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Autore Discussione: Giovanni SARTORI. Politologo fuori dagli schemi  (Letto 83181 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Giugno 03, 2013, 04:52:34 pm »

La lettera

Riforma elettorale, le due varianti che occorrono al sistema francese


Caro direttore,
confesso che sono restato un po' male per il fatto che nessuno dei quattro sottoscrittori della Lettera del 2 Giugno intitolata «Un movimento di cittadini per la scelta diretta» mi abbia chiesto di sottoscriverla. Lo faccio ora di mia solitaria iniziativa, visto che sono un po' il padre nobile della proposta in questione. Vedi il mio libro intitolato «Ingegneria costituzionale comparata» uscito in inglese nel lontano 1994 e poi in italiano nel 1995 (la cui quarta edizione è del 2000). Sono poi tornato sul tema innumerevoli volte con editoriali sul «Corriere».

Quantomeno i miei valenti colleghi Panebianco e Augusto Barbera dovrebbero avermi letto. Ma forse pretendo troppo.
E quindi colgo l'occasione per ricordare che avevo proposto e continuo a proporre due varianti rispetto al sistema francese. Primo, che al secondo turno passino i primi quattro partiti più votati (impelagarsi nella discussione di percentuali serve soltanto a impiombare il progetto) con un diritto di tribuna mettiamo del 10-15% dei seggi per i partiti minori dei quattro promossi al secondo turno.

Ma non è qui che posso riesporre le mie proposte. Chi è interessato può facilmente ritrovarle nei tre libri di Laterza che raccolgono i miei scritti sul «Corriere». Qui, oggi, mi interessa solo sottoscrivere il testo che mi ha dimenticato.

Giovanni Sartori

3 giugno 2013 | 8:43© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/politica/13_giugno_03/varianti-sistema-francese-politica_87f8247a-cc17-11e2-baa8-7c6869fac9d2.shtml
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« Risposta #106 inserito:: Luglio 17, 2013, 04:02:43 pm »

IL DIBATTITO SU IMMIGRAZIONE E INTEGRAZIONE

Terzomondismo in salsa italica

Giovanni Sartori


Quando cadde il Muro di Berlino tutto il mondo libero esultò. L'inconveniente fu che il marxismo-leninismo-stalinismo - in breve, il comunismo - rimase orfano, rimase senza ideologia. In Germania, nel 1959 a Bad Godesberg, la sinistra tedesca ripudiò quel passato e divenne una autentica socialdemocrazia con tanto di Mitbestimmung (cogestione) tra sindacati e padronato (altro che il sindacato di lotta e di conquista come a tutt'oggi la Fiom italiana).

Tutto a giro anche nell'Occidente restano, è vero, schegge di comunisti duri e puri (come Vendola in Italia). Ma il fatto resta che il marxismo-leninismo è morto. Come sostituirlo? In Italia la trovata è stata il «terzomondismo», abbracciare la causa del Terzo mondo. A suo tempo Livia Turco (allora ministro) fu la «pasionaria» di questo terzomondismo dogmatico e pressoché fanatico. E purtroppo risulta che la Turco ha continuato a essere il consigliere occulto (e ascoltato) di tutti i nostri presidenti, da Ciampi in poi.

Ho già avuto occasione di scrivere che il governo Letta è il più scombinato, in fatto di competenze e di incompetenze, della nostra storia. Nullità che diventano ministri, brave persone messe al posto sbagliato. Eppure Letta è del mestiere, conosce bene il mondo politico nel quale vive. Chi gli ha imposto, allora, una donna (nera, bianca o gialla non fa nessunissima differenza) specializzata in oculistica all'Università di Modena per il delicatissimo dicastero della «integrazione»? Beppe Severgnini sul Corriere di ieri ha stigmatizzato, e bene, le inaccettabili parole del senatore Calderoli, ma lei, Kyenge, si batte per un ius soli (la cittadinanza a tutti coloro che sono nati in Italia) mentre il suo ministero si dovrebbe occupare di «integrazione». E non sa, a quanto pare, che l'integrazione non ha niente a che fare con il luogo di nascita: è una fusione che avviene, o anche non avviene, tra un popolo e un altro. Io ho scritto un libro per spiegare quali siano i requisiti di questa integrazione etico-politica (che non è integrazione di tutto o in tutto). Capisco che un'oculista non deve leggere (semmai deve mettere i suoi pazienti in condizioni di leggere). Ma cosa c'entra l'immigrazione e l'eventuale integrazione con le competenze di un'oculista? Ovviamente niente.

È chiaro che la nostra brava ministra non ha il dovere di leggermi. Per fortuna ho però molti affezionati lettori, uno dei quali (che è un noto accademico), mi scrive così: «Vivo a Torino nel cuore multietnico della città. A due traverse di distanza ci sono i locali dei neri (sub sahariani) e quelli dei magrebini rigorosamente distinti, più uno di romeni, che assolutamente non si mischiano. Alla faccia della integrazione». In Inghilterra, in Francia, e anche nelle democrazie nordiche vi sono figli di immigrati addirittura di seconda generazione (tutti debitamente promossi a «cittadini» da tempo) che non si sentono per niente francesi o inglesi. Anzi. Allora a chi deve la sua immeritata posizione la nostra brava Kyenge Kashetu? Tra i tanti misteriosi misteri della politica italiana questo sarebbe davvero da scoprire.
Un'altra raccomandata a quanto pare anch'essa di ferro (da chi?) è la presidente della Camera Boldrini. In questo caso le credenziali sono davvero irrisorie. Molta sicumera, molto presenzialismo femminista ma scarsa correttezza e anche presenza nel mestiere che dovrebbe fare.

La prossima volta il presidente Napolitano ha già fatto sapere che se il governo Letta cadesse l'incarico di presidente del Consiglio verrebbe di nuovo conferito a lui. Spero che in questa eventualità Letta sia messo in grado di scegliere un buon governo di persone giuste al posto giusto. L'Italia si trova in una situazione economica gravissima con una disoccupazione giovanile senza precedenti. Non si può permettere governi combinati (o meglio scombinati) da misteriose raccomandazioni di misteriosissimi poteri. Siamo forse arrivati alla P3?

17 luglio 2013 | 8:00
© RIPRODUZIONE RISERVATA


da - http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_17/terzomondismo-salsa-italica_59ba1a3c-ee9a-11e2-b3f4-5da735a06505.shtml
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« Risposta #107 inserito:: Agosto 31, 2013, 05:27:31 pm »

LA TERRA, IL CLIMA, LA DEMOGRAFIA

Previsioni del tempo


Come va l'Italia? Male, maluccio? Io direi molto maluccio. E come va il mondo, il pianeta Terra? Forse meglio. La buona notizia è che a detta dei climatologi il riscaldamento del nostro pianeta sembra che si sia fermato.

Si intende, le previsioni sul clima non sono mai certe; sono, in verità, estrapolazioni ricavate da statistiche o da modelli matematici. Anche così, quali le possibili spiegazioni? Potrebbe essere che la crisi economica ha molto ridotto le emissioni di gas serra, pareggiando così il conto, e cioè pareggiando l'eccedenza di anidride carbonica che non veniva assorbita in precedenza dagli alberi e dal mare.

Dall'altra parte c'è la controindicazione che i ghiacciai (Himalaya a parte) continuano a sciogliersi e soprattutto che il mitico «passaggio a Nord Ovest» (o inversamente «passaggio a Nord Est») tra la Groenlandia e il Polo Nord si è aperto, che è diventato transitabile quantomeno nella stagione estiva. Con tutto ciò resta fermo che gli esseri umani contribuiscono al cambiamento climatico anche se sussistono fluttuazioni climatiche naturali che entrano nella partita e che non sappiamo prevedere. Anche così le previsioni restano che a lungo periodo le temperature aumenteranno di almeno due gradi entro la fine del secolo. Dicevo che al momento sul clima ci sono buone notizie. Ma non esageriamo. Buone per gli anziani di oggi, non per i bambini di domani.

Le notizie sono pessime invece sul fronte demografico. Cento anni fa eravamo meno di due miliardi. Oggi siamo più di sette miliardi; e mentre le previsioni erano che fino a poco tempo fa questa crescita si sarebbe arrestata a circa 9,6 miliardi di persone nel 2050, l'ultima previsione o meglio proiezione della Agenzia ad hoc delle Nazioni Unite è che nel 2100 saremo quasi 11 miliardi. Beninteso, è sicuro che a questi 11 miliardi non arriveremo mai, visto che saremo decimati dalla fame, dalla sete e probabilmente anche dalle guerre per procurarsi cibo ed acqua.

Già, l'acqua. Il fiume Giallo, in Cina, non arriva più alla foce perché tutta la sua acqua viene prelevata dall'agricoltura. Il lago Aral fino al 1969 era il quarto lago del mondo; ed oggi non esiste più. Il lago Victoria, in Africa, è la foce del Nilo, il fiume più lungo del mondo. Il guaio è che è un lago poco profondo, al massimo 80 metri, e che si sta sempre più svuotando. Un serissimo guaio per il Sudan e ancor più per l'Egitto che ha già 83 milioni di abitanti.

Tornando al disastro demografico, i Paesi che più contribuiranno a questo disastro saranno in prevalenza Paesi africani (Nigeria in testa); ma anche l'India sorpasserà la Cina (che ha attuato un controllo delle nascite) arrivando a un miliardo e 600 milioni di persone. Ma non voglio tediare il lettore con troppi numeri. Però qualcuno dovrebbe occuparsene e preoccuparsene. In Italia noi abbiamo testé creato un ministero dell'Integrazione retto dalla simpatica figura di Cécile Kyenge, che però di integrazione non sa niente. Il suo chiodo fisso è lo ius soli ; e la conseguenza di questa irresponsabile fissazione sarà una ingente crescita, prevalentemente africana, della popolazione italiana.

Ma allora perché non creare per lei un nuovo ministero dell'Immigrazione? O meglio ancora dell'Immigrazione e dell'Occupazione? Essendo professionalmente una oculista la nostra ministra Kyenge dovrebbe allungare la vista sugli italiani che sono già tali e che non trovano lavoro.

15 agosto 2013 | 9:38
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Giovanni Sartori

da http://www.corriere.it/editoriali/13_agosto_15/previsioni-tempo_e7431c84-0563-11e3-95f7-ac31e2b74e2c.shtml
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« Risposta #108 inserito:: Novembre 23, 2013, 04:51:37 pm »

Gli eccessi che la terra non sopporta
Una modernità fuori misura

La cosiddetta modernizzazione è tutta «fuori di misura», dismisura: è, come dicevano i greci, Hubrys. La Terra è un piccolo pianeta la cui circonferenza è di appena 40.000 km. Ma noi predichiamo un progresso senza limiti, una crescita senza limiti, uno sviluppo senza limiti e, ancor peggio, una popolazione senza limiti. È demenza? Sì. Perché è demenza ipotizzare una crescita infinita in un pianeta che ha dimensioni finite e per ciò stesso anche risorse finite.

So bene che noi siamo attualmente assillati dalla disoccupazione e dal peso di colossali debiti dello Stato. Il che ci fa dimenticare, purtroppo, che anche il pianeta Terra è in crisi: stiamo inquinando l’atmosfera, stiamo avvelenando l’aria che respiriamo e, al contempo, stiamo destabilizzando il clima. Sono notizie di questi giorni il ciclone senza precedenti che ha colpito le Filippine, e ora il diluvio, la bomba d’acqua anch’essa senza precedenti che si è abbattuta sulla Sardegna e che ancora la minaccia. Forse troveremo il modo di uscire dalla crisi economica (della quale portano la massima colpa gli economisti), ma come fermare l’impazzimento del clima, il progressivo riscaldamento, la crescita dei livelli del mare, l’erosione dei ghiacciai (che alimentano i fiumi) e, infine, la nuova probabile dislocazione delle piogge con la conseguente dislocazione delle zone aride?

Il rimedio vero sarebbe una drastica riduzione delle nascite (specialmente in Africa) che ci restituirebbe un pianeta vivibile. A questo effetto le maggiori responsabilità sono della Chiesa cattolica (per l’Africa e anche parte dell’America Latina). Per ora papa Francesco si è limitato a carezzare molti bambini, stringere molte mani e a distribuire in piazza San Pietro la «Misericordina» che poi, aperta la scatolina, è un rosario. E la nostra televisione è inondata da appelli di soldi per salvare i bambini africani. A che pro? Le prospettive, restando le cose come sono, sono cicloni in autunno, piogge torrenziali in inverno, afa insopportabile d’estate. E d’estate non nevicherà più sui ghiacciai, il che implica che andranno a sparire. Di conseguenza i fiumi si prosciugheranno.

Come dicevo di tutto questo non ci diamo pensiero perché prima di tutto bisogna mangiare. Vero. Ma è anche vero che ci sarà sempre meno da mangiare. Ripeto, l’unica cura ancora a nostra disposizione è di ridurre la popolazione e con essa ridurre l’emissione di gas serra e la conseguente concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera. I combustibili fossili(a cominciare dal carbone) vanno messi al bando, mentre noi continuiamo allegramente a incendiare i nostri boschi senza che mai un incendiario sia preso e condannato.

Si può essere più incoscienti di così? Quasi dappertutto si continua e riprende la cementificazione, la speculazione edilizia che consente di costruire fabbricati in zone pericolose, a rischio di essere spazzati via da frane e piene subitanee. Le nostre amministrazioni locali hanno fame di soldi, ma sono soldi che vanno alla criminalità organizzata, alle mafie che signoreggiano oramai un po’ dappertutto.
Come scriveva qualche giorno fa su queste colonne Gian Antonio Stella, i nostri governi «non hanno fatto che accumulare imposte ecologiche raccogliendo dal 1990 in qua 801 miliardi di euro. Sapete quanti siano stati spesi davvero in interventi di risanamento dell’ambiente? Meno di 7, lo 0,9%». Che vergogna. E anche che incoscienza.

23 novembre 2013
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Giovanni Sartori

Da - http://www.corriere.it/politica/13_novembre_23/editoriale-sartori-modernita-consumo-pianeta-907adcac-5405-11e3-b3cc-01de6c91b992.shtml
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« Risposta #109 inserito:: Dicembre 05, 2013, 11:41:44 pm »

EUROPA, TASSE E DISOCCUPAZIONE
Intrappolati in un girotondo

Specialmente noi - anche se non soltanto noi - ci siamo intrappolati in un girotondo vizioso che era facile prevedere ma che non è stato previsto. Sorvoliamo sulle colpe. Il fatto è che abbiamo creato una Comunità europea indifesa e indifendibile nella sua economia produttiva e nei suoi livelli di occupazione. Eppure era ovvio che aprirsi alla globalizzazione in un mondo nel quale i salari dei Paesi poveri, i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, erano 5, 10, a volte persino 20 volte, inferiori ai nostri salari, avrebbe costretto le nostre industrie, specie le grandi industrie, a dislocarsi dove il lavoro costava meno.

Dunque la globalizzazione dell’economia produttiva comportava la disoccupazione europea. I Paesi più efficienti e meglio governati hanno sinora fronteggiato la situazione. Ma in parecchi membri dell’Unione Europea la globalizzazione ha gonfiato il debito pubblico a livelli non sostenibili e ha gonfiato a dismisura la burocrazia dello Stato o comunque a carico dello Stato. Oggi siamo costretti a dimagrire: per cominciare, via gli enti inutili, via le Province, via le burocrazie clientelari e gonfiate delle Regioni. La soppressione delle Province forse andrà in porto: ma con l’assicurazione che il loro personale verrà salvato e manterrà lo stipendio che aveva. E allora siamo sempre nel circolo vizioso di partenza.

Il punto è che per uscire dalla crisi di disoccupazione che ci sta facendo affondare bisogna che il lavoro torni nell’Unione Europea. Come si fa? Si fa come hanno sempre fatto tutti gli altri Paesi avanzati, ivi inclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito (che sta in Europa sì e no), e cioè proteggendosi quando occorre. Gli europeisti ritengono invece che la soluzione sia nel federalismo; ma, come non mi stanco di ripetere, un sistema federale richiede una lingua comune.

L’unica eccezione a questa regola è la piccola Svizzera. Ma chi cita la Svizzera (che poi, salvo un’eccezione, è in sostanza bilingue) dovrebbe spiegare e adottare la formula di governo federale di quel Paese. Che è molto bizzarra e che non è certo esportabile. Al massimo l’Europa può puntare su una formula confederale con un potere centrale molto debole; ma questa soluzione non risolverebbe granché. La mia proposta invece è di una Unione Europea che sia al tempo stesso anche una unione doganale. Il che significa che una difesa doganale non può essere decretata da un singolo Stato, ma deve essere autorizzata, per esempio, dalla Banca centrale europea.

Altrimenti il nostro Paese continuerà a tassare semplicemente per pagare poco e male le pensioni, e a sussidiare poco e male i disoccupati. Un pozzo senza fondo nel quale stiamo sprofondando sempre più (altro che ripresa!), visto che abbiamo anche stabilito che l’immigrazione clandestina non è reato, e che abbiamo una ministra dell’Integrazione che si batte per istituire lo ius soli , il diritto di chi riesce ad entrare in Italia di diventarne cittadino.

A questo proposito si deve ricordare che la industrializzazione dell’Europa continentale fu favorita e protetta da una unione doganale (inizialmente lo Zollverein tedesco); in sostanza, dalla protezione delle industrie senza le quali un Paese non diventa industriale. Nel contesto dell’Unione Europea la protezione di ogni singolo Stato dovrebbe essere consentita, per esempio, dalla Banca centrale, che potrebbe anche permettere barriere interne che siano giustificate dalla difesa del lavoro e delle industrie chiave nei Paesi che le hanno perdute . L’alternativa è quella di cui stiamo soffrendo: tasse crescenti, e oramai suicide, per pagare una disoccupazione crescente. Che già ci scoppia tra le mani. Nel 2008 un importante politologo americano, Walter Laqueur, pubblicava un libro, Gli ultimi giorni dell’Europa , nel quale spiegava che «l’immigrazione incontrollata ha popolato l’Europa di persone che non hanno nessun desiderio di integrazione ma che pretendono i servizi sociali, l’assistenza medica sovvenzionata e anche i sussidi di disoccupazione che offrono i Paesi ospitanti». Questa immigrazione proviene al meglio da Paesi che sanno gestire piccoli negozi, piccoli traffici nei vari bazar, e cioè i mercati caratteristici del Medio Oriente dove si vendono chincaglierie di ogni genere ma che non hanno mai sviluppato una società industriale. In Europa i più bravi possono ricreare il negozio tipico dei bazar, ma i più possono solo offrire un lavoro sottocosto che li lascia emarginati in squallide periferie di miseria caratterizzate da disoccupazione e da risentimento contro i Paesi ospitanti. Il risultato non è dunque integrazione, ma semmai sfascio e aumento della delinquenza.

L’Inghilterra e la Francia sono oggi i Paesi europei più invasi, per così dire, da questi «disintegrati», sempre più ribelli e violenti. L’Inghilterra per via del Commonwealth, la Francia per cercare di salvare (assurdamente) la sua colonizzazione. La Francia, oggi con un presidente socialista, si limita a fronteggiare le sommosse. L’Inghilterra che ha in materia le mani libere ora chiede, con Cameron, di controllare e limitare severamente l’immigrazione. E noi? Noi siamo, con lo scombinato governo Letta e la incombente pressione della «sinistra» di Renzi, i peggio messi di tutti.

Qualche cifra. Il nostro debito pubblico supera il 130% del nostro Pil. È un debito pagato con buoni del Tesoro, e cioè dai risparmiatori e (troppo) dalle banche. La disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni sorpassa il 40%. In questo caos il potere giudiziario straripa ogni dove ma - cito Severgnini su queste colonne - «l’Italia è maglia nera... anche per la durata del processo civile, 564 giorni per il primo grado contro una media europea di 240 giorni. Il tempo medio europeo per la conclusione di un procedimento di 3 gradi di giudizio è 788 giorni... in Italia è di quasi 8 anni». In questo bailamme crescono i votanti che vorrebbero uscire dall’Europa, il che ci consentirebbe di svalutare la nostra moneta. Temo che malmessi come siamo sarebbe un rischio altissimo. Io non lo raccomando.

03 dicembre 2013
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Giovanni Sartori

Da - http://www.corriere.it/editoriali/13_dicembre_03/intrappolati-un-girotondo-1b1dc9f4-5be1-11e3-bc7d-68ebf7f6255f.shtml
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« Risposta #110 inserito:: Gennaio 18, 2014, 04:54:41 pm »

SISTEMI ELETTORALI E STABILITÀ
Tre proposte e molti dubbi
Legge elettorale

Il nostro Gian Burrasca, pardon, volevo dire il nostro vivacissimo Matteo Renzi, al momento minaccia burrasca sulla legge elettorale. Ha ragione. Una cinquantina di anni fa scrivevo che il sistema elettorale è lo strumento più manipolabile, e allo stesso titolo più decisivo, di tutto l’armamentario politico delle democrazie.

L’originalità del nostro Renzi è di proporre ben tre sistemi elettorali (l’uomo è generoso) che hanno un solo inconveniente: di essere tutti e tre sbagliati. Ma Renzi ha la parlantina facile, troppo facile per dargli il tempo di leggere e di informarsi. Però si è scelto un guru, Roberto D’Alimonte, che è guru perché vuole essere primo e anche solo, tra tutti i politologi italiani. Beninteso, lui è il più bravo. Sarà, ma forse non sarà. E veniamo alla sostanza.

Il primo sistema proposto da Renzi è il sistema spagnolo: piccole circoscrizioni che eleggono 5-6 rappresentanti il che implica di fatto un’alta soglia di sbarramento. I nostri specialisti propongono, in aggiunta, un premio di maggioranza che gli spagnoli non hanno e che insospettisce perché il troppo è troppo. Comunque è vero che il sistema spagnolo ha prodotto, fino a poco fa, un sistema bipartitico. Ma è così perché la contrapposizione a due c’era già: era una eredità della guerra civile che contrappose sanguinosamente una sinistra crudelmente dominata dai comunisti, a una destra franchista anch’essa macchiata di molto sangue, e si intende, anti-comunista.

Dunque alla morte del generale Franco una struttura bipartitica era fortemente radicata nella memoria storica della Spagna. Il che equivale a dire che non fu un prodotto del sistema elettorale. Pertanto non è vero che il sistema spagnolo importato in Italia produrrebbe un sistema bipartitico. Se il Grillismo reggerà, i partiti dominanti risulterebbero tre e così saremmo in uno stallo.

La seconda proposta sarebbe un ritorno al Mattarellum, cioè ad un sistema proporzionale puro, corretto però da un premio di maggioranza. Ma oramai abbiamo raggiunto un livello di frammentazione partitica che forse potrebbe non fare scattare nessun premio.

Resta la terza proposta che distingue il professor D’Alimonte da quasi tutti i cultori della materia e che il nostro inventore chiama «doppio turno di collegio». La denominazione fa confusione e confonde anche me. Comunque il punto che deve essere fermo e chiaro è che il doppio turno funziona a dovere solo se non consente coalizioni, solo se al primo turno ogni partito si deve presentare da solo. Detto per inciso questo è anche l’unico sistema che consente preferenze genuine degli elettori e che allo stesso tempo assicura in ogni caso gover- nabilità. Di questo ho già scritto in un libro e varie volte sulle colonne del Corriere . Non mi posso sempre ripetere. Ma vedi per tutti l’articolo Tanto semplice che non si farà del 20 ottobre 2012.

Ma se Renzi mi leggesse (solo su questo punto, per carità) forse eviterebbe gli errori che sta per fare o far fare. Un buon sistema elettorale non è un sistema approvato da tutti. Questa è pura demagogia. È un buon sistema quello che riduce i piccoli partiti e che ovviamente i piccoli partiti avversano fino all’effusione del sangue. Come, per esempio, il doppio turno possibilmente collegato ad un semipresidenzialismo come da tempo praticato con successo in Francia. Ancora un punto. Tutti ripetono che la legge elettorale non basta. Sì e no. Può bastare a produrre governabilità, certo non basta a produrre buoni governi che governino bene. Come è ovvio.
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18 gennaio 2014
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Giovanni Sartori

DA - http://www.corriere.it/editoriali/14_gennaio_18/tre-proposte-molti-dubbi-5a592922-800a-11e3-be9a-e1e430257234.shtml
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« Risposta #111 inserito:: Gennaio 26, 2014, 11:49:55 pm »

Riforma elettorale, pregi e difetti
Io lo chiamerei bastardellum

Siccome sono io che ho inventato a suo tempo le etichette Mattarellum e poi Porcellum , oramai mi è venuto il vizio e così provo ancora. Italicum proprio non mi va. Sa di treno. Al momento proporrei Bastardellum . Ma si intende che si può trovare di meglio. Il punto che devo continuare a sottolineare è che la riforma elettorale è materia di legge ordinaria, mentre la riforma dello Stato è materia di legge costituzionale. E i tempi tra le due cose sono molto diversi, anche di due anni. Però se non vogliamo incappare in errori del passato le due cose devono essere armonizzate (nelle nostre teste) sin dall’inizio.

Più volte si è suggerito come sistema elettorale il sistema spagnolo di piccoli collegi (5-6 eletti), il che comporta di fatto una alta soglia di sbarramento e così l’eliminazione della frammentazione partitica (noi siamo arrivati sino a 30 e passa), che ovviamente ostacolano la governabilità. Si capisce che i partitini protestano a squarciagola: era comodo (vedi Mastella) diventare ministro della Giustizia essendo in tutto in tre. Ma la salute della politica esige che spariscano, e quando non ci sono più il dramma finisce. In Inghilterra nessuno piange se i partiti sono due o tre. Fin qui ripeto cose risapute. La nostra novità (gemiti dei partitini a parte) è la proposta del doppio turno di coalizione, che a mio avviso non ha senso anche se D’Alimonte la presenta come proposta «realistica» che mette assieme capra e cavoli, Renzi e Berlusconi.

A parte il fatto che a me sembra scorretto, scorrettissimo, trasformare con un premio una minoranza in una maggioranza (il che avviene anche nei sistemi maggioritari, ma perché questa è la natura del maggioritario, non un regalo che Renzi e Berlusconi fanno a se stessi). E la domanda è: il doppio turno di coalizione con ballottaggio cosa ci sta a fare in questo contesto? È una ulteriore elezione per fare o ottenere che cosa? Il premio di maggioranza attribuito a una coalizione di minoranza (addirittura del 35%) è secondo me molto discutibile.

C’è poi l’annosa questione delle preferenze. Le avevamo, e poi Pannella (con Segni) le fece abolire con due trionfali referendum. Era giusto, perché al Sud le preferenze erano molto alte e per ciò stesso ingrandite e manipolate dalla mafia. Aggiungi che il Pci di allora se ne serviva (quando erano tre) per controllare i voti dei suoi votanti infidi; mentre le preferenze al Nord erano relativamente poche e venivano facilmente pilotate dalle fazioni ben organizzate dei partiti di allora. Il bello è che per qualche decennio nessuno protestò dichiarando che senza preferenze gli eletti non erano scelti dagli elettori ma dai partiti. Poi, d’un tratto, venne in mente alle nuove generazioni di politici e giornalisti che così gli eletti non erano veramente eletti dal demos votante ma «nominati» dai partiti. Stranezze della storia.

26 gennaio 2014
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Giovanni Sartori

DA - http://www.corriere.it/editoriali/14_gennaio_26/io-chiamerei-bastardellum-254ef5e0-8659-11e3-a3e0-a62aec411b64.shtml
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« Risposta #112 inserito:: Febbraio 28, 2014, 07:21:15 pm »

Sartori: "Renzi è un peso piuma malato di velocismo"

Un estratto dalla prima puntata di Fischia il vento. Gad Lerner in viaggio tra crisi e uomo forte. Iniziando dal nuovo "Capo giovane", Matteo Renzi. E da un 'grande vecchio' della scienza della politica che non ha parole tenere: "Renzi è un peso piuma malato di velocismo. Si sgonfierà rapidamente nel fare".

 "Renzi vende velocità che non può rispettare. Sono cose che incantano il pubblico: un mese faccio questo, un mese faccio quello. Fa ridere, io ho molti dubbi. L’uomo è molto contento di se stesso e questo gli dà forza, ma si sgonfierà rapidamente nel fare. Mi dispiace, perché abbiamo bisogno di uno bravo". Sono alcune battute estratte dal colloquio tra il politologo Giovanni Sartori e Gad Lerner, nella prima puntata di Fischia il vento

Lerner: Renzi è portatore di decisionismo?
Sartori: "Io lo chiamo velocismo, è malato di velocismo. La vicenda di Matteo Renzi mi pare una gonfiatura senza fine. Il giovane è un peso piuma. Parla molto e parla bene, è svelto, è sveglio, è intelligente. Si muove con velocità, ma dietro manca quello che i latini chiamavano gravitas".

Sartori: "Renzi è un peso piuma malato di velocismo"

Lerner: Nonostante la repentina conquista della segreteria pd e del governo?
“Anche Obama è stato straordinario nel vincere le elezioni. Dopo no. È il ciclo di gente che sa vincere un’elezione, sa entusiasmare l’elettorato, ma poi sul resto perde".

Sartori: "Renzi è un peso piuma malato di velocismo"

Fischia il vento è un nuovo progetto televisivo che unisce web e televisione tradizionale e vede coinvolti Gad Lerner, al suo rientro in tv, un canale televisivo importante come laeffe del Gruppo Feltrinelli e Repubblica.it. E' un viaggio alla scoperta dell'Italia che cambia, sia attraverso incontri con le persone comuni, protagoniste di storie emblematiche, che con con interviste ai protagonisti della scena politica, economica e culturale. La produzione è affidata a Pulsemedia.

Le inchieste on the road sui grandi temi di attualità italiana realizzate da Lerner e dal suo staff di giovani videomaker vivono sia nella trasmissione televisiva del mercoledì sera (dieci appuntamenti per la prima stagione alle 21.30) che sul più importante sito di informazione italiano dove si può rivedere la puntata, partecipare alle discussioni online, fruire di contenuti speciali, per un programma che, di fatto, non finisce mai.

© Riproduzione riservata 26 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/fischiailvento/2014/02/26/news/sartori_renzi_un_peso_piuma_malato_di_velocismo-79658409/?ref=HREC1-5
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« Risposta #113 inserito:: Marzo 06, 2014, 12:03:37 pm »

Renzi il fanciullino, Craxi e Berlusconi: l'Italia e il Capo che non c'è.
Incontro con Giovanni Sartori


La versione integrale dell'intervista di Gad Lerner al politologo per la prima puntata di Fischia il vento "Un uomo solo al comando".  "Matteo? Un grande improvvisatore interessato solo a vincere le elezioni"
 
"Parla molto e bene, è svelto e intelligente, si muove con velocità. L'omino è un peso piuma malato di velocismo, manca di quella che i latini definivano gravitas". "Come Obama è uno che sa vincere le elezioni, sa entusiasmare l'elettorato ma poi sul resto si perde". "Non è nemmeno paragonabile al Berlusconi di 20 anni fa, Matteo Renzi è simpatico per questa sua velocità e l'eloquio popolano. Ma Berlusconi è imbattibile, soprattutto in televisione. Berlusconi è un grande calcolatore, Renzi è un grande improvvisatore". Iniziando dal primo ministro più giovane della storia d'Italia, un ritratto del nostro Paese attraverso i suoi leader

"Renzi ha fatto un grande regalo a Berlusconi con una legge elettorale orribile ma molto conveniente per il Cavaliere. In un modo o nell'altro Berlusconi vince. Un altro segno della poca gravitas: si presenta con un ventaglio di tre sistemi elettorali. Ne devi avere uno da suggerire che trovi giusto. Ne deve scegliere uno lui, non dare agli altri la possibilità di scegliere". "Il miglior sistema elettorale? E' quello francese a doppio turno, con alcuni ritocchi. Ma non si fa perché non conviene a Berlusconi, convinto che il secondo turno lo danneggi. Anche se, tra l'altro non è vero".

"Tutto l'occidente ormai cerca un leader che abbia capacità di leadership altrimenti la democrazia si sfascia. Craxi fu un personaggio di peso che creò la socialdemocrazia in Italia. Non fece in tempo, perché il suo partito era già corrotto. Berlusconi faceva solo il suo interesse. Di certo non è di peso Renzi"

© Riproduzione riservata 28 febbraio 2014

Da - http://www.repubblica.it/fischiailvento/2014/02/28/news/renzi_il_fanciullino_craxi_e_berlusconi_l_italia_e_il_capo_che_non_c_incontro_con_giovanni_sartori-79858147/
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« Risposta #114 inserito:: Maggio 16, 2014, 06:28:17 pm »

L’ENORME AUMENTO DELLA POPOLAZIONE
La Terra verde sotto assedio
Nulla vieta che papa Francesco contraddica la tesi dei suoi predecessori sui temi della contraccezione

Di Giovanni Sartori

Leggo che papa Francesco sta preparando una enciclica «verde», vale a dire una enciclica che condanna la crescente scomparsa delle zone vergini della Terra, sempre più erose dalla cementificazione dell’uomo. Una cementificazione prodotta dal crescente e insensato aumento della popolazione. Siamo già più di sette miliardi e, se le proiezioni di poco fa indicavano un tetto massimo di nove miliardi, oggi se ne prospettano persino dieci.

Dove li mettiamo? Per ora affollano città sempre più smisurate e squallide periferie rese pericolose da immigrati affamati senza lavoro e senza mestiere. Tokyo potrebbe arrivare (nella ultima proiezione dell’Economist) a 39 milioni di abitanti, Delhi a 30 milioni, San Paolo e Città del Messico a più di 20 milioni, e così via. Ma la popolazione che cresce di più e più rapidamente è in Africa con punte di nascite fino a 40 figli, una follia che potrebbe e dovrebbe essere contrastata. Senonché nel 1968 papa Paolo VI con l’enciclica Humanae Vitae ha condannato l’uso dei contraccettivi. Nessun’altra religione e nemmeno i cristiani protestanti hanno recepito questo messaggio. Ma la Chiesa di Roma, con l’appoggio dei Paesi sudamericani e dei potentissimi cattolici americani, ha bloccato perfino la politica della contraccezione sia alle Nazioni Unite sia e soprattutto in Africa (dove gran parte delle missioni sono cattoliche).

La storia della enciclica Humanae Vitae è nota ed è stata minutamente raccontata. Il Papa costituì una commissione di teologi che concluse i suoi lavori dichiarando che la dottrina cattolica non forniva nessun sostegno alla tesi di Humanae Vitae. Ma Paolo VI non si lasciò convincere.
Per la fede l’uomo è tale e diverso da tutti gli altri esseri viventi perché dotato di anima. E San Tommaso, il massimo pensatore della Chiesa, nella sua Summa Teologica distingue tre forme e fasi dell’anima. La prima è «l’anima vegetativa», la seconda è «l’anima animale», e solo la terza è «l’anima razionale» che caratterizza gli esseri umani, e che arriva tardi, soltanto quando il nascituro è formato o anche già nato. Dunque il Tomismo vieterebbe l’aborto di una anima razionale, ma certo non vieta i contraccettivi.

Dunque spero ardentemente che l’enciclica «verde» di papa Francesco lasci cadere la Humanae Vitae. Il Papa argentino ha scelto di essere francescano ma è anche stato educato dai gesuiti, un ordine che assieme ai domenicani costituisce l’ordine colto della Chiesa. L’enciclica che sta elaborando papa Francesco non può ignorare che un formicaio umano ucciderebbe anche il verde della Terra, la natura «vera». Gli esperti ci dicono che ci restano 10 anni prima della catastrofe climatica che sarebbe anche la catastrofe umana delle donne e degli uomini che la stanno vivendo.

Papa Francesco, si obbietterà, non può ignorare e tanto meno contraddire la tesi dei suoi recenti predecessori. Invece nulla lo vieta. La dottrina della infallibilità papale è del 1876, e riflette la caduta del potere temporale della Chiesa. In ogni caso questa infallibilità vale soltanto per i pronunciamenti solenni ex cathedra, su materie di fede e di morale. E quindi papa Francesco è liberissimo di asserire - come ha già fatto, visto che cito proprio lui, da una omelia del 19 marzo 2013 - che «la vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani ma una dimensione che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero Creato, la bellezza del Creato». Sante parole.

16 maggio 2014 | 08:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/editoriali/14_maggio_16/terra-verde-sotto-assedio-a3380528-dcb7-11e3-a199-c0de7a3de7c1.shtml
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« Risposta #115 inserito:: Aprile 05, 2017, 05:07:23 pm »

ERA NATO a Firenze NEL 1924
Morto Giovanni Sartori
Politologo fuori dagli schemi
Tutti gli editoriali sul Corriere
Autore di libri sulla democrazia tradotti nel mondo, era anche un polemista caustico
Dalle colonne del «Corriere della Sera» lanciò i termini «Mattarellum» e «Porcellum»

Di ANTONIO CARIOTI

Fra i numerosi talenti del politologo Giovanni Sartori, scomparso poco prima di compiere 93 anni, spiccava la capacità di coniugare eccellenza scientifica ed efficacia comunicativa. Aveva insegnato nelle più prestigiose università americane e i suoi libri erano tradotti in tutto il mondo: a lui si deve tra l’altro la più convincente descrizione teorica del sistema politico italiano. Ma era anche un editorialista e un polemista estroso e brillante come pochi, sorretto in questo anche da un sulfureo spiritaccio toscano: aveva inventato i termini Mattarellum e Porcellum, entrati nell’uso comune per designare le leggi elettorali succedutesi in Italia dopo la svolta d’inizio anni Novanta, e per il fenomeno del berlusconismo aveva coniato la definizione forse un po’ calcata, ma indubbiamente suggestiva, di «sultanato». Impartiva ai leader di partito e di governo severe lezioni di politologia e diritto costituzionale, ma amava trattare in modo brioso e tagliente, nei suoi libri e sulle colonne del «Corriere», anche altri temi: multiculturalismo, equilibri ambientali, statuto dell’embrione.

Nato a Firenze il 13 maggio 1924, raccontava di aver letto i maggiori classici della filosofia moderna durante la guerra, nel periodo in cui si era nascosto per sfuggire alla chiamata di leva della repubblica fascista di Salò. Il suo primo incarico universitario, nel 1950, fu appunto in campo filosofico: sei anni dopo cominciò a insegnare Scienza della politica, materia appena inserita nello statuto dell’ateneo fiorentino. Era stato anche preside della facoltà di Scienze politiche Cesare Alfieri, nella sua città, dal 1969 al 1971, negli anni caldi della contestazione studentesca. E nel 1971 aveva fondato la «Rivista italiana di scienza politica», della quale rimase direttore per oltre vent’anni.

Dal 1976 aveva cominciato a insegnare negli Stati Uniti, prima a Stanford e poi alla Columbia University di New York, della quale era professore emerito. Conosciuto e apprezzato a livello internazionale, nel 2005 era stato insignito del premio spagnolo Principe delle Asturie per le Scienze sociali. In particolare sono considerati di straordinaria importanza i suoi lavori sui regimi democratici, a partire dal classico Democrazia e definizioni (il Mulino, 1957), e sui sistemi di partito, come il fondamentale Parties and Party Systems (Cambridge University Press, 1976). Aveva poi applicato i suoi criteri di analisi alla situazione del nostro Paese in una serie di saggi, raccolti nel volume Teoria dei partiti e caso italiano (SugarCo, 1982).

Riteneva fuorviante dipingere l’antagonismo tra Dc e Pci come un «bipartitismo imperfetto» (cioè senza alternanza), secondo la formula adottata da Giorgio Galli. A suo avviso l’Italia era invece un esempio di «pluralismo polarizzato»: molti partiti, alcuni dei quali antisistema, con un enorme divario ideologico dall’estrema destra all’estrema sinistra e robuste spinte centrifughe. Uno scenario tutt’altro che rassicurante, simile a quelli della Germania di Weimar, della Spagna alla vigilia della guerra civile, della Quarta Repubblica francese. E se l’attenuarsi delle tensioni ideologiche ha scongiurato le prospettive peggiori, non c’è dubbio che l’incapacità del Paese di trovare un assetto stabile conferma la sussistenza dei problemi di fondo rilevati dal politologo fiorentino.

Se si passa dall’elaborazione teorica al giudizio sulle vicende concrete, un tratto peculiare di Sartori era la sua estraneità agli schemi usuali. Era un moderato anticomunista («quando c’erano i comunisti», precisava), ma fermissimo nel denunciare il conflitto d’interessi che rendeva anomala la figura del politico imprenditore Silvio Berlusconi. Nel contempo, in rude polemica con la sinistra, criticava ogni sottovalutazione del problema costituito dall’immigrazione di massa: lontanissimo dalla retorica dell’accoglienza, temeva il multiculturalismo come motore di una deleteria «balcanizzazione» delle società occidentali. E non cessava di porre in rilievo la vocazione teocratica dell’Islam, fino trovarsi in sintonia con Oriana Fallaci.

Laico ai limiti dell’anticlericalismo, Sartori fustigava energicamente la Chiesa cattolica per la sua posizione sul controllo delle nascite. Lo allarmava la condizione generale del pianeta, soprattutto per via della sovrappopolazione e della penuria d’acqua: anche qui era agli antipodi della destra indifferente ai rischi del mutamento climatico o addirittura propensa a negarli. Peraltro i suoi bersagli appartenevano a tutto lo spettro politico: indicava un sistema elettorale uninominale a doppio turno come la soluzione migliore per riassestare la nostra vita pubblica, ma doveva constatare con amarezza che i suoi suggerimenti restavano inascoltati.

Più in generale Sartori avvertiva evidenti segnali di una regressione culturale, che imputava in gran parte al prevalere della comunicazione visiva su quella scritta. Nel saggio Homo videns (Laterza, 1997) aveva lanciato l’allarme per l’avvento di un nuovo tipo umano, incapace di astrazione concettuale perché abituato a nutrire la propria mente soltanto di immagini. Era forse il più grave dei pericoli che scorgeva all’orizzonte, elencati con una vena profondamente pessimista nel libro La corsa verso il nulla (Mondadori, 2015). Si può ritenere che esagerasse, ma certo le sue apprensioni non erano prive di fondamento. Conviene tenerle presenti.

4 aprile 2017 (modifica il 4 aprile 2017 | 17:05)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/cultura/17_aprile_04/morto-giovanni-sartori-politologo-fuori-schemi-c501d986-1940-11e7-abec-63a8e356a8af.shtml
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« Risposta #116 inserito:: Aprile 07, 2017, 12:50:42 pm »

Sartori: il maestro del tempo perduto
Per coloro che si occupano di politica, di studio e ricerca, il politologo appena scomparso è stato "il" Maestro. Perché ha fatto e continuerà a fare discutere

05 aprile 2017

Quando se ne va un Maestro ti senti, inevitabilmente, un po' sperduto. E per coloro che si occupano di Politica, per ragioni scientifiche, di studio e di ricerca, Giovanni Sartori è stato "il" Maestro.

Per quanto discusso. Tanto più per questo. Perché ha fatto - e continuerà a fare - discutere. Non solo gli studiosi e i ricercatori di Scienza Politica, della Politica come Scienza, che egli ha contribuito, in modo determinante, a "fondare". Ma anche per gli attori politici e per i cittadini. Perché la voce di Sartori ha superato i confini della Scienza. È giunta, forte, fino agli ambienti nei quali si discute e si decide - di politica. Ma anche ai cittadini. Con cadenza regolare e quotidiana. Giovanni Sartori è intervenuto sui media, in primo luogo sul Corriere della Sera, dove scriveva con regolarità, per commentare e, spesso, sanzionare i diversi progetti di riforma del sistema istituzionale. Anzitutto e soprattutto: elettorale. Coniando formule suggestive, entrate nel linguaggio corrente. Dal Mattarellum al Porcellum. Mentre dell'Italicum si limitò a dire che era un "pasticcio" con un nome ridicolo che gli ricordava "un treno". La sua attenzione critica, peraltro, non ha sortito gli effetti sperati. E di ciò si rammaricava. Anche se è difficile verificare - e, ancor più, misurare - il contributo degli intellettuali in modo immediato e diretto.

Sartori, tuttavia, ha orientato la sua attenzione in diverse direzioni - della politica e della società. Perché la sua interpretazione dello scienziato politico era, sicuramente, "attiva". Da "attore politico". Di certo non delimitata e delimitabile agli ambienti scientifici. Così, dopo la "discesa in campo" di Silvio Berlusconi, Sartori dedicò un saggio alla "ascesa sociale" dell'Homo videns, il soggetto che aveva occupato il centro dello spazio occupato, prima, dall’Homo sapiens. Allo stesso tempo, non perse occasione per stigmatizzare il deficit di "anticorpi della democrazia" che affliggeva gli italiani. Retroterra e causa "culturale" dell'affermazione del Cavaliere. Una formula suggestiva, oltre che acuminata, che, a mia volta, non esitai a riprendere e a riproporre.

Personalmente, ho dialogato con Sartori in diverse occasioni. Ne ho affrontato i testi e la lezione, anche in modo critico. Come nel saggio "Gramsci, Manzoni e mia suocera" (edito dal Mulino nel 2012). Dove ho sviluppato e tematizzato il mio approccio ibrido allo studio dei rapporti fra politica e società. D'altronde, la mia stessa biografia scientifica mi ha spinto a frequentare terreni disciplinari diversi. Senza stabilire gerarchie fra i piani. Come ha fatto Sartori. Secondo il quale, la scienza politica riconduce la politica "a un'attività di governo e, in sostanza, alla sfera dello Stato". Laddove la sociologia politica "parte, dunque dalla società ed esamina come essa eserciti influenza sullo Stato". Io, invece, attribuisco pari attenzione e interesse alla sfera delle relazioni sociali e al "senso comune". Che vincolano le scelte e gli orientamenti delle istituzioni e degli attori politici. Tanto più oggi, al tempo della comunicazione mediale, della Tv e del digitale. Che hanno allargato lo spazio della politica alla vita quotidiana delle persone. Rendendo difficile tracciare confini netti fra i luoghi e i centri della decisione e dell'azione politica.

Ho avuto la possibilità - e il privilegio - di discutere di questa e di altre questioni con Sartori. In sedi pubbliche e sui media. Infine, soprattutto, a "casa mia". In altri termini: all'Università di Urbino. Dove, nell'ottobre 2005, su mia proposta, gli venne conferita la Laurea ad Honorem.  Dopo un seminario, dedicato alla sua figura e ai suoi studi, al quale parteciparono Gianfranco Pasquino, Mauro Calise e Angelo Panebianco. Insieme a un politico "capace di leggere e scrivere" - secondo la definizione di Sartori - come Massimo D'Alema. Un'occasione importante. Per me, oltre che per Urbino. E io ne conservo e conserverò gelosamente la memoria. Come conservo e conserverò gelosamente la memoria di Giovanni Sartori. Un Maestro, per chi studia la politica. Uno dei pochi rimasti. Mentre il tempo della Politica sembra ormai perduto.
 
© Riproduzione riservata 05 aprile 2017

Da - http://www.repubblica.it/rubriche/bussole/2017/04/05/news/sartori_maestro_tempo_perduto-162286547/?ref=RHPPBT-BH-I0-C4-P2-S1.4-T1
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« Risposta #117 inserito:: Aprile 07, 2017, 01:06:38 pm »

Se il partito nasce vecchio

Prodi e la strada in salita per il Pd

di Giovanni Sartori


Nascerà davvero il Partito Democratico? Intendi: nascerà vitale o nascerà morto? Sarà un successo o sarà un fiasco? Margherita e Ds riusciranno davvero a fondersi, oppure la loro sarà soltanto una somma di due partiti che restano litigiosi ed eterogenei? E quale sarà «il valore aggiunto» del nuovo pargolo? Di regola la somma (unificazione) di due o più partiti non produce valore aggiunto: la somma dei voti ricevuti dal partito unificato è inferiore alla somma dei voti ricevuti dai partiti separati. Nel nostro caso, perché mai un marxista dovrebbe gradire di trovarsi diluito in sempre meno marxismo; oppure perché mai un cattolico dovrebbe gradire di essere soverchiato da laici? Sia come sia, dobbiamo capire a quali condizioni un nuovo movimento o partito riesce a sfondare. La prima condizione è che la nascita del Pd comporti una drastica semplificazione del sistema partitico, e così l'eliminazione del pulviscolo dei partitucci, dei «nanetti». E da quando i partiti esistono il loro numero viene ridotto dai sistemi elettorali, non dalla nascita di un nuovo partito che se li mangia. Prodi si è messo in testa, invece, di risolvere il problema con un partito «mangia-partiti», con un partito-pitone. Ma, se così, a me sembra un controsenso che il progetto aggreghi soltanto due su circa dodici partiti. E' vero che la Margherita e i Ds mettono assieme circa la metà dei voti dello schieramento; ma i restanti nanetti mantengono lo stesso il loro potere di interdizione e di ricatto. Il che lascia il problema come è. Tanto più che nell'accorparsi i Ds si sono scissi perdendo il loro Correntone. La seconda condizione è che il nuovo partito sia percepito come davvero nuovo, come portatore di aria fresca e di energie giovani.

Invece il Pd sta nascendo senza slancio, già logorato dai tempi troppo lenti della sua gestazione e soprattutto dalle complicazioni nelle quali riesce sempre a impastoiarsi. Se fosse un architetto, Prodi costruirebbe tortuosissime pagode; e certo ha il genio della complessità superflua. Per le elezioni del 2006 escogitò una pletorica officina di teste d'uovo che gli regalò un programma di quasi trecento pagine, che gli fece quasi perdere le elezioni e che quotidianamente lo impaccia nel governare. E per il nuovo partito la tabella di marcia prevede un Comitato dei 45 per le regole dell'assemblea costituente; poi, il 14 ottobre, l'elezione dei delegati alla suddetta assemblea costituente, alla quale compete la redazione dello statuto del Partito Democratico; per poi finalmente arrivare, quando sarà, alla prova delle elezioni politiche. Nell'interim i 45 già dissentono su come e quando eleggere il loro leader e il loro segretario. Il tutto appesantito da un ulteriore, e sospetto, ricorso alla primarie. Dico «sospetto» perché per Prodi è ovvio che le primarie devono confermare e scegliere lui. Tantovero che, al momento, non le vuole perché i sondaggi danno per vincente Veltroni. Con tanti saluti al partito che «nasce dal basso». A Prodi piace far sembrare che sia il suo popolo a creare il suo Pd. Ma in verità non è così. E a questo modo molte, troppe energie vengono sprecate nel costruire una finzione populista. Allora, il Pd nascerà vitale o morto? La previsione è difficile. Ma il fatto è che le elezioni amministrative hanno confermato la regola che le unioni perdono voti. Dove Ds e Margherita si sono uniti, hanno perso mediamente 10 punti percentuali (vedi Genova, La Spezia, Ancona). Questo è solo un campanello di allarme. Certo è, però, che la strada del Pd è piu che mai in salita.

16 giugno 2007
da corriere.it


«Ultima modifica: Maggio 31, 2012, 04:33:19 da Admin »   


Da - http://forum.laudellulivo.org/index.php/topic,117.0.html
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« Risposta #118 inserito:: Giugno 12, 2018, 06:23:49 pm »

GLI INTERVENTI MILITARI DI OBAMA

Il Presidente guerriero

Nel suo primo messaggio sullo stato dell'Unione i l presidente Obama ha lasciato la politica estera in sordina ma ha ribadito, a proposito dell'Afghanistan, il progetto che sappiamo: nuove truppe oggi ma inizio del loro ritiro a metà del 2011. Capisco che questa logica distorta (se annunzi che te ne vai perdi più che mai) sia imposta dall’impopolarità della guerra, di qualsiasi guerra. La guerra è di per sé orribile. L'Occidente (salvo eccezioni balcaniche) lo ha capito e ne è profondamente convinto. Ma non è sempre evitabile. E dobbiamo tutti cominciare a capire che la guerra che resta inevitabile sarà diversissima da tutte le guerre che sono state combattute dall'inizio dei tempi.
Le vecchie guerre venivano combattute da eserciti identificabili per conquiste territoriali e anche per bottino, per saccheggio. È solo da pochi secoli che il bottino è venuto meno, ed è solo dopo le due ultime guerre mondiali che la conquista territoriale ha perduto senso.
Ciò premesso, qual è il senso, oggi, della classica distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta? Mi dispiace per i «ciecopacisti» — i pacifisti accecati dalla loro ossessione — ma un Paese che si difende dall'attacco di un altro Paese combatte una guerra giusta. Però la nozione di guerra giusta non include soltanto la guerra difensiva. Per esempio una guerra che si propone di abbattere un tiranno e di instaurare la democrazia è una guerra giusta? Questa è sempre stata l'ideologia missionaria degli Stati Uniti invocata da ultimo dal presidente Bush jr per giustificare, in mancanza di meglio, l'assalto all'Iraq. Ma è una dottrina che non ci possiamo più permettere; senza contare che in moltissimi casi è destinata a fallire. Nel caso dell'Iraq il successo è stato di abbattere un tiranno sanguinario e pericoloso per tutti; ma il «successo democratico» di quella guerra è molto dubbio.
E in Afghanistan? Anche lì guerra giusta per imporre democrazia? Per carità, scordiamocene. Lì si tratta di pura e semplice guerra necessaria resa obbligatoria ai fini della salvezza di tutto l'Occidente. Per decenni abbiamo temuto l'annientamento nucleare. Ma il pericolo delle armi atomiche è fronteggiabile. E comunque il pericolo maggiore è diventato quello delle armi chimiche e batteriologiche «tascabili». Qui la cattiva notizia è che mezzo chilo di tossina botulinica potrebbe uccidere un miliardo di persone. E l'Afghanistan conquistato (riconquistato) dai talebani, e al servizio di Al Qaeda, pone questo problema. Pertanto scappare non è una soluzione. Ma è anche vero che la guerra come viene combattuta oggi in Afghanistan, la guerra di occupazione e controllo del territorio contro un nemico invisibile, non può essere vinta.
Il problema è nuovo e impone soluzioni nuove. L'alternativa, propongo, è di abbandonare il territorio e di creare una zona militare fortificata (senza popolazione civile al suo interno) in grado di controllare e di distruggere dall'alto, con i droni militari americani, qualsiasi installazione sospetta di produzione di armi chimiche e batteriologiche. Questa «fortezza» dovrebbe essere collocata al confine con il Pakistan. E il punto è, in generale, che la tecnologia per difenderci dalla nuova tecnologia del terrorismo esiste. I generali, si dice, sono preparati a combattere la guerra del passato. Occorrono generali che si preparino alle guerre necessarie del futuro.

Giovanni Sartori

29 gennaio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - https://www.corriere.it/editoriali/10_gennaio_29/obama-il-presidente-guerriero-giovanni-sartori-editoriale_8aa54cda-0c9d-11df-a99f-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #119 inserito:: Agosto 14, 2018, 11:13:04 am »

GLI INTERVENTI MILITARI DI OBAMA

Il Presidente guerriero

Nel suo primo messaggio sullo stato dell'Unione i l presidente Obama ha lasciato la politica estera in sordina ma ha ribadito, a proposito dell'Afghanistan, il progetto che sappiamo: nuove truppe oggi ma inizio del loro ritiro a metà del 2011. Capisco che questa logica distorta (se annunzi che te ne vai perdi più che mai) sia imposta dall’impopolarità della guerra, di qualsiasi guerra. La guerra è di per sé orribile. L'Occidente (salvo eccezioni balcaniche) lo ha capito e ne è profondamente convinto. Ma non è sempre evitabile. E dobbiamo tutti cominciare a capire che la guerra che resta inevitabile sarà diversissima da tutte le guerre che sono state combattute dall'inizio dei tempi.

Le vecchie guerre venivano combattute da eserciti identificabili per conquiste territoriali e anche per bottino, per saccheggio. È solo da pochi secoli che il bottino è venuto meno, ed è solo dopo le due ultime guerre mondiali che la conquista territoriale ha perduto senso.
Ciò premesso, qual è il senso, oggi, della classica distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta? Mi dispiace per i «ciecopacisti» — i pacifisti accecati dalla loro ossessione — ma un Paese che si difende dall'attacco di un altro Paese combatte una guerra giusta. Però la nozione di guerra giusta non include soltanto la guerra difensiva. Per esempio una guerra che si propone di abbattere un tiranno e di instaurare la democrazia è una guerra giusta? Questa è sempre stata l'ideologia missionaria degli Stati Uniti invocata da ultimo dal presidente Bush jr per giustificare, in mancanza di meglio, l'assalto all'Iraq. Ma è una dottrina che non ci possiamo più permettere; senza contare che in moltissimi casi è destinata a fallire. Nel caso dell'Iraq il successo è stato di abbattere un tiranno sanguinario e pericoloso per tutti; ma il «successo democratico» di quella guerra è molto dubbio.

E in Afghanistan? Anche lì guerra giusta per imporre democrazia? Per carità, scordiamocene. Lì si tratta di pura e semplice guerra necessaria resa obbligatoria ai fini della salvezza di tutto l'Occidente. Per decenni abbiamo temuto l'annientamento nucleare. Ma il pericolo delle armi atomiche è fronteggiabile. E comunque il pericolo maggiore è diventato quello delle armi chimiche e batteriologiche «tascabili». Qui la cattiva notizia è che mezzo chilo di tossina botulinica potrebbe uccidere un miliardo di persone. E l'Afghanistan conquistato (riconquistato) dai talebani, e al servizio di Al Qaeda, pone questo problema. Pertanto scappare non è una soluzione. Ma è anche vero che la guerra come viene combattuta oggi in Afghanistan, la guerra di occupazione e controllo del territorio contro un nemico invisibile, non può essere vinta.

Il problema è nuovo e impone soluzioni nuove. L'alternativa, propongo, è di abbandonare il territorio e di creare una zona militare fortificata (senza popolazione civile al suo interno) in grado di controllare e di distruggere dall'alto, con i droni militari americani, qualsiasi installazione sospetta di produzione di armi chimiche e batteriologiche. Questa «fortezza» dovrebbe essere collocata al confine con il Pakistan. E il punto è, in generale, che la tecnologia per difenderci dalla nuova tecnologia del terrorismo esiste. I generali, si dice, sono preparati a combattere la guerra del passato. Occorrono generali che si preparino alle guerre necessarie del futuro.

Giovanni Sartori
29 gennaio 2010
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