazioni ecclesiastiche, in special modo quelle del cardinale Ruini, pagando insomma un prezzo alla sua lealtà politica. Guarda combinazione, proprio oggi all’ora di pranzo il Cavaliere incontrerà il Segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, il quale gli presenterà dieci nuovi porporati di fresca nomina: un segno molto netto della benevolenza papale.

Dunque, il Terzo polo rischia la morte prima ancora di nascere. Per Fini, equivarrebbe a perdere l’ultimo treno per la fuga da Berlusconia. Balzarci sopra, tuttavia, implica il rischio di cadere tra i binari. Cresce la sensazione che Silvio possa farcela comunque, per un pugno di voti alla Camera e molti di più in Senato. Oggi è annunciato l’«outing» di tre, quattro, forse cinque deputati di opposizione che annuncerebbero in conferenza stampa l’appoggio al governo. Secondo una voce insistente, Berlusconi potrebbe pescare un deputato addirittura nelle file del partito democratico. Nel qual caso la conta girerebbe a favore del premier. Rendendo generosa ma vana (come per i Seicento di Balaklava) la carica dei finiani.

Già, perché un pugno di deputati futuristi, più l’intero gruppo o quasi dei senatori, avevano sottoscritto la mozione di sfiducia al governo sul presupposto che mai l’avrebbero votata in quanto Berlusconi si sarebbe dimesso prima del 14, aprendo la «fase nuova» chiesta da Fini. Sennonché il Cavaliere non molla di un’unghia, su tutto il resto transige tranne che su se stesso, a dimettersi non ci pensa nemmeno, specie ora che la compravendita genera profitti: e questo l’altro ieri comunicò a Bocchino. L’ultima chance di crisi pilotata con reincarico (entro 72 ore, si sbilancia a immaginare il capogruppo Fli, usurpando secondo Napoli le prerogative del Quirinale) è svanita con l’intervista di Fini l’altra sera a «Ballarò»: «Visto?», pare abbia gridato Berlusconi, «appena io accettassi di dimettermi quello mi darebbe il colpo di grazia, altro che reincarico».

Il risultato? Le «colombe» finiane non vogliono sacrificarsi inutilmente, se trattativa dev’esserci vogliono condurla loro. Ecco dunque Moffa alzare la testa, contraddire Fini, annunciare che il premier non deve per forza dimettersi. Plaude dalla sponda berlusconiana Augello, si compiace Gasparri, e a sera il meteorologo Bonaiuti dirama il suo bollettino: «Venti forti di bonaccia, ma la situazione permane altamente variabile».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/379193/
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« Risposta #113 inserito:: Dicembre 16, 2010, 03:49:29 pm »

Politica

16/12/2010 - LA GIORNATA

Siglato il patto Casini-Fini-Rutelli

Nasce subito il Polo della Nazione

Via al coordinamento di oltre cento parlamentari delusi.

Scontro Bondi-presidente della Camera sulla sfiducia

UGO MAGRI

ROMA
Si annuncia un mesetto tranquillo perché chi ha avuto ha avuto, e adesso tutti debbono molto riflettere. Berlusconi si dedicherà allo shopping (non quello natalizio) che buoni frutti gli ha già dato, però non basta a governare l’Italia. L’opposizione profitterà della pausa per darsi una strategia in vista di elezioni sempre dietro l’angolo. E il «terzo polo» muoverà i primi passi lungo la strada che addita Casini, leader sul campo di questo nuovo soggetto politico: nessuna resa al Cavaliere, sono le sue direttive, ma basta per ora scontri all’arma bianca con le truppe berlusconiane. Difatti l’esame alla Camera del decreto «munnezza», su cui erano annunciati sfracelli, per ora fila via liscio. Il governo ha ceduto a qualche richiesta, su altre si è impuntato senza farsi battere, oggi la controprova.

Fini in sordina Dopo mesi, non è al centro del ring. Ha provato a trascinarcelo di forza Bondi con una lettera al Capo dello Stato, ma il presidente della Camera ha risposto con una nota del portavoce Alfano: falso che la sfiducia a Bondi sia stata messa all’ordine dei lavori per ritorsione, trattavasi di decisione già presa da tempo. Fini incassa con dignità le ironie del premier che fa il gradasso (Gianfranco «dice che non ho vinto? Ognuno si consola come può... Dovrebbe dimettersi da presidente della Camera? La scelta attiene alla sua dignità»), e compie un atto di realismo accettando che al volante si metta l’amico Pier Ferdinando. Il quale non ci pensa due volte. Lo slalom di Casini Promuove una riunione urgente dei terzopolisti, che nel pomeriggio si infilano all’Hotel Minerva: da Fini a Rutelli, dai liberal-democratici ai repubblicani, dagli autonomisti di Lombardo al battitore libero Guzzanti. Pomposamente qualcuno declama la nuova ragione sociale, «Polo della Nazione» pare vorrà chiamarsi, ma non è questo il punto.

Casini vuole dare piuttosto un’immagine di compattezza poiché, spiega il colto Buttiglione citando Franklin, «o stiamo tutti insieme o ci impiccano uno per uno». Uniti anzitutto per far passare la nottata, col Cavaliere-vampiro a caccia di deputati. E poi per mettere tra parentesi gli eccessi di futurismo, di improvvisazione, di violenza verbale. Di rientrare nel governo non se ne parla, a ritornare sotto padrone nessuno ci pensa; tuttavia bisogna fare i conti con la Chiesa, dove eminenti porporati sollecitano prudenza. Il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, segnala come «ripetutamente» gli italiani si siano espressi «con un desiderio di governabilità» cui corrispondere da parte di tutti. E pure se non fossero i vescovi a pretendere prudenza, Casini stesso la praticherebbe perché nuove elezioni restituirebbero il pallino al Cavaliere, meglio andarci piano con gli assalti frontali: se falliscono è un male, ma se riescono è perfino peggio... Insomma, la parola magica è «responsabilità». I terzopolisti sono «pronti a confrontarsi su provvedimenti che siano nell’interesse generale».

Impegno collettivo a evitare la Babele, prima si concorda la linea poi la si comunica: perfino nelle invettive al premier i «futuristi», d’ora in avanti, dovranno darsi una regola. Silvio prende fiato E si pavoneggia in Europa, dove sbarca oggi per il Consiglio europeo sbandierando il «Financial Times» che celebra il suo successo. Ammette di averla scampata bella: «Abbiamo sconfitto una manovra di Palazzo», anzi «il ribaltone». E adesso? «Allargherò la maggioranza. No, non all’Udc ma a singoli parlamentari che militano in partiti di cui non condividono la linea. Abbiamo diversi posti liberi nel governo», annuncia senza complessi il premier, «e già in diversi mi hanno offerto la loro collaborazione...». Sarà vero? Parrebbe di sì, che in effetti il rischio del Cavaliere sia di imbarcare troppa gente, compresa quella sbagliata, capace solo di creargli guai.

«Lasciamo sedimentare questa vittoria», consiglia prudenza Quagliariello. Ma Berlusconi vuol battere il ferro, finché scotta.Scontro verbale a Strasburgo tra le europarlamentari Sonia Alfano (Idv) e Licia Ronzulli (Pdl). E così succede che anche all’Europarlamento sbarchi la parola «vajassa», termine tipicamente partenopeo, già sdoganato dal ministro Carfagna. È in corso la riunione plenaria e l’esponente del partito di Di Pietro prende la parola in dichiarazione di voto. E ai colleghi europei riferisce che ieri in Italia è stata «festeggiata la prima giornata della legalizzazione della corruzione» dopo che «il corruttore Berlusconi» aveva comprato il voto di alcuni parlamentari. Alfano cita anche i casi Mills e Mondadori e fa riferimento alle «costanti violazioni della Carta da parte del governo italiano», riferendosi «all’accordo Italia-Libia» e alla «legge bavaglio».

A quel punto Licia Ronzulli tenta di interromperla, dandole sulla voce, chiedendole di tacere, di «non raccontare falsità e di non usare le dichiarazioni di voto per raccontare menzogne al Parlamento europeo». Ed è allora che l’esponete Idv dice: «Ci sono vajasse anche al Parlamento europeo» e si rivolge al presidente di turno che ammonisce la Ronzulli e chiede di far concludere l’intervento. Botta e risposta in aula, poi in un comunicato Sonia Alfano definirà «inqualificabile» il comportamento della Ronzulli, e la accuserà di averla minacciata in quanto avrebbe detto «ti spacco la faccia».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/380166/
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« Risposta #114 inserito:: Dicembre 30, 2010, 08:56:22 pm »

Politica

30/12/2010 - IL CASO

Berlusconi: il governo continuerà «Tra i parlamentari finiani c'è un grande disagio, molti torneranno da noi»

UGO MAGRI

ROMA
E’ come se Bossi non avesse aperto bocca: il Cavaliere galoppa per la sua strada senza nemmeno fermarsi ad ascoltare l’ultimo scudiero fedele. Si collega per telefono a una manifestazione Pdl a San Vitaliano, praticamente Napoli, e ripete parola per parola il «numero» della conferenza di fine anno, quando in diretta tivù aveva sostenuto che la «munnezza» è ancora in strada perché qualche comunista gli rema contro, che la truppa finiana si va sfaldando giorno dopo giorno, che l’Italia non potrebbe desiderare un governo migliore del suo.

E la «palude romana» di cui parla Bossi addirittura quale mandante delle bombe a Gemonio? E l’allarme della Lega per i numeri che non ci sono, chi approverà le riforme in Parlamento? Berlusconi gira la testa dall’altra parte. Fa appello all’ottimismo anche perché i pessimisti, sostiene, non combinano niente di buono. Guarda nella sfera di cristallo, il nostro premier, e vede un 2011 ricco di soddisfazioni. Anzi, pure il 2012 e il 2013 si annunciano promettenti: «Abbiamo lavorato bene e credo che il governo potrà lavorare altrettanto bene fino al termine della legislatura».

Sull’emergenza rifiuti garantisce che scenderà in campo personalmente «per risolvere il problema in pochi mesi» (mentre lui ne parla al telefono da Arcore, a Palazzo Chigi c’è Letta che cerca di inventarsi una soluzione). Resta da sistemare la faccenda dei 3 voti di maggioranza, che alla Camera (riconosce Berlusconi) non sono affatto sufficienti. Però insiste che «diversi parlamentari di Fini si trovano in una condizione di assoluto disagio. Sono saliti su un convoglio che va verso sinistra, un po’ come prendere un treno per Parigi e ritrovarsi a Istanbul, per cui tra loro c’è una certa delusione». Spera di riportarne qualcuno all’ovile, e non ne fa troppo mistero, «molti torneranno nel Pdl».

Quanti? Lo scopriremo a metà gennaio. Per ingannare il tempo, tra i pochi colonnelli berlusconiani rimasti su piazza si favoleggia sul ritorno di Casini, che al momento se ne sta sotto una palma delle Maldive, in veste di soccorritore. Nessuno si illude più che l’astuto Pier voglia entrare nel governo di Berlusconi: la nuova vulgata è che, per non deludere i Sacri Palazzi vaticani, il leader Udc acconcerebbe il partito a un appoggio esterno. In pratica i centristi voterebbero tutte le leggi più importanti, limitandosi a bastonare qualche provvedimento di minor conto.

Si citano a sostegno certe dichiarazioni di Cesa e del professor Buttiglione, i quali lasciano aperto l’uscio in cambio di leggi per la famiglia. Sennonché quelle leggi costano. Giusto ieri Tremonti (che al pari di Bossi guarda con diffidenza ai maneggi politici della Capitale) ha spedito una lunghissima circolare ai ministri per rammentare che lo Stato è povero, per cui nessuno avanzi strane richieste, anzi se possibile bisognerebbe tirare la cinghia di più... Allarga le braccia desolato Gasparri, capogruppo Pdl a Palazzo Madama, che pure sarebbe con Alfano, Cicchitto e Quagliariello tra i più convinti fautori della mano tesa a Casini: «Le esigenze politiche sono chiare, poi ci sono i vincoli europei».

In pratica, non ci sono soldi. Da segnalare lo strano caso del sondaggio su Bondi. «Dovrebbe dimettersi da ministro?», era il quesito apparso sui siti dei Club della libertà che fanno capo a Valducci. Dopo poche ore trionfavano i sì. Poi dev’essere successo qualcosa, perché la bilancia s’è piegata d’improvviso dall’altra parte, e Bondi vince col 75 per cento. Ma scoprire che il 25 per cento dei «berluscones» lo dimetterebbe volentieri è già una notizia.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/381818/
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« Risposta #115 inserito:: Gennaio 12, 2011, 06:45:59 pm »

Politica

08/01/2011 - UNITA' D'ITALIA, GRANDI ASSENZE

Berlusconi e i ministri restano a casa

L’esecutivo era rappresentato dall’onnipresente Gianni Letta

UGO MAGRI

ROMA
Con il governo appeso a tre voti, figurarsi se Berlusconi farà il gesto ardito di contrariare Bossi, sgomitando per mostrarsi in prima fila alle celebrazioni dell’Unità d’Italia. E difatti ieri, a Reggio Emilia, il Cavaliere s’è ben guardato perfino dall’inviare un messaggio, una lettera, una delegazione in sua vece. A parte l’onnipresente Letta, che incarna il galateo della Repubblica, è come se i ministri si fossero passati la voce: meglio snobbare l’evento. Alla festa del Tricolore non se ne è vista traccia. Alcuni ministri in privato si giustificano, «l’invito del Quirinale era di routine, nessuno ha fatto sapere che Napolitano ci teneva», quasi che fosse necessaria una speciale supplica del Colle. Tutte scuse, rispondono da lassù. Il vero nodo politico del Centocinquantenario che non decolla sta nella Lega. Sempre più padrona del campo, padrona anche delle idee.

Ma c’è dell’altro che motiva il disinteresse del premier, perennemente distratto quando Bondi e La Russa (con quel pizzetto risorgimentale che molto richiama Bixio) hanno posto il problema, mesi fa persino in Consiglio dei ministri, però con scarso successo. La prima spiegazione suggerita dai consiglieri del Principe è quasi antropologica. Berlusconi, imprenditore brianzolo votato al «fare», aborre l’«ipocrisia» delle ricorrenze poiché ritiene che rimboccarsi le maniche giovi all’unità d’Italia più di mille pompose orazioni. Completano il pensiero i soliti detrattori, segnalando che forse è meglio così, perché mai Silvio si è appassionato di storia patria. E quando ha ritenuto di cimentarsi (con l’eccezione del discorso alto e nobile il 25 aprile 2009), dalla sua bocca sono usciti simpatici lapsus tipo «Romolo e Remolo», oppure gaffes involontarie sul papà dei sette fratelli Cervi, che lui sarebbe andato volentieri a trovare se non fosse morto 30 anni prima come ben sa Napolitano, il quale ieri ha reso visita alla casa-museo.

Non deve fare scandalo. La ricca bibliografia sul Cavaliere concorda che il segreto della sua leadership sta proprio nel «pensiero debole». Berlusconi guarda ostentatamente avanti, e considera il passato come un fardello, una malinconia. Infine c’è l’ultima spiegazione, che riporta alla battaglia politica e al complicato ménage con Bossi: il nostro premier ritiene che la maniera più stolta per frenare la Lega è quella di farci a zuccate. La tattica più astuta consiste viceversa nell’ignorarne le «mattane», specie quando evocano Roma Ladrona, il separatismo e, dio non voglia, i fucili. Come con i pargoli maleducati, «bisogna far finta di nulla». E’ un precetto che i gerarchi berlusconiani confessano di avere sorbito decine di volte: «Più noi ribattiamo a Bossi, più facciamo il suo gioco». Sulle celebrazioni del Centocinquantenario, che s’intrecciano pericolosamente con l’ultimo miglio del federalismo fiscale, il Cavaliere ha deciso: la Lega dica quello che vuole, «noi non reagiremo».

Non risulta che si sia speso per allargare il budget delle manifestazioni pubbliche. Solo l’impegno di La Russa e Bonaiuti ha permesso di mandare in onda uno spot targato presidenza del Consiglio. Nè pare che Berlusconi abbia insistito con Bossi perché intervenga personalmente a qualche evento celebrativo, se non altro per far contento «il vecchio del Colle». E d’altra parte, osserva un consigliere accorto come Quagliariello, «tutto sommato la Lega sta dimostrando una capacità di tenuta, come forza di governo, che molti mai avrebbero sospettato. Bossi contribuisce a tenere unito il Paese in una fase difficile. Pensiamo da dove arriva, e quanta strada ha fatto, prima di pretendere che intoni l’Inno di Mameli...».

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/382788/
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« Risposta #116 inserito:: Gennaio 17, 2011, 10:03:57 pm »

Politica

17/01/2011 - IL RETROSCENA

Il premier alla battaglia finale. E spunta l'ipotesi dimissioni

Potrebbe lasciare ed evitare il voto indicando un successore appoggiato dall'Udc di Casini

UGO MAGRI

ROMA

Il mondo berlusconiano è in preda al panico. Pochi sanno che cosa c’è davvero nelle 400 pagine inviate dai magistrati alla Camera, ma chi vi ha dato uno sguardo non trova parole per raccontare.

Lo stesso premier ha trascorso l’altra notte sfogliando le carte e ne è rimasto «profondamente sconvolto». Per il linguaggio crudo, da fare arrossire qualche scaricatore di porto, con cui le ragazze intercettate descrivono i festini di Arcore. E per i giudizi spietati, gonfi di sprezzo, che mandano in briciole il suo ego, che trasformano il Cavaliere umanamente in un mostro.

A questo punto l’aspetto penale verrà dopo. Non per nulla gli avvocati Longo e Ghedini nemmeno sanno dire così, su due piedi, se il loro cliente dovrà appellarsi a qualche cavillo legale per schivare le domande della più terribile tra le inquisitrici, Ilda Boccassini. Prima della difesa legale, per Berlusconi viene quella urgente, urlata, disperata, della propria dignità di politico, di imprenditore, di padre e di nonno. Da domani sapremo quali orrendi segreti stanno nel plico su cui, ironia del destino, metterà la sua firma Fini da presidente della Camera. Ma soprattutto misureremo le reazioni collettive di indifferenza o di sdegno, e dunque le chances del Cavaliere di sopravvivere come in altri frangenti gli era miracolosamente riuscito.

Una parte dei suoi ci crede ancora. Da Micciché alla Gelmini, da Bondi a Sacconi, da Cicchitto a Frattini, tutti si dichiarano pronti a immolarsi nell’ultima resistenza. Lo seguirebbero perfino all’inferno. Eppure, proprio nella guardia scelta berlusconiana si diffonde la sensazione di una battaglia inutile, senza speranza, senza la minima prospettiva strategica. Perché nessuno crede seriamente che basteranno trovate mediatiche come quella di ieri, l’annuncio nel videomessaggio dell’anima gemella, per arginare una marea di fango. In altri momento sarebbe stato tutto un darsi di gomito, «hai visto Silvio che grande genio della comunicazione? Ha già fatto passare in secondo piano l’inchiesta»; ora invece solo sorrisi a denti stretti, e dubbi («cosa dici, funzionerà?») oppure sarcasmi velati («ma questa donna esiste davvero?»). Tra i collaboratori più intimi del premier non ce n’è uno, uno soltanto, che possa dire: io la conosco, ne ero al corrente. Se Berlusconi voleva tenere il nome della fortunata al riparo della curiosità (e dei pm), c’è riuscito fin troppobene.

Ma forse l’annuncio è solo un modo per far sapere al mondo: «Ho messo la testa a posto. Tutto quello che leggerete nei prossimi giorni è acqua passata, appartiene al vecchio Silvio che non c’è più, morto e sepolto». E’ la prima linea difensiva. La seconda barricata del premier consiste nel negare in via preventiva, nel contestare ancora prima che diventino pubblici i racconti boccacceschi delle ragazze, nel presentarli come vanterie, fanfaluche, bugie da comari, del resto tante se ne dicono al telefono quando mai si penserebbe di venire ascoltati. La terza trincea del premier sta nell’orgogliosa rivendicazione della sua privacy. A chiunque lo chiami, ripete come un vecchio 33 giri in vinile: «In casa mia io ho il sacrosanto diritto di fare quello che credo, guai se si entra nelle camere da letto, se mi va di fare regali li faccio, nessuno può obbligarmi a perquisire le mie ospiti perché non scattino foto».

Nel passaggio più scabroso della sua quasi ventennale carriera, Berlusconi sfodera perfino con gli amici la solita sfrontata sicurezza. Sostiene che l’indagine su Ruby «fa acqua da tutte le parti, manca la prova per incastrarmi». Salvo precipitare poi nel patetico quando sempre in privato confida: «Solo un uomo terribilmente solo, tutto questo succede perché vivo in questa condizione da cinque anni, ogni tanto anch’io sento il bisogno di una festa, desidero vedere gente... Invitavo quelle ragazze per scambiare un rapporto di affetto, con loro sono stato sempre paterno, a una ho fatto imparare l’inglese, un’altra l’ho fatta assumere a Mediaset...». Mai che abbia pronunciato, finora, la parola fatale: dimissioni. Eppure chi gli circola intorno giura che sta bene al centro dei suoi pensieri. Aleggia come uno spettro nella villa di Arcore.

Qualcuno comincia a parlarne, sottovoce si capisce. Fa testo il giudizio di un ministro tra i massimi, che naturalmente non vuole essere nominato: «Il danno internazionale è insopportabile. Fosse Berlusconi accusato di violazione dell’articolo 2550 del codice civile, all’estero direbbero che è una storia italiana. Ma in questo caso si parla un linguaggio universale, sesso con una prostituta minorenne, lo capiscono anche in Cina. Tentare difese tecniche o andare in tivù è semplicemente ridicolo». Perfino tra i colonnelli più fedeli si va spargendo il dubbio: non sarebbe preferibile un passo indietro ora, subito, prima che tutto precipiti? L’argomento ha una sua forza seduttiva. Rinunciando a Palazzo Chigi, Berlusconi potrebbe contestualmente indicare un successore, quantomeno condizionare pesantemente la scelta di Napolitano. E poi restare dietro le quinte a difendersi dai processi, a tirare i fili della politica con un potere pur sempre smisurato. I vecchi leader democristiani, quelli immarcescibili, loro sì sapevano quando uscire di scena per ritornare al momento giusto.

Tremonti, Alfano, Letta... Nessuno dei tre faticherebbe a trovare appoggi nell’Udc. Specie il primo, sarebbe la migliore garanzia per la Lega. Resistere a oltranza, invece, a che pro? Tra gli strateghi Pdl si fatica a trovare una risposta convinta. Qualcuno (Osvaldo Napoli) scuote la testa: «Qui non si fanno prigionieri, possiamo solo combattere, andrà come dio vuole». Ipiù tacciono, sospirano, fremono e se la cavano con un «aspettiamo di leggere le carte, vediamo che cosa succede». Conun leader «sputtanato» non si può certo correre alle urne, questo risulta chiaro ai gerarchi del Cavaliere. Allora sì che Bossi diventerebbe padrone del Nord... Qualcuno più pessimista si spinge a paventare l’esilio di Bettino nella Tunisia. Anzi, «di questo passo Silvio farà la fine di Ben Ali». La sensazione è che in pochi giorni si consumerà tutto.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/384624/
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« Risposta #117 inserito:: Gennaio 23, 2011, 05:21:11 pm »

Politica

23/01/2011 - IL CASO

Il premier mostra i muscoli ma teme lo smottamento

Nel Pdl c'è un'ampia zona grigia inquieta

UGO MAGRI

ROMA
Vedrai che ce la faccio, vedrai adesso come io ribalto la situazione», insiste Berlusconi con qualche amico preso da scoramento. Convinto che la battaglia sia anzitutto mediatica, il premier alza i decibel ogni giorno di più perché vuole apparire sicuro del fatto suo, ben saldo in sella, consapevole che al minimo cenno di insicurezza reparti interi del suo esercito se la darebbero a gambe.. Aspettiamoci dunque dal premier una dose quotidiana di adrenalina.

Tra la gente il martellamento produce effetti. Non c’è sondaggio svolto dopo l’avviso di garanzia che registri un crollo di consensi del Pdl, anzi. Lo stesso premier perde relativamente poco negli indici di gradimento. Il pronunciamento ecclesiastico potrà forse cambiare qualcosa, sebbene dalle rilevazioni di Euromedia (agli occhi di Berlusconi le uniche attendibili) risulti addirittura come i più disposti al perdono siano proprio i cattolici. Insomma, se si andasse oggi alle urne il Cavaliere conserverebbe buone chance di vittoria.

Qualche analista arriva a scommettere che nemmeno una condanna in primo grado sovvertirebbe il pronostico. Però domani potrebbe sempre accadere qualcosa capace di mutare gli umori collettivi. Di creare un moto vero di insofferenza verso il premier. Ad esempio, se la Procura milanese mostrasse una prova orribile e al tempo stesso inoppugnabile. Nessuno tra i politici ha la certezza che i pm dispongano dell’arma finale; tuttavia sono veramente pochi quanti si sentono di escluderlo.

Questo è il timore che aleggia su Palazzo Grazioli, sebbene Berlusconi non sia al corrente di slavine imminenti, tantomeno lo sono i suoi avvocati. Ciò determina in Parlamento un clima malsano, di attesa nevrotica che qualcosa faccia pendere il piatto della bilancia. Nel frattempo tutto rimane sospeso. Chi doveva aggiungersi ai «Responsabili», ora se ne guarda bene.
Per cui la maggioranza alla Camera resta 3-4 voti sopra la linea del galleggiamento.

S’immagini con quale ansia il ministro Bondi affronterà da domani il dibattito sulla sfiducia: basta qualche assenza, e lui torna nel partito a tempo pieno. Magari la scampa perché lo scrutinio è palese, tra i «peones» nessuno vuole esporsi. Altrettanto è possibile che governo e Comuni trovino un compromesso onesto sul federalismo fiscale, cosicché le opposizioni farebbero più fatica a mettersi di traverso.

Ma questo senso di incertezza sta creando vaste zone grigie nel partito del premier. Gente che a tutti i livelli non vede una prospettiva chiara, si domanda a cosa serva resistere a oltranza, e saluterebbe con sollievo una crisi se fosse preludio a formule capaci di salvare il salvabile. Un governo tecnico insomma, o guidato da chiunque non sia Berlusconi. Se la posizione giudiziaria del Cavaliere peggiorasse ancora un tantino, ogni votazione a Montecitorio diventerebbe l’occasione buona per lo smottamento finale. Con Bossi arbitro della XVI legislatura.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385496/
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« Risposta #118 inserito:: Gennaio 24, 2011, 10:05:47 pm »

Politica

24/01/2011 - LA STORIA

La commedia umana va in scena ad Arcore

Tra meteorine, cene, video degli incontri internazionali e balli

MATTIA FELTRI

ROMA
Lo schema a trama circolare è previsto e infatti il giorno in cui il Cavalier Silvio Berlusconi, inaugurando un centro commerciale e la sua carriera politica a Casalecchio di Reno, accordò la preferenza a Gianfranco Fini su Francesco Rutelli nella corsa al Campidoglio, Karima El Mahroug, al secolo Ruby Rubacuori, aveva ventidue giorni di vita (un gioco di flashback sosterrebbe efficacemente le tesi dei detrattori). Una passione lolitesca ma, in questo falò delle vanità, bruciano tutte quelle a disposizione nella commedia umana. Guardate per esempio i ruffiani, o concorrenti esterni in meretricio (la presunzione d’innocenza è qui presupposta per tutti).

Ferventi prosseneti
Lele Mora, omosessuale, pressoché maitresse, procura le femmine e le istruisce, consiglia un abitino da infermiera e uno stetoscopio per l’ironico preambolo: anche le trascrizioni sono gravide di entusiasmo (e contrappeso all’imbarazzata eclissi di oggi). Di altra pelle è Nicole Minetti, anche lei ricopriva il ruolo di reclutatrice e di trainer, nelle baldorie di Arcore dava il via alle danze; tiene ancora la testa alta, reclama innocenza e, ai reporter voraci, un po’ di rispetto.

Piuttosto, che figura letteraria è quella di Roberto Formigoni, accusato dai radicali di aver falsificato le firme per mettere la pupa del capo nel listino bloccato? Il listino permette al governatore di trascinarsi in Consiglio regionale i collaboratori fidati. Va bene le firme, ma la domanda vera concerne le competenze minettiane: a quali Formigoni non si sente di rinunciare?

Splendori e miserie
Le ragazze uscendo dalla procura si proteggono con occhiali scuri, sciarpe, veli. Le ragazze, tampinate dal cronista di inflessibilità compiaciuta, fuggono a testa bassa e a colpi di tacco sul selciato, come Enrico Cuccia con quelli di Striscia. Le ragazze scendono dal Suv e contrattaccano, muso alla telecamera e scariche di oscenità. Le ragazze vanno in tv a dire che il vecchio sporcaccione in realtà è come Gandhi (nelleintercettazioni, per Ruby è Gesù).

Le ragazze vanno nel salotto di Alfonso Signorini, che è stato definito il contraltare melodrammatico dei tribunali popolari alla Santoro, dove il rancore è il sentimento dominante e c’è Daniela Santanché che barcolla se le ricordano un suo lontano epitaffio: Berlusconi noi donne ci vuole orizzontali. Sabina Began dice: il bunga bunga sono io.

Il catalogo delle madamine non trascura alcun prototipo. Ci si deve immaginare le donne del Pd toscano in piazza, le donne del Pd ligure in piazza, le donne del Pd davanti a Montecitorio, le donne dell’Idv ovunque. I protagonisti migliori ricompaiono, in prestito da romanzi precedenti. Il fratello di un’amica di Noemi dice: «Non ci siamo fatti corrompere». Patrizia D’Addario dice: «Tante di quelle ragazze erano con me a Palazzo Grazioli». Nadia Macrì esplode di vita nel raccontare ad Annozero come si noleggiò.

Sedotte e sfrattate
Sui cartelli stradali, l’umorista ha camuffato da “r” la “l” e la dimora Olgettina è diventata la dimora Orgettina. Ci abitano quattrodici ragazze delle feste di Villa San Martino. Sono state sfrattate perché gli altri inquilini intendono preservare il decoro dello stabile. A partire da giovedì, otto giorni di tempo per sgombrare. Gli zelanti direttori delle cancellerie hanno sottoscritto lo sfratto nello loro stanze buie. Otto giorni non si danno nemmeno agli occupatori di case. Marysthelle Garcia Polanco ha una bambina e non sa dove andare. C’è una differenza soltanto fra realtà e finzione: la realtà prevede più spesso che l’intransigenza sfumi in proroga.

Buoni, brutti e cattivi
Sollecitati, hanno espresso sconcerto l’Avvenire, Famiglia cristiana, l’università dei focolarini, i frati di Assisi, l’Azione cattolica, i cattolici del Pd. Il parroco di Antrosano, frazione di Avezzano, ha affisso manifesti a lutto per la morte della morale. Un sondaggio attribuisce al Partito du Pilu, di Cetto La Qualunque, subito il 2.3 per cento dei consensi, se si presentasse alla elezioni. In prospettiva, il target sarebbe del nove per cento. Piero Ostellino rivendica il diritto delle donne di vendere il loro corpo («è un principio liberale, non un invito a darla»).

Natalia Aspesi e Marco Travaglio rivendicano il diritto di preferire quelle che si concedono secondo presupposti etici. L’altra domanda è: c’è un diritto a svergognare le prostitute? In questo su e giù, il miglior ruolo in commedia spetta ai padri, ai fratelli - ai congiunti vari delle congressiste carnali - che incitano figlie e sorelle a conquistare spazi nelle disponibilità affettive ed economiche del premier, a darci dentro, a non farsi scavalcare e, sola lacuna in una trama che procede secondo il capriccio del grande scrittore d’appendice, mancano le cere delle madri e dei padri che non sapevano nulla.

E’ stato il maggiordomo
E poi, il colpo di scena. Lele Mora ed Emilio Fede si mettono d’accordo per spillare denari a Berlusconi. L’intercettazione telefonica fa capire che Fede otterrà un milione e due per Mora, che Mora già progetta di non restituirli, e che Fede ne tratterrà 400 mila per onorario. L’abile mossa si accompagna esteticamente ai balletti verdi con berretto e manette della polizia. Qui ci sono i frontalieri di Luino, le belle di Lodi.

Berlusconi beve Sanbitter, vintage anni Ottanta. C’è odore di tinello e Vermouth. Madoff di periferia tessono trame col dottor Vermilione: un po’ Billionaire un po’ Drive In. Nella pensione Vauquer si spettegola ancora. E la neolingua arcoriana, di cui si è parlato, non è una neolingua. Forse nemmeno slang: amo o amo’.

Tutto sommato, considerato il contesto, turpiloquio contenuto. Più del neologismo c’è la sana tradizione fantozziana: «Non sii timida», dice la Minetti all’amica. A completamento, non sbaglia un congiuntivo Giuseppe Spinelli, non dà del tu a nessuno, non fa domande, non fa la cresta, non si allenta la cravatta, paga quel che c’è da pagare.

Il buon partito
Sono fidanzato, ha detto Berlusconi. Alle cene sedeva anche la mia fidanzata, ha aggiunto. Figurarsi se declinavano all’orgia. L’identità della fidanzata è ignota. Si indaga fra veline, coloradine, vitamine, naufraghine e schedine. Sarà autentico finale quando le meteorine cederanno le notti ai lunghi coltelli.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/385610/
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« Risposta #119 inserito:: Gennaio 31, 2011, 06:12:40 pm »

Politica

29/01/2011 - RETROSCENA

Ora il Cavaliere si gioca la carta del rimpasto

Dodici posti vacanti, e anche Bondi potrebbe rientrare nel partito

UGO MAGRI

ROMA
Il grande Gaber che cantava «far finta di essere sani» torna in mente quando si ascoltano i piani di riscossa berlusconiana. Il Cavaliere vuole far credere che nulla è perduto, si procede esattamente com’era deciso allargando la maggioranza, riformando la giustizia, esorcizzando la crisi. I suoi discorsi privati non si scostano di una virgola dagli sfoghi pubblici, l’ultimo ieri col video-messaggio anticipato qualche ora prima in Consiglio dei ministri. Con Berlusconi che intorno al tavolo ovale prende subito la parola e, tra sguardi interdetti, giura: tutto procede al meglio, «abbiamo vinto in Parlamento 7 volte consecutive». Il governo scoppia, ma di salute.

Nessun accenno di autocritica, un vero panzer. «Procede a tutto vapore», tenta di stargli dietro Bonaiuti. E Ruby, come la spiega agli intimi? Anche con loro il Cavaliere sbraita: «E’ tutto un complotto, solo una montatura». Quando l’altra sera un gerarca ha buttato lì che forse la Chiesa meriterebbe qualche cenno di attenzione, magari la promessa di stare più attento in futuro, non l’avesse mai detto! Silvio s’è irrigidito con occhi furenti: «Io non ho nulla da rimproverarmi, le mie cene sono sempre molto eleganti». Nessuno ha insistito più.

Ora ha in mente di cominciare con il rimpasto. I posti vacanti sono 12, alcuni di molto peso: 2 ministri, 3 vice ministri, 7 sottosegretari. Vuole usare le poltrone per acchiappare qualche altro deputato. Però deve procedere con cautela. Se decidesse di assegnare le caselle tutte in una volta, soddisferebbe certi appetiti, senza dubbio, però scatenerebbe l’ira degli esclusi, e ciò non gli conviene. Per cui farà solo qualche nomina, in modo da mostrare che dà le carte e scatenare dunque una specie di riffa per le poltrone rimaste. Già la prossima settimana potrebbe premiare la Destra di Storace con un posto da sottosegretario per Musumeci, cosicché tanti altri aspiranti (lui conosce l’animo umano) non tarderanno a mostrarsi. Nel frattempo forse si chiarirà la sorte di Bondi, che resta dubitoso sul proprio futuro, medita di tornare al partito. Nel qual caso si libererebbe una cadrega in più da mettere all’asta.

C’è chi studia proposte ambiziose, e lui le incoraggia: dal ritorno all’immunità parlamentare, alle primarie obbligatorie per legge (un modo per far scoppiare le contraddizioni nella sinistra, povero Bersani). Altri vellicano gli istinti del Capo suggerendo bagni di folla che poi però abortiscono, tipo la manifestazione del 13 febbraio a Milano: cento pullman da riempire in quattro e quattr’otto, salvo contrordine perché le manifestazioni contro i pm a favore della Minetti non piacciono al Colle, tantomeno a Bossi (i suoi in piazza non ce li porta sicuro).

Viene in mente Gaber poiché i primi a non credere nella propaganda sono proprio i berlusconiani. Quelli ai posti di comando. Compresi ministri di rango. Si adeguano ai voleri del Capo, nessuno certo lo tradirà, quantomeno adesso.

Non c’è un 25 luglio dietro l’angolo, con l’arresto di Mussolini. Però aleggia lo stesso disfattismo, la stessa sensazione di una guerra perduta. «Per ora piove forte, anzi diluvia», è l’opinione di molti, «ma tra poco arriverà la grandine». Foto. Intercettazioni. Dio non voglia, retate. Si salvi chi può. E «in quelle condizioni al voto non potremo di certo andare». Il fantasma del governo senza Berlusconi torna a volteggiare. Mentre l’astuto Casini, guarda un po’, torna a difendere la dignità della politica contro le invasioni di campo dei pm: una scialuppa per chi si vorrà salvare.

http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/386529/
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