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Autore Discussione: Jeremy CORBYN, neo eletto leader laburista (NIENTE DI NUOVO NELLA SINISTRA)...  (Letto 3590 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Settembre 14, 2015, 06:49:27 pm »

L’opposizione a Downing Street
Gran Bretagna, Corbyn annuncia governo ombra: per la prima volta più donne che uomini nei posti chiave
Ma agli uomini gli incarichi più importanti: «cancelliere» sarà John McDonnell, altro esponente della sinistra laburista. «Interni» per il «rivale» Andy Burnham

Di Redazione Online

Jeremy Corbyn, neo eletto leader laburista in Gran Bretagna (leggi il ritratto CHI E’) ha annunciato i posti chiave del nuovo governo ombra affidando a John McDonnell, esponente della sinistra laburista grande alleato del neo leader, il ruolo di «cancelliere ombra». Ad Andy Burnham, che Corbyn sabato ha battuto nella sfida per la leadership del partito, è stato affidato il ruolo di ministro dell’Interno ombra, mentre Hilary Ben rimane agli Esteri. Ci sono comunque più donne che uomini (16 a 15) nel governo ombra di Corbyn, che risponde così alle accuse: «I ruoli come quello di cancelliere erano stati pensati in un’epoca in cui le donne non potevano nemmeno votare. Oggi i ruoli chiave del governo sono altri, come quelli all’educazione e alla salute».

Salute mentale e giovani
Il ruolo di segretario di Stato sarebbe stato rifiutato da alcuni candidati, tra cui la favorita Gloria de Piero, 42 anni, già ministro della parità e che ora va al ministero per Young People and Voter Registration. La posizione, alla fine, è andata a una donna: Angela Eagle, già ministro ombra per Ed Miliband. L’incarico, che le farà sostituire il leader durante i question time, sarebbe stato assegnato in un secondo momento, proprio per cercare di frenare le critiche, rivelano i siti britannici. «Unito e dinamico» sono però gli aggettivi scelti da Corbyn per descrivere il suo governo. C’è anche un ministro per la salute mentale, Luciana Berger.

Tra le critiche arrivate al nuovo leader laburista quelle di Janet Royall, che era alla guida del Labour alla Camera dei Lord quando era leader Ed Miliband, che ha espresso «preoccupazione e rammarico per l’assenza di donne alla guida del mio partito», cosa che ha definito «un passo indietro».

Scontro con Cameron sulla legge per gli scioperi
Intanto è già scontro tra il governo conservatore di David Cameron Corbyn. La ragione del contendere è la Union Bill, proposta di legge voluta fortemente dai Tory che introduce una serie di restrizioni al diritto di sciopero e proprio oggi approda in aula a Westminster. Molto dura la posizione di Corbyn, che ha parlato di «attacco ai lavoratori». Si apre quindi una sfida coi conservatori che ricorda quelle degli anni Ottanta tra l’allora premier Margaret Thatcher e l’opposizione Labour. Il leader dell’opposizione ha anche ricordato che fra gli stessi deputati conservatori c’è chi ha paragonato alcune parti della proposta di legge ai provvedimenti introdotti durante la dittatura franchista in Spagna.

14 settembre 2015 (modifica il 14 settembre 2015 | 18:07)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_14/gran-bretagna-corbyn-annuncia-governo-ombra-ma-gia-bufera-niente-donne-posti-chiave-cc5144f4-5ada-11e5-8668-49f4f9e155ef.shtml
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 14, 2015, 06:53:31 pm »

13 settembre 2015

Per Walter Veltroni le idee di Corbyn erano superate per la sinistra degli anni 80.
Esagerato.
Anche per quella degli anni 60.


Da - http://www.unita.tv/scintille/scintilla-13-settembre/
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 15, 2015, 04:27:56 pm »

Jeremy Corbyn è il nuovo segretario del Labour Party inglese.
Tom Watson eletto vicesegretario

Redazione, L'Huffington Post
Pubblicato: 12/09/2015 12:40 CEST Aggiornato: 12/09/2015 13:21 CEST

Terremoto nella sinistra inglese. Jeremy Corbyn è il nuovo segretario del Labour Party e prende il posto di Ed Miliband, dimessosi dopo la sconfitta alle elezioni politiche di maggio. Corbyn ha preso il 59,5 per cento dei voti. Il vicesegretario è Tom Watson, 'bestia nera' di Rupert Murdoch. Il primo atto del nuovo leader del Labour sarà una manifestazione in favore dei rifugiati, e contro la linea dura del governo conservatore. "Vogliamo dimostrare come i rifugiati devono essere trattati" e accolti, ha detto nel discorso della vittoria.

Dare "speranza alla gente comune che è piena fino qui di ingiustizie, disuguaglianza, povertà non inevitabile". È questo l'obiettivo di Corbyn. Il suo è stato un discorso unitario, ma con chiari riferimenti a temi come ambiente, pace, welfare, parità e immigrazione. Rivendicato il legame "organico" con il sindacato e denunciata come un "attacco alla democrazia" la riforma messa in cantiere dal governo conservatore per limitare il diritto di sciopero.

Corbyn "il rosso", 66 anni, incarna poco il politico tradizionale, un esponente di sinistra che divide il partito, uscito scosso dalla sconfitta alle elezioni di maggio. Il barbuto esponente anti-austerità, secondo gli analisti, ha raccolto le preferenze di chi vuole dare una scossa ai laburisti britannici. Ma secondo un sondaggio pubblicato in esclusiva dell'Independent, per il 66% degli intervistati non sarebbe in grado di portare alla vittoria il partito nel voto del 2020. Corbyn, che condivide le idee dei greci di Syriza, vuole porre fine alla politica di austerità del governo, imporre più tasse ai più ricchi e rinazionalizzare alcune industrie come quella ferroviaria.

Tra i principali oppositori di Corbyn ci sono i grandi nomi del passato del Labour come l'ex primo ministro Tony Blair, che è sceso apertamente in campo contro la sua candidatura e che ha consigliato a quanti si sono lasciati conquistare il cuore dal "vecchio socialista": "Fatevi un trapianto". Venerdì un duro attacco al partito laburista è arrivato dal primo ministro britannico David Cameron, che si è detto "esterrefatto" dalla campagna per la leadership del Labour e in particolare dalle sue proposte economiche.

"Chiunque sia il vincitore, il Labour è un partito che ha completamente abbandonato il dibattito sulle idee e che non rappresenta più i lavoratori", ha detto Cameron nel corso di una visita a Leeds, nel nord dell'Inghilterra. "Il suo discorso estremista promette solamente più spese, più debiti e più tasse", ha aggiunto, affermando che i laburisti "costituiscono una minaccia per la sicurezza finanziaria di tutte le famiglie nel Regno Unito".

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/09/12/jeremy-corbyn-segretario-labour_n_8126496.html?1442054435&utm_hp_ref=italy
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 15, 2015, 04:39:56 pm »

Jeremy, il ribelle vegetariano che odia l’austerity e la Nato
Il Labour deve essere un partito socialista. Magari con qualche correzione, di sicuro dobbiamo riscoprire il valore della proprietà pubblica nei settori chiave dell’economia
Di FABIO CAVALERA

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Orti per tutti. A Jeremy Corbyn piace sognare. Anche nell’ultima dura battaglia per conquistare la leadership laburista ha messo in campo la sua prolifica immaginazione. E per ringalluzzire il popolo stanco del centrosinistra ha rispolverato un vecchio pallino: un giardino in ogni casa e un pezzo di terra da coltivare «in modo che ciascuno abbia la possibilità di piantare patate e pomodori». Lui stesso, Jeremy Corbyn, è un appassionato di tuberi, bulbi e foglie. Nel 2003, dopo una lunga trafila, gli recapitarono l’autorizzazione a curare un minuscolo appezzamento a Islington, nord londinese, il suo collegio elettorale che da 32 anni lo conferma parlamentare alla Camera dei Comuni. Al mattino sale in bicicletta e provvede direttamente a semine, tagli e innaffiature.

Non si prenda Jeremy Corbyn per un pazzo eversore o per un nostalgico e patetico ex figlio dei fiori, visto che ha tagliato il traguardo delle sessantasei primavere. È così: idealista, cortese, di modi semplici. E testardo, tanto testardo da divorziare dalla moglie quando lei decise di spedire uno dei figli alla grammar school, le scuole più selettive. Anche Jeremy aveva frequentato una grammar school ma voleva per la prole, tre ragazzi, una secondaria popolare. Perse la partita in famiglia e il matrimonio finì. Le rigidità di un tempo sono svanite ma il DNA politico di Jeremy Corbyin non ha subito alterazioni: piaccia o non piaccia è di sinistra, senza sbavature e senza ripensamenti. In Parlamento per più di 500 volte, dal 1997 ovvero da quando partì la modernizzazione targata Tony Blair, ha votato contro le indicazioni del partito: no alla guerra in Iraq, no all’aumento delle tasse universitarie, no alle privatizzazioni. «In Germania sarei più moderato dei socialdemocratici», replica alle critiche.

Lo hanno dipinto come un «rosso» pericoloso. «Ci porterà al disastro», hanno minacciato i guru della terza via centrista. Ma il feroce fuoco di sbarramento degli architetti del New Labour prima trionfanti oggi tramortiti, i Tony Blair, i Peter Mandelson, i Gordon Brown, accantonate le loro dilaganti rivalità e gelosie personali, non è servito a nulla. Hanno tirato fuori qualche scheletro dall’armadio di Corbyn: ad esempio le simpatie per «gli amici di Hamas e degli Hezbollah» o l’invito a Westminster rivolto a Jerry Adams, capo dell’Ira, dopo le bombe a Brighton nel 1984. Un buco nell’acqua. «Se Tony Blair stringe la mano ai capi di Hamas è una grande leader. Se io dico che occorre dialogare con ogni parte in causa nei conflitti sono un amico dei terroristi».

Jeremy Corbyn non è un estremista con le armi nascoste sotto il letto. È un melting pot di correnti, di movimenti, di convinzioni, di radicalismo educato. È un pacifista, è un repubblicano in un paese di ferventi monarchici, è un euroscettico in un partito europeista, è un No Tav, è abbagliato dai greci di Syriza e dagli spagnoli di Podemos, è nemico del nucleare, sostiene la piena eleggibilità dei Lord e non la nomina di casta, è un uomo di piazza che nel 1984, già sui banchi dei Comuni, fu arrestato per un corteo non autorizzato contro l’apartheid in Sudafrica. Non è mai cambiato dimostrando una coerenza ferrea.

Un eretico, questo sì, che ha sbaragliato il campo sia per il manifesto grigiore degli altri contendenti, percepiti come una fotocopia in bianco e nero dell’establishment laburista targato Blair, sia per via di quel suo motto che ha ripetuto all’infinito, trovando consensi specie fra i giovani e le donne: «Se siamo laburisti è perché vogliamo che il partito laburista sia il veicolo del cambiamento sociale». Sottinteso: l’omologazione ai Bush che vanno in Iraq (leggi Blair), gli inchini alla City e alla finanza «creativa» (leggi Blair e Brown), le balbuzie sul bilancio statale da sfoltire coi tagli mirati (leggi Ed Miliband) hanno regalato sconfitte. «È autodistruttivo opporre l’austerità morbida all’ austerità dura di Cameron». La svolta presuppone una forte caratterizzazione. «Altrimenti destra e sinistra sono uguali».

Jeremy Corbyn è piantato nel solco della tradizione formatasi con gli insegnamenti dei genitori, che si erano conosciuti nelle proteste antifranchiste durante la guerra civile spagnola, e consolidata al termine degli studi liceali quando stracciò l’iscrizione all’università e partì per due anni di volontariato in Giamaica seguiti dall’arruolamento nel sindacato. «Ma non guardo indietro, io guardo avanti con idee nuove». Gli piacerebbe ristabilire la clausola dello statuto che vincola i laburisti al socialismo. «Magari con qualche correzione. Di sicuro dobbiamo riscoprire il valore della proprietà pubblica nei settori chiave dell’economia». Propone di rinazionalizzare le poste, le ferrovie e le società che producono e distribuiscono energia.

È uno choc. Esistono due partiti laburisti: Corbyn e i corbynisti, gli eredi e gli orfani del New Labour blairiano. Tenerli assieme è la prima scommessa di Jeremy Corbyn. «Io intendo collaborare con tutti, però con obiettivi chiari». Il che significa ribaltare la linea di marcia e cancellare gli ultimi venti anni di storia laburista. In politica estera è per la distensione con la Russia di Putin, per l’uscita dalla Nato, per l’accantonamento dei missili nucleari. Sull’Europa minaccia: «Sono per l’Europa che armonizza le condizioni di lavoro. Contrarissimo all’Europa del libero mercato». Il referendum incombe e Corbyn sbandiera la possibilità di schierarsi per l’uscita dall’Unione. Dirompente. Come pure sull’economia. Ha scritto dieci punti, ricevendo l’appoggio di 50 economisti capitanati da David Blanchflower, un ex membro del comitato per le politiche monetarie della Banca d’Inghilterra. Il succo è: basta tagli alla spesa pubblica, più tasse per ricchi, banche, fondi. Poi «il quantitative easing del popolo», l’ha chiamato così, ossia l’istituto centrale che stampa moneta da destinare alle infrastrutture e all’occupazione. «Il dovere dei governi è assicurare che l’economia lavori per l’intera comunità e che riduca le diseguaglianze».
In fin dei conti, al nuovo leader interessa di più la coerenza che l’ufficio a Downing Street. Se gli andrà male ha sempre il suo orto da coltivare. Una cosa è certa: con il «sovversivo» buono il laburismo cambia pelle.

@fcavalera
13 settembre 2015 (modifica il 13 settembre 2015 | 10:11)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_settembre_13/jeremy-ribelle-vegetariano-che-odia-l-austerity-nato-8da33442-59e5-11e5-b420-c9ba68e5c126.shtml
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« Risposta #4 inserito:: Settembre 15, 2015, 04:42:38 pm »

Jeremy Corbyn leader dei Laburisti.
La missione del nuovo capo: mettere da parte il radicalismo per tenere unito il partito

Nicola Mirenzi, l'Huffington Post
Pubblicato: 12/09/2015 20:36 CEST Aggiornato: 2 ore fa

Jeremy Corbyn non aveva ancora finito il suo discorso da neo-leader del partito laburista quando alle 12.43 il ministro della salute ombra, Jamie Reed, consegna la sua lettera di dimissioni dall’incarico: troppo difficile tornare al governo con un leader radicale come quello appena eletto – argomenta nelle trentatré righe delle missiva Reed – dunque meglio farsi da parte e pensare a come sostituirlo il prima possibile.

Eletto a capo del Labour con una maggioranza del 59,5% dei voti, il socialista che vuole mettere tra parentesi il pensiero e le opere di Tony Blair ha un nemico feroce contro cui combattere: la previsione che alle prossime elezioni politiche (nel 2020) perderà di sicuro, consegnando la Gran Bretagna ancora in mano ai conservatori e il suo partito – il Labour – nell’angolo dell’opposizione, se non della pura testimonianza.

Nel giro di pochi mesi, Jeremy Corbyn è stato in grado di inanellare una serie di primati: essere il primo candidato a scendere in campo senza minimamente pensare di poter battere i suoi tre rivali (l’ex ministro ombra della Salute Andy Burnham, il ministro ombra degli Interni Yvette Cooper, la candidata moderata Liz Kendall); diventare il capo più di sinistra che il Labour si sia mai dato; ed essere eletto leader con il più basso consenso da parte dei suoi colleghi deputati (solo 14). Dettaglio, questo, che indica quella che George Eaton su New Stetesman ha definito "la sfida epica" di Corbyn: cioè ricomporre la frattura che si aperta tra i membri del partito laburista e i suoi rappresentanti in parlamento.

Finita la feroce campagna elettorale, l’incubo della scissione agitato dalla parte più centrista del Labour può considerarsi finito, o altamente meno pauroso: nessuno ha veramente voglia di andare fino in fondo a questa strada. Ma certo Corbyn dovrà lavorare duro per tenere unito il partito. Per farlo, come spiega all’Huffington Post Lazzaro Pietragnoli – ex sindaco laburista di Camden, nord di Londra, ora consigliere comunale – Corbyn deve "cambiare atteggiamento". Dopo aver dimostrato di sapere "interpretare al meglio un bisogno di cambiamento, accogliendo esperienze radicali cresciute sia dentro che fuori dal Labour – dice Pietragnoli – ora deve mostrare di essere capace di siglare un compromesso politico, di linguaggio, di tono: l’unico modo per potere essere davvero competitivo".

Per Corbyn, trentadue anni di politica vissuta ostinatamente all’opposizione, il ruolo di leader è una shock culturale. Mediare, trovare le convergenze, rinunciare alla purezza delle idee: sarà la parte più difficile del suo lavoro. E il primo passaggio in cui si valuterà la sua disponibilità ad aprire le porte della sua guida alle anime del partito che sono state sconfitte sarà la formazione del governo ombra.
Molti esponenti del vecchio shadow cabinet si sono già dichiarati indisponibili a collaborare con Corbyn, altri di loro, invece, hanno offerto la disponibilità a lavorare con lui. Ovvio che le due figure principali su cui si misurerà la volontà unitaria di Corbyn sono quelle dell’economia e della politica internazionale, i temi più importanti della politica britannica, ma anche quelli su cui Corbyn deve più rassicurare la parte del partito che non lo ha votato. Se sceglierà al Tesoro (come si è detto durante la campagna elettorale) un uomo come John McDonnell, il suo più fedele alleato parlamentare, è evidente che Corbyn opterà per una linea intransigente. Se deciderà di metterlo da parte, scegliendo personalità che non fanno parte della sua corrente politica e culturale, automaticamente si aprirà un’altra pagina. "Ed è quello che io credo che farà", dice Pietragnoli.

Sull’uscita della Gran Bretagna dalla Nato, la sua posizione anti-monarchica, il suo scetticismo riguardo all’Unione Europea, Corbyn ha già mostrato di non voler insistere: tanto è alto il rischio di condurlo al margine della scena politica. E secondo Pietragnoli, il problema di unire il partito, "non dovrà essere solo un’esigenza sentita del nuovo leader, ma deve essere avvertita come necessaria anche dai leader che a lui si oppongono, che dovranno dichiararsi disponibili a dare una mano".

L’alta percentuale di voti con cui Corbyn è stato eletto (più del 57% con cui fu eletto Blair nel 1994) ha mostrato una debolezza del fronte che a lui si oppone: i centristi del Labour, l’aria di sinistra più moderata non ha una figura carismatica, un vero leader dietro al quale coagulare la sua diversità. Perciò molti analisti sono d’accordo nel dire che il vero avversario di Corbyn – più che i nemici interni – sono le urne.

Il referendum sull’Europa, le elezioni del prossimo maggio in Galles, in Scozia e per la scelta del sindaco di Londra, saranno il primo banco di prova per lui. Perderle tutte, o comunque deludere, significherebbe rimettere tutto in discussione, «benché far fuori un leader da poco eletto - ragiona Pietragnoli – non è mai un buon segnale che si lancia agli elettori».

I voti – cioè l’alto mare aperto dell’intero elettorato – sono il macigno che pesa sulle spalle di questo leader che riscalda i cuori della base Labour, ma corre il rischio di rinchiuderla in un ghetto. Tanto che sul Guardian Andrew Sparrer ha compilato una lista in dieci punti per spiegare perché le scarse possibilità di Corbyn di essere eletto primo ministro sono diventate un tema della politica nazionale britannica. «Corbyn è veramente ineleggibile?» si domanda Sparrer. «Molto probabilmente sì», si risponde, concedendosi solo un piccolo beneficio del dubbio. Lo stesso margine d’incertezza che è disposta a concedere il primo ministro scozzese Nicola Sturgenon, prima di scrivere un tweet preoccupante per il futuro della Gran Bretagna: «Se il Labour non dimostrerà velocemente di avere un chance credibile di vincere le elezioni inglesi – scrive – molti concluderanno che l’indipendenza della Scozia è l’unica alternativa al governo dei Tory». Le tensioni in Irlanda, le insofferenze scozzesi, le sempre più forti pressioni a favore di un parlamento autonomo inglese: sono solo alcuni dei movimenti, «potenzialmente esplosivi» – osserva Pietragnoli – su cui Corbyn non ha una ricetta credibile. Per questo in ballo non c’è solo il futuro del partito laburista: c’è anche quello – più grande – del Regno Unito.

Da - http://www.huffingtonpost.it/2015/09/12/corbyn-leader-laburisti_n_8127584.html?1442083016&utm_hp_ref=italy
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