LA-U dell'OLIVO

Forum Pubblico => LA-U STORICA 2 -Ante 12 maggio 2023 --ARCHIVIO ATTIVO, VITALE e AGGIORNABILE, DA OLTRE VENTANNI. => Discussione aperta da: Admin - Ottobre 14, 2007, 12:39:09 pm



Titolo: MONDO ULIVO (e dell'Ulivismo).
Inserito da: Admin - Ottobre 14, 2007, 12:39:09 pm
14/10/2007 (8:17)

Pier Ferdinando Casini "Ai moderati dell'Ulivo dico: alzate la testa"
 
"Votiamo insieme contro i radical"

ANTONELLA RAMPINO


ROMA
Giornata di contatti e telefonate, per Pier Ferdinando Casini: dal segretario della Cisl Bonanni, a Luca Cordero di Montezemolo. Ma non, assicura ridendo, con Lamberto Dini. Chiuso il telefono, scuote la testa. «Già avevamo una finanziarietta di fine legislatura, che disperde risorse in mille mance. Adesso, con una pratica senza precedenti, si modifica un accordo sul welfare che ha già avuto il via libera di milioni di lavoratori». Il leader dell’Udc, e di quella che Prodi una volta chiamava «la seconda opposizione», ascolta il telegiornale, e lo sconforto diventa una mezza rabbia. «E’ una vera falsità sostenere, come ha fatto Prodi, che le modifiche non sono sostanziali: bisognerebbe chiederlo ai lavoratori stagionali che pagheranno pesantemente le modifiche fatte al Protocollo». Per cui «noi dell’Udc all’interno del gioco parlamentare intendiamo bocciare quelle modifiche che la sinistra ha imposto al Consiglio dei ministri. Cercheremo una convergenza con i moderati del centrosinistra, che dall’ultrasinistra si sono presi un calcio in faccia e che dovranno così dimostrare la loro coerenza. Mi auguro che Dini e gli altri battano un colpo».

Casini, si prepara ad impallinare il governo, in sodalizio con settori centristi della maggioranza?
«Di certo non daremo una mano a Prodi, questo glielo posso assicurare. Questa Finanziaria è una grande occasione persa, e un’opposizione seria non fa la bella statuina. Ogni giorno che passa si vede che Prodi è sotto scacco della sinistra estrema. Presenteremo anche dei nostri emendamenti, che spero possano ottenere il più largo consenso».

Perché è così impegnato sul disegno di welfare?
«Perché ci sono fatti gravissimi. Ci sono state consultazioni con le parti sociali, sindacato e Confindustria. Poi, senza coinvolgere né gli uni né gli altri, in Consiglio dei ministri si è cambiato il Protocollo, e lo si è fatto dopo che milioni di lavoratori si erano esposti approvandolo nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro. Una follia. L’avesse fatto un governo di centrodestra, l’avrebbero preso per un colpo di Stato».

Nasce il Partito democratico. Lei conosce bene Veltroni: si aspetta che cambi l’alleanza a sinistra dei riformisti?
«E’ chiaro che dal 15 ottobre il Partito democratico cercherà di affrancarsi dalla sinistra, mentre il governo è sempre più subalterno. Veltroni si troverà davanti a una scelta. O sostenere un governo al suo massimo indice di impopolarità, o liquidarlo, operazione assai difficile. Poi, come dato soggettivo, c’è il fatto che Veltroni rappresenta al meglio il piacionismo politico...».

Cosa che accade anche a tanti altri politici...
«Infatti. Però a un certo punto si deve passare dalle parole ai fatti. Se uno parla di modernizzazione del Paese, prima o poi deve affrontare il tema del nucleare, il rapporto col sindacato, dire se sta col ministro o con i trecentomila studenti che manifestano contro Fioroni per la reintroduzione degli esami di riparazione...»

E anche pronunciarsi sul sistema elettorale, sul sistema tedesco per il quale invece Veltroni nutre riserve?
«Si sa che io sono interessato a quel tipo di legge elettorale. Ma sono anche ormai oggettivamente disinteressato. E’ un problema che riguarda il sistema politico: se il Partito democratico rappresenta la continuità del prodismo dice no al sistema tedesco, e va avanti così. Anche andando al referendum. Il sistema elettorale è la cartina di tornasole del grado di discontinuità che Veltroni ha rispetto a Prodi».

C’è anche chi dice sia lei, Casini, un ostacolo sulla via di quel tipo di legge elettorale. Sarebbe disponibile a lasciare il centrodestra in nome di un sistema per il quale il partito che lei guida si è impegnato con una decisione congressuale?
«Mi sembra davvero una pretesa singolare subordinare un nuovo sistema elettorale a supposte convenienze politiche. Il sistema tedesco richiede un riposizionamento di tutti, non solo nostro».

C’è stata una manifestazione di Alleanza nazionale su Finanziaria e sicurezza, cui lei ha aderito solo «idealmente». Perché? Per non trovarsi in piazza con croci celtiche e saluti romani, oltre che a striscioni contro la sua persona?
«Figurarsi, striscioni creativi ce ne sono in tutte le manifestazioni. Ho aderito idealmente perché il tema merita un grande sforzo, e mi è sembrata una bella manifestazione, piena anche di proposte e non solo di proteste. E’ un tema nobile e serio, e sul quale pure il governo Prodi si comporta male. Non è solo il fatto che il famoso pacchetto Amato non esiste, nessuno ne sa niente, viene pure rimandato da un Consiglio dei ministri all’altro per i veti dell’ultra-sinistra. E’ che riforme a costo zero non ce ne sono. Noi presenteremo degli emendamenti alla Finanziaria perché i fondi stanziati per la sicurezza sono assolutamente insufficienti. Il Siulp, che è il sindacato della polizia, già la prossima settimana farà un appello a tutte le forze politiche. E’ un’idea alla quale ho lavorato personalmente con gli amici della polizia, e che mi auguro avrà il più largo consenso: bisogna ripristinare i fondi, o ci saranno 7-8mila poliziotti in meno sulla strada ad affrontare i criminali».

da lastampa.it


Titolo: HANNO DETTO e DICONO DELL'ULIVO (e dell'Ulivismo).
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2008, 08:55:20 am

Ulivismo nero

Nelle giornate che hanno preceduto – e propiziato – la prima crisi del secondo governo Prodi sono riemerse al suo interno due linee politiche inconciliabili, esattamente come accadde nell’ottobre del ’98, al tempo della seconda crisi del primo governo Prodi. Ma quel conflitto, in verità, non è mai venuto meno. Semplicemente, a partire dall’estate del 2003, quel conflitto è passato – per dirla con parole antiche – dalla guerra di movimento alla guerra di posizione. Sin dalla nascita dell’Ulivo come coalizione elettorale nel 1995, infatti, al suo interno si sono confrontate due opposte linee strategiche, fondate su due opposte letture della crisi degli anni Novanta.
Per Massimo D’Alema, allora segretario del Pds, dopo il collasso del sistema politico nel ’92-93 si era aperta in Italia una questione democratica, che aveva avuto nella vittoria della destra populista guidata da Silvio Berlusconi il suo esito naturale. In questo senso l’Ulivo era dunque ai suoi occhi l’alleanza delle forze democratiche chiamate a ristabilire il primato della politica, contrastando la campagna di delegittimazione dei partiti animata dagli spiriti animali di una parte cospicua della società e delle classi dirigenti italiane. Da chi, dopo avere felicemente convissuto nel precedente sistema politico con i partiti e con le loro correnti maggiormente responsabili della crisi – godendo delle loro protezioni e dei loro favori, ricambiandoli – al momento di pagare il conto puntava a far saltare il banco, passando inopinatamente dalla parte dell’opposizione al sistema, rappresentando attraverso i propri giornali un sistema politico corrotto in cui tutti erano colpevoli allo stesso modo. Un sistema politico – la celebre partitocrazia – oppressore di quella virtuosa società civile di cui essi si proclamavano alfieri.
Per Arturo Parisi, al contrario, l’Ulivo era la prosecuzione e in un certo senso il compimento della battaglia per il rinnovamento della politica cominciata con i referendum Segni. La campagna contro i partiti, la sua saldatura con le inchieste giudiziarie e infine l’adozione di un sistema elettorale maggioritario erano le fondamenta su cui ricostruire un sistema politico fondato sui principi della “democrazia governante”. L’obiettivo era il primato del governo sulla mediazione parlamentare, attraverso le opportune riforme istituzionali, per arrivare a un sistema sostanzialmente bipartitico. Sciogliendo definitivamente all’interno dei due partiti-coalizioni quello che restava dei partiti tradizionali. Era il primato della società civile sugli apparati, tenuti sotto lo schiaffo permanente del sospetto nelle ricorrenti campagne incentrate sulla questione morale, svuotati dall’interno attraverso meccanismi di selezione dei dirigenti incardinati sullo schema delle primarie a tutti i livelli.
L’apparente inconciliabilità delle due posizioni si manifestava sin dall’inizio. Inevitabilmente: la prima puntava a ricostruire una democrazia dei partiti, la seconda a cancellarla per sempre dalla storia d’Italia. All’indomani della caduta di Romano Prodi e dell’ascesa di Massimo D’Alema, nell’ottobre del ’98, tale conflitto a lungo covato esplodeva finalmente in tutta la sua portata distruttiva. Gli strascichi e le macerie di quella guerra civile all’interno della sinistra italiana sono ancora sotto gli occhi di tutti e non c’è bisogno di farne l’elenco.
Nulla sembra essere cambiato quando nell’estate del 2003, ancora presidente della Commissione europea, Romano Prodi chiede come condizione per tornare in Italia alla guida della coalizione di centrosinistra una lista unica di tutte le forze dell’Ulivo. Ma ecco che Massimo D’Alema gli risponde con la proposta di una lista delle forze che ormai da anni condividono una stessa linea politica, che può dirsi riformista – Ds, Margherita, Sdi – e propone che non sia solo una lista elettorale, ma il primo passo per la costruzione di un nuovo partito. E proprio questo è il compromesso con cui si chiude quella lunga guerra civile che oggi qualcuno vorrebbe riaprire.
Possiamo tralasciare le complicate vicende della lista unitaria che si sono sviluppate nel frattempo, con le spregiudicate manovre di tanti protagonisti. Questo sito internet è nato anche per quell’obiettivo, alla fine del 2003, e quelle vicende le ha raccontate in dettaglio, nella convinzione che la costruzione del Partito riformista – come si diceva allora – fosse l’unico modo di uscire dagli anni Novanta. E il Partito democratico continua a sembrarci una sintesi tra le posizioni dalemiana e ulivista di gran lunga preferibile a ciascuna delle due.
Dinanzi alla possibilità di chiudere felicemente quella stagione, però, riemergono oggi i fantasmi degli antichi contendenti: da un lato i nuovi difensori dell’identità socialista, il correntone diessino innanzi tutto; dall’altro una sorta di ulivismo nero, che vede uniti nella lotta contro il Partito democratico che c’è – o quantomeno potrebbe esserci – Arturo Parisi e Walter Veltroni. Attraverso un nuovo referendum, entrambi aspirano a disarticolare l’aggregazione Ds-Margherita, per tornare a quello che Veltroni ha evocato come “lo schema del ’96”: un partito democratico i cui confini vadano da Mastella e Di Pietro a Pecoraro Scanio e Cossutta, tenuto insieme – sul modello del comune di Roma – da una legge elettorale e da opportune riforme istituzionali che consentano al capo del governo, direttamente eletto dai cittadini, di tenere in pugno la sua maggioranza con la minaccia delle elezioni anticipate. Uno schema che in noi suscita diverse perplessità nella sua concreta applicazione ai comuni, specialmente a Roma, ma che assume un carattere semplicemente inquietante se proiettato su scala nazionale. In questo schema, evidentemente, la partecipazione democratica tanto solennemente invocata si ridurrebbe in realtà a un plebiscito per il leader in occasione delle primarie e poi del voto. E così, con sorprendente sincerità, tale proposta viene presentata dall’impaziente sindaco della capitale: un premier che sia garante del programma con cui si presenta agli elettori perché dotato dei poteri per realizzarlo, e dopo cinque anni se ne riparla. Tanto varrebbe chiudere giornali e partiti, rassegnarsi all’idea che discutere e organizzarsi per i propri diritti e per i propri interessi sia non solo inutile, ma addirittura dannoso al buon funzionamento della democrazia. Una democrazia governante perché basata sul principio della delega in bianco al leader. Ma anche una democrazia in cui i gruppi economici e d’interesse capaci di influenzare il voto e l’opinione pubblica per altri canali al di fuori del gioco politico democratico – così imbrigliato – continuerebbero naturalmente a contare. Anzi, conterebbero più che mai, senza l’impaccio costituito dai partiti, o più semplicemente dalla politica, e dovendo trattare di fatto con una sola persona. Non per nulla Walter Veltroni gode di ottima stampa. ■


da:   http://www.leftwing.it/index.php?id=1305


Titolo: Re: HANNO DETTO e DICONO DELL'ULIVO (e dell'Ulivismo).
Inserito da: Admin - Marzo 11, 2008, 08:56:18 am
Un Veltroni sempre pericoloso fra ulivismo e riformismo       

di Pietro Armani     

lunedì 30 luglio 2007 


Lo show politico-mediatico di Walter Veltroni nella sala gialla del Lingotto di Torino è stato senza dubbio il più importante avvenimento dello stagnante quadro politico italiano di questi ultimi mesi, al di là dei giudizi che si possono dare sui contenuti del suo dicorso di 95 minuti alla presenza di una platea osannante.

Veltroni non ha detto effettivamente se accetta la candidatura di leader del costituendo Partito Democratico, perché ovviamente attendeva la definizione finale delle regole per l’elezione dell’Assemblea costituente (poi avvenuta dopo la prima settimana di luglio) e, quindi, l’emergenza o meno di candidature alternative alla sua (per ora non emerse o comunque scoraggiate) per le elezioni primarie del 14 ottobre.

Ma è come se quella candidatura da lui fosse stata già accettata, vista la coralità dei consensi, soprattutto fra i DS ma non solo fra essi, che ha accompagnato prima l’affacciarsi del suo nome e, poi, i giudizi positivi sul suo discorso di Torino, considerato da quasi tutti nell’Ulivo un grande programma per il rilancio del centrosinistra, anche al di là delle ambiguità che in esso si sono largamente annidate. Ambiguità che da Veltroni, del resto era comunque facile attendersi, data la sua figura politica e il suo passato (ad un tempo di leader post comunista e pseudo americano, ma anche di ispiratore e capo “in pectore” del famoso Correntone della sinistra DS al congresso che elesse segretario Piero Fassino).

Sul Corriere della sera del 25 giugno scorso il professor Angelo Panebianco, cercando di immaginare anticipatamente le linee del discorso di Veltroni al Lingotto, ha scritto che egli avrebbe potuto parlare alternativamente da “leader ulivista” oppure da “leader democratico”.

Nel primo caso, Veltroni avrebbe scelto di usare il PD come semplice rampa di lancio per il governo in continuità con le scelte di Prodi, pur rinunciando così a dare una vera caratterizzazione riformista al nuovo soggetto politico.

Con le ulteriori conseguenze, in questa ipotesi, di non poter recuperare al centrosinistra un valido rapporto con il nord del Paese (proprio compromesso dalla politica del governo Prodi) e di non obbligare l’opposizione di centrodestra ad abbandonare la sua comoda rendita di posizione per arrivare finalmente ad un proprio serio chiarimento interno, atto a superare gli errori commessi purtroppo anche dal governo Berlusconi e, quindi, a superare criticamente le cause della sua sconfitta elettorale dell’aprile 2006.

Se, invece, Veltroni avesse scelto nel suo discorso di Torino la linea di una “leadership democratica”, con pronunciamenti netti sulle cose che contano (pensioni, DPEF, riduzioni fiscali, TAV, ordine pubblico, collocazione internazionale dell’Italia coerente con le posizioni occidentali, ecc.), avrebbe dato al PD una vera caratterizzazione riformista e alla sua stessa figura di capo “in pectore”, ma sarebbe andato subito ad uno scontro con la sinistra massimalista con ovvie conseguenze negative sul governo in carica. Pur potendo però recuperare – secondo Panebianco – al momento della campagna elettorale, un rapporto col mondo della sinistra antagonista, ma da una nuova posizione di chiarezza e di forza.

Nel suo affettivo discorso di Torino Walter Veltroni, tuttavia, non ha seguito in concreto né l’una né l’altra delle due linee indicate dal prof.Panebianco, perchè ha battuto invece – e come non poteva, conoscendo il sindaco di Roma? – una strada intermedia, un misto di continuismo con Prodi e con la tradizionale linea ulivista, ma di marca soprattutto DS, condito da un riformismo emozionale, prendendo di peso molti temi del centrodestra cari al popolo dei ceti medi, delle partite IVA e dei disagi cittadini in materia di sicurezza e di immigrazione.

Ma la declinazione di questi temi è stata generica, in superficie, pur non negandosi una esposizione carica di ovvio buon senso: tanto da fare colpo (e come non avrebbe potuto) sul presidente di Confindustria e sulla stampa del capitalismo di relazione, che si richiama al patto di sindacato di Mediobanca e a quello della RCS.

Ha detto che non è di buon senso opporsi all’innalzamento dell’età pensionabile, ma si è guardato bene dal criticare la CGIL di Epifani e la sinistra radicale di Bertinotti, Giordano e Diliberto per la rottura, allora, delle trattative col governo sullo scalone.

Ha spezzato varie lance a favore di una riforma costituzionale che dia maggiori poteri al capo del governo, abolisca il bicameralismo perfetto, riduca il numero dei parlamentari e riorganizzi razionalmente il federalismo confuso del vigente titolo V della Costituzione. Ma si è guardato bene dal riconoscere che tali riforme erano già contenute, in definitiva, nella proposta costituzionale del centrodestra varata nel 2005 con la feroce opposizione del centrosinistra, convalidata poi dalla campagna per la bocciatura del referendum conseguente.

Ha perorato la causa di una riforma elettorale che semplifichi gli schieramenti politici italiani, giungendo fino a dire che, in alternativa ad un accordo su di essa, il referendum del prof.Guzzetta sarebbe l’unica soluzione possibile: ma non si è schierato a favore della raccolta delle firme necessarie per ammetterlo. Anzi, successivamente ha teorizzato con i referendari un “appoggio esterno” al referendum: fate bene a raccogliere le firme, auspico che ne raccogliate tante, ma io non firmo per non andare contro una parte della maggioranza di centrosinistra che vede il referendum come il fumo negli occhi.

Un colpo al cerchio ed uno alla botte, dunque. Da Veltroni, specie oggi, non ci si poteva attendere molto di più. Ma, come ha bene sottolineato Oscar Giannino su “Tempi” del 28 giugno scorso, commetterebbe un grave errore il centrodestra se prendesse sottogamba il discorso del sindaco di Roma. Già i riscontri del Corriere della sera e del Sole24Ore dimostrano come il capitalismo relazionale di Piazzetta Cuccia, di Via Solforino e magari delle grandi banche le proprie orecchie le ha drizzate, costruendo sondaggi post-Lingotto lusinghieri per Veltroni e tirate di giacca per il centrodestra che si attarda nei suoi contrasti sulla leadership e si crogiola nella comoda rendita di posizione della opposizione a Prodi.

Sottovalutare Veltroni per il centrodestra potrebbe, dunque, essere pericoloso se non si affrettasse a costruire un proprio forte programma di “rottura” alla Sarkozy, non limitandosi a mobilitare solo le pur benemerite proprie Fondazioni, Ma affrontando finalmente un serio percorso verso il partito unico con Berlusconi, finalmente incontestato, al suo vertice come il solo capace di tenere insieme le tante anime che convivono nell’attuale opposizione al morituro governo Prodi, in preparazione di una prova elettorale forse più vicina di quanto si pensi.

Un Berlusconi al vertice del centrodestra ormai indiscusso anche da Gianfranco Fini, che lo ha dichiarato pubblicamente nel momento in cui ha ventilato anche una ipotesi di sua candidatura a sindaco di Roma, quando Veltroni dovrà per forza abbandonare il Campidoglio per guidare le incerte sorti del Partito Democratico.
 
da  confronto.it


Titolo: DELL'ULIVO (e dell'Ulivismo)...
Inserito da: Admin - Aprile 12, 2008, 09:51:21 pm


... si parla sempre meno.

Sapete perchè?

Tra poche settimane lo sapremo.

ciaooooooooooo


Titolo: Ferrara: Veltroni tra le macerie del prodismo
Inserito da: Admin - Aprile 13, 2008, 12:30:31 pm
Ferrara: Veltroni tra le macerie del prodismo
 

Posso sbagliarmi, ma penso che Walter Veltroni perderà le elezioni. Non si sopravvive alla catastrofe combinata di un governo e di una alleanza politica, alla caduta rovinosa di Romano Prodi e alla scomparsa dell’Unione e dell’Ulivo. Questa però è una previsione facile e molto diffusa. Se vogliamo andare sul complicato, sull’azzardo, si può pensare che, sconfitto nella battaglia per il governo, il capo del Partito democratico vincerà quella per la guida dell’opposizione. Invece di essere buttato giù dal cavallo, Veltroni resterà in sella e, magari con l’aiuto del Cavaliere, farà la sua brava traversata nel deserto fino alla costruzione compiuta di quel soggetto politico nuovo della democrazia italiana che è nei suoi sogni.

Quanti sono contrari al progetto del Partito democratico si dicono difensori della tradizione del socialismo europeo. Ma è un po’ tardi per farsi alfieri di una simbologia e di una forma politica sommersa dal naufragio della vecchia repubblica dei partiti. Dovevano pensarci prima. Che il socialismo europeo possa essere resuscitato dagli eredi del partito comunista e della sinistra democristiana è un’ipotesi che fa sorridere.

Il fenomeno Berlusconi ha imposto un nuovo schema di gioco alla politica e alle istituzioni in Italia. Occorrono anche a sinistra idee e forme nuove capaci di contenere e di dare voce all’Italia che non si riconosce nella cultura, nella prassi e nella classe dirigente berlusconiana.
La vera questione è fino a che punto Veltroni ha capito questa necessità, la crisi traumatica del governo Prodi e della legislatura ha portato a una campagna elettorale vecchia e stanca nei toni, e ha mascherato l’unica vera novità politica degli ultimi 15 anni: l’abbattimento del muro di separazione e di inimicizia fondamentalista, antropologica, fra destra e sinistra. Comunque vada, dopo il voto è di lì che Veltroni e Berlusconi devono ripartire. Un’opposizione misurata e intelligente, capace di costruire un’alternativa e non di perseguire di nuovo lo sfascio, è nell’interesse del vincitore e anche del vinto.

Veltroni non ha rinunciato a battersi, ma è restato leale verso la sua idea di farla finita con la poltiglia neoqualunquista e demagogica del vecchio antiberlusconismo. In questi giorni finali gli argomenti si faranno di nuovo contundenti e assisteremo a qualche sparatoria di moda negli anni scorsi, ma chiunque sappia leggere tra le righe avrà capito che qualcosa è cambiato. Il progetto politico di Veltroni si salverà solo se ci sarà un’intesa generale per una vera modifica del sistema istituzionale e se il Partito democratico non tornerà a essere un’arena per la lotta tra capi e correnti in cui l’ultima parola spetta sempre a chi la spara più grossa contro il «nemico ideologico».

Il Pd deve ridefinirsi intorno alla sua leadership indicando un altro modo di pensare e praticare la politica moderna e riformista che Veltroni dice di avere in mente. Se dovesse prevalere la solita ansia revanscista, ci troveremmo in pochi mesi di fronte a un nuovo fallimento strategico a sinistra. Guardare lontano, inventare un nuovo contenitore del blocco sociale progressista, ricreare le condizioni di una visione per un popolo che si sentirà battuto ed escluso dai dividendi sociali della politica: per Veltroni non sarà affatto facile evitare la ricaduta negli incubi del passato, ma è nel tremendo stridore di denti del dopoelezioni che si vedrà se ha il coraggio di cambiare il codice, il linguaggio di base, la cultura della sinistra. Se sarà finalmente un uomo capace di rottura, Veltroni costruirà qualcosa sulle macerie che il prodismo e la infinita lotta dei capi gli hanno lasciato. Altrimenti si spezzerà.


da panorama.it



Titolo: Vivere male parlando peggio
Inserito da: Admin - Aprile 27, 2008, 11:22:22 am
27/4/2008
 
Vivere male parlando peggio
 
ALFIO CARUSO

 
Parliamo male perché viviamo male o viviamo male perché parliamo male? Nello sfogo appassionato del supporter la sconfitta della Sinistra Arcobaleno è stata così spiegata: c'è mancata la capacità di entrismo nelle pieghe più frastagliate della realtà zigzagante. E volevano anche sopravvivere...

Presi in mezzo tra una burocrazia legislativa che ha fatto dell'incomprensibilità il tratto distintivo e la propria forza (in Sicilia vige una legge che a Palermo viene considerata ultimativa contro gli abusivi della Valle dei Templi e ad Agrigento una sorta di condono tombale) e una lingua plasmata dalla televisione, la semplicità delle parole non ci basta più. Nutriamo la costante ossessione di andare oltre, di pronunciare affermazioni che abbiano in sé qualcosa di definitivo. Così abbiamo inventato il supervertice (dimenticando che vertice è già il punto più elevato), la super top model e la classifica dei dieci super top manager (benché top in inglese significhi cima). Non esiste oramai una tragedia che non sia vera, una strage che non sia cruenta, un trionfo che non sia autentico. L'abitudine dell'aggettivo rafforzativo si è talmente radicata da aver creato una nuova scala di valori: l'incidente automobilistico con un morto e tre feriti è stato definito nel tg una strage. La sciagura ferroviaria non presuppone più la presenza di vittime, basta una semplice ammaccatura di lamiere.

Tramonta la buona usanza di rispondere sì o no a una domanda. Peste lo colga chi non premette l'avverbio assolutamente, il quale sta dilagando nell'eloquio giornaliero peggio della rucola nei ristoranti milanesi d'inizio Anni 80. Fanno persino sorridere le battaglie stilistiche condotte da Montanelli contro taluni modi di dire - nella misura in cui, i ragionamenti che potevano stare a monte e a valle - i quali, a suo avviso, ingarbugliavano il corretto uso dell'italiano. Oggi voliamo molto più in basso con la trasformazione dello scontato in traguardo ambito. Dunque l'accordo sull'Alitalia dev'essere alto; il dibattito sulle riforme costituzionali ampio; il prossimo governo funzionante; gli assassini condannati; i corrotti e i corruttori puniti. Eppure ognuna di queste banalità è stata pronunciata con la stessa solenne compostezza usata da Churchill quando nel 1940 promise agli inglesi lacrime, sudore e sangue. A meno che il degrado nel quale sprofondiamo non costringa a ricominciare da zero, smentendo persino la felice intuizione di Troisi: ricomincio da tre.

Siamo circondati da avventurieri del risaputo (Casini: in Parlamento faremo un'opposizione repubblicana) e da esploratori dell'ovvio (Tronchetti Provera: la cordata si farà se i patti saranno chiari e i conti trasparenti). Dietro si muovono gli arditi dell'imperativo esortativo, sempre pronti a ricordarci le basi della convivenza civile: non si guardi in faccia a nessuno; chi ha sbagliato, paghi; si accerti la verità; chi sa, parli. Mentre a loro stessi riservano una prima persona che cerca di mescolare autorevolezza e modestia: non sottovaluterei; non passerei sotto silenzio; non mi crogiolerei.

Nella nostra epoca infelice anche la cultura può arrecare danni e senza fare distinzioni tra il maestro e l'esordiente. I titoli di un capolavoro di García Márquez (Cronaca di una morte annunciata) e di un'azzeccata autobiografia di Marina Lante della Rovere (I miei primi quarant'anni) hanno assunto il ritmo e la frequenza di una persecuzione. Da un quarto di secolo ogni calamità, ogni sventura sono, a posteriori, annunciate. Abbiamo cancellato il Caso, Dio, la Natura nella sicumera che tutto sia prevedibile. Peccato che a noi mai riesca di prevederlo e di scongiurarlo. Da un quarto di secolo non esiste genetliaco che, in pubblico o in privato, non sia preceduto dall'immancabile «primi» alla faccia dei confini anagrafici. Per cui, passi per i primi cinquant'anni di Madonna, ma in televisione sono stati appena festeggiati i primi ottant'anni dell'artista che davanti alla telecamera appariva molto più di là che di qua.

da lastampa.it


Titolo: La sinistra non è un perimetro da recintare...
Inserito da: Admin - Aprile 27, 2008, 06:17:24 pm
Il futuro della politica (fuori e dentro il Pd)

Vincenzo Vita


Rivendico il diritto a un dubbio e a una sofferenza che investe, d'altronde, un tratto della nostra storia. L’essere rimasti - più d'uno - alle soglie dell'uscio dei Democratici di sinistra, non aderendo al percorso avviato ormai definitivamente dall’ex mozione Mussi ora divenuta Sinistra democratica per il socialismo europeo, ha prodotto un turbamento forse poco compreso da chi suppone una politica spogliata di qualsiasi soggettività, ridotta a una mera «linea», ma che pesa invece come un macigno se la politica è stata ed è una scelta profonda, per certi versi una «totalità». Confesso con prudenza, ma anche con determinazione, che la scelta di dar luogo alla costituente della sinistra nei termini proposti nella bella e riuscita manifestazione del 5 maggio può rischiare di evocare un modello già sperimentato, sempre che siano vere le riflessioni sui cambiamenti profondi introdotti via via dalla crisi dei vecchi sistemi cognitivi e sociali, dal capovolgimento di tanti archetipi che nell'era del fordismo e della grande fabbrica capitalistica hanno reso più drammatico, ma anche più semplice, declinare il termine «sinistra». Per questo, benché di fronte all’attuale configurazione del Partito democratico da ritenersi, senza improbabili improvvise folgorazioni, né tuttora adeguata né motivata (come si vede dalle quasi quotidiani polemiche), si era suggerito un tempo di scelta - sul «che fare» - più lungo.

Il tempo è, notoriamente, una variabile fondamentale, anche nella sfera pubblica. Forse un tempo più lungo avrebbe permesso una concreta verifica sul campo, utile soprattutto se si è convinti che il Pd non è un progetto compiuto, bensì un territorio aperto di lotta politica e culturale dentro il quale si gioca una partita cruciale per la ristrutturazione dei poteri nel nostro paese. Si è definitivamente concluso un ciclo della politica, con le sue forme consolidate nel secolo scorso, i suoi stili e i suoi riti. La «forma partito», così come era stata concepita, difficilmente potrà avere futuro. È il secolo della rete, di internet, che rappresentano non solo una tecnica, quanto anche un modello di organizzazione sociale e persino una metafora del cambiamento in corso lungo i percorsi dei saperi e dei soggetti. Il Pd, dunque, persino al di là delle intenzioni dei suoi stessi proponenti, sarà la premessa e l'occasione per un mutamento non ancora del tutto prevedibile del sistema politico italiano. Tuttavia, qui passa la parte più rilevante del cambiamento. Certo, meglio sarebbe stato stare dentro o nei pressi di un più laborioso e meno concitato flusso critico. L'area della sinistra dei Ds, con la Fondazione («Una sola terra») cui aveva di recente contribuito a dare vita, poteva (e doveva) rimanere almeno nell'incipit di tale processo per coglierne meglio, oltre che le verosimili ombre, anche le auspicabili luci. Per scegliere, se del caso, solo in un secondo momento un'altra strada, ma con la forza di chi partecipa ai grandi processi dall'interno, pur mantenendo lo spirito e la coscienza più critici.

Del resto, la vicenda che ha segnato la nostra «sinistra» dall'epoca della svolta dell’89 in poi è sempre stata una sapiente miscela di oggettività e soggettività, nella consapevolezza che la vicenda politica ha le sue scosse e le sue rotture, ma all'interno di ciò che la storia e il modo di viverla costruiscono. Insomma, più utile e originale sarebbe stato il contributo al non più rinviabile ripensamento della sinistra l'agire nei luoghi in cui siamo stati fin qui. Non replicando ai rischi della fusione a freddo tra i Ds e la Margherita con quelli di una separazione anch'essa affrettata per ipotizzare la via di una nuova sinistra. Coinvolgente, ma non facilmente praticabile.

Il quadro è ora ben lontano da quello che sembrava essere il primigenio spirito dell'Ulivo, quello che portò alla vittoria del '96, ripiegato com'è in un'alleanza (tuttora qua e là conflittuale) di soli due partiti, e perdendo per strada persino socialisti e repubblicani europei. Tutto questo non è casuale. Attiene alla crisi profonda di una politica (della politica?), che non riesce più a stare al passo con la contemporaneità, rinchiusa com'è in un ceto spesso autoreferenziale. Non a caso centinaia e centinaia di giovani (e meno giovani) fanno la fila per andare a sentire un ciclo di lezioni sulla storia antica, o sulla filosofia, e la gran parte dei ragazzi dialoga attraverso la rete e gli sms, si costruisce il proprio blog, lontano dalle modeste partecipazioni alle canoniche sedute delle sezioni. E ciò vale per tutti, anche per l'itinerario immaginato per ricostruire la sinistra, come se un così straordinario obiettivo potesse limitarsi, oggi, a rifare un accordo con i pezzi separati della vecchia sinistra. No. Non sembra la modalità giusta a chi è rimasto nell'attuale travaglio, dopo il congresso nazionale dei democratici di sinistra, cioè su quell'uscio di casa, ma senza varcarlo. E con quale disagio dopo tanti anni di appartenenza a un'area del partito che, in larga maggioranza, ha fatto un'altra scelta. Tuttavia, al disagio dei sentimenti non corrisponde altrettanto disagio della ragione. È il motivo per cui mi interpello, ad esempio, su cosa si dirà nella costituente della sinistra che non potesse trovare spazio in quella del Partito democratico, quanto meno finché fossero esistiti i Ds. Trascorsi i primi mesi sarebbe stato più agevole tirare le fila e prendere una decisione che ormai non riguarda più (il coraggio di rimettersi in discussione questo, sì, manca) solo una parte, bensì tutta l'area di sinistra, laddove sinistra poco si coniuga con i rituali dell'astrazione politica. La fortuna dei movimenti più significativi degli anni in corso - a cominciare dal movimento pacifista, che ha colto nel segno dandosi il linguaggio di una globalizzazione governata democraticamente, o dalla mobilitazione contro la tragedia della precarietà - sta nell'essersi occupati della vita reale, della «biopolitica». La politica, in assenza di teoria, è sempre più un mero apparato burocratico.

Un esempio per tutti: banco di prova è, in questi giorni, il dibattito in Parlamento sul conflitto di interessi, su cui non devono essere possibili altre mediazioni. È un problema che si risolve definitivamente, come è noto, applicando il principio dell'ineleggibilità a chi dispone del «potere dei poteri» nella «società informazionale», cioè quello mediatico.

Non è credibile, del resto, che si parli di sinistra e di democrazia senza mettere in cima alla gerarchia delle priorità i temi della cultura e della comunicazione che sono tanta parte della politica di oggi, ivi compreso il tema ormai drammatico della Rai. L'ecologia del pianeta per la sua sopravvivenza, l'ecologia della comunicazione per togliere i lucchetti ai saperi, la pace come esperanto del nuovo secolo, la questione morale, la dignità del lavoro come parte costitutiva della dignità umana, i nuovi diritti di cittadinanza dell'epoca digitale, la laicità delle istituzioni in quanto cardine dell'edificio democratico, la collocazione nel socialismo europeo costituiscono i punti di una verifica puntuale per chi è al di qua e al di là dell'uscio! La Fondazione «Una sola terra» potrebbe essere il canale di un dialogo che non si può interrompere.

Torniamo al punto. L'essere rimasti nei Ds è stata una scelta faticosa, con molti disagi e dubbi numerosi. Guai, però, se accettassimo la divisione dei compiti tra quanti supponessero di detenere per diritto naturale una cultura riformista di governo e quanti privilegiassero una «sinistra-sinistra», detta impropriamente radicale. Non siamo, per fortuna, alla conclusione, bensì solo all'inizio di una scossa tellurica a largo spettro e di lungo periodo.

A «dispetto dei santi» si può sperare, dunque, che le scelte fatte finora non siano conclusive. A meno che non si voglia compiere un'accelerazione impropria, tale da far coincidere la 'costituzione' con la «costituente» del Pd. Tutto in quel caso diverrebbe, o rimarrebbe, un puro atto di fede.

O viceversa.

Perché la sinistra non è un perimetro da recintare. È una soggettività da ricostruire, contaminando e rinnovando vecchie culture politiche ormai prosciugate dalla storia.

Pubblicato il: 14.05.07
Modificato il: 14.05.07 alle ore 8.07   
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Titolo: Franco Monaco: Ulivo addio?
Inserito da: Admin - Maggio 07, 2008, 04:21:12 pm
Rosy Bindi - Blog


7 Dicembre 2007

Franco Monaco: Ulivo addio?

Dobbiamo mettere a tema il nesso che unisce legge elettorale e PD. Nei prossimi mesi investiremo cospicue energie intellettuali e pratiche nel processo costituente del PD ai vari livelli.
di Franco Monaco

Dobbiamo mettere a tema il nesso che unisce legge elettorale e PD. Nei prossimi mesi investiremo cospicue energie intellettuali e pratiche nel processo costituente del PD ai vari livelli. E’ bene essere consapevoli che, nel mentre siamo concentrati su quel fronte, buona parte della partita si gioca altrove. Il profilo, il posizionamento, la missione del PD saranno in larga misura determinati dalla legge elettorale che sortirà dal parlamento o dai referendum.

Essa è la madre di tutte le questioni, lo “statuto dello statuto” del PD, secondo la felice formula di Parisi. Ecco perché, su di essa, esigiamo la più larga consultazione. Non c’è organo provvisorio del PD che abbia titolo per prendere una decisione identitaria e costituzionale di tale portata.

Non dobbiamo farci distrarre dalle tecnicalità delle più diverse soluzioni elettorali. Ci si deve piuttosto concentrare sulla sostanza politica. Ciò che a noi preme è la visione del sistema politico cui attendere, il centrosinistra che vogliamo e, in esso, l’identità del PD. In gioco c’è la continuità o la discontinuità rispetto all’Ulivo, sino al suo abbandono da più parti (specie rutelliane) da tempo teorizzato. Il quotidiano “Europa” in prima fila.

È bene fare un po’ di memoria. Pur dentro percorsi diversi, la più parte di quanti oggi si riconoscono nel Partito Democratico, nel recente passato, si sono riconosciuti nell’esperienza e nel progetto dell’Ulivo inteso quale strumento a servizio dell’evoluzione della democrazia italiana, dei suoi attori, delle sue regole, delle sue istituzioni.

Due sono stati gli antefatti decisivi dell’Ulivo:

- l’Antefatto per eccellenza, con la maiuscola, è stato il 1989: la caduta del muro di Berlino, lo scongelamento del sistema politico italiano, il collasso del sistema dei partiti della prima Repubblica;

- l’introduzione di una legge elettorale maggioritaria sulla spinta dei referendum elettorali dell’inizio anni novanta.

Il maggioritario ha rappresentato un mezzo e tuttavia un mezzo necessario per produrre una positiva evoluzione della democrazia italiana in tre direzioni: 1) la restituzione di una effettiva sovranità ai cittadini elettori, sovranità usurpata dai vertici dei partiti già ridottisi a gusci vuoti, nella scelta di maggioranze, governi, premier (ricordate? “restituire lo scettro al principe-cittadino”, fare il “cittadino arbitro-decisore” dei governi…); 2) l’introduzione di una democrazia finalmente competitiva e dell’alternanza di forze e coalizioni alla guida del paese; 3) la maturazione di una democrazia governante, dopo cinquant’anni segnati da governi della durata media di dieci mesi: da allora il più forte deterrente alla precarietà dei governi è stata la drammatizzazione delle crisi, con la concreta minaccia di scioglimento delle Camere.

Fa impressione la smemoratezza delle classe dirigenti e ahinoi anche dell’opinione pubblica. Nel giro di un mese, abbiamo assistito all’improvviso rovesciamento del paradigma, dei fondamentali di quel ragionamento e di quel progetto cui abbiamo dato il nome di Ulivo (prima Rutelli, poi D’Alema, infine Veltroni). E ciò in aperto contrasto con gli enunciai della bozza di manifesto del Partito democratico stilata solo qualche mese fa dai “saggi”, ove si ribadisce a chiare lettere che il PD rappresenterebbe lo sviluppo e il compimento dell’Ulivo.

I segnali e l’enfasi sulla discontinuità sono parecchi. Penso alla “nuova stagione” che Veltroni ha assunto a proprio motto, al nuovo simbolo ove l’Ulivo è quasi scomparso, ma penso soprattutto ai presupposti istituzionali:

1. l’adozione di un impianto proporzionale per la nuova legge elettorale, un piano inclinato e un nuovo e opposto terreno di gioco mutuato da altri;

2. l’accento posto sul “vero” bipolarismo da opporre a quello “coatto” di ieri;

3. la rinuncia al vincolo di coalizione previo al voto, cioè a un patto politico stretto davanti ai cittadini;

4. la nozione di “partito a vocazione maggioritaria” assunto a sinonimo di autosufficienza e di “mani libere”, anziché come partito coalizionale teso alla sintesi di governo;

5. più generalmente la tesi, più o meno esplicitata, secondo la quale gli ultimi dodici anni della nostra esperienza politica sarebbero stati sprecati. C’è chi ha parlato di fallimento.

Tutto questo è precipitato nella proposta del cosiddetto “Vassallum”, che mira a un compromesso tra convenienze di parte, che sconta un deficit di visione e di convinzione a sostegno di essa. Senza visione e senza convinzione non si viene a capo dei veti incrociati ispirati a convenienze partigiane. Uno scatto di generosità, un sacrificio degli interessi particolari  può essere chiesto solo in nome di un patto politico alto e della condivisione di un progetto sistemico. Se comprendiamo bene, dietro il “Vassallum”, si intuisce la scommessa su una nuova mappa politica: un PD che esploda elettoralmente al 40% strategicamente alleato con una Cosa bianca di cui incoraggiare lo sviluppo grazie alla legge proporzionale. Su questo il più esplicito è D’Alema.

Faccio quattro domande: è sufficiente quantitativamente a vincere o quanto meno a competere con ragionevoli speranze di vittoria (gli studi e le stime di D’Alimonte lo negano categoricamente)? E’ rassicurante la qualità riformatrice di un centro strategicamente alleato, intestato ai Casini, Mastella, Dini, Di Pietro, che non promette il massimo in termini di innovazione e modernizzazione? produrrebbe stabilità o non piuttosto il suo contrario, conferendo a quel centro un potere di coalizione-ricatto esorbitante? Un tale centro mobile non eserciterebbe un insidioso potere attrattivo per settori ex popolari mettendo a rischio l’unità del PD?

Concludo: ammesso e non concesso che il vaglio parlamentare non travolga gli arzigogolati correttivi maggioritari contemplati dal “Vassallum” che già ora, dentro il PD, declina verso un proporzionale puro, un tale schema di gioco giova al sistema politico italiano e al centrosinistra che, storicamente, con il proporzionale non ha mai vinto? La mia risposta è no. Del resto, già stiamo raccogliendo i primi frutti avvelenati: possiamo e dobbiamo esprimere disappunto per la irrituale e brutale dissociazione di Bertinotti dal governo, ma essa va letta anche come il prodotto del virus divisivo del proporzionalismo e di mesi di predicazione delle alleanze di “nuovo conio”.

Un divorzio auspicato, annunciato, incoraggiato, con l’idea che esso giovi elettoralmente ad entrambi, PD e Cosa rossa, ma che mina l’unità dell’Unione oggi e la fa improbabile domani. Una divisione che promette sicura sconfitta del centrosinistra o rapporti incestuosi con Berlusconi.  Certo, anche la destra è divisa, ma essa ci metterebbe un minuto a ricomporsi se si precipitasse verso elezioni. Non così noi. Complimenti ai nostri strateghi.

Franco Monaco


da www.scelgorosy.it


Titolo: Prodi sistemò i conti, Tremonti si becca i complimenti
Inserito da: Admin - Giugno 02, 2008, 05:09:15 pm
Prodi sistemò i conti, Tremonti si becca i complimenti



Il commissario Ue AlmuniaLa Banca centrale europea festeggia lunedì i suoi dieci anni di vita. E a Francoforte si riuniscono tutti i ministri economici europei per fare il quadro sui paesi dell’eurozona. Si parla soprattutto di Italia e Francia, i paesi con i conti più in rosso. Ma per noi c’è una buona notizia: dopo tre anni, siamo usciti finalmente dalla procedura d’infrazione per deficit: «Il disavanzo eccessivo dell'Italia – dicono dall’Ue – è stato corretto e la procedura deve essere quindi abrogata». Peccato che sia tutto merito della politica di risanamento di Prodi e Padoa Schioppa. E che ora, a beccarsi i complimenti, sia il ministro Tremonti.

Secondo la banca europea, «l'aggiustamento è stato guidato principalmente da un aumento delle entrate fiscali permanenti nel periodo 2006-2007, ben superiore alle aspettative. È stato soprattutto grazie ad un'efficacia superiore al previsto delle misure adottate e ad una crescita economica più alta del previsto». Insomma, anche Visco, quello che la destra chiama «vampiro» ha messo del suo.

Ora l’Europa ci dice di «continuare il consolidamento». «Tutto quello che va in questa direzione – ha detto il presidente della Bce Jean Claude Juncker – va bene»: via libera quindi alle linee del governo illustrate da Tremonti. Una manovra da dieci miliardi di euro, che il neo ministro può sostenere grazie ai conti lasciati in regola dal suo predecessore.

In Europa, comunque, resta vivo lo spettro dell’inflazione: il presidente della Bce Jean Claude Juncker e il commissario Ue agli Affari economici Joaquin Almunia hanno ribadito di essere «preoccupati» e invitano nuovamente i paesi membri a evitare effetti di «rincorsa dei prezzi», salari compresi. Anche per questo, ha aggiunto Almunia, i bilanci 2009 dovranno essere preparati con «molta attenzione e prudenza» valutando che «le entrate diminuiranno». E si fa all’Italia una raccomandazione particolare: «Evitare qualsiasi spesa addizionale, tagli delle tasse compresi, che non sia bilanciata da altri tagli in grado di non deteriorare il bilancio strutturale 2008». Quello lasciato da Prodi.

Pubblicato il: 02.06.08
Modificato il: 02.06.08 alle ore 15.05   
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Titolo: Nato in questi giorni www.perlulivo.it/forum
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2008, 04:45:52 pm

Un consistente gruppo di "protagonisti" del forum www.forumista.net ( ex www.ulivo.it ) ha dato vita al sito in oggetto.

A loro auguro buon lavoro e spirito sereno... aiuta.

ciao
ggiannig




Titolo: Prodi: "I leader della Cei sempre contro di me"
Inserito da: Admin - Giugno 07, 2008, 11:01:05 am
ESTERI


Lo sfogo dell'ex premier per il difficile rapporto con la Conferenza episcopale

"Ho avuto l'impressione di scontrarmi con un'opposizione politica"

Prodi: "I leader della Cei sempre contro di me"

di MARCO MAROZZI

 

ROMA - "Dissi di essere un cattolico adulto. La frase non mi è stata mai perdonata. Con la presidenza della Conferenza episcopale, ho avuto l'impressione di scontrarmi con un'opposizione politica". Romano Prodi cerca di organizzare la sua vita da ex, ma rivive ancora con amarezza il rapporto con uno degli interlocutori a cui teneva di più. La Chiesa cattolica. Le sue difficoltà terribili come capo di un governo di centrosinistra le ha raccontate anche a La Croix, il più grande quotidiano cattolico francese. "Mai sono stato intervistato dall'Avvenire, il giornale italiano di ispirazione cattolica, mentre La Croix mi ha dedicato due pagine nel maggio 2007".

Prodi non è mai stato intervistato non solo dal giornale della Cei, nemmeno - a differenza di Silvio Berlusconi - dall'Osservatore Romano. Organo della Santa Sede.
Le differenze volute bruciano sulla pelle del professore cattolico che il 31 maggio ha festeggiato i 39 anni di matrimonio, padre di due figli, nonno di quattro nipoti. Ha scritto un suo amico dagli anni di Reggio Emilia, Raffaele Crovi, cattolico, intellettuale anche democristiano, in "Nerofumo", profetico romanzo poco prima della morte: "Perché la Curia Vaticana, ai politici cattolici praticanti e osservanti dei comandamenti, preferisce i politici laici, magari puttanieri, ma osservanti".

E Crovi, vaticinando la caduta del governo Prodi, fa rispondere a un monsignore: "Perché i cattolici praticanti, ritenendosi parte della Chiesa, mettono bocca nelle scelte delle autorità ecclesiastiche, mentre i laici, senza far domande, mettono mano alla borsa".
Prodi, che il libro ha ricevuto, scansa i rimandi. Né parla di politica italiana. "Aspettiamo che il polverone si fermi" dice ai pochi fedelissimi superstiti. "Coerenza e discrezione" ripete, sono il suo atteggiamento rispetto alla Chiesa. A La Croix - fra un cenno all'unica udienza da Benedetto XVI e un affettuoso dilungarsi sugli incontri con Giovanni Paolo II - ha raccontato l'amarezza "soprattutto per le critiche delle gerarchie cattoliche quando adottai provvedimenti in favore degli esclusi". "Telefonai anche per dir loro che prima comunque non c'era niente. Non mi hanno risposto".

Rapporto di spine con Camillo Ruini, l'allora presidente della Cei e rimasto potentissimo, anche se da un anno la Conferenza è guidata da Angelo Bagnasco. Il reggiano Ruini fece conoscere e sposò Prodi e Flavia, né fu assistente, ma ruppe per sempre quando, dopo il crollo della Dc, chiese all'allora discepolo di guidare la rinascita di un partito cattolico. Ottenendo un rifiuto da colui che già pensava all'Ulivo. Prodì rivendica quel "cattolico adulto" con cui si definì quando andò a votare nel referendum sulla fecondazione assistita. Non rispettando - pur votando da cattolico osservante - la chiamata di Ruini all'astensione. Richiamandosi piuttosto a De Gasperi che disobbedì a Pio XII che voleva l'alleanza Dc-Msi al Comune di Roma.


(7 giugno 2008)

da repubblica.it


Titolo: Assemblea Pd, Veltroni: «Non siamo più ex»
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 04:50:57 pm
Assemblea Pd, Veltroni: «Non siamo più ex»


«Basta con essere "ex" di qualcosa, con l'avere ancora l'idea che c'è un'identità allo stesso livello di quella nuova, nella nostra gente questo è già successo, ora deve succedere a salire, nei Comuni, nelle città, da lì deve venire la spinta forte al 'rimescolò». Walter Veltroni, concludendo l'assemblea costituente del Pd, rinnova l'appello a superare le rispettive appartenenze di partito.

«So che bisogna garantire ancora gli equilibri - aggiunge Veltroni - ma io spero che tra qualche mese, o un anno, ognuno si sentirà solo Democratico, per quello che significa, cioè la capacità di coniugare culture diverse».

Il segretario del Pd aggiunge: «Non c'è ritorno o alternativa al Pd, se non lo sgretolamento del riformismo, che sarebbe una tragedia per l'Italia. Abbiamo perciò la responsabilità di capire che dobbiamo accelerare la fusione. So che ci vuole tempo, so che le urla fanno male al corpo collettivo», ma assicura anche che «chi ha la responsabilità della sintesi sa che non è un'improvvisazione di un giorno, che è una costruzione complessa, ma non mi piace la schizofrenia di chi se non vede un tornaconto non tollera le approssimazioni».

È stato però Arturo Parisi ad animare l'assemblea del Pd. L'ex ministro della Difesa è il più critico nei confronti della relazione di Veltroni e su come sta procedendo l'organizzazione del partito e la discussione interna. Tanto da decidere di rifiutarsi di fare parte della Direzione del partito.

«Cosa vuole che resti. Di interventi ne ho sentito a sufficienza. La differenza tra una assemblea politica e una accademia culturale è tuttavia il fatto che in una assemblea di partito le parole sono chiamate a trasformarsi in decisioni nel quadro delle regole concordate», aveva commentato Parisi.

«Sapendo che i presenti erano l'assoluta minoranza dei componenti della Assemblea, nonostante le richieste - ricorda Parisi - non è stata consentita neppure la verifica del numero legale. E dire che abbiamo cambiato con raffiche di voti lo Statuto che costituisce il quadro di garanzia e di legalità della nostra convivenza. Uno Statuto che, anche se per applauso, era stato approvato appena nella precedente assemblea. Oltre a non chiederci perchè gli elettori ci hanno abbandonato il guaio - conclude l'ex ministro della Difesa - è che qua non abbiamo avuto neppure il coraggio di chiederci come mai ci hanno abbandonato anche i delegati».

È Piero Fassino a rispondere a Parisi, difendendo l'organizzazione per aree politiche. «Siamo nella fase di costruzione del Pd - ricorda - lo abbiamo fondato poco più di nove mesi fa sulla base dell'esperienza dell'Ulivo, alla nascita vale per un partito quello che vale per una persona: per generarla ci vuole l'accordo di due volontà. Poi man mano che cresce si costruisce una sua autonomia, una sua identità che si distacca da quella di chi l'ha generato». «Riconoscere che siamo un partito plurale - garantisce l'ex segretario dei Ds - non vuol dire cristallizzarlo nelle vecchie appartenenze».

Parisi aveva iniziato a dare battaglia sul numero legale. Lo statuto del partito richiede che le votazioni dell'Assemblea la maggioranza assoluta dei componenti delle Assise, che sono 2.800. In sala, invece, si sono registrati circa 800 delegati.

Lo strappo di Arturo Parisi con il Pd si consuma fino in fondo e l'ex ministro della Difesa rimane fuori dalla Direzione del partito, visto che aveva rifiutando di entrarvi in "quota Bindi" ma esigeva di farne parte a capo di una propria componente.

La Direzione è stata eletta con una lista unitaria proposta dal segretario Walter Veltroni, lista composta su base proporzionale, come prevede lo statuto, delle varie componenti.

Per registrare il peso interno di queste ultime sono stati presi i risultati delle primarie e in particolare i voti ottenuti dalle tre liste che il 14 ottobre sostennero Veltroni, e le due che appoggiarono rispettivamente la candidatura di Rosy Bindi e Enrico Letta.

Parisi il 14 ottobre è stato eletto all'Assemblea del Pd nelle liste a sostegno della Bindi e quest'ultima lo aveva inserito tra i nominativi dati a Veltroni per la composizione della Direzione. Parisi però ha messo in discussione la validità di tale criterio di appartenenza a una componente; d'altra parte con Bindi aveva già rotto nelle scorse settimane, disertando il seminario dell'Associazione «Democratici per davvero» che fa capo all'ex ministro per la Famiglia. E così Parisi e gli esponenti a lui vicini (tra gli altri l'ex sottosegretario Mario Lettieri, Gad Lerner e Mario Barbi) sono rimasti fuori dalla Direzione eletta dall'Assemblea.


Pubblicato il: 20.06.08
Modificato il: 20.06.08 alle ore 19.35   
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Titolo: Nel partito-labirinto di Walter tra sedie vuote e musica rock
Inserito da: Admin - Giugno 21, 2008, 11:28:13 pm
POLITICA

IL RETROSCENA

Nel partito-labirinto di Walter tra sedie vuote e musica rock

di FILIPPO CECCARELLI

 

SEMBRA che un paio di registi, Ettore Scola e Paolo Virzì, avessero in animo di girare un film sul "pazzesco tour" - così si legge su un trafiletto - del pullman elettorale veltroniano. Ore e ore di girato già le possiede l'emittente Nessuno tv. Bene. Per la storia politica del Pd si potrebbe integrare il progetto con le immagini di ieri. Per il luogo innanzitutto, la Nuova Fiera di Roma, questo sì veramente pazzesco. Enorme e praticamente irraggiungibile: gioiellone urbanistico pianificato e realizzato nell'era delle amministrazioni di centrosinistra. Un bianco, labirintico blocco di tubi, vetro e cemento sorto nel bel mezzo del nulla.

Incongrui ascensori, interminabili scalinate, lentissimi sferraglianti tapis-roulant, infiniti camminamenti da percorrere sotto lo schioppo del sole. Venti minuti almeno per arrivare all'assemblea - eppure ci sono anche persone anziane, donne con i tacchi, qualche disabile. Ogni tanto un cartello surreale: "Area smoking & relax".

Perfetta location per un partito che dopo aver perso voti e frequentatori, sembra essersi perso esso stesso nel verde stento di questa infuocata periferia tecnologica e penitenziale. I massimi dirigenti arrivano invece a destinazione in automobile, belli freschi - per quanto la macchina di Veltroni, che di lì a poco citerà "i dannati della terra", gira e gira e gira attorno al mostro, lato est, lato nord, lato boh, senza trovare il pertugio giusto. I dannati della Nuova Fiera, d'altra parte, vengono accolti da un essenziale fast-food che si chiama "Very italiano" e offre "mezze maniche alla puttanesca". Ancorché vagamente ingiuriosa, la circostanza non contribuisce né alla potenza drammatica né alla desolante solennità dell'occasione.

Nella sala semideserta un'allegra marcetta rock fa cadere le braccia. Alle 10 e 20 ci sono Follini, Carra, Zanone e il mitico Diego Bianchi, che gira i corrosivi video "Tolleranza Zoro", disponibili su You-tube. Quando ancora nessuno dei big è presente Arturo Parisi pone la questione del numero dei presenti. Ha contato le sedie e si è accorto che ce ne sono meno della metà dei membri dell'assemblea (2800). Ma in quel momento sono anche vuote per la metà.

Sui maxi-schermi, dopo la batosta, le tardo-icone della fondalistica veltroniana - neonati dormienti, bimbi che giocano, graziose ragazze, simpatici vecchietti, allegre nonnine, extracomunitari in bici - hanno perduto la loro magia e adesso sembrano la pubblicità di qualche fondo-vita delle assicurazioni. Non possono che cogliere un che di svogliato nell'organizzazione, i delegati che arrivano stanchi e sfiniti con i trolley, "come pecore senza pastore". Ma nessuno s'impietosisce per loro - né essi lo pretendono.

L'impressione è che reggano meglio dei notabili il colpo anche psicologico della sconfitta: forse perché non vivono di politica, forse perché non agognano l'occhio delle telecamere. Si salutano, si siedono, prendono appunti, sbadigliano, alcuni qui e là si addormentano. Forse qualcuno riflette su una terribile frase che in un attimo di verità Parisi pronuncia al microfono: "Un'assemblea che con difficoltà associa al nome di partito l'aggettivo democratico"...

Si avverte una separatezza anche fisica tra ottimati e popolo, una distanza moltiplicata dallo scarto fra vana liturgia e cruda realtà. Dal palco verde emergono tante testoline eccellenti, una lunga fila di faccette malinconiche e distratte. I responsabili che finora non si sono assunti la responsabilità. In mattinata sembrano anche un po' spaventati; più tardi, evidentemente a loro agio, ricominciano a chiamarsi per nome, Walter, Dario, Piero, Enrico: un segno di reciproca e cordiale spontaneità che però a volte suona come un certificato di appartenenza all'oligarchia.

Bettini traffica con fogli, biglietti, elenchi, liste; Fioroni sta al telefonino dalle tre alle quattro ore, in posa bisbigliante, con la manina a coprire l'apparecchio; alcuni guardano nel vuoto; altri, come Bersani, hanno improvvisi scoppi di ilarità; altri ancora, specialisti di convegni e seminari "a porte chiuse" convocano i rispettivi scudieri, li spediscono dai giornalisti. Veltroni, senza cravatta, distribuisce sorrisi tirati.

La nomenklatura, in altre parole, si basta. Questo è abbastanza normale, ma dopo la sconfitta, per quanto a lungo la si sia cercata di nascondere o negare, lo è molto meno. Così, sopra il Pd, grava una coltre anche rabbiosa di non detto, una cappa di sfiducia che nessun generoso tentativo di rianimazione riesce a rompere, e nemmeno a perforare.

Mai come in questa assemblea lo sconforto, da stato dell'animo, si è convertito in evidente e conseguente categoria politica. Tiepidi applausi segnano la relazione di Veltroni, diligente, ma priva di autocritica e comunque sorvegliatissima rispetto a temi scottanti. A partire da certe candidature troppo fantasiose e per continuare con certe altre fin troppo comode e furbastre. Non una parola sulla debacle anche personale di Roma. Niente sui sondaggi balenghi, sulla sopravvalutazione di vip e testimonial, sugli sprechi economici tipo il loft, durato meno di nove mesi. Nulla sulla laicità, i vescovi, i radicali, il rapporto con Di Pietro, gli scandali delle giunte rosse.

E le feste dell'Unità? Che "si chiamino come si vuole". E già: ma come? E la presidenza del partito dopo l'ennesimo no di Prodi? Vattelappesca, come diceva Craxi. E l'eterna storia dei patrimoni ereditati e del finanziamento? Chissà. E la sorte dei dipendenti? Non è materia da discutere assemblea.

Anche il dibattito sembrava a tratti una recita. La passerella dei pochi. La consueta retorica dell'orgoglio, dell'innovazione e dell'identità plurale. Il "rimescolo" di Bersani, l'"autocoscienza costruttiva" della Bindi, Marini che fa l'elogio del "caminetto", richiamando anche quello di sua nonna. Partito insieme leaderistico e correntizio, ibrido non proprio felice. Nella replica il segretario ha invocato la necessità di "liberarci dal dominio dell'io". Prima del voto la Finocchiaro s'è inerpicata in una davvero complessa disquisizione statutaria sulla maggioranza qualificata. Quelli che c'erano hanno alzato la delega. E poi anche sulla Nuova Fiera è calata la sera.

(21 giugno 2008)

da repubblica.it


Titolo: 'Ripartire da L'Ulivo': Arturo Parisi il 30 giugno a Genova con gli Ulivisti
Inserito da: Admin - Giugno 25, 2008, 11:10:12 pm

Intervento di Arturo Parisi all'Assemblea nazionale del Pd

Questo è l'intervento di Arturo Parisi tenuto all'Assemblea nazionale del Pd a Roma lo scorso 20 giugno 2008. L'intervento richiama all'ordine procedurale e al rispetto dello Statuto del partito. Arturo Parisi si riprometteva di fare successivamente un intervento politico, ma le condizioni date non lo hanno consentito.

20 Giugno 2008   


Debbo dire che dopo la relazione densa e compiuta di Veltroni è sempre faticoso intervenire come io intendo intervenire sull’ordine dei lavori. Era mia intenzione rivolgere una domanda alla presidenza, ho già avuto una risposta ed è quindi con questa risposta che è sottoforma di proposta che io mi confronto. La proposta e la linea che è stata formulata dal gruppo dirigente perché è chiaro che la presidente se n’e’ fatta semplicemente portatrice, ha un contenuto che è a tutti evidente: formalmente compatibile con lo statuto che per la prima volta ci troviamo ad applicare, essa mette capo ad un assetto del partito che rischia di definirne il dna da questo momento in poi. Lo dico a partire da un ragionamento, lo dico a partire dall’esperienza. E’ evidente che quella proporzionalità che compone la lista unica che viene annunciata come da sottoporre ad un voto di assemblea, che non corrisponde esattamente alla categoria dell’elezione, cosi come la si potrebbe dedurre dall’articolo 8 dello statuto, evoca infatti una proporzionalità nascosta che non corrisponde purtroppo alla preoccupazione appena evocata dal segretario in ordine all’inopportunità che il partito nasca costruito su un sistema di equilibrio di correnti. Io so che di queste cose, probabilmente, avremo difficoltà a parlarne in pubblico. E già questo sta ad indicare quello che è lo stato di salute del partito. Credo che sia difficilmente accettabile confrontarsi con un appello ulteriore alto da parte del segretario. Leggere con parole che non posso non far mie, ieri sui giornali, attribuito a D’Alema o a Bettini, vi era l’invito a mescolarsi a partire dalla politica e a superare ogni tentazione di corrente, per di più che nasca non più nella forma delle correnti alla fine del loro percorso da gruppi ideali, ma da gruppi di difesa del ceto politico. Come riconoscere in queste preoccupazioni la proposta che ci viene sottoposta? Un partito che nasce dovrebbe avere il coraggio di aprire un largo dibattito. Perché solo a partire dal dibattito dal confronto delle scelte le persone si possono riaggregare in termini nuovi, in riferimento alle domande che diamo nel presente per il futuro. E non in riferimento alle aggregazioni che noi raccogliamo dal passato. E’ una preoccupazione che sottopongo alla presidenza e all’assemblea nel momento in cui con una proposta della quale vengo a conoscenza in questo momento, che è in distribuzione tra i banchi da parte di responsabili dell’organizzazione sento proporre questa assemblea come l’ultima assemblea, un’assemblea che conferisce e trasferisce i suoi poteri alla direzione, un’assemblea che confermando, ahimè, la prima e la seconda assemblea associa con difficoltà al nome di partito l’aggettivo democratico, l’unico al quale ci siamo aggrappati non sapendo definirci altrimenti. Per questo motivo formulando una proposta io chiedo che oggi si consenta un dibattito e si trasferisca ad un’assemblea successiva la decisione sul proprio scioglimento e sull’elezione della direzione.


da ulivisti.it


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'Ripartire da L'Ulivo': Arturo Parisi il 30 giugno a Genova con gli Ulivisti

Ulivisti di Liguria - 25 Giugno 2008   


La sconfitta politica delle elezioni di aprile impone a tutto il centrosinistra ed in particolare al Partito Democratico, che ne è pressoché rimasto la sola espressione parlamentare, una severa ed attenta riflessione sugli errori compiuti per ritrovare le ragioni di un impegno alternativo al modo di far politica della destra, ai suoi obiettivi e alle sue scelte programmatiche.

Il popolo de L’Ulivo deve ricompattarsi e darsi ragioni antiche e nuove di rilancio.

A tal fine, pensiamo che sia indispensabile ripartire da L’Ulivo dal suo significato, dal grande incontro di culture e di storie politiche che esso ha rappresentato negli ultimi 15 anni di vita politica del nostro Paese.

Ne parliamo con chi è stato interprete autentico della cultura ulivista anche come culla di quello che avrebbe dovuto e dovrà essere il Partito Democratico

Arturo PARISI che sarà con noi

lunedì 30 giugno 2008, ore 17.45
Jolly Hotel Plaza – Sala Paganini
via M. Piaggio 11 Genova


ripreso da ulivisti.it


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Pd: Marino, non parli chi ha disprezzato regole Assemblea

AGI - 25 Giugno 2008   

(AGI) - Roma, 25 giu.

- "Sicuramente la Picierno era distratta. Ma Parisi, a differenza di lei, in Assemblea e' intervenuto.

E se ne sono accorti sia quelli che c'erano e ancor piu' quelli che non c'erano. Come e' noto non c'e' peggior sordo di chi non vuol sentire. Parisi e' rimasto, pur in una assemblea invalida, ad ascoltare gli interventi fino alla fine. I primi a non avere diritto di dare lezioni di rispetto della Assemblea sono quelli che hanno manifestato ben altro disprezzo, dissattendendo ogni regola, e sciogliendola di fatto con un colpo di mano, deludendo cosi' definitivamente la domanda di partecipazione espressa nelle primarie prima da milioni di cittadini e poi da 2858 delegati eletti in loro rappresentanza". Lo afferma l'ulivista Mauro Marino, senatore del Pd e delegato all'Assemblea Nazionale, che cosi' replica a Pina Picierno che in un'intervista oggi bacchetta Parisi accusandolo di aver lasciato l'Assemblea di venerdi' senza prendere la parola.

"Chi rispetta dunque di piu' l'Assemblea: chi a viso aperto e nel rispetto delle regole si batte per i suoi diritti - conclude Marino - o chi ha lavorato e lavora con determinazione contro di essa?". 

da ulivisti.it


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Pd: Parisi, D'Alema sia più chiaro su proposta alternativa

Adnkronos - 25 Giugno 2008   


Roma, 25 giu. - (Adnkronos) - "Sento D'alema avanzare una proposta per il futuro del Paese diversa da quella di Veltroni. Sento, appunto. Vorrei essere piu' sicuro che lui si faccia promotore di idee alternative". Arturo Parisi, a Radio24, ha rinnovato le sue critiche alla linea politica del Partito democratico ed ha sottolineato che bisogna "aprire un dibattito tra persone e, soprattutto, tra idee", anche se "dentro il confronto politico ogni discussione che si concentrasse sui nomi sarebbe stupida".

L'ex ministro della Difesa ha parlato apertamente di una alternativa a Veltroni. "In Italia siamo 60milioni persone. Piu' o meno la meta' facevano riferimento al campo del centrosinistra.
Figuriamoci se non riusciamo a trovarne due o tre che alzino la mano per dichiarare la loro idea del Paese e confrontarla con quella che non ha compiutamente esposto Veltroni". Le critiche ai dirigenti del partito sono mosse anche seguendo il filone calcistico: "Nel calcio la sconfitta e' evidente a tutti ed e' un punto di partenza inevitabile.
In politica e' possibile chiamare vittoria anche quelle che sono sconfitte plateali. Quello che oggi si tarda a riconoscere".

Parisi ha rimproverato la decisione di andare a "separazione consensuale" tra Veltroni e Bertinotti, poi "i risultati di Roma, dove i dirigenti nazionali, Veltroni, Rutelli e Bettini sono stati bocciati sonoramente" e anche il risultato delle amministrative in Sicilia. "Si deve riprendere il cammino laddove lo abbiamo interrotto -ha spiegato ancora Parisi-. Che non e' l'Unione ma e' il progetto dell'Ulivo, un'alleanza attorno ad un programma nostro. Del resto, cosi' aveva detto Il Pd. Ma abbiamo prima saputo della chiusura del confronto e poi, dopo, abbiamo appreso del programma che vedo allontanarsi nella memoria".
 

da ulivisti.it





Titolo: Bruno Gravagnuolo. Tronti: «La sinistra debole ha nutrito una destra forte»
Inserito da: Admin - Giugno 26, 2008, 03:39:55 pm
Tronti: «La sinistra debole ha nutrito una destra forte»

Bruno Gravagnuolo


«La sinistra debole declinata come "centrosinistra" ha generato una destra forte». È la tesi di fondo della relazione che Mario Tronti, terrà domani alla Sala della Colonne di Palazzo Marini in Roma, all´Assemblea del Centro per la Riforma dello stato di cui è presidente. Occasione di confronto politico intenso, con protagonisti come D´Alema, Mussi, Reichlin, Bertinotti, Rodotà, Vacca, Ida Dominjanni, Maria Luisa Boccia e tanti altri. Dopo la sconfitta di aprile. E dopo che già il Crs aveva lanciato l´allarme e chiesto un rilancio della sinistra. In base a un documento intitolato «11 tesi dopo lo Tusunami». Ora Tronti, filosofo e pensatore politico, ritorna su quelle tesi, e specifica meglio il profilo della sinistra da inseguire. Sentiamo.

Fare società con la politica. Slogan suggestivo e un po´ criptico per l´assemblea di domani. Di nuovo alle prese con la sinistra e la sua sconfitta?
«È inevitabile. E il titolo indica l´ambizione che dovrebbe essere la ragione stessa della sinistra: fare politica. Contro l´ideologia della società civile "buona" e della politica "cattiva", tipica della destra. E a cui la sinistra è stata subalterna negli ultimi decenni. La società non è qualcosa di statico da rappresentare e basta, ma qualcosa da costruire»

Da costruire attraverso la sinistra?
«Sì, la sinistra ha il compito di ricostruire un sociale sbriciolato e corporativo, che genera ansia e insicurezza e che alimenta la destra. Perciò ci vuole una politica attiva, capacità espressiva e linguistica a sinistra. Invece l´impressione è che la sinistra non abbia parlato molto...».

Soprattutto che non abbia parlato di sé, né a nome di sé
«Appunto, non ha presentato in alcun modo se stessa come alternativa o progetto. Come forza in grado di esprimere un´idea di società, non totalizzante, ma almeno coerente».

Voi dite «sinistra non come blocco ma come campo». Che significa?
«Vuol dire oltrepassare l´idea di "blocco sociale", che era un´idea storica della sinistra e che oggi appare superata, in una società scomposta e disomogenea come l´attuale. Il blocco presupponeva grandi classi e aggregati da rappresentare, oggi sfuggenti. Il "campo" consente di includere i frammenti del lavoro in un orizzonte».

Ma gli operai da noi sono 7 milioni e mezzo. Esistono o no?
«Sì, sono quelli, ma non esistono nell´immaginario attuale. Del resto non sono mai esististi di per sé. Se non nello sguardo e nelle reti del movimento operaio: sindacati,cooperative, partiti. Erano quei mondi a far parlare gli operai. Oggi magari c´è un po´ di rappresentanza, ma non rappresentazione del mondo del lavoro. È un universo da raffigurare in modo nuovo».

Ma la "sinistra nuova" deve partire dal lavoro oppure no?
«Il lavoro deve riconquistare una sua centralità politica, attorno a cui aggregare tutte le altre opzioni e le altre culture della soggettività diffusa. Non è operazione facile ed esige un grande sforzo di analisi e di ricerca».

Puntate a una inedita centralità del lavoro nel segno di una rinnovata critica del capitalismo e delle sue forme sociali?
«Dentro la prospettiva che cercerò di esprimere domani, dirò intanto che occorre chiudere una fase. La fase delle scissioni a sinistra. Per aprire un´epoca di ricomposizione. E che dentro possa includere tante anime. Quella socialista e comunista della critica al capitalismo. Quella femminista, quella cattolico-sociale, quella riformista. Sì, anche quella riformista, che pur avendo abbandonato la critica al capitalismo, lavora in società dall´interno. Nel tentativo di privilegiare aspetti del capitalismo contro altri, per rinnovarlo nel suo insieme».

Che messaggio politico inviate al Pd, su queste basi?
«Al Pd diciamo che l´idea di una sinistra che si fa "centrosinistra" è conclusa. Sconfitta, e non solo in Italia, perchè il "blairismo" è finito. Aggiungendo anche che questa impostazione da "terza via" ha generato una destra peggiore, più rigida che in passato. Insomma, è nata una nuova destra identitaria, alimentata proprio dal riformismo debole. D´altro canto va pure superata una sinistra minoritaria, arroccata e autoreferenziale. La sinistra che critica il capitalismo a parole, ma è priva della forza necessaria per mettere in pratica certi obiettivi».

Pensate a una sinistra diffusa, di massa e popolare, che si allea autonomamente con il centro moderato?
«Esattamente. La grande sinistra che immagino non sarà mai maggioritaria, in una società "scomposta" come l´attuale. E deve allearsi, come soggetto egemone e in coalizione, con il centro moderato. Penso quindi a un bipolarismo di coalizione o a un bipartitismo imperfetto. Contro l´errore del bipartitismo perfetto, che in Italia non funziona. E contro le ricadute decisioniste, presidenziali e premierali, tipiche di un´idea secca del bipolarismo, maggioritario o bipartitico. E questo resta un terreno di sfida decisivo e privilegiato per la sinistra contro la destra».


Pubblicato il: 26.06.08
Modificato il: 26.06.08 alle ore 12.14   
© l'Unità.


Titolo: Pd: Parisi scrive ai delegati, riconvocare Assemblea Costituente
Inserito da: Admin - Luglio 17, 2008, 07:29:11 pm
Pd: Parisi scrive ai delegati, riconvocare Assemblea Costituente

15 Luglio 2008


Il Professore Arturo Parisi chiede la riconvocazione dell'Assemblea Costituente (nazionale)  del Pd. Dopo la discussa riunione del 20 giugno, a cui ha preso parte non più del 20% dei delegati, Parisi ha inviato una lettera ai delegati dell'Assemblea, e per conoscenza ai parlamentari del Pd, per chiedere loro di associarsi alla sua richiesta per una nuova convocazione della Assemblea Costituente, perchè possa finalmente dibattere, ma ancor più perchè, nel rispetto delle regole che ci siamo dati con lo Statuto, possa decidere del futuro del partito.
Di seguito il testo della lettera:


Roma, 15 luglio 2008

alle delegate e ai delegati dell'Assemblea Nazionale del Pd
pc. alle parlamentari e ai parlamentari del Pd

Cara/o delegata/o,

sono passati esattamente nove mesi da quando, rispondendo alla proposta dei partiti promotori, più di tremilioni e mezzo di italiani, quasi il trenta per cento degli elettori del Pd,  in un giorno dello scorso ottobre che ricordiamo ancora come un giornata di festa, hanno messo col loro voto le fondamenta per la costruzione del Partito Democratico.

Recandosi in tutta Italia nei seggi elettorali, come avevano già fatto a milioni nelle primarie dell'ottobre 2005, essi hanno dato ancora una volta la prova della esistenza nel nostro Paese, soprattutto nel campo di centrosinistra, di una grande quantità cittadini che non si accontentano di una democrazia intermittente. Recandosi nel 2005 e nel 2007 ai seggi elettorali, essi ha confermato la disponibilità e la richiesta di partecipare non solo a manifestare una risposta su proposte avanzate da altri, ma di partecipare alla formulazione della stessa proposta, sia che questa riguardi chi deve svolgere le diverse responsabilità politiche sia che riguardi contenuti e orientamenti da svolgere nelle istituzioni. E, facendolo in una misura enormemente superiore a quella dei partecipanti e degli stessi iscritti negli elenchi dei tesserati ai partiti, hanno ancora una volta messo in evidenza i limiti e l'insufficienza dei partiti che abbiamo ereditato dal passato, o, almeno, i loro limiti nella condizione nella quale erano finiti nel momento in cui li abbiamo ereditati dal passato.

A rappresentare questi cittadini tu ti sei a suo tempo candidato, così come hanno fatto decine di migliaia di cittadini, e come ho fatto anche io nel collegio della mia città. Da questi cittadini tu ed io siamo stati eletti perchè dessimo voce al mandato che era implicito nella candidatura che ci impegnavamo a sostenere per la segreteria del partito, ma ancor più perchè svolgessimo quel confronto che dentro le primarie non era stato reso possibile, e, a partire da questo confronto, prendessimo poi le decisioni conseguenti.

Non è quello che è capitato.  Come sai l'Assemblea Costituente del Partito è stata da allora convocata tre volte. Ma ogni volta si è svolta senza che che sia stato possibile dar luogo ad un vero dibattito e soprattutto si è conclusa con voti di acclamazione che hanno sancito decisioni già prese. Nessuno si è perciò meravigliato se in questo modo la partecipazione larga nel primo incontro, si sia ampiamente ridotta nel secondo, per ridursi praticamente ad una infima minoranza nell'ultimo. Quel che è peggio è che nell'ultima riunione la Assemblea è stata di fatto "suicidata", con l'intenzione di mettere così termine al percorso delle primarie, attraverso modifiche statutarie che contrastano lo Statuto appena approvato, e i poteri della Assemblea sono stati trasferiti ad una Direzione eletta secondo la prassi consolidata nelle precedenti assemblee, e costituita nel rispetto di appartenenze di gruppo definite a partire da abitudini e frequentazioni passate più che da differenze di opinioni politiche presenti. Nè d'altra parte si capisce come altrimenti potrebbe essere composta la Direzione una volta che il partito è stato privato di occasioni di confronto che ci consentano di conoscere le rispettive opinioni politiche e quindi, a partire da esse, unirci, o distinguerci tra di noi.

Non è nelle intenzioni di questa lettera quella di intrattenerti sulle contestazioni formali relative alle trasgressioni della democrazia e della legalità di partito. Di queste decideranno gli organi competenti presso i quali alcuni delegati hanno già presentato un formale ricorso nell'interesse e solo nell'interesse del partito. Di queste dà conto più dettagliato la nota allegata a piè di pagina.

Quello sul quale voglio richiamare la tua attenzione, al di là della forma, è la  sostanza del problema. Quale che sia il giudizio sulle cause che ci hanno condotto a questo punto, è difficile infatti non riconoscere che, a nove mesi dalle primarie, il partito si trovi in una condizione che nessuno avrebbe allora immaginato. Molti, avvertiti come me dal crescente abbandono di nostri elettori verso l'astensionismo, o verso altre scelte politiche o antipolitiche, guardano con grande preoccupazione alle prove che ci attendono. Altri sono invece più ottimisti e pensano che i consensi raccolti costituiscono una solida base di partenza per ulteriori avanzamenti. Altri ancora nascondono invece purtroppo le attese di futuri esiti  negativi pensando che essi possano facilitare la ridefinizione dei rapporti interni al partito quasi che le prossime elezioni europee possano svolgere la funzione di un congresso. Sullo sfondo di questi diversi scenari il corpo del partito è intanto attraversato e diviso da dibattiti spesso aspri su temi che per il loro rilievo sono destinati a definire l'identità e a decidere del futuro del partito. Dalla legge elettorale al federalismo fiscale, dalla dissoluzione di alleanze passate alla ricerca di alleanze nuove, dalla giustizia alla economia. Quel che qui conta è che questi dibattiti si svolgono dappertutto, all'infuori che nelle sedi ufficiali del partito, e che sono spesso pensati per segnalare presenze, affermare preminenze, anticipare dissidenze. Iniziative che, come è stato detto, potrebbero anche proporsi come affluenti del grande fiume del partito, ma che privi invece di un approdo vanno producendo un pantano che si allarga ogni giorno di più.

E' pensando a questo rischio che, all'indomani delle elezioni politiche e della prima grave sconfitta subita al Comune di Roma, avevo condiviso la proposta che il segretario del Partito aveva avanzato, anche se all'interno di organi informali e in modo informale, per l'apertura di un percorso congressuale che consentisse quel largo confronto e quella verifica comune che non era stata possibile in passato nè dentro le primarie, nè dentro l'Assemblea Costituente che le primarie avevano eletto proprio a questo fine. Una proposta respinta nell'immediato da quasi tutti: chi con l'argomento che non se ne vedevano i presupposti, chi con la proposta di rinviare tutto all'indomani del risultato delle europee. Altri invece obiettarono che piuttosto che pensare a percorsi straordinari era meglio utilizzare quelli ordinari. E perciò fu convocata l'Assemblea Costituente con l'idea che potesse finalmente affrontare e decidere tempestivamente i temi in agenda. E anche per questo si decise di dedicare finalmente ad essa due giorni. Era e sarebbe stato quello il nostro Congresso si disse. Se non è un Congresso un organo di 2858 persone cosa è mai un congresso? Si disse. Se non è un Congresso un organo eletto da 3.554.000 persone cosa mai è un congresso? Si aggiunse. Il guaio è che è stato detto con vanto, mentre lo si sarebbe dovuto dire con vergogna. Quale partito si sentirebbe infatti di avviare il percorso che noi abbiamo avviato, con l'enfasi che abbiamo dato alla partecipazione diretta, con la risposta che abbiamo raccolto, con la domanda che abbiamo alimentato, per interromperlo poi così come noi lo abbiamo interrotto? Come accettare che questo partito sia proprio il nostro Partito, il Partito che in nome delle primarie si è presentato agli italiani come un partito nuovo, il Partito Democratico?

E' per questo motivo, che da delegato a delegato, prima di arrendermi definitivamente alla realtà, sento il dovere di chiederti di associarti alla mia richiesta per una nuova convocazione della Assemblea Costituente, perchè possa finalmente dibattere, ma ancor più perchè, nel rispetto delle regole che ci siamo dati con lo Statuto, possa decidere del futuro del partito.

E' una richiesta guidata solo dalla passione che tu ed io abbiamo per il partito e per la democrazia in Italia, una richiesta che prescinde dalla condivisione tra noi di posizioni sui distinti argomenti ora in discussione.

Se convieni sulla sostanza delle mie preoccupazioni e convieni sul senso della mia proposta ti prego di darmi un riscontro all'indirizzo arturoparisi@arturoparisi.it  dal quale ti scrivo.

Ti ringrazio per l'attenzione e ti saluto con amicizia

Arturo Parisi


NOTA SULLO SVOLGIMENTO DELL’ASSEMBLEA

In data 20 giugno 2008 si è  tenuta presso la Nuova Fiera di Roma l’Assemblea Nazionale, ex Assembla nazionale costituente.
L’annuncio della convocazione era stato dato il 15 maggio 2008 dal Segretario nazionale del Partito Democratico Walter Veltroni durante lo svolgimento del Coordinamento nazionale. Nonostante i 35 giorni di tempo dalla convocazione l’ordine del giorno è stato trasmesso ai delegati solo il 18 giugno nel modo seguente:
1.Relazione del segretario, 2. Dibattito, 3. Dimissioni del presidente, 4. Provvedimenti, 5. Elezioni della direzione nazionale e correlate modifiche statutarie, 6. Elezione del collegio sindacale, 7. Varie ed eventuali.
Si noti che gli elementi di informazione relativi alle modifiche statutarie e alle modalità di elezione della direzione sono stati resi accessibili ai delegati soltanto nel corso dell’Assemblea.
Lo svolgimento dei punti all’ordine del giorno relativi alle modifiche statutarie è avvenuto in palese violazione dello statuto. Per quanto attiene le modifiche statutarie in quanto il numero dei delegati presenti era visibilmente inferiore ai 1429 delegati, cioè la metà più uno dei componenti dell’assemblea, necessari al raggiungimento del “numero legale” previsti perché l’assemblea fosse legittimata ad assumere decisioni in merito a modifiche statutarie come previsto nello Statuto dall’articolo 44, primo comma che recita  “Le modifiche al presente Statuto sono approvate dall’assemblea nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti.”
La mancanza della maggioranza assoluta dei componenti ha quindi reso illegittime le modifiche statutarie e pertanto nulle anche le decisioni ad esse conseguenti. E’ evidente, infatti, che l’articolo 45 comma 1 delle norme transitorie dello statuto, che recita “L’assemblea costituente nazionale eletta il 14 ottobre 2007 assume le funzioni attribuite dal presente Statuto all’Assemblea nazionale.” riconosca tutte le caratteristiche dell’Assemblea Nazionale all’Assemblea Nazionale Costituente.
E’ necessario inoltre osservare che l’organizzazione dei lavori dell’assemblea del 20 giugno finalizzata all’elezione della direzione nazionale del partito, cosi come prevista dalle modifiche statutarie proposte, non era sufficiente a garantire il rispetto dell’articolo 2, comma 5 punti F e G. Articolato che recita “Gli iscritti e le iscritte del Partito Democratico hanno inoltre il diritto di: F) essere compiutamente informati ai fini di una partecipazione consapevole alla vita interna del partito. G) Avanzare la propria candidatura per gli organismi dirigenti ai diversi livelli e sottoscrivere le proposte di candidatura per l’elezione diretta da parte di tutti gli elettori. Per quanto attiene la direzione è stato, infatti, impedito ai delegati di fatto di presentare proposte diverse da quella del Segretario perché la possibilità di presentare liste alternative è stata resa nota e illustrata nel corso dei lavori con condizioni impraticabili (facoltà di presentare le liste diverse tra le ore 14 e le ore 17 a condizione con il sostegno del 10% dei componenti dell’assemblea).
Si chiede quindi il ripristino della legalità e conseguentemente l’annullamento delle deliberazioni avvenute nell’assemblea del 20 giugno 2008. 

da ulivisti.it


Titolo: Ho segnalato a www.perlulivo.it/forum...
Inserito da: Admin - Agosto 24, 2008, 06:41:37 pm
... mi è sembrato corretto avvisarli prima di postare il seguente messaggio in www.forumista.net

Aspetto commenti poi procedo... in buona fede e senza farmi illusioni (del resto mai partorite).

ciaoooooooooo


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Gli amici di  www.perlulivo.it/forum,  dopo essersi separati da noi, hanno ritenuto di utilizzare il termine "forumulivista" da me coniato anni fa nel e per il forum ulivo.it.

Lungi da me la volontà di richiedere i diritti d'autore (come ho già dichiarato in forumista.net) ma, come "genitore" del termine, intendo lanciare la proposta che "forumulivista" divenga parte della firma da affiancare al nick di ogni protagonista di questo forum che ritenga di definirsi pubblicamente "ulivista".   

Un termine che difinisce bene la partecipazione attiva ai forum ma indica anche la propria prospettiva politica.

Risulterebbe in tal modo ricucito un legame unificante tra persone che, in passato, hanno operato fianco a fianco anche se "tormentati" da personalismi gestiti in negativo.

"Forumulivista" per gettare un ponte tra i diversi gruppi ulivisti nazionali!

Che ne pensate?

ciaooooooooooooooooooo


Titolo: Prodi: "L'Ulivo tornerà ma senza di me"
Inserito da: Admin - Agosto 24, 2008, 06:45:10 pm
POLITICA

L'ex premier parla del suo governo e del Pd: "Sarei rimasto volentieri"

Una ragazza dice di sentirsi "un poco orfana" e il Professore risponde: "Anch'io"

Prodi: "L'Ulivo tornerà ma senza di me"

di MARCO MAROZZI

 

RICCIONE - L'Ulivo tornerà. "Anche se non sarò io a portarlo fuori". Romano Prodi, dopo mesi e mesi di silenzio, parla del futuro suo e dell'Italia. E, dopo mesi di amarezza, si illumina di sorrisi davanti a una gran folla. E, senza nominarlo, fa "lezione" al Partito democratico. Indicandogli un futuro che guarda all'Europa, al mondo e ai suoi grandi problemi. "Di fronte alle nuove sfide mondiali, noi non li risolviamo rifugiandoci in dottrina astratte". Parla di governi, ma anche di opposizioni. In Europa e in Italia. Riproponendo una politica di bipolarismo forte.

Succede a Riccione, nel parco strapieno della Villa Mussolini, dove il Professore è stato chiamato dalla libreria Bloc 60 a presentare il suo volume "La mia visione dei fatti", racconto di "cinque anni di governo in Europa", uscito proprio nel giorno della caduta come premier e che adesso diviene uno strumento di ragionamento su un metodo politico. Mille persone, con a fianco dell'ex premier Linus, direttore di Radio Capital, Dee Jay, MO2, che lo intervista dando molte volte il microfono al pubblico. E ad una ragazza che gli dice di essere triste per la fine dell'Ulivo e si senta "un poco orfana", lui risponde "anch'io", poi lancia: "L'idea che stava alla base della proposta con cui sono entrato in politica ritornerà fuori, assolutamente".

"Non la porterò fuori io - ha aggiunto - ma qualcun altro la porterà fuori". "Attualmente sto benissimo, sto meglio di un anno fa, anche se non sono andato via per stare meglio. Io sarei anche rimasto. Mi è dispiaciuto molto". "Sono stati anni belli in cui ho tentato un cambiamento forte della politica italiana attraverso il bipolarismo e la creazione di una grande alleanza di centrosinistra. Due volte ho vinto le elezioni, e due volte il disegno è stato interrotto dalla stessa coalizione che appoggiava l'esecutivo", ha ricordato l'ex premier. A giudizio di Prodi, in politica quello che "è importante è il realismo, la serietà e l'onestà con cui la si fa". Questa è l'eredità che si lascia. "Penso - ha proseguito riferendosi ai politici - che il nostro dovere sia mostrare coerenza e obiettivi precisi, anche se il prezzo può essere molto alto". E del governo Berlusconi dice: "Non si può scontentare troppa gente, ma non scontentando i problemi peggiorano".

Ritenendo di "non tornare alla politica italiana" e che girerà il mondo "con primo interesse" e un'attenzione a un possibile ruolo internazionale, Prodi ha ricordato il suo "disegno di alternanza chiara". Al Pd che non ha ancora deciso come andare alle elezioni europee e il suo ruolo rispetto al Pse e al Partito democratico europeo, l'ex premier ha lanciato: "È indispensabile creare grandi partiti a livello europeo. Ma non vedo grandi cambiamenti nel futuro che verrà. E alle ultime elezioni la parola Europa non è mai stata pronunciata e nessun politico ha mai avuto alle spalle la bandiera europea".


(24 agosto 2008)

da repubblica.it


Titolo: MERLO, ULIVO NON E' RICETTA VALIDA PER TUTTE LE STAGIONI
Inserito da: Admin - Agosto 25, 2008, 12:41:21 pm
Politica
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PD: MERLO, ULIVO NON E' RICETTA VALIDA PER TUTTE LE STAGIONI

SI E' VOLTATA PAGINA, CENTROSINISTRA HA MOSTRATO SUA DEBOLEZZA



Roma, 24 ago. (Adnkronos)

- ''Non c'e' alcun dubbio che l'esperienza dell'Ulivo ha segnato un passaggio importante decisivo nella storia politica del centrosinistra nel nostro paese.
E' altrettanto indubbio, pero', che con il progetto del Partito democratico si e' voltato definitivamente pagina e rimpiangere oggi l'Ulivo significa nient'altro che riproporre la tradizionale alleanza di centrosinistra che purtroppo ha manifestato tutta la sua debolezza e contraddittorieta' nella precedente legislatura''.

E' quanto afferma l'esponente del Pd, Giorgio Merlo.


Titolo: Circolo Pd Barack Obama. Lettera aperta a Lucio Scarpa
Inserito da: Admin - Agosto 29, 2008, 07:07:08 pm
Forum - Circolo Pd Barack Obama

29 agosto 2008, 5 ore fa


Lettera aperta a Lucio Scarpa

28 agosto 2008, 22.43.56 | Manuela


Caro Lucio, scriviamo a te, che sei il coordinatore del circolo Obama, perché sentiamo l’esigenza di far conoscere le motivazioni che ci inducono ad abbandonare il comune cammino con il PD e con i democratici del circolo. Noi che veniamo da una lunga militanza di partito come semplici iscritti, avevamo condiviso, come tanti altri elettori, il progetto dell’Ulivo, e sperato che da quel progetto nascesse finalmente un nuovo partito riformista: il Partito Democratico.

Quel partito che avrebbe dovuto superare – superare, non sommare – le culture politiche del secolo appena trascorso e chiudere l’eterna transizione dalla prima alla seconda Repubblica; per farlo occorreva una profonda opera di innovazione e di trasformazione di se stesso, dei propri metodi e delle proprie politiche e, insieme, della politica italiana.

Abbiamo assistito fin da subito a qualcosa di molto diverso, in cui le affermazioni verbali contrastavano con i comportamenti fattuali (qualcuno di molto realista ci ammonirà che è questo che è sempre successo, e che questo ci si deve aspettare, in politica: una continua rincorsa fra parole e fatti). Eppure non è questo che ci si dovrebbe aspettare da un soggetto che nasce per cambiare, non per conservare. La discontinuità, il primato degli elettori, il partito leggero, il partito aperto, sono stati concetti sbrigativamente proposti e subito abbandonati, e di fatto (ancor prima della stesura dello Statuto) si è (ri)creato un partito fotocopia di quelli preesistenti. Vorremmo sfatare un po’ di quelle che ci sembrano leggende. La prima è che questa discrasia fra parole e fatti dipenda dalla “giovine età” del partito stesso, non ancora del tutto attrezzato per le sfide che lo aspettano.

Al contrario, questo partito fotocopia è stato creato, nello Statuto, nel Manifesto dai valori – i cui “valori” sono stati accuratamente dosati più per impedire rotture che per creare identificazione – già perfettamente adeguato a rispondere alle esigenze di autoconservazione e autoriproduzione degli apparati e dell’establishment (e della loro cultura politica). Progressivamente, e lo si vede anche nelle discussioni del circolo, si sente sempre più pressante l’esigenza di distinguere, vagliare, discernere… “il grano dal loglio”, mi verrebbe evangelicamente da dire… cioè i “veri democratici” da tutti gli altri (scettici, critici, grillini e berlusconiani, travaglisti o fascisti…), individuando in tutto quello che “non siamo”, gli antagonisti e, in qualche caso, i nemici. Lontano da noi attribuirlo ad una scarsa disponibilità, ad una carenza di empatia da parte dei veri democratici: al contrario, questo è il vizio di origine dell’essere un partito pesante e non leggero, di iscritti e non di elettori.

A questo modo di essere partito vanno ascritte, a nostro parere, anche le polemiche – ci pare non comprese fino in fondo, o attribuite ai “soliti personalismi” – che molti sindaci o governatori hanno aperto con gli apparati del PD: poiché è proprio nella costruzione di strutture parallele fra partito e amministrazione, e nella mancata identificazione fra chi guida localmente il partito e chi guida l’amministrazione che nascono sempre più acuti attriti. Fra una parte di dirigenti che si rapporta ai cittadini-elettori e a questi risponde, e una parte che risponde solamente all’apparato e in questo trova la sua legittimità.

La seconda leggenda è la presunzione di innocenza di Veltroni, che ci sembra sia considerato da molti come il portatore del rinnovamento, circondato da infidi personaggi che cercano in tutti i modi di bloccare questo processo. Anche noi abbiamo molto apprezzato il “nuovo corso” che Veltroni sembrava aver imboccato in campagna elettorale; anche se non ce ne siamo mai nascoste le contraddizioni (anche nel famoso discorso del Lingotto) e le incoerenze, e soprattutto non ci siamo mai nascoste le parti “non dette”: quelle che hanno pesato da subito come macigni sulla formazione del nuovo partito, come la laicità. Oggi, continuare a sostenere che Veltroni – che ha avallato tutti, tutti, gli atti del PD, dall’incapacità di parlare con i cittadini che hanno fatto straripare Piazza Navona all’astensione/non voto sul caso di Eluana - è portatore del nuovo, assediato dai “cattivi”, significa non accettare il fatto che il “nuovo” partito è stato costruito proprio per essere come oggi è: un insieme di potentati personali (chiamatele correnti, se credete), che magari si scontrano al loro interno, in cui gli iscritti sono truppe da utilizzare per scontri di potere, e il cui segretario è frutto di un accordo fra potentati, non di scontro di idee. Le truppe, saremmo noi.

La terza leggenda che vorremmo sfatare è proprio che “La Base”, in un tipo di partito siffatto, abbia un ruolo che non sia solamente quello di permettere ai maggiorenti di contare la propria forza. Stefano, in uno dei suoi interventi, dice, di striscio: “Veltroni…che secondo me oggi va rafforzato e non indebolito, vai a sapere come, pero`...”. Ecco, il problema sta proprio qui: che noi non abbiamo alcuna possibilità non solo di mandar via, ma nemmeno di sostenere, un dirigente piuttosto che un altro. In altri termini il problema è che la comunicazione fra vertice e base va in una sola direzione, dall’alto al basso, come e peggio che negli anni ’50. E’ per questo che siamo approdati qui, al circolo online; poiché l’essenza stesa della rete è esattamente il contrario del tipo di struttura messa in atto con la costruzione del PD. E’ comunicazione orizzontale e, verticalmente, corto circuito, nel senso che salta molti passaggi obbligati sul territorio. Questo circolo avrebbe potuto essere strumento di lotta politica. Il CO non ha dalla propria parte il peso delle “strutture territoriali”, ma ha qualcosa di molto più forte: una rete che può essere fonte cui attingere la forza dei “democratici” che quotidianamente vivono e lavorano ma che stanno alla larga dalla “struttura”. “Uccidiamo il padre” diceva il titolo del convegno dei Mille.

Gran bel titolo: esso evocava la possibilità per tutti i “democratici innocenti” di prendere in mano la bandiera del rinnovamento e la rete poteva essere appunto la culla di un movimento della società civile. Occorreva prendere in mano la proposta di rinnovamento delle classi dirigenti, costruire consensi ed alleanze, e cercarli là dove si trovano: non solo, certamente, nella base dei “veri democratici”, che d’altronde si va restringendo sempre più. Sarebbe stato uno strumento efficace per tenere aperti i canali di comunicazione con tutto quel mondo che non si riconosce nel PD e che è molto critico nei suoi confronti, ma è e resta, comunque, di sinistra (o centrosinistra).

Avrebbe potuto essere il comune denominatore fra il cerchio dei militanti e quello – anzi quelli - degli elettori. Ma per essere tutto questo avrebbe dovuto anche essere consapevole della contraddizione che la sua esistenza di circolo online apre nella struttura del PD ed impugnarla come opportunità, non come una debolezza. Il CO cosi com’è sta definendo se stesso come una trasposizione dei CT nella rete. Non basta darsi norme specifiche per affermare la specificità del CO. La specificità si realizza solo se il CO si fa portatore di innovazione; diversamente, come detto, sarà solo una copia dei CT. Tutto questo non è nelle prospettive del CO: peccato. A noi la prospettiva di fare da spettatori alle lotte tra correnti o tra leader non piace e crediamo, anzi, che se c’è una critica da fare alla famosa base è propria quella di accettare il ruolo di spettatori. Per tutte queste ragioni – e ce ne sarebbero altre, che attengono ai contenuti della politica del PD, soprattutto quelli che riguardano la laicità, o la riforma della giustizia, ma sarebbe davvero troppo lungo soffermarvicisi – crediamo che il PD non sia più la nostra casa. E che questo circolo, che pure ci ha ospitato sopportando – a volte con garbo, a volte molto meno – le nostre critiche e le nostre riflessioni, diventando sempre più simile a quelle sezioni, pardon circoli territoriali, che abbiamo a lungo frequentato ed inserendosi sempre più organicamente nella struttura del partito, non sia più un luogo dove poter agire proposte di cambiamento e di rinnovamento. Cercheremo altrove altre opportunità che, speriamo, non mancheranno.

Per ora, fedeli alla nostra fama di bastiancontrari, adesso che quasi tutti sono tornati, ce ne andiamo in vacanza

 Enzo e Manuela

P.S. Non ci piacerebbe che, ritirando la nostra iscrizione, si cancellassero tutti i nostri interventi, che crediamo debbano fare parte della storia di questo circolo. Qualcuno ci potrebbe rassicurare in materia?


da pdobama.nig.com/forum


Titolo: MATTIA FELTRI. C’ erano tre cose che Romano Prodi doveva fare ...
Inserito da: Admin - Agosto 30, 2008, 09:21:18 am
30/8/2008
 
I capifamiglia
 
 
MATTIA FELTRI
 
C’ erano tre cose che Romano Prodi - da ex premier e da storico rivale di Silvio Berlusconi - doveva fare dopo la pubblicazione su Panorama dei colloqui telefonici in cui lo si sente indaffarato a intercedere per nipoti e consuoceri.

La prima era di mantenere un profilo istituzionale, e cioè di non gridare all’attentato contro la privacy violata sin nel cuore di Palazzo Chigi; la seconda di mantenere un profilo di dignità, e cioè di non denunciare d’attentato il presidente del consiglio, editore del settimanale autore dello scoop; la terza di agguantare un profilo di rigore, e ammettere che dalla poltrona dell’esecutivo non ci si dovrebbe occupare delle grane di famiglia. Due cose le ha fatte, l’ultima no.

Molti in Italia segnalano l’abuso delle intercettazioni nelle procure e sui giornali. Non lo ha mai sostenuto Prodi, e con coerenza non lo ha sostenuto stavolta; semmai, vorrebbe divulgarle tutte per dimostrare la sua innocenza. E siccome non è uno sprovveduto, il Professore si è guardato dal tirare in ballo il conflitto d’interessi di Berlusconi, perché era troppo facile e perché le sue telefonate dimostrano quanto è facile cascare negli abusi d’ufficio anche se non si posseggono tre reti televisive. Prodi si è conservato la misura e la fierezza che - specialmente al tramonto del suo potere, quando irriducibile assistette in Parlamento alla sua esecuzione - gli hanno fatto guadagnare il rispetto, se non la simpatia, pure di chi mai lo votò. E agevolmente non è cascato nel giochetto di prestigio di Berlusconi, il quale ha offerto solidarietà all’offeso e invitato le Camere a mettere mano alla questione.

La grandezza di Berlusconi risiede anche nella sua capacità di sostenere qualsiasi tesi senza perdere di credibilità. Ma stavolta non gli è riuscito. Giudicare una mascalzonata quella di Panorama e appellarsi ai parlamentari perché vi pongano rimedio, è un’enormità insostenibile persino per uno estroso come lui, al quale basterebbe una telefonata, magari alla figlia Marina, gran capo della Mondadori, per suggerire soluzioni più rapide.

E allora, fin qui due a zero secco per Prodi. Peccato, però, che si sia risparmiato il filotto. Lui e tutti i suoi sodali del Partito democratico hanno impegnato gran parte della giornata per avvalorare l’inconsistenza penale del contenuto delle conversazioni. Questo lo valuteranno i magistrati e gli osservatori abituati a pesare il mondo in base alle prescrizioni e alle aggravanti. Se Antonio Di Pietro acquista in saldo la Mercedes da un indagato, non violerà la legge ma si offre a un giudizio morale. Se Prodi, intanto che guida l’esecutivo, parla con i collaboratori e coinvolge i ministri per il vantaggio dei parenti, magari non intacca la fedina penale, ma intacca la reputazione. Sarebbe stato sufficiente offrire la spiegazione più accettata dagli italiani: anche io tengo famiglia. E piuttosto numerosa. E afflitta da qualche pena, animata da qualche aspirazione, pure un pochino petulante. Sarebbe stato sufficiente dire ho ceduto, mi dispiace, chiedo scusa, ma garantisco di non aver sconfinato nell’illegalità. E nessun galantuomo avrebbe avuto più nulla da ridire.

da lastampa.it


Titolo: Cavazza: «È vero, mi parlò di quella società ma alla fine non se ne fece nulla»
Inserito da: Admin - Settembre 01, 2008, 11:38:32 am
Smentito contributo di 280 mila euro al Pd: «Forse è Ovi che millanta di aver chiuso un accordo»

«Prodi mi chiamò per suo nipote»

Il presidente di Sigma Tau, Claudio Cavazza: «È vero, mi parlò di quella società ma alla fine non se ne fece nulla»

 

ROMA — «Prodi lo conosco da 30 anni. È vero, mi parlò di quella società di suo nipote che aveva bisogno di un nuovo socio. Cerco sempre di aiutare i giovani, ma alla fine non se ne fece nulla». Claudio Cavazza — presidente di Sigma Tau e numero due di Federfarma — conferma che nel giugno dell'anno scorso, su sollecitazione «dell'amico Romano », pensò di entrare nella Cyanagen, società di Bologna partecipata da Luca Prodi. Ma esclude che quell'interessamento sia collegabile alla richiesta fatta ad Alessandro Ovi, collaboratore dell'allora premier, di ottenere un regime fiscale migliore per la fondazione che porta il nome della sua casa farmaceutica: «Mandai a Bologna Carminati e Bianchi, due scienziati della Sigma Tau. Mi dissero che quell'azienda si occupava di biotecnologie ma in un settore lontano dal nostro. Decidemmo di non fare nulla. Nessun favore, quindi».

Cavazza conferma anche la telefonata con Ovi in cui chiedeva un migliore regime fiscale per la fondazione. Ma pure qui esclude vantaggi: «Eravamo stati esclusi dall'elenco delle fondazioni che possono non pagare le tasse, che sono al 50 per cento, sulle donazioni ricevute. Ma lui mi scaricò, mi disse che i termini erano ormai scaduti e non si poteva fare nulla. Ci rimasi anche male». La fondazione ha comunque ottenuto quello che voleva. «Abbiamo fatto ricorso al Tar che ci ha dato ragione. Non chiedevamo favori ma solo quanto già previsto per altri». Quello che invece Cavazza smentisce è il contributo di 280 mila euro al Partito democratico: «Forse è Ovi che millanta di aver chiuso un accordo con me. Del resto io sono amico di Prodi e non credo che lui si sarebbe messo in pericolo per Veltroni, visto che non era poi così contento di Walter. E poi, dopo Mani pulite, io ho paura pure a lasciare la mancia». Negli anni '90 Cavazza patteggiò (due mesi) nell'inchiesta sulla corruzione della sanità, quella dei soldi nel pouf di Poggiolini che coinvolse l'ex ministro Francesco De Lorenzo. «Ecco, spero che non ritorni quel clima di caccia alle streghe. Dicono che sono prodiano, altri pensano che sono berlusconiano, ma io sono un vecchio socialista. E penso che le due parti si debbano parlare e trovare un accordo: il Paese ha bisogno di tranquillità e le intercettazioni sono un'arma da utilizzare solo in casi estremi».

Lorenzo Salvia
30 agosto 2008

da corriere.it


Titolo: Intercettazioni e ROMANO PRODI
Inserito da: Admin - Settembre 01, 2008, 11:50:41 am
Intercettazioni  e ROMANO PRODI

I due filoni dell'inchiesta Italtel

Quello della ricerca medica e quello dell'azienda farmaceutica



IL FILONE RICERCA MEDICA

I tre punti
Le intercettazioni si dividono sostanzialmente in tre filoni, il primo riguarda gli affari del consuocero di Prodi, Gian Maria Fornasari, primario all’ospedale Rizzoli di Bologna. Il medico si occupa della banca dell’osso della Regione Emilia-Romagna e richiede fondi per le sue ricerche.

Le riunioni
Romano Prodi si interessa del caso e coinvolge anche in alcune riunioni i ministri della Salute Livia Turco e dell’Università e ricerca scientifica Fabio Mussi, oltre al suo collaboratore Alessandro Ovi e all’economista Daniele De Giovanni. Ovi stesso ricorda alla segretaria del Professore che «Romano ha fissato un appuntamento con i bolognesi per la medicina rigenerativa». Ovi poi evoca, parlando con Fornasari, un incontro già avvenuto con il ministro Turco. Il consuocero conferma i contatti. Le conversazioni sui finanziamenti— secondo quanto riporta Panorama— sarebbero «decine».

I finanziamenti
In una telefonata, Fornasari e Ovi discutono su come ottenere i fondi necessari senza che siano accreditati direttamente a nome del medico e parlano del ruolo di Aster, cioè il consorzio tra Regione Emilia Romagna, Università, imprese e coop. Ovi spiega che la convenzione «è un bellissimo pezzo di carta», ma perchè arrivino i fondi è necessario che siano indirizzati «al posto giusto» e anche in tempi stretti. Chiede Fornasari: «Facciamo l’incontro? Sai, Romano mi parlava del 4 luglio...». Replica Ovi: «L’accordo è che si passi tramite una convenzione con la regione, poi però la convenzione, se non c’è dietro il soggetto che riceve i soldi, non va da nessuna parte». «Sicuro!», gli fa eco Fornasari.


IL FILONE AZIENDA FARMACEUTICA

Il nipote
Il secondo filone riguarda le attività del nipote Luca Prodi, figlio di Vittorio. Luca, che ha il 20% della Cyanagen—azienda che produce reagenti chimici (di cui detiene i brevetti) e nata come spin-off dell’Università di Bologna— chiede consiglio al premier per far uscire dal patto di sindacato un socio, la Euroclone, che detiene il 24 5 delle quote e dunque ha ruolo forte.

Il consiglio
In un primo momento, Prodi e i suoi consiglieri cercano l’aiuto dell’industriale farmaceutico Claudio Cavazza. Viste le difficoltà, il premier consiglia di agire all’insaputa del socio sul know-how dell’azienda: «Lo so, appunto, siccome loro hanno brevettato tutto —sostiene Romano in una telefonata con Ovi —, intanto tirano via tutto quello che non hanno brevettato...». L’ex premier dichiara di essere pronto ad aiutare economicamente il nipote Luca per dare vita a un’altra società, ma Ovi lo frena e ribadisce la necessità di «fare una cosa amichevole» con Euroclone.

Il Pd
Tra gli argomenti emersi dalle telefonate ci sono anche presunti fondi da destinare al Pd. Secondo Panorama, viene chiesto un aiuto a Cavazza, che avrebbe stanziato 280mila euro per il partito. L’industriale, nel frattempo, fa pressioni —sostiene Panorama—per ottenere «aiuti legislativi e agevolazioni fiscali per la fondazione scientifica del suo gruppo». Il sottosegretario all’Economia Massimo Tononi, però, fa sapere a Ovi che non è possibile inserire la fondazione nella lista: «Lui (Cavazza o i suoi collaboratori) è venuto a trovarmi troppo tardi. Non può mica pensare che cambi il decreto del presidente del Consiglio». Ovi a sua volta chiama Cavazza per rassicurarlo sul fatto che in futuro sarà possibile inserire la fondazione nell’elenco di quelle che possono godere di privilegi fiscali.


29 agosto 2008

da corriere.it


Titolo: Parisi: «Il governo ombra? Un fallimento»
Inserito da: Admin - Settembre 05, 2008, 10:55:17 pm
Il parlamentare: «DOPO ALITALIA, COLANINO JR AVREBBE DOVUTO DIMETTERSI DA MINISTRO OMBRA»

Parisi: «Il governo ombra? Un fallimento»

E Veltroni replica: «Meno litigi nel Pd»

Critiche al leader dall'ex ministro, che su Berlusconi ammette:«I suoi 100 giorni hanno il segno più»

 
 
FIRENZE - È un duro attacco endogeno quello che Arturo Parisi ha lanciato al Pd e al suo leader Walter Veltroni nel corso di un dibattito alla festa del Partito democratico a Firenze. Parisi ha giudicato «fallimentare» l'esperienza del governo ombra messa in campo dalla coalizione di centrosinistra: «È una scommessa che al momento è mancata completamente. All'inizio - ha spiegato Parisi - ne vidi l'utilità. Oggi, dopo tre mesi, l'esperienza è fallita».

ELOGIO A BERLUSCONI - Sul palco della festa di Firenze l'esponente del Pd non ha risparmiato critiche al leader Veltroni, "promuovendo" invece il premier Silvio Berlusconi: «Il totale dei 300 giorni di Veltroni porta il segno meno; 100 giorni di Berlusconi sembrano avere il segno più» ha detto Parisi «Veltroni impari da Berlusconi a tenere un filo e a svolgerlo nel tempo. Il Cavaliere - ha aggiunto l'ex ministro della difesa - ha imparato dai suoi errori e dovremmo imparare anche noi».

LA REPLICA - Pronta la replica di Veltroni alle parole dell'ex ministro: «Il giorno in cui Parisi utilizzerà un quarto delle sue energie per attaccare la destra, io sarò contento» ha detto Veltroni, intervistato alla festa Ecodem a Pontelagoscuro. «Sarebbe meglio se tutti noi parlassimo più di quello che fa di sbagliato il governo e mandassimo meno segnali di litigio e divisione».

COLANINNO - Da Parisi una stoccata anche su Matteo Colaninno, ministro ombra per lo sviluppo economico: «Credo - ha detto - che abbia perso un'occasione... onestamente ha perso un'occasione». Così ha risposto Parisi ad una domanda sulla vicenda Alitalia e sulla newco Cai.

SONDAGGIO PRODI - In merito alle intercettazioni che hanno coinvolto l'ex premier Romano Prodi, dalle quali emergerebbe la volontà del Professore di commissionare un sondaggio anti-Veltroni Parisi ha affermato: «Non ci si capisce nulla e quel tanto che si capisce è sostanzialmente ridicolo. Già l'idea di un sondaggio da 300 mila euro è una notizia».

«L'ULIVO PER LE EUROPEE» - Dal palco della Festa del Pd Arturo ha lanciato anche la sua proposta in vista delle europee: non siano, ha avvertito, l'occasione «per un congresso mancato e una conta dentro il Pd», ma un'occasione «per riprendere il cammino di Uniti per l'Ulivo, riaggregando il massimo delle forze possibile». «Le europee - ha detto l'ex ministro - devono essere vissute come un voto per l'Europa e non come un sostituto delle politiche, un sondaggio sul peso dei partiti oppure come un congresso mancato».


05 settembre 2008

da corriere.it


Titolo: Pd: Parisi rilancia Ulivo per europee, si faccia listone "Uniti per Europa"
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2008, 12:22:05 am
Pd: Parisi rilancia Ulivo per europee, si faccia listone "Uniti per Europa"

Adnkronos - 5 Settembre 2008

VI ENTRINO TUTTE QUELLE FORZE CHE SI RITROVANO IN NOSTRO PROGRAMMA

Firenze, 5 set. - (Adnkronos) - Arturo Parisi nella sua battaglia per riportare il Partito democratico dentro il solco dell'Ulivo lancia una proposta, parlando alla Festa di Firenze, in vista delle prossime elezioni europee. Parisi spiega cosi' il suo progetto: "Esattamente come quattro anni fa, dobbiamo porci il problema di aggregare il massimo di forze possibili" in vista del voto delle europee e "dobbiamo ripercorrere quel cammino che produsse 'Uniti per l'Ulivo', aprendo la nostra proposta a tutti quelli che condividono il nostro programma per l'Europa". Parisi ha anche pronto il nome per la lista e sarebbe quello di 'Uniti per l'Europa'.

Ma a chi sarebbe aperto questo 'listone'? L'idea di Parisi e' quella di chiamare tutte le forze che possono ritrovarsi in un programma comune per le europee e quindi si pensa tutta l'area della sinistra da Sinistra democratica di Fabio Mussi ma anche ai Socialisti di Enrico Boselli. Insomma, quelle forze che se dovesse esserci una soglia di sbarramento piu' alta del 3% vedrebbero a rischio, oltretutto, la loro rappresentanza. Parisi non lo dice esplicitamente a quali soggetti si riferisce ma ripete che lo sforzo del Pd deve essere quello di "aggregare il massimo di forze possibili" attorno ad un programma condiviso.

Ai cronisti che chiedono a Parisi se abbia parlato di questa proposta con Romano Prodi, l'ex ministro risponde: "No, non ne ho parlato con Prodi. Ne ho parlato con mia moglie...".

Parisi nel lanciare la sua proposta di 'Uniti per l'Europa' spiega di averla avanzata non solo per riprendere il progetto dell'Ulivo ma anche perche' le elezioni europee rischiano di "diventare solo una conta interna al Partito democratico. Rischiamo di farle diventare il sostituto di un congresso mancato".


Titolo: Io, Arturo Parisi, vi dico dove Veltroni ha sbagliato
Inserito da: Admin - Settembre 07, 2008, 07:43:20 pm
7 settembre 2008, 17.26.46

Io, Arturo Parisi, vi dico dove Veltroni ha sbagliato

 | Elvira Santaniello


Questo titolo non tragga in inganno...non mi trovo affatto d'accordo con Parisi, ma credo che per rafforzare il mio, il nostro appoggio a Veltroni, sia bene anche dare un'occhiata alle opinioni degli altri...anche se questi altri stanno nel nostro stesso partito! Da Panorama.it: Tutto inizia dall’inizio. Frase buona per il titolo di un film, ma anche (veltronianamente) per la breve storia del Partito democratico, la sua fondazione, la sua sorprendente crisi prematura. “Tutto inizia dall’inizio” dice a Panorama Arturo Parisi, progettista dell’Ulivo ieri e oppositore interno del Pd di Walter Veltroni oggi. L’ex ministro della Difesa nel centrosinistra è uno dei pochi che possa dire a testa alta: l’avevo detto. Ha dimostrato nuragica durezza nel criticare il ponte di comando del loft e nel chiedere il ritorno del centrosinistra a una rinnovata formula dell’Ulivo. I dialoghi dei consiglieri di Romano Prodi sulle primarie nel Pd, intercettati nell’ambito dell’inchiesta Siemens dalla procura di Bolzano, non lasciano spazio a dubbi politici: il presidente del Consiglio Prodi cercava di contrastare la vittoria annunciata di Veltroni per evitare quella che nei colloqui privati viene chiamata “farsa” del candidato unico, o quasi. “Invece di candidarsi alla leadership del nuovo partito per succedere poi nella premiership del nuovo governo, Veltroni rovesciò la sequenza, candidandosi immediatamente alla premiership e in quanto tale alla leadership del partito” ricorda Parisi. Ovi e Cavazza parlano delle primarie del Pd nei giorni che precedono l’investitura ufficiale di Veltroni. Prima della discesa in campo di Rosy Bindi ed Enrico Letta, candidati deboli destinati a soccombere al cospetto della macchina elettorale dei Ds e degli ex dc di Franco Marini. “Nelle prime scelte sta tutto lo sviluppo successivo. Innanzitutto nella sua investitura unanimistica da parte dell’apparato, che riconobbe in lui l’unico candidato spendibile nella gara di popolarità con Silvio Berlusconi, anche se il meno adatto a fondare un partito. E poi nel discorso del Lingotto, che proponeva un programma per un nuovo governo e non un progetto di un partito nuovo. Tutto il resto ne viene di conseguenza” continua Parisi in un flashback che, alla luce degli avvenimenti e delle scelte fatte da Veltroni, è rivelatore degli errori compiuti. Parisi è un gentiluomo e non dice quali errori ha compiuto Prodi. Il primo, lampante, è non avere ostacolato subito e alla luce del sole la corsa semisolitaria di Veltroni, appoggiando la linea sostenuta da Parisi invece di affidarsi alle sortite spuntate e discutibili dei suoi consiglieri più pratici di business che di politica. Quando discutono del progetto per le primarie, la porta del confronto con Veltroni, duro e spietato come può capitare in politica, è ancora aperta. I Ds inoltre sono nel vortice del caso Unipol: il 22 maggio 2007 Il Giornale apre il caso Visco-Guardia di finanza, mentre a metà luglio 2007 il magistrato di Milano Clementina Forleo trasmette al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs Mediagroup e cita politici della Quercia del calibro di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, chiedendo di poterle utilizzare. L’allora maggioranza di centrosinistra è allo sbando, pressata dalle procure di Nord (Milano, inchiesta Unipol) e Sud (Catanzaro, inchiesta Why not), si dibatte in una crisi strisciante. Il procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris iscrive il 13 luglio 2007 Romano Prodi nel registro degli indagati dell’inchiesta Why not e qualche mese dopo, il 14 ottobre 2007 (ironia della sorte, giorno delle primarie del Pd), tra gli indagati finisce anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Ds e Margherita si trovano nel pieno di una tempesta politico-giudiziaria mentre è in corso la delicata costruzione del Pd, le rispettive leadership sono ammaccate e il vento anticasta le travolge. In ordine sparso, e confusamente in cerca d’autore, trovano rabdomanticamente l’uomo della salvezza in Veltroni, ma il sindaco di Roma non vuole avversari e ha un atteggiamento liquidatorio nei confronti del Professore di Bologna. “Dietro il sostegno formale a Prodi c’era la contestazione dei limiti e delle contraddizioni del suo governo” sostiene Parisi. Politicamente si consuma la frattura con la sinistra radicale, il piano secondo Parisi è chiaro: “In vista di una accelerata sostituzione del governo, c’era la separazione consensuale concordata con Fausto Bertinotti, guidata dall’illusione che dividersi da buoni fratelli fosse per ambedue elettoralmente più redditizio che arrivare a un vero confronto su un progetto politico. Mentre Berlusconi portava a ulteriore avanzamento, con le buone e con le cattive, il processo di unificazione del polo di centrodestra iniziato nel 1994, Veltroni metteva fine a quel processo proclamando la discontinuità con i 15 anni della esperienza dell’Ulivo” ricorda l’ex ministro della Difesa. La rottura dell’esperienza ulivista per Parisi è l’origine della crisi del partito guidato da Veltroni: “Il Pd invece di riproporsi in continuità con l’Ulivo come il baricentro, la guida e il timone del campo di centrosinistra, esattamente come il Pdl nell’altro polo, proponeva la sua parzialità come totalità guidato dall’illusione di battere pressoché in solitudine lo schieramento avverso”. Il disegno veltroniano fallisce, prima che nell’urna, nelle manovre delle primarie, quando è chiara la volontà di depotenziare i prodiani ed escludere outsider di peso scarsamente controllabili come Marco Pannella e Antonio Di Pietro. Con il senno di poi, la defenestrazione dalle primarie dei radicali e del leader dell’Italia dei valori è stata la premessa degli smarcamenti dei radicali e, nel caso di Di Pietro, della costruzione di una linea alternativa nell’opposizione che oggi drena consensi alla base del Pd ed è una delle ragioni più gravi della crisi di leadership di Veltroni, che nel frattempo ha perso pure Prodi, dimessosi dalla presidenza del Pd alla vigilia delle elezioni. Il destino con il Pd si diverte a giocare a dadi, i dalemiani che nel 2007, anche sotto la pressione giudiziaria, avevano digerito il boccone amaro della scelta di Veltroni (avversario storico di Massimo D’Alema) si ritrovano di nuovo nel mirino della magistratura. In questi giorni la procura di Milano ha chiesto nuovamente al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni che riguardano il senatore Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema. Riemerge così il fascicolo depositato da Clementina Forleo nel luglio 2007 sul caso Unipol. Veltroni finora non ha voluto ascoltare chi nel centrosinistra chiede un riequilibrio del rapporto tra magistratura e politica e ha scelto di non tagliare il cordone ombelicale con la magistratura associata, come testimonia la nomina dell’ex magistrato Lanfranco Tenaglia a ministro ombra della Giustizia. Veltroni finora aveva tratto vantaggio da questa situazione, ma oggi rischia di pagarne le conseguenze, il gioco infatti sta per sfuggirgli di mano. D’Alema si è sottratto all’abbraccio di Walter e manovra nel partito con l’associazione Red, mentre i prodiani, sempre più esacerbati e solitari, sembrano già con la valigia in mano. Tutto inizia dall’inizio. Anche la fine.

da pdomaba.ning.com/forum


Titolo: Parlare di sinistra? E che vuol dire "parlare di sinistra"?
Inserito da: Admin - Settembre 22, 2008, 10:30:03 am
Quote:

Parlare di sinistra?
E che vuol dire "parlare di sinistra"?




Vuol dire essere per giustizia, equità, parità.

Essere di sinistra vuol dire mettere l'uomo viene prima di tutto.Sopratutto prima dell'economia.


Essere di sinistra vuol dire difendere i diritti di tutti i soggetti che per ignoranza e pregiudizio, in varie forme, sono discriminate: donne, gay, extracomunitari, rom.

Essere di sinistra vuol dire difendere l'assistenza sanitaria e l'istruzione universale, perchè ritengo necessaria l'assistenza e previdenza sociale per tutti.

Essere di sinistra vuol dire tutelare chi lavora e che sia onestamente retribuito

Essere di sinistra vuol dire credere in una societa' onesta, pulita, egualitaria il cui suo unico scopo e' ampliare il benessere collettivo cercando di diminuire la grande disparita che oggi esiste fra le classi sociale. Non appiattimento, sia chiaro!

Essere di sinistra vuol dire saper difendere i piu' poveri, i "perdenti" di queste societa' del benessere piu' sfacciato.

Essere di sinistra vuol dire tener fermo quei valori della ns. costituzione. Valori scaturiti da una lotta antifascista.

Essere di sinistra vuol dire tener fermo i valori della laicita' di uno stato ripsttando i dirirri di tutti .Anche dei non credenti.

Essere di sinistra vuol dire dare liberta di culto a tutte le religioni.

Essere di sinistra vuol dire anche solidarieta' con i piu' deboli.

Essere di sinistra vuol dire che i diritti e doveri siano auguali per tutti.

Ed infine:

Essere di sinistra vuol dire mettersi a disposizione perche ci sia un continuo rinnovamento sociale che sia ingrado di percepire tutti quei cambiamenti che questo processo di globalizzazione ci pone davanti giorno per giorno fermo restando quei valori sopracitati(e non solo questi).

Se ci riconosciamo in questo allora possiamo dirci di sinistra e possiamo cominciare a discutere , come diceva Bobbio, per cercare un nuovo Socialismo adatto al nuovo millennio.

Credo che tutto questo possa bastare per definirci di sinistra.

Molti si dichiarano di sinistra ma non rispettano questi valori basilari.

Se stiamo attenti ,non fatichiamo a riconoscerli.

Essere di sinistra ,vuol dire sopratutto questo, caro amico Vittorio.

da www.forumista.net/forum


Titolo: Arturo PARISI. Questione di democrazia
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2008, 11:17:27 pm
Questione di democrazia

7 ottobre 2008

Uno degli effetti perversi della legge elettorale (Porcellum) è quello di rompere ogni legame tra parlamentari e territorio e soprattutto quello di privare i cittadini di ogni possibilità di scegliere per quale candidato votare.

Da sempre noi crediamo che il sistema elettorale uninominale di collegio sia la soluzione migliore.

Guardiamo comunque con preoccupazione all'idea di estendere le liste bloccate anche alle elezioni europee. Siamo nel perdurante attacco berlusconiano alle istituzioni rappresentative.

Arturo Parisi, con la consueta lucidità, collega questo attacco all'uso strumentale della giusta indignazione di fronte agli eccessi della "casta".


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Che la campagna contro la "casta parlamentare" dello scorso anno fosse riconducile ad ispirazioni diverse e disponibile ad utilizzazioni profondamente contrapposte l'hanno detto in molti e l'hanno detto subito.

Da una parte stava infatti la sacrosanta indignazione verso i privilegi dei parlamentari e gli ingiustificati costi della politica di ispirazione autenticamente democratica. Dall'altra stava invece l'attacco alla funzione istituzionale dei parlamentari e del parlamento sicuramente reazionaria, antidemocratica e populista.

Della prima linea , dopo gli interventi promossi dal governo Prodi, invece di svilupparsi ulteriormente allargandosi ad altre categorie superprivilegiate, alle istituzioni inutili, e ai costi ingiustificati, sembra essersi persa ogni traccia. Continua invece l'attacco alla funzione rappresentativa del Parlamento e dei parlamentari.

Capofila di questo attacco è ancora una volta il nostro Presidente del Consiglio che appena qualche giorno fa ha attaccato Parlamento e parlamentari accusati di non cooperare con adeguata solerzia ed entusiasmo al suo "governare per decreti" dimenticando che Freedom House ha classificato, durante il suo precedente governo, l'Italia fra i Paesi "parzialmente liberi" proprio a causa della subalternità del Parlamento all'Esecutivo, oltre che per la concentrazione delle TV, il controllo del governo sulla RAI.

Pur essendo la iniziativa di Berlusconi, la sua idea e la sua pratica della politica il motore principale di questo processo che anche Veltroni ha recentemente denunciato, non possiamo dimenticare quali e quanti siano gli alleati che cooperano a questo esito.

Non voglio riferirmi a chi come Europa in un paradossale corsivo è arrivato ad applaudire al governare per decreti argomentando che potrebbe utile anche a noi riformisti quando "domani" torneremo al governo.

Voglio invece riferirmi ai disastrosi effetti prodotti dalla accusa di "fallunonismo" a suo tempo ingiustamente associata al tema dei privilegi ed ora rilanciata dalla destra. L'accusa ai parlamentari di essere dei fannulloni sta infatti incoraggiando per reazione il moltiplicarsi delle proposte di legge e la loro assunzione a parametro della qualità della attività parlamentare. Paradossale!

Mentre da una parte si combatte e si denuncia l'esistenza di un numero eccessivo di leggi come caratteristica della patologia italiana, mentre si promuovono e si annunciano iniziative finalizzate a disboscare la selva di leggi, si incoraggia nei fatti e si plaude sui media al loro moltiplicarsi.

Questa distorsione ha raggiunto poi il suo culmine nell'annunciata modifica del calendario parlamentare con l'obiettivo di espandere al massimo la settimana romana nel presupposto della irrilevanza del rapporto con gli elettori. Una riforma questa che sembra purtroppo fondata su un largo consenso trasversale.

Poiché i parlamentari sono ormai nominati dai vertici di partito, perché mai dovrebbero mantenere un rapporto col collegio?

Invece di contestare la attuale disastrosa legge elettorale e la minacciata estensione delle liste bloccate anche nella elezione del Parlamento europeo, si adegua la prassi alla regola ingiusta dimenticando che "casta" prima che privilegio significa "separatezza".

 

di: Arturo Parisi


da www.lafabbrica.eu


Titolo: Contro il Lodo "rispunta" l'Unione. (non è ancora tempo ndr).
Inserito da: Admin - Ottobre 07, 2008, 11:42:35 pm
POLITICA

Idv lancia la raccolta di firme in 3.500 città contro la legge a tutela delle 4 più alte cariche dello Stato.

Con Di Pietro, Parisi (Pd), Ferrero (Prc), Palermi (Pdci) e Leoni (Sd)

Piazze, firme e referendum

Contro il Lodo "rispunta" l'Unione

Sabato due manifestazioni: Italia dei Valori in piazza Navona e Sinistra radicale alla Bocca della Verità

Il 25 sarà la volta del Pd.

L'appello di Parisi a Veltroni: "Ora è il tempo di dire dei no"


di CLAUDIA FUSANI



ROMA - Toh, chi si rivede, l'Unione. O quanto meno pezzetti di quella che fu l'alleanza di centrosinistra del governo Prodi. Foto di gruppo per un momento che va fermato. Sala stampa di Montecitorio, ore undici del mattino, al centro spicca Antonio Di Pietro, padrone di casa nonché promotore dell'iniziativa, c'è Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, Arturo Parisi padre spirituale del Pd ed ex ministro della Difesa, Manuela Palermi, ex capogruppo al Senato di Pdci e Verdi, Carlo Leoni per la Sinistra democratica. Tutti insieme, anche se non appassionatamente, contro il lodo Alfano. E contro "la dittatura del Berlusconi IV" come si legge sul sito dell'Italia dei Valori che lancia la campagna "Firma e fermali", cioè firma i quesiti per chiedere il referendum abrogativo della legge che la maggioranza è riuscita ad approvare in meno di un mese e che garantisce l'impunità alle quattro più alte cariche dello stato. Giusto in tempo per la sentenza del processo Mills dove il premier è imputato per corruzione in atti giudiziari.

L'autunno in piazza della sinistra. E' cominciato a settembre; la Cgil sui contratti, studenti e insegnanti contro la riforma della scuola firmata Gelmini, universitari e ricercatori che occupano le università. Nei prossimi fine settimana Italia dei Valori (sabato 11) e Pd (sabato 25) danno appuntamento all'Italia che non ci sta, a cui non va bene "la politica spot", fatta di "promesse e involucri vuoti", un premier che dice "bugie" e scambia "il governare con la presa del potere". Appuntamenti che devono dare un'identità al Pd, risollevare la sinistra radicale mentre Di Pietro può solo confermare il ruolo che ha tenuto dall'inizio della legislatura: essere contro Berlusconi perché "non ci fidiamo". Di sicuro con l'avvicinarsi di questi appuntamenti, che non possono fallire, Veltroni ha abbandonato il modulo catenaccio - suicida - ed è andato in pressing sul premier denunciando la deriva autoritaria e i rischi per la democrazia. Cambio di strategia che ha sortito il mezzo miracolo di congelare le risse dentro il Pd. Ma che non vuole in alcun modo cedere alla tentazione di rimettere insieme un'alleanza politica "contro" qualcosa - cioè Berlusconi - invece che "per" qualcosa".

I quesiti contro il lodo Alfano. Comincia Di Pietro, quindi. Oggi ha presentato i quesiti contro il lodo Alfano per andare al referendum abrogativo. Ed è significativo che per farlo l'ex pm chiami intorno a sé i pezzi della vecchia Unione. Sabato infatti le piazze saranno due. L'Italia dei valori dà appuntamento a Roma in piazza Navona e in altre 665 città per abolire "una legge che l'attuale premier ha voluto per delinquere in libertà e non farsi processare". E non è finita qui perché "la libertà si perde così, un poco alla volta". Ecco infatti, sostiene l'ex pm e gli altri ospiti seduti accanto a lui, che "stanno arrivando il lodo Consolo per i parlamentari e l'estensione anche all'imputato Mills". Per non parlare della riforma della giustizia e delle divisione dei poteri tra giudici e pm.

La manifestazione della sinistra radicale. Sempre sabato scende in piazza anche la sinistra radicale, appuntamento in piazza Bocca della Verità, conclusione di un corteo che partirà da piazza Esedra. Due piazze distinte, quindi, ma che avranno momenti di incontro. "Senza primogeniture politiche" precisa l'ex pm "ma aperte a tutti i cittadini che si riconoscono in questo impegno". Infatti la raccolta delle firme andrà avanti per tutto l'anno in 3.500 piazze per consegnarle entro l'8 gennaio.

Per Paolo Ferrero "il lodo Alfano è una legge castale che va abolita" e l'11 ottobre "è una data da circoletto rosso perché l'opposizione e la riconquista dei consensi cominceranno da qui".

Parisi a Veltroni: "Referendum necessario, passerà". Per il professore ulivista, unico rappresentante del Pd e negli ultimi giorni meno severo del solito col segretario, il lodo Alfano è "un clamoroso abuso" contro cui tutto il Pd si dovrebbe schierare "perché ci sarà il numero legale e il referendum passerà". "Ci sono momenti per dire no e oggi è il giorno giusto per farlo visto che abbiamo un governo che per governare usa solo decreti" dice l'ex ministro della Difesa chiamando a raccolta la base del partito Democratico a cui chiede un atto di disobbedienza rispetto alle indicazioni di Veltroni contrario al referendum perché non raggiungerà il quorum. Contro il Pd si schiera la Sinistra democratica (Carlo Leoni): "Se si dice che c'è una deriva autoritaria, io credo che si debbano sostenere tutte le battaglie contro quelle misure" che mettono in discussione in principi democratici "come il lodo Alfano, un provvedimento che fa a cazzotti con la legalità".

In questo tentativo di revival di Unione, chi tende la mano a Veltroni è proprio Di Pietro che raccoglierà le firme anche il 25 ottobre, alla manifestazione del Pd "Salva l'Italia". Resta da capire se per il segretario la salvezza dell'Italia passa anche dall'abolizione del lodo Alfano.

(7 ottobre 2008)


Titolo: ARTURO PARISI, MARIO SEGNI Lodo Alfano, il referendum come dovere
Inserito da: Admin - Ottobre 08, 2008, 08:50:37 am
8/10/2008
 
Lodo Alfano, il referendum come dovere
 
ARTURO PARISI, MARIO SEGNI
 

Fin dalla prima formulazione del lodo Alfano, anche se muovendo da posizioni distinte, abbiamo manifestato la nostra opposizione alla pretesa di Berlusconi di sottrarsi alla sua condizione di cittadino e la nostra determinazione a sostenere ogni iniziativa che contrastasse la legge. Mentre si avvia la campagna referendaria vogliamo rendere espliciti i motivi che ci chiamano a impegnarci in questa difficile battaglia.

Sono passati quasi vent’anni dal primo referendum diretto ad una riforma che affidasse ai cittadini la scelta dei governi ed a questi la forza di governare nell’interesse del Paese. Quella riforma ci ha dato l'elezione diretta dei capi degli esecutivi locali e la legge elettorale maggioritaria. È grazie a quella riforma che oggi Berlusconi governa a capo di un governo che si annuncia stabile, pur non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi alle ultime elezioni. Continuiamo a difendere quella riforma, spesso osteggiata da coloro che ne hanno beneficiato, e a batterci per portarla a termine. Ma la regola maggioritaria è stata introdotta per governare, non per stravolgere unilateralmente le regole del sistema. E proprio perché vogliamo continuare su questa strada, e dare finalmente all’Italia una democrazia che funzioni, che ci sentiamo chiamati a contrastare chi, come Berlusconi, abusa per interesse personale di quella forza che le regole hanno messo nelle sue mani.

Chiedere il referendum sul lodo Alfano è un dovere morale; è un dovere verso l’Italia, è una necessità istituzionale. È un dovere morale perché non è accettabile che un presidente del Consiglio si sottragga alla giustizia con una norma che sospende i processi a suo carico già in corso. Il principio di maggioranza non consente qualunque cosa, qualunque prepotenza, e soprattutto non permette di sottrarsi al principio fondamentale di ogni convivenza civile: il principio di responsabilità personale. Come è possibile che proprio chi, per la carica che ricopre, dovrebbe essere di guida e di esempio a tutta la comunità si sottragga a un principio cardine di ogni società democratica? Come potremmo guardare negli occhi i nostri giovani, chiedere sacrifici e rispetto delle regole, imporre loro di rispondere dei propri comportamenti se permettiamo che chi ha la guida del governo si sottragga ad ogni responsabilità? Come può il ministro Gelmini imporre ai giovani, con il voto in condotta, comportamenti seri e responsabili se il presidente del Consiglio è sottratto ad ogni responsabilità addirittura per violazioni della legge penale? Come è possibile perseguire i tanti furbetti che inquinano il mondo finanziario e imprenditoriale se cancelliamo, ai vertici della politica, il principio della responsabilità personale?

Chiedere il referendum è un dovere verso l'Italia perché il nostro Paese non deve, ancora una volta, passare agli occhi del mondo come la nazione nella quale il diritto non vale per i potenti. «Ci sarà pure un giudice a Berlino» disse il mugnaio prussiano che aveva subito un torto dal suo Re. E nella Prussia di Federico II il mugnaio trovò il giudice che gli diede ragione. Sono passati tre secoli e i principi dello stato di diritto si sono diffusi in tutto il mondo. Perché proprio l'Italia vuole fare un gigantesco salto all’indietro, cancellare il principio della uguaglianza di tutti, ripetiamo di tutti i cittadini di fronte alla legge? È infine un dovere istituzionale. L’Italia deve finalmente giungere a istituzioni forti. Ma più forti sono le istituzioni, più ferree e chiare devono essere le regole e i limiti. Stordito da una informazione televisiva in cui è più che mai assente il pluralismo e più forte il controllo del governo, il Paese non ha avvertito la gravità dei fatti e il dibattito parlamentare è passato del tutto inosservato. Il popolo, i cittadini, rimangono quindi l'unico baluardo a difesa delle regole democratiche e dello stato di diritto.
 
da lastampa.it


Titolo: Yasmin Inangiray In piazza torna l'Unione: Governo dialoghi.
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2008, 11:53:56 pm
2008-10-30 20:31

In piazza torna l'Unione: Governo dialoghi.

Berlusconi: scandalosi

di Yasmin Inangiray



ROMA - Lo sciopero generale della scuola contro la legge Gelmini ha ricomposto in piazza, anche se solo per mezza giornata, il puzzle dell'Unione. A dare il loro sostegno alla protesta di studenti e professori c'era infatti tutta la squadra del centrosinistra: il Partito Democratico, con una nutrita delegazione guidata da Walter Veltroni, Rifondazione Comunista, l'Italia dei Valori, Sinistra Democratica, Verdi e Pdci. Una mobilitazione contro cui ha lanciato il suo affondo Silvio Berlusconi, che ha accusato la sinistra di avere "una scandalosa capacità di mentire sulle cose di buon senso". Messe da parte le divisioni politiche per qualche ora, il centrosinistra si è presentato compatto in piazza per mandare un messaggio chiaro al governo: no alla scuola 'modello Gelmini'. Uno slogan che, tradotto, rappresenta la premessa alla raccolta delle firme per il referendum abrogativo annunciato dal Pd e su cui c'é l'impegno di tutta l'opposizione. Un invito al governo ad "ascoltare la protesta" arriva da Veltroni.

"Per me è naturale essere qui", dice arrivando alla testa del corteo. Guai poi a parlare di riforma per un provvedimento che "contiene sono tagli al cuore del Paese". Il segretario del Pd non nasconde poi la sua "preoccupazione" per gli scontri di mercoledì a piazza Navona. Accanto a Veltroni scendono in piazza anche la vicepresidente della Camera Rosy Bindi, l'ex ministro del Welfare Cesare Damiano, la capogruppo al Senato Anna Finocchiaro e l'ex ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni: "L'insegnamento che deve trarre il governo - dice - è che le riforme si fanno con la scuola e non contro".

Scalda i motori per raccogliere le firme contro il decreto Gelmini anche l'Idv di Antonio di Pietro. L'ex pm arriva alla manifestazione con un gruppo di deputati ingrossando le fila di chi chiede chiarimenti al governo sugli scontri di piazza Navona. Confusi tra i manifestanti ci sono poi tutti i rappresentanti della sinistra radicale. Rifondazione comunista è al gran completo. C'é il leader Paolo Ferrero, che ribadisce l'appoggio del partito per ogni protesta contro il governo con l'obiettivo di arrivare allo sciopero generale; e, in rappresentanza della minoranza del Prc, arrivano Franco Giordano e Nichi Vendola: "Con il movimento nato contro la riforma della scuola - osserva il governatore della Puglia - si è di fronte alla prima vistosa crepa dell'egemonia berlusconiana". A sorpresa e senza dare nell'occhio, in piazza del Popolo si fa vedere anche l'ex presidente della Camera Fausto Bertinotti: "Il governo non ha consenso sociale - dice guardando la folla che gremisce le strade intorno alla piazza - non basta aver domato l'opposizione parlamentare".

 La manifestazione, osserva invece Oliviero Diliberto, leader del Pdci, testimonia la "ripresa di un'opposizione seria contro il governo". Questa riforma è "un delitto", attacca l'ex ministro dell'Università Fabio Mussi, di Sinistra Democratica. Contro la mobilitazione del centrosinistra si schiera con una voce il Pdl. "Il Pd lasci in pace gli studenti", dice il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che però non nasconde qualche dubbio sulla tempistica del provvedimento: "Il governo - osserva il reggente di An - non ha comunicato bene e forse le cose sono state fatte troppo di fretta". Fabrizio Cicchitto se la prende invece con "la deriva plebiscitaria" del Pd per aver deciso di "indire un referendum contro il decreto", mentre Roberto Cota, capogruppo della Lega Nord, accusa la sinistra di "strumentalizzazione" 

da ansa.it


Titolo: Epifani: «Un intero Paese insorge»
Inserito da: Admin - Ottobre 30, 2008, 11:54:40 pm
Epifani: «Un intero Paese insorge»


Quando sale sul palco di piazza del Popolo, dal basso esplode un boato. Guglielmo Epifani, il segretario della Cgil, parla al milione di persone che sono venute a Roma per dire no al decreto Gelmini. Lui lo chiama «un'intero paese che insorge»: «State segnando una giornata memorabile – dice ai manifestanti – non solo per la scuola ma per la nostra democrazia, per il futuro del paese, per i nostri giovani. Non avevo mai visto una piazza così, forse avremmo dovuto scioglierne un'altra – dice a chi è rimasto fuori – ma probabilmente non c'è così grande da accogliere tutti».

Epifani poi si è rivolto ai giovani, a quelli che il governo chiama «facinorosi, strumentalizzati»: «Non vi pentirete di stare con noi – dice Epifani – non permetteremo che il vostro impegno sia messo in discussione da qualcuno che ha cattivi pensieri. La forza di questa piazza è la forza della democrazia ed è uno scudo per i nostri giovani. Qui c'è la maggioranza del paese che non si rassegna, che non abbassa la schiena, che non si fermerà».

Poi il segretario della Cgil parla della riforma: «Hanno chiamato in causa Obama – dice – ma lo sanno che se sarà eletto investirà 20 miliardi nell'istruzione? E lo sa il nostro governo - incalzato Epifani – che sta arrivando una crisi, che già 200 mila persone nel settore privato sono stati licenziati o in cassa integrazione e a questi si aggiungono i precari della scuola, dell'università, della sanità, dello Stato? A quanto si vuole far arrivare il numero di persone che perderà il lavoro?».

E nel discorso di piazza del Popolo non manca un richiamo all’unità sindacale: oggi sono tutti insieme in piazza, ma dall’Alitalia alla riforma dei contratti, ultimamente Cgil Cisl e Uil non sono andate troppo d’accordo: «Non scambiamo un piatto di lenticchie – dice – per la forza di questa ritrovata unità. Non divida il governo quello che le persone vogliono tenere unito». Epifani lascia la piazza con un appuntamento, quello del 14 novembre, quando torneranno in piazza gli universitari e i ricercatori. E con un appello «Il Governo apra finalmente il dialogo. Non lo deve al sindacato, ma al Paese reale per il futuro dell'Italia».

Pubblicato il: 30.10.08
Modificato il: 30.10.08 alle ore 16.05   
© l'Unità.


Titolo: Arturo Parisi: Mobilitiamoci contro il Lodo Alfano
Inserito da: Admin - Novembre 01, 2008, 11:36:20 pm
Arturo Parisi: Mobilitiamoci contro il Lodo Alfano



A Silvio Berlusconi non basta essere il più ricco e il più potente degli
italiani.

Vuole anche essere il più sereno.


Non appena tornato al governo la sua prima preoccupazione è stata perciò
quella di mettersi al riparo dalla giustizia sospendendo tutti i processi
che lo riguardano con una legge imposta a tambur battente.

Un'altra legge ad personam che si illude di nascondere il suo privilegio
solo perché estesa alle tre più importanti cariche dello Stato.

La Legge Alfano non ha precedenti in alcun altro Stato di diritto.
Noi siamo sicuri che la Corte riconoscerà che anche in Italia la legge è
uguale per tutti.

Secondo alcuni di fronte a questa vergogna ce ne saremmo dovuti stare
nell'attesa con le mani in mano con l'argomento che tanto siamo minoranza, e
che i referendum si fanno solo se si ha già la vittoria in tasca.

I cedimenti crescenti della maggioranza alla tentazione di approfittare di
una forza parlamentare superiore ai suoi consensi reali attraverso la
forzatura e la trasgressione delle regole democratiche e la
strumentalizzazione delle emergenze ha risvegliato tuttavia l'opposizione ai
suoi doveri istituzionali.

Assieme al contrasto nelle aule parlamentari, vanno perciò moltiplicandosi
le iniziative tra i cittadini, dalla promozione di petizioni alle
manifestazioni pubbliche di protesta.

Tra gli strumenti che la Costituzione mette nelle mani dei cittadini per
abrogare le leggi ingiuste e sbagliate il referendum resta la prima e la
fondamentale, uno strumento indirizzato in particolare alla difesa della
democrazia.

La legge sul lodo Alfano è una legge ingiusta e sbagliata che per i suoi
contenuti, per il modo nel quale è stata approvata, e per le finalità che la
ispirano, mette in causa la democrazia.

Da ulivisti che si battono tra i Democratici per la Democrazia, riteniamo
che sia perciò nostro specifico dovere aiutare i cittadini a mettere a
verbale la propria protesta e la richiesta di correzione di quello che è per
noi un grave errore del Parlamento e una colpa della sua maggioranza.

Non ci interessa chi ha preso per primo l'iniziativa, nè i motivi di questo
o di quel compagno di strada.

Quello che non possiamo accettare è che nel nostro Paese si affermi l'idea
che i potenti possano pretendere di disporre di una giustizia speciale che
li sottragga ai doveri dei cittadini comuni.

La convinzione che ci guida è infatti che rifiutare di battersi equivale ad
arrendersi, e arrendersi di fronte a questa prepotenza significa seminare
sfiducia verso la possibilità di autocorrezione che rappresenta il tratto
qualificante di una democrazia.

Per questo motivo ti chiedo di partecipare a questo impegno con le modalità
che ti sono possibili: promuovendo un banchetto per la raccolta di firme nel
tuo territorio, partecipando alle iniziative che sono già in corso,
manifestando le ragioni a favore della iniziativa sui giornali e sulla rete.

L'esperienza della raccolta di firme finora realizzata, compresa quella in
occasione della manifestazione di Roma dello scorso 25 ottobre, ci dice che
i cittadini colgono senza esitare la proposta di sottoscrizione del
referendum. Basta fargli trovare un banchetto attrezzato!

Facciamo sentire la nostra voce, lasciamo a verbale la nostra protesta, e la
nostra passione per la democrazia.
Passaparola, fai girare via email.

Arturo Parisi


Se pensi di dover accogliere questo appello, inviaci i tuoi dati riempendo
il modulo che segue ed invialo ad info@democraticiperlademocrazia.it, sarai
contattato immediatamente dal comitato e riceverai il kit per raccogliere le
firme con le istruzioni per l'uso.

...


Oppure contatta direttamente lo 06/69519224 dalle ore 10 alle ore 18 dal
lunedì al venerdì o il numero 3349521797.


Titolo: I tanti ramoscelli nati da - www.ulivoselvatico.org
Inserito da: Admin - Novembre 11, 2008, 11:54:47 pm
Ho letto su www.ulivoselvatico.org



Cari amici, dopo essere cresciuti insieme per 6 anni, abbiamo lasciato questo sito in amicizia per portare il nostro contributo nella rete e sul territorio.
Se volete trovare qualcuno di noi in particolare, cliccate qui...

Lodes e Rowena folleggiano su SELVATICOBLOG

Sissi si esibisce su BLOPS

Massimo è un boss dell' ASSOCIAZIONE CIVICO 17

Nicola gioca su MAZAPEGUL

Roby, Solimano e Giuliano stanno su ABBRACCI E POPCORN

Bfaber ci prova con i RADICALI DI LECCO

Montepino, Graziella, Ranvit... scrivono sul vecchio sito dell'Ulivo, che si è trasformato in: IL SITO UFFICIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO
dove ci potrete trovare un po' tutti


BUONA NAVIGAZIONE A TUTTI E... NON DIMENTICATE:  NON PERDIAMOCI DI VISTA



Titolo: Il dialogo con i radicali e la lezione di Murri
Inserito da: Admin - Dicembre 03, 2008, 07:20:54 pm
Il dialogo con i radicali e la lezione di Murri 


• da Europa del 3 dicembre 2008, pag. 7


di Pier Paolo Segneri

L’interessantissimo e stimolante articolo di Angelo Bertani, pubblicato venerdì 28 da Europa, invita tutti ad una riflessione profonda e ci spinge a discutere in modo alto sulla presenza dei cristiani in politica. È un invito che raccolgo volentieri perché la ritengo una possibilità di dialogo da non far cadere nel silenzio. La discussione è imprescindibile e, inoltre, si ricollega a doppio filo con quello che ha scritto Chiara Geloni nell’editoriale in cui parlava di discriminazione e di gay, ovvero il riflesso della Chiesa nel «dire no a una cosa per paura che poi ne succeda un’altra».

Ebbene, da Saragat a Ugo La Malfa, da Luigi Einaudi ai liberali di sinistra, l’alleanza laica con la linea politica degasperiana del 1948 o quella del centrosinistra di Aldo Moro nel 1963, è sempre stata, per i democratici, una scelta strategica irrinunciabile e, ancora oggi, liberale.

A volte, come si può comprendere, è necessario fare un passo indietro nel tempo, se si vuole compiere un balzo in avanti verso il futuro. Bisogna allora tornare con la memoria all’inizio del Novecento e ripercorrere, per un istante, l’esperienza politica di Romolo Murri. Mi sembra doveroso. Anche per meglio comprendere, oggi, il rapporto tra i radicali di Marco Pannella e il Partito democratico.

Il fondatore della Democrazia cristiana, don Romolo Murri, fu anche il maestro di don Luigi Sturzo. Non un prete qualsiasi, dunque, ma il capostipite e l’ideatore, cento anni fa, dell’impegno organizzato dei cattolici e dei cristiani in politica. Insomma, Murri si inserisce appieno nell’attualità dei Democratici perché giunse a dare una spinta riformatrice agli ambienti ingessati e conservatori del cattolicesimo intransigente. La storia ci racconta e ci insegna che quell’insigne marchigiano venne eletto in parlamento, nel lontano 1909, proprio dai radicali e dai socialisti. In altre parole, trovò uno spazio di azione politica lì dove regnavano le libertà di coscienza, di pensiero e di parola. La storia ci ricorda che militò attivamente nel gruppo radicale e che difese sempre una profonda visione cristiana della vita da tutti i pregiudizi del potere ideologico o dogmatico. Insomma, nell’Italia liberale di Giolitti e di Sormino, il fondatore della Dc fu anche radicale. Una specie di "doppia tessera" ante litteram. Un precursore che restò vittima, per usare le parole di Federico Orlando, «dell’infinita ferocia dei valori». E venne sconfessato, poi sospeso dal sacerdozio, quindi scomunicato. Altri tempi. Davvero? Speriamo. Non credo che quella storia debba ripetersi. Le obsolete contrapposizioni tra laici e credenti o tra laicità e religiosità rappresentano male un dualismo ideologicamente distorto e già ampiamente superato dallo stesso Murri. Perché sono differenze dettate da una falsa dicotomia che non ha più ragione di persistere. È arrivato il momento di rimuovere gli ostacoli che impediscono il superamento di certe incomprensioni filologiche e lessicali. È arrivato il momento di avviare, almeno intorno e dentro il Pd, un dialogo inclusivo che raccolga il senso dell’universalità degli uomini. Al di là degli steccati, oltre gli ideologismi.

L’idea dei radicali è ancora oggi la stessa: quella di un partito democratico che sappia essere laico nel senso più ampio e onnicomprensivo del termine, senza discriminazioni e senza veti. Questa - tra l’altro - è l’idea centrale su cui si fonda il progetto politico della Rosa nel Pugno.

A tal proposito, Romolo Murri, un secolo fa, scriveva: «A chi mi chiede la mia posizione politica, io rispondo che sono democratico e radicale: a chi mi chiede la mia fede, io rispondo che sono cristiano... Ma si può aggiungere che, anche considerato questo aspetto, interiore e religioso, la democrazia ripudia un’etichetta confessionale, in quanto è così spesso priva di ogni contenuto di religiosità vera e quindi essenzialmente antidemocratica».
 
da radicali.it


Titolo: ARTURO PARISI Non ci sarò al caminetto del Pd
Inserito da: Admin - Dicembre 10, 2008, 10:53:35 am
10/12/2008
 
Non ci sarò al caminetto del Pd
 
ARTURO PARISI
 

Mentre l’eventuale lettore mattutino legge questa nota, da qualche parte della sede centrale del Pd è riunito un caminetto che dovrebbe definire la posizione del partito circa la sua collocazione politica in Europa. È una riunione alla quale son stato gentilmente invitato e tuttavia una riunione alla quale non ritengo di poter partecipare. Non certo perché condivida il giudizio di quanti considerano il tema ozioso, e in parte secondario. E neppure perché dopo la sottoscrizione di Fassino del Manifesto politico del Pse, in quanto segretario dei «dissolti» Ds, e il successivo altolà di Rutelli in quanto presidente della «dissolta» Margherita contro una «confluenza nel Pse» senta il dibattito pregiudicato da un passato che pensavo superato.

All’opposto, la mia assenza vuole sottolineare ancora un volta che un caminetto può anche essere un luogo adatto per istruire un tema di questo rilievo, ma non è un caminetto al quale può essere affidata neppure in via ipotetica nessun orientamento al riguardo. Se il Pd vuole essere all’altezza della pretesa sua radicale novità, e non invece finire per proporsi come la continuazione di un passato o la proiezione di un altrove, l’unico modo per assumere una scelta di questo rilievo è a partire da un largo confronto sulla nostra idea e solo sulla nostra idea di Europa. Se il Pd vuole scegliere il suo futuro in modo libero e spregiudicato l’unico luogo è un organo capace di assumere decisioni politiche forti perché assunte con la forza della democrazia dalla comunità dei suoi aderenti.

Purtroppo di questo organo il Pd, se non per decisione certo per responsabilità del suo segretario, non dispone più e forse non ha mai disposto. Non è certo la direzione, la mitica direzione del 19 dicembre prossimo, in vista della quale Veltroni ha lanciato la sua ennesima sfida contro i suoi anonimi oppositori. Illuminante al proposito un’intervista di quattro giorni fa di Rutelli, proprio quella nella quale rinnovava il suo altolà al Pse in nome di un «noi» che immagino riconducibile alla «dissolta» Margherita.

All’intervistatore che gli chiedeva se «alla prossima direzione ci sarebbe stata una resa dei conti» Rutelli rispondeva: «Walter Veltroni è stato scelto da due milioni e mezzo di cittadini che lo hanno votato alle primarie solo un anno fa. Le pare possibile che lo possano mettere in minoranza duecento dirigenti di partito?». Il fatto è che Rutelli ha ragione. Peccato che «i duecento dirigenti di partito» siano, appunto, la Direzione del Partito.

Ecco la prova provata delle ragioni degli Ulivisti e della sospensione della democrazia nel partito, la vera questione morale, quella del Pd, non quella berlingueriana degli ex comunisti, una questione assolutamente politica. Ne riepilogo l’origine. Prima Veltroni si fa incoronare dalle primarie, non con un voto disgiunto diretto, ma in connessione alla contemporanea elezione dei delegati di un’Assemblea Costituente. Poi scioglie di fatto l’Assemblea Costituente e la sostituisce con una Direzione da lui nominata. Considerata, come dice Rutelli, l’assenza di legittimità di questo organo, rivendica l’esclusività del suo potere di direzione. Cosa si direbbe se questo invece che in un partito fosse successo nello Stato? Ecco perché ogni sfida a contarsi nella Direzione è la sfida a una conta impossibile e quindi prova dell’assenza di democrazia nel partito. Ecco perché mai nessuna scelta forte e nessuna scelta veramente nuova potrà essere adottata dal Pd: né a riguardo della scelta europea e neppure riguardo a nessun’altra scelta cruciale.

Possiamo continuare così?
 
da lastampa.it


Titolo: Auguri, per una sinistra di cultura e unità
Inserito da: Admin - Dicembre 23, 2008, 06:41:37 pm
Auguri, per una sinistra di cultura e unità


di Davide Nota

Sarebbe stato questo il mio intervento all'Assemblea "Per la Sinistra" del 13 dicembre a Roma. Non avendo fatto in tempo a prendere pubblicamente la parola, lo traduco in lettera d'augurio e condivisione.


Cari tutti,
sono un ragazzo di ventisette anni e sono un redattore del Portale di Poesia e Realtà “La Gru”, che è una e-fanzine di cultura letteraria e politica che si sta occupando non poco del tema de “La rinascita della sinistra”, in ultimo con una intervista a Nichi Vendola che abbiamo titolato “Una sinistra di poesia e realtà”.

Vorrei qui pubblicamente porgervi la mia testimonianza, che è quella di un giovane poeta, umiliato (come tantissimi altri giovani poeti) da una Polis che non ci contempla né desidera, ed è anche quella di un neo-laureato, costretto (come moltissimi altri neo-laureati) al mondo del “precariato radicale” e dello sfacciato sfruttamento del capitalismo post-moderno, che al di là della nozione giornalistica solitamente si traduce, nel corpo vero e vivo del soggetto individuale, in una sottile e lancinante forma di depressione, e nella consapevolezza di non poter essere altro, nel contesto della attuale Polis, che un inutile e non significante “corpo senza posto”, un soggetto senza relazione, senza comprensione e senza comunità, una vita che davvero, oggettivamente e materialmente, non trova, non sta trovando, alcun diritto alla realizzazione, allo sviluppo, insomma alla "esistenza".

Il ministro Castelli, dalle poltroncine di Annozero, ha detto molto chiaramente, rispondendo in questo modo al dramma di una giovane laureata in Lettere, che l'Italia ha bisogno di tecnici e non di letterati.

Ecco, io credo che anche a partire da queste piccole sfumature sia possibile e doveroso oggi rappresentare una "diversità culturale", davvero una diversità "antropologica”, dalla destra, dalla insensibilità della destra, che tra ipocrisie clerico-fasciste e pragmatismo egoista da libero mercato, ha fondato e imposto il proprio tempietto di disumani valori.

Io credo che la nuova Sinistra, una nuova Sinistra di popolo, si fondi a partire da una ritrovata e condivisa, "altra" sensibilità.
Io vi porgo insomma il mio sogno di una Sinistra umanista e non tecnocratica, capace di raccogliere le migliori eredità intellettuali e sentimentali della nostra storia, da Antonio Gramsci a Pier Paolo Pasolini, da Arthur Rimbaud a Guy Debord: una Sinistra capace di intraprendere una lotta culturale per la vita, contro l'egemonia ideologica della “Società dello spettacolo” e delle sue conseguenze reali e quotidiane, nella vita individuale d'ogni giorno, nelle nostre esistenze “separate” dalle esistenze dei nostri fratelli e compagni, nella nebbia di indifferenza e alienazione nella quale si stanno svolgendo le nostre sconfitte personali e collettive, generazionali e storiche.

Qui è il diritto alla speranza che ci viene negato, e cioè il diritto a poter sognare una Città nuova, fondata sulla nozione di “uomo” e non su quella di “ruolo”, sulla nozione di “comunità” e non su quella di “catena di montaggio”.
Insomma, porto qui il nostro slogan: una "Sinistra di poesia e realtà", e cioè una Sinistra di utopia e responsabilità, che il proprio "straccio rosso", e di tutti gli altri colori del mondo, torni a sventolare al vento della nuova Storia, sopra i detriti del nuovo sfruttamento industriale e dello sbando esistenziale, sopra i residui della crisi del Neo-liberismo globale, come simbolo di rinnovata passione e speranza, come simbolo di ritrovata, e battesimale, "Unità".
 
Essere di Sinistra significa per me far parte di questo movimento aggregativo di soggetti, che crede nell'uomo come fine e nell'economia come mezzo.
E non nel contrario.

Semplice, semplicissima, forse banale intuizione: ma credo che occorra partire da queste primordiali parole d'ordine per ricominciare a proporre la nostra visione alternativa del mondo, così limpidamente eretica e così anche potenzialmente maggioritaria.
La crisi della favola del liberismo, il potenziale collasso dell'ideologia stessa del capitalismo globale e delle destre mondiali, induce il Palazzo ad un travestimento spudorato quanto vincente.

Mentre la Sinistra si vergogna solo di sussurrare parole che possano sembrare "di sinistra", le stesse parole le grida ipocritamente la Destra, che infatti vince, stravince: egemonizza.

Ho già scritto in un intervento titolato "Se la destra cita Gramsci", rilanciato anche sul blog di "Rifondazione per la Sinistra", di "un progetto che consiste nella “neutralizzazione” delle radici culturali, novecentesche, della Sinistra italiana”, e di “una continuativa azione di disinformazione storiografica e dequalificazione terminologica”.

Proposi, e rilancio ora la proposta per il nuovo anno, delle tavole rotonde della “sinistra culturale”.

Scrittori, intellettuali e giornalisti, assieme a politici “illuminati” della Sinistra: ci si riunisca, ci si riconosca, si riorganizzi una risposta strutturata e di amplio respiro, che coinvolga ed attraversi tutte le diverse forme di comunicazione e di diffusione del pensiero. Si ricostruisca, insomma, una “rete” culturale della sinistra italiana.

Insomma, giungo al termine di questo provvisorio e disordinato intervento: la sinistra muore se muore la sua "cultura", la sua "visione".
E muore, anche, se perde la sua capacità comunicativa, e di "diffusione culturale", e di "aggregazione" attorno ad una costellazione di "valori" condivisi e alternativi.

Quindi, certo: c'è bisogno di tecnici. Di scienziati.

Ma innanzitutto abbiamo credo bisogno di ricostruire una grande famiglia, una vera Comune sentimentale, che condivida ansie e speranze, emozione e intelletto, marxismo eretico e nuovo umanesimo, cristianesimo socialista e passione illuministica per la verità.

L'umile ed onesto paese, di cui parlava Pasolini, non si è dissolto: semplicemente sta attendendo la sua nuova casa.
Il mio augurio, per il 2009, è quindi un agurio di Unità.

Che questa casa insomma si abiti davvero: si viva, si condivida.

Per cambiare l'Italia, per provare a cambiare il mondo, ma anche per sentirci tutti quanti un po' meno soli.

da sinistra-democratica.it


Titolo: L'amarezza degli ulivisti
Inserito da: Admin - Gennaio 09, 2009, 04:51:37 pm
7 gennaio 2009, 19.59.57

L'amarezza degli ulivisti


 
Riportiamo una notizia d'agenzia che esprime il pensiero di Arturo Parisi sull'iniziativa di referendum dell'Italia dei Valori contro il Lodo Alfano.
Come molti di voi sapranno, oggi una delegazione dell'Italia dei Valori ha depositato in Cassazione (guarda il video: referendum, un dovere civile) le firme per il referendum. Firme raccolte in tutta Italia. Firme per la libertà. Firme per la democrazia. Firme per rendere "tutti uguali di fronte alla legge".
Il pensiero di Parisi ci lusinga e ne condividiamo gran parte delle parole che sono espressione degli italiani che appartengono al popolo della democrazia.


Testo agenzia:

"Dobbiamo rinnovare purtroppo la nostra amarezza per la decisione dei dirigenti del Pd di non prendere parte all’iniziativa" per promuovere un referendum contro il Lodo Alfano. Lo scrive Arturo Parisi in un articolo che sara' pubblicato domani sul Riformista. Parisi sottolinea che oggi Di Pietro ha consegnato in Cassazione "le firme di più di un milione di cittadini che chiedono l'indizione di un referendum per l'abrogazione del Lodo Alfano. Questo risultato - aggiunge - premia certamente l'impegno politico e la capacità organizzativa dell'Italia dei Valori che di questo referendum e' stato da subito il primo promotore.

Di questa iniziativa gli ulivisti che all'interno del Pd si battono da "Democratici per la Democrazia" hanno condiviso da subito lo spirito e l'idea. Ad essa hanno partecipato con convinzione incoraggiando i democratici a prender parte ai comitati che si sono costituiti nei diversi territori, promuovendo essi stessi la raccolta delle firme, e ancor più sottoscrivendo la richiesta senza alcun riguardo alla connotazione partitica degli organizzatori".

"I cittadini hanno risposto - continua l'ex ministro - e tra essi in prima fila gli elettori democratici. Il risultato di oggi e' perciò per noi già di per sé una vittoria della democrazia". "Mentre condividiamo con Idv e con le altre forze che a questo fine si sono spese la soddisfazione per questo risultato - prosegue Parisi - dobbiamo rinnovare purtroppo la nostra amarezza per la decisione dei dirigenti del Pd di non prendere parte alla iniziativa. Non si può riconoscere nella uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge un principio inderogabile della nostra Costituzione e rifiutare una iniziativa con l'argomento della possibile sconfitta.

Rifiutare di battersi e' già di per sé una sconfitta. Rifiutare di continuare la lotta su una questione che in Parlamento abbiamo denunciato con parole quanto mai severe, equivale a trasformare una sconfitta provvisoria in una sconfitta definitiva".
"Come dicemmo fin dall'inizio - aggiunge Parisi - anche a proposito della discutibile e discussa iniziativa di Piazza Navona, non si può alimentare l'indignazione per le forzature e la torsione antidemocratica impressa da Berlusconi al nostro sistema politico e poi non dar seguito a questo con una azione adeguata all'interno delle istituzioni. Non si possono spingere i nostri elettori nelle piazze e avanti ai banchetti e lasciarli poi da soli o in mani altrui. Se una domanda non trova risposta nelle istituzioni, prima o poi la cerca fuori di esse. L'istituto referendario e' stato pensato dai nostri costituenti appunto per questo. Per questo il risultato di oggi - conclude - e' una vittoria della democrazia".

da Italia dei Valori


Titolo: L'ulivista sulle orme di Prodi che Silvio vuol «soffocare nella culla»
Inserito da: Admin - Gennaio 12, 2009, 09:26:47 am
Il retroscena

Renato, l'ulivista sulle orme di Prodi che Silvio vuol «soffocare nella culla»

L'obiettivo del Cavaliere: evitare cambi di scenario nell'opposizione
 

E' vero che Romano Prodi non ha più parlato di politica interna, da quando ha lasciato Palazzo Chigi. Ma ciò non vuol dire che abbia smesso di interessarsene. C'è traccia dei suoi recenti colloqui riservati con Renato Soru nell'intervista che il governatore della Sardegna ha concesso all'Espresso.
Su Soru la profezia di Francesco Cossiga risale a un mese fa, quando si disse «sicuro che il mio amico Renato punta a sbarcare a Roma». Ma ciò che l'ex capo dello Stato racconta oggi è se possibile ancor più interessante, perché, confermando recenti «contatti diretti» tra il governatore dimissionario e Romano Prodi, svela i contorni della sfida all'interno del Pd: «Sia chiaro, Soru gioca in proprio — dice Cossiga — ma non solo è appoggiato da Arturo Parisi. Il gioco politico, tutto incentrato sull'ulivismo, interessa anche Massimo D'Alema». Lo scenario è suggestivo. E gli indizi nell'intervista all'Espresso lo alimentano. Quel riferimento di Soru al modo in cui andò in crisi il governo Prodi riporta a un battuta che il Professore fece al segretario del Pri, Francesco Nucara: «Non è stato Clemente Mastella a farmi cadere ». Proprio quanto ieri il prodiano Barbi ha esplicitato: «Quando Walter Veltroni, da leader del Pd, parlò di una nuova stagione politica, diede una spinta determinante alla fine del governo di Romano».

LA DC O L'ULIVO - Ma c'è di più. L'esaltazione dell'Ulivo fatta da Soru evoca una confidenza che Prodi affidò poco prima della crisi a un altro esponente dello schieramento avverso, l'attuale ministro Gianfranco Rotondi. Allora Rotondi criticò il premier, ormai vicino alla caduta: «Hai commesso un errore, Romano. Tu dovevi rifare la Dc».
E Prodi — secondo il racconto del dirigente di centrodestra — gli rispose: «Questo tema fu motivo delle mie incomprensioni con il cardinal Ruini. Anche Kohl mi suggerì la stessa cosa: "Va tutto bene, ma devi rifare la Dc". Così mi disse: "Devi rifare la Dc, costruire un nuovo Chi è centro che poi si allei con la sinistra". Tutti reputavano dovessi fare una cosa in cui non credevo ». Prodi puntava invece «sull'Ulivo », proprio come oggi fa Soru. Lo schema è simile a quello del Professore, al punto che è stata riesumata la bandiera dell'antiberlusconismo.

SOTTO OSSERVAZIONE - Il governatore sardo sapeva che il Cavaliere l'aveva messo sotto osservazione, arrivando a testarne le potenzialità di leader nazionale con sondaggi riservati. E se la scorsa settimana il premier aveva deciso di sfidarlo apertamente è perché — come ha riferito un autorevole ministro forzista — «Silvio vuole politicamente soffocarlo nella culla». Insomma, vorrebbe evitare un cambio di scenario in corsa: preferirebbe tenere gli attuali equilibri nel rapporto maggioranza-opposizione. Il punto è se davvero il Cavaliere — come ha annunciato giorni fa — passerà «tutti i prossimi fine settimana a far campagna elettorale» per le elezioni sarde. È «sorpreso» Cossiga: «Si tratta di una mossa azzardata». Certo, nell'isola, alle Politiche di quest'anno, la coalizione di centrodestra (senza l'Udc) ha battuto l'alleanza guidata da Veltroni: 43% contro 40%. Ma alle Regionali del 2004 Soru vinse con dieci punti di vantaggio, e ancora oggi nei sondaggi ha il più alto indice di gradimento tra i sardi, mentre lo sfidante Ugo Cappellacci è poco conosciuto. Ci sarà un motivo quindi se Berlusconi in Sardegna — al contrario di quanto decise per l'Abruzzo — ha accettato l'intesa con Pier Ferdinando Casini senza chiedergli di entrare nel Pdl... «Se mi impegno io, vinciamo », assicurava nei giorni scorsi il Cavaliere. Ma nei test riservati che ha preso ad analizzare, i «venti punti di vantaggio» su Soru — annunciati ieri — per ora non si tradurrebbero elettoralmente a favore del suo runner. La grande sfida si deciderà nei piccoli numeri, con le liste locali. In Sardegna il territorio è per gran parte controllato dal centrosinistra, sebbene Soru abbia «un problema» secondo Cossiga: «Prodiano di complemento, Renato è sostenuto da pezzi della Dc d'antan. Ma da giovane credo votasse socialista, certamente non sardista. Per questo il Psd'az si è schierato dall'altra parte». Psd'az e Udc insieme fanno sette punti percentuali, al fixing delle Politiche 2008. Un buon bottino di partenza per il premier, che tuttavia non sembra più del tutto convinto di gettarsi personalmente nella mischia. E comunque, «Berlusconi versus Soru» — alla luce dei contatti tra il governatore uscente e Prodi — richiama alla mente i duelli tra il Cavaliere e il Professore. Il modo in cui Soru ha attaccato ieri il premier («i problemi dei giovani non si risolvono con le barzellette») ha ricordato le stilettate del fondatore dell'Ulivo. «Ci sarebbe voluta una sala più grande», ha replicato Berlusconi giungendo alla convention di Cagliari: «Serviva una sala più grande per una Sardegna che vuole tornare a ridere ». Perché questo è il difetto di Soru, secondo il Cavaliere: «È sempre cupo, scostante», ha detto a Giuseppe Cossiga. E il sottosegretario alla Difesa, sardo come Soru, ha risposto: «Presidente, qui sono sardi, mica brianzoli».

Francesco Verderami
11 gennaio 2009
da corriere.it


Titolo: MIGUEL GOTOR Il dopo Prodi e il futuro dell'elefante
Inserito da: Admin - Gennaio 24, 2009, 04:34:24 pm
24/1/2009
 
Il dopo Prodi e il futuro dell'elefante

 
 
MIGUEL GOTOR
 
E’ trascorso un anno dalla caduta del governo di Romano Prodi, ma sembra un secolo. Oggi, come persino la moglie del presidente del Consiglio ricordava ieri sulla Stampa, il quadro politico del centro-sinistra appare attraversato da una profonda crisi di fiducia e di prospettive, che ci consegna un Partito democratico isolato, incapace di tonificare il proprio elettorato e di aggregare nuovi consensi, in sofferenza per l’iniziativa di Di Pietro, che sulla carta avrebbe dovuto essere il suo principale alleato. Se per un attimo guardiamo, senza alcuna nostalgia, a quella che fu la Sinistra arcobaleno, non scorgiamo altro che pulsioni scissionistiche, lo spettro di ulteriori e inutili frammentazioni e i soliti onirismi comunisti che non preannunciano nulla di buono.

La principale emergenza deriva da una constatazione: il centro-sinistra, orfano di Prodi, che per due volte ha sfidato Berlusconi e per due volte lo ha battuto, è oggi privo di una leadership credibile, in grado di reagire alla sconfitta e di affrontare il futuro con qualche speranza di successo. Più per demeriti propri, come spesso accade, che non per le qualità altrui. L’errore più grave di Veltroni non è stato solo quello di avere prosciugato, con un paio di mosse ben azzeccate, il coefficiente di alleanze del Pd, facendo di quel partito un elefante immobile e rissoso, a paradossale vocazione minoritaria. No, la sua principale responsabilità è stata di avere perduto l’occasione, forse irripetibile, di fondare, insieme con un nuovo partito, anche una nuova classe dirigente, che avrebbe avuto il tempo di crescere dentro e fuori il Parlamento e di prepararsi gradualmente alle nuove sfide con il centro-destra.

Una recente ricerca dell’associazione Itanes sui risultati delle ultime elezioni ha mostrato come la maggioranza degli elettori disponibili a votare la sinistra radicale si siano rifugiati nell’astensionismo; una parte non piccola ha risposto all’appello al voto utile di Veltroni, altri si sono affidati agli umori populisti e giustizialisti del partito Di Pietro. Ma al di là dei numeri, un dato politico sembra chiaro: il segretario del Pd Veltroni, o chi eventualmente lo sostituirà dopo la probabile sconfitta delle europee, non sarà anche il leader della coalizione che dovrà competere con il centro-destra alle prossime elezioni politiche. Il Pd per resistere sulla soglia del 30% dovrà fare il pieno di voti alla sua sinistra, oltre a riuscire a tenere i suoi.

Le analisi delle elezioni del 2008 dicono che Veltroni non è riuscito a prendere un solo voto al centro, e che il suo risultato è stato il frutto, al di là della retorica del correre da solo, di una sostanziale fedeltà degli elettori dei Ds e della Margherita, di una crescita contenuta, limitata però alle sole regioni «rosse», e di un cospicuo travaso di voti dalla Sinistra arcobaleno: è una tendenza storica che non si vede come possa essere invertita e che certo il Pd non sta dimostrando di avere la capacità di modificare. L’impressione di fondo è che al centro-sinistra serva un nuovo «federatore», una personalità terza che non sia espressione del vecchio quadro partitico, ma sia in grado di raccogliere il sostegno del Pd e quello del centro moderato e che approfitti della favorevole condizione - che Prodi mai ha avuto in sorte - di una sinistra radicale ridotta ai minimi termini parlamentari.

Serve, dunque, una personalità nuova, post-ideologica, post-novecentesca, che non guardi alla storia del proprio Paese dandogli le spalle, con la testa rivolta all’indietro, ma al suo futuro. Una figura che sia capace di presentarsi con una narrazione originale e credibile, in grado di parlare all’Italia che lavora e di immaginare il profilo di una nuova sfida basata sul riconoscimento delle tante professionalità e dei numerosi talenti presenti nel Paese. Oltre il cinismo e il disfattismo di questi tempi, oltre l’onda dell’antipolitica predominante che, come i fatti dimostrano, ha favorito e continua a favorire la destra. Per i prossimi dieci anni, come suggerisce Veronica Lario? Non è affatto detto.

da lastampa.it


Titolo: Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
Inserito da: Admin - Marzo 10, 2009, 11:45:49 am
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
Parigi, 26 agosto 1789


Fu approvata dall'Assemblea Nazionale il 26 agosto del 1789 e costituirà anche il preambolo della Costituzione liberale del 1791), la Dichiarazione è ancora oggi il fondamento giuridico di tutte le costituzioni delle democrazie occidentali.

Ricalcata sulla Costituzione degli Stati Uniti d'America, la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino, è la summa del pensiero illuminista da Montesquieu a Voltaire, da Diderot a Rousseau.

I punti salienti della Dichiarazione sono la libertà di pensiero, di parola e religiosa; l'importanza della Legge (scritta) e l'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte ad essa; il diritto alla proprietà e alla sicurezza; la resistenza all'oppressione perpetrata dai governi sul popolo; il dovere di ogni amministratore di rendere conto all'intera società del proprio operato; la democrazia fiscale.

26 agosto 1789


I Rappresentanti del Popolo Francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei princìpi semplici e incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti.

In conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino:



Articolo 1
Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti. Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sull’utilità comune.



Articolo 2
Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.



Articolo 3
Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa.



Articolo 4
La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti. Questi limiti possono essere determinati solo dalla Legge.



Articolo 5
La Legge ha il diritto di vietare solo le azioni nocive alla società. Tutto ciò che non è vietato dalla Legge non può essere impedito, e nessuno può essere costretto a fare ciò che essa non ordina.



Articolo 6
La Legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. Essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti e impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti.



Articolo 7
Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla Legge, e secondo le forme da essa prescritte. Quelli che procurano, spediscono, eseguono o fanno eseguire degli ordini arbitrari, devono essere puniti; ma ogni cittadino citato o tratto in arresto, in virtù della Legge, deve obbedire immediatamente; opponendo resistenza si rende colpevole.



Articolo 8
La Legge deve stabilire solo le pene strettamente ed evidentemente necessarie e nessuno può essere punito se non in virtù di una legge stabilita e promulgata anteriormente al delitto e legalmente applicata.



Articolo 9
Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.



Articolo 10
Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, purché la manifestazione di esse non turbi l’ordine pubblico stabilito dalla Legge.



Articolo 11
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo a rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge.



Articolo 12
La garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di una forza pubblica; questa forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di coloro ai quali essa è affidata.



Articolo 13
Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese di amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze.


Articolo 14
Tutti i cittadini hanno il diritto di constatare, da loro stessi o mediante i loro rappresentanti, la necessità del contributo pubblico, di approvarlo liberamente, di controllarne l’impiego e di determinarne la qualità, la ripartizione, la riscossione e la durata.



Articolo 15
La società ha il diritto di chiedere conto a ogni agente pubblico della sua amministrazione.



Articolo 16
Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione.



Articolo 17
La proprietà essendo un diritto inviolabile e sacro, nessuno può esserne privato, salvo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga in maniera evidente, e previa una giusta indennità.
 
da www.politicaonline.net


Titolo: Pd e Lega (alleati alle elezioni comunali) coniano lo strano logo.
Inserito da: Admin - Maggio 15, 2009, 11:34:56 pm
Recoaro, il ramo d’ulivo e l’Alberto da Giussano nel simbolo del candidato

Pd e Lega (alleati alle elezioni comunali) coniano lo strano logo.

Giaretta e Gobbo approvano: «Avevano lo stesso programma»



RECOARO TERME — Il diavolo e l’acqua­santa. E con la benedizione di chi siede in alto. Succede a Recoaro Terme, dove in que­sti giorni di campagna eletto­rale di maggio campeggia un manifesto (accompagnato da un sito internet) più av­vincente della locandina di un film d’azione con risvolti sentimental-gossippari: il protagonista, il candidato sindaco Franco Perlotto, do­mina sulla destra voltato al­l’indietro con bocca aperta intento a proferire chissà quale monito; sullo sfondo le amate montagne di quelle parti e, sulla sinistra, un sim­bolo creato ad hoc per l’occa­sione che riesce a far convi­vere dentro un arancione di compromesso (tutti gli altri colori erano già stati appalta­ti dalla lunga storia politica nazional-popolare) il dise­gno di un sottile ramoscello d’ulivo con un Alberto da Giussano formato mignon.

Oltre il simbolo Tradotto: lassù sulle Mon­tagne, Lega Nord e Partito Democratico hanno trovato l’accordo per correre insie­me alle amministrative. Sto­rici avversari uniti non solo dal progetto ma addirittura nei simboli, la spada del guerriero e il rmoscello di pace. Un paradosso? Mac­ché. Non c’è alcun imbaraz­zo da parte dei vertici regio­nali che, al contrario, difen­dono la scelta e stigmatizza­no ogni possibile polemica. «Non c’è nulla di cui stupir­si e nemmeno contraddizio­ni su cui interrogarsi – esor­disce Paolo Giaretta, segreta­rio regionale del Pd - . Il Co­mune di Recoaro va alle am­ministrative e questo gene­re di elezioni va completa­mente slegato dalle politi­che e dalle logiche che gui­dano le alleanze e le divisio­ni nazionali. In questo paese del Vicentino la Lega e il Pd si sono seduti ad un tavolo e hanno semplicemente con­statato la piena convergen­za dei rispettivi programmi. Anche qui non c’è alcuna sorpresa perché si sarà senz’altro pensato ai proble­mi e alle necessità del Comu­ne in questione, un pro­gramma non certo legato ad ideologie che invece caratte­rizzano i partiti sul piano po­litico. Si ragiona sul piano dei fatti».

Roma lontana Insomma, mentre a Roma (ma nei singoli capoluoghi, a pochi passi da Recoaro) si litiga per «sbarchi di immi­grati sì e sbarchi di immigra­ti no» e tante altre cose, e mentre si fanno spallucce al­l’Udc che in più di qualche Comune ha dovuto subire il «veto assoluto» della Lega Nord con la cacciata imme­diata dalla casa del centrode­stra. «Per noi le uniche cose di riferimento alle comunali sono la validità dei program­mi e la credibilità del candi­dato che si appoggia – prose­gue Giaretta - . E comunque di alleanze non in sintonia con la linea nazionale non mancano anche da altre par­ti. Polemiche sul simbolo? E perché mai? Anche quello non ha nulla a che fare con i nostri partiti. E’ una scelta in libertà che prendono i di­rigenti locali». Medesima «benedizione», con sorriso annesso, arriva anche dai vertici del C 
Recoaro
arroccio: «Il ra­metto d’ulivo? Simboleggia la pace e la Pasqua, che ma­le c’è ad averlo – ironizza Gian Paolo Gobbo - . Io non parlerei di caso-Recoaro: lì è successo semplicemente che si è trovata una situazio­ne di compatibilità caratte­riale fra Pd e Lega. Io ribadi­sco non solo che le ammini­­strative non seguono i paral­lelismi delle logiche nazio­nali della politica, ma anche che sono proprio fuori dalla politica più in generale... Sulle situazioni locali ci si confronta sulle cose concre­te ed è lì che si trova l’accor­do o la divisione».

Le polemiche Eppure, la «strana cop­pia » elettorale di Recoaro (che corre anche con i socia­listi) è già rimbalzata sulla stampa nazionale. «Il Pd è double-face, accusa la Lega Nord di razzismo e poi ci fa l’accordo – tuona Pino Sgo­bio, esponente del Pdci, do­po aver letto dell’accordo elettorale rosso-verde su «Liberazione» a cui due gior­ni fa è stata dedicata la co­pertina - . La schizofrenia del Pd non ha confini. A quando un’alleanza organi­ca con il Pdl?».

Silvia Maria Dubois

15 maggio 2009
da corrieredelveneto.corriere.it


Titolo: MO: La scommessa di Obama
Inserito da: Admin - Giugno 06, 2009, 05:43:57 pm
Alessandro Fanfoni

Il punto/ MO: La scommessa di Obama


Dopo il discorso di Ankara del 7 aprile scorso - “Gli Usa non sono e non saranno mai in guerra con l’Islam” -, il discorso di ieri al Cairo di Barack Obama - “Sono giunto sin qui per cercare un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani” - rappresenta senz’altro il punto più alto, dal punto di vista simbolico, dello sforzo diplomatico dispiegato dalla giovane amministrazione Obama per rovesciare i termini di un rapporto tra Occidente e Islam che, dopo l’11 settembre, sono stati avvelenati da incomprensioni e diffidenze reciproche, marmorizzati da opposti stereotipi, quando non insanguinati da conflitti armati.

La storia cominciata l’11 settembre del 2001, agli albori della presidenza Bush, nel nome di Osama bin Laden, sembra, otto anni dopo, volersi chiudere e ricominciare sotto la presidenza di Barack Obama, seguendo quasi per capriccio l’acrobatico crinale definito dal differenziale s/b (Osama/Obama) che ridistribuisce secondo una nuova configurazione terrore e diplomazia, assalto unilaterale fanatico-sanguinario e risposta razionale-responsabile, scontro di civiltà e incontro tra civiltà.
Sia chiaro: tutti i nodi restano – non sarà un discorso a cambiare il Medio Oriente - così come le contraddizioni – ad esempio, Obama ha parlato di democrazia dalla capitale di una repubblica dominata sin dal 1981 dal presidente Mubarak, mentre ieri il presidente americano si è recato in visita dall’alleato di sempre, ovvero la monarchia assoluta dell’Arabia Saudita.

Tuttavia, non è al passato che bisogna guardare – come ha esortato lo stesso Obama – ma è il futuro che ci interroga. Ai discorsi dovranno necessariamente seguire fatti concreti. E il futuro del Medio Oriente impone due passaggi obbligati: una soluzione equa e condivisa per la questione israelo-palestinese (che, fortunatamente, per l’amministrazione Obama significa “due popoli, due stati”) e la normalizzazione del dossier nucleare iraniano (al Cairo, Obama ha riconosciuto legittima l’aspirazione di Teheran al nucleare civile, ma bisogna avere garanzie, non si può scherzare con il fuoco…).
In ultimo, un’impressione su tutto: da una parte, gli Usa e Obama nella rappresentanza massima degli interessi e dei valori dell’Occidente; e dall’altra parte? Quanti sono gli interlocutori a cui si è rivolto Obama? Quanti attori, quanti interessi, quante differenze quando si parla di mondo musulmano? Anche, o soprattutto, dopo il discorso di Obama, permane la sensazione di una relazione tra uno a molti, di una relazione che ha la possibilità di una sintesi – per quanto accidentata e centrifuga – a una moltitudine incomponibile. Non è un caso che qualche settimana fa, il re Abdallah di Giordania parlava sul Times di Londra, in riferimento alla pace tra israeliani e palestinesi, di una “57-state solution”, come a dire è un’intera regione, è una vera e propria costellazione di identità che costituisce l’Islam e che quindi dovrà custodire la pace con l’Occidente. Obama ha posato indiscutibilmente la prima pietra, chi vorrà proseguire?

da formazionepolitica.org