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Autore Discussione: MONDO ULIVO (e dell'Ulivismo).  (Letto 39121 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 17, 2008, 07:29:11 pm »

Pd: Parisi scrive ai delegati, riconvocare Assemblea Costituente

15 Luglio 2008


Il Professore Arturo Parisi chiede la riconvocazione dell'Assemblea Costituente (nazionale)  del Pd. Dopo la discussa riunione del 20 giugno, a cui ha preso parte non più del 20% dei delegati, Parisi ha inviato una lettera ai delegati dell'Assemblea, e per conoscenza ai parlamentari del Pd, per chiedere loro di associarsi alla sua richiesta per una nuova convocazione della Assemblea Costituente, perchè possa finalmente dibattere, ma ancor più perchè, nel rispetto delle regole che ci siamo dati con lo Statuto, possa decidere del futuro del partito.
Di seguito il testo della lettera:


Roma, 15 luglio 2008

alle delegate e ai delegati dell'Assemblea Nazionale del Pd
pc. alle parlamentari e ai parlamentari del Pd

Cara/o delegata/o,

sono passati esattamente nove mesi da quando, rispondendo alla proposta dei partiti promotori, più di tremilioni e mezzo di italiani, quasi il trenta per cento degli elettori del Pd,  in un giorno dello scorso ottobre che ricordiamo ancora come un giornata di festa, hanno messo col loro voto le fondamenta per la costruzione del Partito Democratico.

Recandosi in tutta Italia nei seggi elettorali, come avevano già fatto a milioni nelle primarie dell'ottobre 2005, essi hanno dato ancora una volta la prova della esistenza nel nostro Paese, soprattutto nel campo di centrosinistra, di una grande quantità cittadini che non si accontentano di una democrazia intermittente. Recandosi nel 2005 e nel 2007 ai seggi elettorali, essi ha confermato la disponibilità e la richiesta di partecipare non solo a manifestare una risposta su proposte avanzate da altri, ma di partecipare alla formulazione della stessa proposta, sia che questa riguardi chi deve svolgere le diverse responsabilità politiche sia che riguardi contenuti e orientamenti da svolgere nelle istituzioni. E, facendolo in una misura enormemente superiore a quella dei partecipanti e degli stessi iscritti negli elenchi dei tesserati ai partiti, hanno ancora una volta messo in evidenza i limiti e l'insufficienza dei partiti che abbiamo ereditato dal passato, o, almeno, i loro limiti nella condizione nella quale erano finiti nel momento in cui li abbiamo ereditati dal passato.

A rappresentare questi cittadini tu ti sei a suo tempo candidato, così come hanno fatto decine di migliaia di cittadini, e come ho fatto anche io nel collegio della mia città. Da questi cittadini tu ed io siamo stati eletti perchè dessimo voce al mandato che era implicito nella candidatura che ci impegnavamo a sostenere per la segreteria del partito, ma ancor più perchè svolgessimo quel confronto che dentro le primarie non era stato reso possibile, e, a partire da questo confronto, prendessimo poi le decisioni conseguenti.

Non è quello che è capitato.  Come sai l'Assemblea Costituente del Partito è stata da allora convocata tre volte. Ma ogni volta si è svolta senza che che sia stato possibile dar luogo ad un vero dibattito e soprattutto si è conclusa con voti di acclamazione che hanno sancito decisioni già prese. Nessuno si è perciò meravigliato se in questo modo la partecipazione larga nel primo incontro, si sia ampiamente ridotta nel secondo, per ridursi praticamente ad una infima minoranza nell'ultimo. Quel che è peggio è che nell'ultima riunione la Assemblea è stata di fatto "suicidata", con l'intenzione di mettere così termine al percorso delle primarie, attraverso modifiche statutarie che contrastano lo Statuto appena approvato, e i poteri della Assemblea sono stati trasferiti ad una Direzione eletta secondo la prassi consolidata nelle precedenti assemblee, e costituita nel rispetto di appartenenze di gruppo definite a partire da abitudini e frequentazioni passate più che da differenze di opinioni politiche presenti. Nè d'altra parte si capisce come altrimenti potrebbe essere composta la Direzione una volta che il partito è stato privato di occasioni di confronto che ci consentano di conoscere le rispettive opinioni politiche e quindi, a partire da esse, unirci, o distinguerci tra di noi.

Non è nelle intenzioni di questa lettera quella di intrattenerti sulle contestazioni formali relative alle trasgressioni della democrazia e della legalità di partito. Di queste decideranno gli organi competenti presso i quali alcuni delegati hanno già presentato un formale ricorso nell'interesse e solo nell'interesse del partito. Di queste dà conto più dettagliato la nota allegata a piè di pagina.

Quello sul quale voglio richiamare la tua attenzione, al di là della forma, è la  sostanza del problema. Quale che sia il giudizio sulle cause che ci hanno condotto a questo punto, è difficile infatti non riconoscere che, a nove mesi dalle primarie, il partito si trovi in una condizione che nessuno avrebbe allora immaginato. Molti, avvertiti come me dal crescente abbandono di nostri elettori verso l'astensionismo, o verso altre scelte politiche o antipolitiche, guardano con grande preoccupazione alle prove che ci attendono. Altri sono invece più ottimisti e pensano che i consensi raccolti costituiscono una solida base di partenza per ulteriori avanzamenti. Altri ancora nascondono invece purtroppo le attese di futuri esiti  negativi pensando che essi possano facilitare la ridefinizione dei rapporti interni al partito quasi che le prossime elezioni europee possano svolgere la funzione di un congresso. Sullo sfondo di questi diversi scenari il corpo del partito è intanto attraversato e diviso da dibattiti spesso aspri su temi che per il loro rilievo sono destinati a definire l'identità e a decidere del futuro del partito. Dalla legge elettorale al federalismo fiscale, dalla dissoluzione di alleanze passate alla ricerca di alleanze nuove, dalla giustizia alla economia. Quel che qui conta è che questi dibattiti si svolgono dappertutto, all'infuori che nelle sedi ufficiali del partito, e che sono spesso pensati per segnalare presenze, affermare preminenze, anticipare dissidenze. Iniziative che, come è stato detto, potrebbero anche proporsi come affluenti del grande fiume del partito, ma che privi invece di un approdo vanno producendo un pantano che si allarga ogni giorno di più.

E' pensando a questo rischio che, all'indomani delle elezioni politiche e della prima grave sconfitta subita al Comune di Roma, avevo condiviso la proposta che il segretario del Partito aveva avanzato, anche se all'interno di organi informali e in modo informale, per l'apertura di un percorso congressuale che consentisse quel largo confronto e quella verifica comune che non era stata possibile in passato nè dentro le primarie, nè dentro l'Assemblea Costituente che le primarie avevano eletto proprio a questo fine. Una proposta respinta nell'immediato da quasi tutti: chi con l'argomento che non se ne vedevano i presupposti, chi con la proposta di rinviare tutto all'indomani del risultato delle europee. Altri invece obiettarono che piuttosto che pensare a percorsi straordinari era meglio utilizzare quelli ordinari. E perciò fu convocata l'Assemblea Costituente con l'idea che potesse finalmente affrontare e decidere tempestivamente i temi in agenda. E anche per questo si decise di dedicare finalmente ad essa due giorni. Era e sarebbe stato quello il nostro Congresso si disse. Se non è un Congresso un organo di 2858 persone cosa è mai un congresso? Si disse. Se non è un Congresso un organo eletto da 3.554.000 persone cosa mai è un congresso? Si aggiunse. Il guaio è che è stato detto con vanto, mentre lo si sarebbe dovuto dire con vergogna. Quale partito si sentirebbe infatti di avviare il percorso che noi abbiamo avviato, con l'enfasi che abbiamo dato alla partecipazione diretta, con la risposta che abbiamo raccolto, con la domanda che abbiamo alimentato, per interromperlo poi così come noi lo abbiamo interrotto? Come accettare che questo partito sia proprio il nostro Partito, il Partito che in nome delle primarie si è presentato agli italiani come un partito nuovo, il Partito Democratico?

E' per questo motivo, che da delegato a delegato, prima di arrendermi definitivamente alla realtà, sento il dovere di chiederti di associarti alla mia richiesta per una nuova convocazione della Assemblea Costituente, perchè possa finalmente dibattere, ma ancor più perchè, nel rispetto delle regole che ci siamo dati con lo Statuto, possa decidere del futuro del partito.

E' una richiesta guidata solo dalla passione che tu ed io abbiamo per il partito e per la democrazia in Italia, una richiesta che prescinde dalla condivisione tra noi di posizioni sui distinti argomenti ora in discussione.

Se convieni sulla sostanza delle mie preoccupazioni e convieni sul senso della mia proposta ti prego di darmi un riscontro all'indirizzo arturoparisi@arturoparisi.it  dal quale ti scrivo.

Ti ringrazio per l'attenzione e ti saluto con amicizia

Arturo Parisi


NOTA SULLO SVOLGIMENTO DELL’ASSEMBLEA

In data 20 giugno 2008 si è  tenuta presso la Nuova Fiera di Roma l’Assemblea Nazionale, ex Assembla nazionale costituente.
L’annuncio della convocazione era stato dato il 15 maggio 2008 dal Segretario nazionale del Partito Democratico Walter Veltroni durante lo svolgimento del Coordinamento nazionale. Nonostante i 35 giorni di tempo dalla convocazione l’ordine del giorno è stato trasmesso ai delegati solo il 18 giugno nel modo seguente:
1.Relazione del segretario, 2. Dibattito, 3. Dimissioni del presidente, 4. Provvedimenti, 5. Elezioni della direzione nazionale e correlate modifiche statutarie, 6. Elezione del collegio sindacale, 7. Varie ed eventuali.
Si noti che gli elementi di informazione relativi alle modifiche statutarie e alle modalità di elezione della direzione sono stati resi accessibili ai delegati soltanto nel corso dell’Assemblea.
Lo svolgimento dei punti all’ordine del giorno relativi alle modifiche statutarie è avvenuto in palese violazione dello statuto. Per quanto attiene le modifiche statutarie in quanto il numero dei delegati presenti era visibilmente inferiore ai 1429 delegati, cioè la metà più uno dei componenti dell’assemblea, necessari al raggiungimento del “numero legale” previsti perché l’assemblea fosse legittimata ad assumere decisioni in merito a modifiche statutarie come previsto nello Statuto dall’articolo 44, primo comma che recita  “Le modifiche al presente Statuto sono approvate dall’assemblea nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti.”
La mancanza della maggioranza assoluta dei componenti ha quindi reso illegittime le modifiche statutarie e pertanto nulle anche le decisioni ad esse conseguenti. E’ evidente, infatti, che l’articolo 45 comma 1 delle norme transitorie dello statuto, che recita “L’assemblea costituente nazionale eletta il 14 ottobre 2007 assume le funzioni attribuite dal presente Statuto all’Assemblea nazionale.” riconosca tutte le caratteristiche dell’Assemblea Nazionale all’Assemblea Nazionale Costituente.
E’ necessario inoltre osservare che l’organizzazione dei lavori dell’assemblea del 20 giugno finalizzata all’elezione della direzione nazionale del partito, cosi come prevista dalle modifiche statutarie proposte, non era sufficiente a garantire il rispetto dell’articolo 2, comma 5 punti F e G. Articolato che recita “Gli iscritti e le iscritte del Partito Democratico hanno inoltre il diritto di: F) essere compiutamente informati ai fini di una partecipazione consapevole alla vita interna del partito. G) Avanzare la propria candidatura per gli organismi dirigenti ai diversi livelli e sottoscrivere le proposte di candidatura per l’elezione diretta da parte di tutti gli elettori. Per quanto attiene la direzione è stato, infatti, impedito ai delegati di fatto di presentare proposte diverse da quella del Segretario perché la possibilità di presentare liste alternative è stata resa nota e illustrata nel corso dei lavori con condizioni impraticabili (facoltà di presentare le liste diverse tra le ore 14 e le ore 17 a condizione con il sostegno del 10% dei componenti dell’assemblea).
Si chiede quindi il ripristino della legalità e conseguentemente l’annullamento delle deliberazioni avvenute nell’assemblea del 20 giugno 2008. 

da ulivisti.it
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« Risposta #16 inserito:: Agosto 24, 2008, 06:41:37 pm »

... mi è sembrato corretto avvisarli prima di postare il seguente messaggio in www.forumista.net

Aspetto commenti poi procedo... in buona fede e senza farmi illusioni (del resto mai partorite).

ciaoooooooooo


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Gli amici di  www.perlulivo.it/forum,  dopo essersi separati da noi, hanno ritenuto di utilizzare il termine "forumulivista" da me coniato anni fa nel e per il forum ulivo.it.

Lungi da me la volontà di richiedere i diritti d'autore (come ho già dichiarato in forumista.net) ma, come "genitore" del termine, intendo lanciare la proposta che "forumulivista" divenga parte della firma da affiancare al nick di ogni protagonista di questo forum che ritenga di definirsi pubblicamente "ulivista".   

Un termine che difinisce bene la partecipazione attiva ai forum ma indica anche la propria prospettiva politica.

Risulterebbe in tal modo ricucito un legame unificante tra persone che, in passato, hanno operato fianco a fianco anche se "tormentati" da personalismi gestiti in negativo.

"Forumulivista" per gettare un ponte tra i diversi gruppi ulivisti nazionali!

Che ne pensate?

ciaooooooooooooooooooo
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« Risposta #17 inserito:: Agosto 24, 2008, 06:45:10 pm »

POLITICA

L'ex premier parla del suo governo e del Pd: "Sarei rimasto volentieri"

Una ragazza dice di sentirsi "un poco orfana" e il Professore risponde: "Anch'io"

Prodi: "L'Ulivo tornerà ma senza di me"

di MARCO MAROZZI

 

RICCIONE - L'Ulivo tornerà. "Anche se non sarò io a portarlo fuori". Romano Prodi, dopo mesi e mesi di silenzio, parla del futuro suo e dell'Italia. E, dopo mesi di amarezza, si illumina di sorrisi davanti a una gran folla. E, senza nominarlo, fa "lezione" al Partito democratico. Indicandogli un futuro che guarda all'Europa, al mondo e ai suoi grandi problemi. "Di fronte alle nuove sfide mondiali, noi non li risolviamo rifugiandoci in dottrina astratte". Parla di governi, ma anche di opposizioni. In Europa e in Italia. Riproponendo una politica di bipolarismo forte.

Succede a Riccione, nel parco strapieno della Villa Mussolini, dove il Professore è stato chiamato dalla libreria Bloc 60 a presentare il suo volume "La mia visione dei fatti", racconto di "cinque anni di governo in Europa", uscito proprio nel giorno della caduta come premier e che adesso diviene uno strumento di ragionamento su un metodo politico. Mille persone, con a fianco dell'ex premier Linus, direttore di Radio Capital, Dee Jay, MO2, che lo intervista dando molte volte il microfono al pubblico. E ad una ragazza che gli dice di essere triste per la fine dell'Ulivo e si senta "un poco orfana", lui risponde "anch'io", poi lancia: "L'idea che stava alla base della proposta con cui sono entrato in politica ritornerà fuori, assolutamente".

"Non la porterò fuori io - ha aggiunto - ma qualcun altro la porterà fuori". "Attualmente sto benissimo, sto meglio di un anno fa, anche se non sono andato via per stare meglio. Io sarei anche rimasto. Mi è dispiaciuto molto". "Sono stati anni belli in cui ho tentato un cambiamento forte della politica italiana attraverso il bipolarismo e la creazione di una grande alleanza di centrosinistra. Due volte ho vinto le elezioni, e due volte il disegno è stato interrotto dalla stessa coalizione che appoggiava l'esecutivo", ha ricordato l'ex premier. A giudizio di Prodi, in politica quello che "è importante è il realismo, la serietà e l'onestà con cui la si fa". Questa è l'eredità che si lascia. "Penso - ha proseguito riferendosi ai politici - che il nostro dovere sia mostrare coerenza e obiettivi precisi, anche se il prezzo può essere molto alto". E del governo Berlusconi dice: "Non si può scontentare troppa gente, ma non scontentando i problemi peggiorano".

Ritenendo di "non tornare alla politica italiana" e che girerà il mondo "con primo interesse" e un'attenzione a un possibile ruolo internazionale, Prodi ha ricordato il suo "disegno di alternanza chiara". Al Pd che non ha ancora deciso come andare alle elezioni europee e il suo ruolo rispetto al Pse e al Partito democratico europeo, l'ex premier ha lanciato: "È indispensabile creare grandi partiti a livello europeo. Ma non vedo grandi cambiamenti nel futuro che verrà. E alle ultime elezioni la parola Europa non è mai stata pronunciata e nessun politico ha mai avuto alle spalle la bandiera europea".


(24 agosto 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #18 inserito:: Agosto 25, 2008, 12:41:21 pm »

Politica
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PD: MERLO, ULIVO NON E' RICETTA VALIDA PER TUTTE LE STAGIONI

SI E' VOLTATA PAGINA, CENTROSINISTRA HA MOSTRATO SUA DEBOLEZZA



Roma, 24 ago. (Adnkronos)

- ''Non c'e' alcun dubbio che l'esperienza dell'Ulivo ha segnato un passaggio importante decisivo nella storia politica del centrosinistra nel nostro paese.
E' altrettanto indubbio, pero', che con il progetto del Partito democratico si e' voltato definitivamente pagina e rimpiangere oggi l'Ulivo significa nient'altro che riproporre la tradizionale alleanza di centrosinistra che purtroppo ha manifestato tutta la sua debolezza e contraddittorieta' nella precedente legislatura''.

E' quanto afferma l'esponente del Pd, Giorgio Merlo.
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« Risposta #19 inserito:: Agosto 29, 2008, 07:07:08 pm »

Forum - Circolo Pd Barack Obama

29 agosto 2008, 5 ore fa


Lettera aperta a Lucio Scarpa

28 agosto 2008, 22.43.56 | Manuela


Caro Lucio, scriviamo a te, che sei il coordinatore del circolo Obama, perché sentiamo l’esigenza di far conoscere le motivazioni che ci inducono ad abbandonare il comune cammino con il PD e con i democratici del circolo. Noi che veniamo da una lunga militanza di partito come semplici iscritti, avevamo condiviso, come tanti altri elettori, il progetto dell’Ulivo, e sperato che da quel progetto nascesse finalmente un nuovo partito riformista: il Partito Democratico.

Quel partito che avrebbe dovuto superare – superare, non sommare – le culture politiche del secolo appena trascorso e chiudere l’eterna transizione dalla prima alla seconda Repubblica; per farlo occorreva una profonda opera di innovazione e di trasformazione di se stesso, dei propri metodi e delle proprie politiche e, insieme, della politica italiana.

Abbiamo assistito fin da subito a qualcosa di molto diverso, in cui le affermazioni verbali contrastavano con i comportamenti fattuali (qualcuno di molto realista ci ammonirà che è questo che è sempre successo, e che questo ci si deve aspettare, in politica: una continua rincorsa fra parole e fatti). Eppure non è questo che ci si dovrebbe aspettare da un soggetto che nasce per cambiare, non per conservare. La discontinuità, il primato degli elettori, il partito leggero, il partito aperto, sono stati concetti sbrigativamente proposti e subito abbandonati, e di fatto (ancor prima della stesura dello Statuto) si è (ri)creato un partito fotocopia di quelli preesistenti. Vorremmo sfatare un po’ di quelle che ci sembrano leggende. La prima è che questa discrasia fra parole e fatti dipenda dalla “giovine età” del partito stesso, non ancora del tutto attrezzato per le sfide che lo aspettano.

Al contrario, questo partito fotocopia è stato creato, nello Statuto, nel Manifesto dai valori – i cui “valori” sono stati accuratamente dosati più per impedire rotture che per creare identificazione – già perfettamente adeguato a rispondere alle esigenze di autoconservazione e autoriproduzione degli apparati e dell’establishment (e della loro cultura politica). Progressivamente, e lo si vede anche nelle discussioni del circolo, si sente sempre più pressante l’esigenza di distinguere, vagliare, discernere… “il grano dal loglio”, mi verrebbe evangelicamente da dire… cioè i “veri democratici” da tutti gli altri (scettici, critici, grillini e berlusconiani, travaglisti o fascisti…), individuando in tutto quello che “non siamo”, gli antagonisti e, in qualche caso, i nemici. Lontano da noi attribuirlo ad una scarsa disponibilità, ad una carenza di empatia da parte dei veri democratici: al contrario, questo è il vizio di origine dell’essere un partito pesante e non leggero, di iscritti e non di elettori.

A questo modo di essere partito vanno ascritte, a nostro parere, anche le polemiche – ci pare non comprese fino in fondo, o attribuite ai “soliti personalismi” – che molti sindaci o governatori hanno aperto con gli apparati del PD: poiché è proprio nella costruzione di strutture parallele fra partito e amministrazione, e nella mancata identificazione fra chi guida localmente il partito e chi guida l’amministrazione che nascono sempre più acuti attriti. Fra una parte di dirigenti che si rapporta ai cittadini-elettori e a questi risponde, e una parte che risponde solamente all’apparato e in questo trova la sua legittimità.

La seconda leggenda è la presunzione di innocenza di Veltroni, che ci sembra sia considerato da molti come il portatore del rinnovamento, circondato da infidi personaggi che cercano in tutti i modi di bloccare questo processo. Anche noi abbiamo molto apprezzato il “nuovo corso” che Veltroni sembrava aver imboccato in campagna elettorale; anche se non ce ne siamo mai nascoste le contraddizioni (anche nel famoso discorso del Lingotto) e le incoerenze, e soprattutto non ci siamo mai nascoste le parti “non dette”: quelle che hanno pesato da subito come macigni sulla formazione del nuovo partito, come la laicità. Oggi, continuare a sostenere che Veltroni – che ha avallato tutti, tutti, gli atti del PD, dall’incapacità di parlare con i cittadini che hanno fatto straripare Piazza Navona all’astensione/non voto sul caso di Eluana - è portatore del nuovo, assediato dai “cattivi”, significa non accettare il fatto che il “nuovo” partito è stato costruito proprio per essere come oggi è: un insieme di potentati personali (chiamatele correnti, se credete), che magari si scontrano al loro interno, in cui gli iscritti sono truppe da utilizzare per scontri di potere, e il cui segretario è frutto di un accordo fra potentati, non di scontro di idee. Le truppe, saremmo noi.

La terza leggenda che vorremmo sfatare è proprio che “La Base”, in un tipo di partito siffatto, abbia un ruolo che non sia solamente quello di permettere ai maggiorenti di contare la propria forza. Stefano, in uno dei suoi interventi, dice, di striscio: “Veltroni…che secondo me oggi va rafforzato e non indebolito, vai a sapere come, pero`...”. Ecco, il problema sta proprio qui: che noi non abbiamo alcuna possibilità non solo di mandar via, ma nemmeno di sostenere, un dirigente piuttosto che un altro. In altri termini il problema è che la comunicazione fra vertice e base va in una sola direzione, dall’alto al basso, come e peggio che negli anni ’50. E’ per questo che siamo approdati qui, al circolo online; poiché l’essenza stesa della rete è esattamente il contrario del tipo di struttura messa in atto con la costruzione del PD. E’ comunicazione orizzontale e, verticalmente, corto circuito, nel senso che salta molti passaggi obbligati sul territorio. Questo circolo avrebbe potuto essere strumento di lotta politica. Il CO non ha dalla propria parte il peso delle “strutture territoriali”, ma ha qualcosa di molto più forte: una rete che può essere fonte cui attingere la forza dei “democratici” che quotidianamente vivono e lavorano ma che stanno alla larga dalla “struttura”. “Uccidiamo il padre” diceva il titolo del convegno dei Mille.

Gran bel titolo: esso evocava la possibilità per tutti i “democratici innocenti” di prendere in mano la bandiera del rinnovamento e la rete poteva essere appunto la culla di un movimento della società civile. Occorreva prendere in mano la proposta di rinnovamento delle classi dirigenti, costruire consensi ed alleanze, e cercarli là dove si trovano: non solo, certamente, nella base dei “veri democratici”, che d’altronde si va restringendo sempre più. Sarebbe stato uno strumento efficace per tenere aperti i canali di comunicazione con tutto quel mondo che non si riconosce nel PD e che è molto critico nei suoi confronti, ma è e resta, comunque, di sinistra (o centrosinistra).

Avrebbe potuto essere il comune denominatore fra il cerchio dei militanti e quello – anzi quelli - degli elettori. Ma per essere tutto questo avrebbe dovuto anche essere consapevole della contraddizione che la sua esistenza di circolo online apre nella struttura del PD ed impugnarla come opportunità, non come una debolezza. Il CO cosi com’è sta definendo se stesso come una trasposizione dei CT nella rete. Non basta darsi norme specifiche per affermare la specificità del CO. La specificità si realizza solo se il CO si fa portatore di innovazione; diversamente, come detto, sarà solo una copia dei CT. Tutto questo non è nelle prospettive del CO: peccato. A noi la prospettiva di fare da spettatori alle lotte tra correnti o tra leader non piace e crediamo, anzi, che se c’è una critica da fare alla famosa base è propria quella di accettare il ruolo di spettatori. Per tutte queste ragioni – e ce ne sarebbero altre, che attengono ai contenuti della politica del PD, soprattutto quelli che riguardano la laicità, o la riforma della giustizia, ma sarebbe davvero troppo lungo soffermarvicisi – crediamo che il PD non sia più la nostra casa. E che questo circolo, che pure ci ha ospitato sopportando – a volte con garbo, a volte molto meno – le nostre critiche e le nostre riflessioni, diventando sempre più simile a quelle sezioni, pardon circoli territoriali, che abbiamo a lungo frequentato ed inserendosi sempre più organicamente nella struttura del partito, non sia più un luogo dove poter agire proposte di cambiamento e di rinnovamento. Cercheremo altrove altre opportunità che, speriamo, non mancheranno.

Per ora, fedeli alla nostra fama di bastiancontrari, adesso che quasi tutti sono tornati, ce ne andiamo in vacanza

 Enzo e Manuela

P.S. Non ci piacerebbe che, ritirando la nostra iscrizione, si cancellassero tutti i nostri interventi, che crediamo debbano fare parte della storia di questo circolo. Qualcuno ci potrebbe rassicurare in materia?


da pdobama.nig.com/forum
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« Risposta #20 inserito:: Agosto 30, 2008, 09:21:18 am »

30/8/2008
 
I capifamiglia
 
 
MATTIA FELTRI
 
C’ erano tre cose che Romano Prodi - da ex premier e da storico rivale di Silvio Berlusconi - doveva fare dopo la pubblicazione su Panorama dei colloqui telefonici in cui lo si sente indaffarato a intercedere per nipoti e consuoceri.

La prima era di mantenere un profilo istituzionale, e cioè di non gridare all’attentato contro la privacy violata sin nel cuore di Palazzo Chigi; la seconda di mantenere un profilo di dignità, e cioè di non denunciare d’attentato il presidente del consiglio, editore del settimanale autore dello scoop; la terza di agguantare un profilo di rigore, e ammettere che dalla poltrona dell’esecutivo non ci si dovrebbe occupare delle grane di famiglia. Due cose le ha fatte, l’ultima no.

Molti in Italia segnalano l’abuso delle intercettazioni nelle procure e sui giornali. Non lo ha mai sostenuto Prodi, e con coerenza non lo ha sostenuto stavolta; semmai, vorrebbe divulgarle tutte per dimostrare la sua innocenza. E siccome non è uno sprovveduto, il Professore si è guardato dal tirare in ballo il conflitto d’interessi di Berlusconi, perché era troppo facile e perché le sue telefonate dimostrano quanto è facile cascare negli abusi d’ufficio anche se non si posseggono tre reti televisive. Prodi si è conservato la misura e la fierezza che - specialmente al tramonto del suo potere, quando irriducibile assistette in Parlamento alla sua esecuzione - gli hanno fatto guadagnare il rispetto, se non la simpatia, pure di chi mai lo votò. E agevolmente non è cascato nel giochetto di prestigio di Berlusconi, il quale ha offerto solidarietà all’offeso e invitato le Camere a mettere mano alla questione.

La grandezza di Berlusconi risiede anche nella sua capacità di sostenere qualsiasi tesi senza perdere di credibilità. Ma stavolta non gli è riuscito. Giudicare una mascalzonata quella di Panorama e appellarsi ai parlamentari perché vi pongano rimedio, è un’enormità insostenibile persino per uno estroso come lui, al quale basterebbe una telefonata, magari alla figlia Marina, gran capo della Mondadori, per suggerire soluzioni più rapide.

E allora, fin qui due a zero secco per Prodi. Peccato, però, che si sia risparmiato il filotto. Lui e tutti i suoi sodali del Partito democratico hanno impegnato gran parte della giornata per avvalorare l’inconsistenza penale del contenuto delle conversazioni. Questo lo valuteranno i magistrati e gli osservatori abituati a pesare il mondo in base alle prescrizioni e alle aggravanti. Se Antonio Di Pietro acquista in saldo la Mercedes da un indagato, non violerà la legge ma si offre a un giudizio morale. Se Prodi, intanto che guida l’esecutivo, parla con i collaboratori e coinvolge i ministri per il vantaggio dei parenti, magari non intacca la fedina penale, ma intacca la reputazione. Sarebbe stato sufficiente offrire la spiegazione più accettata dagli italiani: anche io tengo famiglia. E piuttosto numerosa. E afflitta da qualche pena, animata da qualche aspirazione, pure un pochino petulante. Sarebbe stato sufficiente dire ho ceduto, mi dispiace, chiedo scusa, ma garantisco di non aver sconfinato nell’illegalità. E nessun galantuomo avrebbe avuto più nulla da ridire.

da lastampa.it
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« Risposta #21 inserito:: Settembre 01, 2008, 11:38:32 am »

Smentito contributo di 280 mila euro al Pd: «Forse è Ovi che millanta di aver chiuso un accordo»

«Prodi mi chiamò per suo nipote»

Il presidente di Sigma Tau, Claudio Cavazza: «È vero, mi parlò di quella società ma alla fine non se ne fece nulla»

 

ROMA — «Prodi lo conosco da 30 anni. È vero, mi parlò di quella società di suo nipote che aveva bisogno di un nuovo socio. Cerco sempre di aiutare i giovani, ma alla fine non se ne fece nulla». Claudio Cavazza — presidente di Sigma Tau e numero due di Federfarma — conferma che nel giugno dell'anno scorso, su sollecitazione «dell'amico Romano », pensò di entrare nella Cyanagen, società di Bologna partecipata da Luca Prodi. Ma esclude che quell'interessamento sia collegabile alla richiesta fatta ad Alessandro Ovi, collaboratore dell'allora premier, di ottenere un regime fiscale migliore per la fondazione che porta il nome della sua casa farmaceutica: «Mandai a Bologna Carminati e Bianchi, due scienziati della Sigma Tau. Mi dissero che quell'azienda si occupava di biotecnologie ma in un settore lontano dal nostro. Decidemmo di non fare nulla. Nessun favore, quindi».

Cavazza conferma anche la telefonata con Ovi in cui chiedeva un migliore regime fiscale per la fondazione. Ma pure qui esclude vantaggi: «Eravamo stati esclusi dall'elenco delle fondazioni che possono non pagare le tasse, che sono al 50 per cento, sulle donazioni ricevute. Ma lui mi scaricò, mi disse che i termini erano ormai scaduti e non si poteva fare nulla. Ci rimasi anche male». La fondazione ha comunque ottenuto quello che voleva. «Abbiamo fatto ricorso al Tar che ci ha dato ragione. Non chiedevamo favori ma solo quanto già previsto per altri». Quello che invece Cavazza smentisce è il contributo di 280 mila euro al Partito democratico: «Forse è Ovi che millanta di aver chiuso un accordo con me. Del resto io sono amico di Prodi e non credo che lui si sarebbe messo in pericolo per Veltroni, visto che non era poi così contento di Walter. E poi, dopo Mani pulite, io ho paura pure a lasciare la mancia». Negli anni '90 Cavazza patteggiò (due mesi) nell'inchiesta sulla corruzione della sanità, quella dei soldi nel pouf di Poggiolini che coinvolse l'ex ministro Francesco De Lorenzo. «Ecco, spero che non ritorni quel clima di caccia alle streghe. Dicono che sono prodiano, altri pensano che sono berlusconiano, ma io sono un vecchio socialista. E penso che le due parti si debbano parlare e trovare un accordo: il Paese ha bisogno di tranquillità e le intercettazioni sono un'arma da utilizzare solo in casi estremi».

Lorenzo Salvia
30 agosto 2008

da corriere.it
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« Risposta #22 inserito:: Settembre 01, 2008, 11:50:41 am »

Intercettazioni  e ROMANO PRODI

I due filoni dell'inchiesta Italtel

Quello della ricerca medica e quello dell'azienda farmaceutica



IL FILONE RICERCA MEDICA

I tre punti
Le intercettazioni si dividono sostanzialmente in tre filoni, il primo riguarda gli affari del consuocero di Prodi, Gian Maria Fornasari, primario all’ospedale Rizzoli di Bologna. Il medico si occupa della banca dell’osso della Regione Emilia-Romagna e richiede fondi per le sue ricerche.

Le riunioni
Romano Prodi si interessa del caso e coinvolge anche in alcune riunioni i ministri della Salute Livia Turco e dell’Università e ricerca scientifica Fabio Mussi, oltre al suo collaboratore Alessandro Ovi e all’economista Daniele De Giovanni. Ovi stesso ricorda alla segretaria del Professore che «Romano ha fissato un appuntamento con i bolognesi per la medicina rigenerativa». Ovi poi evoca, parlando con Fornasari, un incontro già avvenuto con il ministro Turco. Il consuocero conferma i contatti. Le conversazioni sui finanziamenti— secondo quanto riporta Panorama— sarebbero «decine».

I finanziamenti
In una telefonata, Fornasari e Ovi discutono su come ottenere i fondi necessari senza che siano accreditati direttamente a nome del medico e parlano del ruolo di Aster, cioè il consorzio tra Regione Emilia Romagna, Università, imprese e coop. Ovi spiega che la convenzione «è un bellissimo pezzo di carta», ma perchè arrivino i fondi è necessario che siano indirizzati «al posto giusto» e anche in tempi stretti. Chiede Fornasari: «Facciamo l’incontro? Sai, Romano mi parlava del 4 luglio...». Replica Ovi: «L’accordo è che si passi tramite una convenzione con la regione, poi però la convenzione, se non c’è dietro il soggetto che riceve i soldi, non va da nessuna parte». «Sicuro!», gli fa eco Fornasari.


IL FILONE AZIENDA FARMACEUTICA

Il nipote
Il secondo filone riguarda le attività del nipote Luca Prodi, figlio di Vittorio. Luca, che ha il 20% della Cyanagen—azienda che produce reagenti chimici (di cui detiene i brevetti) e nata come spin-off dell’Università di Bologna— chiede consiglio al premier per far uscire dal patto di sindacato un socio, la Euroclone, che detiene il 24 5 delle quote e dunque ha ruolo forte.

Il consiglio
In un primo momento, Prodi e i suoi consiglieri cercano l’aiuto dell’industriale farmaceutico Claudio Cavazza. Viste le difficoltà, il premier consiglia di agire all’insaputa del socio sul know-how dell’azienda: «Lo so, appunto, siccome loro hanno brevettato tutto —sostiene Romano in una telefonata con Ovi —, intanto tirano via tutto quello che non hanno brevettato...». L’ex premier dichiara di essere pronto ad aiutare economicamente il nipote Luca per dare vita a un’altra società, ma Ovi lo frena e ribadisce la necessità di «fare una cosa amichevole» con Euroclone.

Il Pd
Tra gli argomenti emersi dalle telefonate ci sono anche presunti fondi da destinare al Pd. Secondo Panorama, viene chiesto un aiuto a Cavazza, che avrebbe stanziato 280mila euro per il partito. L’industriale, nel frattempo, fa pressioni —sostiene Panorama—per ottenere «aiuti legislativi e agevolazioni fiscali per la fondazione scientifica del suo gruppo». Il sottosegretario all’Economia Massimo Tononi, però, fa sapere a Ovi che non è possibile inserire la fondazione nella lista: «Lui (Cavazza o i suoi collaboratori) è venuto a trovarmi troppo tardi. Non può mica pensare che cambi il decreto del presidente del Consiglio». Ovi a sua volta chiama Cavazza per rassicurarlo sul fatto che in futuro sarà possibile inserire la fondazione nell’elenco di quelle che possono godere di privilegi fiscali.


29 agosto 2008

da corriere.it
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« Risposta #23 inserito:: Settembre 05, 2008, 10:55:17 pm »

Il parlamentare: «DOPO ALITALIA, COLANINO JR AVREBBE DOVUTO DIMETTERSI DA MINISTRO OMBRA»

Parisi: «Il governo ombra? Un fallimento»

E Veltroni replica: «Meno litigi nel Pd»

Critiche al leader dall'ex ministro, che su Berlusconi ammette:«I suoi 100 giorni hanno il segno più»

 
 
FIRENZE - È un duro attacco endogeno quello che Arturo Parisi ha lanciato al Pd e al suo leader Walter Veltroni nel corso di un dibattito alla festa del Partito democratico a Firenze. Parisi ha giudicato «fallimentare» l'esperienza del governo ombra messa in campo dalla coalizione di centrosinistra: «È una scommessa che al momento è mancata completamente. All'inizio - ha spiegato Parisi - ne vidi l'utilità. Oggi, dopo tre mesi, l'esperienza è fallita».

ELOGIO A BERLUSCONI - Sul palco della festa di Firenze l'esponente del Pd non ha risparmiato critiche al leader Veltroni, "promuovendo" invece il premier Silvio Berlusconi: «Il totale dei 300 giorni di Veltroni porta il segno meno; 100 giorni di Berlusconi sembrano avere il segno più» ha detto Parisi «Veltroni impari da Berlusconi a tenere un filo e a svolgerlo nel tempo. Il Cavaliere - ha aggiunto l'ex ministro della difesa - ha imparato dai suoi errori e dovremmo imparare anche noi».

LA REPLICA - Pronta la replica di Veltroni alle parole dell'ex ministro: «Il giorno in cui Parisi utilizzerà un quarto delle sue energie per attaccare la destra, io sarò contento» ha detto Veltroni, intervistato alla festa Ecodem a Pontelagoscuro. «Sarebbe meglio se tutti noi parlassimo più di quello che fa di sbagliato il governo e mandassimo meno segnali di litigio e divisione».

COLANINNO - Da Parisi una stoccata anche su Matteo Colaninno, ministro ombra per lo sviluppo economico: «Credo - ha detto - che abbia perso un'occasione... onestamente ha perso un'occasione». Così ha risposto Parisi ad una domanda sulla vicenda Alitalia e sulla newco Cai.

SONDAGGIO PRODI - In merito alle intercettazioni che hanno coinvolto l'ex premier Romano Prodi, dalle quali emergerebbe la volontà del Professore di commissionare un sondaggio anti-Veltroni Parisi ha affermato: «Non ci si capisce nulla e quel tanto che si capisce è sostanzialmente ridicolo. Già l'idea di un sondaggio da 300 mila euro è una notizia».

«L'ULIVO PER LE EUROPEE» - Dal palco della Festa del Pd Arturo ha lanciato anche la sua proposta in vista delle europee: non siano, ha avvertito, l'occasione «per un congresso mancato e una conta dentro il Pd», ma un'occasione «per riprendere il cammino di Uniti per l'Ulivo, riaggregando il massimo delle forze possibile». «Le europee - ha detto l'ex ministro - devono essere vissute come un voto per l'Europa e non come un sostituto delle politiche, un sondaggio sul peso dei partiti oppure come un congresso mancato».


05 settembre 2008

da corriere.it
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« Risposta #24 inserito:: Settembre 07, 2008, 12:22:05 am »

Pd: Parisi rilancia Ulivo per europee, si faccia listone "Uniti per Europa"

Adnkronos - 5 Settembre 2008

VI ENTRINO TUTTE QUELLE FORZE CHE SI RITROVANO IN NOSTRO PROGRAMMA

Firenze, 5 set. - (Adnkronos) - Arturo Parisi nella sua battaglia per riportare il Partito democratico dentro il solco dell'Ulivo lancia una proposta, parlando alla Festa di Firenze, in vista delle prossime elezioni europee. Parisi spiega cosi' il suo progetto: "Esattamente come quattro anni fa, dobbiamo porci il problema di aggregare il massimo di forze possibili" in vista del voto delle europee e "dobbiamo ripercorrere quel cammino che produsse 'Uniti per l'Ulivo', aprendo la nostra proposta a tutti quelli che condividono il nostro programma per l'Europa". Parisi ha anche pronto il nome per la lista e sarebbe quello di 'Uniti per l'Europa'.

Ma a chi sarebbe aperto questo 'listone'? L'idea di Parisi e' quella di chiamare tutte le forze che possono ritrovarsi in un programma comune per le europee e quindi si pensa tutta l'area della sinistra da Sinistra democratica di Fabio Mussi ma anche ai Socialisti di Enrico Boselli. Insomma, quelle forze che se dovesse esserci una soglia di sbarramento piu' alta del 3% vedrebbero a rischio, oltretutto, la loro rappresentanza. Parisi non lo dice esplicitamente a quali soggetti si riferisce ma ripete che lo sforzo del Pd deve essere quello di "aggregare il massimo di forze possibili" attorno ad un programma condiviso.

Ai cronisti che chiedono a Parisi se abbia parlato di questa proposta con Romano Prodi, l'ex ministro risponde: "No, non ne ho parlato con Prodi. Ne ho parlato con mia moglie...".

Parisi nel lanciare la sua proposta di 'Uniti per l'Europa' spiega di averla avanzata non solo per riprendere il progetto dell'Ulivo ma anche perche' le elezioni europee rischiano di "diventare solo una conta interna al Partito democratico. Rischiamo di farle diventare il sostituto di un congresso mancato".
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« Risposta #25 inserito:: Settembre 07, 2008, 07:43:20 pm »

7 settembre 2008, 17.26.46

Io, Arturo Parisi, vi dico dove Veltroni ha sbagliato

 | Elvira Santaniello


Questo titolo non tragga in inganno...non mi trovo affatto d'accordo con Parisi, ma credo che per rafforzare il mio, il nostro appoggio a Veltroni, sia bene anche dare un'occhiata alle opinioni degli altri...anche se questi altri stanno nel nostro stesso partito! Da Panorama.it: Tutto inizia dall’inizio. Frase buona per il titolo di un film, ma anche (veltronianamente) per la breve storia del Partito democratico, la sua fondazione, la sua sorprendente crisi prematura. “Tutto inizia dall’inizio” dice a Panorama Arturo Parisi, progettista dell’Ulivo ieri e oppositore interno del Pd di Walter Veltroni oggi. L’ex ministro della Difesa nel centrosinistra è uno dei pochi che possa dire a testa alta: l’avevo detto. Ha dimostrato nuragica durezza nel criticare il ponte di comando del loft e nel chiedere il ritorno del centrosinistra a una rinnovata formula dell’Ulivo. I dialoghi dei consiglieri di Romano Prodi sulle primarie nel Pd, intercettati nell’ambito dell’inchiesta Siemens dalla procura di Bolzano, non lasciano spazio a dubbi politici: il presidente del Consiglio Prodi cercava di contrastare la vittoria annunciata di Veltroni per evitare quella che nei colloqui privati viene chiamata “farsa” del candidato unico, o quasi. “Invece di candidarsi alla leadership del nuovo partito per succedere poi nella premiership del nuovo governo, Veltroni rovesciò la sequenza, candidandosi immediatamente alla premiership e in quanto tale alla leadership del partito” ricorda Parisi. Ovi e Cavazza parlano delle primarie del Pd nei giorni che precedono l’investitura ufficiale di Veltroni. Prima della discesa in campo di Rosy Bindi ed Enrico Letta, candidati deboli destinati a soccombere al cospetto della macchina elettorale dei Ds e degli ex dc di Franco Marini. “Nelle prime scelte sta tutto lo sviluppo successivo. Innanzitutto nella sua investitura unanimistica da parte dell’apparato, che riconobbe in lui l’unico candidato spendibile nella gara di popolarità con Silvio Berlusconi, anche se il meno adatto a fondare un partito. E poi nel discorso del Lingotto, che proponeva un programma per un nuovo governo e non un progetto di un partito nuovo. Tutto il resto ne viene di conseguenza” continua Parisi in un flashback che, alla luce degli avvenimenti e delle scelte fatte da Veltroni, è rivelatore degli errori compiuti. Parisi è un gentiluomo e non dice quali errori ha compiuto Prodi. Il primo, lampante, è non avere ostacolato subito e alla luce del sole la corsa semisolitaria di Veltroni, appoggiando la linea sostenuta da Parisi invece di affidarsi alle sortite spuntate e discutibili dei suoi consiglieri più pratici di business che di politica. Quando discutono del progetto per le primarie, la porta del confronto con Veltroni, duro e spietato come può capitare in politica, è ancora aperta. I Ds inoltre sono nel vortice del caso Unipol: il 22 maggio 2007 Il Giornale apre il caso Visco-Guardia di finanza, mentre a metà luglio 2007 il magistrato di Milano Clementina Forleo trasmette al Parlamento le trascrizioni di 68 delle intercettazioni sulle scalate di Antonveneta, Bnl e Rcs Mediagroup e cita politici della Quercia del calibro di Piero Fassino, Massimo D’Alema e Nicola Latorre, chiedendo di poterle utilizzare. L’allora maggioranza di centrosinistra è allo sbando, pressata dalle procure di Nord (Milano, inchiesta Unipol) e Sud (Catanzaro, inchiesta Why not), si dibatte in una crisi strisciante. Il procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris iscrive il 13 luglio 2007 Romano Prodi nel registro degli indagati dell’inchiesta Why not e qualche mese dopo, il 14 ottobre 2007 (ironia della sorte, giorno delle primarie del Pd), tra gli indagati finisce anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Ds e Margherita si trovano nel pieno di una tempesta politico-giudiziaria mentre è in corso la delicata costruzione del Pd, le rispettive leadership sono ammaccate e il vento anticasta le travolge. In ordine sparso, e confusamente in cerca d’autore, trovano rabdomanticamente l’uomo della salvezza in Veltroni, ma il sindaco di Roma non vuole avversari e ha un atteggiamento liquidatorio nei confronti del Professore di Bologna. “Dietro il sostegno formale a Prodi c’era la contestazione dei limiti e delle contraddizioni del suo governo” sostiene Parisi. Politicamente si consuma la frattura con la sinistra radicale, il piano secondo Parisi è chiaro: “In vista di una accelerata sostituzione del governo, c’era la separazione consensuale concordata con Fausto Bertinotti, guidata dall’illusione che dividersi da buoni fratelli fosse per ambedue elettoralmente più redditizio che arrivare a un vero confronto su un progetto politico. Mentre Berlusconi portava a ulteriore avanzamento, con le buone e con le cattive, il processo di unificazione del polo di centrodestra iniziato nel 1994, Veltroni metteva fine a quel processo proclamando la discontinuità con i 15 anni della esperienza dell’Ulivo” ricorda l’ex ministro della Difesa. La rottura dell’esperienza ulivista per Parisi è l’origine della crisi del partito guidato da Veltroni: “Il Pd invece di riproporsi in continuità con l’Ulivo come il baricentro, la guida e il timone del campo di centrosinistra, esattamente come il Pdl nell’altro polo, proponeva la sua parzialità come totalità guidato dall’illusione di battere pressoché in solitudine lo schieramento avverso”. Il disegno veltroniano fallisce, prima che nell’urna, nelle manovre delle primarie, quando è chiara la volontà di depotenziare i prodiani ed escludere outsider di peso scarsamente controllabili come Marco Pannella e Antonio Di Pietro. Con il senno di poi, la defenestrazione dalle primarie dei radicali e del leader dell’Italia dei valori è stata la premessa degli smarcamenti dei radicali e, nel caso di Di Pietro, della costruzione di una linea alternativa nell’opposizione che oggi drena consensi alla base del Pd ed è una delle ragioni più gravi della crisi di leadership di Veltroni, che nel frattempo ha perso pure Prodi, dimessosi dalla presidenza del Pd alla vigilia delle elezioni. Il destino con il Pd si diverte a giocare a dadi, i dalemiani che nel 2007, anche sotto la pressione giudiziaria, avevano digerito il boccone amaro della scelta di Veltroni (avversario storico di Massimo D’Alema) si ritrovano di nuovo nel mirino della magistratura. In questi giorni la procura di Milano ha chiesto nuovamente al Parlamento di poter utilizzare le intercettazioni che riguardano il senatore Nicola Latorre, braccio destro di D’Alema. Riemerge così il fascicolo depositato da Clementina Forleo nel luglio 2007 sul caso Unipol. Veltroni finora non ha voluto ascoltare chi nel centrosinistra chiede un riequilibrio del rapporto tra magistratura e politica e ha scelto di non tagliare il cordone ombelicale con la magistratura associata, come testimonia la nomina dell’ex magistrato Lanfranco Tenaglia a ministro ombra della Giustizia. Veltroni finora aveva tratto vantaggio da questa situazione, ma oggi rischia di pagarne le conseguenze, il gioco infatti sta per sfuggirgli di mano. D’Alema si è sottratto all’abbraccio di Walter e manovra nel partito con l’associazione Red, mentre i prodiani, sempre più esacerbati e solitari, sembrano già con la valigia in mano. Tutto inizia dall’inizio. Anche la fine.

da pdomaba.ning.com/forum
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« Risposta #26 inserito:: Settembre 22, 2008, 10:30:03 am »

Quote:

Parlare di sinistra?
E che vuol dire "parlare di sinistra"?




Vuol dire essere per giustizia, equità, parità.

Essere di sinistra vuol dire mettere l'uomo viene prima di tutto.Sopratutto prima dell'economia.


Essere di sinistra vuol dire difendere i diritti di tutti i soggetti che per ignoranza e pregiudizio, in varie forme, sono discriminate: donne, gay, extracomunitari, rom.

Essere di sinistra vuol dire difendere l'assistenza sanitaria e l'istruzione universale, perchè ritengo necessaria l'assistenza e previdenza sociale per tutti.

Essere di sinistra vuol dire tutelare chi lavora e che sia onestamente retribuito

Essere di sinistra vuol dire credere in una societa' onesta, pulita, egualitaria il cui suo unico scopo e' ampliare il benessere collettivo cercando di diminuire la grande disparita che oggi esiste fra le classi sociale. Non appiattimento, sia chiaro!

Essere di sinistra vuol dire saper difendere i piu' poveri, i "perdenti" di queste societa' del benessere piu' sfacciato.

Essere di sinistra vuol dire tener fermo quei valori della ns. costituzione. Valori scaturiti da una lotta antifascista.

Essere di sinistra vuol dire tener fermo i valori della laicita' di uno stato ripsttando i dirirri di tutti .Anche dei non credenti.

Essere di sinistra vuol dire dare liberta di culto a tutte le religioni.

Essere di sinistra vuol dire anche solidarieta' con i piu' deboli.

Essere di sinistra vuol dire che i diritti e doveri siano auguali per tutti.

Ed infine:

Essere di sinistra vuol dire mettersi a disposizione perche ci sia un continuo rinnovamento sociale che sia ingrado di percepire tutti quei cambiamenti che questo processo di globalizzazione ci pone davanti giorno per giorno fermo restando quei valori sopracitati(e non solo questi).

Se ci riconosciamo in questo allora possiamo dirci di sinistra e possiamo cominciare a discutere , come diceva Bobbio, per cercare un nuovo Socialismo adatto al nuovo millennio.

Credo che tutto questo possa bastare per definirci di sinistra.

Molti si dichiarano di sinistra ma non rispettano questi valori basilari.

Se stiamo attenti ,non fatichiamo a riconoscerli.

Essere di sinistra ,vuol dire sopratutto questo, caro amico Vittorio.

da www.forumista.net/forum
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« Risposta #27 inserito:: Ottobre 07, 2008, 11:17:27 pm »

Questione di democrazia

7 ottobre 2008

Uno degli effetti perversi della legge elettorale (Porcellum) è quello di rompere ogni legame tra parlamentari e territorio e soprattutto quello di privare i cittadini di ogni possibilità di scegliere per quale candidato votare.

Da sempre noi crediamo che il sistema elettorale uninominale di collegio sia la soluzione migliore.

Guardiamo comunque con preoccupazione all'idea di estendere le liste bloccate anche alle elezioni europee. Siamo nel perdurante attacco berlusconiano alle istituzioni rappresentative.

Arturo Parisi, con la consueta lucidità, collega questo attacco all'uso strumentale della giusta indignazione di fronte agli eccessi della "casta".


----------


Che la campagna contro la "casta parlamentare" dello scorso anno fosse riconducile ad ispirazioni diverse e disponibile ad utilizzazioni profondamente contrapposte l'hanno detto in molti e l'hanno detto subito.

Da una parte stava infatti la sacrosanta indignazione verso i privilegi dei parlamentari e gli ingiustificati costi della politica di ispirazione autenticamente democratica. Dall'altra stava invece l'attacco alla funzione istituzionale dei parlamentari e del parlamento sicuramente reazionaria, antidemocratica e populista.

Della prima linea , dopo gli interventi promossi dal governo Prodi, invece di svilupparsi ulteriormente allargandosi ad altre categorie superprivilegiate, alle istituzioni inutili, e ai costi ingiustificati, sembra essersi persa ogni traccia. Continua invece l'attacco alla funzione rappresentativa del Parlamento e dei parlamentari.

Capofila di questo attacco è ancora una volta il nostro Presidente del Consiglio che appena qualche giorno fa ha attaccato Parlamento e parlamentari accusati di non cooperare con adeguata solerzia ed entusiasmo al suo "governare per decreti" dimenticando che Freedom House ha classificato, durante il suo precedente governo, l'Italia fra i Paesi "parzialmente liberi" proprio a causa della subalternità del Parlamento all'Esecutivo, oltre che per la concentrazione delle TV, il controllo del governo sulla RAI.

Pur essendo la iniziativa di Berlusconi, la sua idea e la sua pratica della politica il motore principale di questo processo che anche Veltroni ha recentemente denunciato, non possiamo dimenticare quali e quanti siano gli alleati che cooperano a questo esito.

Non voglio riferirmi a chi come Europa in un paradossale corsivo è arrivato ad applaudire al governare per decreti argomentando che potrebbe utile anche a noi riformisti quando "domani" torneremo al governo.

Voglio invece riferirmi ai disastrosi effetti prodotti dalla accusa di "fallunonismo" a suo tempo ingiustamente associata al tema dei privilegi ed ora rilanciata dalla destra. L'accusa ai parlamentari di essere dei fannulloni sta infatti incoraggiando per reazione il moltiplicarsi delle proposte di legge e la loro assunzione a parametro della qualità della attività parlamentare. Paradossale!

Mentre da una parte si combatte e si denuncia l'esistenza di un numero eccessivo di leggi come caratteristica della patologia italiana, mentre si promuovono e si annunciano iniziative finalizzate a disboscare la selva di leggi, si incoraggia nei fatti e si plaude sui media al loro moltiplicarsi.

Questa distorsione ha raggiunto poi il suo culmine nell'annunciata modifica del calendario parlamentare con l'obiettivo di espandere al massimo la settimana romana nel presupposto della irrilevanza del rapporto con gli elettori. Una riforma questa che sembra purtroppo fondata su un largo consenso trasversale.

Poiché i parlamentari sono ormai nominati dai vertici di partito, perché mai dovrebbero mantenere un rapporto col collegio?

Invece di contestare la attuale disastrosa legge elettorale e la minacciata estensione delle liste bloccate anche nella elezione del Parlamento europeo, si adegua la prassi alla regola ingiusta dimenticando che "casta" prima che privilegio significa "separatezza".

 

di: Arturo Parisi


da www.lafabbrica.eu
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« Risposta #28 inserito:: Ottobre 07, 2008, 11:42:35 pm »

POLITICA

Idv lancia la raccolta di firme in 3.500 città contro la legge a tutela delle 4 più alte cariche dello Stato.

Con Di Pietro, Parisi (Pd), Ferrero (Prc), Palermi (Pdci) e Leoni (Sd)

Piazze, firme e referendum

Contro il Lodo "rispunta" l'Unione

Sabato due manifestazioni: Italia dei Valori in piazza Navona e Sinistra radicale alla Bocca della Verità

Il 25 sarà la volta del Pd.

L'appello di Parisi a Veltroni: "Ora è il tempo di dire dei no"


di CLAUDIA FUSANI



ROMA - Toh, chi si rivede, l'Unione. O quanto meno pezzetti di quella che fu l'alleanza di centrosinistra del governo Prodi. Foto di gruppo per un momento che va fermato. Sala stampa di Montecitorio, ore undici del mattino, al centro spicca Antonio Di Pietro, padrone di casa nonché promotore dell'iniziativa, c'è Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, Arturo Parisi padre spirituale del Pd ed ex ministro della Difesa, Manuela Palermi, ex capogruppo al Senato di Pdci e Verdi, Carlo Leoni per la Sinistra democratica. Tutti insieme, anche se non appassionatamente, contro il lodo Alfano. E contro "la dittatura del Berlusconi IV" come si legge sul sito dell'Italia dei Valori che lancia la campagna "Firma e fermali", cioè firma i quesiti per chiedere il referendum abrogativo della legge che la maggioranza è riuscita ad approvare in meno di un mese e che garantisce l'impunità alle quattro più alte cariche dello stato. Giusto in tempo per la sentenza del processo Mills dove il premier è imputato per corruzione in atti giudiziari.

L'autunno in piazza della sinistra. E' cominciato a settembre; la Cgil sui contratti, studenti e insegnanti contro la riforma della scuola firmata Gelmini, universitari e ricercatori che occupano le università. Nei prossimi fine settimana Italia dei Valori (sabato 11) e Pd (sabato 25) danno appuntamento all'Italia che non ci sta, a cui non va bene "la politica spot", fatta di "promesse e involucri vuoti", un premier che dice "bugie" e scambia "il governare con la presa del potere". Appuntamenti che devono dare un'identità al Pd, risollevare la sinistra radicale mentre Di Pietro può solo confermare il ruolo che ha tenuto dall'inizio della legislatura: essere contro Berlusconi perché "non ci fidiamo". Di sicuro con l'avvicinarsi di questi appuntamenti, che non possono fallire, Veltroni ha abbandonato il modulo catenaccio - suicida - ed è andato in pressing sul premier denunciando la deriva autoritaria e i rischi per la democrazia. Cambio di strategia che ha sortito il mezzo miracolo di congelare le risse dentro il Pd. Ma che non vuole in alcun modo cedere alla tentazione di rimettere insieme un'alleanza politica "contro" qualcosa - cioè Berlusconi - invece che "per" qualcosa".

I quesiti contro il lodo Alfano. Comincia Di Pietro, quindi. Oggi ha presentato i quesiti contro il lodo Alfano per andare al referendum abrogativo. Ed è significativo che per farlo l'ex pm chiami intorno a sé i pezzi della vecchia Unione. Sabato infatti le piazze saranno due. L'Italia dei valori dà appuntamento a Roma in piazza Navona e in altre 665 città per abolire "una legge che l'attuale premier ha voluto per delinquere in libertà e non farsi processare". E non è finita qui perché "la libertà si perde così, un poco alla volta". Ecco infatti, sostiene l'ex pm e gli altri ospiti seduti accanto a lui, che "stanno arrivando il lodo Consolo per i parlamentari e l'estensione anche all'imputato Mills". Per non parlare della riforma della giustizia e delle divisione dei poteri tra giudici e pm.

La manifestazione della sinistra radicale. Sempre sabato scende in piazza anche la sinistra radicale, appuntamento in piazza Bocca della Verità, conclusione di un corteo che partirà da piazza Esedra. Due piazze distinte, quindi, ma che avranno momenti di incontro. "Senza primogeniture politiche" precisa l'ex pm "ma aperte a tutti i cittadini che si riconoscono in questo impegno". Infatti la raccolta delle firme andrà avanti per tutto l'anno in 3.500 piazze per consegnarle entro l'8 gennaio.

Per Paolo Ferrero "il lodo Alfano è una legge castale che va abolita" e l'11 ottobre "è una data da circoletto rosso perché l'opposizione e la riconquista dei consensi cominceranno da qui".

Parisi a Veltroni: "Referendum necessario, passerà". Per il professore ulivista, unico rappresentante del Pd e negli ultimi giorni meno severo del solito col segretario, il lodo Alfano è "un clamoroso abuso" contro cui tutto il Pd si dovrebbe schierare "perché ci sarà il numero legale e il referendum passerà". "Ci sono momenti per dire no e oggi è il giorno giusto per farlo visto che abbiamo un governo che per governare usa solo decreti" dice l'ex ministro della Difesa chiamando a raccolta la base del partito Democratico a cui chiede un atto di disobbedienza rispetto alle indicazioni di Veltroni contrario al referendum perché non raggiungerà il quorum. Contro il Pd si schiera la Sinistra democratica (Carlo Leoni): "Se si dice che c'è una deriva autoritaria, io credo che si debbano sostenere tutte le battaglie contro quelle misure" che mettono in discussione in principi democratici "come il lodo Alfano, un provvedimento che fa a cazzotti con la legalità".

In questo tentativo di revival di Unione, chi tende la mano a Veltroni è proprio Di Pietro che raccoglierà le firme anche il 25 ottobre, alla manifestazione del Pd "Salva l'Italia". Resta da capire se per il segretario la salvezza dell'Italia passa anche dall'abolizione del lodo Alfano.

(7 ottobre 2008)
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« Risposta #29 inserito:: Ottobre 08, 2008, 08:50:37 am »

8/10/2008
 
Lodo Alfano, il referendum come dovere
 
ARTURO PARISI, MARIO SEGNI
 

Fin dalla prima formulazione del lodo Alfano, anche se muovendo da posizioni distinte, abbiamo manifestato la nostra opposizione alla pretesa di Berlusconi di sottrarsi alla sua condizione di cittadino e la nostra determinazione a sostenere ogni iniziativa che contrastasse la legge. Mentre si avvia la campagna referendaria vogliamo rendere espliciti i motivi che ci chiamano a impegnarci in questa difficile battaglia.

Sono passati quasi vent’anni dal primo referendum diretto ad una riforma che affidasse ai cittadini la scelta dei governi ed a questi la forza di governare nell’interesse del Paese. Quella riforma ci ha dato l'elezione diretta dei capi degli esecutivi locali e la legge elettorale maggioritaria. È grazie a quella riforma che oggi Berlusconi governa a capo di un governo che si annuncia stabile, pur non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi alle ultime elezioni. Continuiamo a difendere quella riforma, spesso osteggiata da coloro che ne hanno beneficiato, e a batterci per portarla a termine. Ma la regola maggioritaria è stata introdotta per governare, non per stravolgere unilateralmente le regole del sistema. E proprio perché vogliamo continuare su questa strada, e dare finalmente all’Italia una democrazia che funzioni, che ci sentiamo chiamati a contrastare chi, come Berlusconi, abusa per interesse personale di quella forza che le regole hanno messo nelle sue mani.

Chiedere il referendum sul lodo Alfano è un dovere morale; è un dovere verso l’Italia, è una necessità istituzionale. È un dovere morale perché non è accettabile che un presidente del Consiglio si sottragga alla giustizia con una norma che sospende i processi a suo carico già in corso. Il principio di maggioranza non consente qualunque cosa, qualunque prepotenza, e soprattutto non permette di sottrarsi al principio fondamentale di ogni convivenza civile: il principio di responsabilità personale. Come è possibile che proprio chi, per la carica che ricopre, dovrebbe essere di guida e di esempio a tutta la comunità si sottragga a un principio cardine di ogni società democratica? Come potremmo guardare negli occhi i nostri giovani, chiedere sacrifici e rispetto delle regole, imporre loro di rispondere dei propri comportamenti se permettiamo che chi ha la guida del governo si sottragga ad ogni responsabilità? Come può il ministro Gelmini imporre ai giovani, con il voto in condotta, comportamenti seri e responsabili se il presidente del Consiglio è sottratto ad ogni responsabilità addirittura per violazioni della legge penale? Come è possibile perseguire i tanti furbetti che inquinano il mondo finanziario e imprenditoriale se cancelliamo, ai vertici della politica, il principio della responsabilità personale?

Chiedere il referendum è un dovere verso l'Italia perché il nostro Paese non deve, ancora una volta, passare agli occhi del mondo come la nazione nella quale il diritto non vale per i potenti. «Ci sarà pure un giudice a Berlino» disse il mugnaio prussiano che aveva subito un torto dal suo Re. E nella Prussia di Federico II il mugnaio trovò il giudice che gli diede ragione. Sono passati tre secoli e i principi dello stato di diritto si sono diffusi in tutto il mondo. Perché proprio l'Italia vuole fare un gigantesco salto all’indietro, cancellare il principio della uguaglianza di tutti, ripetiamo di tutti i cittadini di fronte alla legge? È infine un dovere istituzionale. L’Italia deve finalmente giungere a istituzioni forti. Ma più forti sono le istituzioni, più ferree e chiare devono essere le regole e i limiti. Stordito da una informazione televisiva in cui è più che mai assente il pluralismo e più forte il controllo del governo, il Paese non ha avvertito la gravità dei fatti e il dibattito parlamentare è passato del tutto inosservato. Il popolo, i cittadini, rimangono quindi l'unico baluardo a difesa delle regole democratiche e dello stato di diritto.
 
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