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Autore Discussione: Antonio PADELLARO -  (Letto 72066 volte)
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« Risposta #105 inserito:: Gennaio 06, 2014, 06:26:12 pm »

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Politici e buoni propositi: parole, parole, parole
di Antonio Padellaro | 5 gennaio 2014


C’è un articolo che meriterebbe di essere incorniciato e posto sulla scrivania di Enrico Letta a Palazzo Chigi e poi riprodotto e distribuito a ministri, viceministri, sottosegretari, vassalli, valvassori e valvassini a imperitura memoria. Lo ha scritto Milena Gabanelli sul Corriere della Sera del 31 dicembre 2013 e ha come titolo: “Tutto quello che non ha fatto la politica del ‘noi faremo’”.

L’incipit è sublime: “A fine anno, nella vita come in tv si replica. Il capo dello Stato fa il suo discorso, quello del governo ricicla le dichiarazioni di sei mesi in occasione del decreto del fare, con l’enfasi di un brindisi: ‘Faremo’. Vorremmo un governo che a fine anno dica ‘abbiamo fatto’ senza dover essere smentito”. Seguono quattro capitoletti (ben argomentati come nello stile della conduttrice di Report) sul peso delle tasse, sulla giustizia lenta, sulle difficoltà di imprese e lavoratori, sui tagli della Rai. Quattro marmorei monumenti all’inettitudine che si ammanta di virtù.

Su un punto però, cara Milena, mi trovo in disaccordo, là dove scrivi: “Come contribuente e come cittadina non m’interessa un governo di giovani quarantenni. Pretendo di essere governata da persone competenti e responsabili, che blaterino meno e ci tirino fuori dai guai”. Stai scherzando? Vuoi la loro rovina? Nel blaterare o se vogliamo nella produzione incessante di promesse su mirabolanti piani, programmi, progetti, meritori propositi e solenni impegni (per non dire dei moniti e delle severe esortazioni) che naturalmente resteranno lettera morta, costoro trovano l’essenza stessa del loro essere, la ragione prima delle loro carriere e forse anche della loro esistenza in vita. Perciò l’impulso vitale che li distingue consiste nella ricerca spasmodica di un taccuino o meglio ancora di una telecamera a cui distillare cotanto nettare. Eh sì, agili e smemorati balzano da una balla all’altra come cercopitechi nella giungla. Esistono, è vero, rari esemplari seri e responsabili ma nulla contano e infatti non li vedremo mai in tv.

L’ultima trovata di questo circo degli illusionisti sono le unioni civili riesumate da Matteo Renzi dal secolo scorso e che immancabilmente suscitano sdegnate proteste, in nome dei valori della famiglia, di quei politici che non a caso di famiglie spesso ne hanno due o tre. Viviamo in un Paese che non riconosce le coppie di fatto, che mette al bando i matrimoni gay, che limita la fecondazione assistita, che permette l’adozione solo ai coniugi dal sacro vincolo del matrimonio, che considera i single persone di serie b, che osteggia il testamento biologico e che tratta gli immigrati come bestie. Sul piano dei diritti civili siamo al livello della Spagna franchista o giù di lì. Siamo la vergogna dell’Europa civile.

Vedrai, cara Milena, che tra qualche giorno anche le unioni di fatto ritorneranno mestamente nel cassetto sostituite da qualche altra trovata truffaldina. Parole, parole, parole. Non è la canzone di Mina ma Shakespeare, Amleto, atto II. Una tragedia.

Il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/05/politici-e-buoni-propositi-parole-parole-parole/832413/
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« Risposta #106 inserito:: Marzo 06, 2014, 12:26:42 pm »

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Governo Renzi, impresentabile come il resto
di Antonio Padellaro

5 marzo 2014

L’accordo truffaldino tra un premier diventato tale con una manovra di Palazzo (privo com’è di consenso elettorale) con un partitino di scissionisti nominati dal precedente padrone realizza l’abusivismo perfetto in una democrazia ormai per modo di dire: ci prendiamo il governo e vi sequestriamo il voto, tiè. Non lo chiameremo golpe perché non c’è dramma, trattandosi di un misero gioco delle tre carte. Si strombazza l’Italicum per la Camera, ma da usare solo quando il Senato sarà abolito, forse tra 18 mesi o forse mai. Un obbrobrio mai visto, incostituzionale col botto.

Del resto, è il sogno a lungo cullato lassù sul Colle che pur di non far esprimere gli italiani ha preferito affidarsi a maggioranze artificiali (Monti, Letta) che infatti si sono autodissolte con imperdonabile spreco di tempo e di energie. Adesso tocca al fenomeno Renzi inventarsi un sistema elettorale ad personam che scandalizza perfino uno specialista come Berlusconi. Il turbo fiorentino ha la mania dei record. Cinque riforme in cinque mesi (se sono tutte così…). Due maggioranze, una per le riforme e una per i giorni feriali.

E a ben guardare, nel suo governo di governi ce ne sono tre, uno dentro l’altro come le matrioske. Il primo è quello della bella presenza: il più giovane, il più snello, il più rosa, buono per i titoli sui giornali. Il secondo è quello che conta e fa di conto. Guidato dal ministro dell’Economia Padoan, presidia via XX Settembre con un blocco di tecnici che dovranno piacere a Bruxelles e a Berlino. Il terzo è il sottogoverno degli affari e degli inciuci, quello dei sottosegretari così impresentabili che perfino Alfano è costretto a cacciarne uno (il prode Gentile). A Renzi avevamo creduto quando aveva letto il successo alle primarie del Pd come l’ultima spiaggia di un Paese giunto allo stremo. In molti abbiamo pensato: questo fa sul serio. Ora si sta giocando tutto il capitale tra pasticci e imbrogli vari. Non si dura nascondendo le elezioni in un cassetto. E per governare non basta qualche tweet.

Il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/03/05/governo-renzi-impresentabile-come-il-resto/902940/
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« Risposta #107 inserito:: Agosto 23, 2014, 05:59:09 pm »

Renzi, la solitudine di Eugenio S.

Di Antonio Padellaro | 22 agosto 2014

Forse non sbagliamo se, nel leggere l’ultimo Eugenio Scalfari, siamo portati a pensare che ogni tanto si sentirà un po’ solo. Non parliamo, per carità, dei suoi fans che sono ancora legioni, pronti a centellinare le omelie domenicali con religioso fervore. E neppure alludiamo ai colleghi giornalisti che non cessano di tributare al Fondatore il rispetto e la considerazione che merita. Del resto, se non ci fosse stato Scalfari, non ci sarebbe stata Repubblica. Ogni tanto però sorge il dubbio che, se oggi ci fosse ancora la Repubblica di Scalfari, su un punto soprattutto somiglierebbe poco alla Repubblica di Ezio Mauro: il giudizio sul governo di Matteo Renzi. Scalfari ha sicuramente una qualità (sui difetti noi del Fatto abbiamo già dato): dall’alto della barba bianca e della storia personale, può permettersi di non essere ipocrita. Se disistima qualcuno (o se non lo ritiene degno della sua attenzione), prima o poi glielo farà capire.

Rivelatore di questo stile è una piccola confidenza che mi fece Eugenio (quando ci chiamavamo per nome) a proposito dei tanti libri, spesso inutili, di autori altrettanto superflui, spesso giornalisti, che intasavano e ritengo ancora intasino gli scaffali del Fondatore, accompagnati da dediche anelanti benevolenza. Quando a Scalfari capitava di incrociare lo sguardo supplichevole di uno di questi presunti Hemingway, alla fatale domanda “direttore hai ricevuto il mio libro?”, al tapino era riservata la seguente formula standard: “Certamente, caro, e mi compiaccio con te”. Mi spiegò, se ben ricordo, che questo modo di congratularsi aveva il pregio di evitare un qualunque pronunciamento sul contenuto del tomo (che evidentemente neppure era stato sfogliato). Ma tutto col dovuto garbo e lasciando il resto alla libera interpretazione del romanziere o del saggista di turno, che infatti ringraziava riconoscente immaginando il meglio. Qualche tempo dopo mi capitò incautamente di far pervenire a Scalfari non ricordo più quale mio capolavoro editoriale e infatti di lì a poco la sua voce inconfondibile al telefono sentenziò: “Caro, mi è arrivato il tuo libro e mi compiaccio con te”.

Il motivo di questa digressione è presto detto. È immaginabile che, all’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, E. S. abbia nutrito più di una riserva sulla cultura governativa dello scout di Rignano, pur riconoscendogli, come tanti, quella vitalità caotica ma salutare degli uomini nuovi che irrompono in una situazione stagnante. La predilezione di Scalfari per Enrico Letta non era un mistero, come non lo fu il suo disappunto per l’improvvisa giubilazione del “nipote” preceduta da un mancato invito al Quirinale dove al posto dell’allora premier, considerato non certo un fulmine di guerra, ratto si presentò l’altro. Ecco, a noi piace pensare che per dare una mano al suo grande amico Giorgio Napolitano evitando sgradevoli finzioni, almeno all’inizio Scalfari abbia adottato nei confronti del nuovo arrivato l’infallibile metodo del “mi compiaccio”. Ovvero: garbo istituzionale con cauta sospensione di giudizio. Quando però Renzi ha cominciato sul serio a fare Renzi, Scalfari non si è trattenuto. Prima ha rispolverato la favola del Pifferaio di Hamelin che ammaliava le turbe conducendole dove più gli conveniva. Poi ha smontato alcuni dei capisaldi del renzismo, a cominciare dagli 80 euro e dal Senato.

Quindi, domenica scorsa, ha impartito una lezione al giovane presidente del Consiglio sulle differenze tra deflazione e depressione. Il tutto condito da un attacco finale alle riforme renziane, ipotizzando che esse mirino esclusivamente al rafforzamento del rottamatore attraverso forme rischiose di “democrazia individuale e sovranità popolare fittizia”. Definizione che ha lo stesso suono di quella “democrazia autoritaria” denunciata da questo giornale in una petizione che in un mese ha già raccolto più di 233 mila adesioni.

Non pretendiamo certo che Scalfari unisca la sua firma a quella di quei molti giuristi e personaggi della cultura che certamente stima o che gli sono amici. Non siamo ipocriti neppure noi. Si parla tuttavia di una crescente insofferenza del Fondatore per la sudditanza nei confronti di Renzi dimostrata dalla cosiddetta grande informazione, con frequenti cadute di stile e di gusto. Si dice anche che all’inizio di agosto, conversando amabilmente nella sede di Largo Fochetti sulla decadenza degli imperi nella storia, egli abbia ricordato come pur di assecondare le voglie dell’imperatore Tiberio, i cortigiani ricorressero a bassezze di ogni genere e tipo, descritte queste con dovizia di particolari. Chissà a quale giornale si riferiva. Ma, se avesse voluto dire che la libera stampa, se ancora libera, piuttosto che assecondare i governanti dovrebbe incalzarli con qualche salutare sferzata, ebbene su questo non potremmo che dichiararci d’accordo.

Il Fatto Quotidiano, 22 agosto 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/22/renzi-la-solitudine-di-eugenio-s/1096163/
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« Risposta #108 inserito:: Settembre 01, 2014, 06:33:25 pm »

Renzi, cono d’ombra

Di Antonio Padellaro | 30 agosto 2014

Con tutti i problemi che abbiamo non si sentiva proprio il bisogno di un replay di Berlusconi che fa il clown e passeggia per il cortile di Palazzo Chigi leccando un gelato. Anzi, duole dirlo, ma perfino l’ex Cavaliere avrebbe evitato di fare il pagliaccio con il governo nel bel mezzo di una crisi economica ogni giorno più devastante.

Ma, come il Pregiudicato (con il quale non a caso è culo e camicia e stringe patti segreti), Renzi pensa di fare fessi gli italiani con queste piccole armi di distrazione di massa. Non gira un euro, i negozi sono vuoti, le imprese chiudono, le famiglie affrontano il peggiore autunno dagli anni 50, ma il premier giovanotto viene immortalato mentre mangiucchia banane o si tira una secchiata d’acqua in testa.

Come dire: ragazzi va tutto benone, e se i gufi dell’Economist mi dipingono come un adolescente immaturo accanto a Hollande e alla Merkel mentre la barchetta dell’euro affonda, io ci rido sopra e fo il ganzo. Purtroppo, la bibbia della grande finanza voleva comunicargli che i grandi investitori non sanno che farsene del governo degli annunci ai quali quasi mai seguono i fatti. Dopo la figuraccia della riforma scolastica (con i centomila precari assunti da un giorno all’altro, secondo i giornali di corte) che aveva detto “vi stupirà” e che infatti molto ci ha stupito per la sua assenza, Renzi invece di chiudersi in un imbarazzato silenzio si è sparato la mirabolante riforma della giustizia civile che, venghino signori venghino, durerà la metà e mi voglio rovinare.

Se continua così, lo statista di Rignano non farà l’annunciato big bang, ma un grosso botto sì. Al gusto di limone.

Dal Fatto Quotidiano del 30 agosto 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/30/renzi-cono-dombra/1103238/
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« Risposta #109 inserito:: Settembre 24, 2014, 06:33:30 pm »


Direttore de Il Fatto Quotidiano e scrittore
Articolo 18: Napolitano, metodi da Stato di Bananas

Di Antonio Padellaro | 23 settembre 2014

Chissà come saranno fischiate le orecchie ai vari Bersani, D’Alema, Civati, Fassina, Chiti, Bindi, Cuperlo, Cofferati e ai tanti altri che nel Pd non intendono piegarsi all’editto di Matteo Renzi sull’abolizione dell’articolo 18. E chissà come si comporterà adesso la minoranza formata dai 110 deputati e senatori democratici decisa a dare battaglia nelle aule parlamentari sul Jobs Act, ma anche sulla legge di Stabilità, quando ieri sera si è vista arrivare tra capo e collo il super editto di Giorgio Napolitano.

Perché se il Colle intima lo stop ai “corporativismi e conservatorismi” che impediscono l’avvio di “politiche nuove e coraggiose per la crescita e l’occupazione” c’è poco da fare. O si piega la testa e ci si ritira in buon ordine o si prosegue la battaglia in un clima di caccia alle streghe. Perché nella lunga storia repubblicana mai era accaduto che il confronto democratico nella stessa maggioranza e nello stesso partito subisse una pressione così prepotente e su materie sensibili come i diritti e il lavoro a opera del suo stesso leader e premier in combutta con il Quirinale.

Appena la sinistra Pd e la Cgil hanno provato a dire che sui licenziamenti senza garanzie non erano d’accordo, cosa del tutto naturale, è partita la katiuscia. Con tanto di videomessaggio alla nazione, Renzi si è scagliato contro la “vecchia guardia che vuole lo scontro ideologico”, mentre con metodi da prefetto di disciplina la Serracchiani ha ricordato ai reietti “di essere stati eletti con e grazie al Pd” quando peraltro segretario non era Renzi, ma Bersani. Poiché non era bastato a fermare la fronda, ecco che scende in campo il capo dello Stato, che da tempo ha smesso i panni del super partes per schierarsi con il patto del Nazareno. Gli è andata bene quando ha spinto per la riduzione del Senato a ente inutile. Meno quando ha preteso l’elezione dell’indagato Bruno e di Violante alla Consulta. Adesso entra a gamba tesa nel dibattito interno del Pd e sulle decisioni del Parlamento. Metodi non da democrazia costituzionale, ma da libero Stato di bananas.

Il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2014

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/23/articolo-18-napoltiano-metodi-da-stato-di-bananas/1130325/
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« Risposta #110 inserito:: Febbraio 13, 2015, 02:50:19 pm »

Sergio Mattarella, l’avvocato dei misteri: “Il fratello Piersanti sbagliò”

Politica
Nel gennaio 1980 a Palermo la mafia uccide il presidente della Regione siciliana. L'inviato di un giornale del nord incontra Vito Guarrasi, incarnazione del potere che scende a patti con tutti. Quel destino tragico legato a un'ingombrante storia familiare

Di Antonio Padellaro | 9 febbraio 2015

“Non ci si comporta così”. L’avvocato Vito Guarrasi accompagnò queste parole, mi sembra di ricordare, con un colpo di forchetta sulla tovaglia ricamata, i calici vibrarono e un cameriere in giacca bianca versò ancora del Rapitalà. Poi il mio ospite sentenziò: “Piersanti Mattarella non avrebbe mai dovuto dimenticare di essere il figlio di Bernardo Mattarella”. Era il 9 o il 10 gennaio del 1980, il Corriere della Sera mi aveva spedito a Palermo per raccontare i giorni successivi all’assassinio del presidente democristiano della Regione siciliana e non sapevo cosa scrivere. Guarrasi, detto anche l’avvocato dei misteri, mi offrì l’attacco del pezzo e un pranzo indimenticabile. Ne parleremo ancora.

La pista: quaderni ritrovati e l’uomo di Cassibile
Dopo l’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella sono andato a ripescare dei vecchi appunti cercando un filo conduttore: come molti sono convinto che in fondo l’odierna apoteosi sul Colle sia cominciata con la tragedia di trentacinque anni fa. In questa storia, che come vedremo ne richiama altre, c’è qualcosa d’indivisibile e di profondamente complesso: c’è soprattutto il sangue versato e ci sono i vincoli di sangue che si agitano nel profondo di ciascun protagonista e che nessun altro è in grado di spiegare. Arrivare in Sicilia per chi ha un cognome come il mio sottoponeva sempre a un piccolo esame, sì anche questo del sangue. Dall’impiegato dell’autonoleggio alla concierge dell’Hotel delle Palme la registrazione del tesserino giornalistico comportava un’immancabile constatazione sulle origine sicule dei Padellaro. E dunque accogliendomi come figliol prodigo i siciliani si aspettavano che io naturalmente rifuggissi dai soliti luoghi comuni sui siciliani, mafia o non mafia. Eppure, sapevano benissimo che non era certo un luogo comune il killer che nella vicina via della Libertà, la mattina del 6 gennaio, festa dell’Epifania aveva ferito a morte Piersanti Mattarella, appena salito sull’auto per recarsi a messa con la famiglia. È lo stesso riflesso che ha ispirato la famosa gag di Roberto Benigni in Johnny Stecchino quando lo “zio” gli parla della piaga che “diffama la Sicilia e in particolare Palermo agli occhi del mondo, il traffico”. Molti siciliani hanno ben presente cos’è la mafia ma se ne parlano gli altri, e figuriamoci se “un giornale del nord” storcono il naso e si sentono, appunto, incompresi e anche un poco “diffamati”.

Andavo girando a vuoto per le stazioni obbligate dell’inviato a Palermo. La redazione del Giornale di Sicilia, dove colleghi assai cortesi mi fornivano ampi dettagli sul risaputo; e davanti all’ingenuità di certe domande avevano l’aria di pensare: “Ma chistu che ne vuole sapere…”. Stanze dei passi perduti dove sarei tornato il 30 aprile 1982, giorno dell’uccisione del segretario regionale del Pci, Pio La Torre. E allora mi sarei ricordato di una confidenza fattami dallo stesso La Torre. Il temutissimo Vito Ciancimino che lo incrocia nei corridoi di palazzo delle Aquile e mafiosamente gli chiede se ha bisogno di qualche favore e il collerico Pio che gli soffia in faccia: “Non ti devi permettere”. Ma questa è un’altra storia. Poi c’era il tour dai politici che accettavano di riceverti “ma naturalmente non lo scriva”: in genere mezze calzette che sui possibili mandanti dell’omicidio bofonchiavano ipotesi strampalate salvo poi rianimarsi quando finalmente il discorso cadeva sulla “politica”. Ah, la politica sospiravano con la stessa espressione trasognata di Benigni-Stecchino quando esclamava: ah mia matri. Da tempo l’Isola era considerata una specie di laboratorio di audaci strategie, tali da mettere in imbarazzo perfino Roma come, per esempio, le larghe intese Dc-Pci, formula sperimentata sotto varie forme e consacrata in Regione proprio nella giunta Mattarella. Orbene, le mezzecalzette politologhe m’intrattenevano sui marchingegni siciliani con pippe interminabili che facevo finta di trascrivere. Alla sera, esausto mi accasciavo al Delle Palme e lì tra divani e mobili liberty, nelle atmosfere di quei saloni teatro dei meeting di Joe Bonanno e dei bravi ragazzi cercavo inutilmente la trama smarrita chiedendomi: che ci faccio qui?

Avevo cercato di mettermi in contatto con Guarrasi ma con poche speranze. L’avvocato era come il Delle Palme: suggestivo ma sfuggente. Quel nome, del resto, veniva pronunciato sottovoce generalmente accompagnato da una discreta rotazione della mano destra come a dire: quello ne sa di cose… Giovanissimo aveva assistito alla firma dell’armistizio di Cassibile in qualità di aiutante del generale Castellano e si favoleggiava della sua attiva presenza in una riunione con alti ufficiali americani dove sarebbero state poste le basi del separatismo siciliano sotto la direzione ça va sans dire della mafia. Ritenuto di volta in volta riferimento della sinistra, della massoneria e di Cosa Nostra, presente nei consigli di amministrazione di 25 differenti società, anche pubbliche, consigliere di Enrico Mattei, si diceva che conoscesse la verità sul disastro aereo di Bascapè (secondo alcune ricostruzioni un attentato con bomba a bordo) dove perse la vita il fondatore dell’Eni, e che catapultò Eugenio Cefis al vertice dell’ente petrolifero. Bon vivant e accompagnato da donne bellissime, così ne scrisse nel 1976 il senatore Luigi Carraro, relatore della commissione parlamentare Antimafia: “Non c’è stato settore di qualche importanza della vita economica siciliana che non ha visto impegnato in prima persona l’avvocato Guarrasi. Non sempre però queste iniziative andarono a buon fine”. Si sussurrava che fosse più potente di Cuccia, più influente di Agnelli, più ricco di Berlusconi, più astuto di Andreotti, più segreto di Fatima. Mi chiamò una mattina, una voce cordiale: “Dottore Padellaro sono l’avvocato Guarrasi, so che mi sta cercando, sarei lieto di averla oggi a pranzo qui a Mondello”.

Il Potere: sulle tracce dei tre magnifici democristiani
Mi sentivo preparato sulle domande da fargli. Da anni seguivo le complicate traiettorie della Dc siciliana e avevo avuto modo di incontrare, oltre a Mattarella gli altri magnifici tre della giovane covata democristiana. Rosario Nicoletti, segretario del partito. Rino Nicolosi, che diventerà presidente della Regione nel 1985. Il più volte ministro Calogero Mannino, per decenni grande burattinaio della politica siciliana. Andavo da Nicoletti ogni volta che scendevo a Palermo. Uomo tormentato, non l’ho mai visto sorridere, e lacerato com’era tra intrighi e veleni di cui qualche volta mi parlava, avevo l’impressione che vivesse in una sorta di precarietà spirituale, come quei preti che hanno perso la fede ma continuano a dire messa. Di Piersanti Mattarella, infine, avevo seguito il percorso sorprendente. Una carriera cresciuta all’ombra del potente padre Bernardo, più volte ministro e grande collettore di voti e di amicizie anche compromettenti in quel di Castellammare del Golfo, nella Sicilia occidentale della mafia più spietata. Poi però, come scrive Alfio Caruso in Da Cosa nasce Cosa, “dall’oggi al domani, il figlio dell’avvocato Bernardo diventa inavvicinabile. Mattarella è dalla nascita immerso nella Sicilia del potere assoluto, eppure mostra di non avere compreso fino in fondo i meccanismi che la regolano. Ritiene che lì dove vige la legge del più forte possa essere instaurata senza contraccolpi la legge dello Stato. Gli sfuggono la portata del fenomeno, gli enormi interessi che muove, il vasto raggio delle complicità. Non capisce che lo stesso sostegno del Pci alla sua giunta, del quale lui si fa forte per sfidare i vecchi equilibri, è un chiodo in più sulla sua bara”.

Il pranzo: giri di parole, parenti e la “fedeltà” di Trinacria
“Qui a Mondello” era una bellissima dimora moresca con patio arabo e una grande terrazza con fontane e giochi d’acqua, oggi trasformata nella sede di un ristorante esclusivo. Di Guarrasi ricordo tre cose. Il tratto signorile. L’esibizione orgogliosa delle sue proprietà tra cui, amatissima, la tenuta dei vigneti di Rapitalà (dall’arabo Rabidh Allah, mi spiegò, il fiume di Allah che scorre tra i filari), adagiata là dove Camporeale declina verso Alcamo. Ma soprattutto mi colpì la particolare attenzione che riservò alla storia della mia famiglia paterna. È vero (chiese ma lo sapeva benissimo) che si era trasferita a Roma da Mazzarino, paesone vicino Caltanissetta tristemente noto per un convento di frati mafiosi che taglieggiavano i poveri contadini? Confermai. Ed ero forse parente di quel Grand commis dello Stato con cui aveva condiviso una sincera amicizia e alcune poltrone nei consigli di amministrazione? Sì, era mio zio. Poi s’informò sulla salute di mio padre, anch’egli alto funzionario. Cercava, amabilmente e malignamente, di mettere in contraddizione le mie origini avvolte, a suo dire, nella bambagia del potere con i miei articoli, sempre a suo dire, sinistrorsi, scritti per un giornale, il Corriere che non esitò a definire “comunista”. Stava rispondendo per così dire mafiosamente alla mia domanda iniziale sulle cause dell’uccisione di Piersanti Mattarella e lo faceva attraverso un ragionamento analogico e intriso di sottocultura patriarcale. Non si devono tradire le proprie origini se grazie a esse abbiamo ricevuto privilegi e benefici. E Piersanti aveva dimenticato, purtroppo, di essere il figlio primogenito di Bernardo e dei suoi voti. Così discorrendo l’avvocato dei misteri mi svelò parte del mistero.

I destini. Vite e morti misteriose: Nicolosi, Nicoletti e Mannino
Anche se sull’origine e i mandanti dell’omicidio Mattarella non tutto è stato chiarito con l’ergastolo a Totò Riina e agli altri boss della Cupola, è accertato che l’esecuzione fu decisa in seguito al tentativo del presidente di sottrarre alle grinfie degli amici degli amici gli appalti pubblici della Regione. A chi cercò di stargli accanto in quella tormentata Dc non è andata meglio.

Rosario Nicoletti, anch’egli rampollo di una potente famiglia siciliana, è morto suicida nel 1984 lanciandosi dal quarto piano della sua casa di Palermo per ragioni rimaste misteriose. Rino Nicolosi è morto divorato dal cancro nel 1998 dopo aver consegnato alla magistratura un memoriale che gettò lo scompiglio nella classe dirigente dell’epoca. Calogero Mannino è stato coinvolto in vari processi con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa ed è attualmente imputato nel processo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia. Di Vito Guarrasi, morto nel 1999, è rimasta una frase sprezzante: “I siciliani sono più furbi che intelligenti”. Per la sua storia personale e per la dignità con cui in tutti questi anni ha protetto la memoria del fratello, Sergio Mattarella è la dimostrazione del contrario.

Da il Fatto Quotidiano di domenica 8 febbraio 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/09/sergio-mattarella-lavvocato-dei-misteri-fratello-piersanti-sbaglio/1411437/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-02-10
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« Risposta #111 inserito:: Marzo 02, 2015, 12:13:13 pm »

Politica
La sinistra che rischia di aiutare Salvini

Di Antonio Padellaro | 28 febbraio 2015
Giornalista e scrittore

Piazza del Popolo. Manifestazione della Lega "Renzi a Casa “Di quanti “agenti provocatori” può disporre Matteo Salvini nella cosiddetta sinistra antagonista, visto l’impegno profuso da centri sociali e comitati di lotta per imbottire di voti i suoi già pingui sondaggi? La domanda sorge spontanea di fronte al blitz di un gruppo di attivisti del “Movimento per la casa” che ieri, a Roma, hanno occupato una chiesa in Piazza del Popolo come prologo in vista della manifestazione leghista di oggi.

Naturalmente parliamo di agenti provocatori inconsapevoli, persone mosse dalla legittima convinzione che Salvini, con le sue intemerate contro rom e immigrati, rappresenti un pericolo. Argomenti che lo stesso Salvini rovescia per dimostrare che in realtà, qui da noi, clandestini e rom spadroneggiano grazie alla complicità o alla viltà di tutti gli altri partiti.

Una tecnica che il Matteo felpato ha già sperimentato presentandosi nei campi nomadi sperando, immaginiamo, che qualcuno non resistesse alla tentazione di dirgliene (e di dargliene) quattro. Cosa puntualmente accaduta a Bologna e a Milano con supremo scandalo dei malpensanti più che mai convinti che davanti all’invasione dei barbari l’unica salvezza sia Salvini.

Ieri, il nostro ha detto che “non possono essere quattro squadristi a decidere chi manifesta e chi no”, dimenticando che lui gli squadristi se li è messi in casa, anzi in Casa Pound. Intanto lo slogan del corteo “antifascista” sarà: “Mai con Salvini mai con Renzi”. Un’altra sponda alla strategia dei due Mattei divisi nella lotta ma uniti nella ricerca ossessiva di un nemico.

‘Stoccata e fuga’ – Il Fatto Quotidiano, 28 Febbraio 2015
E' online FQ Magazine, il rotocalco a modo nostro
Di Antonio Padellaro | 28 febbraio 2015

Da – ilfattoquotidiano.it
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« Risposta #112 inserito:: Aprile 20, 2015, 06:06:08 pm »

Francesco, gli armeni e la politica a due velocità

Politica

Di Antonio Padellaro | 16 aprile 2015

In udienza da Papa Francesco (e in generale con qualsiasi papa) i politici italiani tendono a mostrarsi in estasi, tanto che le loro foto ufficiali in Vaticano sembrano immaginette sacre e si resta impressionati da tanta devozione. Ogniqualvolta poi che il Parlamento italiano osa affrontare i cosiddetti temi sensibili – dalle coppie di fatto alla fecondazione eterologa, alle norme sul fine vita –, subito schiere di reverendi onorevoli si mobilitano nel nome di Santa Romana Chiesa per impedire l’adozione di elementari diritti civili e manca poco che dicano:

Gesù piange. Davanti a tanto fervore, meraviglia non poco il silenzio con cui questi crociati alle vongole hanno accolto le minacciose parole del presidente turco Erdogan (“non ripeta più l’errore”) contro il Pontefice che ha giustamente definito il genocidio degli armeni per mano turca “come una delle grandi tragedie insieme a nazismo e stalinismo”. Ora, immaginiamo cosa sarebbe successo nel mondo islamico, con relativi anatemi e moti di piazza, se un qualsiasi premier occidentale avesse osato attaccare con analoga violenza il Gran Muftì. Qui da noi, invece, il ministro degli Esteri Gentiloni ha espettorato timide rimostranze (“attacchi ingiustificati”: caspiterina!), mentre Renzi non ha proferito verbo.

Una frase, infine, del sottosegretario Gozi, secondo cui a giudicare sullo scontro Francesco-Erdogan saranno “gli storici e non i governi”, spiega perché i jihadisti sono così convinti di farci la pelle.

Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano 16 aprile 2015
Di Antonio Padellaro | 16 aprile 2015

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/16/francesco-gli-armeni-politica-velocita/1597477/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-04-17

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« Risposta #113 inserito:: Giugno 29, 2015, 05:42:41 pm »

Scuola
Riforma scuola, il silenzio (del presidente Mattarella) genera mostri

Di Antonio Padellaro | 28 giugno 2015

Certe volte (e con molto rispetto) viene da chiedersi: ma dov’è il presidente Mattarella? Nel senso di un sommesso appello: perché resta in silenzio, perché non fa qualcosa? Attenzione, non siamo certo noi a rimpiangere i tempi del Quirinale interventista, quando Giorgio Napolitano faceva, disfaceva, suggeriva, orientava, accompagnato da una sinfonia di moniti. Ma c’è una misura in tutto e pensiamo che il pur flemmatico successore sarà saltato sulla sedia alla lettura del maxi-emendamento sulla Buona Scuola, imposto da Renzi all’approvazione del Senato con l’ennesimo voto di fiducia, prendere o lasciare.

Una legge in 25 mila parole, ha scritto Michele Ainis sul Corriere della Sera, denunciando il mostro legislativo in 209 commi e nove deleghe al governo, che in una concentrazione abnorme di poteri fa tutto lui: propone, emenda e approva. Ricordate come si stracciavano le vesti i mandarini di Re Giorgio, di fronte ai maxieccessi di Prodi, Berlusconi, Monti, Letta? Eppure, forse mai un governo aveva agito con tale prepotenza, umiliando il Parlamento ridotto a bottonificio e su una riforma che suscita timori in milioni di insegnanti, alunni, famiglie. La speranza è che Mattarella si prepari a un gesto forte che la Costituzione gli consente, quando riceverà sul tavolo questo maxisgorbio dopo il previsto sì di Montecitorio.

Non lo firmi Presidente, lo rimandi indietro. Il silenzio genera mostri.

il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2015
di Antonio Padellaro | 28 giugno 2015
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« Risposta #114 inserito:: Ottobre 28, 2015, 06:05:43 pm »

Politica
Patto del Nazareno: tutto inutile per Delrio, preferiscono Verdini

Di Antonio Padellaro | 22 ottobre 2015

Acquisterei un’auto usata da Graziano Delrio per l’istintiva fiducia che mi suscita chi riesce a governare nove figli (anche se quasi tutto il merito è della signora Annamaria) e per una frase che mi disse appena nominato da Matteo Renzi sottosegretario e suo braccio destro a palazzo Chigi. Il Fatto aveva pubblicato un articolo su certi presunti favoritismi quando era sindaco di Reggio Emilia, lui mi telefonò per smentire l’episodio e prima di salutarci disse: “Guardi che io sono una persona per bene”. Parole niente affatto scontate perché se a pronunciarle fosse stato, poniamo, Denis Verdini sono convinto che saremmo scoppiati entrambi a ridere.

Ecco, appunto, quello stesso Verdini alleato di governo, che per Renzi non è il mostro di Loch Ness sta mettendo a dura prova la tempra di combattente di Delrio, e anche l’acquisto dell’auto usata. Giorni fa, in un’intervista, l’attuale ministro delle Infrastrutture aveva condiviso con l’altro diversamente renziano Matteo Richetti giudizi molto netti su certe aperture “incompatibili” per la storia del Pd e del suo progetto democratico “totalmente antitetico al berlusconismo”. Evviva, ci siamo detti, per essere leali con il premier non occorre per forza servirsi dalla premiata (non dalla magistratura) macelleria Denis e ci siamo predisposti fiduciosi alla visione di Otto e mezzo. Dove però di fronte alle puntuali domande di Lilli Gruber e Bianca Berlinguer, il ministro ha preferito dedicarsi a una sorta di prudente semiritrattazione sull’acquisto delle bistecche verdiniane (“se ne discuterà”: caspiterina!) che ci ha ricordato un classico della materia, il terzino della Roma Garzya: “Sono pienamente d’accordo a metà col mister”.

Dia retta Delrio, le pezze servono a poco, al Giglio magico pretendono obbedienza pronta, cieca e assoluta e vedrà che il Ponte sullo Stretto lo faranno fare a Verdini.

Il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2015
Di Antonio Padellaro | 22 ottobre 2015

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10/22/patto-del-nazareno-tutto-inutile-per-delrio-preferiscono-verdini/2148392/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2015-10-22
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« Risposta #115 inserito:: Maggio 13, 2016, 05:57:31 pm »

12 maggio 2016 | di F. Q.

Il Fatto Personale, Padellaro: “Crisi informazione? Mai dare retta ai menagramo”

‘Il Fatto Personale‘ (da giovedì 12 maggio in edicola e in libreria a 12 euro, per la collana Paper First) non è un libro di memorie: è il diario di una carriera, attraverso una serie di istantanee folgoranti, ma anche una visione del giornalismo e della vita democratica in questo Paese. Antonio Padellaro ha lavorato per vent’anni a il Corriere della Sera, ha vissuto i momenti migliori di quel grande giornale ma anche i peggiori (lo scandalo della Loggia P2), poi è stato vicedirettore di un battagliero ‘L’Espresso‘ e si è impegnato nell’avventura folle de l’Unità, a fianco di Furio Colombo l’ha riportata in edicola e poi l’ha trasformata da giornale di partito in coscienza critica e movimentista del centrosinistra. Quando la convivenza con il vero editore del giornale, cioè il Partito democratico, è diventata impossibile, Padellaro è stato allontanato. Quell’Unità ha chiuso dopo poco mentre lui fondava – con Marco Travaglio e altre grandi firme, incluso Furio Colombo – Il Fatto Quotidiano. Nel ‘Il Fatto Personale’ Padellaro racconta i retroscena di un fenomeno editoriale, gli aneddoti, gli scetticismi iniziali e poi l’improvviso successo. Il racconto del fondatore e primo direttore de Il Fatto Quotidiano, oggi presidente della società editoriale Il Fatto s.p.a., non è però rivolto al passato, ma proiettato in avanti. La lezione del “Fatto”, spiega Padellaro, è che una forte comunità di lettori che reclama un’informazione più indipendente, una politica più onesta e un Paese più democratico può ottenere tutto. E cambiare le cose. In tre video-interviste Padellaro presenta il suo libro, che racconterà ai lettori in molte presentazioni pubbliche. Il 18 giugno Padellaro sarà protagonista di uno dei corsi di giornalismo della scuola di formazione ‘Emiliano Liuzzi‘, nella redazione di Roma. Informazioni e iscrizioni suwww.ilfattosocialclub.it

Intervista di Stefano Feltri (vicedirettore de Il Fatto Quotidiano), riprese Paolo Dimalio e Mauro Episcopo, montaggio Paolo Dimalio

Da - http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/05/12/il-fatto-personale-padellaro-crisi-dellinformazione-mai-dare-retta-ai-menagramo/519922/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2016-05-12
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« Risposta #116 inserito:: Ottobre 24, 2020, 07:38:32 pm »

Dubbi da Covid: prima la salute o l’economia?

Di Antonio Padellaro | 21 Ottobre 2020

Agostino Miozzo si occupa a tempo pieno di Covid, ma non è personaggio da grande pubblico pur essendo medico e soprattutto il coordinatore del famoso (e famigerato) Comitato tecnico scientifico. Forse perché non fa parte del gruppo di virologi, immunologi e scienziati a vario titolo, costantemente sui giornali e in tv, si è potuto permettere l’attacco alzo zero contro “i terroristi della comunicazione, chi alimenta scenari inquietanti distribuiti a fini di speculazione più politica”. Terrorismo da respingere “perché se si cade in una pericolosa spirale depressiva si inibisce qualsiasi forma di reazione e resilienza” (intervista al Corriere della Sera).
Giusto, ma come si fa? Dal momento che (terrorismo a parte), in parallelo alla guerra contro il Covid un’altra guerra divampa, e non meno virulenta, tra chi dice prima la salute e chi risponde no, prima l’economia.

La prima categoria è ben rappresentata dal professore, assai autorevole e ascoltato, Massimo Galli, che con una frase ha detto tutto: “Non vedo morti di fame per le strade, ma morti di malattia negli ospedali”. Sicuramente non ha torto anche se la gente non muore di fame soltanto perché sostenuta dalle robuste iniezioni di denaro pubblico (cassa integrazione, blocco dei licenziamenti, reddito di cittadinanza), che gli economisti da divano e tastiera chiamano assistenzialismo. Sul fronte opposto spicca il manifesto del filosofo Massimo Cacciari: “Ci si ammala anche di disperazione, non solo di Covid. Se l’Italia si blocca siamo di nuovo fritti…”. Sicuramente neppure lui ha torto, anche se un contagio di massa nella forza lavoro non è il modo migliore per tenere aperte fabbriche e supermercati. In mezzo c’è un governo che naviga a vista, che si barcamena, che cerca di salvare capra e cavoli, che ogni giorno misura il proprio interventismo in base ai numeri dei contagi, dei morti e delle terapie intensive. Variabili indipendenti che rendono impossibile mettere in campo una strategia perfino da una settimana all’altra. Se poi allarghiamo la visuale al Paese tutti hanno le loro ragioni a protestare. A cominciare dai gestori di piscine e palestre che (con la testa già sulla mannaia) si sentono ingiustamente perseguitati. Come se, dicono, un settore che dà lavoro a decine di migliaia di persone fosse paragonato a un parco giochi da poter chiudere tranquillamente. Quanto al terrorismo psicologico e alle speculazioni politiche, in una situazione del genere è vero fanno schifo, ma si tratta degli inevitabili danni collaterali di quella cosa che si chiama democrazia. La forma di governo più imperfetta e infelice soprattutto se chiamata ad affrontare un nemico invisibile e implacabile. Non ci sta bene? L’alternativa esiste, è il modello cinese, quello che se non metti la mascherina ti vengono a prendere a casa.

Da - https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/10/21/dubbi-da-covid-prima-la-salute-o-leconomia/5973838/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=oggi-in-edicola&utm_term=2020-10-21
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