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Autore Discussione: Giovanni SARTORI. Politologo fuori dagli schemi  (Letto 83821 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Agosto 18, 2011, 05:29:09 pm »

DEMOGRAFIA, TECNOLOGIE E TABU’


Quando saremo dieci miliardi

Mentre tutto va male nel mondo economico, ci siamo dimenticati che dai palazzi vaticani arriva la buona notizia che stiamo per diventare (in ottobre) 7 miliardi. Per di più, e meglio ancora, arriva anche una nuova previsione demografica. Finora si stimava che nel 2050 saremmo arrivati a 9 miliardi, per poi cominciare a decrescere. Ma oggi la stima è diventata che a fine secolo, nel 2100, saremo 10 miliardi. È anche perché l’Aids è diventato controllabile e non ucciderà più come prima. Ma è anche per merito (o per colpa) della Chiesa cattolica che si ostina – pressoché sola tra tutte le religioni – a proibire i contraccettivi e a demonizzare il controllo delle nascite.

Eppure la nuova proiezione dei dieci miliardi è terrorizzante. Anche perché il sovraccarico demografico colpirà soprattutto l’Africa. Per fortuna per fine secolo la popolazione cinese scenderà a quota 950 milioni, e anche se l’India dovrebbe salire da 1 miliardo e 200 milioni di oggi a più di un miliardo e 500 milioni, anche così il totale dei due colossi asiatici rimarrebbe invariato. Invece l’Africa è davvero votata al disastro. Quest’anno la zona in crisi di siccità e di cibo è il Corno d’Africa; ma lo è da parecchio, si tratta di una crisi ricorrente. Che ricorre un po’ dappertutto. Ma la proiezione che più spaventa è quella della Nigeria, che dai 150 milioni di oggi dovrebbe addirittura salire a 730 milioni. Follia suicida? Certo. Ma la stessa follia è diffusa in tutta l’area, fino al Sud Africa.

Aggiungi che i dati demografici non dicono tutto. Di tanto un Paese povero si sviluppa davvero, di altrettanto aumentano i consumi pro capite: consumi di cibo ma anche di comodità di vita. Chi non ha mai visto la luce elettrica, ora la vuole; chi ha sofferto il freddo dell’inverno e il caldo dell’estate ora vuole riscaldamento e condizionatori; chi va in bicicletta aspira a una motocicletta; chi mangiava solo riso ora vuole anche carne. Quindi l’aumento demografico comporta aumenti moltiplicati di cibo e di comodità. È giusto. Ma il «carico ecologico» diventa così sempre più insostenibile. L’altra faccia del problema è che la sovrapopolazione fa salire l’inquinamento e anche il riscaldamento dell’aria. Per il 2100 l’aumento dovrebbe essere di 4 gradi con effetti sconvolgenti sul clima e anche sul livello del mare. E mentre l’acqua salata cresce, l’acqua dolce diminuisce. Ovunque le falde acquifere che alimentano l’agricoltura si assottigliano (scendono) da decenni. Cina e India possono ancora contare sui fiumi alimentati dai ghiacciai dell’Himalaya; ma il granaio del mondo, gli Stati Uniti, dipende in buona parte dalle falde acquifere di Ogallala, che oramai si abbassano tra i trenta e i novanta centimetri l’anno.

Che fare? Io dico che la crescita demografica va fermata ad ogni costo. Ma nessuno osa dirlo; l’argomento è proibito. Tutti o quasi tutti invocano la tecnologia e le sue scoperte. Ma non c’è tecnologia che basti e che ci salvi con dieci miliardi di viventi.

Giovanni Sartori

15 agosto 2011 09:54© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_15/sartori-quando-saremo-dieci-miliardi_14b2965e-c70e-11e0-8ab9-b687ebb5f78f.shtml
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« Risposta #76 inserito:: Agosto 29, 2011, 10:47:45 am »

DEBITI FACILI, PREVISIONI SBAGLIATE

Un tracollo ben preparato

Tutti gli economisti, o quasi tutti, sostengono che la salvezza sta nella «crescita». Perché il mondo occidentale non cresce più (in nessun senso della parola). La sola crescita globale è stata, da un secolo a questa parte, quella della popolazione. Oggi siamo 7 miliardi, forse arriveremo a 9 o anche a 10. E di tanto cresce la popolazione, di altrettanto (se non più) crescono i problemi che la crescita economica dovrebbe risolvere. Problemi che oramai sono di «grande depressione». E problemi che le ricette degli economisti non sembrano in grado di risolvere. Forse perché sono ricette che ci hanno fatto sbagliare previsioni e terapie da almeno mezzo secolo a questa parte. Perché da mezzo secolo a questa parte gli economisti ci hanno incoraggiato a spendere più di quanto guadagniamo, creando così un progresso economico fondato sul debito. Il debito pubblico che oggi assilla tutti (anche se alcuni più, alcuni meno) nasce così: dallo Stato che spende e spande, che elargisce più di quanto incassa.

Negli Stati Uniti, per decenni, l'indicatore di una economia che «tira» è stato la consumer confidence , la fiducia del consumatore di poter spendere non sui soldi che si hanno ma sui soldi che verranno. Un altro problema delle società industriali avanzate è che alla fine le macchine «disoccupano». Certo, all'inizio creano occupazione per creare le macchine; ma poi, alla lunga, finisce che sono le macchine che lavorano per l'uomo e che lo sostituiscono. Questo problema è stato oscurato dalla teoria (eminentemente sociologica) che la società post industriale era, e doveva diventare, una «società dei servizi». Certo, in parte sì. Ma in parte la società dei servizi è diventata sovrappopolata e parassitaria perché serve a colmare il buco della disoccupazione crescente. Il nostro Sud è un magnifico esempio di politica che diventa strumento di pubblico impiego.

Il sistema che sono andato descrivendo era destinato a crollare. E difatti sta crollando. L'aggravante è poi stata la globalizzazione. Nel 1993 scrivevo che a parità di tecnologia i Paesi poveri a basso costo di lavoro erano destinati a togliere lavoro alla manodopera dei Paesi ricchi. Invece gli economisti hanno inneggiato alla globalizzazione come nuovi mercati di espansione e di vendita. È finita, per ora, che la Cina è diventata la cassaforte che sostiene il debito pubblico degli Stati Uniti, e che sono i cinesi che esportano più di noi.

Ci sono, infine, le malefatte dei banchieri e del loro avventurismo speculativo con i soldi degli altri. Hanno cominciato a elargire mutui subprime e cioè insufficientemente garantiti. E poi si sono buttati sui derivati, una diavoleria escogitata da due matematici che nemmeno i banchieri né i loro economisti hanno ben capito. Il che non toglie che siano riusciti a inondare il mondo con un nuovo tipo di pericolosa spazzatura.

Così oggi si scopre che abbiamo consumato le risorse per stimolare la ripresa, la crescita, senza che le nostre economie ripartano, senza che ci sia ripresa. Anche la locomotiva tedesca sembra che si sia fermata, la disoccupazione giovanile è altissima un po' dappertutto, e non può essere assorbita da impieghi burocratici che già soffrono di elefantiasi.

Sì, in Italia bisogna assolutamente ridurre in modo drastico un deficit che continua ad alimentare uno dei più alti debiti pubblici del mondo. Ma bisogna anche dire la verità, tutta la verità. Come ha ben dichiarato il presidente Napolitano: «La maggioranza ha nascosto la gravità della crisi». Berlusconi è bravo, bravissimo, come illusionista. Resta da scoprire se sa vedere e dire la verità.

Giovanni Sartori

29 agosto 2011 08:34© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/11_agosto_29/un-tracollo-ben-preparato-giovanni-sartori_d8446e96-d1fc-11e0-a205-8c1e98b416f7.shtml
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« Risposta #77 inserito:: Settembre 09, 2011, 05:52:42 pm »

Onorevoli, elezioni e bufale

Dopo cinque affannosi e sgangherati rifacimenti la manovra della nostra salvezza economica (perché tale dovrebbe essere) è stata approvata dal Senato e, sempre blindata dal voto di fiducia, passerà tal quale alla Camera. Resta un segreto: che fine ha fatto, si è chiesto ieri su queste colonne Dario Di Vico, il dimezzamento dei nostri parlamentari?

Come si ricorderà, fu la prima promessa del governo, anche perché indorava la pillola dei sacrifici. Alla maggioranza degli italiani lasciare a casa metà degli onorevoli dà soddisfazione, è vissuta come una meritata punizione. Ma di questa promessa del primo giorno non si è più parlato. Era uno specchietto per le allodole, oppure è perché il dimezzamento dei parlamentari richiede una modifica costituzionale (così come la soppressione delle Province, che è invece la promessa dell'ultimo giorno)? Confesso che la soddisfazione di vedere un bel mucchio di poco onorevoli onorevoli rimandati a casa è anche mia. Resta però una controindicazione, questa: che tanto maggiore è il numero degli elettori, di altrettanto diminuisce il loro singolo potere di farsi sentire dagli eletti. Come ha di recente ricordato Sergio Romano, in Gran Bretagna la Camera dei Comuni è composta da 650 deputati, il che fissa a 70/80 mila il numero degli elettori rappresentati da ogni singolo parlamentare. Pertanto dimezzare il numero dei nostri rappresentanti crea dei mega-collegi elettorali i cui elettori sono il doppio di oggi. Il che non crea un avvicinamento, ma, semmai, un allontanamento degli elettori dagli eletti. In realtà la «misura umana» sussiste e resta possibile solo al livello comunale, che è, a mio giudizio, l'unità o l'entità non solo da difendere ma da rafforzare.

L'altro problema connesso a quello del dimezzamento dei parlamentari è se sia vero che tornando a un sistema elettorale maggioritario (come quasi tutta la sinistra sembra volere), la scelta dei candidati al Parlamento tornerebbe nelle mani degli elettori. Mi dispiace (anche per la mia personale popolarità), ma questa è proprio una bufala.

Finché avremo una maggioranza di elettori che si disinteressano perdutamente di politica e che non sanno chi sia chi, in queste condizioni mi sfugge quale possa essere la capacità di scelta delle loro scelte. Non sanno niente, o quasi, di nessuno, né conoscono i problemi che il Paese deve affrontare e risolvere. Ma poniamo che l'Italia torni a un sistema proporzionale con voto di preferenza. In tal caso i partiti ricreano, se già non c'erano, correnti e fazioni intese a promuovere i propri leader, i propri capibastone. Non ricordo chi l'abbia detto per primo, ma la amara verità non è che gli elettori scelgono i candidati, ma piuttosto che i candidati si fanno scegliere dagli elettori.

Una ulteriore bufala è di sostenere che gli elettori scelgono meglio se votano con un sistema maggioritario uninominale. Ma perché mai? Se votano per affiliazioni di partito, il loro partito propone «un nome solo» (sistema, appunto, uninominale). Semmai il sistema che più e meglio consente all'elettore di scegliere è il sistema maggioritario a doppio turno, perché in tal caso può scegliere due volte. Contro il doppio turno si argomenta che alla seconda votazione il numero dei votanti diminuisce. Ma anche se così fosse (non è sempre così) vuol dire che i più somari vengono perduti per strada. Tanto meglio.

Giovanni Sartori

08 settembre 2011 07:54© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/11_settembre_08/onorevoli-elezioni-e-bufale-giovanni-sartori_32a7dcc0-d9db-11e0-89f9-582afdf2c611.shtml
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« Risposta #78 inserito:: Ottobre 03, 2011, 06:24:35 pm »

La nave sbanda. Chi c'è al timone?

Sistemi di voto e naufragio delle idee


La notizia è che la richiesta di referendum sulla riforma del sistema elettorale ha trionfato con un milione e duecentomila firme (ne bastavano 500.000). Se verrà accettato dalla Corte costituzionale, molti dicono e scrivono che così «si tornerebbe al sistema precedente, al Mattarellum». Ma non è vero o comunque non è detto. L'articolo 75 della Costituzione dice così: «È indetto referendum popolare per deliberare l'abrogazione totale o parziale di una legge». Il testo dice chiaramente, dunque, che il nostro referendum è soltanto abrogativo e quindi che consente soltanto cancellazioni, non aggiunte e modificazioni.

Inoltre, la prassi della Corte costituzionale è, di regola, di richiedere che il testo «tagliato» risulti immediatamente applicabile. Come è ovvio, perché nessun sistema politico può restare senza sistema elettorale. Ma il discorso finisce qui. Nessun referendum può ripescare una precedente legge elettorale (in questo caso il Mattarellum). Io, per esempio, ho combattuto il Porcellum, ma ho anche avversato il Mattarellum. E forse non sono il solo.
Proseguendo, anche Bossi, oramai, dà i numeri. Le sue truppe sono stanche e scontente. Così Bossi le ha galvanizzate, a Pontida, ripescando dal suo vecchio repertorio la secessione. L'Italia rischia la bancarotta e Bossi sa solo sguainare la sua sciabolina di latta. E vuole Grilli come nuovo governatore della Banca d'Italia perché lui, Grilli, è milanese. Siamo al limite del ridicolo.
Ma se la destra non ride, la sinistra dovrebbe piangere. A dispetto di tutto, il centrodestra di Berlusconi nei sondaggi regge. Lui, Berlusconi, è in calo di popolarità; ma il suo partito, inclusi comprati e alleati, tutto sommato tiene. Ogni settimana il tg di Mentana ci presenta lo stato dell'opinione rilevato dal suo aruspice e le variazioni sono piccole, pressoché insignificanti: mezzo punto più, mezzo punto meno o giù di lì.

Eppure, come scrive Ostellino, per Berlusconi «il tempo è scaduto» visto che «non è stato la soluzione dei problemi del Paese ed è diventato lui stesso il problema». Non si potrebbe sintetizzare meglio. Eppure, le opposizioni e la sinistra restano dove sono. I loro guadagni sono magrissimi. Perché?
È ovvio: perché non hanno trovato un vero leader, perché Di Pietro e Vendola sono controproducenti per la sinistra riformista e moderata che ha perduto la sua vecchia ideologia senza riuscire a rifondarsi, come invece è riuscito a quasi tutte le altre socialdemocrazie europee. Le nostre sinistre si esaltano, oggi, con le primarie e con i voti che riescono a mobilitare per un referendum. Ma non sono nemmeno capaci di decidere quale sia il buon sistema elettorale che propongono.
Io ho conosciuto bene, data la mia età, la Prima Repubblica. Allora protestavo. Ma la Seconda Repubblica è stata incomparabilmente peggiore. È il momento di dirlo a chiare lettere.

Giovanni Sartori

03 ottobre 2011 08:23© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_ottobre_03/sartori_nave_sbanda_19180a3e-ed7f-11e0-8721-690dea02417b.shtml
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« Risposta #79 inserito:: Novembre 06, 2011, 10:54:38 pm »

SCENARI DI UNA TRANSIZIONE

La resistenza del Cavaliere

Quando Silvio Berlusconi vinse la sua prima elezione, siccome cambiava sempre parere, smentiva, diceva e disdiceva, lo battezzai per celia «Cavalier Traballa». È stata una delle mie peggiori trovate. Il Cavaliere è restato in sella, salvo brevi intermezzi, per diciassette anni e ancora non dà mostra di volersene scendere. Eppure stavolta, come raccontano le cronache politiche di questi giorni, traballa davvero. Ma, se volesse lasciare la presidenza del Consiglio, come dovrebbe fare? Qual è la procedura per liberarsi del fardello del potere? Prima ipotesi: Berlusconi chiede la fiducia in Parlamento, non la ottiene, va subito al Quirinale dal presidente della Repubblica e chiede nuove elezioni. Proprio subito, illico et immediate .

Ma in tal caso dubito che il capo dello Stato gliele conceda. Perché la nostra Costituzione richiede che prima di indire nuove elezioni il presidente della Repubblica debba accertare se nelle due Camere esistano altre possibili maggioranze di governo. Ma sento già le dichiarazioni di stizza di Fabrizio Cicchitto e altri portavoce: ma questo sarebbe un infame «ribaltone»; la nuova maggioranza, se ci fosse, sarebbe costituita da «traditori» della volontà popolare, da venduti.
Spero che il capo dello Stato si infischierà della dottrina del ribaltone (che tra l'altro non esiste in nessun altro ordinamento costituzionale). Dunque non è detto che, caduto Berlusconi, non possa seguire un nuovo governo di «tecnici» (per esempio presieduto da Mario Monti). So bene che per gli onorevoli in carica un governo dei tecnici sarebbe esecrando perché li spoglierebbe (temporaneamente) dei loro emolumenti e privilegi. Ma l'attuale stato di sfascio dei nostri partiti di sinistra non rassicurerebbe né il Paese né il resto del mondo. Perché noi italiani siamo ormai dei «sorvegliati speciali». Berlusconi promette ma non mantiene, dice ma non fa. E «sorvegliati speciali» resteremmo anche se il governo fosse sostenuto dall'alleanza Bersani-Di Pietro-Vendola.

Avevamo detto della prospettiva delle elezioni in tempi ravvicinati. Con l'occasione mi permetterei anche di suggerire al presidente di far cancellare sulla scheda elettorale l'indicazione del premier già bellamente stampata. Se si vuole davvero offrire all'elettorato una scelta seria, allora accanto al nome del candidato devono esistere due caselline per dire «sì» oppure «no». Si può essere di destra eppure non volere Berlusconi, o di sinistra e non volere Vendola. Questo può sembrare un punto di poco momento, ma invece fonda l'interpretazione presidenzialista e al contempo «direttista» della nostra Costituzione. Meno male che Silvio c'è oppure meno male che non ci sia più?

Giovanni Sartori

06 novembre 2011 10:36© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/11_novembre_06/la-resistenza-del-cavaliere_7a255f08-084f-11e1-8af3-7422a022c6dd.shtml
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« Risposta #80 inserito:: Dicembre 19, 2011, 04:51:00 pm »

DEMOCRAZIA, VOTO E CITTADINI

Merito e selezione per salvarci tutti

Da parecchi anni, oramai, insisto sulla distinzione tra democrazia protettiva o difensiva, che protegge la libertà dei cittadini e che è irrinunciabile, e democrazia distributiva, che dovrebbe distribuire ai cittadini i benefici della democrazia, e che invece funziona sempre meno e sempre peggio. Non mi è ancora capitato di sentirmi citare oppure contestare da qualcuno su questa distinzione. Eppure senza la democrazia protettiva noi ridiventiamo sudditi, non più cittadini. Il cittadino è quasi sparito dopo la fine del mondo greco-romano, salvo qualche eccezione. Era tanto sparito che del termine civis, cittadino e polites si era pressoché perduta la memoria. Riappare solo con le rivoluzioni settecentesche. Con fatica. Ricordo che in Germania il vocabolo polites ricompare a casaccio per denotare più che altro la polizia.

Ci sono poi i partiti. Nel 1921 James Bryce asseriva che i «partiti sono inevitabili... Nessuno ha dimostrato come il governo rappresentativo possa operare senza». Per più di un secolo questa è stata la comune dottrina. L'idea era che i partiti dovessero aggregare le opinioni dell'elettorato per poi trasmetterle al governo, che a sua volta le avrebbe recepite e, nella misura del possibile, ne avrebbe soddisfatte le richieste.

Ma non è andata così. Tanto per cominciare, l'elezione doveva anche essere una selezione, una selezione dei migliori. Anche a lume di buonsenso, che senso avrebbe una selezione dei peggiori? Tantovero che per tutto il Medioevo il principio di scelta è stato espresso dalla formula della melior et sanior pars. Fin quando la sciaguratissima rivoluzione studentesca degli anni Sessanta inalberò la bandiera dell'anti-elitismo: abbasso le élites, evviva chi le abbatte.

Confesso di non avere mai capito se gli anti-elitisti erano in verità degli scalatori con la voglia di far presto. Certo è che gli anti-elitisti di allora sono oggi ben sistemati in posti di potere e di comando. Erano, negli anni Sessanta, soltanto dei furbacchioni in mala fede? Resta il fatto che svalutando la meritocrazia otteniamo soltanto la immeritocrazia, che svalutando la selezione otteniamo soltanto la disselezione, e che attaccando il merito otteniamo soltanto il demerito e con esso il governo dei peggiori.

Che l'Italia sia un Paese profondamente corrotto è noto. Ma scoprire che si trova nella graduatoria di Transparency International al sessantanovesimo posto (per corruzione) lascia allibito anche me. Certo, non abbiamo un passato glorioso. La mafia, l'onorata società, sboccia in Sicilia, per poi risalire per tutta la penisola e diffondersi al tempo stesso negli Stati Uniti. Abbiamo anche un passato assai più lungo. In un bellissimo libro, L'Italia e i suoi invasori, Girolamo Arnaldi racconta che nessun popolo è mai stato invaso quanto il nostro. A quei tempi i barbari ammazzavano. Noi l'abbiamo quasi sempre scampata, come se fossimo dotati del genio della sopravvivenza.
O Spagna o Francia, purché se magna. Siamo, allora, di vecchissimo mestiere. Se vogliamo capire come è nato e nasce tanto odierno marciume forse conviene ripartire da qui. Quanto all'oggi, il governo tecnico di Monti è l'unica chance di salvezza che ci resta.

Giovanni Sartori

19 dicembre 2011 | 7:22© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/editoriali/11_dicembre_19/merito-e-selezione-per-salvarci-tutti-giovanni-sartori_1623b268-2a08-11e1-88bd-433b1e8e4c01.shtml
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« Risposta #81 inserito:: Dicembre 28, 2011, 10:42:11 pm »

BIPOLARISMO E PREFERENZE

Una politica a corto di idee

Forse esagero, ma è da cinquant'anni che dalla politica italiana non nasce una sola idea. Siamo partiti con il Bipartitismo Imperfetto di Giorgio Galli, dove «imperfetto» stava per dire che non c'era alternanza al potere. È sì un difetto. Ma sin da allora facevo notare che i Paesi senza alternanza di governo erano parecchi, specialmente il Giappone, che pure è stato per lungo tempo un Paese di prima fila.

Poi si è affermata l'idea che se un Paese non aveva una struttura bipolare non poteva funzionare. Per anni ho cercato di spiegare che una struttura bipolare (tipo destra-sinistra) veniva di solito da sé, che era fisiologica. Chi si prova, ogni tanto, a dichiararsi «terzo polo» è un politico spiazzato dagli eventi. D'altronde, i sistemi bipolari hanno spesso bisogno di un piccolo partito intermedio di sostegno. Come in Germania.

Qual è, allora, lo scandalo italiano? È che non abbiamo il voto di preferenza. Lo avevamo, ma a furor di popolo venne cancellato da due referendum. Non era un secolo fa, eppure ce ne siamo dimenticati. E ci siamo anche dimenticati perché non funzionò allora, e perché funzionerebbe ancora peggio se ripristinato. In passato la prassi costante, tra gli scrutatori dei seggi, era di controllare attentamente i voti di lista ma di consentire a sé stessi di aggiungere crocette di preferenza ai raccomandati del proprio partito. Oggi siamo più smaliziati. Così è ancora più sicuro che il votante non riuscirà quasi mai a eleggere chi voleva. Eppure ci crede.

In questo cinquantennio la vera novità è invece passata inosservata. Nel 1918 Max Weber scriveva un saggio, La politica come professione, che è illuminante già nel titolo, e che stabilisce una volta per tutte qual è il problema. Questo: che si è man mano consolidata e moltiplicata una popolazione che vive di politica e che non sa fare altro. Se perde il posto o le entrature nella «città del potere», allora resta disoccupato: o politica o fame. È evidente che la politica come professione è una inevitabile conseguenza della entrata in politica delle classi povere. Finché l'accesso al potere era ristretto ai benestanti, il cosiddetto «politico gentiluomo», non si faceva pagare. Non ne aveva bisogno. Ma i nullatenenti, invece, sì.
Va da sé che il politico di professione esiste oramai un po' dappertutto. Ma da noi con una virulenza inedita che ci assegna tra i Paesi più corrotti al mondo (al 69° posto).

È che da noi mancano le controforze politiche, manca un vero pluralismo politico. Il fascismo ha favorito lo sviluppo di quelle che oggi ci siamo abituati a chiamare lobbies , ovvero corporazioni di interessi economici. Dopodiché il dopoguerra ci ha restituito un sindacalismo largamente massimalista. Mentre nel 1959 i sindacati tedeschi ripudiavano a Bad Godesberg il sindacalismo rivoluzionario e da allora collaborano con le aziende, noi continuiamo il rito di inutili e dannosi scioperi.

Il punto è, allora, che lo strapotere della nostra casta di politici di professione non si imbatte in vere controforze che lo combattono. Noi siamo precipitati nel momento in cui la stupidità della sinistra, allora di D'Alema e di Violante, ha consegnato il Paese a Berlusconi regalandogli tutta o quasi tutta la televisione.

Giovanni Sartori

27 dicembre 2011 | 8:05© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/11_dicembre_27/politica-a-corto-di-idee-sartori_a4485334-3055-11e1-8f40-f15d26f90444.shtml
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« Risposta #82 inserito:: Gennaio 26, 2012, 09:06:31 am »

LA CITTADINANZA AGLI IMMIGRATI?

Una soluzione di buon senso

Non sappiamo se l'Europa verrà sottoposta nei prossimi anni a migrazioni bibliche a seguito della «primavera araba» che senza dubbio ha rotto le dighe che sinora la frenavano. Il fatto è che l'esplosione demografica dell'Africa è già avviata; e siccome gli affamati non cercano la salvezza tra altri affamati, è piuttosto ovvio che un numero sempre crescente di povera (poverissima) gente cercherà la salvezza in Europa.

È un problema, questo, che sinora abbiamo affrontato in chiave ideologica (di razzismo o no), che è un modo di renderlo insolubile o comunque mal risolto. Ma due giorni fa Beppe Grillo lo ha inopinatamente risollevato. Tanto vale, allora, ricominciare a pensarci. E avrei un'idea, una proposta.
Inghilterra e Francia sono a oggi i Paesi più «invasi» (anche per via della loro eredità coloniale) e oramai accomodano una terza generazione di immigrati da tempo accettati come cittadini. La sorpresa è stata che una parte significativa di questa terza generazione non si è affatto «integrata». Vive in periferie ribelli e ridiventa, o sempre più diventa, islamica. Si contava di assorbirli e invece si scopre che i valori etico-politici dell'Occidente sono più che mai rifiutati.

Che senso ha, allora, trasformare automaticamente in cittadini tutti coloro che nascono in Italia, oppure, dopo qualche anno, chi risiede in Italia?
Questa è stata, finito il comunismo, la tesi della nostra sinistra, sostenuta dall'argomento che chi lavora e paga le tasse in un Paese si paga, per ciò stesso, il diritto di cittadinanza. Ma non è così. Le tasse pagano i servizi (polizia, pompieri, manutenzione delle strade e simili) dei quali qualsiasi residente usufruisce e che non paga, o meglio che paga, appunto, pagando le tasse.
E vengo alla mia idea. Da sempre il diritto di cittadinanza è fondato sui due principi del ius soli (diventi cittadino di dove nasci) oppure del ius sanguinis (mantieni la cittadinanza dei tuoi genitori). Vorrei proporre un terzo principio: la concessione della residenza permanente trasferibile ai figli, ma pur sempre revocabile. Chiunque entri in un Paese legalmente, con le carte in regola e un posto di lavoro non dico assicurato ma quantomeno promesso o credibile, diventa residente a vita (senza fastidiosi e inutili rinnovi). In attesa di scoprire quanti saremo, se li possiamo assorbire o meno, questa formula dà tempo e non fa danno. Certo, se un residente viene pizzicato per strada a vendere droga, a rubare, e simili, la residenza viene cancellata e l'espulsione è automatica (senza entrare nel ginepraio, spesso allucinante, della nostra giurisprudenza).
Insisto: l'inestimabile vantaggio di questa formula è che dà tempo. Quanti saremo? Quale sarà il punto di saturazione invalicabile? L'unica privazione di questo status è il diritto di voto; il che non mi sembra terribile a meno che i residenti in questione vogliano condizionare e controllare un Paese creando il loro partito (islamico o altro). Se così fosse, è proprio quel che io raccomanderei di impedire.

Giovanni Sartori

26 gennaio 2012 | 7:33© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_gennaio_26/una-soluzione-di-buon-senso-giovanni-sartori_1d2340dc-47e6-11e1-9901-97592fb91505.shtml
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« Risposta #83 inserito:: Febbraio 26, 2012, 06:26:12 pm »

PROPOSTE PER RIFORMARE I POTERI

Presidenzialismo parlamentare

L'imprevisto governo dei tecnici ha riaperto tutti i giochi, ivi incluso quello (necessarissimo) della riforma elettorale. Difatti i maggiori partiti (Lega esclusa) si stanno già incontrando per accordarsi su una nuova legge per votare. Ma dai primi incontri sono emerse soltanto, per ora, stramberie che anch'io stento a capire. Aspettando idee migliori, è tempo di realizzare che noi abbiamo già sviluppato e stiamo già praticando un costituzionalismo anomalo che dirò «presidenzialismo parlamentare». Che non ha bisogno di essere spiegato ai lettori del Corriere perché questa formula trova nel mio collega Angelo Panebianco un inventore di straordinaria perseveranza e bravura. Il che mi consente di entrare subito in argomento.

Ripartendo dall'inizio, noi abbiamo una costituzione parlamentare «pura» il cui difetto di nascita è di essere nata nel 1948 e quindi con la paura del «troppo potere» (uscivamo da una dittatura e già si intravedeva, nel Pci, un temibile partito comunista). Questo difetto di nascita non ha creato problemi finché è durata l'egemonia democristiana; ma con la sua fine è presto diventato evidente che il nostro era un potere di governo troppo debole. Difatti il grosso dei nostri costituzionalisti da gran tempo suggerisce due rinforzi: l'adozione del voto di sfiducia costruttivo vigente in Germania (un governo non può essere rovesciato se non è già concordato il nuovo premier) e, secondo, l'attribuzione al premier del potere di cambiare sua sponte i ministri del suo governo.

Io e molti altri si accontenterebbero di queste due piccole e semplici riforme. Ma Panebianco e il gruppo al quale appartiene persegue da tempo un altro disegno: quello di trasformare il nostro sistema parlamentare in un sistema di potere presidenziale diretto e pressoché incontrollato (molto più forte del presidenzialismo americano, perché non sarebbe intralciato dalla divisione dei poteri tra esecutivo e legislativo).

Non posso illustrare qui l'intero disegno; basterà ricordarne qualche aspetto. Intanto, uno spauracchio: attenti, rischiamo di perdere il nostro bipolarismo. Ma questa perdita non dipende, se avviene, dal sistema elettorale (maggioritario o proporzionale che sia) ma semmai dalla frammentazione-polverizzazione del sistema partitico. Secondo, la dottrina del ribaltone. Un reato che non è contemplato da nessun sistema parlamentare, perché la caratteristica di questi sistemi è, appunto, la loro flessibilità e cioè di consentire cambiamenti di governo e di maggioranze. L'ultima trovata, la più recente, è di conferire al premier (togliendolo al capo dello Stato) il potere di sciogliere le Camere. Una proposta che mi sembra inaccettabile, visto che darebbe al premier un potere sui parlamentari che è davvero uno strapotere.

Tutta questa deriva verso un presidenzialismo (anzi un iperpresidenzialismo), che non è disciplinato né dalle regole del sistema parlamentare né dai vincoli del presidenzialismo americano, si riassume nel colpo di mano (avallato a suo tempo senza fiatare dal presidente Ciampi) che introdusse il nome del candidato premier sulla scheda elettorale. Per ora non è successo, ma un qualche futuro candidato potrebbe sostenere che il capo dello Stato non interviene più nel processo di nomina. Lui è già eletto capo del governo dal voto popolare e poi potrà governare vantando di essere direttamente eletto e voluto dal popolo. Un vanto infondato (il suo nome non è scritto dal votante e la scheda nemmeno consente cancellazioni). Mi auguro che il prossimo sistema elettorale cancelli anche questa pericolosa birbonata.

Giovanni Sartori

26 febbraio 2012 | 9:28© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_febbraio_26/presidenzialismo-parlamentare-sartori_e9bbde44-6049-11e1-aa87-12427cb0d5f0.shtml
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« Risposta #84 inserito:: Aprile 02, 2012, 12:06:42 am »

SCENARI DI FINE LEGISLATURA

Notturno Italiano

Il caso del rigassificatore di Brindisi, finanziato dalla British Gas, che ha atteso undici anni per i permessi; dico undici anni


L'altra notte ho sognato Monti. Mi diceva che si sentiva in difficoltà e che era anche un po' irato. Ti capisco, gli ho risposto. Ma perché mai hai proprio scelto, tra i tantissimi problemi sul tappeto, proprio l'articolo 18? Capisco che è un simbolo, in Europa e nel mondo, della rigidità del mercato del lavoro in Italia, il che scoraggia, ovviamente, gli investitori. Perché venirsi a cercare un Landini quando altrove il costo del lavoro è minore (anche molto minore) e i Landini non ci sono più? Inoltre, deferendo la questione al Parlamento rischi di uscirne azzoppato e magari anche perdente. Laddove sappiamo dai sondaggi che esistono temi popolarissimi: per esempio, una riforma della magistratura che ne aumenti l'efficienza e ancor più la velocità; una radicale ristrutturazione e depoliticizzazione della Rai; una caccia implacabile degli evasori fiscali e dei patrimoni nascosti all'estero, e così via.

Oppure scegli provvedimenti che Alfano, su ordine del suo capo, sarebbe costretto a bocciare. Dirà di no anche la Lega, visto che ha scelto la tattica dell'opposizione permanente. In tal caso la sfiducia al «governo dei tecnici» è assicurata. Monti coglie la palla al balzo e rassegna le dimissioni. Il presidente Napolitano dovrà cercare se esiste in Parlamento una maggioranza di governo alternativa in grado di funzionare. Non la troverà, o la troverà inaccettabile. Pertanto sarà costretto a indire nuove elezioni dalle quali il dimissionario Monti e il gruppo di candidati che andrà a scegliere uscirà, prevedo, trionfante.

Tra l'altro, perché i furbetti di Montecitorio e di Palazzo Madama non hanno abrogato il Porcellum (con il pretesto che la futura legge elettorale deve essere abbinata con alcune riforme costituzionali; il che non è vero, ma serve a prendere tempo). Ne consegue che una lista Monti sarebbe votata con il Porcellum e il suo smodato premio di maggioranza. Così nel mio scenario Ti troveresti a governare da solo, senza soci di coalizione e, questa volta, legittimato dalle urne.

Mi sono svegliato, e il sogno mi è parso troppo bello per diventare vero. Così mi sono rimesso a guardare i sondaggi sulla popolarità di Monti, che sono tutti al di sopra del 60 per cento fino quando si è infognato nella fossa dei serpenti dell'articolo 18. Credo che quasi tutti i lettori dei giornali abbiano visto (mentre non li ha visti, vedi caso, chi guarda soltanto i notiziari Rai o Mediaset).

Eppure anche i governi locali non solo spendono a gogò e disonorevolmente contribuiscono alla classifica mondiale della corruzione (che ci colloca al 68° posto), ma rallentano oltre il lecito e anche il verosimile i permessi di costruzioni industriali e di opere pubbliche non adeguatamente foraggiate. Valga per tutti il caso del rigassificatore di Brindisi, finanziato dalla British Gas, che ha atteso undici anni per i permessi; dico undici anni. Gli inglesi hanno ora rinunciato. Eppure l'Italia ha un disperato bisogno di sottrarsi alla servitù del solo petrolio. I Mario Monti a mesi e con le mani legate sicuramente non bastano. E questo lo dico da sveglio.

Giovanni Sartori

1 aprile 2012 | 14:21© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_aprile_01/notturno-italiano-sartori_28ca41e6-7bc2-11e1-95a2-17cafbbd8350.shtml
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« Risposta #85 inserito:: Aprile 25, 2012, 04:16:58 pm »

RADIOGRAFIA DI UNO STRANO PARTITO
 
Com'è liquido il Grillismo
 

Chiarisco subito: «liquidismo» è un termine che ricavo dal sociologo polacco Zygmunt Bauman che chiama liquide le società che cambiano troppo in fretta per restare solide. E comincio, qui, dal «partito liquido». Quando discettavo sui partiti e sistemi di partito (davvero parecchio tempo fa, il mio librone uscì nel 1976) i partiti liquidi non esistevano. I partiti importanti, allora, erano i partiti di organizzazione di massa (come i partiti comunisti, socialisti e religiosi). Poi la televisione divenne sempre più importante per la propaganda politica e così l'organizzazione divenne secondaria. A tal punto che da una ventina di anni parliamo del «partito leggero». Di leggero in leggero, siamo ora arrivati al «partito liquido» e persino alla cancellazione della parola partito. Secondo molti sondaggisti l'antipolitica, il rifiuto della politica, è ormai così profondo da costringere i partiti a non chiamarsi tali.
 
Intendiamoci: anche se travestiti i partiti esistono e devono (dovrebbero) esistere. Ma se la società liquida approda al «liquidismo», a un calderone nel quale tutto è disfatto e nulla rifatto, allora arriviamo a Grillo, che non solo è emblematico di questo processo ma che oggi ne è anche protagonista.
 
Io mi diverto ad azzardare previsioni. Su Grillo scrissi due editoriali nel settembre e ottobre 2007 nei quali notavo che il suddetto «entra in politica avendo prima creato una infrastruttura di supporto e di rilancio: internet, blog e una rete territoriale assicurata dai 224 meetups (gruppi di incontro) che in un giorno raccolsero 300 mila sottoscrittori per una legge di iniziativa popolare». Mica male, pensai. Ma la mia fu allora, ovviamente, una previsione prematura. Però oggi la «liquidificazione» della politica (vedremo alle prossime elezioni amministrative) riporta Grillo alla ribalta. Oggi, come allora, cinque anni fa, Grillo propone liste civiche spontanee «certificate» da lui (che alcuni sondaggi accreditano di percentuali alte al voto). E poi? E poi niente perché in ogni caso Grillo si dispiega soltanto nella politica che dico «orizzontale» che culmina nelle elezioni, ma non ha nessuna ricetta né comprensione sensata della politica «verticale» che partendo dalle elezioni deve creare, o anche ricreare ma pur sempre gestire, una immensa organizzazione gerarchica: appunto, lo Stato.
 
Nell'orizzonte mentale di Grillo questo potere è tutto suo. Ma non perché Grillo voglia essere un dittatore. Per carità. È che Grillo, spesso efficace nel criticare, è incapace di progettare. Quando propone le cose che sarebbero da fare, il più delle volte propone assurdità o sciocchezze. Con Grillo la politica liquefatta ci riporta all'«infantilismo politico» del quale parlava Lenin.
 
Dicevo che alle imminenti elezioni amministrative appariranno - si prevede - innumerevoli liste civiche, liste civetta e simili. Grillo, se ho capito bene, le «certificherà», dichiarerà se sono buone o cattive. O forse Grillo certificherà soltanto liste sue, liste di «grillisti». Vedremo. E vedremo a quel momento a che punto sia arrivata la «liquidificazione» della politica italiana.

Giovanni Sartori

25 aprile 2012 | 7:59© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_aprile_25/com-e-liquido-il-grillismo-giovanni-sartori_9a3bacf4-8e99-11e1-8466-78a3503db387.shtml

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« Risposta #86 inserito:: Maggio 06, 2012, 04:46:28 pm »



Lo stato anfibio funziona male

Le costituzioni ottocentesche erano più previdenti delle nostre. In genere prevedevano uno stato di necessità, di emergenza o di assedio (che in Italia il governo Facta chiese invano nel 1922 per fermare la marcia su Roma di Mussolini). Ma non è più così. Tantovero che il presidente Napolitano ha dovuto inventare, per fronteggiare un nostro collasso economico-finanziario, una sorta di «stato anfibio»: un governo tecnico, o di tecnici, che però deve ottenere per ogni suo disegno di legge l'approvazione delle Camere. Il risultato è che se il governo Monti non pone subito la fiducia i provvedimenti del governo rischiano di impantanarsi o di essere stravolti da troppe o anche contrastanti modifiche. Insomma, il «governo anfibio» funziona poco e male. Come rimediare?

Il governo Monti dovrebbe durare, dicono tutti (non so se in buona o mala fede) sino alla regolare fine della legislatura. Ma se così fosse lascerebbe, temo, molti, anzi troppi, problemi irrisolti. L'alternativa è di forzare la mano, di porre sempre, o quasi sempre, la fiducia, fino a quando non verrà negata (ed è facile pensare a una diecina di provvedimenti che Berlusconi proprio non vuole, costringendo così il suo partito a votare la sfiducia). E siccome la Lega si è data all'opposizione ad oltranza, se il Pdl vota contro il governo la sfiducia è sicura.

Tragedia? No. In tal caso Monti doverosamente presenta le dimissioni, il presidente Napolitano accerta che in questo Parlamento non ci sono, come non ci sono, credibili alternative di governo, e quindi dovrà indire nuove elezioni confermando Monti in carica «per il disbrigo degli affari ordinari». Ma in questo momento gli affari sono quasi tutti urgenti e straordinari; in questa situazione c'è poco di «ordinario». Pertanto Monti dovrà continuare ad avere, in effetti, pieni poteri di governo. E visto che i furbacchioni dei nostri partiti non hanno ancora cambiato la legge elettorale, il Porcellum, e con esso lo smisurato premio di maggioranza per il primo arrivato, è sicuro (oso spericolarmi a predire) che il primo arrivato sarà, da solo e senza bisogno di alleati, proprio Monti (che non dovrebbe avere difficoltà nell'improvvisare un partito elettorale di candidati degni e «puliti»).

Conosco l'obiezione: se non c'è Monti cade tutto, finiamo come la Grecia. Ma la realtà - nel mio scenario - è che Monti c'è sempre. Pertanto la prospettiva, per la comunità internazionale che ci sorveglia, sarà di un Monti più forte e più consolidato di quanto non lo sia oggi. Non dobbiamo aver paura di un interregno che poi è apparenza più che sostanza. Dobbiamo semmai aver paura di un Monti invischiato in Parlamento da questo Parlamento, o anche in uscita anzitempo. Semmai dobbiamo temere che nemmeno cinque anni possano bastare per rimediare al non-fatto e al malfatto degli ultimi venti-venticinque anni. La recessione, nelle sue cause, parte da lontano. E i rimedi, specie per i Paesi che, come il nostro, sono indebitati oltre ogni limite di decenza, sono difficili da trovare. Persino per i tecnici.

Giovanni Sartori

4 maggio 2012 | 7:29© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_maggio_04/stato-anfibio-funziona-male-sartori_7e6c0396-95a8-11e1-b2cf-0f42ed87ec02.shtml
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« Risposta #87 inserito:: Maggio 31, 2012, 04:33:04 pm »

LA PROPOSTA SEMIPRESIDENZIALISTA
 
Le sciocchezze e le riforme
 
In questo momento gli italiani si interessano poco o anche punto del sistema elettorale. Si interessano di sopravvivere. Eppure il sistema elettorale resta importante. Costruisce il sistema politico «vivente», i partiti (quanti e quali) e la governabilità. Finora abbiamo avuto, specie nel corso della Seconda Repubblica, cattivi sistemi elettorali, e anche per questo cattivi governi e cattivo governare. E ci teniamo ancora il peggiore di tutti, il Porcellum, impudicamente inventato per consentire all'alleanza Berlusconi-Bossi di stravincere con una maggioranza assoluta in Parlamento. Ma ora quest'alleanza che pareva inossidabile non c'è più, e le stesse sorti della Lega bossiana sono in forse. Il Porcellum resta così come una mina vagante che tutti a parole sconfessano. E allora?
 
Improvvisamente Berlusconi (che di fiuto ne ha da vendere e che non si rassegna certo a stare in panchina) tira fuori dal cappello il modello francese: un sistema elettorale a doppio turno coronato da un semipresidenzialismo (bisogna sempre specificare così, perché il presidenzialismo americano è tutt'altra cosa). Questa volta Berlusconi fa sul serio? Nessuno lo sa, forse nemmeno lui. Certo è che del modello in questione sa poco, visto che ci ha infilato dentro anche le primarie, che non c'entrano per niente ma che oggi suonano bene all'orecchio del colto e dell'inclita.
 
Il doppio turno è già, a suo modo, una primaria. È anche uno dei pochissimi sistemi nei quali l'elettore è davvero messo in grado di scegliere con cognizione di causa. Al primo turno gli elettori esprimono liberamente la loro prima preferenza. Ma al secondo turno i candidati potrebbero essere soltanto quattro (è la proposta che feci anni fa per evitare il tira e molla sulla soglia di esclusione che è oggi, in Francia, del 12,5 per cento; una soglia che scatenerebbe in Italia una furibonda reazione dei partitini). Ma è prematuro entrare in questo dibattito. Il punto è che con due settimane di tempo e pochissimi candidati, l'elettore serio ha tempo e modo di studiarli. E se non lo fa, peggio per lui: è un cattivo elettore.
 
Primarie e consimili sciocchezze a parte, quali sono gli inconvenienti del semipresidenzialismo? Il più citato è che se il presidente non vince anche la maggioranza in Parlamento, allora il «maggior potere» passa a un primo ministro che, appunto, ha la maggioranza in Parlamento. Questa eventualità viene detta «coabitazione»; e viene demonizzata da chi non vuole il sistema francese. Ma questa coabitazione è avvenuta, in Francia, due volte; e non è successo niente di tragico. D'altro canto anche i presidenti Usa si trovano sempre più spesso in minoranza nel Congresso (è il cosiddetto devided government ) e anche lì il sistema funziona lo stesso. D'altronde se la coabitazione del semipresidenzialismo spaventa, per renderla altamente improbabile basta far coincidere l'elezione del corpo legislativo con quella del presidente.
 
Ma aspettiamo a vedere se Berlusconi è serio e se Bersani non vorrà fare troppo il furbo (il premio di maggioranza del Porcellum sembra tentarlo). Forse è vero che non c'è più tempo per riforme costituzionali. Ma c'è abbondantemente tempo per una riforma elettorale che adotti il doppio turno.

 
Giovanni Sartori

28 maggio 2012 | 8:42© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_maggio_28/sciocchezze-riforme-sartori_bd39fa26-a884-11e1-9745-9bc890f97404.shtml
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« Risposta #88 inserito:: Giugno 17, 2012, 09:53:16 am »

FENOMENOLOGIA DEL GRILLISMO

Se le illusioni volano in Rete


Mi sono sempre chiesto se Berlusconi leggesse qualcosa. Finalmente ho scoperto che studia i comizi di Grillo (cito Verderami sul Corriere di sabato scorso). Studia nel senso che passa almeno un paio di ore al giorno a visionare i suoi filmati e a leggere testi del suo blog. A detta di Verderami, il Cavaliere lo ritiene «la sua brutta copia». A me non sembra, ma non importa. Importa che Berlusconi si proponga di surclassarlo e di batterlo al suo gioco. E se così fosse prenoto sin d'ora un posto in prima fila per lo spettacolo.

Berlusconi ha capito per primo la forza politica della televisione, e difatti se ne è anche impadronito. Grillo ha capito a sua volta la forza dei blog, e piano piano ha fatto breccia usando questa nuova tecnologia «povera». Ma Berlusconi è arrivato al governo, e ha governato perché ha anche costruito un partito che per quanto «liquido» e mai denominato tale, resta pur sempre un partito, mentre Grillo non costruisce niente. Dichiara a Gian Antonio Stella (su Sette dell'1 giugno): «Diventi un partito quando discuti della struttura. Non va bene. Bisogna discutere all'aperto, con i cittadini. Facciamo l'iperdemocrazia... e il Parlamento deve avere l'obbligo di discutere le leggi popolari che vengono presentate». Presentate da chi? Formulate da chi? In attesa di saperlo, il discorso poggia sul vuoto, poggia pressoché sul nulla.

Però di quel nulla Grillo è il padre-padrone. Per questo rispetto, Grillo è come Bossi, o persino più padre-padrone di Bossi (pre ictus, si intende). Il recentissimo caso di Parma è esemplare. Il nuovo sindaco è un grillino, Federico Pizzarotti. Potrà essere un bravo sindaco che farà, imparerà a fare, il mestiere «pulitamente». Ma anche a lui occorre uno staff . Così appena eletto si propone di nominare Valentino Tavolazzi direttore generale del Comune. La persona è specchiata e, a quanto pare, stimata. Ma il povero Tavolazzi si è permesso, in passato, di esprimere qualche blanda critica su Grillo. E così niente da fare: Grillo pone il suo veto e fa sapere al suo sindaco che il movimento delle Cinque Stelle lo avrebbe sconfessato. Pizzarotti ha dovuto trovare un pretesto per obbedire. Ma l'episodio è, nel suo piccolo, gravissimo.
Il grillismo, nella predicazione del suo capo, è un insieme di critiche quasi sempre ovvie e anche fondate, e di proposte che sono invece troppo spesso o sballate o imbecilli o soltanto demagogiche.

Poco male, dicevo a me stesso. Di una nuova generazione «pulita», anche se impreparata, il Paese ha molto bisogno. E il grillismo, così come ha già fatto il leghismo, potrà fornire soprattutto a livello di Comuni medio-piccoli bravi sindaci e bravi amministratori. Vedi il leghista Flavio Tosi, sindaco di Verona. Ma né Bossi né Grillo possono allevare una classe di governo. Loro sono i primi a non avere nessunissima idea delle complessità nelle quali i governi dell'Occidente si trovano oggi invischiati. Cacciare i politici «ladri», questo sì; ma portare al potere centrale brave persone che però non sanno nulla e sui quali Grillo si propone anche di comandare, questo no. So che così dicendo mi metto fuori gioco. Pazienza. Lo sono già per meriti dì età.

Giovanni Sartori

15 giugno 2012 (modifica il 16 giugno 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_giugno_15/sartori-illusioni-in-rete_8fa3dea8-b6ab-11e1-b636-304ca8822896.shtml
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« Risposta #89 inserito:: Luglio 27, 2012, 11:55:48 am »

I TECNICI E LA STRANA MAGGIORANZA

Un traballante sistema anfibio

Quando il presidente Napolitano insediò un governo tecnico (di tecnici) non era chiaro come quel governo dovesse o potesse governare. In Italia il solo precedente di un'esperienza analoga è stato il governo Dini; ma fu un caso molto anomalo. Quel governo fu indicato al presidente Scalfaro da Berlusconi (quando fu sbalzato di sella a sorpresa da Bossi), e quindi nacque come un esecutivo implicitamente di centrodestra; ma poi Berlusconi gli votò quasi subito contro (era alle prime armi) e la sinistra colse l'occasione per sostenerlo come un governo, appunto, di sinistra. Dini capì esattamente come questa strana genesi non impediva a un governo, appunto, tecnico di governare. E nei limiti di elasticità che la sinistra gli doveva consentire, governò bene. Resta il fatto che il governo Dini fu un caso a sé che non fa precedente.
Tornando a noi, Monti si è trovato d'un tratto insediato a palazzo Chigi per decisione, s'intende, del capo dello Stato, ma anche con il lieto consenso (sì, credo che fosse lieto) di un Berlusconi che si ritirava per non dover affrontare una crisi internazionale che capiva di non avere l'autorità di gestire.
In teoria Monti poteva scegliere di governare, invocando l'emergenza, per decreto e chiedendo sistematicamente la fiducia, oppure di cercare di governare in condominio con il Parlamento. Ma di fatto ha man mano scelto questa seconda via, creando così un sistema anfibio, mezzo carne e mezzo pesce, mezzo acquatico e mezzo terrestre, che ha finito per invischiarlo nei giochetti di un Parlamento che si preparava ad affrontare elezioni particolarmente difficili (per chi vuol restare). Si è detto che Monti non poteva rischiare un voto di sfiducia, e che questo spiega il sistema anfibio nel quale si è cacciato. Ma questa spiegazione non mi convince.
Uno dei ministri del governo Monti, Elsa Fornero, ha più volte dichiarato che un voto di sfiducia manderebbe tutti a casa. Ma non è esattamente così. Se Monti venisse sfiduciato, il capo dello Stato dovrebbe in primo luogo accertare se nell'attuale Parlamento esista la possibilità di governi alternativi. A me non sembra. Se così, il presidente Napolitano è tenuto ad incaricare Monti di restare in carica per il disbrigo degli affari correnti (che, vedi caso, sono e restano «grandi affari») e per gestire le elezioni. Quindi non è necessariamente vero che in tal caso la credibilità internazionale del nostro Paese verrebbe meno. Tantopiù che un Monti che gestisce le elezioni le potrebbe anche vincere. Ha certo il sostegno nell'elettorato (inclusi molti dei molti che non voterebbero) per mettere rapidamente assieme - come fece a suo tempo Berlusconi - un partito di persone nuove e credibili.
Queste sono soltanto mie congetture. Però è vero che Monti si indebolisce ogni volta che dichiara che non si ripresenterà alle prossime elezioni (s'intende come capo del governo, visto che è già senatore a vita). In politica è spesso sbagliato dichiarare anzitempo cosa intendiamo fare. Berlusconi insegna: mai scoprire le proprie carte.

Giovanni Sartori

26 luglio 2012 | 8:45© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/editoriali/12_luglio_26/un-traballante-sistema-anfibio-giovanni-sartori_ecdbe09c-d6dc-11e1-a7bb-b1b271585285.shtml
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