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Autore Discussione: MONDO ULIVO (e dell'Ulivismo).  (Letto 35987 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Ottobre 30, 2008, 11:53:56 pm »

2008-10-30 20:31

In piazza torna l'Unione: Governo dialoghi.

Berlusconi: scandalosi

di Yasmin Inangiray



ROMA - Lo sciopero generale della scuola contro la legge Gelmini ha ricomposto in piazza, anche se solo per mezza giornata, il puzzle dell'Unione. A dare il loro sostegno alla protesta di studenti e professori c'era infatti tutta la squadra del centrosinistra: il Partito Democratico, con una nutrita delegazione guidata da Walter Veltroni, Rifondazione Comunista, l'Italia dei Valori, Sinistra Democratica, Verdi e Pdci. Una mobilitazione contro cui ha lanciato il suo affondo Silvio Berlusconi, che ha accusato la sinistra di avere "una scandalosa capacità di mentire sulle cose di buon senso". Messe da parte le divisioni politiche per qualche ora, il centrosinistra si è presentato compatto in piazza per mandare un messaggio chiaro al governo: no alla scuola 'modello Gelmini'. Uno slogan che, tradotto, rappresenta la premessa alla raccolta delle firme per il referendum abrogativo annunciato dal Pd e su cui c'é l'impegno di tutta l'opposizione. Un invito al governo ad "ascoltare la protesta" arriva da Veltroni.

"Per me è naturale essere qui", dice arrivando alla testa del corteo. Guai poi a parlare di riforma per un provvedimento che "contiene sono tagli al cuore del Paese". Il segretario del Pd non nasconde poi la sua "preoccupazione" per gli scontri di mercoledì a piazza Navona. Accanto a Veltroni scendono in piazza anche la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, l'ex ministro del Welfare Cesare Damiano, la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e l'ex ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni: "L'insegnamento che deve trarre il governo - dice - è che le riforme si fanno con la scuola e non contro".

Scalda i motori per raccogliere le firme contro il decreto Gelmini anche l'Idv di Antonio di Pietro. L'ex pm arriva alla manifestazione con un gruppo di deputati ingrossando le fila di chi chiede chiarimenti al governo sugli scontri di piazza Navona. Confusi tra i manifestanti ci sono poi tutti i rappresentanti della sinistra radicale. Rifondazione comunista è al gran completo. C'é il leader Paolo Ferrero, che ribadisce l'appoggio del partito per ogni protesta contro il governo con l'obiettivo di arrivare allo sciopero generale; e, in rappresentanza della minoranza del Prc, arrivano Franco Giordano e Nichi Vendola: "Con il movimento nato contro la riforma della scuola - osserva il governatore della Puglia - si è di fronte alla prima vistosa crepa dell'egemonia berlusconiana". A sorpresa e senza dare nell'occhio, in piazza del Popolo si fa vedere anche l'ex presidente della Camera Fausto Bertinotti: "Il governo non ha consenso sociale - dice guardando la folla che gremisce le strade intorno alla piazza - non basta aver domato l'opposizione parlamentare".

 La manifestazione, osserva invece Oliviero Diliberto, leader del Pdci, testimonia la "ripresa di un'opposizione seria contro il governo". Questa riforma è "un delitto", attacca l'ex ministro dell'Università Fabio Mussi, di Sinistra Democratica. Contro la mobilitazione del centrosinistra si schiera con una voce il Pdl. "Il Pd lasci in pace gli studenti", dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che però non nasconde qualche dubbio sulla tempistica del provvedimento: "Il governo - osserva il reggente di An - non ha comunicato bene e forse le cose sono state fatte troppo di fretta". Fabrizio Cicchitto se la prende invece con "la deriva plebiscitaria" del Pd per aver deciso di "indire un referendum contro il decreto", mentre Roberto Cota, capogruppo della Lega Nord, accusa la sinistra di "strumentalizzazione" 

da ansa.it
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« Risposta #31 inserito:: Ottobre 30, 2008, 11:54:40 pm »

Epifani: «Un intero Paese insorge»


Quando sale sul palco di piazza del Popolo, dal basso esplode un boato. Guglielmo Epifani, il segretario della Cgil, parla al milione di persone che sono venute a Roma per dire no al decreto Gelmini. Lui lo chiama «un'intero paese che insorge»: «State segnando una giornata memorabile – dice ai manifestanti – non solo per la scuola ma per la nostra democrazia, per il futuro del paese, per i nostri giovani. Non avevo mai visto una piazza così, forse avremmo dovuto scioglierne un'altra – dice a chi è rimasto fuori – ma probabilmente non c'è così grande da accogliere tutti».

Epifani poi si è rivolto ai giovani, a quelli che il governo chiama «facinorosi, strumentalizzati»: «Non vi pentirete di stare con noi – dice Epifani – non permetteremo che il vostro impegno sia messo in discussione da qualcuno che ha cattivi pensieri. La forza di questa piazza è la forza della democrazia ed è uno scudo per i nostri giovani. Qui c'è la maggioranza del paese che non si rassegna, che non abbassa la schiena, che non si fermerà».

Poi il segretario della Cgil parla della riforma: «Hanno chiamato in causa Obama – dice – ma lo sanno che se sarà eletto investirà 20 miliardi nell'istruzione? E lo sa il nostro governo - incalzato Epifani – che sta arrivando una crisi, che già 200 mila persone nel settore privato sono stati licenziati o in cassa integrazione e a questi si aggiungono i precari della scuola, dell'università, della sanità, dello Stato? A quanto si vuole far arrivare il numero di persone che perderà il lavoro?».

E nel discorso di piazza del Popolo non manca un richiamo all’unità sindacale: oggi sono tutti insieme in piazza, ma dall’Alitalia alla riforma dei contratti, ultimamente Cgil Cisl e Uil non sono andate troppo d’accordo: «Non scambiamo un piatto di lenticchie – dice – per la forza di questa ritrovata unità. Non divida il governo quello che le persone vogliono tenere unito». Epifani lascia la piazza con un appuntamento, quello del 14 novembre, quando torneranno in piazza gli universitari e i ricercatori. E con un appello «Il Governo apra finalmente il dialogo. Non lo deve al sindacato, ma al Paese reale per il futuro dell'Italia».

Pubblicato il: 30.10.08
Modificato il: 30.10.08 alle ore 16.05   
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« Risposta #32 inserito:: Novembre 01, 2008, 11:36:20 pm »

Arturo Parisi: Mobilitiamoci contro il Lodo Alfano



A Silvio Berlusconi non basta essere il più ricco e il più potente degli
italiani.

Vuole anche essere il più sereno.


Non appena tornato al governo la sua prima preoccupazione è stata perciò
quella di mettersi al riparo dalla giustizia sospendendo tutti i processi
che lo riguardano con una legge imposta a tambur battente.

Un'altra legge ad personam che si illude di nascondere il suo privilegio
solo perché estesa alle tre più importanti cariche dello Stato.

La Legge Alfano non ha precedenti in alcun altro Stato di diritto.
Noi siamo sicuri che la Corte riconoscerà che anche in Italia la legge è
uguale per tutti.

Secondo alcuni di fronte a questa vergogna ce ne saremmo dovuti stare
nell'attesa con le mani in mano con l'argomento che tanto siamo minoranza, e
che i referendum si fanno solo se si ha già la vittoria in tasca.

I cedimenti crescenti della maggioranza alla tentazione di approfittare di
una forza parlamentare superiore ai suoi consensi reali attraverso la
forzatura e la trasgressione delle regole democratiche e la
strumentalizzazione delle emergenze ha risvegliato tuttavia l'opposizione ai
suoi doveri istituzionali.

Assieme al contrasto nelle aule parlamentari, vanno perciò moltiplicandosi
le iniziative tra i cittadini, dalla promozione di petizioni alle
manifestazioni pubbliche di protesta.

Tra gli strumenti che la Costituzione mette nelle mani dei cittadini per
abrogare le leggi ingiuste e sbagliate il referendum resta la prima e la
fondamentale, uno strumento indirizzato in particolare alla difesa della
democrazia.

La legge sul lodo Alfano è una legge ingiusta e sbagliata che per i suoi
contenuti, per il modo nel quale è stata approvata, e per le finalità che la
ispirano, mette in causa la democrazia.

Da ulivisti che si battono tra i Democratici per la Democrazia, riteniamo
che sia perciò nostro specifico dovere aiutare i cittadini a mettere a
verbale la propria protesta e la richiesta di correzione di quello che è per
noi un grave errore del Parlamento e una colpa della sua maggioranza.

Non ci interessa chi ha preso per primo l'iniziativa, nè i motivi di questo
o di quel compagno di strada.

Quello che non possiamo accettare è che nel nostro Paese si affermi l'idea
che i potenti possano pretendere di disporre di una giustizia speciale che
li sottragga ai doveri dei cittadini comuni.

La convinzione che ci guida è infatti che rifiutare di battersi equivale ad
arrendersi, e arrendersi di fronte a questa prepotenza significa seminare
sfiducia verso la possibilità di autocorrezione che rappresenta il tratto
qualificante di una democrazia.

Per questo motivo ti chiedo di partecipare a questo impegno con le modalità
che ti sono possibili: promuovendo un banchetto per la raccolta di firme nel
tuo territorio, partecipando alle iniziative che sono già in corso,
manifestando le ragioni a favore della iniziativa sui giornali e sulla rete.

L'esperienza della raccolta di firme finora realizzata, compresa quella in
occasione della manifestazione di Roma dello scorso 25 ottobre, ci dice che
i cittadini colgono senza esitare la proposta di sottoscrizione del
referendum. Basta fargli trovare un banchetto attrezzato!

Facciamo sentire la nostra voce, lasciamo a verbale la nostra protesta, e la
nostra passione per la democrazia.
Passaparola, fai girare via email.

Arturo Parisi


Se pensi di dover accogliere questo appello, inviaci i tuoi dati riempendo
il modulo che segue ed invialo ad info@democraticiperlademocrazia.it, sarai
contattato immediatamente dal comitato e riceverai il kit per raccogliere le
firme con le istruzioni per l'uso.

...


Oppure contatta direttamente lo 06/69519224 dalle ore 10 alle ore 18 dal
lunedì al venerdì o il numero 3349521797.
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« Risposta #33 inserito:: Novembre 11, 2008, 11:54:47 pm »

Ho letto su www.ulivoselvatico.org



Cari amici, dopo essere cresciuti insieme per 6 anni, abbiamo lasciato questo sito in amicizia per portare il nostro contributo nella rete e sul territorio.
Se volete trovare qualcuno di noi in particolare, cliccate qui...

Lodes e Rowena folleggiano su SELVATICOBLOG

Sissi si esibisce su BLOPS

Massimo è un boss dell' ASSOCIAZIONE CIVICO 17

Nicola gioca su MAZAPEGUL

Roby, Solimano e Giuliano stanno su ABBRACCI E POPCORN

Bfaber ci prova con i RADICALI DI LECCO

Montepino, Graziella, Ranvit... scrivono sul vecchio sito dell'Ulivo, che si è trasformato in: IL SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO
dove ci potrete trovare un po' tutti


BUONA NAVIGAZIONE A TUTTI E... NON DIMENTICATE:  NON PERDIAMOCI DI VISTA

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« Risposta #34 inserito:: Dicembre 03, 2008, 07:20:54 pm »

Il dialogo con i radicali e la lezione di Murri 


• da Europa del 3 dicembre 2008, pag. 7


di Pier Paolo Segneri

L’interessantissimo e stimolante articolo di Angelo Bertani, pubblicato venerdì 28 da Europa, invita tutti ad una riflessione profonda e ci spinge a discutere in modo alto sulla presenza dei cristiani in politica. È un invito che raccolgo volentieri perché la ritengo una possibilità di dialogo da non far cadere nel silenzio. La discussione è imprescindibile e, inoltre, si ricollega a doppio filo con quello che ha scritto Chiara Geloni nell’editoriale in cui parlava di discriminazione e di gay, ovvero il riflesso della Chiesa nel «dire no a una cosa per paura che poi ne succeda un’altra».

Ebbene, da Saragat a Ugo La Malfa, da Luigi Einaudi ai liberali di sinistra, l’alleanza laica con la linea politica degasperiana del 1948 o quella del centrosinistra di Aldo Moro nel 1963, è sempre stata, per i democratici, una scelta strategica irrinunciabile e, ancora oggi, liberale.

A volte, come si può comprendere, è necessario fare un passo indietro nel tempo, se si vuole compiere un balzo in avanti verso il futuro. Bisogna allora tornare con la memoria all’inizio del Novecento e ripercorrere, per un istante, l’esperienza politica di Romolo Murri. Mi sembra doveroso. Anche per meglio comprendere, oggi, il rapporto tra i radicali di Marco Pannella e il Partito democratico.

Il fondatore della Democrazia cristiana, don Romolo Murri, fu anche il maestro di don Luigi Sturzo. Non un prete qualsiasi, dunque, ma il capostipite e l’ideatore, cento anni fa, dell’impegno organizzato dei cattolici e dei cristiani in politica. Insomma, Murri si inserisce appieno nell’attualità dei Democratici perché giunse a dare una spinta riformatrice agli ambienti ingessati e conservatori del cattolicesimo intransigente. La storia ci racconta e ci insegna che quell’insigne marchigiano venne eletto in parlamento, nel lontano 1909, proprio dai radicali e dai socialisti. In altre parole, trovò uno spazio di azione politica lì dove regnavano le libertà di coscienza, di pensiero e di parola. La storia ci ricorda che militò attivamente nel gruppo radicale e che difese sempre una profonda visione cristiana della vita da tutti i pregiudizi del potere ideologico o dogmatico. Insomma, nell’Italia liberale di Giolitti e di Sormino, il fondatore della Dc fu anche radicale. Una specie di "doppia tessera" ante litteram. Un precursore che restò vittima, per usare le parole di Federico Orlando, «dell’infinita ferocia dei valori». E venne sconfessato, poi sospeso dal sacerdozio, quindi scomunicato. Altri tempi. Davvero? Speriamo. Non credo che quella storia debba ripetersi. Le obsolete contrapposizioni tra laici e credenti o tra laicità e religiosità rappresentano male un dualismo ideologicamente distorto e già ampiamente superato dallo stesso Murri. Perché sono differenze dettate da una falsa dicotomia che non ha più ragione di persistere. È arrivato il momento di rimuovere gli ostacoli che impediscono il superamento di certe incomprensioni filologiche e lessicali. È arrivato il momento di avviare, almeno intorno e dentro il Pd, un dialogo inclusivo che raccolga il senso dell’universalità degli uomini. Al di là degli steccati, oltre gli ideologismi.

L’idea dei radicali è ancora oggi la stessa: quella di un partito democratico che sappia essere laico nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine, senza discriminazioni e senza veti. Questa - tra l’altro - è l’idea centrale su cui si fonda il progetto politico della Rosa nel Pugno.

A tal proposito, Romolo Murri, un secolo fa, scriveva: «A chi mi chiede la mia posizione politica, io rispondo che sono democratico e radicale: a chi mi chiede la mia fede, io rispondo che sono cristiano... Ma si può aggiungere che, anche considerato questo aspetto, interiore e religioso, la democrazia ripudia un’etichetta confessionale, in quanto è così spesso priva di ogni contenuto di religiosità vera e quindi essenzialmente antidemocratica».
 
da radicali.it
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« Risposta #35 inserito:: Dicembre 10, 2008, 10:53:35 am »

10/12/2008
 
Non ci sarò al caminetto del Pd
 
ARTURO PARISI
 

Mentre l’eventuale lettore mattutino legge questa nota, da qualche parte della sede centrale del Pd è riunito un caminetto che dovrebbe definire la posizione del partito circa la sua collocazione politica in Europa. È una riunione alla quale son stato gentilmente invitato e tuttavia una riunione alla quale non ritengo di poter partecipare. Non certo perché condivida il giudizio di quanti considerano il tema ozioso, e in parte secondario. E neppure perché dopo la sottoscrizione di Fassino del Manifesto politico del Pse, in quanto segretario dei «dissolti» Ds, e il successivo altolà di Rutelli in quanto presidente della «dissolta» Margherita contro una «confluenza nel Pse» senta il dibattito pregiudicato da un passato che pensavo superato.

All’opposto, la mia assenza vuole sottolineare ancora un volta che un caminetto può anche essere un luogo adatto per istruire un tema di questo rilievo, ma non è un caminetto al quale può essere affidata neppure in via ipotetica nessun orientamento al riguardo. Se il Pd vuole essere all’altezza della pretesa sua radicale novità, e non invece finire per proporsi come la continuazione di un passato o la proiezione di un altrove, l’unico modo per assumere una scelta di questo rilievo è a partire da un largo confronto sulla nostra idea e solo sulla nostra idea di Europa. Se il Pd vuole scegliere il suo futuro in modo libero e spregiudicato l’unico luogo è un organo capace di assumere decisioni politiche forti perché assunte con la forza della democrazia dalla comunità dei suoi aderenti.

Purtroppo di questo organo il Pd, se non per decisione certo per responsabilità del suo segretario, non dispone più e forse non ha mai disposto. Non è certo la direzione, la mitica direzione del 19 dicembre prossimo, in vista della quale Veltroni ha lanciato la sua ennesima sfida contro i suoi anonimi oppositori. Illuminante al proposito un’intervista di quattro giorni fa di Rutelli, proprio quella nella quale rinnovava il suo altolà al Pse in nome di un «noi» che immagino riconducibile alla «dissolta» Margherita.

All’intervistatore che gli chiedeva se «alla prossima direzione ci sarebbe stata una resa dei conti» Rutelli rispondeva: «Walter Veltroni è stato scelto da due milioni e mezzo di cittadini che lo hanno votato alle primarie solo un anno fa. Le pare possibile che lo possano mettere in minoranza duecento dirigenti di partito?». Il fatto è che Rutelli ha ragione. Peccato che «i duecento dirigenti di partito» siano, appunto, la Direzione del Partito.

Ecco la prova provata delle ragioni degli Ulivisti e della sospensione della democrazia nel partito, la vera questione morale, quella del Pd, non quella berlingueriana degli ex comunisti, una questione assolutamente politica. Ne riepilogo l’origine. Prima Veltroni si fa incoronare dalle primarie, non con un voto disgiunto diretto, ma in connessione alla contemporanea elezione dei delegati di un’Assemblea Costituente. Poi scioglie di fatto l’Assemblea Costituente e la sostituisce con una Direzione da lui nominata. Considerata, come dice Rutelli, l’assenza di legittimità di questo organo, rivendica l’esclusività del suo potere di direzione. Cosa si direbbe se questo invece che in un partito fosse successo nello Stato? Ecco perché ogni sfida a contarsi nella Direzione è la sfida a una conta impossibile e quindi prova dell’assenza di democrazia nel partito. Ecco perché mai nessuna scelta forte e nessuna scelta veramente nuova potrà essere adottata dal Pd: né a riguardo della scelta europea e neppure riguardo a nessun’altra scelta cruciale.

Possiamo continuare così?
 
da lastampa.it
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« Risposta #36 inserito:: Dicembre 23, 2008, 06:41:37 pm »

Auguri, per una sinistra di cultura e unità


di Davide Nota

Sarebbe stato questo il mio intervento all'Assemblea "Per la Sinistra" del 13 dicembre a Roma. Non avendo fatto in tempo a prendere pubblicamente la parola, lo traduco in lettera d'augurio e condivisione.


Cari tutti,
sono un ragazzo di ventisette anni e sono un redattore del Portale di Poesia e Realtà “La Gru”, che è una e-fanzine di cultura letteraria e politica che si sta occupando non poco del tema de “La rinascita della sinistra”, in ultimo con una intervista a Nichi Vendola che abbiamo titolato “Una sinistra di poesia e realtà”.

Vorrei qui pubblicamente porgervi la mia testimonianza, che è quella di un giovane poeta, umiliato (come tantissimi altri giovani poeti) da una Polis che non ci contempla né desidera, ed è anche quella di un neo-laureato, costretto (come moltissimi altri neo-laureati) al mondo del “precariato radicale” e dello sfacciato sfruttamento del capitalismo post-moderno, che al di là della nozione giornalistica solitamente si traduce, nel corpo vero e vivo del soggetto individuale, in una sottile e lancinante forma di depressione, e nella consapevolezza di non poter essere altro, nel contesto della attuale Polis, che un inutile e non significante “corpo senza posto”, un soggetto senza relazione, senza comprensione e senza comunità, una vita che davvero, oggettivamente e materialmente, non trova, non sta trovando, alcun diritto alla realizzazione, allo sviluppo, insomma alla "esistenza".

Il ministro Castelli, dalle poltroncine di Annozero, ha detto molto chiaramente, rispondendo in questo modo al dramma di una giovane laureata in Lettere, che l'Italia ha bisogno di tecnici e non di letterati.

Ecco, io credo che anche a partire da queste piccole sfumature sia possibile e doveroso oggi rappresentare una "diversità culturale", davvero una diversità "antropologica”, dalla destra, dalla insensibilità della destra, che tra ipocrisie clerico-fasciste e pragmatismo egoista da libero mercato, ha fondato e imposto il proprio tempietto di disumani valori.

Io credo che la nuova Sinistra, una nuova Sinistra di popolo, si fondi a partire da una ritrovata e condivisa, "altra" sensibilità.
Io vi porgo insomma il mio sogno di una Sinistra umanista e non tecnocratica, capace di raccogliere le migliori eredità intellettuali e sentimentali della nostra storia, da Antonio Gramsci a Pier Paolo Pasolini, da Arthur Rimbaud a Guy Debord: una Sinistra capace di intraprendere una lotta culturale per la vita, contro l'egemonia ideologica della “Società dello spettacolo” e delle sue conseguenze reali e quotidiane, nella vita individuale d'ogni giorno, nelle nostre esistenze “separate” dalle esistenze dei nostri fratelli e compagni, nella nebbia di indifferenza e alienazione nella quale si stanno svolgendo le nostre sconfitte personali e collettive, generazionali e storiche.

Qui è il diritto alla speranza che ci viene negato, e cioè il diritto a poter sognare una Città nuova, fondata sulla nozione di “uomo” e non su quella di “ruolo”, sulla nozione di “comunità” e non su quella di “catena di montaggio”.
Insomma, porto qui il nostro slogan: una "Sinistra di poesia e realtà", e cioè una Sinistra di utopia e responsabilità, che il proprio "straccio rosso", e di tutti gli altri colori del mondo, torni a sventolare al vento della nuova Storia, sopra i detriti del nuovo sfruttamento industriale e dello sbando esistenziale, sopra i residui della crisi del Neo-liberismo globale, come simbolo di rinnovata passione e speranza, come simbolo di ritrovata, e battesimale, "Unità".
 
Essere di Sinistra significa per me far parte di questo movimento aggregativo di soggetti, che crede nell'uomo come fine e nell'economia come mezzo.
E non nel contrario.

Semplice, semplicissima, forse banale intuizione: ma credo che occorra partire da queste primordiali parole d'ordine per ricominciare a proporre la nostra visione alternativa del mondo, così limpidamente eretica e così anche potenzialmente maggioritaria.
La crisi della favola del liberismo, il potenziale collasso dell'ideologia stessa del capitalismo globale e delle destre mondiali, induce il Palazzo ad un travestimento spudorato quanto vincente.

Mentre la Sinistra si vergogna solo di sussurrare parole che possano sembrare "di sinistra", le stesse parole le grida ipocritamente la Destra, che infatti vince, stravince: egemonizza.

Ho già scritto in un intervento titolato "Se la destra cita Gramsci", rilanciato anche sul blog di "Rifondazione per la Sinistra", di "un progetto che consiste nella “neutralizzazione” delle radici culturali, novecentesche, della Sinistra italiana”, e di “una continuativa azione di disinformazione storiografica e dequalificazione terminologica”.

Proposi, e rilancio ora la proposta per il nuovo anno, delle tavole rotonde della “sinistra culturale”.

Scrittori, intellettuali e giornalisti, assieme a politici “illuminati” della Sinistra: ci si riunisca, ci si riconosca, si riorganizzi una risposta strutturata e di amplio respiro, che coinvolga ed attraversi tutte le diverse forme di comunicazione e di diffusione del pensiero. Si ricostruisca, insomma, una “rete” culturale della sinistra italiana.

Insomma, giungo al termine di questo provvisorio e disordinato intervento: la sinistra muore se muore la sua "cultura", la sua "visione".
E muore, anche, se perde la sua capacità comunicativa, e di "diffusione culturale", e di "aggregazione" attorno ad una costellazione di "valori" condivisi e alternativi.

Quindi, certo: c'è bisogno di tecnici. Di scienziati.

Ma innanzitutto abbiamo credo bisogno di ricostruire una grande famiglia, una vera Comune sentimentale, che condivida ansie e speranze, emozione e intelletto, marxismo eretico e nuovo umanesimo, cristianesimo socialista e passione illuministica per la verità.

L'umile ed onesto paese, di cui parlava Pasolini, non si è dissolto: semplicemente sta attendendo la sua nuova casa.
Il mio augurio, per il 2009, è quindi un agurio di Unità.

Che questa casa insomma si abiti davvero: si viva, si condivida.

Per cambiare l'Italia, per provare a cambiare il mondo, ma anche per sentirci tutti quanti un po' meno soli.

da sinistra-democratica.it
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« Risposta #37 inserito:: Gennaio 09, 2009, 04:51:37 pm »

7 gennaio 2009, 19.59.57

L'amarezza degli ulivisti


 
Riportiamo una notizia d'agenzia che esprime il pensiero di Arturo Parisi sull'iniziativa di referendum dell'Italia dei Valori contro il Lodo Alfano.
Come molti di voi sapranno, oggi una delegazione dell'Italia dei Valori ha depositato in Cassazione (guarda il video: referendum, un dovere civile) le firme per il referendum. Firme raccolte in tutta Italia. Firme per la libertà. Firme per la democrazia. Firme per rendere "tutti uguali di fronte alla legge".
Il pensiero di Parisi ci lusinga e ne condividiamo gran parte delle parole che sono espressione degli italiani che appartengono al popolo della democrazia.


Testo agenzia:

"Dobbiamo rinnovare purtroppo la nostra amarezza per la decisione dei dirigenti del Pd di non prendere parte all’iniziativa" per promuovere un referendum contro il Lodo Alfano. Lo scrive Arturo Parisi in un articolo che sara' pubblicato domani sul Riformista. Parisi sottolinea che oggi Di Pietro ha consegnato in Cassazione "le firme di più di un milione di cittadini che chiedono l'indizione di un referendum per l'abrogazione del Lodo Alfano. Questo risultato - aggiunge - premia certamente l'impegno politico e la capacità organizzativa dell'Italia dei Valori che di questo referendum e' stato da subito il primo promotore.

Di questa iniziativa gli ulivisti che all'interno del Pd si battono da "Democratici per la Democrazia" hanno condiviso da subito lo spirito e l'idea. Ad essa hanno partecipato con convinzione incoraggiando i democratici a prender parte ai comitati che si sono costituiti nei diversi territori, promuovendo essi stessi la raccolta delle firme, e ancor più sottoscrivendo la richiesta senza alcun riguardo alla connotazione partitica degli organizzatori".

"I cittadini hanno risposto - continua l'ex ministro - e tra essi in prima fila gli elettori democratici. Il risultato di oggi e' perciò per noi già di per sé una vittoria della democrazia". "Mentre condividiamo con Idv e con le altre forze che a questo fine si sono spese la soddisfazione per questo risultato - prosegue Parisi - dobbiamo rinnovare purtroppo la nostra amarezza per la decisione dei dirigenti del Pd di non prendere parte alla iniziativa. Non si può riconoscere nella uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge un principio inderogabile della nostra Costituzione e rifiutare una iniziativa con l'argomento della possibile sconfitta.

Rifiutare di battersi e' già di per sé una sconfitta. Rifiutare di continuare la lotta su una questione che in Parlamento abbiamo denunciato con parole quanto mai severe, equivale a trasformare una sconfitta provvisoria in una sconfitta definitiva".
"Come dicemmo fin dall'inizio - aggiunge Parisi - anche a proposito della discutibile e discussa iniziativa di Piazza Navona, non si può alimentare l'indignazione per le forzature e la torsione antidemocratica impressa da Berlusconi al nostro sistema politico e poi non dar seguito a questo con una azione adeguata all'interno delle istituzioni. Non si possono spingere i nostri elettori nelle piazze e avanti ai banchetti e lasciarli poi da soli o in mani altrui. Se una domanda non trova risposta nelle istituzioni, prima o poi la cerca fuori di esse. L'istituto referendario e' stato pensato dai nostri costituenti appunto per questo. Per questo il risultato di oggi - conclude - e' una vittoria della democrazia".

da Italia dei Valori
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« Risposta #38 inserito:: Gennaio 12, 2009, 09:26:47 am »

Il retroscena

Renato, l'ulivista sulle orme di Prodi che Silvio vuol «soffocare nella culla»

L'obiettivo del Cavaliere: evitare cambi di scenario nell'opposizione
 

E' vero che Romano Prodi non ha più parlato di politica interna, da quando ha lasciato Palazzo Chigi. Ma ciò non vuol dire che abbia smesso di interessarsene. C'è traccia dei suoi recenti colloqui riservati con Renato Soru nell'intervista che il governatore della Sardegna ha concesso all'Espresso.
Su Soru la profezia di Francesco Cossiga risale a un mese fa, quando si disse «sicuro che il mio amico Renato punta a sbarcare a Roma». Ma ciò che l'ex capo dello Stato racconta oggi è se possibile ancor più interessante, perché, confermando recenti «contatti diretti» tra il governatore dimissionario e Romano Prodi, svela i contorni della sfida all'interno del Pd: «Sia chiaro, Soru gioca in proprio — dice Cossiga — ma non solo è appoggiato da Arturo Parisi. Il gioco politico, tutto incentrato sull'ulivismo, interessa anche Massimo D'Alema». Lo scenario è suggestivo. E gli indizi nell'intervista all'Espresso lo alimentano. Quel riferimento di Soru al modo in cui andò in crisi il governo Prodi riporta a un battuta che il Professore fece al segretario del Pri, Francesco Nucara: «Non è stato Clemente Mastella a farmi cadere ». Proprio quanto ieri il prodiano Barbi ha esplicitato: «Quando Walter Veltroni, da leader del Pd, parlò di una nuova stagione politica, diede una spinta determinante alla fine del governo di Romano».

LA DC O L'ULIVO - Ma c'è di più. L'esaltazione dell'Ulivo fatta da Soru evoca una confidenza che Prodi affidò poco prima della crisi a un altro esponente dello schieramento avverso, l'attuale ministro Gianfranco Rotondi. Allora Rotondi criticò il premier, ormai vicino alla caduta: «Hai commesso un errore, Romano. Tu dovevi rifare la Dc».
E Prodi — secondo il racconto del dirigente di centrodestra — gli rispose: «Questo tema fu motivo delle mie incomprensioni con il cardinal Ruini. Anche Kohl mi suggerì la stessa cosa: "Va tutto bene, ma devi rifare la Dc". Così mi disse: "Devi rifare la Dc, costruire un nuovo Chi è centro che poi si allei con la sinistra". Tutti reputavano dovessi fare una cosa in cui non credevo ». Prodi puntava invece «sull'Ulivo », proprio come oggi fa Soru. Lo schema è simile a quello del Professore, al punto che è stata riesumata la bandiera dell'antiberlusconismo.

SOTTO OSSERVAZIONE - Il governatore sardo sapeva che il Cavaliere l'aveva messo sotto osservazione, arrivando a testarne le potenzialità di leader nazionale con sondaggi riservati. E se la scorsa settimana il premier aveva deciso di sfidarlo apertamente è perché — come ha riferito un autorevole ministro forzista — «Silvio vuole politicamente soffocarlo nella culla». Insomma, vorrebbe evitare un cambio di scenario in corsa: preferirebbe tenere gli attuali equilibri nel rapporto maggioranza-opposizione. Il punto è se davvero il Cavaliere — come ha annunciato giorni fa — passerà «tutti i prossimi fine settimana a far campagna elettorale» per le elezioni sarde. È «sorpreso» Cossiga: «Si tratta di una mossa azzardata». Certo, nell'isola, alle Politiche di quest'anno, la coalizione di centrodestra (senza l'Udc) ha battuto l'alleanza guidata da Veltroni: 43% contro 40%. Ma alle Regionali del 2004 Soru vinse con dieci punti di vantaggio, e ancora oggi nei sondaggi ha il più alto indice di gradimento tra i sardi, mentre lo sfidante Ugo Cappellacci è poco conosciuto. Ci sarà un motivo quindi se Berlusconi in Sardegna — al contrario di quanto decise per l'Abruzzo — ha accettato l'intesa con Pier Ferdinando Casini senza chiedergli di entrare nel Pdl... «Se mi impegno io, vinciamo », assicurava nei giorni scorsi il Cavaliere. Ma nei test riservati che ha preso ad analizzare, i «venti punti di vantaggio» su Soru — annunciati ieri — per ora non si tradurrebbero elettoralmente a favore del suo runner. La grande sfida si deciderà nei piccoli numeri, con le liste locali. In Sardegna il territorio è per gran parte controllato dal centrosinistra, sebbene Soru abbia «un problema» secondo Cossiga: «Prodiano di complemento, Renato è sostenuto da pezzi della Dc d'antan. Ma da giovane credo votasse socialista, certamente non sardista. Per questo il Psd'az si è schierato dall'altra parte». Psd'az e Udc insieme fanno sette punti percentuali, al fixing delle Politiche 2008. Un buon bottino di partenza per il premier, che tuttavia non sembra più del tutto convinto di gettarsi personalmente nella mischia. E comunque, «Berlusconi versus Soru» — alla luce dei contatti tra il governatore uscente e Prodi — richiama alla mente i duelli tra il Cavaliere e il Professore. Il modo in cui Soru ha attaccato ieri il premier («i problemi dei giovani non si risolvono con le barzellette») ha ricordato le stilettate del fondatore dell'Ulivo. «Ci sarebbe voluta una sala più grande», ha replicato Berlusconi giungendo alla convention di Cagliari: «Serviva una sala più grande per una Sardegna che vuole tornare a ridere ». Perché questo è il difetto di Soru, secondo il Cavaliere: «È sempre cupo, scostante», ha detto a Giuseppe Cossiga. E il sottosegretario alla Difesa, sardo come Soru, ha risposto: «Presidente, qui sono sardi, mica brianzoli».

Francesco Verderami
11 gennaio 2009
da corriere.it
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« Risposta #39 inserito:: Gennaio 24, 2009, 04:34:24 pm »

24/1/2009
 
Il dopo Prodi e il futuro dell'elefante

 
 
MIGUEL GOTOR
 
E’ trascorso un anno dalla caduta del governo di Romano Prodi, ma sembra un secolo. Oggi, come persino la moglie del presidente del Consiglio ricordava ieri sulla Stampa, il quadro politico del centro-sinistra appare attraversato da una profonda crisi di fiducia e di prospettive, che ci consegna un Partito democratico isolato, incapace di tonificare il proprio elettorato e di aggregare nuovi consensi, in sofferenza per l’iniziativa di Di Pietro, che sulla carta avrebbe dovuto essere il suo principale alleato. Se per un attimo guardiamo, senza alcuna nostalgia, a quella che fu la Sinistra arcobaleno, non scorgiamo altro che pulsioni scissionistiche, lo spettro di ulteriori e inutili frammentazioni e i soliti onirismi comunisti che non preannunciano nulla di buono.

La principale emergenza deriva da una constatazione: il centro-sinistra, orfano di Prodi, che per due volte ha sfidato Berlusconi e per due volte lo ha battuto, è oggi privo di una leadership credibile, in grado di reagire alla sconfitta e di affrontare il futuro con qualche speranza di successo. Più per demeriti propri, come spesso accade, che non per le qualità altrui. L’errore più grave di Veltroni non è stato solo quello di avere prosciugato, con un paio di mosse ben azzeccate, il coefficiente di alleanze del Pd, facendo di quel partito un elefante immobile e rissoso, a paradossale vocazione minoritaria. No, la sua principale responsabilità è stata di avere perduto l’occasione, forse irripetibile, di fondare, insieme con un nuovo partito, anche una nuova classe dirigente, che avrebbe avuto il tempo di crescere dentro e fuori il Parlamento e di prepararsi gradualmente alle nuove sfide con il centro-destra.

Una recente ricerca dell’associazione Itanes sui risultati delle ultime elezioni ha mostrato come la maggioranza degli elettori disponibili a votare la sinistra radicale si siano rifugiati nell’astensionismo; una parte non piccola ha risposto all’appello al voto utile di Veltroni, altri si sono affidati agli umori populisti e giustizialisti del partito Di Pietro. Ma al di là dei numeri, un dato politico sembra chiaro: il segretario del Pd Veltroni, o chi eventualmente lo sostituirà dopo la probabile sconfitta delle europee, non sarà anche il leader della coalizione che dovrà competere con il centro-destra alle prossime elezioni politiche. Il Pd per resistere sulla soglia del 30% dovrà fare il pieno di voti alla sua sinistra, oltre a riuscire a tenere i suoi.

Le analisi delle elezioni del 2008 dicono che Veltroni non è riuscito a prendere un solo voto al centro, e che il suo risultato è stato il frutto, al di là della retorica del correre da solo, di una sostanziale fedeltà degli elettori dei Ds e della Margherita, di una crescita contenuta, limitata però alle sole regioni «rosse», e di un cospicuo travaso di voti dalla Sinistra arcobaleno: è una tendenza storica che non si vede come possa essere invertita e che certo il Pd non sta dimostrando di avere la capacità di modificare. L’impressione di fondo è che al centro-sinistra serva un nuovo «federatore», una personalità terza che non sia espressione del vecchio quadro partitico, ma sia in grado di raccogliere il sostegno del Pd e quello del centro moderato e che approfitti della favorevole condizione - che Prodi mai ha avuto in sorte - di una sinistra radicale ridotta ai minimi termini parlamentari.

Serve, dunque, una personalità nuova, post-ideologica, post-novecentesca, che non guardi alla storia del proprio Paese dandogli le spalle, con la testa rivolta all’indietro, ma al suo futuro. Una figura che sia capace di presentarsi con una narrazione originale e credibile, in grado di parlare all’Italia che lavora e di immaginare il profilo di una nuova sfida basata sul riconoscimento delle tante professionalità e dei numerosi talenti presenti nel Paese. Oltre il cinismo e il disfattismo di questi tempi, oltre l’onda dell’antipolitica predominante che, come i fatti dimostrano, ha favorito e continua a favorire la destra. Per i prossimi dieci anni, come suggerisce Veronica Lario? Non è affatto detto.

da lastampa.it
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« Risposta #40 inserito:: Marzo 10, 2009, 11:45:49 am »

Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
Parigi, 26 agosto 1789


Fu approvata dall'Assemblea Nazionale il 26 agosto del 1789 e costituirà anche il preambolo della Costituzione liberale del 1791), la Dichiarazione è ancora oggi il fondamento giuridico di tutte le costituzioni delle democrazie occidentali.

Ricalcata sulla Costituzione degli Stati Uniti d'America, la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, è la summa del pensiero illuminista da Montesquieu a Voltaire, da Diderot a Rousseau.

I punti salienti della Dichiarazione sono la libertà di pensiero, di parola e religiosa; l'importanza della Legge (scritta) e l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte ad essa; il diritto alla proprietà e alla sicurezza; la resistenza all'oppressione perpetrata dai governi sul popolo; il dovere di ogni amministratore di rendere conto all'intera società del proprio operato; la democrazia fiscale.

26 agosto 1789


I Rappresentanti del Popolo Francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei princìpi semplici e incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti.

In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:



Articolo 1
Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.



Articolo 2
Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.



Articolo 3
Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.



Articolo 4
La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge.



Articolo 5
La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.



Articolo 6
La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.



Articolo 7
Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla Legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole.



Articolo 8
La Legge deve stabilire solo le pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata.



Articolo 9
Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.



Articolo 10
Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.



Articolo 11
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.



Articolo 12
La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.



Articolo 13
Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.


Articolo 14
Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la qualità, la ripartizione, la riscossione e la durata.



Articolo 15
La società ha il diritto di chiedere conto a ogni agente pubblico della sua amministrazione.



Articolo 16
Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione.



Articolo 17
La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.
 
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« Risposta #41 inserito:: Maggio 15, 2009, 11:34:56 pm »

Recoaro, il ramo d’ulivo e l’Alberto da Giussano nel simbolo del candidato

Pd e Lega (alleati alle elezioni comunali) coniano lo strano logo.

Giaretta e Gobbo approvano: «Avevano lo stesso programma»



RECOARO TERME — Il diavolo e l’acqua­santa. E con la benedizione di chi siede in alto. Succede a Recoaro Terme, dove in que­sti giorni di campagna eletto­rale di maggio campeggia un manifesto (accompagnato da un sito internet) più av­vincente della locandina di un film d’azione con risvolti sentimental-gossippari: il protagonista, il candidato sindaco Franco Perlotto, do­mina sulla destra voltato al­l’indietro con bocca aperta intento a proferire chissà quale monito; sullo sfondo le amate montagne di quelle parti e, sulla sinistra, un sim­bolo creato ad hoc per l’occa­sione che riesce a far convi­vere dentro un arancione di compromesso (tutti gli altri colori erano già stati appalta­ti dalla lunga storia politica nazional-popolare) il dise­gno di un sottile ramoscello d’ulivo con un Alberto da Giussano formato mignon.

Oltre il simbolo Tradotto: lassù sulle Mon­tagne, Lega Nord e Partito Democratico hanno trovato l’accordo per correre insie­me alle amministrative. Sto­rici avversari uniti non solo dal progetto ma addirittura nei simboli, la spada del guerriero e il rmoscello di pace. Un paradosso? Mac­ché. Non c’è alcun imbaraz­zo da parte dei vertici regio­nali che, al contrario, difen­dono la scelta e stigmatizza­no ogni possibile polemica. «Non c’è nulla di cui stupir­si e nemmeno contraddizio­ni su cui interrogarsi – esor­disce Paolo Giaretta, segreta­rio regionale del Pd - . Il Co­mune di Recoaro va alle am­ministrative e questo gene­re di elezioni va completa­mente slegato dalle politi­che e dalle logiche che gui­dano le alleanze e le divisio­ni nazionali. In questo paese del Vicentino la Lega e il Pd si sono seduti ad un tavolo e hanno semplicemente con­statato la piena convergen­za dei rispettivi programmi. Anche qui non c’è alcuna sorpresa perché si sarà senz’altro pensato ai proble­mi e alle necessità del Comu­ne in questione, un pro­gramma non certo legato ad ideologie che invece caratte­rizzano i partiti sul piano po­litico. Si ragiona sul piano dei fatti».

Roma lontana Insomma, mentre a Roma (ma nei singoli capoluoghi, a pochi passi da Recoaro) si litiga per «sbarchi di immi­grati sì e sbarchi di immigra­ti no» e tante altre cose, e mentre si fanno spallucce al­l’Udc che in più di qualche Comune ha dovuto subire il «veto assoluto» della Lega Nord con la cacciata imme­diata dalla casa del centrode­stra. «Per noi le uniche cose di riferimento alle comunali sono la validità dei program­mi e la credibilità del candi­dato che si appoggia – prose­gue Giaretta - . E comunque di alleanze non in sintonia con la linea nazionale non mancano anche da altre par­ti. Polemiche sul simbolo? E perché mai? Anche quello non ha nulla a che fare con i nostri partiti. E’ una scelta in libertà che prendono i di­rigenti locali». Medesima «benedizione», con sorriso annesso, arriva anche dai vertici del C 
Recoaro
arroccio: «Il ra­metto d’ulivo? Simboleggia la pace e la Pasqua, che ma­le c’è ad averlo – ironizza Gian Paolo Gobbo - . Io non parlerei di caso-Recoaro: lì è successo semplicemente che si è trovata una situazio­ne di compatibilità caratte­riale fra Pd e Lega. Io ribadi­sco non solo che le ammini­­strative non seguono i paral­lelismi delle logiche nazio­nali della politica, ma anche che sono proprio fuori dalla politica più in generale... Sulle situazioni locali ci si confronta sulle cose concre­te ed è lì che si trova l’accor­do o la divisione».

Le polemiche Eppure, la «strana cop­pia » elettorale di Recoaro (che corre anche con i socia­listi) è già rimbalzata sulla stampa nazionale. «Il Pd è double-face, accusa la Lega Nord di razzismo e poi ci fa l’accordo – tuona Pino Sgo­bio, esponente del Pdci, do­po aver letto dell’accordo elettorale rosso-verde su «Liberazione» a cui due gior­ni fa è stata dedicata la co­pertina - . La schizofrenia del Pd non ha confini. A quando un’alleanza organi­ca con il Pdl?».

Silvia Maria Dubois

15 maggio 2009
da corrieredelveneto.corriere.it
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« Risposta #42 inserito:: Giugno 06, 2009, 05:43:57 pm »

Alessandro Fanfoni

Il punto/ MO: La scommessa di Obama


Dopo il discorso di Ankara del 7 aprile scorso - “Gli Usa non sono e non saranno mai in guerra con l’Islam” -, il discorso di ieri al Cairo di Barack Obama - “Sono giunto sin qui per cercare un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani” - rappresenta senz’altro il punto più alto, dal punto di vista simbolico, dello sforzo diplomatico dispiegato dalla giovane amministrazione Obama per rovesciare i termini di un rapporto tra Occidente e Islam che, dopo l’11 settembre, sono stati avvelenati da incomprensioni e diffidenze reciproche, marmorizzati da opposti stereotipi, quando non insanguinati da conflitti armati.

La storia cominciata l’11 settembre del 2001, agli albori della presidenza Bush, nel nome di Osama bin Laden, sembra, otto anni dopo, volersi chiudere e ricominciare sotto la presidenza di Barack Obama, seguendo quasi per capriccio l’acrobatico crinale definito dal differenziale s/b (Osama/Obama) che ridistribuisce secondo una nuova configurazione terrore e diplomazia, assalto unilaterale fanatico-sanguinario e risposta razionale-responsabile, scontro di civiltà e incontro tra civiltà.
Sia chiaro: tutti i nodi restano – non sarà un discorso a cambiare il Medio Oriente - così come le contraddizioni – ad esempio, Obama ha parlato di democrazia dalla capitale di una repubblica dominata sin dal 1981 dal presidente Mubarak, mentre ieri il presidente americano si è recato in visita dall’alleato di sempre, ovvero la monarchia assoluta dell’Arabia Saudita.

Tuttavia, non è al passato che bisogna guardare – come ha esortato lo stesso Obama – ma è il futuro che ci interroga. Ai discorsi dovranno necessariamente seguire fatti concreti. E il futuro del Medio Oriente impone due passaggi obbligati: una soluzione equa e condivisa per la questione israelo-palestinese (che, fortunatamente, per l’amministrazione Obama significa “due popoli, due stati”) e la normalizzazione del dossier nucleare iraniano (al Cairo, Obama ha riconosciuto legittima l’aspirazione di Teheran al nucleare civile, ma bisogna avere garanzie, non si può scherzare con il fuoco…).
In ultimo, un’impressione su tutto: da una parte, gli Usa e Obama nella rappresentanza massima degli interessi e dei valori dell’Occidente; e dall’altra parte? Quanti sono gli interlocutori a cui si è rivolto Obama? Quanti attori, quanti interessi, quante differenze quando si parla di mondo musulmano? Anche, o soprattutto, dopo il discorso di Obama, permane la sensazione di una relazione tra uno a molti, di una relazione che ha la possibilità di una sintesi – per quanto accidentata e centrifuga – a una moltitudine incomponibile. Non è un caso che qualche settimana fa, il re Abdallah di Giordania parlava sul Times di Londra, in riferimento alla pace tra israeliani e palestinesi, di una “57-state solution”, come a dire è un’intera regione, è una vera e propria costellazione di identità che costituisce l’Islam e che quindi dovrà custodire la pace con l’Occidente. Obama ha posato indiscutibilmente la prima pietra, chi vorrà proseguire?

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