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« inserito:: Febbraio 26, 2008, 02:41:45 pm » |
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Giovanna Melandri: «Non pubblicate foto di modelle magrissime»
Francesca De Sanctis
«Si può dire di no al mercato pubblicitario che impone certi canoni di bellezza». È netto il richiamo della ministra per le politiche giovanili e le attività sportive Giovanna Melandri a un mondo, che dalla tv alle riviste, dalla pubblicità al mondo della moda, non fa che usare figure di donne troppo esili in nome del principio che «bellezza è uguale a magrezza». Un appello che fa seguito alla campagna lanciata da l’Unità contro l’uso dell’anoressia come immagine tipo della donna. In un Paese dove oramai il 63% delle adolescenti ha fra i suoi sogni un corpo magrissimo.
Difficile immaginare delle bellezze «giunoniche» sulle nostre passerelle? Se il mondo in cui siamo immersi - dalla tv alle riviste, dalla pubblicità al mondo della moda - non fa che sbatterci in faccia queste esili figure che sintetizzano l’idea, unica, sola e imprescindibile di «bellezza = magrezza», provare ad andare controcorrente può sembrare un’impresa titanica. Ma quando l’omologazione a questi modelli dominanti ha come effetto disastroso un numero sempre più alto di ragazze che desiderano avere un corpo magrissimo (il 63% delle adolescenti) con un alto rischio di ammalarsi di anoressia o di bulimia, fino a morire in alcuni casi, ecco che la battaglia deve essere combattuta. In che modo? «Intanto possiamo lanciare un appello a tutte le riviste femminili» spiega Giovanna Melandri, ministro per le Politiche giovanili e le attività sportive, che lo scorso ha avuto un primo incontro con le direttrici: «Si può dire di no al mercato pubblicitario che impone certi canoni di bellezza» dice con fermezza.
Boicottare, dunque, è possibile. E sarebbe già un grande passo. «Tutte queste riviste, tra l’altro, sono piene di diete fai da-te che aprono la strada verso l’autodistruzione» aggiunge la Melandri, autrice, tra l’altro, di un libro dedicato alle ragazze, alla moda, all’alimentazione: Come un chiodo (Donzelli). E di cura e prevenzione parlerà lunedì prossimo nella sede del suo Ministero, dove incontrerà, oltre al ministro della Salute Livia Turco con la quale ha organizzato il seminario, le associazioni che si occupano di disturbi del comportamento alimentare: «Presenteremo una prima linea di azione per la prevenzione di queste malattie e destineremo 1 milione di euro ad alcuni progetti, portati avanti dal Centro di Todi e da altri soggetti pubblici - spiega il ministro -. L’obiettivo è quello di costruire una mappa dettagliata dei servizi pubblici da offrire a chi soffre di questi disturbi alimentari. L’anoressia e la bulimia sono malattie psichiatriche, ma ricordiamoci che si possono guarire».
Sempre lunedì, inoltre, nascerà un Comitato di monitoraggio chiamato a vigilare sull’applicazione del Manifesto nazionale di autoregolamentazione della moda italiana contro l’anoressia «che ci aiuterà a mantenere l’impegno preso nei confronti dell’opinione pubblica per diffondere un’immagine femminile diversificata».
A proposito del Manifesto di autoregolamentazione, firmato un anno fa da lei, dalla Camera nazionale della moda italiana e da Alta Roma, cosa è cambiato da allora? «Prima di tutto se ne è parlato: il tema dell’anoressia è uscito dagli scantinati, dal silenzio. Il Manifesto conteneva una parte legata ad impegni ben precisi che la Camera nazionale della moda italiana vuole monitorare: impedire sfilate sotto i 16 anni, verificare le condizioni di salute delle modelle, ecc... E una seconda parte più culturale, che è anche la più difficile da vigilare perché nessuno può imporre a uno stilista di tenere la matita in un modo piuttosto che in un altro. Qui entriamo in un regno meno controllabile, il regno dei canoni estetici... Entra in gioco un principio di autoresponsabilità. Però se tutti i principali stilisti, tranne Dolce e Gabbana, hanno firmato quel Manifesto, vuol dire che qualcosa si sta muovendo».
Mi pare che Fiorucci però sia stato se non l’unico uno dei pochissimi ad essersi attivato concretamente contro l’anoressia... «Non è l’unico stilista e poi non è un processo così immediato. L’anoressia è una malattia sociale del nostro tempo. Se il 63% delle ragazze delle scuole medie vogliono essere più magre vuol dire che questa pulsione ad adeguarsi ad un modello omologante è forte a tal punto da far tacere l’individualità di ciascuna. Bisogna allargare lo sguardo e vedere quanto la capacità progettuale di ogni singolo adolescente sia schiacciato dai modelli culturali del nostro tempo. Quindi la battaglia contro i disturbi alimentari è una battaglia contro l’omologazione che schiaccia l’individuo, la personalità».
E quindi è una battaglia anche contro il mercato pubblicitario... «L’idolo del mercato della pubblicità spesso impone certe scelte, ma si può dire di no. E non solo all’immagine ma anche alle false rappresentazioni. Per esempio parlando con i medici ci siamo accorti che le diete fai-da te, come dicevo prima, sono il primo passo verso la malattia. Un’altra cosa si può chiedere alle riviste: di non proporre queste diete. Ci sono dei fattori sociali che stanno alterando le abitudini alimentari. Ma l’antidoto, a mio avviso, contro questo disagio è il riconoscimento individuale della unicità di ognuno. Il lavoro che va fatto diffusamente è indurre i giovani ad aver fiducia nelle proprie capacità. Per esempio il concorso “Giovani che cambiano l’Italia”, promosso dal Ministero per le Politiche giovanili e rivolto ai ragazzi tra i 18 e i 30 anni, è un antidoto anche contro questi disturbi. O cominciamo a scommettere sulla capacità dei nostri ragazzi a non omologarsi oppure tutto il resto è cura o intervento complesso sui canoni estetici e culturali. E quest’ultimo è il punto più difficile perché in questo caso non si può intervenire con le leggi. Io vorrei tanto che questo 8 marzo, anziché dedicarlo alla 194 - che non va toccata - fosse dedicato ai nuovi stereotipi che sviliscono il corpo, l’autonomia, la bellezza femminile. C’è un aneddoto che mi piace raccontare: tempo fa sono stata in una scuola romana di periferia dove ho spiegato cosa significa cadere in questa malattia. Ad un certo punto una ragazza ha detto: “in un mondo in cui ci battiamo per la diversità biologica e culturale dobbiamo batterci anche per la diversità estetica”. Questo è il cuore del problema».
Il Manifesto ha siglato per la prima volta una collaborazione stretta tra mondo politico e mondo della moda. Proseguendo su questa strada quale potrebbero essere i passi successivi? «Una legge, per esempio. Se sarò rieletta la prima cosa cosa che farò sarà proporre un disegno di legge che trasformi alcuni obiettivi del Manifesto in norma: il divieto di sfilare sotto i 16 anni; un certificato medico obbligatorio per le modelle; l’obbligo di inserire nelle collezioni anche la taglia 44 (differenziando così anche il mercato che ne trarrebbe vantaggio). Delle sanzioni sarebbero previste qualora si violassero gli impegni già contenuti nel Manifesto. A questo testo vanno affiancati il monitoraggio e la prevenzione. Poi si potrebbe pensare ad un Codice di autoregolamentazione per i media, simile a quello che esiste già per i minori. Per quanto riguarda i progetti, per il prossimo anno avrei lanciato lo stesso concorso “Giovani che cambino l’Italia” anche per i ragazzi più piccoli».
È possibile in futuro immaginare una bellezza botticelliana sulle nostre passerelle? «Mi basterebbe che si cominciasse a pensare alla diversità estetica. Dobbiamo batterci per accogliere canoni diversificati».
Pubblicato il: 26.02.08 Modificato il: 26.02.08 alle ore 12.03 © l'Unità.
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