LA-U dell'OLIVO
Novembre 24, 2024, 06:24:51 am *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: 1 ... 7 8 [9]
  Stampa  
Autore Discussione: Beppe SEVERGNINI. -  (Letto 77538 volte)
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #120 inserito:: Novembre 09, 2015, 05:07:34 pm »

Terre incolte ai rifugiati?
Dagli Usa commenti e complimenti
Dall’Italia derisione e insulti


Di Beppe Severgnini

Premessa inevitabile: scrivo, una volta al mese, un commento sul New York Times, dove mi presentano come columnist del Corriere della Sera. Stavolta, sul Corriere, vorrei raccontare cos’è successo dopo un pezzo uscito ieri sul New York Times.
Il titolo è questo: «Let Refugees Settle Italy’s Empty Spaces», lasciate che i migranti s’insedino negli spazi vuoti dell’Italia. L’idea è semplice, e viene da lontano.

Nell’impero romano si chiamava «centuriazione»: la pratica prevedeva l’assegnazione di terre incolte ai veterani dell’esercito, che si tenevano occupati e si rendevano utili. In Italia potremmo fare qualcosa di simile coi rifugiati, proponevo. Se lavorassero, e aiutassero a recuperare il territorio del Paese che li accoglie, verrebbero visti in una luce diversa.

È vero: gli uomini e le donne che oggi arrivano sulle nostre coste non hanno combattuto alcuna guerra per l’Italia, ma stanno fuggendo da conflitti, povertà e regimi autoritari. E hanno le giuste competenze: i migranti più istruiti si recano in Germania e nel Nord Europa; chi resta in Italia è spesso agricoltore, costruttore, artigiano. E ci sono zone d’Italia dove queste competenze servirebbero. Aree che si stanno spopolando: in Abruzzo, in Molise, in Sardegna.

La reazione? Interessante. Dall’estero, complimenti: «Almeno ha avuto un’idea!», mi hanno scritto. In particolare dagli Usa, dove chiunque, davanti a un problema, offra una soluzione, viene apprezzato. «La Gran Bretagna utilizzò il sistema nel XVII secolo: affrontò i ribelli americani con soldati reclutati nell’Europa di lingua tedesca, offrendo loro terre. Sembra che le buone idee non muoiano mai», scrive Robert Wuetherick (rwuetherick@ hotmail.com).

Dall’Italia, derisione e insulti. C’è chi boccia la mia idea come neocolonialismo (@Pablo4moors), chi mi consiglia di colonizzare l’Antartide (@claudiozisa), chi di rivolgermi a un ospedale psichiatrico (@The_James_Cook). Qualcuno suggerisce di occupare le stanze di casa mia, se proprio ci tengo (@ManuelCasu). Molti mi accusano di voler colonizzare la Sardegna, che amo moltissimo, e di cui conosco le difficoltà.

Che dire? La prossima volta mi lamenterò e protesterò. Chissà quanti applausi.

5 novembre 2015 (modifica il 5 novembre 2015 | 09:27)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_novembre_05/quell-idea-migranti-cosi-apprezzata-usa-f867f2da-838f-11e5-8754-dc886b8dbd7a.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #121 inserito:: Novembre 24, 2015, 06:59:37 pm »

Simboli
Ecco la prova che l’Europa esiste (e resiste)
Gli inglesi che cantano la Marsigliese: se occorreva una prova che l’Europa esiste e resiste, eccola.

Di Beppe Severgnini

Gli inglesi che cantano la Marsigliese: se occorreva una prova che l’Europa esiste e resiste, eccola. Nella giornata in cui altre due partite sono state cancellate - Belgio-Spagna e Germania-Olanda, la prima per precauzione, la seconda dopo un allarme concreto - Inghilterra e Francia hanno giocato. E cantato. Non cantavano solo giocatori e spettatori, ieri sera a Wembley. Cantavano le due nazioni, cantava il continente: impaurito, ma non rassegnato. L’orrore e la gravità di quant’è accaduto a Parigi hanno spazzato via le battute usurate, i luoghi comuni, le citazioni stanche, le rivalità inutili. Se al vicino brucia la casa corri con l’acqua, non ricordi il litigio sulla siepe. Ma stavolta l’acqua non basta, perché l’incendio è grande. E non è spento, come dimostra l’evacuazione dello stadio di Hannover. Francia e Gran Bretagna ospitano lo stesso numero di cittadini musulmani - 4 milioni e 700mila in entrambi i Paesi - e si chiedono cos’hanno sbagliato.

Dieci anni fa è toccato a Londra essere colpita dal terrorismo domestico d’ispirazione religiosa. Perché la tolleranza è stata scambiata per debolezza? Per quale motivo il multiculturalismo ha fallito? La risposta potrebbe essere: perché l’Europa ha rinunciato a mostrare orgoglio. Perché ha cominciato a vergognarsi della pace, del benessere, della salute, della tecnologia, della libertà d’espressione, della distinzione tra Stato e Chiesa. Di tutte le cose che gran parte del mondo c’invidia e verso cui accorre, rischiando la vita in un gommone o dentro un autotreno. Ai francesi e agli inglesi - ma anche a noi italiani, ai tedeschi e a tutti gli altri - è mancata la consapevolezza della nostra fortuna. Le differenze nazionali sono state amplificate, fino a creare il reticolo di rivendicazioni che rischia di portare l’Unione in un vicolo cieco. Poi accade che nove fanatici uccidano a tradimento i nostri ragazzi in festa, un sera d’autunno, in una delle nostre città illuminate. E allora qualcuno capisce. Ci sono arrivati prima i tifosi di calcio che i capi di governo, stavolta. Mentre i secondi erano impegnati a trovare una strategia comune, i primi hanno deciso di usare il cuore, il gruppo e l’occasione: cose che lo stadio insegna. Ne insegna anche altre, meno belle; ma stavolta sono rimaste fuori. A Wembley, spazio solo alle voci e agli occhi lucidi. Per i ragazzi che abbiamo perduto, per gli uomini e le donne che non siamo diventati. Ma c’è ancora tempo: basta essere convinti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
18 novembre 2015 (modifica il 18 novembre 2015 | 08:15)

Da - http://www.corriere.it/opinioni/15_novembre_18/ecco-prova-che-l-europa-esiste-resiste-532d94c4-8dc0-11e5-ae73-6fe562d02cba.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #122 inserito:: Novembre 26, 2015, 05:54:04 pm »

Italians
La guerra d’invasione che non dobbiamo fare
La guerra in Iraq, lanciata per punire gli attentatori dell’11 Settembre (che non stavano lì), ha creato un immenso serbatoio di risentimento, non ancora esaurito

Di Beppe Severgnini

T ra le migliaia di commenti alla tragedia di Parigi, non tutti indispensabili, mi ha colpito quello dello scrittore inglese Martin Amis, che ha paragonato lo Stato Islamico al nazismo: «È una minaccia ugualmente grave per la civiltà. Ci sono ovviamente differenze, ma anche la stessa barbarie delle idee professate, la violenza estrema nei confronti dei più indifesi, la capacità di conquistare alle rispettive cause i più deboli, frustrati e ignoranti».

Riassunto efficace, al punto che qualcuno potrebbe esser tentato di proseguire nell’analogia: il nazismo è stato sconfitto con una guerra mondiale, lo stesso dovremmo fare con lo Stato Islamico! Conclusione affrettata e pericolosa, invece.

Il nazismo era nato, cresciuto e concentrato in un luogo: la Germania. L’islamismo ha la base tra Siria e Iraq, ma potrebbe trovarne un’altra. E, con sigle diverse, già colpisce dal Pakistan alla Nigeria. Attaccarlo in modo tradizionale? A parte gli alleati che dovremmo imbarcare - l’orribile Assad, per dirne uno - finiremmo per commettere l’errore degli Usa nel 2003.

La guerra in Iraq, lanciata per punire gli attentatori dell’11 Settembre (che non stavano lì), ha creato un immenso serbatoio di risentimento, non ancora esaurito.

Disse un ambasciatore britannico all’epoca, facendo arrabbiare Tony Blair: «George W. Bush è diventato il sergente reclutatore di Al Qaida...».

Dodici anni dopo, gli antefatti sono simili (l’attacco a tradimento, la follia suicida). Simili le invettive. Uguali gli armiamoci-e-partite televisivi (l’ex ministro Antonio Martino, per dirne uno).

Sarebbe un errore di giudizio, invece. Lo stesso che ha commesso, esasperata, Oriana Fallaci.
Invece di dividere gli islamisti assassini dai musulmani pacifici, salderemmo i primi ai secondi. Che in Europa, nel caso qualcuno se lo fosse dimenticato, sono venti milioni.
Ecco perché il Corriere, all’epoca, si oppose all’intervento.
Ecco perché molti di noi scrissero che la guerra d’invasione, in casi come questi, non è la risposta.
Blocchiamo i flussi di denaro, impediamo i rifornimenti d’armi, bombardiamo lo Stato Islamico di propaganda (non di missili, che cadrebbero sulle teste sbagliate). Saranno i sudditi a cacciare gli schiavisti islamisti: vedrete.

26 novembre 2015 (modifica il 26 novembre 2015 | 15:32)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_novembre_26/guerra-d-invasione-che-non-dobbiamo-fare-77c72a78-943e-11e5-be1f-3c6d4fd51d99.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #123 inserito:: Dicembre 04, 2015, 06:50:43 pm »

La donazione di Zuckerberg come il Pil della Slovenia
Cosa insegna la decisione filantropica del fondatore di Facebook che, per festeggiare la nascita della sua prima figlia, donerà il 99% delle azioni del social network

Di Beppe Severgnini

Per festeggiare la nascita di un figlio, di solito, la mamma riceve un anello, papà porta a cena gli amici. La donazione dei coniugi Zuckerberg dopo la nascita della figlia - 45 miliardi di dollari - equivale al prodotto interno lordo della Slovenia (della Tunisia o del Costarica, a scelta). La maggior parte degli Stati del mondo ha un Pil inferiore.

La filantropia è degna del nome della piccola erede: Max. Munifici e magnifici, dunque. In attesa di capire l’esatta finalità della Chan Zuckerberg Initiative (promuovere l’uguaglianza attraverso la diffusione di internet) e le modalità della donazione («nel corso della nostra vita»), proviamo a dire due cose?

La prima: arriva un momento in cui la ricchezza perde valore, se non viene impiegata per costruire il futuro. Non tanto il nostro, che è biologicamente limitato. Il futuro del prossimo, che comincia dai figli, ma non si ferma lì. Non occorre accumulare decine di miliardi di dollari per capire questo. Basta molto, molto meno. Esiste un livello d’agiatezza oltre il quale la ricchezza diventa una nevrosi e una schiavitù. Se andate sulle Alpi o a Porto Cervo, l’estate prossima, lo capirete. Troverete più gente felice tra le montagne che sui megayacht.

La seconda: è ammirevole la fiducia dei coniugi Zuckerberg nelle proprietà salvifiche di internet, condivisa da molti colossi californiani del settore. «All’inizio ci focalizzeremo sull’apprendimento personalizzato, la cura delle malattie, la connessione tra le persone e la costruzione di forti comunità». Lodevole. Ma è necessario ricordare che la rete rimane uno strumento: dipende in quali mani finisce. Conoscere e conoscersi non è, purtroppo, una garanzia di pace e concordia. I fanatici di Daesh sono molto presenti sul web: ma il loro scopo non è amare il prossimo.
   
2 dicembre 2015 (modifica il 2 dicembre 2015 | 11:54)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/tecnologia/15_dicembre_02/zuckerberg-donazione-facebook-figlia-max-severgnini-c0eb9ff6-98dd-11e5-85fc-901829b3a7ed.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #124 inserito:: Dicembre 04, 2015, 07:00:42 pm »

Italians
La Turchia nell’Unione?
Buonanotte Europa

Di Beppe Severgnini

Dall’autoradio è uscita una frase del ministro della Difesa Roberta Pinotti, e credevo d’aver sentito male: «Quando la Turchia era fortemente motivata a entrare nell’Unione Europea le fu dato lo stop dalla Francia di Sarkozy, oggi si riapre questa opportunità».
Mi sbagliavo. La frase è stata effettivamente pronunciata, durante un’intervista a Maria Latella su SkyTg24.

Una curiosa opportunità davvero. Breve riepilogo della recente cronaca turca. Pochi giorni fa l’abbattimento di un aereo russo Sukhoi sul confine turco-siriano; l’arresto di Can Dündar, direttore del quotidiano Cumhuriyet e di Erdem Gul, caporedattore ad Ankara del giornale antigovernativo; l’assassinio di Tahir Elci, il capo degli avvocati curdi, sabato a Diyarbakir. Martedì una bomba vicino alla stazione della metro di Bayrampasa. Ieri le gravissime accuse dei vertici militari russi al presidente turco Erdogan.

Secondo Mosca - non una fonte imparziale, certo - il presidente e la sua famiglia sono coinvolti nel traffico di petrolio con lo Stato Islamico.
«In cinque giorni sono avvenute più cose in Turchia che in cinquant’anni in un Paese scandinavo», dice un diplomatico europeo citato dal Sole 24 Ore. Sembra un buon riassunto.

Anni di negoziati non hanno portato a nulla, nonostante amici potenti a Roma e a Londra (Silvio Berlusconi, Tony Blair). C’è un motivo. La Turchia non è nell’Unione Europea perché non è pronta. La religione - 98% di musulmani (68% sunniti, 30% sciiti) - non conta. Contano i clamorosi ritardi strutturali. Contano le censure ai social media, le intimidazioni ai giornali, gli attacchi alla libertà di espressione, le brutalità poliziesche. E pesano le tragedie senza spiegazioni, come quella del 10 ottobre: strage alla marcia pacifista, 95 morti.

Dispiace per i molti turchi che ci hanno creduto, per quelli che l’Europa la meritano. Ma è un carico che l’Unione Europea non può assumersi: dobbiamo unirci, non dividerci; concentrarci, non diluirci.

La Turchia, oggi, non rispetta la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Che nessuno mai cita: ma è alla base di tutto.

Le alleanze militari e le opportunità economiche sono più importanti? Non è vero: contano i principi. Se svendiamo quelli, buonanotte Europa.

3 dicembre 2015 (modifica il 3 dicembre 2015 | 07:23)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/esteri/15_dicembre_03/turchia-unione-europea-buonanotte-europa-64f79c5c-9984-11e5-a8aa-552a5791f1fe.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #125 inserito:: Gennaio 03, 2016, 06:15:53 pm »

Duemilaquindici 2016
Il piacere non è più nelle cose
Ora scegliamo un’esperienza
Le 5 puntate: vai allo speciale
Nonna, figlio e nipote: confronto di fine anno fra tre generazioni

Di Beppe Severgnini con Stefania Chiale
 
In città s’era parlato di populismo. In viaggio, di trasporti e periferie. In casa in montagna, di social e socialità. Durante la passeggiata, di lavoro. L’ultimo giorno dell’anno è dedicato al relax, ai bilanci e ai programmi.

 Quelli di Annamaria, Paolo e Filippo sono diversi. La nonna, classe 1936, intende ritirarsi presto. Non vuole inaugurare il 2016 - l’anno in cui compirà 80 anni - guardando veglioni televisivi preregistrati. Il figlio Paolo - 53 anni, architetto, divorziato - uscirà a cena: ma evita di dire con chi, resta sul vago. Il nipote Filippo, 23 anni, considera Capodanno un’occasione malinconica, ma non vuole ammetterlo. Gli sembrerebbe di parlare come il padre, ed è un po’ presto. FILIPPO (aprendo un armadio) E questo?! Nonna, guarda cosa ho trovato.

 ANNAMARIA Una videocassetta. E allora?
 FILIPPO (leggendo la custodia) «Vhs». Me lo ricordo, da piccolo! Il libro della jungla ! Dovremmo tenerlo per ricordo.
 ANNAMARIA Se vuoi mettiamo il videoregistratore tra i cimeli di famiglia, con la laurea del nonno e il mio vestito da sposa.
 PAOLO Sic transit gloria tecnologica . Vi ricordate il noleggio da Blockbuster? Da bambino ti portavo, Filippo.
 FILIPPO Partivamo in auto, entravamo, sceglievamo il film, tornavamo a casa. Prima di vederlo passava un’ora.
 PAOLO Anche due. Non riuscivo a trascinarti via. E quando avevi scelto il film, volevi i popcorn da mettere nel microonde.
 FILIPPO Scelta difficile: c’era troppa roba.
 PAOLO I Vhs sono stati uccisi dai Dvd. Oggi moribondi pure quelli. Sono l’unico che ancora ne acquista, mi sa.
 FILIPPO Non ci credo. Se vuoi vedere un film a casa, non esci a comprarlo!
 PAOLO In effetti da quando ho Sky On Demand ho quasi smesso.
 FILIPPO Io prima li scaricavo, adesso li guardo in streaming.
 PAOLO Scaricarli? È legale?
 FILIPPO Diciamo: tu mi paghi l’abbonamento a Netflix, io divento un cittadino modello.
 ANNAMARIA (sarcastica) Meraviglioso. I libri faranno la stessa fine?
 PAOLO (serio) Non è detto. I libri sono caldi, gli e-book sono freddi. Sulla carta si può scrivere, usare una cartolina come segnalibro. Sanno di chi li ha toccati. Sono oggetti affettivi. Non come i giornali, che una volta letti vanno bene per il camino. La prova? Tutti hanno in casa una libreria. Chi tiene in salotto la collezione degli ultimi 20 anni di un quotidiano ha disturbi mentali.
 ANNAMARIA Insomma, sempre la stessa storia. Come quel coso dell’altra sera, dove secondo voi c’era qualsiasi canzone... Quello che ha fatto fuori i Cd che avevano fatto fuori gli Lp. Stupefy...
 FILIPPO Spotify.
 ANNAMARIA Stessa roba. Gli oggetti, uno dopo l’altro, vengono sostituiti dai servizi.
 PAOLO Mamma! Parli come Tim Cook!
 ANNAMARIA Un cuoco?
 PAOLO Nonostante il nome, no. È il capo di Apple.
 FILIPPO Lui (guarda lo smartphone) Curioso: anche il fondatore di Blockbuster si chiama Cook. David P. Cook. Non gli è andata altrettanto bene, però.
 PAOLO Comunque è così. Trasporti, film, informazione, lettura, musica: gli oggetti lasciano il posto ai servizi, l’acquisto al noleggio, il possesso all’uso. È un cambio di paradigma.
 FILIPPO (ridacchiando) Si vede che hai fatto il liceo, papà.
 PAOLO E sapete perché accade? Ho una teoria.
 ANNAMARIA (sottovoce, sorridendo) Lui ha sempre una teoria. Su tutto.
 PAOLO Una teoria immobiliare.
 FILIPPO (ironico) Sono tutt’orecchi, architetto.
 PAOLO È una questione di metri quadri.
 FILIPPO Scusa?
 PAOLO Le case sono diventate più piccole. Possiamo metterci un certo numero di oggetti, poi stop.
 ANNAMARIA E quindi?
 PAOLO E quindi quanta roba ci può stare in un appartamento di 90 metri quadri? Quanti libri, dischi, Dvd? E-book, Mp3, download, musica e film in streaming non occupano spazio fisico, invece.
 ANNAMARIA Bell’affare. Sommersi di possibilità immateriali. Un incubo.
 FILIPPO Nonna, sbagli. Poter scegliere è bello. Prendi il Kindle: vuoi leggere un libro? Click, e ce l’hai lì. Scaricato.
 ANNAMARIA Preferisco girare tra gli scaffali. Guardare le copertine. Aprire una pagina a caso. Sentire la consistenza dei libri.
 FILIPPO Anche a me piace. Ho un Kindle e una libreria.
 PAOLO Mettiamola così. Un secolo fa c’erano le taverne: uno mangiava quel che c’era. Poi sono arrivati i menu. Oggi in pizzeria puoi scegliere tra quaranta pizze e trenta piatti diversi. Se ti dicessero: minestra di rape, prendere o lasciare, saresti contenta, mamma? Credo di no. Lo stesso vale per libri, film, musica.
 FILIPPO Non interrompere, nonna. È ispirato. Dall’edilizia alla gastronomia.
 PAOLO La situazione televisiva fino agli anni 80 era questa. Il tal giorno minestra di rape, brasato, formaggio. Non ti piacevano? Saltavi il pasto. Poi sono arrivate le tv private. Il satellite. Il digitale. Lo streaming. Il download. Il video on demand. Possiamo scegliere! Arrosto, sushi, tagliolini? In tv c’è tutto. Anche la minestra di rape.
 FILIPPO (ridendo) Certo: è iniziato Masterchef ! (dopo una pausa) Hai visto Star Wars ? Geniale, eh?
 PAOLO Ti faccio notare che i primi Star Wars sono degli anni 70. Roba nostra.
 FILIPPO Gelosia artistica. Mi mancava.
 PAOLO Macché gelosia. Amor di verità. Tu oggi vedi in giro tanta fantasia? Io no.
 FILIPPO Walking Dead , Trono di spade , Breaking Bad . Sì, vedo in giro molta fantasia.
 PAOLO Io vedo imitazioni e riproposte. George Clooney? Cary Grant. Ryan Gosling? Steve McQueen 2.0. Keira Knightley? Audrey Hepburn senza perle. Jude Law? Robert Redford. Omaggio o riciclaggio? Ditemi voi.
 ANNAMARIA La nonna non dice, ascolta.
 PAOLO Sono bravi attori, eh, il cinema mi piace. Meglio dei videogiochi su cui tu, Filippo, passi troppo tempo. Spaventosi. Sono entrato in camera tua, l’altra sera, ed era in corso una strage.
 FILIPPO Non dargli retta. Dovresti provare, nonna.
 PAOLO I videogiochi? Povera donna.
 ANNAMARIA Cosa c’è di male? Anche tuo padre, Paolo, aveva la passione del flipper. Ogni tanto lo beccavo al bar che spingeva e imprecava. E regolarmente: tilt!
 FILIPPO Tilt?
 ANNAMARIA «To tilt», inclinare. Se il flipper (in inglese, pinball ) veniva spostato o inclinato il meccanismo si bloccava.
 PAOLO Quindi la parola «flipper» ce la siamo inventata? Questa è bella.
 ANNAMARIA «Flipper» vuol dire «pinna». Le due alette comandate dai pulsanti esterni sembrano due piccole pinne.
 FILIPPO Nonna wikipedica.
 ANNAMARIA Lavorare per trent’anni nell’ufficio-estero di un’azienda mi sarà servito a qualcosa, no?
 PAOLO Grazie per la lezione di paleotecnologia. Filippo, dille dei videogiochi.
 ANNAMARIA Quelli con gli omini e i mattoncini? Nei bar c’erano anche quelli.
 FILIPPO No, quelli di oggi. Quelli della X-Box e della Play.
 PAOLO Dille come si chiamano.
 FILIPPO Assassin Creed . Need for Speed . Call of Duty . Fifa .
 ANNAMARIA Fifa come paura?
 FILIPPO Federazione internazionale del calcio. Quella di Blatter.
 PAOLO Vedi? Ha ragione la nonna. Fifa fa paura. Dai, dille che parole usate.
 FILIPPO Fraggare. Buffare. Powware.
 ANNAMARIA Mi arrendo. Brindisi di Capodanno prima di andarvene?
 PAOLO A cosa brindiamo?
 ANNAMARIA Ognuno decida per sé.
 FILIPPO (alzando il bicchiere) Vediamo... All’Europa!
 PAOLO All’Italia!
 ANNAMARIA Alla faccia!
 PAOLO Scusa, mamma, che brindisi è?
 ANNAMARIA Alla faccia della famiglia! Quanto abbiamo parlato in questi giorni, ragazzi... Sono stanca, e domattina devo alzarmi presto. C’è un anno da inaugurare.
 (5 - fine)

31 dicembre 2015 (modifica il 31 dicembre 2015 | 08:53)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Da - http://www.corriere.it/cronache/15_dicembre_31/piacere-non-piu-cose-ora-scegliamo-un-esperienza-187020e4-af8b-11e5-98da-4d17ea8642a3.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #126 inserito:: Luglio 01, 2016, 05:48:07 pm »

Quella frustrazione che ha portato alla Brexit

  Di Beppe Severgnini

Se dovessi pubblicare gli insulti che ho ricevuto in questi giorni, dopo aver espresso la mia delusione per Brexit, potrei occupare il giornale fino alla pagina dei programmi televisivi. Italians, Twitter, Facebook, mail. Ora aspetto le lettere di carta (lo strumento preferito dei matti veri): ma bisogna dargli qualche giorno. Non sono stupito, non sono offeso, non sono spaventato: sono preoccupato. Non per me, ma per chi (ragioni anagrafiche) ha davanti più futuro di me. Se l’Unione Europea (un scelta democratica) suscita tanto odio, cosa ci aspetta? Se gli stragisti dell’Isis provocano meno disgusto dei funzionari di Bruxelles, cosa accadrà al nostro continente?

Brexit, cosa cambia per l’Europa (e il mondo) su immigrazione, finanza, economia, politica, università, ricerca, scuola cibo e sport
Immigrazione
È vero: chi vomita odio sui social è spesso un frustrato; ma i frustrati, quando sono tanti, possono provocare grossi guai. Gli umori somigliano a quelli degli anni ’20 del XX secolo: ma allora l’Europa usciva da una guerra, oggi esce dalla pace. La consapevolezza d’abitare una casa imperfetta dovrebbe portare a una migliore manutenzione, non a distruggere tutto. Invece l’istinto di demolizione avanza. In Inghilterra si veste di nostalgia, in Francia si circonda di rabbia, in Austria si accompagna alla paura, in Olanda si chiude nell’egoismo, in Polonia e Ungheria viaggia con il disprezzo: se il contagio arriva in Germania, l’Europa è finita. In Italia intolleranza e umanità camminano insieme (gli sciacalli dei social, quando li conosci, spesso sono cuccioli spaventati). Ma l’ululato impressiona: cosa vuole, questa gente, al posto dell’Europa in pace? A chi è disposta ad affidare il potere, pur di sbarazzarsi delle cosiddette «élite»? Un termine in cui ormai finisce di tutto: perfino gli scambi internazionali. Mi scrive Alessandro Braga ale.braga.73@gmail.com: «Trovo stucchevole la mitizzazione dei ragazzi Erasmus in questi giorni post-Brexit. L’ennesima dimostrazione di quanto la classe dirigente si trovi a una distanza siderale, e incolmabile, dalla gente comune». Non importa che Erasmus sia nato per consentire un’esperienza europea agli studenti che non se la potevano permettere. Alessandro preferisce il copia-e-incolla di stereotipi populisti (classe dirigente, gente comune): risparmia la fatica di pensare.

Scriveva W.B. Yeats: «Things fall apart; the centre cannot hold; / Mere anarchy is loosed upon the world». Era il 1919: quasi cent’anni dopo, il rischio è quello. E ora dite pure che solo le élite citano un poeta irlandese senza tradurlo: non m’importa niente.

29 giugno 2016 (modifica il 30 giugno 2016 | 10:41)
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_giugno_30/quella-frustrazione-2ee5d724-3e15-11e6-8cc3-6dcc57c07069.shtml
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #127 inserito:: Dicembre 09, 2016, 04:39:44 pm »

L’infelice di professione che urla tra le macerie

Di Beppe Severgnini

«Eternamente loda / eternamente dice / eternamente mangia / e posa ad infelice». Un volumetto grigio chiama dallo scaffale più alto e propone questo epigramma (le librerie domestiche sono miniere di coincidenze). Il titolo della raccolta è Quiproquo (Garzanti, 1974). L’autore è Tito Balestra, uno che sapeva mirare lontano. Quei quattro versi anticipano un tipo umano che va forte, in questo sconcertante 2016. Prima di occuparcene, due parole sull’autore. Nato nel 1923 a Longiano in Romagna — terra artisticamente esplosiva — si trasferisce a Roma nel 1946 per diventare assistente sociale. Vive a casa degli zii: lui muratore, lei portiera. Arriva «all’arte dalla gavetta», per usare le sue parole. Frequenta le gallerie d’arte e le redazioni dei giornali. Conosce Alvaro, Bassani, Bertolucci, Flaiano, Guttuso, Longanesi, Maccari. E scrive. Alfonso Gatto: «Balestra è un poeta che non ha avuto fretta di stampare, un poeta che soltanto gli amici sapevano che scrivesse poesie». Di sicuro, non poteva immaginare che una di queste sarebbe servita a descrivere, molti anni dopo, l’infelice di professione. L’uomo che non protesta; si lamenta. Che non dice; grida. Che non critica; depreca. L’uomo per cui è tutto, sempre, un disastro. E mai per colpa sua.

Certo. Non è piacevole contare i soldi dello stipendio, e scoprire che da anni non aumentano. Non è bello vedere i figli costretti a elemosinare un lavoro. Non è divertente guardare i rapaci politici in cortile, pronti a beccare ciò che trovano. Ma l’apocalisse — vogliamo dirlo? — è un’altra cosa. Disperarsi, nell’Italia di oggi, non è solo controproducente; è offensivo verso chi l’orrore l’ha vissuto o lo vive davvero (la guerra, il terrorismo, la persecuzione). Ma l’infelice di professione non vuol sentire ragioni: vive un incubo, e deve urlarlo a tutti. Ha più di un alleato, purtroppo. Se gli industriali fanno i finanzieri, e passano la vita in casa o in viaggio, non si lamentino d’aver perso influenza. Se noi dei media soffiamo sul fuoco, poi non stupiamoci dell’incendio. Se la politica accarezza qualsiasi malumore — e sputa sull’Europa, accusata anche per colpe che non ha — o sappia: prepara il disastro. Come Sansone — infelici, rabbiosi, incuranti delle conseguenze — abbatteremo il tempio. Peccato che, sotto le macerie, potrebbe restare la democrazia.

Da - http://www.corriere.it/opinioni/16_dicembre_01/infelice-professione-bb412a2c-b72b-11e6-aef2-f5f620941d44.shtml
Registrato
Pagine: 1 ... 7 8 [9]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!