VISTO DALL’ESTERO
Renzi e l’Europa, dal «vangelo di Matteo» alla «disillusione»
Caso Mogherini, flessibilità di bilancio e il peso sul semestre di presidenza italiano. I commenti dei leader e della stampa internazionale dopo le difficoltà degli ultimi giorni
Di Danilo Taino
Ieri, l’«Economist» ha ricordato a Matteo Renzi una frase che, inventata nella campagna presidenziale di Bill Clinton nel 1992, è diventata in sé un manuale di strategia politica. «It’s the economy, stupid»: è l’economia, sciocco. Se ti dimentichi dell’economia, se la lasci indietro, nel mondo d’oggi non vai lontano. Nel diventare presidente del Consiglio - dice il settimanale - Renzi invece «fece una scommessa: che l’economia si sarebbe ripresa senza bisogno di molta riforma strutturale», considerazione che gli lasciava spazio per dedicarsi alla riforma del Senato. L’economia si è però vendicata, è tornata in recessione. E, ora, l’uomo nuovo della politica europea, apprezzato dalla signora Merkel come dal presidente Obama, è nei guai: «La luna di miele è finita» - ha scritto giovedì il «Financial Times» - adesso si tratta di mettere i piedi per terra.
Da febbraio, quando è stato nominato capo del governo, Renzi non solo ha avuto una buona stampa a livello internazionale, non solo ha raccolto interesse per la sua giovane età (in contrasto con l’idea che si ha della politica italiana) e per la sua simpatia. Soprattutto, ha sollevato speranze non indifferenti: i leader internazionali sono preoccupati per la situazione italiana, molto preoccupati almeno dal 2011, e l’arrivo di un premier dinamico che prometteva cambiamento e riforme era la migliore notizia possibile. A maggior ragione se è uno che sa vincere le elezioni, come ha fatto alle Europee di fine maggio. Il capitale di credito internazionale con cui Renzi partiva era dunque cospicuo: lo erano anche le aspettative. Simon Nixon, un commentatore autorevole del «Wall Street Journal», in febbraio per esempio sottolineava «l’agenda coraggiosa» di Renzi per i primi cento giorni, «incluse riforme elettorale, del lavoro, delle tasse e la ristrutturazione dell’amministrazione pubblica».
Apprezzamenti arrivavano copiosi. Già in dicembre, il «New York Times» aveva sostenuto che l’emergere del giovane sindaco di Firenze segnalava «un mandato per il cambiamento politico in Italia». Il settimanale tedesco «Spiegel» analizzava «il vangelo di Matteo» e le sue promesse di riforma radicale. Dopo le elezioni europee del 25 maggio - Renzi unico capo di governo vincitore, assieme a Frau Merkel - e in vista dell’inizio del semestre di presidenza italiana della Ue, l’interesse cresceva. Diventerà il leader di un «asse del Sud» contro i Paesi nordici e austeri, si chiedeva il settimanale «Die Zeit»? A fine giugno, Wolfgang Münchau, commentatore del «Financial Times», scriveva che le questioni poste dal capo del governo italiano a Bruxelles - un ripensamento della politica di rigidità di bilancio e più spazi di spesa - erano «uno sviluppo importante».
Proprio a Bruxelles, però, sono iniziati i primi problemi. La teoria del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan era chiara: per avere voce nella Ue occorre ristabilire un clima di fiducia e ciò l’Italia lo può fare solo garantendo riforme strutturali della sua economia; unicamente a quel punto, sulla base di un piano credibile di cambiamento, potrà chiedere più flessibilità di bilancio.
Difficile dire se per mancanza di esperienza, se per eccesso di entusiasmo o se per calcolo, fatto sta che Renzi ha fatto il contrario: a Bruxelles riforme economiche non ne ha portate ma ha avanzato richieste, pubbliche e ripetute, di maggiore flessibilità di spesa. E ha raccolto appoggi tiepidi, anche da quei Paesi a economia debole ma che i «compiti a casa» li hanno fatti o li stanno facendo. L’approccio all’economia, insomma, è stato debole e l’incursione europea è finita nella sabbia. In Europa, si è preso nota.
In parallelo, la campagna per la nomina del ministro degli Esteri Federica Mogherini ad Alto rappresentante per la politica estera della Ue è stata piuttosto avventurosa: negli ambienti europei è sembrata la ricerca di un’affermazione di prestigio più che una proposta politica di chi ha la responsabilità della presidenza a rotazione della Ue e quindi dovrebbe cercare soluzioni non divisive, soprattutto di fronte alla crescente aggressività della Russia. La candidatura è ancora viva ma l’opposizione di alcuni Paesi, dell’Est ma non solo, a questo punto è netta. Non solo una mela avvelenata per Federica Mogherini: soprattutto, il rischio che il possibile flop della candidatura comprometta l’intero semestre di presidenza.
In un lungo articolo di due giorni fa sul ritorno della recessione, il quotidiano tedesco «Die Welt» ricordava quanto la signora Merkel fosse rimasta impressionata da Renzi. Per aggiungere che ora, «tuttavia, dopo quasi mezzo anno, la disillusione si fa largo». E concludere che il centometrista Renzi-Bolt «è dunque arrivato alla dura realtà». Quella dell’economia, direbbe Bill Clinton.
9 agosto 2014 | 07:45
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