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Autore Discussione: Arlecchino: CON I FASCISTI IN PIAZZA e Storace che sbraita ci ho ripensato...  (Letto 9952 volte)
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« inserito:: Ottobre 10, 2007, 12:40:08 pm »

SONO DEMOCRATICO, MA NON VOTO IL 14 OTTOBRE...

... dopo lo scetticismo iniziale sul fatto che DS e Margherita si potessero unire nel PD, ho appoggiato con forza e mi sono sentito impegnato nel dare un contributo alla sua nascita.

Continuerò a farlo, ma mi sento di doverlo fare da "senza partito".

E' una condizione che molti di noi rivendicano da anni e lo fanno perchè si sentono ULIVISTI e il PD come si prospetta non ci è sufficiente. Desidero continuare la ricerca della possibile realizzazione dell'Ulivo composto di tutte quelle realtà di partito e sociali che oggi ne sono fuori.

Proprio per questo intendo cooperare nel PD ma con una visione sulle azioni da intraprendere, da subito e nel futuro, che devono essere migliori di quelle che abbiamo criticato nei DS e in Margherita, sino ad oggi.

E' pur vero che troppe sono le negatività, nel Centro Sinistra, che del resto era impossibile neutralizzare nelle attuali condizioni. Cominciando da una Sinistra che stenta a comprendere le opportunità che avrebbe potuto cogliere, già oggi, rendendosi artefice della buona riuscita del governo Prodi. Sinistra che non sa guardare al futuro e sembra impegnata a fermare la storia, consentendo il ritorno al potere di una destra berlusconiana di cui conosciamo le “doti”.

Ma temo che il PD rincorrendo alla cieca una convergenza al Centro, eccessiva, non dimostri volontà di incontro proficuo con quella parte della società che la Sinistra pretende di rappresentare.

Perchè di questo si tratta, non il compromettersi con leader e leaderini di partiti nani ma andare incontro alla realtà di quella parte sociale che ha l’esigenza d’essere riconosciuta, capita e coinvolta nella gestione del Paese, responsabilmente.

Se aggiungiamo il rischio che la suddetta corsa, del PD, verso il Centro possa far cadere il governo Prodi prematuramente, invece di rafforzarlo, si fa più forte la prudenza nell’aderire ad un nuovo contesto che non ha ancora dato rassicurazioni forti in proposito.

Altra negatività, secondo me, riguarda la "qualità" dei politici che vediamo operare nel governo e nel Parlamento. Scadente in generale con l'aggravante che non si vedono emergere, tra loro, personalità capaci di denunciare le storture agendo per correggerle, nei fatti non a chiacchiere.

Che si sveglino, dunque, i politici che albergheranno nel PD e ci dimostrino i loro valori superiori, si spera, alla media percepita oggi.

Per questo e molto altro ancora, a mio avviso, è importante far conoscere che esiste, per molti di noi, la necessità di mantenere la libertà di esprimere contributi critici, costruttivi, pragmatici, mantenendoci impegnati nel Centro Sinistra, di cui il PD non è il tutto, restando sciolti da vincoli e doveri di partito.

Sono convinto della necessità dell'esistenza dei partiti, ma sino a quando sapranno esprimere valori condivisi dalla base, avvieranno progetti riformisti e progressisti reali e verificabili nei fatti, sapranno essere partigiani di pace, divenire promotori di solidarietà e capaci di risolvere i veri bisogni degli ultimi, sino ad allora sarà meglio cooperare in tutto e per tutto, ma senza casacche più o meno segnate da più o meno grandi... macchie etiche.

Noi dobbiamo essere uniti dalla religione laica del voler agire da onesti cittadini, capaci di operare nel nostro Paese per renderlo migliore. Ma soltanto una reale partecipazione alla vita politica nel PD oggi e domani in Ulivo, ci renderà liberi e meriterà il nostro impegno… iscritto.

C'è ancora molto da fare. Buon lavoro PD.

Cari saluti da ggiannig (moderatore)...
... e dal mio Arlecchino ciaooooooooooooo
« Ultima modifica: Ottobre 10, 2007, 10:31:57 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 10, 2007, 01:00:12 pm »

Caro e stimato perrynic,

farò come ho detto non voterò il 14, ma seguiterò a lavorare per il PD e nel PD, perchè senza il PD non si farà mai l'Ulivo.

Sto ricevendo in posta privata (ma fatelo anche qui perchè può essere utile) messaggi che tra le altre cose (e ve ne sono grato) mi parlano di cedimenti e rinunce.

Amici siete in errore se pensate che sia un "ritirarsi" il mio non votare, no anzi, è una promessa, vecchia di anni, io VOGLIO LA TESSERA DELL'ULIVO.

Dopo il 15 proporrò "all'apparato del PD" l'istituzione della "SALA D'ASPETTO OPERATIVA" dove collocare e far lavorare tutti noi che si vuole essere operativi nel PD di oggi, ma ad un progetto per l'Ulivo di domani.

Sono certo che "l'apparato" che sta dimostrando di essere tanto "innovativo", "trasparente", "orientato alla partecipazione della base" e proiettato al futuro prenderà in seria considerazione questa opportunità.

Consiglio, per il bene di tutti noi, che per dimostrarlo l'apparato PD nuovo, dia un primo segno in tal senso ridandoci la veste e la sostanza del nostro forum www.ulivo.it, nella versione precedente alla bacheca attuale.

Vi voglio bene!

ciaooooooooooooooooooo
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 10, 2007, 01:02:14 pm »

Nel nuovo pamphlet di Michele Salvati le ricette vincenti per il nuovo PD

Proposte per una rivoluzione liberale

Riduzione delle tasse, lotta alla microcriminalità, mercato del lavoro flessibile


Quattro anni fa Michele Salvati diede alle stampe per il Mulino un volume dal titolo Il Partito democratico, scommettendo, come scriveva nell' introduzione, che di quell' idea se ne sarebbe parlato «ancora per un bel po' ».

Oggi invece di sentirsi appagato dal successo della sua preveggenza, Salvati, da coraggioso ante litteram qual è, raddoppia la posta. E fa uscire domani in edicola (dove resterà per un mese), in abbinata con Il Riformista, un nuovo pamphlet: Il Partito democratico per la rivoluzione liberale. Gli addetti ai lavori leggendolo potranno esercitarsi a volontà nel cercare differenze e analogie con Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, i due economisti che stanno animando le polemiche della nuova stagione politica con il loro Il liberismo è di sinistra (Il Saggiatore). Una differenza, di fondo, va segnalata subito: Salvati è «dentro» il Partito democratico, la sera lo si può incontrare in una sezione dei Ds o in un circolo della Margherita, a Milano come a Modena, a discutere animatamente fino a notte fonda dei controversi destini della sinistra italiana. Alla vecchia maniera, si potrebbe dire, con la differenza che ora in sezione è vietato fumare. Ma si può dalla pancia del Partito democratico proporre una ricetta liberale? Non si rischia di passare per masochisti condannando una forza che vorrebbe coltivare una vocazione maggioritaria a diventare invece un Partito d'Azione solo un po' meno smilzo?

Salvati, che queste domande se le è poste tante volte, anche pubblicamente, stavolta risponde passando dai contenuti. Il messaggio implicito è che la taglia dei consensi che avrà il Pd non la si può decidere a tavolino, ma dipende dalla capacità di individuare i temi giusti e le soluzioni più corrette, di essere elettoralmente competitivi. Prendiamo le tasse, «punto dolente della sinistra». Salvati sostiene che tagliarle è «un obiettivo condiviso dal centrodestra ma che anche la sinistra deve far proprio», perché bisogna lasciare la maggiore quantità possibile di risorse nella disponibilità di chi le ha guadagnate. Affermazione netta che non mancherà di attirargli critiche, magari da parte di quanti nel Pd si sono riconosciuti nell' «Elogio delle tasse», che il ministro Tommaso Padoa-Schioppa aveva scritto tempo fa proprio per il Corriere. Salvati argomenta così: «L' attuale disegno dei trasferimenti e delle aliquote è mal fatto, non aiuta le persone in condizioni di reale bisogno, ha effetti redistributivi deboli, non di rado conseguenze inique e non diffonde tra i destinatari gli incentivi giusti». In concreto dunque l' obiettivo di ridurre la pressione fiscale di almeno due punti entro la fine della legislatura, non solo «è un obiettivo realistico ma è giustificabile sulla base dei valori che la sinistra sostiene». Farà discutere anche il passaggio sulla sicurezza. «Dispiace di dover stabilire una relazione tra due problemi sostanzialmente diversi, l' immigrazione da una parte e la legalità dall' altra. Ma la connessione sta nella realtà oltre che nella percezione dei cittadini». Una sensazione tutt' altro che infondata, lette le «impressionanti statistiche sulla criminalità degli immigrati» recentemente pubblicate dal ministero dell' Interno. L' Italia è dunque un Paese in cui l' illegalità minore è tollerata in una misura che sarebbe inconcepibile in un altro grande partner della Ue. E non desta meraviglia che una parte, pur piccola, dell' immigrazione sia assorbita dall' industria della criminalità organizzata. Che fare? L' autore non si nasconde che «occorrono risorse, molte risorse» per rafforzare e riorganizzare le strutture di controllo e di repressione, ma anche per «attenuare il conflitto tra cittadini poveri e immigrati». Guai se i nostri connazionali che abitano le periferie delle grandi città avvertono che le scuole sono peggiorate a causa dell' immigrazione, che lo stesso è avvenuto per le strutture sanitarie, che la concorrenza degli extracomunitari rende più difficile ottenere case a prezzi accessibili. «L' immigrazione è un grande vantaggio per le imprese, ma - ammonisce Salvati - costa molto alla società, ne tengano conto gli industriali quando chiedono sgravi fiscali». Ma in definitiva che deve fare il Pd in materia di sicurezza?

La ricetta proposta è tough on crime, tough on the causes of crime, il noto slogan blairiano che chiedeva ai suoi di essere inflessibili con la delinquenza quale ne fosse la causa ed efficaci nel rimuovere le cause sociali della criminalità. Un centrosinistra radicalmente diviso tra assessori aspiranti sceriffi e intellettuali dimissionari saprà farla sua? C' è un sancta sanctorum della sinistra tradizionale, si chiama «centralità del lavoro». Se lo dice Salvati è difficile non starlo a sentire. «Poche questioni suscitano così forti divergenze all' interno del centrosinistra come quelle legate alla regolazione del mercato del lavoro». Pietro Ichino docet, viene da chiosare. Il sancta sanctorum, prosegue Salvati, ha un' ovvia matrice ideologica che affonda nella visione classista della società e nell' età dell' oro del socialismo democratico, i trent' anni dal ' 50 all' 80 che hanno dato piena occupazione e welfare state. Ma c' è anche la prosaica difesa degli interessi dei lavoratori con posto protetto, del sindacato che li coccola e della legislazione che sinora li ha tutelati. «È comprensibile - scrive Salvati - che i lavoratori reagiscano con ostilità a mutamenti della legislazione protettiva degli anni d' oro, ma la sinistra e il sindacato hanno concesso che la flessibilità richiesta dalle imprese si scaricasse tutta sui nuovi assunti, attraverso contratti con garanzie minori rispetto a quelli standard».

Ma una sinistra riformista e liberale può accettare la perpetuazione di un doppio mercato del lavoro? Di iper-tutelare i fannulloni e di sprangare la porta d' accesso ai giovani? La ricetta del Pd, secondo Salvati, deve prevedere che l' ingresso avvenga con un contratto a tempo indeterminato, ma «il datore di lavoro non dev'essere frenato da vincoli legali e giudiziali che ne rendano la rescissione difficile o onerosa e dunque lo inducano ad adottare i contratti a tempo determinato». Per quadrare il cerchio, assicura Salvati, ci sono molti modi: la Francia ne sta adottando uno - contratto unico e garanzie che si rafforzano al passare del tempo - ma non si tratta dell' unico immaginabile. Sforzarsi di individuarne altri fa parte integrante della creazione di un partito di nuovo conio.

Dario Di Vico
08 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 10, 2007, 06:28:33 pm »

Un argine all'antipolitica

Romano Prodi


Non so se dodici anni siano tanti o pochi per realizzare, anche solo in parte, una grande speranza. Devo confessare che neppure mi interessa molto saperlo. Perché la nascita del Partito democratico è un evento di portata storica per l’Italia. E la storia ha tempi suoi che sarebbe inutile forzare o rallentare.

Quando mi guardo indietro e ripenso ai giorni della nascita dell’Ulivo, in quel momento, avverto tutta la forza e il valore di questo evento che noi abbiamo voluto chiamare Partito democratico. E sento tutto il peso di quella vicenda. Perché la nascita oggi del nuovo partito, ha comportato anche una grande fatica.

Le grandi innovazioni sono spesso circondate da scetticismo perché, in effetti, non sono mai prive di un pizzico di follia e chi si avvia tra i primi sul cammino dell’innovazione è naturalmente destinato a sentirsi solo. Ma ha, dalla sua, la forza straordinaria che gli deriva del sapere che l’innovazione è un’esigenza imposta dai tempi ed è l’unica risposta possibile a sfide nuove.

In un periodo concitato e difficile per il centro sinistra italiano, come i primi anni Novanta (’94-’95), furono però in tanti a capire ben presto che l’Ulivo - pianta mediterranea, molto radicata, con radici complesse e tronco contorto - era la risposta alla nuova sfida che la profonda crisi politica italiana poneva al sistema.

Ricordo queste cose non per nostalgia ma per far rivivere in noi stessi l’orgoglio e l’entusiasmo che hanno accompagnato un cammino lungo dodici anni. Un periodo durante il quale abbiamo saputo superare la fatica, le difficoltà, le tensioni e le divisioni anche al nostro interno (e sono, lo sapete, le più pericolose oltre che le più dolorose).

Lo ricordo per ribadire che il Partito democratico è cresciuto sulle radici dell’Ulivo.

Oggi non dobbiamo dimenticare che per anni non abbiamo trovato neppure il coraggio di parlare di nascita di un nuovo partito, tanto sembrava azzardato e utopico e abbiamo fatto riferimento al Pd come una «cosa», indistinta, indicibile.

Anche questo lo dico non per riaprire contenziosi ma per ribadire che il coraggio della novità, perfino l’azzardo, a volte ripaga enormemente di più che non la conservazione prudente di quel che c’è da sempre.

Ora il lungo cammino è compiuto!

Il Partito democratico è ormai una realtà. In esso si mescolano insieme culture un tempo lontane e distinte, in esso si rimarginano - come ho avuto già modo di dire - divisioni e ferite antiche di un secolo. In esso hanno trovato sintesi le tradizioni che hanno fatto nascere e crescere la nostra democrazia. Alla sua nascita e alla sua vita parteciperanno in modo trasparente e paritario donne e uomini così da concorrere e contribuire alla realizzazione di una democrazia governante più matura e più moderna. Noi abbiamo voluto un partito democratico davvero, cioè restituito ai cittadini che oggi ne festeggiano la nascita e che domani vorranno partecipare alla sua vita per «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49 Costituzione). Noi abbiamo voluto un partito vero, disciplinato da regole e che si configuri come organismo collettivo. Tutto il contrario di partiti oligarchici o personali. Abbiamo voluto un partito grande, a vocazione generale e con cultura di governo e proprio per questo in grado di respingere l’antipolitica, uno dei più gravi rischi che il sistema democratico può correre. Un partito che faccia l’Italia più forte, più giusta e, dunque, più coesa. Noi abbiamo voluto il Partito democratico: oggi è un patrimonio di tutti gli italiani.

Articolo tratto dalla rivista «Pd», bimestrale in uscita con l’Unità e Europa, in edicola dal 12 ottobre


Pubblicato il: 10.10.07
Modificato il: 10.10.07 alle ore 8.45   
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« Risposta #4 inserito:: Ottobre 14, 2007, 12:05:18 am »

An in piazza: «festa di popolo» con celtiche e alalà


«Una bella festa di popolo» la chiama Gianfranco Fini, che nel comizio finale chiarisce l'obiettivo: la caduta del governo Prodi. Fargli la festa, dunque, e basta intenderci sul concetto di "popolo". Insulti ad un cronista Rai, una mortadella con la scritta Prodi-Pinocchio fatta a fette, inni alla XMas, selve di saluti romani e celtiche nello spezzone giovanile. Dev'essere questo che ha visto Gianfranco Fini passando ripetutamente in moto da un corteo all'altro come elemento di liason. Non era il solo leader della Cdl in piazza, c'era anche la "rossa" Michela Vittoria Brambilla osannata. Molto meno gli altri due forzaitalici Ferdinando Adornato e Angelo Sansa. E poi Alessandra Mussolini, talmente a proprio agio da rivendicare la testa di uno dei tre cortei.

Per il resto molti fischietti molti vaffa a Prodi, qualche coro "Faccetta Nera" ma altri contenuti, niente. A parte un Alemanno che sfida nuovamente Veltroni a farsi da parte in Campidoglio. Perché -già dice nel giorno della vigilia delle primarie del Pd - «non può fare il segretario e anche il sindaco».

Durante il corteo partito da piazza San Giovanni alla volta di via dei Fori Imperiali, il premier Romano Prodi è stato fatto oggetto di cori di scherno e di qualche insulto. I manifestanti hanno intonato il ritornello "chi non salta comunista è...". E in un momento di resipiscenza delle invettive del Cavaliere, evidentemente, se la sono presa con un cronista della Rai, insultato da diversi manifestanti che gli hanno gridato «cretino, comunista e venduto», invitandolo a "intercedere" presso Prodi per «farci riavere i soldi del canone».

In testa al corteo da Piazza della Repubblica il clou della "festa" è stato quando è stata fatta a fette una mortadella (simboleggiante il premier per espressa indicazione degli organizzatori). Un rito tra il gastronomico e il cannibalesco perché le fette sono state poi distribuite e mangiate. L'insaccato è adagiato su un carretto sormontato da un immagine di Prodi-Pinocchio. Il primo ad "assaltare" la mortadella prodiana è stato Gianni Alemanno, quindi i capigruppo di Camera e Senato, Ignazio La Russa e Altiero Matteoli, quindi tutti gli altri. «Affettiamo il governo Prodi», ha urlato tutto gongolante della bella performance l'onorevole Domenico Gramazio, rivendicando l'idea della mortadella.

Scollatura d'assalto per Alessandra Mussolini che festeggia il suo ritorno tra i camerati di An sotto le bandiere della sua Azione Sociale. Vestita di rosso si impadronisce svelta della testa del corteo e per qualche centinaio di metri è lei a guidare, applauditissima, nella confusione generale e nello sventolio di bandiere. Ma Gianni Alemanno e Maurizio Gasparri se ne accorgono, vanno a parlottare, le chiedono di fare qualche passo indietro e di abbassare le procaci insegne. Così Alessandra viene «retrocessa» ma resta fieramente in capo al lungo serpentone che da piazza Indipendenza va verso la piazza finale del Colosseo.

Il due dicembre scorso Gianfranco Fini aveva percorso gran parte del corteo organizzato da tutti i partiti della Cdl ed era stato criticato per non aver indossato il casco. Ora il leader di An ha ripetuto la "passeggiata" sulle due ruote, su una Honda Transalp, questa volta però è stato di una correttezza esemplare, fermandosi anche al rosso.

«Sono qui con migliaia dei miei circoli». Michela Vittoria Brambilla si è talmente confusa tra la gente in coda al corteo in partenza da piazza della Repubblica che l'hanno vista in pochi, la manifestazione di Alleanza Nazionale contro il Governo. «Una manifestazione per la quale do 10 e lode ai miei amici di Alleanza Nazionale, che hanno organizzato questo grande eventi su due problemi declassati da Prodi: la sicurezza e il peso delle tasse sugli italiani».

La Brambilla porta di nuovo oggi i saluti e gli auguri di Silvio Berlusconi, in viaggio in Russia. «Naturalmente Berlusconi condivide la mia presenza qui - dice - io sono solita consigliarmi con lui e confrontarmi su ogni mia decisione. Non perchè non sia autonoma ma perchè lo stimo moltissimo e cerco sempre il suo parere. Lui sulla mia presenza qui oggi era assolutamente favorevole e anzi mi ha pregato di portare i suoi saluti».

Ma quanti sono i popolani di Fini a Roma? Gli organizzatori speravano di poter dire 200mila. Ma per Matteoli potrebbero essere addirittura 400 mila. «Era da tempo che non organizzavamo qualcosa di nostro - dice ammettendo la paura della piazza vuota - invece è andata benissimo». Naturalmente, come detto prima, dipende dai gusti.



Pubblicato il: 13.10.07
Modificato il: 13.10.07 alle ore 20.27   
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« Risposta #5 inserito:: Ottobre 14, 2007, 12:06:57 am »

Storace insulta Napolitano, la Cdl non dice nulla


Dopo le offese a Rita Levi Montalcini e ai senatori a vita, il "duro" della destra Francesco Storace se la prende con Giorgio Napolitano. «Non so se devo temere l`arrivo dei corazzieri a difesa di Villa Arzilla, ma una cosa è certa: Giorgio Napolitano non ha alcun titolo per distribuire patenti etiche. Per disdicevole storia personale, per palese e nepotistica condizione familiare, per evidente faziosità istituzionale», è la sconcertante frase di Storace.

Neanche il detererrente di compiere il reato di vilipendio al capo del capo dello Stato (art. 278 codice penale), punibile con la reclusione da uno a cinque anni, lo fa desistere da questo attacco senza precedenti. Anzi, il leader de "La Destra" va oltre.

Per Storace sono due le ragioni per le quali le affermazioni di Napolitano sono gravi. «La prima - ha spiegato - per le ragioni che riguardano la storia personale del Presidente che ancora deve farsi perdonare; la seconda per quelle che riguardano l'atteggiamento nepotistico delle istituzioni e per l'evidente faziosità istituzionale. Napolitano - ha affermato Storace - difende chi lo vota contro chi non lo ha votato».

«Credo che sia Napolitano, viste le posizioni che ha assunto, a meritarsi la patente di indegnità. Anche perché si muove a sostegno di una senatrice importante, per la quale il governo nella finanziaria ha stanziato tre milioni di euro ad personam. Nobel o non nobel - ha detto - i ricatti sono ricatti. Se dovessi scherzare - ha concluso Storace - dovrei considerare improbabile che il Capo della "casta" mandi i corazzieri a sedare i tumulti a Villa Arzilla», conclude Storace, forse dimenticando che anche lui fa parte della "casta".

L'antipolitica è il suo cavallo rampante. Ma nella giornata della "festa di popolo" di An, con la Brambilla e la figliol prodigo Alessandra Mussolini, ciò che fa più impressione è il rumoroso silenzio della Cdl a reprimere le sue parole. Solo un Gianni Alemanno gli ricorda che «non si critica il Quirinale anche quando dice cose che non convincono». Una reprimenda molto all'acqua di rose perché per l'ex ministro per Agricoltura «il problema dei senatori a vita c'è tutto. È una questione che resta, ma non c'è bisogno di
arrivare agli insulti». Insomma Storace ha ragione ma poteva evitare di voler mandare le stampelle a Rita Levi Montalcini.

Per le maggior cariche istituzionali - dai presidenti della Camera e del Senato al premier e vicepremier Rutelli e D'Alema - è invece gravissimo l'attacco al Quirinale.

Per il presidente del Consiglio Romano Prodi. «Le parole irrispettose e irresponsabili pronunciate oggi da Francesco Storace nei confronti del Capo dello Stato impongono una decisa presa di distanza da parte di tutte le forze politiche. Mi auguro di sentire presto anche da parte del centrodestra una ferma condanna ad un attacco sconsiderato e ingiusto rivolto alla massima autorità dello Stato garante delle nostre istituzioni democratiche».

Ancora più duro il presidente della Camera Fausto Bertinotti per il quale «Storace è estraneo allo spirito della Repubblica». «La dichiarazione del senatore Storace - scrive in una nota il presidente della Camera - è incompatibile con la civiltà politica. La questione che si pone - aggiunge Bertinotti - non è di buona educazione, essa investe i fondamenti della convivenza civile della Repubblica. La Costituzione Repubblicana - dice ancora - non a caso nata dalla lotta di liberazione contro il fascismo, attribuisce al Capo dello Stato il ruolo di garante e rappresentante della Repubblica».

Ma dalla Cdl arrivano anche solidarietà a Storace: dal Teodoro Buontempo "er Pecora", dalla "Destra" di cui Storace è il leader, ma anche dai giovani di An. Solo l'Udc si smarca, sia nelle parole del segretario Lorenzo cesa sia in quelle del vice presidente del Senato Mario Baccini.

Indignata invece l'Unione: «parole indegne» per Rosy Bindi, Enrico Letta si dice «sedegnato», per Walter Veltroni «parole gravissime» da cui si capisce come «noi abbiamo un'altra idea della politica e di come una democrazia».


Pubblicato il: 13.10.07
Modificato il: 13.10.07 alle ore 21.18   
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« Risposta #6 inserito:: Ottobre 14, 2007, 11:47:58 am »


... sui Principi Ulivisti ho fatto prevalere i PRINCIPI della RESISTENZA.

ciaoooooooooo
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« Risposta #7 inserito:: Ottobre 14, 2007, 12:35:54 pm »

14/10/2007 (8:25)

Walter deve inventare il partito che non c'è
 
Il Partito Democratico al via

Lo governerrà da solo o sceglierà di farsi affiancare da un folto gruppo dirigente?

LUCIA ANNUNZIATA


Questa sera dal voto del popolo democratico conosceremo il consenso con cui Walter Veltroni diviene Segretario. Di quale partito esattamente, tuttavia, non potremo ancora dirlo.

La singolarità (o la anomalia) di queste primarie è infatti proprio questa: si elegge un segretario prima del partito; meglio, un segretario affinché faccia un partito. Una libertà di cui quasi nessun politico ha mai goduto e una responsabilità il cui peso non si sa se definirlo più un dono o una maledizione.

Che partito sarà il costruendo Pd? Leggero, «americano» come si ama dire, poco più di un comitato elettorale e poco meno di un consiglio di amministrazione? Una organizzazione-ombrello, in grado di far convivere, ricoprendole tutte, diverse culture, senza sommarle? Somiglierà un po' alla Dc - quella degli ultimi anni, in cui il trionfo delle correnti divenne un sistema quasi perfettamente bilanciato di diverse forze; o assumerà quasi automaticamente (per ragioni di memoria) il modello ex Pci, con una efficace struttura piramidale? Sarà più global o più local, più territorio o più centro, più tecnocratico o più umanistico, più organizzazione o più assemblaggio? Insomma, alla fine, sarà il partito di Veltroni o di un gruppo dirigente?

Una lunga serie di domande, la maggior parte delle quali del tutto formali, ma che servono, tutte, a sottolineare una certezza: che fra gli infiniti modelli e culture per il futuro Pd, a campagna elettorale finita e a urne aperte, nessuna scelta è stata ancora fatta. Cautela, dimenticanza, forse opportunità - da parte del neosegretario? Non sfugge infatti a lui, e men che meno ai suoi amici-compagni-colleghi, che alla fine è questa scelta il Rubicone da attraversare.

Per capire l'importanza del passaggio vale la pena di ascoltare la Sibilla politica che con dichiarazioni dirette e indirette ha spiegato, sorvegliato, e interpretato la campagna elettorale di Walter Veltroni, quel Goffredo Bettini che venerdì mattina sul Foglio ha così concluso la sua chiacchierata: «Walter non sarà un leader solitario». Importante, diceva Bettini, è la «autonomia politica e culturale» del futuro partito, che saranno prodotte solo da «un grande sforzo collettivo», perché «da troppi anni abbiamo tante grandi personalità solitarie, mentre è tempo che il gruppo dirigente senta la responsabilità di questo lavoro comune, in cui occorre tenere dentro tutte le nostre maggiori personalità, contrastando la tendenza a una deriva correntizia, per gruppi di potere».

Una rassicurazione, ma anche un avvertimento: Bettini in quella chiacchierata si schiera infatti decisamente per un modello di organizzazione più tradizionale, centrata intorno a una forte direzione, come strumento per reinglobare persone e linee politiche che altrimenti potrebbero prendere ognuna una propria strada. Bettini non a caso parla senza reticenze di «derive correntizie». Il tipo di campagna elettorale cui abbiamo assistito, infatti, il processo tutto che ha portato alla nomina di Walter Veltroni, ha formato una realtà che è difficile ora da amalgamare. I prodiani-bindiani-parisiani sono usciti dalla competizione non solo con una organizzazione sul territorio, ma con una precisa identità politica, che sfida Veltroni. Ad esempio, proprio ieri il ministro della Difesa Parisi in una intervista al Corriere ha detto: «Quello che nasce domani è il partito che c'è o il partito che finora è mancato?». Ci sono poi uomini come Piero Fassino e Massimo D'Alema - e citiamo solo loro, ma dietro i due c'è un'ampia realtà di casi simili - che per ora si sono tirati di lato: ma le voci che danno Fassino a sindaco di Torino sono proprio il sintomo della difficoltà-necessità di trovargli un ruolo, e l'ostentato «altrismo» di D'Alema («mi occupo di mondo, io») quanto può durare?

Al di là degli uomini, tuttavia, è la vaghezza politica della campagna fatta da Veltroni che lascia indecisi su che forma prenderà il partito. Su due questioni molto rilevanti c'è stato infatti un sostanziale silenzio: sui temi etici, circumnavigati, e su quelli economici, che, a parte alcune affermazioni generiche come quelle sulle tasse, non hanno mai assunto una centralità nel discorso del candidato. Veltroni ha fatto una campagna molto in linea con se stesso - un mix di emozioni, immagini, e principi. Ma scarsa nei dettagli, in particolare sulle questioni più controverse.

Per certi versi è una tattica comprensibile: esser eletti è spesso l'arte di non scontentare nessuno. Ma ora arriva, appunto, il momento della definizione. E qui si ritorna al modello partito.

Una possibilità è che queste differenze vengano ricucite e lavorate, in una forte struttura centrale. Il numero dei componenti di questa struttura è decisivo: una pletorica direzione che conta qualche centinaio di persone non servirebbe a questo lavoro.

L'alternativa è che Veltroni decida di affrontare la sfida in modo diverso, facendo, come si diceva, il partito di Walter. Con organismi vastamente rappresentativi, ma poco decisionali, in cui di fatto funzioni solo il segretario con un piccolo gruppo intorno (modello staff) e in cui Veltroni diventa l'elemento di ricomposizione, attraverso un forte bilateralismo di contatti, proposte, e mediazioni. Questo modo di lavorare può funzionare per guidare una città, ma funzionerà per una intera nazione?

Le scelte sono al momento del tutto coperte. Al punto che anche i collaboratori più stretti sembrano avere diverse opinioni. Bettini, come si diceva, assicura che non sarà un leader solitario, ma, due giorni fa, in un articolo per il quotidiano l'Adige («Votare Veltroni per resettare l'Italia»), il senatore ds Giorgio Tonini, considerato il principale ghost-writer di Veltroni, scriveva invece: «La politica assomiglia sempre più a un computer bloccato: inutile accanirsi sulla tastiera o sul mouse. Non resta che il pulsante reset...». Un'operazione rischiosa, qualcosa potrebbe andare perduto.

da lastampa.it
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« Risposta #8 inserito:: Ottobre 14, 2007, 12:44:30 pm »

... dalla sua posizione ha espresso concetti futuristi, in ottica ulivista.

Era con noi a Chianciano e non mi sembra l'abbia fatto per caso.

ciaoooooooooo
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« Risposta #9 inserito:: Ottobre 15, 2007, 10:08:08 am »

POLITICA

Viaggio nei seggi della capitale tra le persone in attesa di votare per le primarie

Le speranze del popolo del Pd. "Ho voluto dare un'altra possibilità alla politica"

"In fila per battere il qualunquismo"

Tra indiani in fila e seggi in trattoria

"Mi aveva fatto schifo la trattativa sulle liste, la solita spartizione. Poi ho scoperto
che il mio seggio era al ristorante e questo mi ha fatto allegria. Così sono venuto"

di CONCITA DE GREGORIO


 ROMA - Alba Meloni che ha 82 anni, ricordi da staffetta partigiana, occhi azzurrissimi e un bel tocco al computer col mouse siede davanti allo schermo nella sezione Ds Testaccio, clicca, apre un file. "Uguagliato il risultato delle primarie", dice la schermata.

Lei sorride: "Il computer dà un sacco d'informazioni ma poi per sapere davvero le cose bisogna vederle coi propri occhi. Sono gli stessi, questi tre milioni, ma sono altri. Sono lo stesso numero, non sono le stesse persone. Io li conosco tutti, qui a Testaccio, in sezione ci sto da quasi trent'anni per strada ci chiamiamo per nome: oggi è venuta a votare gente che non avevo visto mai. Di quelli delle primarie ne sarà tornata meno della metà. Gli altri sono nuovi".

Sono gli stessi ma sono altri. Sono gli iscritti ma non solo. Sono di sinistra ma anche dell'altra sinistra. "Certo che ho visto anche gente della mozione Mussi". Sono di centro ma anche del centro che vota a destra. "Qualcuno sì, è venuto". Sono quella ragazza lì che allatta il neonato e dice "più che crederci ci spero". Sono il vecchio che "mi sono astenuto alle ultime tre elezioni ma ora ho deciso di dargli un'altra possibilità, alla politica. Non voglio morire qualunquista". Sono due fidanzati romanisti, lui riconosce Mario Brozzi il medico della Roma candidato per Veltroni. Quasi si commuove, dice alla ragazza "hai visto che abbiamo fatto bene a venire?".

Sono file di gente che anche all'una alle due sta in coda ai gazebo e toglie gli occhiali, alza gli occhi chiusi al cielo per sentire in faccia il tepore di quest'ultimo sole. Sono gli stessi ma sono anche altri, Alba Meloni ha ragione e d'altra parte lei che in tempo di guerra stava sui monti in tempo di pace nelle sezioni di partito come avrebbe potuto immaginare un giorno in cui milioni di persone avrebbero votato nei cinema e nelle librerie, negli antibagni delle bocciofile, nelle case sfitte occupate, alla fermata dell'autobus, in un negozio di targarughe e al ristorante?

Fa una certa impressione tornare alla Taverna dei Quaranta, trattoria di vecchi amici e antichi giorni, e trovarci dentro accanto a nuove generazioni di coppie che mangiano involtini un tavolino trasformato in seggio, un paravento di cartone, la matitona verde, prego si accomodi, quanti siete? quel tavolo là, questa scheda è per le regionali questa nazionale, il vino al tavolo d'angolo. Filippo Bonsignori, 47 anni, analista informatico: "Vabbè è un ristorante, che problema c'è? Io anzi quando ho capito che dovevo venire qui mi sono deciso: avevo pensato di non votare, mi aveva fatto schifo tutta la trattativa sulle liste, sempre la solita spartizione di potere, fatevela da soli. Poi stamattina sono andato a vedere sul sito un po' così per fare, ho scoperto che mi toccava il ristorante e mi ha fatto ridere, non so spiegarglielo, mi ha fatto allegria. Mi è sembrata una cosa pazzesca eppure normale, perciò sono venuto".

All'Ambra Jovinelli, l'antico teatro all'Esquilino, c'è la fila fuori dalla biglietteria di donne col turbante, una di loro è scalza, uomini bruni che parlano tra loro lingue remote e che di certo qui dentro per vedere uno spettacolo a 25 euro non sono entrati mai. Passa Giovanna Melandri, candidata nel quartiere, con una pila di volantini scritti in cinese, in bengali, in indiano. Istruzioni per il voto. Una ragazza monumentale e nerissima dice a una tv che lei vota Letta "perché mi piace quel che ha detto degli immigrati". Un capannello di indiani sta un po' discosto, quello che parla a voce più alta dice qualcosa nella sua lingua, si capisce solo il nome Bindi ripetuto ogni poco. Sono scene dell'altro mondo ma invece no: sono di questo.

Di sedicenni non se ne vedono molti. Quattro confabulano in Campo dè Fiori, il più alto dice "noi non abbiamo la tessera elettorale perciò in teoria come fanno a sapere se votiamo anche due o tre volte?". Ma non si può, gli risponde un mingherlino. Tutti ridono. Nella sezione ds di via dè Giubbonari si registra una certa propensione per Letta e un'affluenza, alle due, di cinquecento elettori: moltissimi. Al negozio di animali di via Barbiellini Amidei stravince Veltroni e si impenna tra gli elettori l'interesse per un nuovo tipo di collare antipulci con garanzia assoluta di atossicità. Al gazebo nel capolinea degli autobus di piazza Zama una coppia di anziani viene dirottata al seggio di appartenenza, l'International acting school. La che?, domanda smarrita la signora. Segue esibizione di cartina, indicazione della strada. E' molto lontano, non potremmo firmare un foglio e dire che abbiamo votato qui? Consultazioni, sguardi ai due vecchietti: ok, eccezionalmente, compilate questo modulo.

Per quel che vale il colpo d'occhio ai Parioli l'età media dei votanti è più alta, pensionati in fila già alle otto del mattino. Al Portuense più bassa, bivacco di ventenni con sacchetti di Mc Donald. Al quartiere Monti, centro del centro, più affezionata: a tarda sera nella stessa coda Sandro Curzi consigliere Rai, Giovanni Bertolucci regista. Alla libreria Mondadori famiglie con figli bambini. Da Rinascita sotto Botteghe oscure ex ragazze quaranta-cinquantenni in abiti etno. In piazza Verbano coppie reduci dalla messa dei mattino, padri soli con figli da portare al ristorante, una soubrette tv irriconoscibile poiché in tenuta da giorno. Qui sembra favorita Rosi Bindi, molto popolare nei ceti medio alti a vocazione intellettuale.

Uno psichiatra spiega che lui la vota "pur sapendo che vincerà Veltroni anzi proprio per questo: voto Bindi per dare a Veltroni un livello di frustrazione ottimale". Frustrazione ottimale, la necessaria dose di sconfitta che serve ai bambini per diventare adulti in condizioni di equilibrio. Una ragazza in jeans, studentessa universitaria, la vota "perché è l'unica che parla chiaro e pazienza se è cattolica, in fondo lei la legge sui Dico l'aveva fatta sono i Ds che non l'hanno votata".

Il tempo è scaduto, sono passate le otto. Giancarlo Ferri, presidente della sezione ex Pci di via Zabaglia, dice che "bisogna far finire di votare chi è già in fila, guardi quanti sono". Un cenno all'aspetto economico: "Abbiamo raccolto più di 500 euro a metà giornata. C'è gente che non avevo mai visto, è venuta a votare e ne ha lasciati trenta". La sezione è quella dove Moretti girò il suo celebre documentario sulle trasformazioni del Pci, "La Cosa". Dopo l'ultimo congresso si è divisa - fisicamente - in due. Alla sinistra di Mussi è rimasto il salone grande, quello con la foto di Berlinguer che ride. Ai Ds tre stanzette ora accalcate di gente.

La capolista per Veltroni, Paola Concia, è in strada a fumare una sigaretta. Omosessuale, ha fatto tutta la campagna elettorale sui diritti. "La diversità non dà scandalo dà idee nuove", c'è scritto sui suoi volantini. "E' stata dura, difficile. Anche dentro il partito, dico. Difficile. Però poi vede quanta gente è venuta. Gente vecchia, gente nuova. Gente anche diversa da quella che ci aspettavamo. Vedremo". Per ultima esce Alba Meloni col passo diritto dei suoi ottant'anni. "Benissimo, mi sembra, no?".

(15 ottobre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 17, 2007, 11:45:10 pm »

Confesso che ho votato

Giuseppe Tamburrano


Qualche giorno fa Gianni Borgna mi ha detto: «Ho letto un tuo articolo su l’Unità critico sul Partito democratico. Al Residence Ripetta si riuniscono intellettuali e operatori culturali dell’area Veltroni. Vieni a esporre le tue ragioni?». Colpito da tale apertura al confronto sono andato e ho esposto le mie riserve sul Pd. Ho preso anche degli applausi, credo di buona educazione. E sull’argomento non ho cambiato idea. Ripeto le mie ragioni perché mi sembrano di ferro. Primo: sono socialista (senza tessera) e Veltroni e il Pd non lo sono: è logico che io non li voti.

Secondo: il Pd nasce rifiutando il passato, la sua storia, le sue radici. Un partito senza memoria non ha identità. Alle domande: chi sei? Da dove vieni? non dà risposta. Forse che Ds e Dl si liberano del passato come un ingombro per poter costruire più facilmente una nuova comune identità? No, perché io ho letto interessanti, singole proposte programmatiche - che Prodi non mi sembra abbia recepito - ma non un progetto unificante e mobilitante di valori, di fini. E anche alla domanda: dove vai? non vi è risposta.

E non mi dilungo sui numerosi aspetti negativi, sui particolari. La diarchia tra il segretario del Pd e il presidente del Consiglio. Se il primo si appiattisce sul governo viene coinvolto e risponde degli errori quasi quotidiani di Prodi; e comunque appare in seconda fila, perde il carisma, l’autorità: impallidisce. Se sprona Prodi con la necessaria energia rischia di dargli il colpo di grazia e in nuove elezioni vince Berlusconi. E mi fermo per non criticare il peso degli apparati, il sistema di voto, ecc.

Ce ne è a josa per «andare al mare»!

Ma - il dibattito è antico - la politica è logica o intuizione? È un sillogismo o è la capacità di antivedere le conseguenze delle proprie azioni, ponendosi come il protagonista, l’arbitro unico?

Ho passato la mattinata del 14 ottobre a dirmi, a confermarmi che non si poteva andare a votare: tra l’altro, mi dicevo con un argomento nuovo che era già una piccola breccia nel muro delle convinzioni: in questa situazione che può fare Veltroni?

Poi ho ascoltato alla televisione dichiarazioni di votanti, tanti, vecchi e giovani critici della situazione ma animati da una speranza: «speranza», non «fiducia». E attraverso quella piccola breccia è passata la politica-intuizione. E mi sono chiesto: se vanno in pochissimi a votare che cosa succede? Fallisce il progetto, fallisce la leadership di Veltroni che ne è l’elemento catalizzatore. Ho visto le piazze di Grillo ancora più affollate; i cinquecentomila manifestanti al comizio di Fini aumentare di numero e vociare più slogans intollerabili; ho visto Giordano e Diliberto reduci dalla «grande» manifestazione del 20 ottobre e pretendere che sia la sinistra radicale l’ala marciante del centro-sinistra o, a quel punto, del sinistra-centro. E ho visto il governo fare un capitombolo. E ho visto Berlusconi al governo. Un incubo!

Ho cercato di scacciarlo con la logica, ma rimaneva lì! Certo, il futuro è in grembo a Giove. E nessuno può assicurare che quello sarebbe stato lo scenario. Ma una probabilità che lo potesse diventare c’era. E non ne basta una sola, una mezza perché mi vesta e vada a votare? Ecco, anche io come tanti votanti ho capito che questo voto è una speranza, come un filo di Arianna. Quel filo di speranza - sottilissimo - mi ha portato al gazebo. E per fortuna siamo stati tantissimi.

E ora che ti ho, ti abbiamo plebiscitato, Walter batti due colpi: ottieni da Prodi la riduzione dei ministri e dei sottosegretari; e dalla maggioranza, in attesa di una nuova legge elettorale, la restituzione agli elettori del diritto di eleggere il proprio rappresentante al Parlamento.

Due colpi da maestro. E facili.

Pubblicato il: 17.10.07
Modificato il: 17.10.07 alle ore 13.01   
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